9. Ardigò: il "sistema" positivistico

 

 

Nato nel 1828, Roberto Ardigò divenne sacerdote, ma abbandonò la condizione ecclesiastica in seguito ad un'acuta crisi di pensiero. Scomunicato dalla Chiesa, fu fatto oggetto di attacchi e di polemiche, divenute piú aspre quando fu nominato professore all'Università di Padova. E le polemiche non vennero solo da parte spiritualistica, ma anche dal nascente movimento neo-idealistico, sorto appunto come reazione al positivismo dilagato non solo nelle scienze filosofiche, ma in tutte le branche del sapere. Ciò nonostante Ardigò proseguí coerente per la sua strada, pubblicando numerose opere tra cui ricordiamo un Saggio storico-filosofico su Pietro Pomponazzi e i trattati La psicologia come scienza positiva (1870), La formazione naturale nel fatto del sistema solare (1877), La morale dei positivisti (1879), Sociologia (1886), La dottrina spenceriana dell'inconoscibile (1899). Chiuse infine col suicidio la sua esistenza, nel 1920.

Ardigò accoglie i fondamenti del sensismo. Anzi egli afferma con nettezza: "L'essere tutto quanto si riduce al dato psichico della sensazione"; infatti, aggiunge, "ciò che si dice la percezione del fenomeno esterno è per sé un atto in tutto e per tutto soggettivo o psichico e non contiene nulla che sia altro da ciò".

La sensazione è però un momento "indistinto" della vita psichica; in essa cioè non c'è distinzione tra soggetto senziente e oggetto sentito, tra "io" e "non io".

Il me e il fuori di me nella coscienza formano un tutto reale indivisibile. Come il diritto e il rovescio del panno si possono bensí distinguere mentalmente, ma non separare effettivamente senza distruggere il panno cosí il me e il fuori di me nella coscienza. Essa è costituita nell'essere suo tanto dall'uno quanto dall'altro, che vi entrano con lo stesso titolo e con la stessa forza. Cesserebbe di essere ciò che è se mancasse questo o quello...

La distinzione tra ciò che dicesi mondo interiore, o me, o spirito, e ciò che dicesi mondo esterno, o non me, o materia, è una distinzione non anteriore e trovata primitivamente in sé dalla coscienza, ma posteriore ed artificiale (quantunque per artificio naturale), e costruita a poco a poco nella medesima, per via dello stesso processo conoscitivo.

(Opere filosofiche)

Dunque, la separazione mentale tra io e non io avviene con la conoscenza, la cui materia è l'indistinto costituito dalla sensazione. La conoscenza pertanto - dal livello di conoscenza comune a quello di conoscenza scientifica - è un progressivo passaggio dall'indistinto al distinto; laddove anche il frutto di una distinzione precedente costituisce un indistinto rispetto all'ulteriore operazione di distinzione. Pertanto è assurdo parlare di spirito e materia come di "realtà". Essi sono nient'altro che "astrazioni mentali".

La materia, ad esempio, è "l'astratto dei fenomeni fisici che implicano estensione". Se infatti dalle rappresentazioni delle singole cose si tolgono tutte le differenze che si percepiscono tra i diversi gruppi di fenomeni, resterà, dice Ardigò, una "nozione comune" a tutti i fenomeni, cioè quella di "spazio pieno". Sicché: "Formiamo di questa nozione una sussistenza reale, ed ecco la materia". La "realtà" materia perciò non è che un'ipostatizzazione di un astratto mentale. Il concetto di materia allora non deve essere considerato altro che l'astratto che spiega la "coesistenza spaziale" dei dati fenomenici; cosí come quello di forza è l'astratto mentale della "successione temporale" di quei dati.

Stesso discorso va fatto per lo spirito. È un astratto separato arbitrariamente da tutta la realtà umana. Questo termine lo si usa per connotare specificamente le funzioni superiori della mente; ma queste, in realtà, non sono scindibili dal corpo. L'uomo è "realtà psico-fisica" in cui l'elemento "fisico" e quello "psichico" non sono separabili se non mentalmente; infatti i fenomeni psichici si spiegano con le funzioni dell'organismo fisico. Il vedere rosso, ad esempio, non dipende forse dalla "conformazione particolare dell'estremità retinica di certe fibre del nervo ottico e dell'organo centrale del cervello a cui mettono capo"? Tutte le funzioni superiori quindi non possono aver luogo a prescindere dall'organizzazione corporea. Che cosa produrrebbe l'intelletto autonomamente dalla sensibilità? E, d'altra parte, l'associazione delle idee - che sembrerebbe la testimonianza, tra le piú evidenti, della realtà spirituale dell'anima e della sua autonomia dal corpo - non si spiega come frutto dell'organizzazione fisiologica del cervello, che consente di combinare rappresentazioni sensibili latenti? E inoltre, si spiega senza quell'organizzazione la facoltà astrattiva della mente?

