Fidanzamento tempo di grazia

spazio di educazione alla fede

e dell’iniziazione al sacramento del matrimonio

p. Moyses Martinez Peque

 

Sono consapevole che trattare oggi il discorso del fidanzamento, e ancor più se a questo discorso si aggiunge l’aggettivo teologico, può creare una certa diffidenza in alcune persone. La mia esposizione sul fidanzamento intende situarsi dentro la necessità attuale di prendere di nuovo in mano la questione dell’effettiva utilità della teologia nel suo doppio aspetto di servire la missione della Chiesa e di essere utile per la stessa vita di fede. In questo modo, la riflessione teologica potrà inserirsi nel cuore della cultura di fine millennio e non occuparne una parte marginale, a volte come conseguenza di un complesso di inferiorità del pensiero cristiano davanti alla postmodernità.

Senza perdere mai di vista il contesto culturale in cui si annuncia la realtà specificamente cristiana, né sacrificare la totalità del messaggio cristiano a ciò che riguarda il matrimonio e la tappa (o tappe) che lo precede, mi sforzerò di far sì che la impostazione teologica del fidanzamento possa mediare culturalmente la fede e il suo contenuto e esprimere in modo credente la cultura.

Il tema del fidanzamento fa parte centrale della sfida attuale della Chiesa per una nuova evangelizzazione e questo già ci obbliga a ripensare le strutture stesse della pastorale prematrimoniale, così come la teologia medesima del matrimonio. Partendo da tale convinzione e tenendo presente quanto detto precedentemente sul contesto culturale in cui è chiamata ad incarnarsi la totalità del messaggio cristiano, certamente il discorso sul fidanzamento sarà credibile nella misura in cui arrivi fino alle radici dell’essere e nella misura in cui muove l’uomo ad esercitare la sua capacità di esplorare l’assoluto. Con ciò, la riflessione teologica non esce dal suo proprio orizzonte, che è quello di riflettere ed indagare sulla verità dell’uomo, tenendo sempre presente che la fede difende una verità che non è umana ma incarnata.

Questi sono i presupposti basilari da cui parto e che sono la chiave ermeneutica nel tentativo di dare fondamento ad uno "stato" ecclesiale del fidanzamento. Credo che questa impostazione di fondo consentirà di sottolineare la specificità della realtà socio-culturale ed ecclesiale nella quale ci troviamo oggi e alla quale è diretto il messaggio cristiano per coloro che stanno vivendo la tappa umana e cristiana del fidanzamento. Consentirà inoltre di evitare il rischio di perdere il contatto con l’uomo attuale, e nello stesso tempo di perpetuare la frattura fra tre dimensioni della nostra fede, in se stesse essenzialmente interdipendenti: la teologia, la pastorale e la liturgia. Infatti, senza una teologia prematrimoniale e matrimoniale (che è eminentemente ecclesiale), la pastorale rischia di ridursi ad una semplice, o complicata, burocrazia "del sacro"; così come, senza una pastorale, la teologia corre il rischio di essere concepita come pura astrazione speculativa. E la liturgia, a sua volta, se non sa riflettere tutta la ricchezza teologica, né divenire punto fondamentale di riferimento per la pastorale, rischia di convertirsi in una fredda scenografia, per quanto ricca di riti, gesti e parole.

So che l’impegno che mi propongo è grande e difficile da eseguire nello spazio di tempo che ho a disposizione. Ad ogni modo, ciò potrà essere superato con il dibattito che seguirà in sala. In fondo, il mio desiderio è quello che, contando sulla vostra pazienza nell’ascoltarmi ora, le mie parole possano portare tutti - Chiesa come siamo - ad una riflessione profonda e dettagliata sulla ricchezza umana e cristiana che ha in sé il tempo del fidanzamento. La Chiesa e la società si giocano molto in questo periodo, senza dimenticare che quelli che più si giocano sono gli stessi fidanzati, giacché si tratta di un periodo che potrebbe definirsi come il laboratorio della loro futura felicità e realizzazione personale.

I. Il fidanzamento e il matrimonio nel contesto religioso e socio-culturale degli ultimi trent’anni

Gli studiosi che si occupano del matrimonio e della famiglia, soprattutto i sociologi, concordano nel segnalare che negli anni Sessanta si produce un cambio culturale che è la radice dell’attuale situazione della famiglia. Però è pure negli anni Sessanta che la Chiesa ha vissuto un’esperienza fondamentale, alla luce della quale deve confrontarsi qualsiasi riflessione cristiana attuale: il Concilio Vaticano II e la coscienza di Chiesa che in esso ritroviamo.

I.1 La Chiesa del Concilio vaticano II

L’obiettivo principale del Concilio, come segnalò Giovanni XXIII nel suo discorso di apertura, è stato quello di approfondire e presentare la fede cristiana in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo. Per ottenere tale obiettivo, il Vaticano II ha centrato in particolare la sua attenzione sul "mistero" della Chiesa stessa per poter così essere più fedele al suo Fondatore e promuoverne il rinnovamento. Una Chiesa, la cui preistoria si perde nel tempo della volontà del Padre che creò il mondo perché l’uomo partecipasse della sua stessa vita divina. Un progetto che si fa storia, arrivando al suo vertice con l’invio di suo Figlio e che oggi continua con la presenza e azione dello Spirito Santo inviato a Pentecoste perché il Popolo della Nuova Alleanza abbia accesso al Padre per Cristo (LG. 2-4).

Così si sottolinea che la Chiesa è inserita nella storia e che la sua origine e il suo fondamento stanno in Dio. Non si può parlare della Chiesa se non partendo dal piano di salvezza che il Padre ha prefissato per noi e realizzato mediante l’Incarnazione e il Mistero Pasquale del suo Figlio e la missione dello Spirito Santo. Nessuno deve meravigliarsi, perciò, che la Lumen Gentium non inizi con una definizione ma con l’affermazione di un avvenimento della storia. È quanto professiamo anche nel Credo con la sua struttura triadica.

Questo modo di concepire se stessa ha portato la Chiesa a considerarsi come il Popolo di Dio in cammino; un popolo sacerdotale che realizza la sua consacrazione e santità, e che manifesta la sua propria identità mediante la celebrazione dei sacramenti. Un Popolo che testimonia la sua unione a Cristo mediante lo spirito di fede della comunità e l’effusione multiforme dei doni dello Spirito (Cf. LG. cap. II).

Un’altra conseguenza del modo con cui la Chiesa si concepisce ha portato a sottolineare l’identità e il ruolo dei laici all’interno di questo Popolo di Dio. È la prima volta nella storia che un Concilio consacra un intero capitolo ai laici (Cf. LG, cap. IV), che pure costituiscono la maggior parte del Popolo di Dio. Nel pensiero ecclesiologico era prevalsa per molto tempo l’idea che il laico era obbligato, soprattutto, ad una obbedienza sotto tutela. E quando si faceva appello ai laici, normalmente erano definiti in termini di sostituzione e di sussidiarietà rispetto al clero. Con il Vaticano II, il laico trova il suo luogo specifico nella Chiesa e prende coscienza della sua responsabilità personale dentro e davanti alla comunità cristiana.1

La nuova prospettiva ecclesiologica del Vaticano II si può sintetizzare con le parole della Lumen Gentium (32 passim): "Uno è il Popolo eletto di Dio: un solo Corpo e un solo Spirito, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo; comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione, una sola salvezza, una sola speranza e indivisa carità. Tutti sono chiamati alla santità. Esiste una vera uguaglianza fra tutti riguardo alla dignità e all’azione comune per la edificazione del Corpo di Cristo. Nella diversità, tutti danno testimonianza della mirabile unità nel Corpo di Cristo, poiché la stessa diversità di grazie, di ministeri e di funzioni raccoglie nell’unità i figli di Dio, perché tutte queste cose sono opera dell’unico e medesimo Spirito".

Però il Vaticano II non si è limitato ad illustrare la natura e missione universale della Chiesa (LG. 1), ma ha inteso presentarla ai fedeli e al mondo mettendo in risalto le sue attitudini principali e fondamentali: la Chiesa che cammina alla luce dell’ascolto della Parola di Dio, con la quale Egli rivela se stesso e manifesta il mistero della sua volontà (DV), la Chiesa che prega e celebra la sua fede come popolo sacerdotale (SC), la Chiesa che annuncia il Vangelo della salvezza (AG), la Chiesa che offre al mondo la ricchezza del pensiero rivelato per aiutarlo a risolvere gli enigmi e i problemi che lo assalgono, divenendo, così, solidale con il genere umano e con la sua storia (GS). Il resto dei documenti non è che una specificazione di questa vasta tematica, che può essere sintetizzata in questo schema:

DV AG LG GS SC

Perché "Chiesa", tutti i battezzati sono chiamati a vivere il mistero e la missione della Chiesa e a far proprie le attitudini fondamentali che la caratterizzano: l’ascolto, la risposta e la celebrazione, l’annuncio e la solidarietà nella carità. Queste attitudini, di conseguenza, devono essere sempre presenti in ogni riflessione sul fidanzamento, il matrimonio e la famiglia come "chiesa domestica".

Una simile idea di Chiesa creò la necessità di rivedere e rinnovare la celebrazione dei sacramenti (SC 50-82) e portò con sé, una nuova sensibilità e valorizzazione del MATRIMONIO cristiano. In una visione personalistica, si sottolinea "la relazione interpersonale dei coniugi come comunità di vita e di amore" (con la considerazione positiva della sessualità), fondata sull’alleanza dei due coniugi nel quadro di una istituzione voluta da Dio. Inoltre, ricorrendo alla Scrittura come fonte principale, ha favorito una concezione del sacramento del matrimonio in ordine alla realizzazione della storia della salvezza e nell’ambito della comunità ecclesiale. Così il matrimonio è presentato come il luogo dell’esperienza dell’amore umano in tutta la sua ricchezza e dinamicità, assunta e trasformata dall’amore divino manifestato in Cristo e effuso nel mondo dallo Spirito Santo. È presentato il matrimonio come una vocazione propria, come uno stato di vita, e con una sua missione nella Chiesa, possedendo esso un carisma, un dono proprio dello Spirito per la propria santificazione, per la edificazione della Chiesa e per la testimonianza dei valori del Regno nella società.2

Il Vaticano II accenna appena al FIDANZAMENTO / FIDANZATI. In GS 49 si invitano i fidanzati a nutrirsi della Parola di Dio per potenziare il loro fidanzamento, così come si domanda che i giovani siano adeguatamente istruiti, soprattutto in seno alla propria famiglia, sulla dignità dell’amore coniugale, sulla sua funzione e le sue espressioni. GS 52 ritorna all’idea che sono i genitori le migliori guide nel discernimento e responsabilità della specifica vocazione dei loro figli. AA 11, nello stesso momento in cui esorta che "i coniugi aiutino con prudenza nella scelta della vocazione della prole", ricorda anche che "fra le molte opere di apostolato familiare esiste quella di aiutare i fidanzati a prepararsi nel modo migliore al matrimonio".

A distanza di tre decenni, ci piacerebbe riscontrare che è stato dedicato più spazio al matrimonio e al periodo che lo precede, il fidanzamento. Senza entrare nelle ragioni che hanno potuto influire su questo fatto, credo che non sia esagerato pensare che se oggi si celebrasse il Vaticano II si darebbe molto più spazio al tema di cui ci stiamo occupando. Di fatto già qualche padre conciliare alzò la voce durante il Concilio per ricordare che si concedesse allo stato matrimoniale un trattamento simile a quello concesso agli altri stati della Chiesa (episcopato, presbiterato, diaconato e stato religioso).3

 

I.2 Matrimonio e Società

Il Concilio già percepiva, in certo modo, la realtà che oggi viviamo. Di fatto, parlando del matrimonio e della famiglia, constata il fenomeno della "poligamia, la piaga dei divorzi, il cosiddetto libero amore ed altre deformazioni..., l’aborto (...). Inoltre, le moderne condizioni economiche, socio-psicologiche e civili perturbano la vita familiare" (GS 47). E, per quello che si riferisce alla società attuale, traccia una visione caratterizzata da profonde trasformazioni, non sempre esenti da contraddizioni, le quali creano molte speranze ma, allo stesso tempo, anche molte angustie all’uomo contemporaneo (GS 4-10).

La vita religiosa non si libera da questo influsso delle nuove situazioni: "Se da una parte un più acuto senso critico purifica la vita religiosa, portando molti ad un’adesione più personale ed attiva alla fede, dall’altra, moltitudini sempre più numerose praticamente si allontanano dalla religione. A differenza dei tempi passati, negare Dio o la religione, o semplicemente prescindere da loro, non è più un fatto insolito ed individuale. In realtà oggi non è raro constatare che tale atteggiamento si presenti come esigenza del progresso scientifico e di un certo nuovo umanesimo. Tutto questo si fa sempre più generale, provocando in molti il disorientamento" (GS 7).

Quest’analisi del matrimonio e della società contemporanea fatta dal Vaticano II è ancora attuale; solamente si è accentuata in certi aspetti.

Non mi fermerò sugli argomenti riguardanti la famiglia poiché il prof. Prandini si è occupato di questo nella sua relazione al Convegno di Loreto dello scorso mese di aprile: "Le relazioni tra giovani e famiglia: aspetti culturali e strutturali di una nuova fenomenologia sociale". Solo vorrei ricordare alcuni aspetti che considero significativi per comprendere l’importanza del servizio della Chiesa quando si interessa delle persone che pensano di formare una famiglia, facendo anche risaltare che la Chiesa è l’unica istituzione che si preoccupa della preparazione al matrimonio.

