5. Boutroux: contingentismo e critica alla legge scientifica

 

Quali sono gli oggetti d'indagine della scienza? I corpi, l'organismo, e l'uomo. In verità, ognuno di questi "oggetti" non solo costituisce un campo delimitato di scienze specifiche, ma rappresenta un vero e proprio "ordine di realtà"; nel reale, infatti, è possibile distinguere un "ordine fisico", uno "biologico" e uno "psichico". Nella successione in cui sono stati enunciati, quello che segue è "superiore" a quello che precede. Ossia ognuno presenta, oltre che elementi in comune con gli altri, anche caratteri propri, specifici, originali, che non si ritrovano nell'ordine precedente, e che lo caratterizzano come piú ricco di varietà e di qualità rispetto ad esso. Orbene, il positivismo sostiene che l'ordine superiore deriva per evoluzione da quello inferiore. Ma nella realtà nulla mostra come la forma piú alta sia ricavabile da quella piú bassa, o, addirittura, sia riducibile, in ultimi termini, a questa. Anzi, tra le forme inferiori e quelle superiori c'è un vero e proprio salto. Il superiore non è costituito dalla semplice "combinazione" o "aggregazione" dei caratteri dell'ordine inferiore, ma è un fatto totalmente nuovo, in cui gli elementi che contraddistinguono le forme piú basse si ritrovano riplasmati in una nuova "creazione". Dunque ogni ordine è "contingente" rispetto agli altri che lo precedono.

Si proceda, per esempio, alla comparazione tra l'ordine fisico e quello biologico:

Se si analizzano i princìpi della vita non sembra di trovarvi alcun elemento che già non esista nel mondo inorganico. Sembra dunque che non vi sia, tra il mondo vivente e il mondo fisico, altro che differenze di grado: una piú grande diversità tra gli elementi, una maggiore potenza di differenziazione, delle combinazioni piú complesse... Ma l'essere vivente si trasforma continuamente: si nutre, si sviluppa, genera altri esseri: è di una instabilità, di una flessibilità singolari ... E vi è nell'essere vivente una sproporzione impressionante tra la parte della funzione e quella della materia ...

Anche con un numero di elementi piú ristretto di quello impiegato dalla forza fisica, la vita produce opere ben piú possenti, poiché un filo d'erba può spezzare una roccia.

In che consiste l'atto vitale, l'organizzazione? È chiaro che non è definito in modo sufficiente col termine di "combinazione". Non consiste nella formazione di un aggregato analogo a un pezzo di zolfo o a una goccia di mercurio, ma nella creazione di un sistema in cui certe parti sono subordinate a certe altre. In un essere vivente vi sono un agente e degli organi, una gerarchia.

La funzione della vita sembra essere una creazione, senza principio ne fine, di sistemi le cui parti presentano non solamente dell'eterogeneità ma altresì un ordine gerarchico. L'essere vivente è un individuo, o piuttosto, con azione continua, si crea un'individualità e genera degli esseri capaci essi stessi di individualità. L'organizzazione è l'individualizzazione.

Ora questa funzione non sembra esistere nella materia inorganica. Cosí l'essere vivente racchiude un elemento nuovo, irriducibile alle proprietà fisiche: il progresso verso un ordine gerarchico, il farsi individuo.

(Della contingenza delle leggi della natura)

E si esamini pure il mondo umano rispetto a quello animale:

Senza dubbio il nostro primo sentimento è che esiste una differenza radicale tra l'uomo, dotato di ragione e di linguaggio, e il resto degli esseri viventi. Ma... non vediamo la natura umana presentare, nel passato e nel presente, una serie di degradazioni che la riavvicinano agli esseri inferiori? Non si può dire che nell'uomo più elevato le facoltà che noi ammiriamo derivano da facoltà più semplici, e finalmente si riducono a poteri elementari inerenti ad ogni essere vivente...?

Sembra dunque stabilito che ogni fenomeno psichico, nella vita presente, ha la sua condizione d'esistenza in fenomeni fisiologici determinati e cosí è legittimo cercare le condizioni fisiologiche della vita psichica. Ma questa ricerca, per quanto si supponga progredita, può arrivare ad assorbire la psicologia nella fisiologia?

In tutti i fenomeni psichici si ritrova la coscienza di sé, la riflessione sulle proprie maniere d'essere, la personalità. Ogni fenomeno psichico è, o può essere, uno stato di coscienza. Sicché da questa alternativa non si esce: o si introduce artificialmente le coscienza nel fatto organico da cui si tratta di dedurla, ovvero, prendendo sin da principio la coscienza quale è, ci si trova nell'impossibilità di ricondurla, con procedimento interamente analitico, a un fatto puramente organico.

