Antropologia della

comunicazione visuale

 

Massimo Canevacci

 

Introduzione - Per un’ecologia visuale

A) Dissolvenze

Cultura emergente = tendenza dei modelli culturali, stili di vita, etc. a diventare maggioritari almeno per i rispettivi referenti socio-culturali.

La ricerca sulla cultura delle società avanzate va rivolta al centro propulsore del mutamento, privilegiando, da un lato la "nuova alleanza" (Prigogine) con le scienze cosiddette esatte, e, dall’altro, la "struttura che connette" (Bateson) quell’insieme di simboli, vincoli, emozioni, estetiche con lo sviluppo della comunicazione.

Il concetto di modernità (Berman - avventura/distruzione) tende a coincidere con il concetto di "società complessa".

L’ecologia visuale deve intervenire in quella fase cruciale in cui i vecchi modelli sono obsoleti ed i nuovi non sono ancora delineati => antropologia del dissolvimento.

B) Costellazioni

Allargare "sideralmente" la percezione (tanto più si chiarisce il disegno quanto più ci si allontana), sfuggendo al rischio della sintesi e delle sue aprioristiche chiusure iper-metodologiche che "superano" differenze ed eliminano conflitti.

 

 

 

 

•Comunicazione visuale riproducibile:

 

 

 

•uso diretto di tecniche audiovisive per documentare e/o interpretare la realtà;

•analisi culturologica dei prodotti della comunicazione visuale riproducibile per comprenderne modelli simbolici e formali;

 

 

 

•Comunicazione visuale irriproducibile: fonte originaria di quella corrente calda che anticipa, sperimenta e legittima le "tendenze".

 

 

 

 

Ecologia visuale = struttura mentale che connette modelli comunicativi e comportamentali tra loro.

C) Ecologie visuali

La diffusione planetaria della comunicazione visuale ha comportato l’affermazione tendenziale di una cultura sovra-nazionale => è venuta meno quell’istanza di estraneità che facilitava al ricercatore la rilevazione delle "diversità" culturali: l’oggetto di studio si afferma prepotentemente come coincidente con la propria identità culturale => vischiosità dell’oggetto visuale

 

CAPITOLO I - DOPPIO VINCOLO E COMUNICAZIONE VISUALE

A) Premessa: la struttura che connette

Bateson: centralità e specificità dell’unità antropologica tra le scienze della natura e le scienze della cultura. "Ogni unità che presenta caratteristiche di funzionamento per tentativi ed errori sarà legittimamente chiamata un sistema mentale". "La psicologia freudiana ha dilatato il concetto di mente verso l’interno; ciò che sto dicendo dilata la mente verso l’esterno".

La separazione tra io e natura si fondono in "una sola unità".

B) Doppio vincolo

Il doppio vincolo è il risultato di un’interazione familiare che non si cristallizza in un’esperienza traumatica durante l’infanzia, ma piuttosto in strutture di sequenze con caratteristiche tali per cui il paziente andrà via via "assumendo" le abitudini mentali che sono esemplificate nella comunicazione schizofrenica.

La madre dello schizofrenico esprime contemporaneamente due ordini di messaggi tra loro contraddittori, che oscillano tra il comportamento ostile e un affetto simulato; il bambino è posto nella condizione di non poter interpretare con precisione la comunicazione della madre e così deve sistematicamente distorcere la sua percezione di "segnali metacomunicativi". Questo significa che allo scopo di sostenere l’inganno della madre, il bambino deve ingannare se stesso circa il suo stato interno. Di conseguenza il bambino non sviluppa capacità di "comunicare sulla comunicazione", per cui diventa incapace di determinare il vero significato di ciò che gli altri dicono e di esprimere ciò che egli stesso intende.

