AMPLIFICATIO HERMENEUTICA

Quella che la Chiesa Cattolica chiama e ritiene Divina Revelatio appare una dilatazione ermeneutica del commercium divinum col creato, con l'uomo soprattutto. La Bibbia, che riporta e fissa nel documento scritto tale commercium, è in realtà dilatatio hermeneutica dilatationis hermeneuticae, la cui fonte è Dio.

Il valore non assoluto ma relativo della Scrittura, rispetto al credente, è esposto da s.Agostino: ''Si ergo invenires aliquem, qui evangelio nondum credit, quid faceres dicenti tibi: non credo? Ego vero evangelio non crederem, nisi me catholicae ecclesiae commoveret auctoritas'' (AUG., Contra ep. Man. fund. 5), cioè è la Chiesa custode e interprete della Scrittura, perché Cristo, come Verbum, è dilatazione ermeneutica del messaggio primordiale di salvezza, di cui Vangeli, Atti, Lettere, Apocalisse, sono testimonanze e resoconti pubblici e ufficiali.

Gesù era proclamato e creduto il Messia preannunciato dai profeti, era quindi naturale applicare - dilatare - a lui i testi anticotestamentari tradizionalmente considerati messianici: "Tu, per bocca di Davide, padre nostro e tuo servo, per mezzo dello Spirito santo hai detto: ''Perché tumultuano le genti e le nazioni macchinano vani disegni? Si sono sollevati i re della terra, i principi hanno fatto congiura contro il Signore e contro il suo Cristo'' (I salmi 2,1; 2,7; 109,1 sono ripresi in Atti 4,25-26; Mt. 22,44; Atti 2,34-35; 13,33).

Fuori del modulo messianico politico, alla luce della pasqua, il servo sofferente di Is. 53 e il giusto perseguitato dei salmi 21 e 68 furono riletti in chiave cristologica, allargandoli - dilatandoli - oltre l'ambito specifico polemico della realizzazione delle profezie in Cristo.

La fede scopriva Cristo nel VT anche dove, per gli Ebrei, non esisteva un significato messianico: "Non abbandonerai nell'inferno l'anima mia, né permetterai che il tuo santo veda la corruzione" (salmo 15,10); "Uno che mangia il mio pane ha levato contro di me il suo calcagno" (salmo 40,10; Mt. 26, 23; Gv 13, 18; Atti 2, 31).

Cristo era la chiave per leggere l'Antico Testamento, egli era capace di rimuovere il velo che offuscava la vista dei Giudei (2Cor. 3,12 ss) e dava il significato autentico del libro sacro.

Tale tecnica esegetica non ha niente di nuovo rispetto ai moduli ermeneutici giudaici della lettura attualizzante della Bibbia: riferendo Ps. 2,1 all'ostilità dei giudei e dei romani contro Cristo, non si fa niente di nuovo rispetto a quanto facevano i qumraniti, identificando l'empio e il giusto di Abac. 1,4 col Sacerdote empio e col Maestro di giustizia.

Opera invece una rivoluzione ermeneutica Paolo, quando legge tutta la Bibbia, comprese le parti narrative, alla luce di Cristo, e considera Agar e Sara prefigura delle due alleanze, Ismaele e Isacco prefigura dei giudei e dei cristiani (Gal 4,24 ss). Paolo non infirma la storicità delle due donne ma sovrappone alla lettura storica un nuovo livello di lettura, cristologico (ecclesiale), che si sovrappone al livello di lettura letterale senza sopprimerlo né danneggiarlo.

Questo procedimento in Gal. 4,24 da Paolo è definito allegoria: "Tutto ciò è espresso in modo allegorico (a)llhgorou/mena)"; invece in 1Cor. 10,7 è definito tipologia - con il termine tu/poj: il passaggio del Mar Rosso è considerato simbolo del battesimo, la manna simbolo dell'eucarestia.

L'allegoria era usata anche dai filosofi e dai grammatici pagani, per spiegare i loro miti: Zeus ed Era simboleggiavano il cielo e l'aria, e non esistevano in sé (Diodoro di Tarso, nella prefazione del commento al salmo118: M.Simonetti, Lettera e/o allegoria, Roma 1985, p.160).

Ma il giudeo ellenizzato Filone interpreta allegoricamente l'Antico Testamento per farlo coincidere con concetti fondamentali della filosofia greca, senza mettere in dubbio la validità letterale degli episodi storici, sovrapponendovi il significato allegorico senza sopprimerlo. Paolo si comporta come Filone, e il fatto che il referente allegorico dei personaggi storici interpretati da Filone non sia storico (Sara simbolo della sapienza, Agar simbolo della scienza profana), come è invece in Paolo, non modifica il senso del procedimento tecnico.

In Gv 3,14; 19,36 il serpente di bronzo di Num. 21,9 e l'agnello pasquale di Es. 12 sono addotti come prefigurazioni simboliche della crocifissione e morte di Gesù. Il procedimento era passibile - e in realtà lo fu - d'interpretazione praticamente illimitata.