Più che una crisi della famiglia, ciò a cui oggi assistiamo è una crisi della coppia. Si realizza una destabilizzazione dell’istituzione del matrimonio ora quasi per inerzia, così come c’è una paura del definitivo; la famiglia, destabilizzata, rimane "appesa" solo all’amore-sentimento con l’incertezza di una successione senza fine di coniugalità potenziali. È cambiata la concezione del tempo: ora quello che conta è il presente, la famiglia è situata non dentro ad un quadro di una vita ma di storie successive; ciò porta ad una "leggerezza dell’essere" e spiega l’attuale concezione e i modelli di famiglie.4 Il desiderio di felicità e i diversi modi di immaginarsela spiegano anche i diversi modelli familiari, connotati da mancanza di riferimenti decisivi (al contrario di quanto succedeva nel passato), e questo porta ad un sentimento di nostalgia, quando non di angustia e, allo stesso tempo, ad un futuro incerto della famiglia.5

In altre parole, il problema familiare si converte a volte in problema di identità, per cui ci troviamo in un campo propizio per le psi (cologie, chiatrie, coterapie, ecc.). E per ciò che si riferisce alle famiglie ricostituite, si studiano gli stadi ed i periodi delle loro ricomposizioni, non tanto come periodi produttori di patologie, quanto rivelatori di una crisi antropologica: si pongono interrogativi su ciò che è più essenziale (chi è mio padre, madre, figlio, figlia, ecc.? Il biologico/a con cui sto condividendo la mia vita quotidiana?)6

Tutto ciò, per altro, non dovrebbe portarci al "catastrofismo"; piuttosto si potrebbe parlare di "luci ed ombre" nella concezione del matrimonio cristiano (Cf. FC 4-10), anche se queste ultime si accentuano ogni giorno sempre più. Allo stesso modo, credo che sia molto pericoloso cadere in un "facile ottimismo", fondato sul fatto che sono ancora moltissime le persone che non sono disposte a rinunciare alla fede, almeno come orizzonte ultimo della propria esistenza.

È vero che in una società fortemente secolarizzata assistiamo ad un "ritorno al religioso", soprattutto dopo la fine della "epoca delle ideologie". Però questo fenomeno non dovrebbe spingerci ad identificare una certa necessità di spiritualità o del sacro con lo specifico cristiano. Il professore di sociologia della religione Schlegel ha sintetizzato molto bene questa situazione con il titolo del suo libro Religioni alla lettera.7 Davanti al bisogno di incontrare un luogo esistenziale nella società, proliferano le sette e conosce un grande successo la spiritualità orientale (induismo, buddismo o taoismo). Appare sempre più con maggior forza la religiosità terapeutica: movimenti e sette basati sull’attenzione al corpo e allo spirito (chiesa della scientologia, ecc.). Con questo stesso obiettivo appaiono i temi della New Age, con credenze e pratiche riservate ad individui desiderosi della realizzazione personale; tutto mescolato con tecniche psicologiche o psicoterapeutiche, che si rifanno a fonti psicospirituali dell’occidente e dell’oriente. In poche parole, oggi la scelta di "vie" possibili ed accessibili per andare più lontano nell’"essere" (attraverso saggezze di tipo religioso e spiritualità) è innumerevole nel mercato. Però, quello che più ci deve preoccupare è quanto il citato Schlegel afferma: l’ignoranza religiosa riguardo al cristianesimo e una mancanza di esperienza di una concreta spiritualità cristiana spiegano in parte questi fenomeni! È un dato che non può essere dimenticato quando si parla del fidanzamento cristiano.

Si può dire che dopo 30 anni arriviamo alla stessa conclusione a cui è arrivato il Vaticano II rispetto alla società in cui la realtà matrimoniale è vissuta: l’ambiguità e a volte la contraddizione; da una parte si constata la crisi dell’istituzione matrimoniale e familiare e, allo stesso tempo, tutte le inchieste segnalano la famiglia come primo valore; si nota una scristianizzazione della società8 ma, allo stesso tempo, si sente un grande bisogno del religioso e del sacro.

Stiamo vivendo, pertanto, in un periodo in cui perfino la speranza sembra, a volte, svanire; tuttavia è il nostro mondo, con tanti valori positivi, che dobbiamo amare. È un tempo di grazia, un autentico kairós, per comprendere, annunciare e realizzare il Vangelo dell’amore e della vita. È un’opportunità unica, un autentico dono della provvidenza, per poter sperimentare che Cristo è colui che può restituire l’uomo alla sua pienezza di verità e di libertà. Senza voler essere ingenuo, credo che l’epoca presente sia un appello dello Spirito alla sua Chiesa per iniziare l’aurora di una nuova era cristiana, nella quale possa passare da una fede infantile ad una coscienza adulta. E un momento privilegiato per tutto questo è l’esperienza d’amore che vivono i fidanzati. Un’esperienza che riguarda la persona nella sua avventura più centrale ed antica della storia: la ricerca della sua realizzazione personale mediante l’incontro con l’altro/a e la trasmissione della vita.

Non vorrei che quanto detto finora fosse considerato come una lunga introduzione al nostro tema, mentre ne forma parte integrante. Senza una coscienza ecclesiologica (conciliare) e del contesto religioso e socio-culturale, non si può capire il valore e il contenuto del fidanzamento né del matrimonio cristiano. Lo stesso Concilio e la Familiaris Consortio ce lo ricordano9.

 

II. Crescente sensibilità della Chiesa nei confronti del fidanzamento

Come già è stato segnalato, il Vaticano II non dedica molto spazio a questo tema, però sorprende che il rituale postconciliare del matrimonio (= OCM 69) non si occupi, se non in modo sbrigativo, della preparazione al matrimonio10. Lacuna questa che hanno pensato di risolvere le diverse Conferenze Episcopali. Io mi riferirò a quella italiana.

Già nel 1969, nel documento Matrimonio e famiglia oggi in Italia, il magistero dei Vescovi suggeriva per i fidanzati "una forma di catecumenato per mezzo della quale potessero essere posti in luce adeguata le grandezze ed i valori, e allo stesso tempo gli obblighi della vita cristiana del matrimonio e del nuovo stato di vita" (n. 17). Si è trattato, purtroppo, di una indicazione formulata in forma piuttosto vaga. Mancavano idee chiare ed esperienze vive per dare sviluppo a concrete esperienze pastorali.

Due fatti, tuttavia, poco tempo dopo, hanno portato alla chiarificazione e ad un impegno più preciso in questo campo: la pubblicazione nel 1972 del Ordo Initiationis Christianae Adultorum11 (che prevede l’apertura del cammino segnalato anche per persone già battezzate, come quelli che si preparano al matrimonio, divenendo così una "forma tipo" di itinerari catecumenali) e la diffusione del documento pastorale della CEI Evangelizzazione e sacramenti del 1973. Da questi due testi si coglie la necessità urgente di una preparazione catechetica in forma di catecumenato ai sacramenti e ne vengono precisati ancor più natura, componenti, modalità e obiettivi12.

Il documento del 1975, Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, si fa eco di questo, applicando, almeno in parte, al matrimonio l’importanza e i principi dell’iniziazione cristiana, dando un valore capitale agli itinerari catecumenali. "La preparazione al sacramento può sviluppare i suoi momenti essenziali di annuncio e ascolto della Parola di Dio, di partecipazione alla liturgia e alla preghiera della Chiesa, ecc., in molti modi, però fra questi emerge l’esperienza degli itinerari catecumenali" (n. 78). Si ricorda che nel significato e nei momenti dell’itinerario catecumenale "si tratta di una progressiva esperienza di vita di fede, intimamente unita e sostenuta dai sacramenti dell’iniziazione cristiana" (n. 79). Quindi, "la realizzazione dell’itinerario catecumenale non può effettuarsi se non nel contesto concreto di una comunità cristiana che professi la fede, la celebri nel culto e la esprima nella vita. Per questo, per proporre e guidare l’esperienza catecumenale non sarà normalmente sufficiente la sola presenza del sacerdote" (n. 80). "L’itinerario catecumenale non è solo una forma privilegiata della preparazione al sacramento, ma risponde anche alle esigenze dell’attuale situazione pastorale. Non pochi battezzati, che accedono al matrimonio, spesso domandano il sacramento più per tradizione che non per vera decisione di fede, altri, al contrario, davanti ad un avvenimento così importante sentono la necessità di approfondire la fede ed il senso della loro appartenenza alla Chiesa" (n. 81). Ci viene ricordato anche che: "Sia i corsi per fidanzati sia i colloqui pastorali devono ispirarsi al metodo e ai contenuti dell’itinerario catecumenale" (n. 82). Questo documento, quindi, opta chiaramente e fortemente per l’itinerario catecumenale.

Dopo tale documento, non ci sorprende che la FC 66 parli della preparazione al matrimonio come un processo graduale e continuo che comporta i tre momenti principali della preparazione: remota, prossima ed immediata13. E che quando si parla della prossima, parli della necessità di concepirla "come un cammino catecumenale". Però, ritornando alla CEI, il documento dell’81 sulla Comunione e comunità nella chiesa domestica va ancor più in là, lasciando intravedere che gli itinerari catecumenali per i fidanzati potrebbero sostituire i tradizionali "corsi per matrimoni", all’interno di una pastorale familiare e matrimoniale organica e permanente: "... i tradizionali corsi di preparazione per il matrimonio devono convertirsi, in un modo sempre più completo, in una proposta di itinerari di fede e, pertanto, di vita cristiana viva, capace di coinvolgere i giovani dal periodo dopo la confermazione fino al fidanzamento e durante lo stesso fidanzamento" (n. 26).

Infine, il Direttorio di Pastorale Familiare del 93, in base alla situazione attuale e, considerando che il fidanzamento è un periodo di grazia, ci ricorda con chiarezza che la "pastorale prematrimoniale si trova ad una svolta storica ...: o rinnovarsi profondamente, o trasformarsi in una realtà ininfluente e marginale" (n.40). È un’affermazione forte, che comporta un cambio autentico, affinché l’itinerario di fede durante il fidanzamento sia una vera realtà, coinvolgendo le comunità cristiane e i diversi stati di vita della Chiesa. Molte delle affermazioni che troviamo nel suddetto documento non possono ridursi a lettera scritta, ma devono portarci ad una coscienza e ad un’azione chiara. Basta ricordare che "il fidanzamento è un tempo di formazione caratterizzato da una sua propria spiritualità, un momento privilegiato di crescita nella fede, di preghiera e di partecipazione alla vita liturgica della Chiesa" (n. 43). "L’attenzione al fidanzamento è un compito che riguarda ed interpella tutta la comunità cristiana e, in particolare, tutta la parrocchia" (n. 44). Dato che si tratta di "una vocazione, può essere molto utile ed opportuno che, durante il periodo del fidanzamento, si realizzino incontri con coppie che vivono effettivamente la vita coniugale come autentica vocazione; momenti che rendono possibile conoscersi, confrontarsi e dialogare con coetanei che stanno facendo un cammino di preparazione al sacerdozio o alla vita religiosa, o con persone che già vivono il loro amore nella consacrazione verginale" (n. 45). La forma più idonea di preparazione al matrimonio sono gli itinerari di fede: "Questa forma non solo è da privilegiare, ma deve altresì trasformarsi sempre di più nella "norma" del cammino di preparazione al matrimonio, come obiettivo concreto, anche se comunitario e graduale" (n. 53). Per questo obiettivo bisogna fare tutto il possibile perché "ogni comunità parrocchiale sia in grado di offrire gli itinerari di fede. Si tratta di un compito che fa parte dell’unica missione di salvezza della Chiesa e che chiama in causa la parrocchia come soggetto pastorale immediato e concreto. Superando la tentazione o abitudine della "delega", a livello di parrocchia particolare o, quando ciò non fosse possibile, a livello interparrocchiale, si prepari durante l’anno un determinato numero di itinerari di preparazione" (n. 56). Dato che "sono itinerari di fede, non si riducano gli incontri a cicli di lezioni o conferenze: che li porti ad un’esperienza di fede e di vita ecclesiale" (n. 59). Molto importante in tutto ciò è l’uniformità: "Che si segua una prassi unitaria nel territorio della diocesi" (n. 62). In conclusione la sfida è lanciata.

 

III. Il fidanzamento in un itinerario di fede, mezzo di esperienza e di espressione di uno status ecclesiale

Arrivati a questo punto, ci sono tutte le premesse per definire le tappe salienti dell’itinerario. Già alcuni autori, come gli italiani Brandolini e Rocchetta, si sono mossi in questa linea, proponendo un eventuale itinerario "catecumenale" in base alle tappe proposte per il RICA.14 Il RICA servirà pure da sfondo nella mia esposizione15, però prima vorrei fare alcune precisazioni.

Non si intende creare sovrastrutture e, meno ancora, copiare una struttura del passato. Si tratta di disegnare un quadro generale che possa suscitare uno spirito e una mentalità nuova, che possa tradursi in diverse forme di applicazioni, secondo le diverse circostanze di luogo e di persona. Un cammino fatto in e con la Chiesa in cui al primo posto stanno l’esperienza, i contenuti e le forme precise di un nuovo tipo di accompagnamento dei fidanzati nel discernimento e approfondimento della loro vocazione di coppia. Un itinerario che conduca un’esperienza di fede specificamente cristiana e che non si riduca ad un indottrinamento o alfabetizzazione religiosa.

È vero che non mancano risultati positivi nell’esperienza dei "corsi per fidanzati o di preparazione al matrimonio", così come pure sono degni di tutto elogio tanti operatori pastorali che partecipano a questi corsi con gran senso di servizio e di abnegazione. Però, nella maggior parte dei casi, i risultati sembrano insoddisfacenti: se la maggior parte di coloro che chiedono di sposarsi era lontana dalla vita della Chiesa, dopo il matrimonio continuano ad essere maggioranza coloro che si mantengono nello stesso atteggiamento. In realtà, l’istruzione o catechesi, come trasmissione di verità, non è identificabile con un itinerario di fede. Pertanto, quando è utilizzato il termine itinerario, cammino, o altri simili, non è l’equivalente ai "corsi per fidanzati", neppure alla preparazione immediata al matrimonio.