C) Doppio vincolo e comunicazione visuale

 

 

 

 

1.La comunicazione visuale: crisi dell’ideologia => si è affermata una tendenza che diffonde complessi di idee e mini-visioni del mondo spontaneamente da quelle che sono le "cose" che si caratterizzano come post-industriali (merci-visuali); la comunicazione visuale dà il tempo della mutazione ideologica, secondo nuovi e vincolanti moduli percettivi, i cui canali e messaggi "connettono" il singolo individuo, l’ambiente culturale e simbolico, i mezzi riproducibili in una struttura comunicativa "mentale" unitaria e immanente; circolarità continua tra il livello tecnologico e quello auratico.

1.La forma-famiglia: la decadenza della figura paterna ha prodotto, dagli anni ‘30 ai ‘50, la diffusione della cosiddetta personalità autoritaria. Ma a partire dagli anni ‘60 questo processo ha cambiato direzione: madre lavoratrice => blocco della relazione affettiva => personalità narcisista.

 

 

 

 

 

•acculturazione -"Quando delle società, che in precedenza sono state relativamente isolate, vengono a intenso, diretto contatto con società più grandi, più potenti, più progredite tecnologicamente, entrambi i gruppi subiscono un processo di adattamento, che viene chiamato acculturazione" (Bock). Il modello acculturativo che si diffonde irresistibilmente nelle "periferie" produce un doppio vincolo di natura antropologica: la transizione verso la "modernità" è avvertita come obbligatoria e, insieme, giudicata come uno smarrimento della propria identità. E’ una sorta di anti-ecologia della mente: il vecchio modello di vita è inservibile, quello nuovo inutilizzabile.

•lo zainetto - rinunciare ai segni "emergenti" è un costo pagato con la discriminazione, accettarli significa sperimentare l’inappagamento.

•il telecomando - paradossalmente la restrizione temporale della consumabilità per frazione di canale prolunga il consumo complessivo del sistema televisivo. La funzione ipnotica e "vincolante" del telecomando è evidente. La possibilità ansiosa di raggiungere, infine, il programma giusto e definitivo fa accelerare i ritmi. Ciò disabitua alla decodifica di messaggi lunghi e metaforici, e incrementa le capacità percettive, specie di tipo metonimico, in quanto lo spettatore riesce a decifrare in frazioni di secondo una serie crescente di codici. La capacità di comunicare tramite la comunicazione avviene sempre meno col modulo verbale del linguaggio televisivo e sempre più con il linguaggio musicale, gestuale, visuale, tanto più gradito in quanto frazionato e "autoevidente".

•la pubblicità - confusione e indistinzione tra segnali di amicizia e di punizione. Uno spettatore "normale" vede in media 120 ore di pubblicità l’anno (1986). La natura pubblicitaria si presenta come un soggetto materno: il tipo di messaggio "primario", emesso a livello esplicito, entra in aperta contraddizione col messaggio "secondario", implicito.

•cinema e sport - messaggio di tipo "visibile" (identificazione da spettatore) e quello contrario che ammonisce che questo modo "eroico" di vita non apparterrà mai alla quotidianità dello spettatore. Nello sport, paradosso di una diffusione estrema, tra i tifosi delle squadre più antagoniste, dei medesimi moduli espressivi di tipo verbale, gestuale, scritto; ma questa imitazione reciproca è obbligata ad accompagnarsi contemporaneamente ad una distinzione dall’avversario che, per farsi visibile, deve essere sempre più esagerata.

 

 

 

 

La comunicazione visuale diffonde spontaneamente meta-linguaggi tra loro contraddittori che il pubblico ha una obiettiva difficoltà a decodificare in modo non conflittuale.

D) Hesse e Bateson

Bateson: attraverso successivi livelli di astrazione è possibile stabilire connessioni tra tutti i campi della conoscenza. I pericoli reali vengono dalle idee, in particolare dall’intento consapevole di manipolare tramite tecnologie. La distorsione psichica prodotta dalle finalità, viste in fatti slegati e combinati intellettivamente in modo assolutamente soggettivo, è la causa centrale di una crisi antropologica che coinvolge e travolge in particolare la cultura occidentale.

