FEDE E CULTURA PIÙ CHE COMPATIBILI?

di DARIO ANTISERI

 

Al Progetto culturale della Cei, fortemente voluto dal card. Camillo Ruini e inteso all’evangelizzazione della cultura, sono state rivolte varie critiche; e qualcuno ha anche scritto che la cultura di oggi proibirebbe l’esistenza di Dio e costituirebbe, in sostanza, la premessa di un globale processo di scristianizzazione. Ebbene dico subito che io sono completamente convinto del contrario: mai, come oggi, la cultura è stata tanto compatibile con il messaggio cristiano. Il nostro secolo si è aperto con filosofie come l’idealismo, il positivismo e il marxismo. Si è trattato di filosofie totalizzanti, di "grandi racconti" che, illudendosi di poter offrire un senso razionale alla vita dei singoli e alla storia umana nella sua interezza, hanno preteso di proibire ogni spazio alla fede.

Alcune brevi annotazioni. La filosofia contemporanea, nelle sue punte più avanzate, e consapevoli, ha esattamente devastato le pretese di quanti, a vario titolo, sostengono assoluti terrestri. È stato Karl Popper – e non soltanto lui – ad assestare i colpi più decisivi allo scientismo: i discorsi non scientifici non sono affatto insensati e fuori dalla critica, pur non essendo empiricamente controllabili, e le teorie scientifiche restano smentibili di principio. Gadamer ci dice che noi leggiamo e affrontiamo il mondo con il nostro linguaggio; ma i nostri concetti sono a priori non assoluti, sono temporalizzati; dunque i grandi racconti che pretendevano esibire fundamenta inconcussa non sono più pensabili.

Popper – con altri – ha mostrato che le filosofie della storia – da lui chiamate storicismo – sono tutte invalide; il futuro, infatti, non è prevedibile, in quanto la scienza di oggi non può prevedere la scienza di domani, e quindi non può prevedere nemmeno la tecnologia di domani da cui dipenderà gran parte della società di domani. Contro lo pseudo-razionalismo dello storicismo si è battuto anche Friedrich A. von Hayek, il quale, insistendo sulle inevitabili conseguenze inintenzionali di azioni umane intenzionali, è giunto a concludere, in una concezione anticostruttivistica, che "il futuro non è e non sarà mai totalmente nelle nostre mani". E Kelsen, Popper, Hayek – e certamente non solo loro – hanno messo a nudo la totale inconsistenza delle argomentazioni a sostegno dello stato totalitario, elaborando al contempo le ragioni della società aperta (Popper), o Stato di diritto (Kelsen), o Grande società (Hayek).

Insomma, nell’armamentario concettuale elaborato da pensatori contemporanei come Kelsen, Popper, Gadamer, Wittgenstein e Hayek è possibile trovare gli strumenti più efficaci per la demolizione di quegli assoluti terrestri che vietano lo spazio della fede. E va da sé che la limitazione delle pretese assolutistiche e totalizzanti della ragione umana è il presupposto primo perché il credente possa fare la sua scelta, e perché la scelta stessa sia possibile. La fede è dono a parte Dei, e scelta a parte hominis. Ma nessuno sceglierà una proposta di fede – per esempio, quella cristiana – se altri sono riusciti a dimostrare razionalmente e in modo incontrovertibile che tale fede è impostura, alienazione, non-senso, oppio del popolo, ecc. In altri termini, la fede non è possibile in un universo dove tutta la realtà si risolvesse nel solo universo fisico; in cui l’uomo fosse solo corpo; in un mondo in cui quello scientifico fosse l’unico linguaggio dotato di senso; e in cui il senso della vita del singolo e dell’umanità nella sua interezza fosse determinato da ineluttabili leggi di sviluppo della storia.

Dunque: perché la fede sia possibile è necessario che vengano preliminarmente distrutti quegli ostacoli che ne proibiscono la scelta. Ma proprio questo è quanto è significativamente accaduto nel nostro secolo: sono andate in frantumi le "grandi illusioni" e le "presunzioni filosofiche" con le quali esso si era aperto. In questo nostro secolo non si assiste affatto alla morte di Dio, sono piuttosto scomparsi, uno dopo l’altro, assoluti terrestri, vitelli d’oro. Non è scomparsa la "grande filosofia". È scomparsa la grande illusione filosofica secondo la quale l’uomo sarebbe capace di autosalvezza, di salvare sé stesso dai gorghi dell’assurdo. E in una situazione di questo genere emerge, con sempre più forza, la "grande domanda": richiesta di senso. "Richiesta di senso" e non un’esigenza di "spiegazione scientifica". Un bambino muore a cinque anni di cancro al cervello dopo sofferenze che non si possono narrare. La scienza spiega perché il bambino è morto. Ma quello che qui interessa è il senso di questa morte: questa sofferenza innocente sarà mai giustificata? Ci sarà una ricompensa un "giorno", altrove?