Si sente la necessità di una trasformazione radicale, nelle forme e nei contenuti, della preparazione al matrimonio, che renda possibile raggiungere i fini della scoperta o della crescita della fede. E per ottenere questo, lo strumento più idoneo sono gli itinerari in cui coesistono inseparabilmente catechesi, liturgia, esperienza di comunità cristiana e impegno fraterno in una comunione viva di esperienze. Il modo ideale per realizzare ciò sarebbe la creazione di gruppi, accompagnati e guidati da persone mature che esprimano la comunità e che ad essa stiano strettamente unite, in modo che questa diaconia sia compresa all’interno e nel nome della comunità parrocchiale.

Tenendo presente tutto ciò, cercherò di delineare le tappe più salienti di un itinerario di fede da percorrere con i fidanzati16, senza pretendere, con questo, di dare ricette assolute.

 

III.1 Accoglienza

La celebrazione dei quattro momenti fondamentali della vita umana sembra essere di uso universale (la nascita, l’adolescenza, il matrimonio e la morte). Ciò può spiegare un fatto che, a prima vista, ci può sorprendere: la quantità di domande rivolte alla Chiesa per riti di passaggio in una società fortemente secolarizzata. Certamente, le domande di sposarsi in Chiesa sono diminuite negli ultimi decenni, però il numero continua ad essere veramente grande se si confronta con il contenuto delle credenze manifestate da coloro che lo chiedono. Ciò significa che il rituale può essere valorizzato in se stesso, indipendentemente dalla fede che normalmente presuppone17.

Le motivazioni che possono spiegare questo fatto possono essere di tipo psicologico e sociale e, spesso, largamente incoscienti (una concezione della religione come tradizione - "si è sempre fatto così in famiglia" -; un sentimento del "sacro", della trascendenza, una motivazione religiosa come nostalgia del Dio dell’infanzia, ecc.). Naturalmente le cose, nella vita, non sono così semplici come queste esemplificazioni. Di fatto, nella maggior parte dei casi non si manifesteranno le proprie motivazioni in questi termini. Però, non bisogna dimenticare, e la psicanalisi ce lo ricorda, che il meno cosciente non sempre è il meno influente: perfino, a volte, coloro che sono più al margine della vita della Chiesa, sono quelli che dimostrano maggiore interesse (come un diritto incontestabile) nel voler celebrare il proprio matrimonio in Chiesa.

È importante tenere presente tutto questo affinché l’incontro non si trasformi in un dialogo di sordi. Gli operatori della pastorale, responsabili dell’accoglienza, devono preoccuparsi, in primo luogo, di decodificare la domanda dei loro interlocutori. Sarebbe disastroso precipitarsi subito sulle motivazioni di fede personale e di vita ecclesiale che implica, per la Chiesa, il sacramento del matrimonio18. Molto spesso, quelli che si avvicinano alla Chiesa per il loro futuro matrimonio lo fanno con un sentimento di insicurezza, già solo per il fatto di pensare che devono partecipare ad un incontro di "riflessione"; hanno paura di dover rispondere ad una specie di esame per il quale non si sentono preparati. A questo si aggiunge l’aver sentito dire che negli incontri bisogna parlare di Dio, del Vangelo, della Chiesa ed essi temono di non poter avere le parole adeguate per esprimersi in questo campo, con la corrispondente paura di cadere nel ridicolo. La cosa si complica ancor più quando arriva agli orecchi la notizia che si incontreranno non con un sacerdote (solamente), ma con dei laici: con un sacerdote è simbolicamente chiaro, però con un laico o un gruppo di laici?; e il loro codice religioso tradizionale crolla. Non deve meravigliare, quindi, che la prima reazione di questi sia di un relativo mutismo fino a una cortese aggressività. Bisogna precisare che qui si lascia da parte quel 20-30% di persone che domandano il sacramento del matrimonio "convinte", che hanno integrato relativamente bene i valori del Vaticano II e la cui domanda è motivata dalla fede. Però, sono gli altri coloro che obbligano la Chiesa a mettersi in discussione.

Mi soffermo su questo primo periodo o tappa dell’itinerario perché sarebbe un errore che gli operatori della pastorale la considerassero come una semplice appendice della loro missione, di cui il "serio" verrebbe dopo. Si tratta di una piattaforma missionaria fondamentale, chiamata a svilupparsi in maniera considerevole nei futuri decenni19. Nella nostra società, la perdita di punti di riferimento è tale, nei cattolici, che un numero crescente di loro sente la necessità di "riprendere posizione", ad un certo momento, e la preparazione al matrimonio darà loro l’occasione per questo. L’accoglienza che la Chiesa dà loro in tale circostanza è fondamentale, sia per la Chiesa stessa che per i fidanzati. Di fatto, la maggior parte di loro incontra lì una delle poche occasioni che sono loro offerte, lasciando un po’ da parte gli argomenti abituali di preoccupazione e di conversazione, per parlare e riflettere sulla questione del senso e così poter dare una forma più autenticamente umana e spirituale alle loro vite e all’esperienza del loro fidanzamento, vivendo questo come un autentico momento di grazia.

Tanto sul piano umano quanto su quello evangelico, è per gli operatori della pastorale una delle più alte responsabilità che devono affrontare, poiché si tratta di aiutare le persone a far sorgere, anche se in forma parziale, e partendo dalla verità propria degli stessi "richiedenti", la domanda su dove hanno messo il loro tesoro, perché lì sarà pure il loro cuore (Lc. 12,34). Partendo dalla situazione concreta dei condizionamenti e delle esperienze dei fidanzati, dal senso che loro danno alla loro vita e all’evento del loro amore specifico come coppia, è questione di dare una base alla identità propria del loro essere cristiani, senza escludere in partenza che si tratti di dover recuperare in molti casi i contenuti fondamentali della fede. È il punto di partenza di un primo annuncio evangelico incisivo e stimolante, un’evangelizzazione delle cose elementari della vita, escludendo ogni rigorismo e lassismo. Occorre evitare che, con il pretesto di mettersi al livello degli interlocutori, non si riesca a confrontarsi con il Vangelo; così come pure occorre evitare l’illusione di una fede pura che esiste solo nell’immaginazione.

È essenziale che il Vangelo sia presentato ed accolto com’è, una Buona Notizia capace di rispondere alle esigenze umane più profonde. Cercare di scoprire progressivamente che il Cristianesimo non è una serie di precetti, imposti all’uomo autoritariamente dall’esterno, ma bensì la rivelazione all’uomo di quello che lui è, della verità del suo essere. Che la sete di felicità, libertà e speranza si trova nel Dio rivelato in Gesù Cristo. La speranza del mondo e delle persone non risiede nel mondo, perché il senso del mondo non sta nel mondo stesso. È dall’alto che il mondo trova il suo senso e la sua speranza. In un certo senso, i fidanzati sono predisposti ad accogliere questo messaggio centrale del Cristianesimo. La profondità e la forza della loro stessa esperienza d’amore li aiuta a scoprire la dimensione trascendente dell’essere umano, in contrapposizione al tentativo (che spegne la speranza) di ridurre l’uomo a puro meccanicismo, a pura espressione di vitalismo biologico.

In conclusione, questa tappa di accoglienza si accentra su come aiutare queste persone ad aprire una via al Dio della Scrittura, a comprendere ed accogliere la Parola di Cristo come una Buona Notizia per loro oggi, e nella loro situazione concreta di fidanzati. Dopo la domanda ("che cercate?"), la Chiesa, mediante gli operatori della pastorale, intende suscitare una risposta ancora sotto forma di domanda ("Rabbi, dove vivi?"), non dando loro altra risposta che l’invito di un "venite e lo vedrete" (Gv. 1,38-39). Solo dopo che i fidanzati avranno maturato la loro decisione e disposizione a continuare nel cammino della fede, sarà il momento in cui si passerà ad una tappa successiva.

 

III.2 Benedizione dei fidanzati o rito degli sponsali

Questo termine non è specifico del Cristianesimo (dal latino "sponsalia") e ciò che con esso vogliamo esprimere non è da identificare con il suo significato in epoche passate.

Anticamente si distinguevano due tappe, separate nel tempo, nella costituzione e nella celebrazione del matrimonio. La prima, che i romani denominavano sponsali, dava origine ad un legame fra i promessi e i rispettivi parenti, considerandoli già "giuridicamente" come marito e moglie. La seconda era costituita dalla festa di nozze propriamente detta, con cui si dava inizio alla convivenza coniugale. Questa pratica era comune negli ambienti in cui si sviluppò il Cristianesimo: sia nell’Oriente biblico20 come in Roma, e posteriormente con i popoli germanici. La Chiesa primitiva non ha avuto difficoltà ad accettare questi costumi matrimoniali; quello che fece fu di viverli con lo spirito ed il significato propriamente cristiani.

Senza pretendere di entrare nei particolari21, credo tuttavia interessante mettere in risalto che, per ragioni socio-politiche, giuridiche e teologiche, nel secolo XI-XII iniziò un cambiamento radicale nella celebrazione matrimoniale in Occidente, con il denominato rito "ante faciem ecclesiae", non separando più nel tempo gli sponsali e le nozze. I gesti caratteristici degli sponsali (anello, unione delle mani, ecc.) ora sono fatti davanti al sacerdote all’entrata della Chiesa ("ante faciem ecclesiae"), passando immediatamente dopo, all’interno del tempio, per la celebrazione nuziale, generalmente con la messa. Questo tipo di celebrazione conoscerà la sua "consacrazione" nel rituale romano post tridentino, da cui dipende il nostro rituale attuale.

L’Oriente ha conosciuto un’evoluzione diversa. Oltre ad aver dato una maggiore connotazione liturgico-ecclesiale all’evento tipicamente familiare degli sponsali, con la partecipazione del sacerdote come liturgo, l’Oriente continuò ancora, per alcuni secoli, con l’abitudine di distinguere nel tempo le due tappe della celebrazione matrimoniale. E anche quando cominciò a celebrare i due riti nello stesso giorno, continuò a conservare la ricchezza e l’identità propria di entrambi, che sono ancora oggi pienamente distinti. Non è accaduto lo stesso in Occidente: si realizza una semplificazione della nuova e unica celebrazione liturgica, in cui assumono un significato coniugale elementi che erano tipici degli sponsali. Così si spiega come, ancor oggi, nel nostro rituale, il vincolo matrimoniale nasce dalla prima parte della celebrazione liturgica, che non è altro se non quella che nel rito "ante faciem ecclesiae" corrispondeva agli antichi sponsali. La terminologia usata dalle lingue latine si riflette pure nel linguaggio: dalla radice "sponsalia" derivano il sostantivo sposo/a e il verbo sposarsi.

Bisogna notare che i costumi "sponsali", nonostante le varie mutazioni subite nella Chiesa, si sono mantenuti molto radicati nei popoli. Cosa che non ci deve tanto meravigliare poiché, come già abbiamo visto, il matrimonio è sempre stato un momento fondamentale e decisivo nella vita delle persone e delle società; un autentico rito di passaggio. Nelle nostre società industrializzate, ogni giorno sempre più urbanizzate, il rito ufficiale del fidanzamento, che comportava impegni morali e sociali reciproci - anche se non definitivi - e che era il segno pubblico della decisione di sposarsi in un prossimo futuro, è andato poco a poco scomparendo. Davanti all’idea crescente che l’esperienza d’amore è una questione privata che interessa solo due persone, lo stesso termine fidanzamento non è più usato come in passato, esattamente per la sua connotazione simbolica di impegno serio e pubblico. Nonostante tutto, però, è ancora molto esteso nelle diverse società del mondo. Per questo il Codice di Diritto Canonico (CIC: canone 1062) contempla questi casi: "la promessa di matrimonio, chiamata fidanzamento (traduzione del testo originale in latino "sponsalia"), è regolata dal diritto particolare della Conferenza Episcopale, nel rispetto degli eventuali costumi e leggi civili". Continuando, precisa che per la Chiesa, da questa promessa non può derivare l’obbligo legale di contrarre il matrimonio, salvaguardando così la libertà del contraente per esprimere il consenso matrimoniale. Così si mette in evidenza, anche, che detto costume non ha il valore giuridico-matrimoniale che possedeva nel passato.

Questo excursus storico ha una finalità molto precisa: parlare di "sponsali" non dovrebbe significare una novità. È una terminologia che fa parte di una lunghissima tradizione nella storia del concetto del matrimonio cristiano. D’altra parte, il fatto che detta terminologia non sia univoca nel suo significato e contenuto, ci ricorda qualcosa di molto importante: è il contesto socio-culturale, religioso ed ecclesiologico ciò che definisce il ruolo ed il significato che gli sponsali possiedono, in vista della edificazione di una famiglia.

Nel rituale postconciliare del matrimonio (OCM 69) non appare nessuna celebrazione liturgica per i fidanzati. Tuttavia, qualche rituale particolare, come quello canadese di lingua francese, ha creduto opportuno arricchire il rituale stesso inserendovi il rito della benedizione dei fidanzati. Davanti all’evidenza che, nel cammino del fidanzamento, alcuni fidanzati sentivano l’esigenza di una celebrazione della Chiesa per un momento così fondamentale nella loro vita, in alcuni paesi, come la Francia, si è elaborato, dopo aver pubblicato anni prima il rituale del matrimonio, un rito per la benedizione dei fidanzati22. Così si evitava che, per esempio, ci si potesse imbattere in un libro che contenesse i rituali di diversi sacramenti, a cui si aggiungeva, come appendice, una serie di preghiere di benedizione (di un’immagine, di una casa, di un veicolo, ecc.), senza che ne apparisse alcuna per i fidanzati23. Possedere un appartamento o un veicolo è sicuramente una circostanza importante nella vita di una persona, però credo non si possa paragonare all’amore di due persone che iniziano insieme un progetto matrimoniale.

