L’IDENTITÀ PERSONALE.

 

Introduzione

Quello dell’identità personale è uno dei temi originari della storia della filosofia occidentale che hanno avuto il pregio di tenere a battesimo la nascita stessa del pensiero filosofico, sin dalle prime, classiche, trattazioni logiche di Aristotele,(fig. qui sotto) passando per la mediazione cartesiana, e quindi moderna, del problema del cogito, giungendo alle problematiche contemporanee sull’identità personale, care sia alla filosofia dell’essere, all’ermeneutica, così come alla filosofia analitica anglosassone e alla philosophy of mind americana.
Il problema dell’
identità personale, risulta, in realtà, costituito da una natura intrinsecamente duplice e biplanare. Esso non risponde semplicemente alla primordiale esigenza di trovare una risposta al classico interrogativo "chi siamo?", ma si sdoppia nell’analisi del problema logico di che cosa sia la stessa relazione di identità tra oggetti, simboli, o soggetti personali, (problema logico) e nella disamina del concetto stesso di persona (problema ontologico, e, allo stesso tempo psicologico).
Contemporaneamente, a partire dai primi passi della filosofia moderna, con René Descartes, il problema della natura dell’io personale ha visto incrociare la propria vicenda storica e filosofica con quella, non meno spinosa o celebre, del problema
mente - corpo (mind – body problem, nella letteratura analitica) che Descartes tentò di risolvere (gettando così le basi di una tradizionale concezione dell’identità personale ancora invalsa ai giorni d’oggi) elaborando il suo dualismo, basato sulla distinzione tra res cogitans e res extensa. Per Descartes, in sostanza, rispondere alla domanda "che cosa è l’io" significa rispondere al problema "Che cosa è la mente?"; e quest’ultima per Descartes è una sostanza ben definita, (distinta da quella corporea) inestesa, immateriale, che costituisce, al tempo stesso, l’insieme del flusso di tutti i pensieri, percezioni, rappresentazioni mentali, idee: la res cogitans. L’io, quindi, è, in questa prospettiva, puro pensiero, ed è connesso al corpo da una piccola ghiandola situata al centro del cervello, la ghiandola pineale (o pituitaria).


Il dualismo di Descartes venne per la prima volta, seppur implicitamente, sottoposto ad un’analisi critica nelle ricerche di
John Locke (Essay on Human Understanding, 1691), il quale elaborò una propria teoria dell’identità personale destinata ad avere, fino agli ultimi anni dell’attuale secolo, una fortuna notevole, soprattutto tra molti autori appartenenti alla cosiddetta tradizione "analitica". Secondo Locke la struttura mentale fondamentalmente responsabile della trasmissione dell’autocoscienza e dell’identità in un unico soggetto cosciente è la memoria. Tramite la memoria la mente umana è in grado di poter ricostruire il flusso di ricordi e percezioni che collegano l’identità attuale dell’Io con sé stesso, nel tempo t, alla consapevolezza che di sé stesse ebbe lo stesso Io in un tempo precedente t’. La relazione di identità diviene così trasmissibile nel tempo nella mente di una stessa persona non solo per il tramite di un rapporto logico di eguaglianza, che in ogni oggetto biologico è confutato dalle leggi della nascita, della crescita, della maturazione e dell’invecchiamento, che ne causano un cambiamento continuo e irriducibile in schematismi logici, ma anche e soprattutto da un rapporto di ordine psicologico, veicolato dalla memoria stessa.

Le soluzione di Descartes e di Locke vennero ambedue respinte dal filosofo scozzese David Hume nella sesta appendice del suo Treatise on Human Nature.

