CREDO vel CONFESSIONES vel SYMBULA FIDEI

Vi sono formule dottrinali nel NT (Rom 1,3-4-4,24-25- 1 Cor 8,6; 1 Tim 2,5; 3,16; 2 Tim 2 8- I Ptr 3,18) e nella letteratura cristiana antica (Ign., Eph. 18,2, Trall. 9; Smyrn. 1,1-2, Polic., Ep. 2,1), ma non possono essere identificate come simboli rudimentali perché troppo diversificate e mancano di paralleli posteriori.

Predecenti del simbolo possono ritenersi la formula trinitaria basata o ricavata da Mt 28,19, connessa, come implica il testo, col rito battesimale, e la forma interrogatoria, cioè presentata al candidato al battesimo in una serie di domande. La confessione cristologica fu inclusa nella più semplice formula trinitaria e diede origine al credo oggi noto come Simbolo apostolico, anche se tanto le formule separate che la formula di sintesi erano diverse da chiesa a chiesa.

Verso la metà del s.II appare un altro tipo di formula, la Regola di fede - kanw\n th=j a)lhqei/aj, k. e)kklhsiastiko/j, k. th=j pi/stewj, o)/roj - regula fidei, regula veritatis, mensura fidei, regula pietatis. Diversa dal simbolo battesimale, consiste in un sommario della fede cristiana quale veniva insegnata nelle diverse chiese, in termini leggermente diversi, ma con la dottrina sostanzialmente identica.

Nella seconda generazione cristiana si diffuse l'uso della traditio e redditio symboli, cioè la consegna del simbolo ai catecumeni, all'inizio della loro iscrizione e nello stesso rito del battesimo.

Symbolum designò la professione di fede, in forma interrogatoria, quando il candidato veniva battezzato, e quello declaratorio, detto in prima persona dal candidato.

Il Simbolo apostolico ebbe origine probabilmente dal sud-ovest della Francia (Septimania) e fu ampiamente adottato nell'Europa occidentale prima di essere accettato dalla chiesa romana, all'incirca tra 1'800 e il 1000. La leggenda secondo cui ciascun apostolo avrebbe formulato un articolo di questo credo era largamente accettata dalla fine del s.IV.

Nel s.III la formula dottrinale divenne attestato di ortodossia: Eraclide la impose ad Origene verso il 246, per provare la sua ortodossia; la Lettera di Imeneo fu probabilmente proposta a Paolo di Samosata tra il 264 e il 268. Il primo simbolo declaratorio usato certamente come prova di dottrina ortodossa si trova nella lettera che Eusebio, vescovo di Cesarea in Palestina, scrisse ai suoi fedeli subito dopo il concilio di Nicea del 325, e che egli sostiene essere il credo appreso durante l'istruzione catechetica prima del battesimo.

Egli dichiara che il simbolo battesimale era identico a quello redatto dal concilio cui aveva partecipato. Il Simbolo niceno del 325 proclamava solennemente la divinità di Cristo.

Tale credo fu utilizzzato come criterio di ortodossia per tutti i fedeli e proclamava, Gesù "generato dalla sostanza del Padre", "generato, non fatto", "della stessa sostanza del Padre" (o(moou/sion, lat. consubstantialem). Furono aggiunti anatematismi o condanne di particolari dottrine ariane ("c'è stato un tempo in cui non esisteva", "prima di essere stato generato non esisteva", "è stato fatto dal nulla", deriva "da una differente Persona [u(po/stasij] o sostanza" [che quella del Padre], è "mutabile o alterabile").

Il "Simbolo della Dedicazione" o "secondo antiocheno" , redatto dal sinodo di Antiochia del 341, ometteva homoousion, descriveva le Persone trinitarie come "tre quanto alla Persona" (u(po/stasij) ma uno nell'armonia (sumfoni/a) e il Figlio come "l'immagine senza differenze della sostanza (ousia) del Padre", e anatematizzava molte opinioni ariane. Il "Quarto Simbolo antiocheno" (sempre del 341) fu inviato dai vescovi orientali all'imperatore Costante in Occidente, nel tentativo di conciliarsi l'opinione occidentale.

Anch'esso ometteva homoousion e anatematizzava qualche proposizione ariana, ma chiamava Cristo semplicemente "Dio da Dio". Questo simbolo costituì la base del "Quinto antiocheno" detto Ekthesis makrostichos, redatto ad Antiochia nel 344, che conteneva una lunghissima appendice per condannare un'ampia serie di opinioni eterodosse, specie quelle che inclinavano al sabellianismo (il rifiuto di vedere distinzioni di persone nella divinità), in particolare quella di Marcello di Ancira, e del "Primo Simbolo di Sirmio", formulato dal II concilio di Sirmio (351), diretto in gran parte contro Marcello e il suo più radicale discepolo, Fotino di Sirmio.

