Educazione dei figli diritto-dovere inalienabile

Diritti dei figli e diritti dei genitori

 

 

Giovanni Francilia

 

Premesso che è difficile poter trattare un tema così difficile perché ogni figlio è un universo a se stante essendo una persona che sin dal concepimento assume delle caratteristiche proprie anche se legato ai geni familiari di provenienza. Quelle che porgo sono considerazioni che vanno filtrate e mediate dalla propria esperienza personale.

Volutamente mi fermo a considerare i rapporti dei genitori con i figli "minori" anzitutto perché per ogni genitore il figlio è sempre "bambino" nel senso affettuoso del termine, poi perché i più di noi hanno problemi legati al rapporto educativo con i figli "piccoli" adolescenti compresi, infine perché il rapporto con i figli grandi non può essere trattato genericamente essendo diversa la psicologia di ogni giovane e di ogni genitore. Tuttavia credo che le considerazioni qui riportate potranno ben adattarsi alle esigenze di rapporto e di comprensione anche dei figli "grandi".

Alcuni episodi di allontanamento di minori dai propri genitori disposti da giudici o da operatori sociali, ha provocato violente campagne di stampa e talvolta forti reazioni popolari. Sulla base delle affermazioni dei genitori - che ovviamente si dichiarano vittime di un sopruso e sempre amorosamente ripiegate sui propri figli - vengono allestiti processi sommari e pronunciate pesanti condanne nei confronti di chi dovrebbe preoccuparsi della tutela di bisogni fondamentali di quella persona umana che è il minore e che in vece si ritiene e si rappresenta come sadicamente desideroso di strappare bambini a genitori forse un po' sprovveduti, ma sempre affettuosi e attenti alle esigenze dei propri figli e di fare così ulteriori violenze a bambini che in definitiva vivono felicemente nella propria famiglia. Si approfitta del fatto che gli organi pubblici incolpati non possono intervenire nel pubblico dibattito esponendo le ragioni vere per cui il provvedimento è stato assunto: perché sono tenuti al segreto e perché la rivelazione di situazioni spesso assai inquietanti pregiudicherebbe innanzi tutto gli adulti e poi gli stessi minori, rivelando miserie umane che non possono, e non debbono, essere date in pasto alla morbosa curiosità della gente.

Certo, errori dei giudici e degli operatori sociali vi possono essere: ma il rimedio non può essere la celebrazione di sommari e disinformati processi alternativi. Il rimedio è nel controllo da parte dei giudici dell'impugnazione sull'operato dei giudici di primo grado e nella costituzione di quell'organo pubblico di tutela del minore che è stato da più parti invocato e che ancora non viene istituito. Ed inoltre in una maggiore e migliore specializzazione del giudice e dei servizi.

E comunque assai singolare che in una società così poco attenta ai bisogni delle persone l'allontanamento di un minore dalla propria famiglia susciti tanta emozione e così profonde reazioni. In realtà - in una società tutta artificiosa e tutta legata alla logica del contratto - sembra inconcepibile che venga messo in discussione l'ultimo residuo legame "naturale" (quello genitore-figlio) ancestralmente percepito come inalienabile ed intangibile e quindi come ultimo baluardo contro la società che avanza. Per comprendere meglio queste reazioni, e le loro motivazioni, forse è opportuno interrogarci sul modo con cui, nella nostra società di oggi, vengono interpretati - al di là delle affermazioni teoriche - i diritti dei minori e i diritti degli adulti nei loro confronti, nonché sul modo in cui questi diritti - apparentemente contrapposti - possono trovare un equilibrio e un incontro.

Le ambiguità dei diritti del bambino

Questo nostro secolo è stato definito il secolo dell'infanzia per la particolare attenzione rivolta al soggetto in età evolutiva e ai suoi diritti; ma un sociologo ha invece definito, e non senza ragione, questo nostro secolo come il secolo degli adulti che finiscono - malgrado le Dichiarazioni e le Convenzioni internazionali - per utilizzare e sfruttare l'infanzia misconoscendone i sostanziali diritti. Qualche considerazione più approfondita merita di essere sviluppata su questo tema.