La Congregazione per il culto e i sacramenti ha posto rimedio a questa lacuna con la pubblicazione del Ordo benedictionum del 1984 (pubblicato in italiano nel 1992 come Benedizionale), in cui appare la benedizione dei fidanzati. Posteriormente, OCM 90 riprodurrà detta benedizione in una delle sue appendici. Anche se collocato in un’appendice e non si faccia alcun riferimento ad esso nei Praenotanda, il fatto di essere incluso nel rituale del matrimonio è un fatto che possiede grande significato simbolico: il rito della benedizione dei fidanzati ha il suo senso pieno quando esso è celebrato e vissuto a livello di fede; per questo costituisce un momento importante nell’approfondimento di quell’esperienza di fede che permetterà loro di celebrare il proprio matrimonio come un sacramento. Non si tratta di una benedizione in più, fra le tante altre che sono contemplate nel Benedizionale sopra segnalato. In questo senso, sorprende che sia il Direttorio della CEI, del 93, come il documento sulla Preparazione al sacramento del matrimonio, del Pontificio Consiglio per la Famiglia del 96, facciano riferimento alla benedizione dei fidanzati, citando il Benedizionale e non l’edizione tipica del rituale del matrimonio del 90. Ciò non aiuta a dare il rilievo che io credo si debba dare al suddetto rito nel quadro generale di un itinerario di fede24.

OCM 90 sottolinea il carattere familiare della celebrazione, riflettendo così la tradizione dei primi secoli; allo stesso tempo ricorda l’importanza di non confondere il significato di questa celebrazione con quella del matrimonio. Per favorire ciò, si dice testualmente che "mai si devono unire gli sponsali o la particolare benedizione dei fidanzati alla celebrazione della messa". Come è logico, il tema delle letture bibliche e della preghiera della Chiesa, per i fidanzati, è centrato sull’amore; tutto questo dentro un semplice, ma significativo, schema di celebrazione: riti iniziali, proclamazione della Parola, preghiere, preghiera di benedizione e conclusione del rito.

Dato che il rituale offre l’opportunità di poter essere adattato e tenendo presente che la liturgia dovrebbe offrire il miglior materiale per la pastorale, sarebbe da desiderare un accenno più esplicito al tema della vocazione e colmare la lacuna pneumatologica. Una delle caratteristiche della liturgia matrimoniale orientale è la abbondanza di citazioni di matrimoni biblici, che sono ricordati durante la celebrazione. E questo si incontra pure nei riti sponsali bizantino, copto e maronita: si domanda al Dio, che accompagnò il servo di Abramo in Mesopotamia per trovare la moglie per il figlio Isacco e, nella banale circostanza di dar da bere acqua da una brocca, gli fece riconoscere in Rebecca la futura moglie del figlio del suo padrone, che ora accompagni, fortifichi e aiuti anche questi nuovi fidanzati a saper ben discernere nel loro cammino verso il matrimonio25. Così si afferma che la coppia di fidanzati è inserita in una storia di salvezza in cui ha agito e agisce lo stesso Dio, con la differenza che, nel periodo attuale dell’economia della salvezza, Dio agisce attraverso Cristo e lo Spirito. È Dio che, servendosi di circostanze particolari e di mediazioni umane, nella linea della storia biblica, ha fatto sì che si incontrassero e si amassero. Mediante lo Spirito, li guida e li aiuta a scoprire il loro destino di vivere "in due" la comune vocazione cristiana come membri del Corpo di Cristo. Lo Spirito conduce i fidanzati nel loro discernimento, in vista dell’incontro pasquale con Cristo nella celebrazione sacramentale del suo amore. Una preghiera del "pioniere" rituale canadese di lingua francese, per la benedizione dei fidanzati, riassume, in un certo modo, quanto detto: l’incontro d’amore fra loro obbedisce ad un piano divino ed è lo Spirito colui che li prepara al sacramento del matrimonio26.

Infine, bisogna segnalare che, affinché questa celebrazione liturgica raggiunga le finalità che con essa ci si propone, è necessaria una previa preparazione in base al contenuto dello stesso rito. Non si tratta di un’esperienza "generica" di preghiera, ma si esprime apertamente che i fidanzati sono disposti a fare un cammino di fede, allo stesso modo la Chiesa manifesta non solo che li accoglie, ma che si impegna ad accompagnarli in tale cammino. È un mezzo privilegiato di vivere e celebrare il fatto che il fidanzamento di due cristiani non è qualcosa che riguarda solo loro, ma, piuttosto, un periodo di salvezza che vivono nella e con la Chiesa, coscienti di contribuire così alla sua stessa missione. È conveniente, pertanto, che alla celebrazione partecipi una parte della comunità locale, soprattutto gli operatori della pastorale che, in nome della parrocchia, percorreranno con loro il cammino iniziato. Però, come suggerisce lo stesso rituale, le circostanze del momento saranno le migliori consigliere di come celebrare fruttuosamente il rito.

 

III.3 Preparazione prossima

È la tappa più lunga dell’itinerario, nella quale può darsi il caso che qualche coppia arrivi alla conclusione di separarsi. In questo caso, allo stesso modo che in qualsiasi altra tappa, è meglio che avvenga ora che non dopo tre o cinque anni di matrimonio. Oggi le statistiche non solo riportano i dati di insuccessi matrimoniali, ma anche il crescente numero di separazioni nell’arco di tempo menzionato, ciò che dimostra una grave lacuna nella preparazione al matrimonio. Per questo, se si realizzasse l’evenienza di "lasciarsi", la Chiesa li avrebbe aiutati nel loro cammino di discernimento vocazionale, e i primi beneficiari sarebbero gli stessi fidanzati, oltre che la Chiesa stessa e la società.

Considerando sempre che in tutto l’itinerario sarebbero impegnati non solo il sacerdote ma anche le forze vive della comunità parrocchiale, e in particolare le coppie di sposati, questo sarebbe il periodo idoneo per trattare aspetti del matrimonio anche sotto la prospettiva sociale, psicologica, medica, giuridica e di altre scienze umane. Ugualmente, è uno spazio di tempo idoneo affinché i fidanzati assumano una propria coscienza critica sulla dottrina matrimoniale e familiare del magistero della Chiesa. Dopo tutto, non dovrebbe costituire un’eccezione il fatto che gli sposati siano "specialisti" in questo, e non dipendere da sporadiche e parziali riferimenti al magistero in alcune circostanze concrete della loro vita come, per esempio, in occasione della confessione, ecc. Tutti questi aspetti sarebbero trattati allo stesso modo di quelli sacramentali e biblici, sempre nella prospettiva di aiutare i fidanzati a scoprire la grandezza della loro esperienza d’amore dentro il mistero della storia della salvezza e della Chiesa.

Continuando, mi fermerò solo su ciò che si riferisce ai sacramenti e alla Scrittura.

III.3.1 Ripercorrere l’ITINERARIO DI FEDE SACRAMENTALE con i fidanzati è importante, perché ne comprendano il significato ed il valore per la crescita e la maturazione della loro reciproca esperienza d’amore e di servizio, così come per le conseguenze che questo ha nel progetto di futuro della loro vita familiare e sociale.

III.3.1.1 Con il Battesimo, il cristiano si è fatto compartecipe della morte e resurrezione di Cristo (Rom. 6,1-11), del mistero pasquale che ha sancito la nuova e definitiva alleanza di Cristo con la sua Chiesa. Il Battesimo porta con sé il morire con Cristo al peccato ("il nostro uomo vecchio è stato crocifisso": Rom. 6,6); morire a tutto quello che ci rende schiavi, che ci rinchiude in noi stessi e che ci impedisce la manifestazione del nostro essere immagine di Dio. Però il cristiano non solo è morto con Cristo, ma già vive la vita nuova del Risorto. Effetto del Battesimo è che il battezzato è unito a Cristo fino a tal punto che si trova "rivestito di Lui" (Rom. 13,14) come di un vestito, ossia che il suo essere è in Cristo (Cf. 1Cor. 1,30). Il Battesimo è pertanto inseparabile da un’etica, da una nuova e specifica condotta: quella di Cristo (Rom. 6,3 ss; 1Cor. 6,11; 10,1-13; 12,13).

Mediante il dono dello Spirito, ricevuto nel Battesimo, il cristiano confessa la sua fede in Gesù come suo Signore (1Cor. 12,3) e si sente partecipe della stessa vita divina trinitaria, potendo rivolgersi a Dio come ha fatto Gesù, chiamandolo Padre (Gal. 4,4-7). In altre parole, mediante il Battesimo, il cristiano entra a far parte della stessa famiglia di Dio: "lo Spirito si unisce al nostro spirito per dare testimonianza che siamo figli di Dio. E, se figli, anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo" (Rom. 8,16-17). Una famiglia nata dall’amore pasquale-sponsale che ha fatto di Cristo e della Chiesa "un solo corpo" (Ef. 5,23.28-30). È inseparabile, di conseguenza, l’incorporazione a Cristo e alla Chiesa dei battezzati. Una Chiesa che è manifestazione visibile della famiglia di Dio, in cui non si conoscono discriminazioni di razza, culture, classi sociali o di sesso, "perché in un solo Spirito siamo stati battezzati per formare un solo Corpo, e perché tutti i battezzati in Cristo siamo una cosa sola in Cristo Gesù" (Gal. 3,27-29; 1Cor. 12,13).

In forza del Battesimo, ogni cristiano partecipa dell’amore sponsale di Cristo per la Chiesa, per cui la caratteristica fondamentale della sua vita è la carità, come espressione di tale amore. Or dunque, i fidanzati facilmente accoglieranno che essi sono chiamati a vivere questa vocazione comune dei battezzati con una modalità propria: una con-vocazione speciale, attraverso cui un giorno si impegneranno a vivere la loro storia di salvezza in due: vale a dire, vivere come marito e moglie la stessa vocazione battesimale. Non è casuale che uno dei più bei testi del Battesimo si trovi, precisamente, nella pericope chiave del matrimonio cristiano (Ef. 5,25-27).

III.3.1.2 La CONFERMAZIONE è un sacramento intimamente unito al Battesimo, come dimostra il fatto che la sua celebrazione sia preceduta dalla rinnovazione delle promesse battesimali (SC. 71). La relazione ontica con Cristo e con la Chiesa è consolidata in questo sacramento, in cui si fa presente la pienezza dello Spirito, già ricevuto nel Battesimo. Con la Confermazione si attualizza la promessa di Cristo, realizzata nella Pentecoste: "Riceverete la forza dello Spirito Santo, che verrà su di voi, e sarete miei testimoni in Gerusalemme e fino ai confini della Terra" (At. 1,8)... "E furono pieni di Spirito Santo" (At. 2,4). È lo Spirito che dà forza per testimoniare, con parole e fatti, la vita divina di cui è partecipe il battezzato (Rom. 8,16; 1Gv. 3,19-24; 5,6).

Con questo sacramento, i battezzati "sono uniti più intimamente alla Chiesa e arricchiti di una forza speciale dello Spirito Santo. In questo modo, sono tenuti molto più, come autentici testimoni di Cristo, ad estendere e difendere la fede con le loro parole e le loro opere" (LG. 11). Da questo testo conciliare si deduce chiaramente l’importanza della Confermazione nel discorso della "nuova" evangelizzazione. Un’evangelizzazione che si identifica con la stessa realtà della Chiesa come comunità che "ascolta la Parola di Dio con devozione e la proclama con coraggio" (DV 1).

I fidanzati, riscoprendo o approfondendo il loro essere battezzati, non possono non sentirsi implicati in questa chiamata alla missione, come membri della Chiesa e in situazione di coppia. Una missione che si traduce in un impegno nella Chiesa e nella società civile. Come coppia di fidanzati annunciano la Buona Notizia, rendendo possibile che la propria esperienza d’amore "parli già di Dio" al mondo, Lui che è Amore (1Gv. 4,8). Orbene, se la Confermazione è già importante per vivere il fidanzamento, non lo è meno il fatto che siano coscienti del pieno significato di questo sacramento in vista della responsabilità ecclesiale e della missione profetica specifica e insostituibile che riceveranno con il sacramento del matrimonio.

III.3.1.3 La celebrazione dell’EUCARESTIA costituisce per i fidanzati un’occasione privilegiata per progredire, a livello umano e di fede, nel loro cammino verso il matrimonio, con una forte esperienza di Chiesa, attraverso la Chiesa particolare, la loro parrocchia. A differenza dei due precedenti sacramenti, questo è ripetibile e costituisce la celebrazione centrale della vita ecclesiale. Il Vaticano II ha insistito molto su questa centralità: la celebrazione dell’eucarestia è la fonte e l’apice della vita cristiana e dell’edificazione della Chiesa (LG. 11; 26; UR. 15; PO. 5-6), è segno e causa dell’unità del popolo di Dio (SC 47; LG 13; UR 2), è vincolo d’amore fra i membri del corpo mistico (SCV 47-48; LG 26) ed è fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione (PO 5-6).

L’eucarestia, mediante l’opera dello Spirito, è la celebrazione della presenza reale del "misterium" totale realizzato in Cristo. Un mistero che abbraccia tutta la persona di Gesù incarnato e risorto. In due frasi dello stesso Gesù troviamo la sintesi, e allo stesso tempo la chiave di comprensione, della sua vita e della sua morte: "Il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire (=diakonia) e dare la sua vita (=thjsia) come riscatto per molti" (Mc. 10,45); "Io sto in mezzo a voi come colui che serve" (Lc. 22,27). Ossia, non si può ridurre il sacrificio di Gesù ad una immolazione di alcune ore della sua vita, ma abbraccia tutta la sua esistenza di servizio-donazione. La sua resurrezione non annulla questa caratteristica fondamentale della sua vita terrena di darsi e sacrificarsi per gli altri al Padre. Al contrario, ora si tratta di una donazione e auto-oblazione superiore a quella della sua esistenza nella carne, dato che non è più condizionato dai limiti dello spazio e del tempo.

Ciò spiega il profondo contenuto che si fa presente (lo stesso Cristo), mediante lo Spirito, attraverso le parole e i gesti dell’Ultima Cena, utilizzati nella consacrazione: "Questo è il mio corpo (=la mia persona, sono io) che è offerto per voi" (Lc. 22,19); "Questo è il mio sangue (=la mia vita, sono io) della Alleanza, che è sparso per molti" (Lc. 14,24; cf. Mt. 26,28).

