7. Bergson: L'istinto, l'intelligenza e l'intuizione

 

 

L'uomo, che è momento di questo universo, ha per essenza la forza vitale che lo rende attivo sia sul piano conoscitivo che su quello pratico. Per la sua natura spirituale egli ricrea continuamente se stesso, spinto da due forze, l'istinto e l'intelligenza, che agiscono in concorso al fine di soddisfare i bisogni, d'ogni genere, del suo vivere quotidiano. Queste due forze sono comuni anche agli animali; ma mentre nell'animale l'istinto prevale sull'intelligenza, nell'uomo è questa che lo caratterizza specificamente, e si esprime con la capacità di fabbricare strumenti.

Se potessimo spogliarci da ogni orgoglio e se, nel definire la nostra specie, ci attenessimo rigorosamente a ciò che la storia e la preistoria ci presentano come caratteristica costante dell'uomo e dell'intelligenza, noi forse non diremmo Homo sapiens, bensí Homo faber. In breve, l'intelligenza, considerata nelle sua funzione peculiare, è la facoltà di fabbricare oggetti artificiali, e propriamente strumenti atti a foggiare strumenti, e di variarne in modo indefinito la fabbricazione.

Ora, un animale intelligente possiede anch'esso strumenti o macchine? Sí, certamente, ma in esso lo strumento fa parte del corpo che lo utilizza: e, correlativo a tale strumento, c'è un istinto che se ne sa servire.

La forza immanente alla vita può optare tra due maniere diverse di agire sulla materia bruta; può esercitare tale azione immediatamente, foggiandosi uno strumento organico da utilizzare, o fornirla mediatamente in un organismo che, invece di possedere per natura lo strumento richiesto, se lo fabbrichi da sé, plasmando la materia inorganica. Di qui l'istinto e l'intelligenza, che, sviluppandosi, divergono sempre piú, ma non si separano mai completamente. Da un lato, infatti, l'istinto piú perfetto dell'insetto è accompagnato da un certo barlume d'intelligenza, se non altro nella scelta del luogo, del momento e dei materiali di costruzione: quando, per un caso straordinario, delle Api nidificano all'aria libera, esse inventano mezzi nuovi e veramente intelligenti per adattarsi a tale condizione nuova. Ma, d'altro lato, l'intelligenza ha ancora piú bisogno dell'istinto che non l'istinto dell'intelligenza, perché la capacità di foggiare la materia bruta presuppone nell'animale un grado superiore di organizzazione, a cui esso si e potuto elevare solo sulle ali dell'istinto. Cosí, mentre negli Artropodi la natura, nel suo processo evolutivo, si è orientata risolutamente verso l'istinto, in quasi tutti i Vertebrati assistiamo alla ricerca piú che alla affermazione piena dell'intelligenza.

(L'evoluzione creatrice)

L'istinto dunque segue il flusso della vita, e ne è espressione immediata; l'intelligenza pone l'uomo come all'esterno di quel flusso, e, con la costruzione di concetti, schemi astratti delle cose, considera le cose stesse come indipendenti dal movimento vitale. È con l'istinto, perciò, che l'uomo coglie la vita, non con l'intelligenza.

Tuttavia l'intelligenza è superiore all'istinto. Questo, che è comune anche all'animale, è "legato" al suo oggetto, e solo a quell'oggetto che è il suo corrispondente naturale, e per il conseguimento del quale esso si esercita in un'azione immediata, cieca e inconsapevole. L'intelligenza invece è capace di "distaccarsi" da tutti gli oggetti, di non considerarli nella loro immediata utilità, di vedere oltre ciò che appare della realtà; e nei confronti degli oggetti esercita azioni elastiche e variate.

Certo, l'oggetto colto nel rapporto istintivo, è percepito, conosciuto in tutta la sua ricchezza, mentre colto dall'intelligenza, è conosciuto in termini generali, e quindi imperfetti, inadeguati. Ma mentre l'istinto non coglie i "rapporti" tra le cose, l'intelligenza lo può fare; anzi lo fa per sua natura; i "rapporti" colti, dunque, rivelano altre possibilità di uso degli oggetti, o, comunque, permettono all'uomo di usarli meglio.