La scienza non risponde, per principio, alle domande più importanti per noi. Il porro unum necessarium esula dalla ragione scientifica. E non è possesso della ragione filosofica: la filosofia non salva. Ma "proprio perché le grandi risposte non sono alla portata della nostra mente, l’uomo rimane un essere religioso, nonostante tutti i processi di demitizzazione, di secolarizzazione, tutte le affermazioni della morte di Dio, che caratterizzano l’età moderna e ancor più quella contemporanea" (N. Bobbio).

Non sono alla portata della mente umana le grandi risposte. Ma lo sono le grandi domande. E "il compito della filosofia oggi è di tenere in vita queste grandi domande, perché impediscano alla massa degli indifferenti di divenire preda del fanatismo di pochi". Ecco, dunque, che "il compito della filosofia oggi", è sempre Bobbio a parlare, "è porre domande, non lasciare l’uomo senza domande, e fare intendere che al di là delle risposte della scienza c’è sempre una domanda ulteriore, non appagarsi mai della risposta, per quanto ardita e geniale, dello scienziato". Compito della filosofia è ancora quello di eliminare gli assoluti terrestri. La filosofia non salva. E ciò anche se essa può condurre a perdizione: ai Lager, ai gulag, alla disperazione. Ecco perché è sempre urgente stare in guardia contro l’abuso della ragione, contro il soffocamento dell’esperienza umana più piena, più ricca, più vera: l’esperienza religiosa. È questo un compito che i filosofi cristiani non possono mai perdere di vista.

Esiste una domanda, una richiesta di senso per la nostra vita. "L’esigenza di una risposta a queste domande c’è, queste domande ci sono, il che spiega", afferma Bobbio, "la forza della religione. Non è sufficiente dire: la religione c’è ma non dovrebbe esserci. C’è. Perché c’è? Perché la scienza dà risposte parziali e la filosofia pone solo domande senza dare risposte". La "grande domanda", nella sua essenza più profonda, non è un "problema", è un’"invocazione": un’invocazione di senso assoluto che nessuno potrà mai costruire. Leggiamo nella Lettera a Diogneto: "Questa dottrina (cristiana) non è stata trovata da loro col pensiero e la cura di uomini operosi, né (i cristiani) difendono un’opinione umana come alcuni".

Dunque: non è affatto vero che la cultura contemporanea è incompatibile con la fede cristiana. Una coscienza angosciata dalla mancanza di senso della vita, capisce il cristianesimo così come un animale affamato sa distinguere il cibo dalle pietre (S. Kierkegaard). Tutto ciò dà una prospettiva teoretica. Storicamente vediamo che la fede cristiana ha davvero costituito il sale della terra: ha disincantato il mondo rendendolo così disponibile all’investigazione scientifica; ha motivato la grande arte; la ritroviamo in tutta una serie di opere di grandi filosofi da Agostino a Tommaso, da Pascal a Cartesio, a Kierkegaard, da Rosmini a Barth e Rahner; ha ispirato con i suoi valori sistemi politici e costituzioni.

Male interpretata, la fede cristiana ha talvolta generato drammi; ma è sempre la fede nel vangelo ad aver sorretto i martiri e testimoni di giustizia, verità e fratellanza. Ecco un altro compito della cultura cattolica: far sì che non si perda la memoria dei frutti culturali e storici della fede, da una parte per non ripetere gli errori già commessi e dall’altra per trarre dagli esempi del passato il coraggio, intellettuale e morale, per fronteggiare "alla luce della fede" e del concetto di "persona", per esempio, problemi pressanti come quelli provenienti dalla bioetica, questioni politiche interne come quella della libertà d’insegnamento o problematiche politiche inedite come quelle connesse alla globalizzazione dell’economia.

Dario Antiseri

  

Vita Pastorale n. 12 - dicembre 1997