Una direzione del tutto nuova fu presa con la comparsa, nel 357, del "Secondo Simbolo di Sirmio", che i suoi successivi oppositori designavano come "la bestemmia di Sirmio". Qui, per la prima volta, emergeva qualcosa di simile a una consistente teologia ariana: veniva rigettato ogni uso di "sostanza" (ousia) come termine per definire la relazione del Figlio al Padre, rifiutava di speculare al riguardo e subordinava drasticamente il Figlio al Padre, insieme col resto della creazione. Il simbolo provocò una reazione tra un certo numero di teologi orientali, e ne nacque il "Terzo Simbolo di Sirmio", al IV concilio di Sirmio (358): esso optava per o(moiousi/a anziché per o(moousi/a e rigettava le alternative ariane del 357.

Un simbolo intermedio, noto come "Credo datato", fu redatto al V Concilio di Sirmio nel maggio del 359 in preparazione a un concilio generale da tenersi dagli orientali a Seleucia di Cilicia, dagli occidentali a Rimini in Italia; questo simbolo rigettava l'uso di ousia, ma descriveva il Figlio quale "simile al Padre in ogni cosa". Il credo che rappresentava il risultato di questo concilio generale dopo che i conflitti teologici e l'interferenza imperiale avevano vinto - credo di Nike, 360 - era una versione diluita del "Credo datato", definiva il Figlio semplicemente come "simile secondo le Scritture", lasciando ampio spazio all'interpretazione ariana.

Il concilio di Costantinopoli del 381 elaborò il Simbolo niceno-costantinopolitano. Il termine homoousion fu ripreso, e furono assicurate l'eterna generazione del Figlio e la sua non-creaturalità, una piccola e curiosa clausola, "il suo regno non avrà fine", fu inserita in opposizione alla dottrina (ormai pressoché estinta) di Marcello, e il riferimento allo Spirito santo, fu molto allargato per descriverlo come "Signore e datore di vita", procedente dal Padre e "col Padre e col Figlio adorato e glorificato", secondo l'insegnamento dei Cappadoci, di Basilio in particolare.

Dapprima in Spagna, probabilmente sotto la pressione dell'arianesimo dei Visigoti, più tardi in tutta l'Europa occidentale, e nel 1014, a Roma, all'espressione "che procede dal Padre" furono aggiunte le parole "e dal Figlio" (Filioque), aggiunta per più di un millennio causa di disaccordo e attrito tra chiesa orientale e occidentale. La prassi di recitarlo nell'eucaristia fu introdotta nella chiesa orientale verso il 500. In Occidente se ne trova traccia al concilio di Toledo, in Spagna (589), poi nella chiesa irlandese e in fine nell'impero di Carlo Magno, nei s.VIII e IX. La chiesa di Roma l'adottò solo nel 1014.

Il cosiddetto Simbolo atanasiano, o Quicumque, di datazione discussa, deriva da Agostino e ancor più dal Commonitonum di Vincenzo di Lérins. Chiaramente diretto contro gli errori di Ario e di Nestorio, ha un'esposizione lapidaria e concisa, in latino tardo, con l'affermazione del Filioque.

Symbolum Apostolorum

Credo in Deum Patrem omnipotentem, Creatorem caeli et terrae.

Et in Iesum Christum, Filium eius unicum, Dominum nostrum, qui conceptus est de Spiritu Sancto, natus ex Maria Virgine, passus sub Pontio Pilato, crucifixus, mortuus, et sepultus, descendit ad inferos, tertia die resurrexit a mortuis, ascendit ad caelos, sedet ad dexteram Dei Patris omnipotentis, inde venturus est iudicare vivos et mortuos.

Credo in Spiritum Sanctum, sanctam Ecclesiam catholicam, sanctorum communionem, remissionem peccatorum, carnis resurrectionem, vitam aeternam. Amen.

Quicumque

Quicumque vult salvus esse, ante omnia opus est, ut teneat catholicam fidem:

Quam nisi quisque integram inviolatamque servaverit, absque dubio in aeternam peribit.

Fides autem catholica haec est: ut unum Deum in Trinitate, et Trinitatem in unitate veneremur.

Neque confundentes personas, neque substantiam seperantes.

Alia est enim persona Patris alia Filii, alia Spiritus Sancti: Sed Patris, et Fili, et Spiritus Sancti una est divinitas, aequalis gloria, coeterna maiestas.

Qualis Pater, talis Filius, talis Spiritus Sanctus. Increatus Pater, increatus Filius, increatus Spiritus Sanctus. Immensus Pater, immensus Filius, immensus Spiritus Sanctus.