La coscienza non è una specializzazione, uno sviluppo, un perfezionamento delle stesse funzioni fisiologiche: nemmeno ne è un aspetto o una risultante. È un elemento nuovo, una creazione. L'uomo, che è dotato di coscienza, è piú che un essere vivente. In quanto è una persona, in quanto almeno il suo sviluppo naturale si compie nella personalità, egli possiede una perfezione a cui non possono elevarsi gli esseri che sono soltanto organismi individuali. La forma in cui la coscienza si sovrappone alla vita è una sintesi assoluta, una somma di elementi radicalmente eterogenei: il rapporto ch'essa implica è dunque, almeno dal punto di vista logico, contingente.

(Della contingenza delle leggi della natura)

Se ogni forma superiore è una nuova creazione rispetto a quelle inferiori, non resta che ammettere che nell'universo agisce un principio di creatività spontanea, che sottrae l'essere ad ogni considerazione deterministica.

Ma da che cosa è derivata la pretesa positivistica di considerare il mondo ordinato secondo leggi necessitanti? Anticamente, dice Boutroux, si distinguevano bene due piani dell'essere: quello della verità, "dominio dell'eterno e del necessario", e quello del "fenomeno", cioè della "materia instabile", incapace di fissarsi in una determinata forma; e si distinguevano, correlativamente, due scienze: "la scienza dell'essere, perfetta e immutevole come il suo oggetto" e "la scienza del divenire, imperfetta ed instabile come il divenire stesso".

Con Cartesio e con la scienza moderna, la distinzione tra queste due scienze e tra i loro oggetti viene a cadere; scompare cosí la separazione tra le matematiche e l'esperienza.

Ora la scienza moderna tende soprattutto ad abolire questa dualità. La sua idea fondamentale è stata espressa da Descartes: essa consiste nell'ammettere che esista un punto di coincidenza tra il mondo sensibile e il mondo matematico, tra il divenire e l'essere, e che le cose siano, non già copie piú o meno imperfette di paradigmi trascendenti, ma determinazioni particolari delle stesse essenze matematiche.

Separate, com'erano presso gli antichi, le matematiche e l'esperienza restavano le une trascendenti, l'altra incerta. Intimamente congiunte, esse fondano una scienza perfetta della stessa realtà sensibile. Le matematiche comunicano alla scienza la necessità, l'esperienza, la concretezza. Ecco la radice del determinismo moderno. Crediamo che tutto sia necessariamente determinato, perché crediamo che tutto sia, in fondo, matematico. Questa opinione è il movente manifesto o segreto della ricerca scientifica.

(Della contingenza delle leggi della natura)

Ma, osserva criticamente Boutroux,

 

 

 

 

la questione è di sapere se questo è un principio veramente costitutivo o soltanto un principio regolatore e un'idea direttrice. La scienza prova, o si limita soltanto a supporre che l'essenza delle cose sia esclusivamente matematica?

(Della contingenza delle leggi della natura)

Boutroux è convinto che l'ordinamento "matematico" dei fenomeni non sia "oggettivo"; esso è solo una "ipotesi" comoda per la conoscenza. Un'ipotesi, peraltro, che non poggia neppure su fondamenti abbastanza saldi e rigorosi. Infatti gli assiomi e le definizioni su cui si fonda la matematica sono "costruzioni" del pensiero umano funzionali alla correttezza dimostrativa; sono posti "per opportunità"; per cui già la matematica, in sé, "rivela un buon numero di determinazioni contingenti e di artifici ammessi soprattutto perché hanno successo"; quindi "la stessa necessità matematica non è piú per noi incondizionata".