Nell'impegno - proprio di questo nostro momento storico - a dilatare la sfera dei diritti si annida il pericolo che tutto sia considerato diritto, anche le attese, i desideri, i bisogni particolari che non hanno reale esigenza di essere legittimati. Sorge così il rischio che nello sviluppo teorico dei "diritti" rivendicati, si sfumi tutto costruendo attese che sono avvertite dal singolo come diritti ma che spesso finiscono con il confliggere con diritti, di altri e talvolta con gli stessi reali e più significativi interessi del soggetto. Ciò vale per tutti ma in modo particolare per il soggetto in età evolutiva: un soggetto che ha visto nel passato del tutto trascurati i suoi diritti, trasformati in mere aspettative e che rischia oggi - se non si procederà con molta prudenza ed intelligenza - di vedersi sovraccaricato di teorici diritti non solo non concretamente fruibili, ma anche sostanzialmente contrari alle sue più profonde esigenze, perché innescano reazioni non previste che possono ritorcersi contro di lui e danneggiarlo. Basti pensare all'asserito diritto del decenne a liberamente "agire" la sua sessualità ignorandone gli effetti sconvolgenti sullo sviluppo della personalità; ad una esasperata interpretazione del diritto del figlio alla propria famiglia naturale, che si risolve in un mantenimento di relazioni destrutturalizzanti nella illusoria speranza di un recupero che non potrà mai avvenire; all'affermato diritto del minore di conoscere le proprie radici che si risolve nel rendere precari i nuovi e strutturanti rapporti familiari costruiti e comunque di compromettere con rivelazioni conturbati sia la vita del ragazzo che la eventualmente ricostruita vita del genitore naturale.

Poiché la individuazione dei diritti del bambino è sempre fatta dagli adulti, occorre una grande vigilanza, perché può accadere che interessi esclusivi degli adulti siano contrabbandati - più o meno coscientemente - come di ritti del bambino. I diritti - e in particolare quelli del bambino - non possono essere meramente declamati, ma devono essere effettivamente goduti perché costituiscono espressione di bisogni fondamentali della persona che esigono un concreto appagamento. Molto, troppo spesso i nostri politici e i nostri amministratori si contentano di salvarsi l'anima proclamando i diritti dell'infanzia senza minimamente preoccuparsi di creare strutture e strumenti indispensabili per attuarli.

Avviene così che, mentre si riconoscono nuovi diritti, si vadano contraendo in misura rilevante risorse finanziarie per quegli Enti locali a cui è affidato il compito di realizzare strutture in grado di attuare i diritti sociali del minore; che si moltiplicano i convegni sull'affidamento familiare mentre si riduce la possibilità per i servizi di sostenere adeguatamente questa impegnativa esperienza di aiuto sociale; che si declama il sostegno alla famiglia e al minore ma si sanitarizzano sempre di più i Consultori familiari e cioè lo strumento previsto proprio per risolvere i problemi psico-sociali delle relazioni familiari; che si elargiscano ingenti mezzi economici per l'azione di recupero della devianza giovanile, ma si lesinano ancora i mezzi per impostare una globale strategia della prevenzione del disagio. Non può meravigliare in questo contesto che malgrado i molti riconoscimenti formali dei diritti dei minori vi siano ancora nel nostro paese molti bambini abbandonati pur se non sono affidati agli orfanotrofi e vivono fisicamente in famiglia ma privi di un serio e costruttivo rapporto con i propri genitori;

- molti bambini abusati" perché psicologicamente trascurati (e non solo nelle famiglie ma anche nelle istituzioni):

 

 

 

 

 