L’eucarestia non è, pertanto, un sacramento statico né ridotto alla presenza del corpo e sangue di Cristo nel segno dei doni, bensì è la celebrazione conviviale nella quale oggi, mediante lo Spirito, si realizza la stessa donazione e oblazione sacrificale di Cristo-Sposo alla sua Sposa, la Chiesa. E questa, a sua volta, mediante il sacerdozio comune dei suoi membri, si unisce a Lui, nello Spirito, in un’unica oblazione di lode al Padre. Non si tratta, quindi, di ascoltare o udire messa, così come neppure di dirla: è una celebrazione in cui tutta la Chiesa, come corpo di Cristo, si sente protagonista nell’atto fondante della Nuova Alleanza, il mistero pasquale di Cristo.

Attualmente, ormai, si sono quasi convertite in stereotipi frasi come: "Io sono credente, però non praticante; credo in Cristo ma non nella Chiesa; credo però non vado a messa o in chiesa". È facile che molti dei fidanzati, che seguono l’itinerario di fede, le abbiano vissute in prima persona. Risulta di importanza primordiale che essi possano comprendere (e vivere) che l’Eucarestia costituisce la miglior sintesi del Vangelo e la miglior autorivelazione della Chiesa.

Per la comunità apostolica (1Cor. 10,16-17 e 11,27-31) il corpo ecclesiale e quello eucaristico sono due dimensioni inseparabili di una stessa realtà, quella di Cristo. Una semplice citazione di qualche discorso di S. Agostino e S. Giovanni Crisostomo è sufficiente per far vedere come quella coscienza della comunità apostolica percorra tutta la tradizione della Chiesa. Dice il Vescovo di Ippona: "Se volete comprendere quello che è il Corpo di Cristo, ascoltate l’Apostolo; vedete quello che dice ai fedeli: voi siete il corpo di Cristo e sue membra (1Cor. 12,27). Se, dunque, voi siete il corpo e le membra di Cristo, ciò che sta sopra la mensa del Signore è simbolo di voi stessi e quello che ricevete è il vostro stesso mistero... Nell’Eucarestia riceviamo quello che siamo e nella misura in cui lo siamo: il corpo del Signore" (Serm. 272). "Voi siete il corpo di Cristo, siete quello stesso che ricevete... e lo sottoscrivete quando rispondete amen’. Questo che vedete è il sacramento dell’unità" (Serm. della dom. pasq. 1). Dice il Crisostomo: "... Che cos’è il pane? Corpo di Cristo. E cosa diventano quelli che lo ricevono? Corpo di Cristo. Non molti corpi, ma un solo corpo... Se tutti partecipiamo di uno stesso pane e, quindi, tutti diventiamo una stessa cosa, perché non manifestiamo la stessa carità?" (1Cor. omelia).

Da tutti questi aspetti fondamentali dell’Eucarestia, anche se richiamati in forma molto generica, ora si può dedurre facilmente che si tratta di un sacramento che è fonte del matrimonio e, a sua volta, che il matrimonio tenda costantemente all’Eucarestia come suo culmine. Si può dire che l’immagine (il matrimonio) reclama e conduce alla realtà (l’Eucarestia). E lo stesso si può dire della famiglia, chiesa domestica.

Ma l’Eucarestia costituisce anche un’autentica "scuola pedagogica" per i fidanzati nel loro cammino verso il matrimonio. Una scuola d’amore dialogale e oblativo in cui partecipano e celebrano la fonte che fortifica il loro amore, oltre che la profonda ragione della loro unità e comunione come coppia aperta alla comunità. Nell’Eucarestia, essi imparano ad amarsi e ad approfondire la dignità del loro reciproco amore; un amore che significa donazione (diakonia) e sacrificio (thjsia).

Oggi viene segnalato, come una delle ragioni di molti fallimenti matrimoniali, il concepire un tipo di amore senza sacrifici. In questo senso, con la partecipazione al mistero pasquale eucaristico, i fidanzati prendono coscienza che non solo la loro vita d’amore conoscerà delle croci, ma che tali croci non saranno capaci di spegnere la speranza che nasce dalla Pasqua. Ed è un dato di esperienza il fatto che l’esito di un progetto di vita non si misura tanto dal numero delle difficoltà che bisogna affrontare, ma piuttosto dal modo e dalla motivazione con cui si affrontano.

Costituendo l’Eucarestia l’anticipazione più piena di quello che sarà la totale realizzazione dell’esperienza d’amore oblativo, la partecipazione dei fidanzati al sacramento eucaristico si trasforma in una permanente "provocazione" per il loro amore di coppia. È una continua chiamata, in uno stile pasquale, a far sì che si aprano sempre più ad una comunione e comunicazione più piena. Questa coscienza dinamica della vita di coppia (caratterizzata da un ininterrotto "ora, però, tuttavia, no") li aiuterà a rinnovarsi costantemente, sia durante il fidanzamento, che dopo, durante la vita matrimoniale, aiutandoli così a non soccombere davanti alla monotonia della vita. D’altra parte, quanto più i fidanzati vivranno cristianamente il loro amore, tanto più comprenderanno il significato pieno dell’Eucarestia. E così si prepareranno già a partecipare, un giorno, con il loro matrimonio, all’alleanza dell’amore nuziale in cui Cristo si fa presente come donazione totale alla Chiesa, e esprimeranno sacramentalmente nella loro vita matrimoniale ciò che l’Eucarestia realmente contiene in sé: l’amore e l’unione di Cristo con la sua Chiesa, fino al punto di formare con essa un solo Corpo.

III.3.1.4 Rispetto al sacramento della RICONCILIAZIONE, bisogna ricordare che la domanda di purificazione è una realtà antropologica, e la psicanalisi ci ricorda che è tipico dell’uomo il sentimento di colpevolezza per qualcosa che ha fatto, che ha desiderato, pensato o che non ha fatto e dovrebbe aver fatto. Per questo la coscienza di peccato, professata nel confiteor (confessarsi peccatori in pensieri, parole, opere ed omissioni) e celebrata nel sacramento della Riconciliazione, riguarda direttamente la definizione dell’uomo come essere in costante realizzazione. Da qui già deriva la ricchezza che questo sacramento possiede per i fidanzati; quanto li può aiutare nella loro crescita continua nel conoscersi, amarsi e perdonarsi come coppia. Però il sacramento della Riconciliazione non si riduce ad una esperienza privata di coppia. I fidanzati sono coscienti che la loro situazione attuale e il loro progetto di vita fanno parte di una storia di salvezza e che, con la celebrazione di questo sacramento, si uniscono all’avvenimento della Pasqua di Cristo per essere purificati e inseriti più intensamente nel suo dinamismo liberatore, rinnovatore e costruttore della loro storia e della storia. Orbene, questa esperienza non riguarda solo loro come persone particolari e come fidanzati, ma si inserisce nel quadro della loro appartenenza alla Chiesa. Per questo è inseparabile la riconciliazione con Dio dalla riconciliazione con la Chiesa (LG. 11), poiché il peccato è una ferita causata da un membro o cellula del Corpo mistico di Cristo (LG. 7), e ciò rende difficile la manifestazione piena del suo essere sacramento universale di salvezza (LG. 1).

Con l’esperienza dell’amore misericordioso e del perdono di Dio mediante la Chiesa, i fidanzati sono chiamati a perdonarsi: "Siate misericordiosi fra di voi, perdonandovi reciprocamente come ci perdonò Dio in Cristo". Il sacramento della Riconciliazione, durante il cammino dei fidanzati che si sentono chiamati a vivere il loro amore in un progetto di Dio, porta con sé una continua rinnovazione del loro amore e il continuo conoscersi e arricchirsi reciprocamente. Con il sacramento si realizza una ri-generazione e ri-strutturazione della loro esistenza umana individuale (nel loro vivere in relazione con l’altro/a fidanzato/a) e collettiva (nel vivere in un contesto ecclesiale e sociale).

* Riconciliarsi con Dio e con la Chiesa comporta anche che si prenda coscienza dei propri limiti nel dare un contributo individuale a costruire la relazione d’amore secondo una vocazione a cui si sente chiamato/a, e secondo una missione specifica da svolgere nella Chiesa. Questa coscienza è il punto basilare per aprirsi alla comunicazione e al dialogo reciproco (e non unilaterale), per analizzare le cause che provocano discordie nel rapporto di coppia. Si evita così ogni tentazione di autosufficienza, di perfezionismo e di orgoglio istintivo (e a volte non tanto istintivo), i quali impediscono ogni comunicazione e possibilità di conoscere se stessi, ciò che impedisce, a sua volta, poter conoscere e comprendere anche l’altro/a.

Con la conversione al Signore, celebrata nel sacramento della Riconciliazione, i fidanzati non solo fanno esperienza del perdono di Dio come un dono, ma si trasformano anche in "sacramento" di questa esperienza l’uno per l’altra. Questo li conduce ad essere capaci di rinnovare ogni giorno il loro amore, avendo uno stile specifico di correggersi reciprocamente nella "logica pasquale", la quale include l’amore e il perdono, due realtà inseparabili: "quello a cui si perdona poco, ama poco"" (Lc. 7,47).

III.3.2 Il faro costante dell’itinerario di fede dei fidanzati è la SCRITTURA (Cf. schema del Vat. II in forma di croce: I.1.). In essa potranno trovare il significato dell’amore umano nella storia di salvezza, così come alla luce della Parola di Dio sarà possibile leggere la loro propria esperienza d’amore.

III.3.2.1 Nel Cantico dei Cantici i fidanzati possono facilmente vedere il riflesso della loro esperienza d’amore. Infatti vi sono presentati in forma poetica i sentimenti che si provano e che si manifestano con parole piene di dolcezza e con gesti particolari, come carezze e baci. Non si tacciono le sofferenze che provoca la separazione dei due innamorati, come pure il desiderio intenso di reincontrarsi, pure così tipico del tempo del fidanzamento.

A questa esperienza e celebrazione dell’amore dei due giovani è invitata anche la natura: paesaggi, fiori, piante, viti, colline. Anche l’atmosfera che si respira è quella della primavera, entusiasta e felice, e non poteva non essere presente la stessa corporeità con tutta la sua forza, lo splendore, i segreti (meravigliosa la descrizione del corpo femminile e maschile: cap. 4-5).

Non dovrebbe meravigliarci che questo poema d’amore umano, che sigilla il matrimonio - un capolavoro della letteratura universale - sia stato ammesso nel canone della Scrittura come un libro ispirato (si trova pure nel lezionario del rituale del matrimonio). Il Cantico insegna la bontà e la dignità dell’amore che avvicina l’uomo alla donna, distrugge i miti che gli erano legati nell’epoca in cui fu scritto, e lo libera dai lacci del puritanesimo, come pure dalle licenziosità dell’erotismo. Non si sente nemmeno la necessità di rendere esplicito il nome di Dio: solo nell’epilogo del Cantico è citato (8,6-7), quando la fidanzata proclama che il suo amore li unirà per sempre, perché il suo amore è una fiamma divina. E ciò non dovrebbe neppure meravigliarci tanto, poiché il Cantico è un invito a rallegrarci per i doni di Dio e, fra questi doni, brilla l’amore umano di coppia che dà colore e sapore a tutta l’esistenza. Un amore pienamente umano, che è carnale, però non profano, e che offre testimonianza delle "meraviglie" della Creazione. In questo senso, il Cantico non è se non l’eco di Genesi 1-2, che prolunga e commenta.

Alla luce della Genesi (1,26-28 e 2,18-25; cf. 5,1-2), i fidanzati possono contemplare, come in uno specchio, quanto il loro amore faccia parte di un progetto, e che il sentimento di stupore e meraviglia che provarono quando scoprirono il loro amore fa parte di quel primo ed eterno canto d’amore e ammirazione che emana dalle labbra dell’uomo di tutti i tempi quando incontra la donna - e viceversa - (Gen. 2,23): l’uomo () e la donna (iššáh), senza un vero nome, sono tutte le coppie della storia che ripetono il miracolo dell’amore.

L’amore è una realtà naturale voluta e creata da Dio, che porta a considerare l’altro/a come un dono. In queste pagine della Genesi si trovano, oltre che i fondamenti di un’antropologia cristiana, le componenti principali dell’idea divina del matrimonio: l’uguaglianza di dignità e l’identità di natura dell’uomo e della donna, la reciprocità e l’armonia fra entrambi e con Dio, la monogamia, l’indissolubilità e la procreazione.

Però, questo disegno ideale del matrimonio, da parte di Dio, si è oscurato in fretta. L’entrata nel mondo del peccato è presentata come un dramma della coppia umana, che porta alla degradazione del rapporto interpersonale fra l’uomo e la donna, ad un disordine nell’armonia della creazione e ad una deturpazione del suo essere immagine di Dio (cap. 3). La poligamia, l’adulterio, il ripudio ed il divorzio non sono altro che effetti di questo peccato. Esiste una differenza considerevole fra la situazione di fatto del matrimonio e l’idea che possedeva il Creatore "al principio". Pertanto, il matrimonio ha bisogno di redenzione.

Per i Profeti il matrimonio diventa il simbolo rivelatore della stessa storia della salvezza, che non è altra cosa che la storia dell’Alleanza dell’amore fra Dio e gli uomini; il patto, mediante il quale Dio si è unito ad Israele e che i Profeti interpretano in termini nuziali: Yahvé-Sposo e Israele-Sposa (Os. 1-3; Ger. 2,2; 3,1-13; Is. 54,4-8; 62,3-5; Ez. 16,23). Concetti fondamentali dell’esperienza coniugale, come l’amore, il perdono, la fedeltà nell’affetto, la costanza nell’amore, un amore esclusivo e totale, la gratuità, la relazione intima-sessuale di coppia, ecc., sono utilizzati per scoprire il rapporto di Dio con il suo popolo; il Dio che ama e perdona con viscere di madre27. Si percepisce un doppio movimento: l’alleanza coniugale aiuta a comprendere l’Alleanza e, allo stesso tempo, il Dio dell’Alleanza d’amore fedele con il suo popolo invita ad approfondire la realtà dell’amore coniugale.