Ma c'è di piú: l'ipotesi di un ordinamento matematico dei fenomeni ha un campo molto limitato di validità e di efficacia. Infatti, non solo

 

 

 

 

è certo che gli oggetti delle diverse scienze non si lasciano interamente penetrare dalle matematiche, e le leggi fondamentali di ogni scienza ci appaiono come i compromessi meno imperfetti che lo spirito abbia potuto trovare per avvicinare le matematiche all'esperienza,

(Della contingenza delle leggi della natura)

ma

 

 

 

 

bisogna fare una distinzione tra le scienze fisiche che si uniscono facilmente alle matematiche, e le scienze biologiche, per le quali questa unione è assai piú artificiosa. Nelle prime l'uomo limita da se stesso il campo delle proprie ricerche; si propone di considerare solo un certo ordine di manifestazioni naturali, cioè quello che comporta la misura e il numero, e di fare astrazione dagli altri. Grazie a questa delimitazione arbitraria, si ha a che fare con un oggetto che comporta notevolmente la determinazione matematica. Anche nelle scienze biologiche si può usare questo metodo; ma allora si trascura evidentemente la parte migliore e piú caratteristica dei fenomeni. Piú si vuol cogliere l'essere nella sua realtà concreta piú bisogna contentarsi di fare osservazioni ed induzioni, rinunciando all'uso dell'analisi matematica. Cosí la forma matematica imprime alle scienze un carattere di astrazione: l'essere concreto e vivente le sfugge.

(Della contingenza delle leggi della natura)

Pertanto, il principio di causalità, su cui si fondano tutte le visioni meccanicistiche e deterministiche dell'universo, perde il suo valore. "Poste circostanze identiche, devono verificarsi identici effetti": ma quando, nella realtà, sussistono circostanze identiche? E poi, se mai fosse possibile avere identiche circostanze, perché si dovrebbero avere effetti identici? Ciò è insostenibile specie sui piani biologico e umano, dove l'inammissibilità del principio di causa risulta piú evidente: infatti gli effetti posseggono sempre qualcosa di nuovo, di diverso, di originale, sia rispetto alla causa sia rispetto ad altri effetti di cause analoghe. Gli effetti sono caratterizzati quindi dalla "contingenza"; il loro essere non è "determinato necessariamente" dalla causa.

D'altronde, il principio di causa implica un principio - quello d'identità - che è a maggior ragione insostenibile. Ogni cosa è uguale a se stessa; ma ciò vale per gli enti ideali, astratti, non per le realtà concrete, sempre instabili e mutevoli; pertanto è pura ipotesi astratta ammettere che nel reale si possano dare circostanze "identiche" che generino improbabili effetti identici.

E poiché i due principi, quello d'identità e quello di causa, sono i presupposti delle leggi logiche della dimostrazione, ne deriva che anche il ragionamento dimostrativo non afferra la realtà e non esclude la contingenza oggettiva dei fenomeni.

Sicché entra in crisi il concetto stesso di legge. Tutte le leggi, quelle logiche, quelle matematiche, meccaniche, fisiche, chimiche, biologiche, psicologiche, sociologiche, mostrano, nell'ordine in cui sono state indicate, un sempre minore potere necessitante rispetto alla realtà, per la loro sempre maggiore "astrazione" rispetto ad essa. Le leggi di natura devono essere solo considerate "l'insieme dei metodi che abbiamo trovato per assimilare le cose alla nostra intelligenza e piegarle al compimento delle nostre volontà"; nulla dicono sull'ordinamento oggettivo del reale. La realtà resta, cioè, non riducibile ai modelli scientifici che noi ne costruiamo.

Pertanto la scienza deve riconoscere le sue effettive possibilità e i suoi reali confini, e non pretendere di estendere la sua validità in altri campi, quali quelli del senso della vita individuale e sociale, dell'arte, della morale e, infine, della religione.

Qui si rivela allora lo scopo ultimo della polemica antipositivistica di Boutroux: sottrarre l'esistenza umana e i suoi valori etico-religiosi al dominio della scienza. L'uomo è libero; la sua libertà si manifesta, a livello piú alto, nei tentativi autonomi di adeguarsi ad un ideale di perfezione e di bellezza - cioè di accostarsi al suo "dover-essere" -, e di aprirsi al rapporto d'amore con Dio nella fede.

Non ci soffermeremo su questo aspetto, perché le argomentazioni addotte da Boutroux sono analoghe sia a quelle dello spiritualismo tradizionale, sia a quelle degli spiritualisti francesi suoi contemporanei. Ciò ch'è importante notare è che Boutroux ha tentato di fondare la validità della filosofia spiritualistica su quella critica della scienza positivistica che, nei suoi intenti, doveva separare in modo definitivo l'ambito scientifico da quello etico e religioso; separazione che gli avrebbe consentito di affermare che la religione, "non piú spiegazione dei fenomeni", "non può sentirsi piú toccata dalle scoperte della scienza", e che i fenomeni, "agli occhi della religione, valgono per il loro significato morale, per i sentimenti che suggeriscono, per la vita interiore che esprimono e suscitano".