•molti bambini sfruttati, dagli adulti; molti bambini colonizzati da famiglie che impongono modelli preconfezionati e da una società che impone al ragazzo identità posticce; •molti bambini dimenticati e indifesi per ché i loro fondamentali diritti sono misconosciuti da servizi burocratizzati e scoordinati e da famiglie affettivamente assenti e psicologicamente o pedagogicamente insufficienti; •molti bambini invisibili come i nomadi, la cui fanciullezza e scomparsa. come gli immigrati, talvolta tollerati ma mai veramente integrati, come i bambini del sottoproletariato, precocemente espulsi dal sistema scolastico e formativo e che solo nella strada svolgono il loro apprendistato alla vita.

Il bambino risorsa strumentalizzata

La particolare attenzione nei confronti del minore rischia che si risolva non tanto in una attenzione rinnovata verso Il bambino come persona - e cioè come soggetto auto nomo da rispettare anche se da aiutare nel suo difficile itinerario di sviluppo - quanto piuttosto in una attenzione al bambino come risorsa e cioè come un soggetto da utilizzare e da sfruttare; una risorsa

- per i genitori che attendono da lui solo gratificazioni personali spesso utopiche, o una monetizzazione delle sue qualità e abilità (basti pensare al mercato dei bambini a scopo adozionale, alla sua vendita sul mercato della pubblicità, alla sua precoce utilizzazione nel lavoro domestico o extrafamiliare, alla sua immissione sul mercato della pornografia o della prostituzione);

- per i mezzi di comunicazione di massa i quali hanno scoperto che i casi di bambini disgraziati o contesi o devianti suscitano morbose curiosità nel pubblico e quindi aumenti delle tirature o dell'audience;

- per la pubblicità, sia come consumatore da conquistare, sia come strumento privilegiato di propaganda di prodotti;

 

 

 

 

 

•per il mercato del lavoro, perché la sua utilizzazione nel lavoro nero assicura a bassissimo costo prestazioni non irrilevanti sul piano produttivo;

 

 

 

 

 

- per la criminalità organizzata, e in genere per la criminalità adulta, che sempre più utilizza un soggetto penalmente irresponsabile e che si contenta di ridotti profitti in attività delinquenziali di strada (piccolo spaccio di droga, scippi, estorsioni, furti);

- per gli adulti sempre più desiderosi di esperienze sessuali anomale;

- per gli operatori per l'infanzia, talvolta preoccupati solo di ottenere proprie possibilità di lavoro;

 

 

 

 

 

•per i politici impegnati più a farsi facile pubblicità declamando sui diritti del bambino che a predisporre strutture e risorse perché i loro bisogni vengano appagati.

Se si perde il senso del bambino come "valore" - e la verticale caduta nel nostro paese del tasso di natalità ne potrebbe essere una inquietante spia - sarà inevitabile non solo il suo sfruttamento, ma anche la sua sostanziale emarginazione dalla vita sociale.