Aeternus Pater, aeternus Filius, aeternus Spiritus Sanctus.

Et tamen non tres aeterni, sed unus aeternus.

Sicut non tres increati, nec tres immensi, sed unus increatus, et unus immensus.

Similiter omnipotens Pater, omnipotens Filius, omnipotens Spiritus Sanctus.

Et tamen non tres omnipotentes, sed unus omnipotens. Ita Deus Pater, Deus Filius, Deus Spiritus Sanctus.

Et tamen non tres dii, sed unus est Deus.

Ita Dominus Pater, Dominus Filius, Dominus Spiritus Sanctus.

Et tamen non tres Domini, sed unus est Dominus.

Quia, sicut singillatim unamquamque personam Deum ac Dominum confiteri christiana veritate compelimur: ita tres Deos aut Dominos dicere catholicareligione prohibemur.

Pater a nullo est factus: nec creatus, nec genitus. Filius a Patre solo est: non factus, nec creatus, sed genitus. Spiritus Sanctus a Patre et Filio: non factus, nec creatus, nec genitus, sed procedens.

Unus ergo Pater, non tres Patres:

unus Filius, non tres Filii:

unus Spiritus Sanctus, non tres Spiritus Sancti.

Et in hac Trinitate nihil prius aut posterius, nihil maius aut minus:

sed totae tres personae coaeternae sibi sunt et coaequales.

Ita ut per omnia, sicut iam supra dictum est, et unitas in Trinitate, et Trinitas in unitate veneranda sit.

Qui vult ergo salvus esse, ita de Trinitate sentiat.

Sed necessarium est ad aeternam salutem, ut incarnationem quoque Domini nostri Iesu Christi fideliter credat.

Est ergo fides recta ut credamus et confiteamur, quia Dominus noster Iesus Christus, Dei Filius, Deus et homo est.

Deus est ex substantia Patris ante saecula genitus: et homo est ex substantia matris in saeculo natus.

Perfectus Deus, perfectus homo: ex anima rationali et humana carne subsistens.

Aequalis Patri secundum divinitatem: minor Patre secundum humanitatem.

Qui licet Deus sit et homo, non duo tamen, sed unus est Christus.

Unus autem non conversione divinitatis in carnem, sed assumptione humanitatis in Deum.

Unus omnino, non confusione substantiae, sed unitate personae.

Nam sicut anima rationalis et caro unus est homo: ita Deus et homo unus est Christus.

Qui passus est pro salute nostra: descendit ad inferos: tertia die resurrexit a mortuis.

Ascendit ad caelos, sedet ad dexteram Dei Patris omnipotentis:

inde venturus est iudicare vivos et mortuos.

Ad cuius adventum omnes homines resurgere habent cum corporibus suis: et reddituri sunt de factis propriis rationem.

Et qui bona egerunt, ibunt in vitam aeternam: qui vero mala, in ignem aeternum.

Haec est fides catholica,

quam nisi quisque fideliter firmiterque crediderit,

salvus esse non poterit. Amen.

Symbolum Nicaenum-Constantinopolitanum

Credo in unum Deum, Patrem omnipotentem, factorem caeli et terrae, visibilium omnium et invisibilium.

Et in unum Dominum Iesum Christum, Filium Dei unigenitum, et ex Patre natum ante omnia saecula. Deum de Deo, Lumen de Lumine, Deum verum de Deo vero, genitum non factum, consubstantialem Patri; per quem omnia facta sunt.

Qui propter nos homines et propter nostram salutem descendit de caelis.

Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est. Crucifixus etiam pro nobis sub Pontio Pilato, passus et sepultus est, et resurrexit tertia die, secundum Scripturas, et ascendit in caelum, sedet ad dexteram Patris.

Et iterum venturus est cum gloria, iudicare vivos et mortuos, cuius regni non erit finis.

Et in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem, qui ex Patre Filioque procedit. Qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur: qui locutus est per prophetas.

Et unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam. Confiteor unum baptisma in remissionem peccatorum. Et expecto resurrectionem mortuorum, et vitam venturi saeculi. Amen.

cria - chreia - est exercitium inventionis: definitur terminus, vel declaratur sententia

Cultura e Lingue Classiche come genere letterario

La maestà della cultura classica di cui parla la Veterum Sapientia non è stata mai intesa dai Cristiani come platonicamente destinate a suscitare ko/smoj e)pe/wn a)patelo/j, armonia di vuote parole.

Essa fu ritenuta piuttosto la più idonea ad assumere come modello di riferimento e humanitatis cibus, alimento della cultura, tutta quello che l'umana civiltà ha saputo produrre, per rendere l'uomo sepre più uomo (B. Amata, Cultura e Lingue classiche, LAS, Roma 1988; A. Quacquarelli, Reazione pagana e trasformazione della cultura, Edipuglia, Bari 1986; AA. VV., Insegnare l'antico, Atlantica Editrice, Foggia 1986).

