ESEGESI PATRISTICA

L'esegesi patristica riguarda gli orientamenti di base che hanno dato forma alla dottrina della Chiesa e hanno fornito un ricco insegnamento teologico per il nutrimento spirituale dei fedeli.

Omelie, commentari, opere di controversia e di teologia, fanno riferimento alla Scrittura. Il luogo abituale della lettura biblica è la chiesa, durante la liturgia. Questa è la ragione per cui l'interpretazione proposta è sempre di natura teologica, pastorale e teologale, a servizio delle comunità e dei singoli credenti.

La Bibbia è considerata come il Libro di Dio, opera unica di un autore unico, pur attribuendo agli gli autori umani un ruolo non passivo. Tuttavia il loro tipo di approccio presta scarsa attenzione allo sviluppo storico della rivelazione.

Numerosi padri presentano il Logos, Verbo di Dio, come l'autore dell'Antico Testamento e affermano così che tutta la Scrittura ha una portata cristologica.

Ad eccezione di alcuni esegeti della scuola antiochena (soprattutto Teodoro di Mopsuestia), essi si sentono autorizzati a prendere una frase al di fuori del suo contesto e persino del senso immediato, per riconoscervi una verità rivelata da Dio, anche nelle controversie con i Giudei o in quelle dogmatiche.

Interessandosi metodicamente alla Bibbia ebraica, Origene era soprattutto preoccupato di trovare argomenti da opporre ai Giudei a partire da testi per essi accettabili. Esaltando la ueritas hebraica, san Girolamo prende una posizione marginale.

Il ricorso all'allegoria va al di là dell'adattamento al metodo allegorico degli autori pagani. Il ricorso all'allegoria deriva dalla convinzione che la Bibbia è stata data da Dio al suo popolo, la Chiesa. I padri mescolano e intrecciano le interpretazioni tipologiche e allegoriche in un modo inestricabile, sempre con finalità pastorale. Tutto quanto è scritto, è stato scritto per la nostra istruzione (1Cor 10,11). L'interprazione allegorica disorienta l'uomo moderno, ma l'esperienza di Chiesa che questa esegesi esprime offre un contributo sempre utile (Dei Verbum 23). I padri insegnano a leggere teologicamente la Bibbia in seno a una Tradizione vivente con un autentico spirito cristiano.

Si dilatano i limiti della tradizionale interpretazione allegorica del testo sacro, affiancando a quella tipologica l'interpretazione cosmologica, che vede nelle realtà terrestri il typos di quelle celesti (il tempio di Gerusalemme typos del cielo, Strom. V, 32ss) e l'interpretazione morale (Agar e Sara simboli della cultura mondana e della saggezza, Strom. I, 30), ambedue influenzate da Filone. Diverranno tipici dell'esegesi alessandrina il valore simbolico di numeri, animali, piante, etimologia di nomi.

Origene arricchì l'esegesi con nuovi temi e più rigoroso metodo di ricerca. Le sue numerose opere esegetiche, raggruppate dagli antichi in Scoli (raccolte di spiegazioni di testi di particolare interesse), Omelie e Commentari, diedero valore, oltre ai libri più usati (Genesi, Salmi, Profeti, Vangeli, Paolo) altri meno noti (Giosuè, Giudici, Giobbe, Proverbi). Egli apprezza l'interpretazione spirituale-allegorica, ma dedica interesse sistematico all'interpretazione letterale, sviluppando la critica del testo mediante gli Hexapla. A lui si deve il primo trattato di esegesi scritturistica (Princ. IV, 1-4). Egli distingue tre livelli interpretativi quasi per ogni passo della Scrittura: letterale, spirituale (tipologico), morale (psicologico). Esempio insigne di questa esegesi è il Commento al Cantico, in cui le tre interpretazioni si susseguono in modo sistematico passo per passo e gli sposi regali sono visti prima come typoi di Cristo e della chiesa, poi del Logos e dell'anima del credente. A volte Origene propone un duplice livello interpretativo, lettera / spirito, correlato alla distinzione dei cristiani in semplici e perfezionandi. Origene dilata la tipologia tradizionale, facendo diventare l'Antico Testamento typos del Nuovo, e facendo del Nuovo Testamento il typos (Ap 14, 6) del Vangelo eterno, che si realizzerà alla fine del mondo.

Come Filone e Clemente vede nelle realtà terrene il simbolo delle realtà celesti e applica il testo sacro all'esperienza esistenziale del singolo credente.

La distinzione in due o tre (o quattro) sensi, trova unità nella convinzione che la parola di Dio ha fecondità inesauribile e nessuna interpretazione la può circoscrivere ed esaurire, mentre lo studio permette di conoscerla sempre meglio nella sua inesauribile pluralità di significati (Hom. Ex. 1, 1).

I primi scritti esegetici latini sono del s.III e gl'inizi del IV, con Reticio di Autun, autore del perduto commento al Cantico, e Vittorino di Pettau, col superstite commento all'Apocalisse, di simpatie millenariste. Nella seconda metà del s.IV l'esegesi è coltivata, sia con omelie sia con commentari: i numerosi commenti veterotestamentari e quello a Luca di Ambrogio derivano da raccolte di omelie; il commenti a Matteo e Salmi di Ilario, fecero conoscere in Occidente l'esegesi di tipo alessandrino, i cui principi ermeneutici s'imposero insieme con la diffusione della filosofia platonica (Origene, Plotino, Porfirio).

L'esegesi allegorizzante permetteva di presentare gli antropomorfismi dell'AT in modo accessibile alla sensibilità delle persone colte, mentre la composizione di parafrasi in versi cercava di sopperire alle insufficienze di lingua e stile delle troppo letterali traduzioni latine della Scrittura dal testo greco (Giovenco, Sedulio).