Diritto al figlio e sul figlio

Va nel contempo emergendo sempre di più nella nostra società una accentuata rivendicazione dei diritti dell'adulto nei confronti del bambino (in America si sono già costituite le associazioni dei genitori maltrattati) ed una ipervalutazione dei diritti degli adulti nei loro confronti. La faticosa conquista culturale degli anni settanta, tutta imperniata sul riconoscimento dei diritti dell'adulto per il minore, si va fortemente appannando mentre riemerge prepotentemente una cultura del diritto dell'adulto al figlio e sul figlio. Si va accentuando la convinzione che l'adulto ha diritto ad ottenere un figlio che lo gratifichi, che lo renda "normale", che possa alleviare e sostenere e rivitalizzare la propria fase di decadenza. Nella generalizzata concezione della vita come un self service in cui basta allungare una mano per prendere ciò che si desidera, sembra che questo nuovo e fondamenta le bene di consumo che sembra essere considerato il figlio non possa essere negato ad alcuno. Perciò l'adozione deve essere consentita anche alle persone sole, alla famiglia che vive la precarietà dei rapporti come propria scelta fondamentale di vita (la famiglia c.d. di fatto), alla coppia monosessuale. Non può aver rilievo il fatto che il bambino ha l'esigenza di avere - se possibile - una coppia genitoriale educante per sviluppare adeguatamente il suo itinerario di crescita umana. Si cerca di dimenticare, e si fanno sforzi concettuali per escluderlo, che il bambino nel suo itinerario maturativo ha bisogno della dualità genitoriale per superare i pericoli dell'unilateralità e che, come l'esperienza dimostra, la famiglia monoparentale è una famiglia a rischio. La coppia genitoriale è essenziale al bambino per risolvere la situazione edipica: la tendenza naturale verso il genitore del sesso opposto si risolve fisiologicamente quando gli estremi della costellazione familiare (padre e madre) non sono difettosi ovverosia quando il bambino trova nei genitori modelli significativi su cui identificarsi. Alla polarizzazione dell'affettività verso il genitore dell'altro sesso, ed all'atteggiamento di odio-rivalsa-ammirazione per il genitore dello stesso sesso, seguirà, in presenza di un rapporto di tenerezza della coppia, la rinuncia definitiva all'oggetto primario di amore, alla posta della competizione, alla sublimazione degli impulsi a conquistare il genitore di sesso opposto. Se la competizione edipica tra padre e madre non sarà reale - perché la madre avrà già scelto il padre e viceversa - il bambino/a si renderà conto del l'inutilità del suo comportamento seduttivo. Di converso una risoluzione non avvenuta di questa situazione può por tare a gravi distorsioni nello sviluppo. Ed è la coppia genitoriale eterosessuale che porta il ragazzo a vivere la sessualità non come attività meramente genitale, ma nella capacità di interscambio e di complementarietà nella differenza. Inoltre la coppia genitoriale è essenziale al minore anche come strumento di socializzazione: è la coppia che dà concreto e vivente esempio di come si gestisce un rapporto interpersonale fatto di accettazione dell'altro per quello che è e non per quello che si pretende sia e di servizio reciproco anziché di sfruttamento; è la coppia che abitua il bambino ad uscire dall'io per costruire un noi.

Si teorizza oggi anche la possibilità, attraverso l'ingegneria genetica, di consentire ad ognuno di potersi costruire un figlio come e quando si vuole, anche se si è molto anziani, anche se non si è in condizioni di aiutarlo veramente nel suo difficile itinerario di crescita. Il bambino "creato" rischia di essere solo cosa in proprietà del suo creatore; il bisogno di autorealizzazione narcisistica a qualunque costo rende estremamente difficile un relazionarsi con lui alla pari, il sapersi progressivamente ritrarre per dar spazio al ragazzo che cresce, il non caricarlo di aspettative eccessive a cui difficilmente il bambino potrà dare concrete risposte con conseguenti risentimenti. La società oggi giustifica anche quel triste fenomeno del mercato dei bambini a scopo adozionale in nome del di ritto dell'adulto di appagare con qualunque mezzo la sua "esigenza" di avere un figlio.

I diritti della famiglia

Va prepotentemente ritornando la concezione che il genitore ha diritti assoluti sul figlio. Se è tramontata l'arcaica figura del "padre-padrone" si va sostituendo ad essa la non meno conturbante figura della "madre-padrona". Riconosciuto un assoluto diritto di vita e di morte della madre sul prodotto del suo concepimento; la madre può disporre come meglio crede della vita del proprio figlio: anche dopo la nascita "il figlio è mio e lo gestisco io". La famiglia va oggi sempre più esigendo il riconoscimento dei suoi diritti: il che è sacrosanto se la richiesta è quella di avere un maggior sostegno da parte dell'organizzazione statuale per poter esplicare sempre meglio la sua fondamentale funzione.