Bateson propone la fusione con la natura, o meglio la natura fusa dentro l’uomo. Ma forse tale connessione si è già realizzata in modo rovesciato nell’attuale società proprio grazie alla comunicazione visuale riproducibile, che è diventata una sorta di struttura artificiale che media i rapporti tra cose animate e inanimate, tra il vissuto e il prodotto.

 

CAPITOLO II - TESTE MOZZE

A) Il primo piano

Griffith (schiavista) inventore del primo piano.

Fisiognomica applicata: sostituire l’assenza del linguaggio parlato con l’esagerazione del linguaggio mimetico.

La grammatica visuale, che alterna attraverso il montaggio primo piano, piano americano, campo lungo, etc., non fu subito comprensibile agli spettatori, che dovettero modificare il loro "naturale" (in realtà culturalmente determinato e variegato) modo di percezione. Le teste mozze di primi piani innovavano il linguaggio visivo, e contemporaneamente stabilivano una connessione con modelli analoghi della comunicazione visuale, in primo luogo le maschere.

B) La maschera

La radice delle maschere è il teschio: è come se l’evanescenza temporale della carne rifiorisse grazie al suo contrario.

La rappresentazione visuale dei dolori del mondo contiene un codice più complesso che persegue il superamento della resa alla morte e a tal fine esige una mascherata disumanità. In ogni maschera vi è questa contemporaneità che, insieme, mostra e nasconde.

La maschera ha mutato segno, forse anche "natura", ma non si è dissolta.

L’effetto-vertigine della maschera sta nel suo mimetizzare l’eventuale materiale prezioso (es. oro) con qualcosa di altro e di alto (re: rappresenta e perviene all’immortalità). Ogni mimesi di questo tipo è una protesta contro l’insufficienza dell’io, sia rispetto all’alterità (desiderio di essere tanti "ii" rompendo l’identità e l’unicità dell’ego), sia rispetto alla temporalità (impedire la decadenza della propria immagine e realizzare l’altro grande desiderio di essere immodificabile e indistruttibile).

La separazione radicale uomo-natura fonda un’esigenza di mimesi altrettanto radicale, che cerca di restaurare ciò che è stato scisso, attraverso vaie trasfigurazioni tra cui quella delle maschere. Questa rappresentazione mimetica ambisce a riconciliare con una sintesi magica e sacrale la separazione originaria tra soggetto e oggetto.

C) Il visus

Il cinema reinventa con il primo piano un modello di rappresentazione facciale, proprio della maschera, e ne cambia la "natura", passando da momento-limite a presenza quasi costante del modulo narrativo dei serials. Impoverisce la grammatica visiva e contemporaneamente la universalizza. Per un curioso riequilibrio dei molti codici emessi dalla comunicazione visuale riproducibile, la crescente dose di primi piani riduce la richiesta di capacità mimico-facciali.

Lo stupore è il canone espressivo cui sono tenute ad adeguarsi le varie espressioni elementari (ira, invidia, odio, amore, etc.).

I codici con cui "parla" il nuovo primo piano non sono più recitativi in senso tradizionale, ma si dividono in tre moduli:

 

 

 

 

1.codice verbale - modo di parlare sempre più "astratto", soffice, asettico;

1.codice corporale, il più importante - una tipologia di espressioni "naturali" che emette il viso in quanto puro "esserci";

1.codici civili - un sistema di oggetti che circondano il viso in primo piano, che servono da sfondo e sono in genere segni riconoscibili di una estrema modernità (computer, grattacieli, vestiti).

 

 

 

 

L’abbinamento bene = bello versus male = brutto è stato sconfessato. Il nuovo segno distintivo nella gerarchia visiva degli attori è la paradossale combinazione di una esagerata fissità e, insieme solo grazie a questa di un’estrema espressività: il volto si scheletrizza come nelle maschere "originarie e, stando fisso, si mobilita.