Altro aspetto del matrimonio da mettere in risalto nella rivelazione biblica è che esso serve da canale (mediante la procreazione) della promessa salvifica sfociata in Cristo. Dopo il peccato, Dio non desiste nel suo intento di restaurare l’armonia della creazione. Per questo, nel cosiddetto "Protovangelo" (Gen. 3,15) e nella benedizione ad Abramo (Gen. 12,2; 13,16; 15,5), annuncia che, attraverso il linguaggio umano, un giorno questa armonia sarà ristabilita. Sarà Paolo che esplicitamente e schiettamente proclamerà tutta la misteriosa grandezza che rinchiudeva la menzionata benedizione ad Abramo, nel riferirsi a Cristo (Gal. 3,16). Anche se in modo diverso, però sempre su questa linea, si collocano pure alcuni evangelisti facendo precedere la nascita di Gesù da una lista genealogica. Mt. 1,1-17, rivolgendosi ai giudeo-cristiani, sottolinea la discendenza ebraica di Gesù, mentre Lc. 3,23-38 risale ad Adamo, capo di tutta l’umanità. In un modo o in un altro, quello che manifesta è che la fecondità matrimoniale esercita una funzione nel piano salvifico di Dio e che, in questo caso concreto, essa ha reso possibile la continuità della storia della salvezza che è sfociata nell’incarnazione.

L’istituzione matrimoniale arriva così al massimo della sua funzione "mediatrice", facendo in modo che Dio stesso si faccia uno di noi. Però, non solo il Figlio di Dio è venuto al mondo nel seno di un matrimonio, ma la maggior parte della sua vita la trascorse nella quotidianità familiare (Lc. 2,40.50-51), ciò che significò una delle maggiori obiezioni per essere accettato per quello che era, il Messia (Cf. Mt. 13,55-56; Lc. 4,22; Gv. 6,42).

È pure nella celebrazione di un matrimonio, in Cana (Gv. 2,1-11), che Gesù opera il suo primo miracolo: segno che i tempi messianici si stanno già realizzando nella sua persona. È l’annuncio e la realizzazione velata del banchetto messianico: Gesù è lo Sposo e Maria, figura della Chiesa, la Sposa che intercede presso lo Sposo. Gesù, non solo ha vissuto quello che potremmo definire l’esperienza dell’istituzione matrimoniale, manifestando così la sua bontà intrinseca, ma anche, con le sue parole, ha ristabilito detta istituzione secondo il progetto primitivo di Dio nella creazione (Mc. 10,1-12; Mt. 19,1-9; cf. Lc. 16,18 e Mt. 5,32). È arrivato il tempo annunciato dai Profeti: la Nuova Alleanza, nella quale Dio concede lo Spirito che trasforma il cuore di pietra in un cuore di carne (Cf. Ger. 31,31-34; Ez. 36,26; 2Cor. 3,3).

Gesù si serve della simbologia matrimoniale, ereditata dalla tradizione profetica, per illustrare il significato della sua venuta come il Messia atteso. Ricorre spesso al confronto fra il Regno di Dio ed il banchetto nuziale (Mt. 22,1-14; 25,1-13; Lc. 14,8-11.16-24; cf. Lc. 12,35-40) e si appropria del titolo di sposo e di fidanzato (Gv. 2,29-30; 3,28-29; Mt. 9,14-15; 25,1-13; Mc. 2,18-19), così come il titolo di sposa è trasferito anche al nuovo popolo, la Chiesa (Cf. Gv. 3,29; 2Cor. 11,2; Ef. 5,21-33).

Ad ogni modo, la simbologia del banchetto messianico appare con una forza straordinaria negli ultimi capitoli dell’Apocalisse. Le "nozze dell’Agnello" - l’instaurazione definitiva del Regno - sono caratterizzate dalla gioia e dall’allegria della salvezza definitiva (19,7-9). Le parole dell’inno escatologico di Isaia 61,10; 62,4-5 e l’idea di matrimonio di Osea 1,2-3; 2,16 sono intuite dal veggente dell’Apocalisse come già realizzate (21,2). Però, nell’attesa del pieno compimento della Nuova e definitiva Alleanza, lo Spirito presente nella Chiesa, Sposa dell’Agnello (21,9-10), ispira a questa il grido che è la supplica del suo amore: "Vieni!" (22,17).

Come conclusione di questa rassegna biblica, bisogna ricordare l’importanza che possiede il fatto che il matrimonio compare all’inizio e alla fine della rivelazione biblica (Cf. Gen. 1,26-28; 2,18-24; Apoc. 21,2; 22,17). Questa specie di inclusione ci indica che, per comprendere pienamente il contenuto che si trova fra questo inizio e la fine, non si può prescindere dalla realtà matrimoniale. Si potrebbe dire che "Dio non ha saputo e non sa" rivelarsi meglio, se non attraverso l’esperienza matrimoniale. Di questo sono testimoni anche i grandi mistici, come S. Teresa d’Avila e S. Giovanni della Croce, i quali, per esprimere la loro profonda esperienza di Dio, non trovano un linguaggio migliore di quello nuziale. Già nei primi secoli, per rendere intelligibile la formulazione trinitaria della fede espressa nei primi Concili, così come per combattere il ragionamento degli eretici che la negavano, i Padri ricorrono all’immagine del matrimonio. Da tutto ciò si deduce con chiarezza l’importanza del matrimonio a cui si preparano i fidanzati, come mezzo fondamentale della rivelazione e manifestazione del Dio biblico.

Oggi c’è una grande preoccupazione per la crisi demografica. Si tratta di comprendere le cause che provocano il numero elevato dei fallimenti matrimoniali: un dato che crea insicurezza a molti giovani che hanno la prospettiva di sposarsi. Davanti al dato crescente del fenomeno della coabitazione, sembra che la causa principale, che lo spiega, sia che i giovani non trovano una ragione specifica e importante per sposarsi. L’aumento dei suicidi fra gli adolescenti e i giovani, anche nelle famiglie unite, denota una mancanza di speranza (=disperazione), però i mezzi di comunicazione tendono rapidamente a "criminalizzare", indistintamente e in modo ingiusto, i genitori.

In fondo, questi altri problemi, uniti a quelli del matrimonio e della famiglia, hanno la loro radice nella perdita del senso della vita, della nostra esistenza, per poterlo pure trasmettere all’esistenza degli altri, soprattutto ai figli, in questo caso. Il problema è di poter dare un senso alla propria esistenza sulla terra e sentire che si ha un ruolo fondamentale da svolgere nella storia. In questo senso, la Parola di Dio costituisce un’autentica scuola di umanità. La Scrittura rivela ai fidanzati il fondamento e la loro piena identità come coppia. Essi imparano dalla Parola che la loro storia personale fa parte di una storia primordiale (Creazione), che è arrivata al suo vertice in Cristo che, con l’invio dello Spirito, ha dato inizio ad una nuova tappa della storia, quella della Chiesa della quale fanno parte. Mediante il loro fidanzamento si preparano a continuare questa storia (Cf. 1Cor 7,7.17.20; Mt. 19,11), sentendosi costruttori di essa con la partecipazione e cooperazione alle due prerogative maggiori di Dio: l’amore e la vita.

III.3.2.2 Dato che molti sociologi sostengono che oggi la fragilità del matrimonio consiste nel fatto che si fonda solo sulle relazioni d’amore, dedicherò brevemente uno spazio a questo tema centrale nell’esperienza del fidanzamento, come pure in quella del matrimonio28. L’amore che unisce i fidanzati è un amore umano in elaborazione e maturazione. In base a questo, lo Spirito lo va preparando e modulando per potere trasformarlo un giorno nello stesso amore di Cristo per la Chiesa (agape) e consacrarlo nella celebrazione sacramentale del loro matrimonio. Il pane ed il vino hanno bisogno di essere coltivati ed elaborati per arrivare ad essere tali e così, per il potere dello Spirito, essere trasformati nel Corpo e Sangue di Cristo; l’olio, pure, presuppone una coltivazione ed elaborazione delle olive prima che lo Spirito possa rendere possibile l’azione salvifica di Cristo, mediante questo elemento naturale che è l’olio. Succede qualcosa di simile pure con l’amore umano dei fidanzati.

Senza entrare nella casistica di come poter misurare il grado ed il tipo di amore, per poter considerarlo maturo in vista del matrimonio, ciò che mi interessa sottolineare è che, mediante questo amore naturale, lo Spirito fa sì che i coniugi cristiani possano avere l’esperienza dello stesso amore di Dio, l’agape (Gal. 5,22; Rom. 5,5). È quanto ci indica con chiarezza anche Ef. 5,22-33, utilizzando lo stesso termine (agape) per esprimere la relazione di unione amorosa tra Cristo-Sposo e la Chiesa-Sposa e quella fra i coniugi. Da questo è pure segnalata la specificità del matrimonio cristiano: gli sposi cristiani, non solo imitano e sono segno dell’amore di Cristo con la Chiesa, ma partecipano anche realmente ad esso, grazie al dono dello Spirito.

Questo è il "mistero grande" (Ef. 5,32) che il Papa mette in evidenza al n. 19 della sua Lettera alle famiglie. Il "grande mistero" che comprende tre elementi inseparabili che si illuminano fra loro: profezia, compimento del mistero e realizzazione storica del modello ideale. Il matrimonio possiede la sua "profezia" nel progetto creativo di Dio sull’uomo e sulla donna di Gen. 2,24 (Ef. 5,31), il suo compimento nell’Alleanza d’amore fra Cristo e la Chiesa (Ef. 5,32) e la realizzazione storica del modello ideale Cristo-Chiesa nell’alleanza sponsale fra marito e moglie (Ef. 5,22-33). Non esiste, pertanto, il "mistero grande", che è la Chiesa e l’umanità in Cristo, senza il "mistero grande" espresso nella realtà del matrimonio (Cf. Gen. 2,24; Ef. 5,31-32).

In un mondo, dove ha un grande fascino ciò che è materiale, causando in molte persone un grande vuoto interiore con sete di spiritualità, il matrimonio cristiano si presenta come luogo privilegiato di esperienza della creazione e redenzione, dell’armoniosa unità fra ciò che è materiale e ciò che è spirituale, non lasciando spazio a nessun tipo di dualismo manicheo che contrapponga o separi radicalmente il corpo dallo spirito.

 

III.4 Preparazione immediata

Se mi sono dilungato tanto nelle precedenti tappe dell’itinerario è perché le considero le più importanti. Di fatto questa, come quelle che la seguono, non è se non la conseguenza logica di quelle. Per questo mi limiterò praticamente ad elencarle.

Questo periodo può essere quello idoneo perché i fidanzati prendano coscienza del fatto di essere loro i ministri della celebrazione del loro matrimonio. Ciò non sarà loro molto difficile, dopo aver riscoperto ed approfondito la loro fede cristocentrica ed ecclesiale nei sacramenti con la partecipazione alla vita liturgica della Chiesa, e dopo aver preso coscienza del loro ormai prossimo matrimonio come mistero della Chiesa, dentro il Mistero biblico e storico salvifico (Cf. la tappa precedente).

Ogni celebrazione sacramentale è propriamente un’azione di Cristo e della Chiesa in virtù dello Spirito Santo. Questo significa che la ministerialità degli sposi non è né una cosa né qualcosa di privato che loro si possono dare l’un l’altro; la loro ministerialità non si comprende fuori dal mistero della Chiesa e del loro essere parte di essa. Per questo, quando manifestano la loro ministerialità, soprattutto nel consenso (e lo scambio degli anelli), con il loro , in forza del loro sacerdozio battesimale-crismale, esso diventa un sì in Cristo e nella Chiesa e a Cristo e alla Chiesa, partecipando, nella potenza dello Spirito, al sì pasquale indissolubile di Cristo-Sposo alla Chiesa-Sposa. È in questo modo che gli sposi esercitano il loro essere ministri del sacramento. Essi non si amministrano o ricevono vicendevolmente il sacramento, ma lo celebrano, ministri come sono del sacramento stesso.

In questa linea bisogna considerare, anche, la presenza di chi presiede la celebrazione (generalmente un presbitero): è il segno che, per la presenza e l’azione dello Spirito, si realizza la presenza di Cristo e della Chiesa sopra gli sposi e, di conseguenza, Colui che presiede partecipa e coopera alla celebrazione del sacramento come tale. La sua presenza va molto più in là di una formalità giuridica o di testimonio qualificato29.

Oltre a questa presa di coscienza del significato che possiede l’essere ministri del sacramento del matrimonio, questa tappa è idonea per organizzare un giorno di ritiro, così come pure una celebrazione comunitaria della penitenza.

È un periodo in cui i fidanzati hanno l’occasione di preparare la celebrazione del loro matrimonio sulla base della loro scelta dei testi biblici e preghiere del Rituale. Da qui l’importanza che detto rituale sia capace di esprimere tutta la ricchezza che contiene il sacramento del matrimonio. È un’occasione importante per completare il cammino iniziato, approfondendo il contenuto della celebrazione, comprendendo il significato della struttura del rito, con i suoi gesti e parole (alla fine ritornerò sopra il tema del rituale).

In un mondo in cui cresce la diffidenza, persino verso il sentimento più profondo come quello dell’amore, i fidanzati cristiani arriveranno alla fine del loro itinerario di fede con una decisione profetica: essere costruttori della civilizzazione dell’amore mediante il loro impegno di amarsi per tutta la vita. Ognuno di loro, come Paolo, può rispondere a chi gli domandi il perché della sua decisione: "Perché so bene di chi mi sono fidato (2Tim. 1,12).