Dunque non si può "separare la natura dall'intelligenza"; "separamela è distruggerla". Certo, il fatto psichico è qualitativamente diverso dal semplice fatto fisiologico; non è totalmente riducibile a questo; la fisiologia non può prendere il posto della psicologia. Ciò però non autorizza a concepire una psicologia indipendente dalla fisiologia; un'operazione di tal genere è metafisica. È pura e semplice metafisica parlare di esistenza dello spirito, o piú precisamente di spiritualità dell'anima; e le presunte "facoltà" dello spirito (intelletto, memoria, ecc) non sono che estrapolazioni astrattive di fenomeni fisici interni a colui che pensa; esse dunque non sono autonome, e non hanno realtà in sé e per sé.

La metafisica, sostiene Ardigò, "scienza dell'astratto", dev'essere bandita; bisogna sostituirla con la "scienza del fatto", quella dei fenomeni e dei loro rapporti positivi, per individuarne le "leggi", cioè quei principi che unificano i vari fatti. Ma mentre il fatto è immodificabile, le leggi sono "umane", frutto del lavoro dell'uomo; perciò il processo conoscitivo è sempre "aperto" perché le leggi sono sempre provvisorie e modificabili se i fatti, nell'ulteriore fase della conoscenza, ne mostrano l'inadeguatezza.

La conoscenza, che ha inizio con la distinzione tra io e non io e che procede con ulteriori distinzioni nelle varie scienze, trova il punto culmine nella filosofia, che ha il compito di coordinare logicamente, in un insieme, i dati scientifici; coordinazione strutturata sul principio dell'evoluzione. Non sono gl'ideali, ma le sensazioni, dunque, la materia prima della filosofia. Essa è sempre scienza che si fonda su dati psichici. Inoltre è comprensiva di scienze speciali e di una scienza generale. Le scienze speciali sono la psicologia e la sociologia. La psicologia studia i fatti psichici dal punto di vista del soggetto individuale, e si suddivide quindi in logica, gnostica (o gnoseologia, teoria della conoscenza), e estetica; la sociologia invece studia i fatti di coscienza dal punto di vista del rapporto sociale, e si suddivide in etica, diceica (scienza della giustizia) ed economia.

La scienza generale, o peratologia, ha per contenuto ciò che è al di là dei campi delle scienze speciali, cioè ciò che si trova al limite estremo (péras, in greco, significa "limite"; di qui la definizione "peratologia") a cui si giunge con le scienze particolari; cioè quell'indistinto, reale, assoluto, che sta alla base di tutti i processi di distinzione e al fondo di tutti i campi d'indagine scientifica; si tratta insomma della realtà in sé, che è ignota.

La prospettiva soggettivistica non sembra, però, sostenere il discorso condotto da Ardigò nell'opera La formazione naturale nel fatto del sistema solare. La ricostruzione evoluzionistica della formazione del sistema solare non è, per Ardigò, una pura ricostruzione mentale dei fatti; la legge dell'evoluzione è legge generale della realtà, di tutta la realtà.

Tale legge dà credibilità scientifica, a giudizio del filosofo all'ipotesi di Kant e Laplace, che egli dunque ripresenta in forma nuova non solo terminologicamente, ma anche concettualmente. Il sistema solare è il frutto di un processo oggettivo di distinzione, di un passaggio dall'indistinto al distinto analogo a quello che avviene nell'attività conoscitiva.

L'essere primitivo del sistema solare non era che una nebulosità, a contorni indefiniti, riempente in modo continuato con la sua materialità molto diradata ed incoerente tutto quanto il suo campo nel cielo. Quindi il suo essere attuale è una formazione ottenuta mediante la distinzione. La distinzione in esso operatasi vi ha determinato una specialità di essere. Precisamente come le distinzioni che si operano nello stato embriologico di un mammifero fanno sí che esso, alla fine, di un semplice uovo che era, riesce un animale e acquista i caratteri che gli assegnano un posto nella classificazione scientifica dell'ordine zoologico.

(La formazione naturale nel fatto del sistema solare)

Questo processo reale dall'indistinto al distinto (da non confondersi, ricorda Ardigò, con quello spenceriano dall'omogeneo all'eterogeneo) si verifica in ogni ordine e grado della realtà, dal cosmo fisico ai viventi, fino al pensiero umano.

Ogni forma naturale è dunque un distinto; ma transitorio e relativo; è un "distinto" relativamente alla realtà che la precede e da cui è originata, ma è un "indistinto" rispetto a quella che la segue, e di cui è origine.