Ciò è però meno vero, e giusto, se l’affermazione dei diritti della famiglia si traduce nella pretesa che nessuna autorità possa intervenire a tutelare diritti conculcati dei suoi membri; nella convinzione che la famiglia deve poter disciplinare le sue relazioni interne in assoluta autonomia e insindacabilità.

La sacrosanta autonomia della famiglia non può scambiarsi per una sostanziale autarchia; il giusto riconoscimento che questa comunità naturale deve potersi liberamente autoregolare non può significare che la famiglia debba essere riconosciuta come "porto franco" in cui abbiano legittimazione tutte le onnipotenze e tutte le prevaricazioni del soggetto forte sul soggetto debole; il riconoscimento dei diritti della famiglia non può far trascurare il fatto che tali diritti - come espressamente riconosce la nostra Carta costituzionale - sono subordinati all'adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà familiare; l’essere un importante gruppo intermedio della nostra società non le può consentire una totale estraniazione dalla società stessa e quindi la possibilità di rifiutare quei valori e quei principi che costituiscono le fondamentali regole etiche universalmente riconosciute come fondanti una convivenza giusta e rispettosa dei diritti fondamentali di ogni persona.

I poteri che l'ordinamento conferisce nell'ambito familiare non sono funzionali al personale ed egoistico interesse dei singoli membri, ma costituiscono funzioni per lo sviluppo della comunità nel suo insieme e delle singole personalità che la compongono. La conseguenza deve essere che, se la comunità non è in grado di adempiere la sua vera funzione, viene automaticamente a cadere ogni ragione che inibisca alla comunità organizzata in Stato di intervenire sulla autonomia del gruppo. Se non si è saputo utilizzare rettamente della libertà riconosciuta, in quanto non la si è indirizzata al perseguimento dei superiori interessi della comunità, e se la famiglia non ha saputo comporre nel suo seno eventuali contrasti, lo Stato - supremo regolatore e moderatore di tutte le relazioni intersoggettive - deve intervenire a garanzia di diritti fondamentali della persona vilipesi. Non possiamo non rilevare come, in questi ultimi anni, va esplodendo nella nostra società una sempre maggiore insofferenza nei confronti degli interventi della organizzazione comunitaria a tutela di diritti fondamentali del minore conculcati dalla sua famiglia ed una scatenata campagna giornalistica contro operatori sociali e giudici minorili descritti come i veri aguzzini dei bambini, come esseri senza cuore - e un po' sadici - che godono nel togliere poveri bambini che tutto sommato vivono felicemente la propria vita a genitori affettuosi e sufficientemente adeguati. Ha cominciato una illustre romanziera (la Ginzburg) che, emotivamente troppo coinvolta nel caso di Serena Cruz, ha teorizzato che dovrebbe essere inibito agli operatori sociali e ai giudici di intervenire per separare il bambino dalle persone che lo allevano a meno che non vi siano "ragioni di una gravità estrema: quando queste persone lo maltrattano, gli fanno del male. Del male vero, visibile, palese. Quando nel bambino vi siano dei veri, visibili segni di patimento". Ma chi ha esperienza, non solo romanzesca dei bambini, sa che quello che uccide e mutila è più spesso la violenza psicologica o la trascuratezza che la mera e bruta violenza fisica, più facilmente accettata dal bambino anche perché la ritiene sempre giustificata da qualche sua mancanza e la vive comunque come dimostrazione di interesse nei suoi confronti da parte del genitore. Chi per esperienza professionale ha contatti con adolescenti disadattati perché passivi o ribelli, sa che la destrutturazione di personalità e l'annientamento di un essere umano può essere causata non solo o non tanto da patimenti fisici visibili e che il disagio infantile raramente è riscontrabile attraverso la oggettiva constatazione di segni sulle sue membra: molti adolescenti bloccati, disperati, chiusi nella loro sofferenza, privi di un briciolo di autostima, succubi nei confronti degli altri e dell'ambiente, o aggressivi contro se stessi e contro gli altri, non hanno mai subito nella loro infanzia violenze fisiche, ma hanno sofferto di gravi carenze non solo affettive, ma anche pedagogiche.