 

III.5 Celebrazione liturgico-rituale del matrimonio

È evidente che dopo questo cammino, non è difficile una celebrazione del sacramento del matrimonio particolarmente significativa, con una partecipazione piena, cosciente ed attiva dei fidanzati. La stessa comunità locale si sentirà interessata e coinvolta nell’evento sacramentale. Che il matrimonio si celebri nella chiesa della comunità parrocchiale a cui appartengono gli sposi sarà una cosa ovvia. In più di una occasione, si potrà avere la circostanza di una celebrazione di più matrimoni insieme, come effetto di aver vissuto insieme un cammino di fede in un clima fraterno, di dialogo, di arricchimento mutuo e di comunione di vita.

Con l’occasione della celebrazione del matrimonio, sicuramente i nuovi sposi avranno ricevuto molti regali. La Chiesa, mediante gli operatori della pastorale della comunità locale che li hanno accompagnati lungo l’itinerario di fede, avrà regalato loro qualcosa di immensamente importante: il senso e il valore della vita di tutti i giorni.

 

III.6 Il dopo-celebrazione

Con le premesse fin qui segnalate, la celebrazione del matrimonio non avrà significato un momento, una parentesi nella vita dei nuovi sposi. Non avrà ridotto il sacramento ad un semplice ricordo delle nozze celebrate davanti al sacerdote (magari’ con l’aiuto delle foto e della videocassetta). Al contrario gli sposi, saranno coscienti che lo Spirito fa del tessuto delle loro relazioni interpersonali, impregnate di amore oblativo, una memoria (nel senso liturgico di attualizzazione-presenza) vivente di quel sì manifestato nel consenso e per il quale sono stati fatti compartecipi del sì pasquale di Cristo alla Chiesa. E come già abbiamo visto, l’Eucarestia costituisce l’esperienza privilegiata degli sposi per fortificare il loro matrimonio come sacramento permanente30.

Il fatto di aver percorso un itinerario di fede insieme, in vista del matrimonio, favorirà la formazione di gruppi di spiritualità coniugale e di pastorale matrimoniale all’interno della comunità parrocchiale, con la possibilità di accompagnare, a loro volta, le nuove coppie di fidanzati nei loro itinerari.

Con il loro nuovo stato di vita all’interno del Popolo di Dio, con la loro vocazione e missione specifica e imprescindibile nella Chiesa, gli sposi sono chiamati ad essere testimoni attivi dei valori evangelici nella società di oggi. Diversi tipi di circostanze o persone possono, a volte, rendere problematico l’esercizio della propria missione e ministerialità matrimoniale. Ad ogni modo, con il dono dello Spirito di discernimento, nessun matrimonio e nessuna famiglia cristiana dovrebbero rinunciare a qualcosa che è loro consustanziale: l’essere e il sentirsi soggetto ecclesiale e sociale.

IV Considerazioni conclusive

IV.1 Il filo conduttore che ha attraversato tutta l’esposizione è la convinzione che il sacramento del matrimonio cristiano presuppone la fede (SC 59; OCM 90 n. 16). Ho evitato, comunque di entrare nella problematica che questo tema, spesso, provoca, ossia l’impossibilità di misurare il grado di fede sufficiente richiesto per la celebrazione sacramentale. Una problematica che, praticamente, e curiosamente non sorge quando si parla dello stato di vita sacerdotale o religioso. Se fossi entrato in questa disquisizione, essa mi avrebbe portato a distogliere l’attenzione dal nostro tema centrale e a chiamare in causa certe posizioni dell’attuale CIC che, forse, hanno bisogno di essere riconsiderate31.

Forse, più di uno dei presenti starà già pensando all’obiezione che le linee tracciate pecchino di idealismo. Senza pretendere di condizionare il dibattito che seguirà tra pochi momenti in sala, tuttavia, vorrei rendere pubblico che, nella mia esperienza, sia quando qualcuno mi ha parlato con l’intento di riflettere sulla vita religiosa o sacerdotale, sia quando sono stato io chiamato a parlare nei seminari o nelle case di formazione religiose, o a sacerdoti e religiosi/e, nessuno mi ha detto parliamo del minimo che si esige per lo stato sacerdotale o religioso.

Il Vangelo è lo stesso per tutti i credenti e il discorso della montagna coinvolge tutti allo stesso modo. Per questo non c’è un Cristianesimo di prima classe ed un altro di seconda, così come neppure una santità a due velocità.

IV.2 Credo che uno degli aspetti da mettere in risalto di questa impostazione del fidanzamento e del matrimonio, fatta nella mia relazione, sia che il discorso non cade in un certo tipo di moralismo o giuridicismo. Non è che la morale ed il diritto non debbano essere presenti in un discorso sul fidanzamento ed il matrimonio, ma trovano il loro posto nel quadro più ampio di una spiritualità, dentro un itinerario di fede. D’altra parte, una delle conseguenze che derivano da questa esposizione è che i futuri battesimi dei figli di chi abbia seguito l’itinerario saranno celebrati pure per motivi di fede. E questo aiuterebbe, in grande misura, la situazione pastorale attuale, nella quale la Confermazione appare a volte come più importante del Battesimo.

IV.3 Nell’impostazione di questo itinerario si possono percepire molte analogie con la vita religiosa, cosa che in realtà non ci dovrebbe meravigliare troppo. Già nell’antichità, questa analogia non solo era manifestata con il parallelismo fra gli sponsali e il noviziato (o ammissione alla vita monastica), ma soprattutto con il gesto comune della velatio nel matrimonio e nella consacrazione delle vergini. Un gesto che manifestava la reciprocità fra i due stati di vita: entrambi rappresentano e partecipano, ognuno nel suo modo specifico, del mistero dell’unione fra Cristo-Sposo e la Chiesa-Sposa32.

Allo stesso modo la reciprocità fra tutti gli stati di vita cristiana contenuta nella ecclesiologia di fondo presente in tutta la mia esposizione, non deve portare alla conclusione erronea di identificare il matrimonio con la vita religiosa o alla clericalizzazione del matrimonio. Si tratta, piuttosto, se mi permettete l’espressione, di tutto il contrario. È un’ecclesiologia di comunione, in cui non primeggia nessuno stato sopra un altro e in cui non c’è posto per nessun tipo di "rivincita" né di uguaglianza puramente sociologica tra le diverse vocazioni e missioni dei vari stati di vita.

Tutti i sacramenti sono differenti tra di loro e, allo stesso tempo, tutti sono intimamente legati. Orbene, il matrimonio è "un sacramento non come gli altri", anche per qualcosa che gli è molto specifico: è un’istituzione naturale, con un valore in se stesso e in ciò che concerne alla sua struttura antropologica e alla sua funzione sociale. Questa specificità, tuttavia, non dovrebbe portare ad una non giusta valorizzazione del sacramento. La storia è maestra e ci insegna che nell’epoca della sistematizzazione del settenario sacramentale, nel Medioevo, fu precisamente un certo modo di concepire ciò che detta specificità implica quello che portò a considerare il sacramento del matrimonio non nella sua giusta misura. Per questo, qualche teologo dell’epoca, con una grande influenza nei secoli posteriori, considerò che il matrimonio contiene il minor grado di spiritualità fra i sacramenti. Questo favorì che anche il Concilio di Trento affermasse la superiorità dello stato di verginità e di celibato consacrati a Dio sopra lo stato del matrimonio (DS 1810).

IV.4 È lo Spirito che santifica e struttura la Chiesa mediante i carismi e gli stati di vita (LG 11-12; AA 3-4), i quali hanno bisogno gli uni degli altri e sono chiamati ad una collaborazione stretta, "dando così testimonianza della meravigliosa unità nel Corpo di Cristo, dentro la diversità... poiché tutto questo lo fa l’unico e medesimo Spirito" (1Cor. 12,11) (LG 32).

A questo punto, se fosse necessario riassumere con un paio di frasi l’obiettivo che anima tutta la mia esposizione, lo farei aggiungendo a quella frase di Giovanni Paolo II, "Famiglia, diventa ciò che sei" (FC 17), tanto ripetuta in molti viaggi pastorali, quell’altra frase "Perché la Chiesa possa diventare ciò che è".

Orbene, affinché tutto questo non si riduca a semplici parole, è necessario rendere operativi una mentalità ed uno stile nuovo, nel momento di gettare le basi di una famiglia, che è chiamata ad essere chiesa domestica mediante il matrimonio. Da qui l’importanza, "più che mai necessaria, che possiede oggi la preparazione dei giovani al matrimonio ed alla vita familiare" (FC 66). Una preparazione in cui deve sentirsi implicata la Chiesa particolare, la Chiesa come comunione e soggetto di evangelizzazione. Non c’è dubbio che il quadro in cui ho inserito il discorso sull’itinerario di fede del fidanzamento costituisce un autentico test per comprovare la maturità e solidità delle nostre comunità parrocchiali e diocesane, nella loro capacità di essere evangelizzatrici e, allo stesso tempo, nella loro capacità di lasciarsi evangelizzare.

IV.5 Data l’attuale situazione socio-culturale e religiosa della nostra società e, d’altra parte, tenendo presenti i documenti della Chiesa che ci parlano del contributo imprescindibile dei valori cristiani e sociali contenuti nella vita matrimoniale e familiare cristiana, credo che la Chiesa ha oggi davanti a sé una delle maggiori responsabilità: quella di creare gli spazi ed i mezzi necessari per un’adeguata preparazione dei futuri sposi cristiani. A questo obiettivo obbedisce l’itinerario che ho esposto, con le tappe fondamentali che lo compongono. Un itinerario flessibile, secondo le diverse circostanze di luogo e di persone.

Una volta che si segue il cammino qui tracciato, credo si otterrà di creare la coscienza in tutta la Chiesa che il fidanzamento è realmente una tappa molto importante nella vita di due persone, nella prospettiva del loro matrimonio. Per questo ho usato pure l’espressione "status" ecclesiale riferita al fidanzamento. Anche se il termine "status" è utilizzato in senso analogico (per questo le virgolette), tuttavia già offre l’idea che, applicandolo al fidanzamento, questo è inteso come periodo di tempo (un cammino, un itinerario), vissuto nella e con la Chiesa con una propria spiritualità, che costituirà la base della sua futura spiritualità matrimoniale e familiare. Di fatto, da una spiritualità battesimale, vissuta individualmente, l’esperienza del fidanzamento porta i due a viverla in coppia: come fidanzati, si crede, si celebra e si vive nella e con la Chiesa e la società (da qui pure il termine ecclesiale). Naturalmente, se l’esperienza del fidanzamento nella e con la Chiesa si riduce a otto o dieci ore, che è quanto generalmente durano i cosiddetti corsi matrimoniali, allora l’espressione "status" ecclesiale non ha senso.

Nonostante l’espressione possa sembrare provocatoria, tuttavia, credo che possieda una sua profonda ragione d’essere, oltre che per quanto detto, anche perché questo "status" è vissuto in vista del matrimonio come status in senso proprio. Di fatto, l’itinerario di fede è orientato a far sì che un giorno i fidanzati celebrino il loro sacramento del matrimonio, per cui acquisteranno uno stato di vita (status vitae) particolare tra il popolo di Dio (LG 11; 35; GS 52; OCM 90 n. 8). Ossia, gli sposi cristiani non sono "generici laici", uniti dal Battesimo, ma sono entrati, per il dono dello Spirito, nel sacramento, in una nuova dimensione di ecclesialità. Non si tratta, quindi, di rinchiudere nessuno dentro una nuova struttura della Chiesa, così come neppure di un rigorismo che tenda ad un Cristianesimo di élite. Si tratta semplicemente che le Chiese particolari prendano una chiara ed operativa coscienza del significato e dell’importanza del fidanzamento e, di conseguenza, quelli che pensano di sposarsi abbiano la possibilità di scoprire o approfondire la loro fede, avendo un’esperienza di appartenenza ad una comunità cristiana, e che questo li porti a far sì che sia la motivazione della loro fede la ragione principale della decisione di celebrare sacramentalmente il loro matrimonio. In questo modo, la Chiesa avrebbe compiuto la sua missione, come dice Paolo, di "piantare ed irrigare"; il resto, ossia il "crescere", è opera di Dio, sempre che la/e persona/e direttamente interessate (i fidanzati) non decidano di continuare senza crescere (1Cor. 3,6-8).

IV.6 In quanto alla celebrazione del rito della benedizione dei fidanzati (sponsali), essa assume la sua maggiore ragione d’essere in un quadro di itinerario di fede: segna un prima ed un dopo nel cammino intrapreso con la Chiesa e sotto la guida dello Spirito nel discernimento della vocazione matrimoniale. Da qui, è da augurarsi che si espliciti di più il tema della vocazione e quello pneumatologico. Ad ogni modo, se non è inserito in un itinerario di fede, ho molti timori per credere che per la maggioranza il rito continui ad essere in pratica come è nel rituale: un’appendice.

Per ciò che si riferisce alla celebrazione del sacramento del matrimonio, c’è da sperare che nel suo momento celebrativo centrale vengano resi espliciti il mistero pasquale e la presenza e l’azione dello Spirito (epiclesi). Non mi soffermerò ora a ripetere le ragioni di questo33, però certamente lo farò, per la lacuna del rituale, riguardo alle litanie dei santi o preghiera litanica.

Da ogni parte si insiste sulla necessità di rendere la celebrazione del matrimonio più partecipativa, in cui tutta l’assemblea si senta coinvolta. Orbene, le litanie sono uno dei mezzi opportuni per questo. È un momento privilegiato per prendere coscienza dell’essere Chiesa e di crescere in tale coscienza. È un fatto di fede nella comunione della Chiesa totale, di quella pellegrina e di quella trionfante che formano il Corpo mistico di Cristo.

Con le litanie, tutta l’assemblea si fa solidale con gli sposi, supplicando per loro il Signore e implorando l’aiuto di quei fratelli che hanno vissuto il loro cammino nella fede sulla terra e che ora godono già pienamente di Dio.