Nel suo evolversi, pertanto, la realtà costituisce un ordine continuamente rinnovantesi, perché il processo di evoluzione, per distinzione, è infinito, continuo, progressivo, generatore d'infinite varietà di forme, di regolarità di rapporti di successione, di equilibri nei rapporti di coesistenza. Ma non è, avverte Ardigò, un processo né finalistico né fatalistico, in quanto in esso concorrono, in perfetta reciprocità, sia l'"ordine" che il "caso". Quindi gli esiti futuri del processo non sono né preordinati né prevedibili. Inoltre, il procedimento di evoluzione è totalmente proprio della realtà e intrinseco ad essa; pertanto, dev'essere esclusa ogni ipotesi creazionistica e provvidenzialistica.

La Natura, dunque, vista nel suo insieme, è una totalità dinamica di distinti. Ma questi emergono da una realtà indistinta. Pertanto la stessa totalità naturale, considerata nella sua realtà intrinseca, è la totalità infinita dell'essere indistinto; è l'indistinto originario da cui sorgono le forme finite degli enti. Tale indistinto, in quanto originario, è assoluto e quindi inspiegabile; ciò tuttavia non esclude, sostiene Ardigò, che possa essere appunto "pensato" filosoficamente come ciò che sta al limite delle forme finite, e in quanto tale è oggetto della "peratologia".

La legge dell'evoluzione governa anche la storia, che è diretta, nel suo cammino, verso una "società universale degli uomini". Ardigò guarda quindi con simpatia all'"internazionalismo" e alla "democrazia" come momenti rilevanti per la genesi di quella società; ma il suo discorso, condotto ne La morale dei positivisti, si mantiene equidistante sia dalle ideologie conservatrici, sia dal socialismo e dal materialismo storico; anzi, contro quest'ultimo egli non risparmia critiche banali e, talvolta, malevoli.

Contro coloro che sostenevano l'impossibilità di un'etica positivistica, Ardigò tenta di dimostrare il contrario, ancorando l'etica alla sociologia. L'apparato cerebrale dell'uomo produce le idee che sollecitano la volontà e determinano quindi l'attività fisica, cioè il movimento del corpo. Dunque l'uomo è "autonomo" nel comportamento. Tuttavia la sua vita mentale si svolge nel rapporto con gli altri uomini, cioè in un ambiente socio-culturale che "educa" l'individuo, ossia ne condiziona il comportamento. Da questo punto di vista, allora, non esiste il libero arbitrio assoluto, in quanto anche le idee sono condizionate dal rapporto sociale. Ma l'essere umano, comparato agli altri esseri naturali, si rivela dotato di un'"autonomia" naturale maggiore che, ad esempio, nelle bestie; l'uomo è da intendersi, allora, "libero" nell'ambito della sua propria autonomia naturale, con cui ha la possibilità di agire sulla realtà modificandola secondo il suo progetto; a tal fine, infatti, egli può controllare le passioni brute, acquistare abilità tecniche, eccetera. In virtú di questo tipo di "autonomia", di questo tipo di "libertà", sconosciuta agli altri esseri naturali, egli è responsabile delle sue azioni. Questa responsabilità, poi, dà carattere morale all'azione dell'individuo nei rapporti con gli altri; rapporti necessari perché rispondenti al suo bisogno di socialità.

La "convivenza sociale", infatti, è un bisogno specifico dell'uomo; è un "fatto naturale", cioè non deriva dal volere di un Dio, né è una scelta convenzionale, totalmente arbitraria. Questo bisogno si traduce in atti concreti determinati sulla base di "idealità morali"; ma le idee sono "sociali", non solo perché sono destinate alla vita sociale, ma perché nascono, come s'è detto, nella società e acquistano configurazione in un determinato ambiente sociale.

Quindi queste idealità non sono "eterne", ma sono sempre storicamente definite e sono specifiche in ogni epoca della storia dell'uomo. Sicché tutto ciò che l'uomo, in un dato luogo e in un dato tempo, pensa come valore e come virtú, è ciò che la società in cui egli vive designa come tali; insomma l'individuo interiorizza, traducendole in comandi etici, le norme sociali corrispondenti ai bisogni concreti della convivenza nella "sua" società. Il comportamento etico dell'individuo quindi ha luogo quando egli sceglie, nell'ambito della sua autonomia naturale, gli atti corrispondenti a quei comandi etico-sociali. È evidente che il comportamento morale si basa sempre su idealità antiegoistiche. Ma queste storicamente diventano sempre piú ricche, a mano a mano che si evolve la società. Sicché, conclude Ardigò, la morale contenuta nel messaggio evangelico può ritenersi grosso modo adeguata al livello di civiltà acquisito finora; purché la si spogli del suo carattere "divino" ed "eterno", e non si creda che non sia ulteriormente modificabile.