Il donatista Ticonio, nel Liber regularum, presentava regole ermeneutiche per agevolare la comprensione del testo sacro in modo allegorico, e nel fondamentale commento all'Apocalisse, andato perduto, attenuava la tensione escatologica, riferendola non solo agli ultimi tempi, ma a tutto il tempo della chiesa, spiritualizzando l'interpretazione in senso antimillenarista e smorzandone l'animus antiromano. A questo commento s'ispirarono i commenti occidentali all'Apocalisse, e proprio da questi possiamo ricostruire l'esegesi ticoniana.

Mario Vittorino, famoso grammaticus di poco anteriore a Ticonio, convertito al cristianesimo in tarda età, commentò alcune lettere di Paolo per primo in Occidente (Galati, Filippesi, Efesini). Estraneo alla tradizione patristica, le commentò in senso rigidamente letterale secondo le norme dei commenti scolastici agli autori classici, rilevando bene l'opposizione paolina fra Legge e grazia.

Questi commenti e quelli di Lattanzio trascurano il VT, mentre il fatto che Ambrogio, Zenone, Gregorio di Elvira insistano soprattutto su argomenti veterotestamentari fa arguire che proprio su questi aveva bisogno di essere istruito il loro gregge. L'interesse per Paolo non rimase circoscritto a Mario Vittorino, ma tra la fine del s.IV e gl'inizi del V ebbe grande sviluppo soprattutto a Roma, in relazione all'interesse per la problematica relativa al rapporto fra grazia e libero arbitrio, come testimoniano i commenti dell' Ambrosiaster, di Girolamo, Pelagio, Origene-Rufino su Romani, e soprattutto Agostino.

Girolamo dipende strettamente da Origene, e perciò allegorizza. Ambrosiaster e Pelagio prediligono un'interpretazione letterale, a riprova della diffusione, anche in Occidente, della tendenza letteralistica rilevata in Oriente nel corso del s.IV, che culmina in Giuliano di Eclano (commenti ad alcuni Profeti minori) in stretta dipendenza da Teodoro di Mopsuestia, però nettamente soverchiata da quella allegorizzante. L'akmè dell'esegesi occidentale si ha fra la fine del s.IV e gl'inizi del V, con Girolamo ed Agostino. Il primo si formò esegeticamente in Oriente alla scuola di Didimo e sui libri di Origene, e le sue prime esperienze in materia (su Ecclesiaste, Glati, Efesini) sono poco più che parafrasi riassuntive dei commenti origeniani.

Ma gradualmente, per effetto della polemica origeniana, Girolamo prese le distanze dall'allegorismo del maestro, apprezzandone sempre di più il rigore filologico e critico. Frutto di questo ripensamento fu soprattutto la versione latina dell'AT condotta sull'originale ebraico, anche se con l'aiuto delle traduzioni greche, fatto nuovo per la cultura latina, solitamente sorda alle esigenze della critica filologica, si che Girolamo incontrò difficoltà a far accettare la sua traduzione, ma certo la sua fama sali alle stelle. L'attività esegetica della maturità, dedicata soprattutto ai Profeti, maggiori e minori, in teoria lo vede più volte critico nei confronti dell'allegoria (Ep. 53, 7) anche se continua a sostenere l'interpretazione tripartita di Origene (Ep. 120, 12).

In pratica egli contempera i diritti della filologia con quelli dell'allegoria, discute criticamente ogni passo, col confronto fra testo ebraico e traduzioni greche, soprattutto dei LXX, e fa seguire l'interpretazione letterale e spirituale (allegorica), ripresa dagli alessandrini (Origene, Didimo). Anche il commento a Matteo, unica opera esegetica della maturità dedicata al NT, programmaticamente letterale, è debitore dell'allegorismo origeniano.

La vicenda personale di Agostino interessa la storia dell'esegesi, sia per il disgusto iniziale per l'AT a causa degli antropomorfismi e della cattiva traduzione, sia per il superamento con l'esegesi allegorica e spiritualista di Ambrogio, per cui è fortemente allegorista nella spiegazione della Genesi contro i Manichei e poi, col tempo preferisce la lettera (De Genesi ad litteram); ma predilesse sempre l'interpretazione di tipo spirituale (Enarrationes in Psalmos, Tractatus in Iohannem), per trarre dal testo biblico il massimo nutrimento per gli ascoltatori.

Nei 4 libri dell'opera De doctrina christiana pone la Scrittura a solo fondamento della cultura cristiana e ne presenta le norme di interpretazione, in parte riprese da Ticonio, rispettando le esigenze filologiche, spirituali e libere dell'interprete: un testo difficile ammette diverse interpretazioni, purché non contrarie alla recta fides (III, 27).

In Occidente, dopo le invasioni barbariche, si ripetono, abbreviandole, le interpretazioni dei grandi esegeti del passato, soprattutto di Girolamo ed Agostino, mentre i commentatori dell'Apocalisse, opera molto letta e sentita in sintonia con i tempi, si rifanno a Ticonio.

I manuali di teoria esegetica di Eucherio e Giunilio sanzionano la preminenza dell'interpretazione allegorica, che trovò, alla fine del s.VI, in Gregorio Magno un esegeta capace di rivivere in modo nuovo le suggestioni di Agostino: Moralia in Iob.

Giovanni Cassiano nel s.V attesta già (Col. 14, 8), accanto ai tre sensi scritturistici tradizionali (letterale, spirituale [tipologico], morale [psicologico]) quello anagogico, che vede nelle realtà terrene il simbolo delle realtà celesti.