Per Hume ciò che concorre ad originare in noi l’idea di un io unico e responsabile di ogni attività mentale è una pura illusione, generata dall’esistenza, nella mente umana, di un fascio di percezioni, provenienti da ogni parte del corpo e da ogni stimolo sensoriale o mnemonico o immaginativo. Fascio di percezioni che tende ad originare l’esperienza dell’unità della coscienza, e che, tuttavia, la stessa mente umana sente l’esigenza di raccogliere attorno all’idea "centrale" di un io soggettivo, unico spettatore del teatro della coscienza. L’empirismo radicale di Hume, quindi, da un lato smontava pezzo per pezzo la convinzione cartesiana dell’esistenza di un io unificato, titolare della responsabilità personale di un soggetto, ed al tempo stesso confutava la concezione Lockiana, in base alla quale la memoria poteva essere considerata una condizione necessaria e sufficiente perché, in una mente, si dessero tutte le condizioni ideali di continuità ed unità dei pensieri in un unico io.
Immanuel Kant nella sua Critica della Ragion Pura (1781) e precisamente nella sezione intitolata all’Analitica Trascendentale tentò di rispondere allo scetticismo riduzionistico di Hume introducendo la definizione, imprenscindibile per tutto il sistema kantiano, di
appercezione trascendentale.


Nel diciannovesimo secolo il concetto di io fu posto alla base della reinterpretazione della filosofia Kantiana, (il cui scopo era quello di pervenire alla fondazione di un sistema idealistico) operata da Johann Gottlieb Fichte (1762 – 1814).


Alla fine dello stesso secolo una delle analisi più approfondite del problema dell’identità personale fu condotta nei suoi Principi di Psicologia dal filosofo pragmatista americano
William James.
Fratello dello scrittore Henry James, e allievo del fondatore del pragmatismo americano Charles Sanders Peirce, James legò l’esito della propria personalissima analisi dell’identità personale al concetto da lui propugnato di stream of consciousness, destinato ad avere un notevole impatto nella psicologia successiva, nonché nella letteratura di lingua inglese della prima metà del novecento, come mostra il ricorso ad una tecnica narrativa chiamato con lo stesso nome dallo scrittore irlandese
James Joyce nei suoi capolavori Ulysses e Finnegan’s Wake, e l’utilizzo dello stream of consciousness in altre opere di autori come Virginia Woolf (To the lighthouse) e William Faulkner (The Sound and the Fury).
Nel XX secolo il problema dell I.P. è stato oggetto di diversissimi e numerosissimi approcci, non ultimi quelli apportati dall’affermarsi della psicoanalisi, della psicologia sperimentale, dell’ermeneutica, dall’esistenzialismo.
La filosofia analitica morale contemporanea e, in particolar modo, gran parte delle impostazioni filosofiche interne al dibattito sulla bioetica, vedono nelle disquisizioni attuali sul concetto di I.P. uno dei punti di appoggio per lo sforzo sostenuto da moltissimi autori del novecento, nell’analisi di concetti come quello di agente morale e interesse personale nonché nella trattazione, tipica degli ultimi approcci di alcuni filosofi viventi, sia analitici che continentali, del problema delle generazioni future.


In opposizione all'approccio analitico, restano da considerare, per la loro fondamentale importanza all'interno del filone ermeneutico, le analisi del filosofo francese
Paul Ricoeur, il quale, per primo, ha gettato un ponte, foriero di successivi approfondimenti da parte della filosofia ermeneutica e del decostruzionismo, tra il concetto stesso di identità personale (distinto da Ricoeur nella doppia problematica del concetto logico di medesimezza e il momento esistenziale e narrativo della ipseità ) e quello di narratività. Nasce così, con Ricoeur, il bisogno di affrontare l'orizzonte teoretico lasciato aperto dagli approcci della filosofia dell'esistenza e della semiotica strutturalista alla teoria della letteratura e del romanzo, (Sé come un altro, Tempo e racconto).


Nel presente percorso tematico verranno delineati, punto per punto, gli ultimi sviluppi di questo affascinante dibattito, mettendo in relazione tra loro gli aspetti appartenenti agli approcci più eterogenei e discordanti ed individuando i filoni nonché i generi di discussione filosofica più sostenuti all’interno di campi di ricerca come la bioetica, l’indagine sociologica e psicologica sul tema dell’identità di genere, la filosofia analitica del linguaggio, l’ermeneutica, l’esistenzialismo e altre correnti filosofiche passate o presenti.