È evidente che l'ideale sarebbe l'armonizzazione, nell'uomo, di istinto e intelligenza. È possibile tale armonizzazione? Si dà nell'esperienza umana? Sí, risponde Bergson: proprio con l'intuizione. L'"intuizione", che è lo strumento autentico e proprio della filosofia, consiste nel cogliere, istintivamente, il flusso del reale, e di calarvi dentro i concetti e le articolazioni dell'intelligenza; permette all'uomo di cogliere il reale nel suo crearsi e, insieme, il rapporto logico per il quale tutte le cose sono relazionate; consente all'uomo di armonizzare, nella sua esistenza quotidiana, l'esigenza "vitale" di rinnovamento di sé, di continua autocreazione, col bisogno conoscitivo di avere un mondo ordinato in cui - questa è l'aspirazione un evento sia prevedibile in virtù di leggi stabili.

Sulla base di questi principi fondamentali Bergson poi delinea anche un discorso sulla morale e sulla religione.

Il vivere in società non è una scelta dell'intelligenza, ma un'esigenza naturale. Infatti l'intelligenza, tendenzialmente, porterebbe l'individuo a centrare l'attenzione su di sé, a privilegiare la propria libertà, e a sottrarsi ai legami sociali; mentre ciò che vi è di naturale nell'uomo lo induce ad unirsi agli altri per garantire la conservazione della sua esistenza.

Sicché gli uomini, come gli animali, tendono ad organizzarsi in una "società chiusa", in cui l'individuo si considera ed agisce come parte del tutto, e in cui, quindi, non c'è spazio per la sua libera iniziativa, dettata dall'intelligenza, che minaccerebbe l'unità e l'ordine del corpo sociale, e con ciò lo stesso perseguimento del bene comune.

Di contro alla perdita della sua libertà, la società chiusa offre all'individuo, in compenso, di non restar paralizzato dalla consapevolezza dell'inevitabilità della morte, di fronteggiare con maggiore serenità l'imprevisto, il rischio, la minaccia alla propria esistenza messa in opera da tutte le forze avverse.

A garanzia della vita di una tale società svolgono un ruolo determinante la "morale dell'obbligazione" e la "religione statica". Gli obblighi morali hanno radici sociali; essi non sono che norme, consolidate dalla pratica e stabilizzatesi per abitudine, con cui la società organizza la sua esistenza e tutela la sua permanenza, e che quindi sono state, appunto per abitudine, interiorizzate dai membri del corpo sociale.

E contro le "tentazioni" dell'intelligenza, quei membri, esercitando naturalmente la "funzione fabulatrice", creano una religione in cui sono rappresentati fantasticamente poteri extranaturali, i quali impongono all'individuo comandi e proibizioni (evidentemente funzionali alla vita sociale) e promettono, oltre che il loro favore alle umane imprese, anche la sopravvivenza dopo la morte.

Questo tipo di "società chiusa", con le sue correlative forme di morale e di religione, caratterizza le società primitive. Esso tende alla "conservazione" non al "progresso"; esso porta a compimento l'istinto, ma mortifica l'intelligenza. Il suo ideale morale è limitato al singolo gruppo sociale; impone la conformità dell'azione individuale alle abitudini acquisite nel tempo dall'organismo societario. La sua religione ha solo funzione difensiva contro le aspirazioni dell'intelligenza, propone un modello di vita limitato al contenimento dell'egoismo, e genera un'immotivata fiducia che il potere operativo dell'uomo sia garantito ed amplificabile con le pratiche rituali e magiche.

Solo le "società aperte", invece, sono, insieme, rispettose dell'istinto e delle esigenze dell'intelligenza, lasciando spazio al potere innovativo dell'iniziativa umana e mirando al progresso. In tali società vige una "morale assoluta", che propone l'imitazione di un "modello", che guarda a tutta l'umanità mirando alla fratellanza universale, e che è in movimento in relazione allo stato di evoluzione degli uomini; ed una "religione dinamica", che si modella sull'originario "slancio vitale", che rompe ogni formalismo, che si sostanzia di "amore" per gli uomini e per Dio, che per questo amore propone anche il "sacrificio", e che, nella sua forma piú alta ma anche piú rara, è "misticismo". In tale forma l'uomo vive cosí uno "slancio" che esprime lo slancio vitale e, in sostanza, coincide con esso; vive il suo potere creativo nella consapevolezza che esso è lo stesso potere creativo di Dio; attua in sé l'amore di Dio per tutti gli uomini; vede nell'universo l'aspetto percepibile dell'amore divino, e l'oggetto dell'amore umano.