Sono poi seguite campagne di stampa che ratificano l'idea che la famiglia non deve essere "disturbata" e che gli organi di protezione e di sostegno - quelli giudiziari come quelli sociali - sono tutti colti da una collettivo raptus persecutorio nei confronti di genitori innocenti e di bambini felici. Abbiamo visto anche in questi ultimi tempi intere scolaresche, guidate e organizzate dagli insegnanti, scendere in piazza per protestare contro l'intervento di un Tribunale per minorenni che aveva allontanato da una famiglia tre bambine che erano state sessualmente insidiate - e forse qualche cosa di più - da membri della famiglia. E delle "sedicenti educatrici" hanno avuto l'impudenza ed il cinismo di affermare ai giornali che i giudici avevano esagerato nel preoccuparsi, perché "tutti abbiamo giocato da bambini al dottore".

E la televisione, ed anche la stampa, monta sempre più spesso processi alternativi che eccitano la morbosa curiosità del pubblico e quindi aumentano audience e tirature. Processi alternativi in cui sono presenti solo gli adulti interessati, che espongono con sicumera la propria verità di comodo, sicuri di non poter essere contraddetti.

Non può non sorgere il dubbio - di fronte alla martellante ripetizione di queste campagne - che tutto ciò sia funzionale ad un disegno, peraltro assai presente a livelli più generali della nostra società, di superamento della solidarietà sociale in nome di un individualismo in cui il più forte ha diritto di imporre le sue regole ed il più debole ha solo il dovere di accettare, di soccombere; di smantellamento dello Stato sociale i cui costi non si è più disposti a soste nere; di abolizione di regole che sono sempre a garanzia del più debole perché il più forte ha sempre la possibilità di imporre in altro modo i suoi particolari interessi e di tutelarli .

Conclusioni

Bisogna riconoscere che non sussistono diritti dei figli che si contrappongono a diritti dei genitori: non vi può essere nel nostro ordinamento un diritto alla educazione del bambino e dell'adolescente che confligge con un diritto alla diseducazione di cui sarebbe titolare il genitore.

Potranno esserci divergenze di valutazione sugli strumenti per attuare un diritto all'educazione che è comune al bambino e al suo genitore, non un conflitto tra due diritti soggettivi. In realtà nell'ambito familiare è venuto il momento di riconoscere che non si contrappongono diritti soggettivi diversi ma devono trovare componimento diritti relazionali comuni a tutti i membri che compongono il nucleo familiare. Una contrapposizione di diritti può sussistere solo quando le carenze educative familiari diventino così rilevanti da imporre la sostituzione di una famiglia degli affetti ad una famiglia biologica incapace di assicurare al soggetto in formazione tutto quel materiale necessario per potersi costruire compiutamente come persona. Ma che in questo caso sia indispensabile privilegiare il diritto del mino re su quello degli adulti appare evidente per non condannare un essere umano ad un aborto differito e ad una lenta morte spirituale ben più drammatica della stessa morte fisica. E se la relazione genitoriale è autenticamente relazione d'amore, e non di egoistico possesso, anche in questo caso le situazioni soggettive non sono in contrasto ma convergenti: come è reso evidente da tante madri che, per il bene delle loro creature a cui non erano in grado di assicurare un avvenire, hanno spontaneamente dato il consenso all'adozione dei propri figli non per sbarazzarsi di essi, ma per assicurare loro un futuro meno agro. Non sono queste madri snaturate - come una certa cultura tende ad affermare - ma madri nel senso più pieno della parola perché autentiche genitrici di vita.

 

 

 

 

 

 

 

Don Giovanni Francilia