Plastiche facciali => verso un tipo ideale: il primo piano televisivo si fa sempre più maschera.

Visus: ciò che si vede e viso vero e proprio => dilatazione e restringimento: il panorama "è" il viso e il visus diventa un "ambiente" panoramatico.

Il serial accentua i primi piani e contemporaneamente allunga i tempi dei piani sequenza all’infinito: il montaggio è come abolito: giustapposizione di teste mozze parlanti.

Rovesciamento dei codici: per la prima volta è il linguaggio parlato ad essere centrale e, insieme, inessenziale => parole silenziose.

L’animismo vivifica le maschere, la comunicazione visuale "fissa", reifica e paralizza il visus.

 

CAPITOLO III - PER UNA TIPOLOGIA DI RICERCA SULL’ANTROPO-LOGIA VISUALE

Scelta della voce off come indicatore privilegiato per esplicitare lo scontro tra il linguaggio verbale e l’iconico.

A) La pubblicità

Carattere razionale della pubblicità: sia dal punto di vista economicistico che per quelle tendenze culturali e comportamentali più sottili che riesce a rappresentare, sintetizzare e persino anticipare.

Il modello comunicativo della pubblicità è il risultato complesso e olistico di tanti linguaggi parziali fusi in una sintesi sporca. L’emittente seleziona alcuni linguaggi su altri, mentre il ricevente traduce il tutto con una sensibilità che varia a seconda che abbia o meno i nuovi alfabeti visuali.

Linguaggi parziali:

 

 

 

 

1.montaggio - esterno o interno:

1.sonoro - musica o rumore;

1.verbale - voce off o voce in;

1.corporale;

1.cromatico;

1.grafico;

1.visivo.

 

 

 

 

Le capacità percettive dello spettatore si modificano, si plasmano facilmente seguendo le nuove sintassi visuali e si assuefanno a un tipo di linguaggio "minimale".

Voce off:

 

 

 

 

•eccesso - la casalinga è stata selezionata come il soggetto socialmente investito da quote maggiori di voci "esterne. La voce off deve essere presente dall’inizio alla fine dello spot: questo target è individuato come praticamente analfabeta rispetto al puro linguaggio visuale (raddoppio o triplicazione di codici: prodotto + comunicazione orale + jingle);

•assenza - alcuni segmenti sociali, in genere quelli altamente acculturati nel linguaggio visivo:

 

 

 

 

 

 

1.altissimo contenuto tecnologico: le immagini "parlano da sole": è il codice più autogratificante per chi lo decodifica ("piacere" di essersi auto-selezionato) - Fiat Uno;

1.componente giovanile, di "natura" transculturale, ormai omologata a livello planetario, nata e cresciuta con i codici visuali e musicali: unico spot rigorosamente transnazionale; selezione geo-politica di tipo sincretico - Coca Cola;

1.ricerca della seduzione.

 

 

 

 

 

La voce off discrimina gli strati sociali che hanno come modello comunicativo la tecnologia versus la casalinghitudine, la gioventù versus la maturità, il corpo versus lo sporco.

La pubblicità cambia continuamente forma e non deve essere fedele a nessun codice, ma anzi è alla ricerca di ogni incrocio possibile tra codici => io grinzoso: vive sincronicamente polimorfe scissioni nel doppio vincolo della comunicazione visuale.

B) Il cinema

 

 

 

 

a.cinema diretto - scientifico o documentaristico

b.cinema di fiction - basato sulla cultura di massa

c.cinema sincretico - o indiretto - affronta questioni centrali o significative dell’esperienza antropologica - nuovo ibrido risultante dell’unione dei punti precedenti, dalle capacità sincretiche rispetto al tradizionalismo del cinema diretto e alle avanzate tecnologie del cinema di massa.