La grande stagione dei vescovi catecheti del s.IV segna il periodo di maggiore affermazione della responsabilità di ogni singolo uomo per la trasformazione della società. L'interesse cristiano per le scienze ebbe una finalità prevalentemente volta alla conoscenza e all'approfondimento della divina Rivelazione. Il lavoro umano in tale prospettiva fu considerato non solo come necessità per il soddisfacimento dei bisogni primordiali della persona, ma anche come cosciente collaborazione alla piena manifestazione della divina creazione.

La dignità della donna trovò nell'iconografia cristiana la prima sicura affermazione come immagine sublime della Chiesa, vergine e madre ad un tempo, che guardava come suo modello a Maria, vergine e madre di Dio. La grande Patristica non conobbe un fenomeno depauperante della demitizzazione: segni e simboli furono aiuto alla debolezza umana perché attingesse, pur attraverso il velo del mistero, l'Eterno Verbo di Vita.

La cultura della Chiesa fondamentalmente si è sempre dichiarata nemica di ogni dualismo antropologico e di ogni separazione tra la sfera del temporale e dell'eterno, essendo una tale divisione pregiudizievole allo sviluppo integrale dell'uomo. Soltanto settarie e ipocrite concezioni del progresso possono pretendere unilateralmente di confinare il credente nella sfera del privato.

La paideia umanistica fu assunta e quasi assoggettata alla disciplina della Chiesa. La philantropia, l'amore per l'uomo, divenne espressione visibile dell'Agape, cioè delI'Amore di Dio, conforme al noto messaggio biblico.

L'eccessiva valenza dell'effimero e di ciò che conta ''oggi'', esaltati dalla grande risonanza dei mezzi di comunicazione, hanno reso pressoché privo di significato l'interesse per il passato e per il destino futuro dell'uomo. L'economia storica della salvezza e la dimensione escatologica della città terrena sono così finite fuori dell'orizzonte visibile e gratificante degli interessi personali immediati.

In modo forse sprezzante e preconcetto, alla parola ''tradizione'' si è imposto il significato di passatismo obsoleto, che bisogna emarginare, perché si opporrebbe al progresso umano.

Uguale sorte è toccata alle realtà future e alla ricerca della verità sul destino finale dell'uomo, liquidati superficialmente come problemi inesistenti o insignificanti, perché non cadono sotto l'immediata verificabilità dei sensi. Ne è derivato il diffuso atteggiamento pratico del carpe diem, di cogliere cioè l'attimo fuggente, senza preoccuparsi di ricercare l'ariston metron, cioè l'ideale equilibrio umano e cristiano, di non aderire al perituro come se fosse eterno e di non disprezzare quanto è terreno come fosse soltanto transeunte.

Diffusa risulta anche presso gli studenti degli Atenei Ecclesiastici la mentalità che l'impegno pastorale o attivo può impunemente distogliere l'attenzione da quello studio serio ed esigente, che porta all'acquisizione personale e all'approfondimento ecclesiale del Mistero di Salvezza. Non rare volte esso viene percepito a livello fortemente epidermico, soggettivo, e forse sentimentale, senza le basi teologiche e spirituali, che sole possono robustamente e lungamente motivare e riempire di carità pastorale la vita di un uomo e farlo perseverare nel sacro proposito.

L'approccio problematico della scienza (anche teologica) richiede che il docente e l'alunno ripensino paradigmi e formule a volte stereotipe, che abbandonino comodi schemi, che ricerchino nuovi moduli espressivi, per rendere più immediata la comunicazione e più accettabile l'insondabile mistero; il che equivale ad affermare che la scuola è e deve essere una palestra, che esige tempo pieno da parte dello studente e da parte del docente; esige verifiche severe tanto dell'itinerario personale, che l'onesto docente percorre nei suoi studi, quanto del profitto di ogni singolo studente nell'apprendimento e nel metodo di studio sui grandi temi della Divina Rivelazione e delle Scienze umane ad essa intimamente legate.

L'allergico rifiuto da parte del docente di ogni confronto e controllo, il rifiuto della interdisciplinarietà, là dove è necessaria o utile, sono atteggiamenti deplorevoli ai quali corrispondono, da parte degli studenti, scarso impegno nei colloqui e nelle ricerche seminariali, con pregiudizio della formazione cristiana e, in definitiva, della stessa catechesi del Popolo di Dio. In tale clima resta impedito ogni processo di interazione tra la ricerca didattica e quella scientifico-teologica.