È una buona occasione per esprimere la santità delle diverse vocazioni, invocando l’aiuto di santi che hanno vissuto in stati di vita diversi. E dato che si possono "accomodare", si potrebbe inserire nelle litanie una lista più ampia di coloro che si sono santificati come mariti e mogli, come padri o madri. Ciò favorirebbe la presa di coscienza che coloro che si stanno per sposare (e quelli già sposati presenti nella celebrazione) entreranno in un cammino storico-salvifico ed ecclesiale, che altre persone hanno già percorso; che con il loro sì celebrativo si impegneranno a continuare quella catena salvifica, mediante la loro vocazione e missione matrimoniale nella Chiesa e nel mondo.

I santi e le sante sono modelli di vita per tutti i cristiani, però è logico che quelli che hanno condiviso l’esperienza matrimoniale siano "sentiti più vicini" da coloro che ora si dispongono a celebrare il matrimonio. In questo senso, l’inserimento delle litanie nella celebrazione liturgica del matrimonio favorirebbe un’attenzione maggiore da parte della Chiesa (per la elevazione alla dignità degli altari) verso tante persone sposate che, nella quotidianità, sono state (e sono) autentici apostoli del Vangelo e modelli di vita cristiana; non occorrerebbe, per questo, aspettare alcun fatto eroico, ma basterebbe l’eroica virtù di vivere la quotidianità come sposi e/o padri di famiglia. In questo senso, come ricordava il Papa (Lettera alle donne nn. 3 e 12), non bisogna dimenticare la moltitudine di donne e/o madri che, nel silenzio della vita quotidiana, e molte volte in situazioni sociali ingiuste, hanno contribuito e contribuiscono alla costruzione di una società più umana e alla trasmissione del Vangelo; né la società né la Chiesa potranno ringraziarle sufficientemente.

Il fatto che si inseriscano le litanie nella celebrazione del matrimonio potrebbe anche favorire che un giorno entrasse con più frequenza nel santorale la "categoria" degli sposi come coppia e che essi venissero celebrati nella liturgia congiuntamente come tali (non solo come "N. e sua moglie/marito N. martiri, padre di, madre di, martire sposa, martire sposo, ecc."), sarebbe cosa molto opportuna per la valorizzazione dello stato di vita matrimoniale.

Infine, è da ricordare che le litanie sono presenti nella celebrazione del Battesimo (in forma ridotta) e nelle celebrazioni liturgiche degli altri stati di vita della Chiesa: nella professione religiosa perpetua e nel sacramento dell’ordine (sia che si tratti di diaconi, presbiteri o vescovi); perché deve fare eccezione l’altro stato di vita, quello matrimoniale? Credo che le litanie dovrebbero essere inserite nel rituale del matrimonio, prima del consenso (come avviene per lo schema celebrativo del sacramento dell’ordine e della professione religiosa perpetua); o almeno che siano indicate come una scelta facoltativa da tenersi presente nella celebrazione, così, coloro che già le introducono "per la loro propria iniziativa" troveranno nel rituale la giustificazione per continuare.

Tenendo presente la situazione socio-culturale e religiosa attuale, così come le conseguenze sociali ed ecclesiali che derivano dal matrimonio e dalla famiglia, credo che il miglior modo di concludere la mia relazione sia di lasciare la parola a Bernanos, che ci ricorda qualcosa di fondamentale: "Dio, tramite suo Figlio, non ci ha detto: siete il miele del mondo. Dio, tramite suo Figlio, ci ha invitato ad essere il sale del mondo. E il sale, sulla pelle nuda, brucia, ma impedisce anche la putrefazione e la decomposizione"34.

NOTE al testo

1 Cf. A. Acerbi, Due Ecclesiologie. Ecclesiologia giuridica ed ecclesiologia di comunione nella "Lumen Gentium" (Bologna, 1975); G. Philips, La Chiesa e il suo mistero. Storia, testo e commento della Lumen Gentium (Milano, 1989, 4ª ed.) 15-509.

2 Cf. GS 46-52; LG 11,34-35,41; AA 4,11

3 F. Von Streng, "Animadversiones scriptae": Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Vaticani II, cura et studio Archivi Concilii Oecumenici Vaticani II, II/3, 559-560.

4 M.-T. Meulders-Klein, "Les recompositions familiales et le droit au temps du démariage", M.-T. Meulders-Klein et I. Théry (dirs.), Les recompositions familiales aujourd’hui (Paris 1993) 313-333.

5 Questo è il titolo del conosciuto studio di L. Roussel, La famille incertaine (Paris 1989).

6 F. Hurstel et Ch. Carré, "Processus psychologiques et parentés plurielles", M.-T. Meulders-Klein et I. Théry (dirs.), Les recompositions familiales aujourd’hui (Paris 1993) 191-214.

7 J.-L. Schlegel, Religions à la carte (Paris 1995).

8 Già non sorprende che si parli apertamente dell’era del postcristianesimo, anche se la società e molti dei suoi valori sono fortemente influenzati dal Cristianesimo: cf., per esempio, É. Poulat, L’Ère postchrétienne. Un monde sorti de Dieu (Paris 1994).

9 Non si tratta di una casualità il fatto che il Concilio inserisce il capitolo specifico sul matrimonio e la famiglia nella Costituzione dedicata al rapporto fra la Chiesa ed il mondo contemporaneo (GS 47-52). E la FC dedica il n. 4 a sottolineare la necessità di conoscere la situazione socio-culturale e religiosa in cui si trova oggi il matrimonio e la famiglia, affermando che "questa conoscenza è un’imprescindibile esigenza dell’opera di evangelizzazione.

10 "Dopo aver opportunamente ricordato ai fidanzati gli elementi fondamentali della dottrina cristiana, illustrino loro sia la dottrina relativa al matrimonio e la famiglia, sia il sacramento ed il suo rito, le preghiere e le letture, in modo che gli sposi possano celebrare con piena coscienza e con frutto" (n. 5).

Il nuovo rituale (= OCM 90), in base alla FC e al CIC 83, le dedica molto più spazio (nn. 12-21), segnalando che "si domanda un tempo sufficiente per la dovuta preparazione del matrimonio, e si deve avvertire per tempo i fidanzati di questa necessità" (n. 15).

11 Tradotto in italiano nel 1978: Rito dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti (= RICA).

12 Il citato documento CEI del 73 descrive l’itinerario catecumenale in generale come "il cammino di fede e conversione con cui l’uomo, mosso dall’annuncio della Buona Notizia, è introdotto nel mistero di Cristo e nella vita della Chiesa" ( n. 84).

13 Questo stesso schema è quello seguito dal Pontificio Consiglio per la Famiglia, Preparazione al sacramento del matrimonio (Città del Vaticano 1996).

14 L. Brandolini, "Catechesi matrimoniale rinnovata: catecumenato al sacramento del matrimonio", A.M. Triacca e G. Pianazzi (dirs.), Realtà e valori del sacramento del matrimonio (Roma 1976) 431-445.

Molto interessante la monografia di C. Rocchetta, Come evangelizzare oggi i cristiani. Il rito d’iniziazione cristiana degli adulti come proposta tipo per una nuova evangelizzazione (Bilbao 1994); le pp. 131-137 sono dedicate all’applicazione concreta del nostro tema [Originale italiano del 1985 che apparirà riscritto ed arricchito, con il titolo Fare cristiani oggi, nelle Edizioni Dheoniane di Bologna il prossimo autunno].

15 Lo stesso RICA lascia intravedere questa possibilità, dopo aver detto che il Rito è diretto, in primo luogo, ai non battezzati. Si tratta di un’estensione del cap. IV, autorevolmente confermata dalla Congregazione per il Culto Divino, ad altri casi di preparazione sacramentale, anche se i destinatari avessero già ricevuto il Battesimo. Cf. "Riflessioni sul cap. IV del RICA", Notitiae 9 (1973) 274-278; interessante vedere il commentario che fa a questo testo della Congregazione, nella stessa rivista di detta Congregazione, il celebre liturgista P. Gy: l’estensione si può riferire anche a coloro che, avendo ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana, hanno poi abbandonato la pratica religiosa e desiderano tornare ad essa; a coloro che, nella pratica della vita cristiana, desiderano approfondirsi nella loro fede (pp. 278-282). La CEI, nel suo documento programmatico del 73, Evangelizzazione e sacramenti, riflette questa risoluzione: "Ordo initiationis christianae adultorum prevede l’introduzione, nella nostra pastorale, di vari itinerari catecumenali... Tali itinerari potranno applicarsi: agli adulti ancora non battezzati, agli adulti che desiderino ricevere la Confermazione o celebrare il matrimonio..." (nn. 86-92).

Non bisogna dimenticare, tuttavia, che si tratta di una analogia, per cui non si può assimilare la situazione dei fidanzati a quella dei veri catecumeni, e il loro "cammino" di formazione ad un "catecumenato".

16 Il principio teologico che guida questo itinerario è ecclesiologico. Il matrimonio è un sacramento della Chiesa: da lei "germoglia", a lei "conduce" e favorisce la sua edificazione. Di conseguenza, la sua preparazione non interessa solo ai fidanzati, ma anche alla Chiesa in tutti i suoi membri come popolo profetico (che sviluppa la sua missione originale di annunciare la Parola), popolo sacerdotale (che celebra il culto santificante) e popolo reale (che educa alla libertà della vita dello Spirito e nella carità).

17 Cf. P.A. Holmes, "A Catechumenate for Marriage: Betrothal as Liturgical Rite of Passage", Ephem. Lit. 107 (1993) 224-240

18 Cf. M. Scouarnec, Pour comprendre les sacrements. Les sacrements, événements de communication (Paris 1991) 187-251.

19 Un interessante studio su questo aspetto si trova nell’ultimo capitolo ("Gestire la domanda dei riti di passaggio") dello studio di L.M. Chauvet, Les sacrements. Parole de Dies au risque du corps (Paris 1993) 189-216

20 Gli sponsali non includevano ancora la relazione sessuale; questo spiega come sia Matteo (1,18-25) come Luca (1,26-38), narrando la generazione di Gesù durante il periodo degli sponsali, sottolineino come questo fatto non fu facile da comprendere, tanto da parte di Maria quanto di Giuseppe, il quale, "poiché era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto". Cf. H.L. Strack-P. Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrash 2 (München 1924) 393.

21 Un classico per lo studio della storia del matrimonio nella Chiesa è K. Ritzer, Formen, Riten und religiöses Brauchtum der Eheschliessung in den christlichen Kirchen des ersten Jahrtausend (Münster 1962).

In lingua italiana: E. Schillebeeckx, Il matrimonio. Realtà terrena e mistero di salvezza (Cinisello Balsamo 1993; 5ª ed.) 215-346; però soprattutto P. Dacquino, Storia del matrimonio cristiano alla luce della Bibbia (Leumann - Torino 1984).

22 P. Jounel (presentée par), "Les fiançailles", La célébration des Sacrements (Paris 1983) 559-562.

23 Cf. A. Pardo (a cura di), Rituale dei sacramenti. Testi liturgici ufficiali (Madrid 1977; 2ª ed.) 591-599

24 Il Direttorio del 93, al n. 62, afferma che "all’inizio del cammino comunitario di preparazione catechetica alla celebrazione del matrimonio, può essere opportuna la celebrazione di una preghiera comune, affinché, con la benedizione di Dio, ciò che è iniziato possa essere un vero cammino di crescita e arrivare ad un felice compimento". E in nota: "Rispetto a questo, si può fare un utile riferimento al "Rito di benedizione dei fidanzati" (cf. Benedizionale, nn. 606-627)".

Per ciò che si riferisce al documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia, non si parla degli sponsali o benedizione dei fidanzati nel cap. II (dedicato a "le tappe o momenti della preparazione"), ma nel I (su "l’importanza della preparazione al matrimonio cristiano"), al n. 17, "... (il periodo del fidanzamento) è fatto pure di preghiera; a questo proposito è significativa la benedizione dei fidanzati prevista nel De Benedictionibus (nn. 195-214)".

25 Cf. A. Raes, Le mariage. Sa célébration et sa spiritualité dans les Églises d’Orient (Chevetogne 1958) 29-30, 55-56 e 140.

26 Rituel du mariage (Montréal 1983) 235: "Signore onnipotente e pieno di bontà, Tu hai permesso l’incontro di N.N., Tu sei la fonte di ogni luce e amore: degnati di preparare, mediante il tuo Santo Spirito, questi fidanzati al sacramento del matrimonio...".

27 La misericordia di Dio è effetto del suo amore totale, pieno di tenerezza e sollecitudine materna (la parola rahum = misericordioso, deriva da rehem = seno materno): cf. Ger. 3,12; Giole 2,13; Giona 4,2; Sal. 86,15-16; 145,8-9...

28 Per un approfondimento più ampio e sistematico: M. Martinez Peque, Lo Spirito Santo e il matrimonio nell’insegnamento della Chiesa (Roma 1993) 180-189.

29 Per una più ampia riflessione su questo tema: C. Rocchetta, Il sacramento della coppia. Saggio di teologia del matrimonio cristiano (Bologna 1996) 203-223.

30 Riguardo al tema del matrimonio come sacramento permanente: Rocchetta, Il sacramento della coppia, 225-254; Martinez Peque, Lo Spirito Santo e il matrimonio, 230-242.

31 Cf. Rocchetta, Il sacramento della coppia, 281-284; Martinez Peque, Lo Spirito Santo e il matrimonio, 178-179 e 218-226.

32 Schillebeeckx, Il matrimonio, 281-286; Dacquino, Storia del matrimonio cristiano, 369-373. A. Quilici, Les fiançailles. Lecture spirituelle du temps des fiançailles à l’intention de ceux qui ont quelques exigences (Paris 1993) 35-44.

È interessante che nel vicentino’, in ambiente popolare, tuttavia, oggi si usi l’espressione andare a farsi novizi quando i fidanzati vanno a preparare i documenti per le pubblicazioni in vista del loro proprio matrimonio.

33 Cf. Martinez Peque, Lo Spirito Santo e il matrimonio, 164-175, 111-119 e 234-237.

34 G. Bernanos, Diario di un curato di campagna (Milano 1992) 27.