ACCLAMATIO

L'acclamazione in antico erano le grida con cui più persone, generalmente riuniti in assemblea, manifestavano la loro approvazione per una cosa o per qualcuno. Nell'antica Roma era detta acclamazione la cerimonia decretata al generale vincitore, e poi l'elezione dell'imperatore da parte delle truppe a viva voce e senza ricorso ai voti, usanza rimasta fino a poco tempo addietro anche tra le forme legittime di elezione del Pontefice Romano.

Le acclamazioni liturgiche sono invece brevi formule riservate all'assemblea per rispondere alle preghiere, alle letture, alle ammonizioni durante i sacri misteri. Al saluto del sacerdote: Dominus vobiscun si acclama: Et cum spiritu tuo; alle litanie: Kyrie eleison (forse di origine pagana; Christe eleison è di origine occidentale, e non era nota in Oriente: Greg. M., Registrum, IX, Ep. 26: PL 77, 956).

L'acclamazione Amen, usata già nella sinagoga, esprime l'assenso alle preghiere solenni (Giust., I Apol. 65, 3-4) e all'eucaristia: "Non otiose dicis tu Amen, iam in spiritu confitens quod accipies Corpus Christi. Cum ergo tu petieris, dicit tibi sacerdos Corpus Christi et tu dicis Amen, hoc est Verum. Quod confitetur lingua teneat affectus" (Ambr., De Sacram., IV, 25: SCh 25 bis, 116; Aug., Serm. 272; 334, 362). Essa è una delle poche parole importate dall'ebraico senza cambiamento, per l'eccezionalità della frequenza sulla bocca del Salvatore (28 volte in Mt, e duplicata 26 volte in Gv); la sua radice dal verbo aman, la collega al verbo ‘rafforzare' o ‘confermare' (I Paralipomenon, xvi, 36; Ps., cv, 48; Tobias, ix, 12); nei LXX è tradotta con genoito, genoito, e nella Vulgata con fiat, fiat; il testo Massoretico ha Amen, Alleluia; il Talmud afferma che Amen non veniva detto nel tempio ma solo nella sinagoga (Edersheim, The Temple, p. 127), ma con ciò non è detto che fosse proibito nel tempio, ma solo che la risposta dell'assemblea era ritardata per non interrompere la solennità del rito e rispondere con una formula meno sintetica.

L'uso liturgico è implicito in I Cor., xiv, 16: pos erei to amen epi te se eucharistia.

La ''Didache'' o ''Insegnamento dei Dodici Apostoli'', riporta l'Amen solo una volta e in compagnia di maranatha, come una giaculatoria dell'assemblea. Strano che non si trovi nel Pater.

La preghiera di S. Policarpo, A.D. 155, prima del martirio si conclude con Amen'', e si aspetta la fine della preghiera prima di dar fuoco alla pira. Nelle Constitutioni Apostoliche solo tre volte è chiaramente indicato l'Amen assembleare, cioè dopo il Trisagion, dopo la Preghiera d'Intercessione, e al momento di ricevere l'Eucaristia. Serapione attesta nella metà del secolo IV che ogni preghiera dell'anaphora era conclusa dall'Amen, il cui significato certamente sfuggiva.

L'interpretazione di Augustine e dello Ps.-Ambrogio sebbene non risulti esatta: verum est, è tuttavia vicina al senso generale. La Congregatione dei Rites (n. 3014, 9 Giugno 1853) l'ha inspiegabilmente tolto dalla formula battesimale, mentre è rimasta in Oriente, sia sulla bocca degli astanti, sia su quella del ministro. Strano anche che alla benedizione del diacono l'Amen lo dica il celebrante e così nel rito dell'Unzione e della Riconciliazione.

Nel rito mozarabico della benedizione episcopale è ripetuto ad ogni invocazione, e così pure dopo ogni petizione del Pater. Già S. Giustino Martire (A.D. 151) attesta l'Amen dopo la grande preghiera consecratoria (Justin, I Apol., lxv, P.G., VI, 428). E' strano che nella riforma liturgica siano stati aboliti tutti gli Amen, oggetto di controversia per l'interpretazione della recita segreta del Canone. Un'altra anomalia era l'omissione dell'Amen prima del Pater nella messa pasquale celebrata dal papa.

Il valore numerico delle lettere greche dell'Amen (=99: alpha=1, mu=40, epsilon=8, nu=50), lo fa apparire nelle iscrizioni, a volte con valore magico.

Nella liturgia romana l'Alleluia (cf Ap 19,1-6) è l'acclamazione al vangelo (non in Quaresima: Reg. Ben. c. 15). Sozomeno (HE VII, 19: PG 67, 1475) disapprova che la chiesa romana lo canti solo la domenica di Pasqua. Giovanni Diacono (Ep. ad Senarium, 13: ST 59, 178) attesta che era cantato durante il tempo pasquale. Agostino ne spiega il senso in Serm. 254, 256, 362.

Deo gratias e Laus tibi, Christe sono acclamazioni dopo le letture e il vangelo. Deo gratias è attestata in ambito benedettino quando il portinaio riceve un ospite (Reg. Ben. 66). Laus tibi, Christe è di origine gallicana e si ispira alle liturgie orientali.

Il Sanctus è un canto ma può essere considerato un'acclamazione che chiude il prefazio e anticipa la proclamazione della gloria di Dio con gli angeli (Tert., De Orat., 3). La parte acclamatoria è Hosanna in excelsis, che precede e segue il versetto Benedictus qui venit, aggiunto al tempo di Cesario (Serm. 72,2: CCL 103, 307), ma le Constitutiones Apostolorum (VIII, 13) lo pongono alla comunione. Acclamazioni recenti sono state collocate dopo il racconto dell'istituzione eucaristica nel canone romano e negli altri formulari per la celebrazione della messa.