La progressiva dilatazione dell'interpretazione cristologica dell'Antico Testamento dai logoi profetici passa anche e soprattutto ai typoi storici, con predilezione per le grandi figure di Noè, Abramo, Giacobbe, Mosè, e non solo aumenta la quantità dei testi del VT interpretati in senso cristologico ed ecclesiale, ma l'interpretazione si fa sempre più attenta ai dettagli, con conseguente incremento dell'allegorizzazione. In Ireneo - e ancora di più in Ippolito - la tensione verso il senso cristologico spinge addirittura l'interprete a negare il significato storico della storia d'Israele, per leggerlo solo come simbolo e profezia di Cristo. Ippolito nega che le parole rivolte da Giacobbe, in Gen. 49, a Ruben, Simeone, Levi e agli altri figli possano essere dette a loro e le considera profezie cristologiche (PO XXVII 50.52.54.62).

Gli gnostici interpretavano in senso accentuatamente allegorico il racconto biblico della creazione dell'uomo (Gen. 1,26-27; 2,7), per ricavarne la distinzione tra uomini spirituali psichici e materiali, e poiché negavano il dogma della risurrezione finale dei corpi, interpretavano allegoricamente tutti i passi biblici che potessero aver rapporto con questa dottrina.

Contro di loro si affermò che tali passi dovevano essere intesi in senso rigidamente letterale. Di qui l'incoerenza per cui da una parte si applica l'interpretazione allegorica per il VT come simbolo di Cristo e dall'altra si respinge la stessa tecnica d'interpretazione fatta dagli avversari a beneficio della loro dottrina. Scompensi di questo genere sono in Ireneo e Tertulliano, e furono senza dubbio favoriti anche dalla scarsa preparazione filologica e critica che si avverte in tutta la più antica fioritura letteraria cristiana soprattutto asiatica.

Soprattutto Origene dilatò l'orizzonte dell'esegesi cristiana sia per i contenuti sia per la forza espressiva e la sottopose ad un profondo ripensamento metodologico, filologico e critico, con un salto di qualità che la pose accanto alle esegesi giudaica e pagana più elevate.

Princìpi ispiratori dell'ermeneutica origeniana (alessandrina) sono:

•- 1. L'interpretazione globalmente cristologica della Scrittura, unitariamente considerata, le cui parti si illuminano una con l'altra.

•- 2. L'esigenza di maggior impegno filologico e critico.

•- 3. La convinzione (cf Filone e Clemente) che la Scrittura non è di facile comprensione, in quanto la parola divina va accostata con timore, devozione e adeguata preparazione: essa si serve del linguaggio simbolico, per nascondere il significato più profondo sotto il velo della lettera, ed esercitare asceticamente l'acribia del vero studioso e scoraggiare invece l'approccio superficiale del curioso e dell'indegno. •- 4. L'orientamento esegetico di base fondato sulla concezione platonica di un universo strutturato a due livelli sovrapposti, mondo sensibile e mondo intellegibile.

 

 

Origene fa corrispondere ai due livelli platonici di realtà i fondamentali livelli interpretativi, quello letterale, rinchiuso nell'ambito della realtà fenomenica, e quello spirituale, che riesce ad attingere il livello superiore di realtà. Il cristiano semplice si accontenta di rimanere al primo livello, ma chi sente l'urgenza di approfondire il significato cristiano della sua vita, si adopera a innalzarsi al secondo livello.

Il significato letterale del testo sacro ha valore soprattutto propedeutico, in quanto serve a introdurre in modo corretto al significato spirituale, cioè cristologico.

Origene è convinto che la Scrittura, in quanto parola divina, è inesauribilmente feconda e perciò invita l'interprete ad approfondirla, pur non potendo mai riuscire ad esaurirne il significato.

Le guarigioni miracolose di Gesù, al di là dell'ovvio significato letterale, a livello superiore d'interpretazione e interiorizzazione significano la guarigione dell'anima umana dal peccato, in un rapporto personale del Logos con ogni uomo e a questa interpretazione di tipo individuale Origene accosta, quella spirituale di stampo comunitario: nel Cantico dei cantici egli aggiunse l'interpretazione individuale, che vi ravvisava i simboli del Logos e dell'anima del credente, all'interpretazione comunitaria tradizionale, che vedeva nei due sposi i simboli di Cristo e della chiesa,

L'interpretazione allegorica della Scrittura non è quindi il risultato di un libero gioco di fantasia, ma rappresenta lo strumento fondamentale che permette d'interpretare l'Antico Testamento quale prefigurazione profetica e simbolica di Cristo e della Chiesa, rendendolo accessibile ai cristiani di origine pagana, spingendo gli esegeti cristiani ad un'interpretazione globalmente unitaria dell'intera Scrittura in chiave, appunto, cristologica, e contribuendo allo sviluppo del processo di elaborazione e definizione ideologica in base al quale la chiesa ha chiarito e fissato in modo definitivo la sua stessa autocoscienza.

Concludendo: l'allegoria (da a)lla\ a)goreu/ein = dire altre cose) è il procedimento poetico e retorico per cui si dice una cosa e se ne significa un' altra. Dante scrive selva e intende peccato. Indica anche il procedimento ermeneutico per cui si attribuisce un significato sopratestuale estraneo all'autore: le peregrinazioni di Ulisse come simbologia delle vicissitudini dell'anima umana in cerca di redenzione.

I greci già dal s.V a.C., soprattutto per impulso della filosofia stoica, interpretarono miti e leggende omeriche come simboli o di forze soprannaturali o di situazioni e passioni dell'anima. Così rendevano accettabile ad una matura sensibilità morale anche miti che presi alla lettera risultavano immorali o comunque troppo antropomorfi.