 

 

 

 

 

 

a) il cinema diretto

Il rapporto fondamentale si stabilisce tra soggetto e oggetto, cioè tra la macchina da presa (MDP) del soggetto che riprende e l’oggetto della ripresa, l’osservato.

La voce off, pur essendo uno strumento soggettivo del commento dal punto di vista del regista, si rovescia in un doppio codice oggettivo: va a "fissare" il codice verbale; deve "ascoltare" la connessione col codice visuale => la voce off ci "parla" del rapporto che l’osservatore vuole stabilire con l’osservato.

 

 

 

 

 

 

 

1.Cinema diretto "sporco - Candid Camera - ci si può sovrapporre una voce off scientifica o ironica, ma sempre più o meno indifferente a ciò che è stato colto;

2.Cinema diretto "puro" - la voce off è muta per tutta la ripresa;

3.Cinema diretto "oggettivo" - la realtà viene separata dall’ideologia, i fatti dai valori - la voce off si funzionalizza all’oggetto di ripresa;

4.Cinema diretto "militante" - la voce off raggiunge il massimo di identità (o di opposizione) con l’intervistato;

5.Cinema diretto "empatico" - la voce off dà la parola sia al soggetto che all’oggetto;

6.Cinema diretto "underground" - l’osservato è lo stesso osservatore e viceversa (es. indiani navajo) - la voce off diventa voce in campo;

7.Cinema diretto "fiction" - Boas fece recitare alcune scene della vita quotidiana o rituale di fronte alla MDP - la voce off propria dell’osservatore oscilla nell’esporsi tra il soggettivo e l’oggettivo.

 

 

 

 

 

 

 

b) il cinema di fiction

Sul cinema di invenzione, l’antropologia ha il compito di comprendere modelli e tendenze che dai "centri" della società contemporanea invadono tutte le "periferie" a livello mondiale - analizzare una cultura a distanza.

La nuova cultura dei consumi è riuscita a costruire un sistema polisemico di fruizione adattabile ad ogni realtà sociologica, grazie alla possibilità di essere tradotto in modi semioticamente individualizzati e "decentrati". In tal modo si elimina qualsiasi riferimento alla storia e la dimensione sociale è presente solo in quanto sollecita una ridondanza di psicologizzazioni: tutte le vicende - l’intreccio - sono ridotte e tradotte nella loro base drammaturgica di passioni elementari. Tutto ciò impone alla metodologia antropologica di adeguarsi in modo flessibile all’oggetto della ricerca.

c) il cinema ibrido

Si caratterizza dalla reinvenzione filmica che unisce tutta la tecnica della fiction con la rilettura di un tema a carattere squisitamente antropologico. Incontro esplicito tra cinema e mito.

 

 

 

 

 

 

 

1.Pasolini - altissimo livello sincretico - anticipa le tendenze estetiche, etiche e anche multi-etniche della contemporaneità; connette una cristianità naturalistica e francescana con un materialismo spiritualistico e popolare. Marxismo etico e cristianesimo ortodosso. Sincretismi impossibili: natura umanizzata e umanità neo-animista.

2.Rouch - il tema mitici è la rappresentazione di Dioniso, la cui "passione" è l’iniziazione ad una ... tesi di laurea.

3.F.F.Coppola

 

 

 

 

 

In conclusione, una metodologia di ricerca antropologica sul cinema deve tenere fissi questi tre livelli - cinema diretto, cinema di fiction e cinema ibrido - nella consapevolezza che le trasformazioni tecnologiche sempre più accelerate hanno da tempo imposto ulteriori modelli visuali a matrice elettronica computerizzata (video-clips, pubblicità d’autore, computer art).

 

CAPITOLO IV - IL SINCRETISMO MITICO DEL CINEMA DI PASOLINI

 

CAPITOLO V - CORPI, SIMBOLI E SEGNI NELLA CULTURA VISUALE

Premessa

La "scoperta" del corpo represso è dipesa dalla coincidenza tra un meccanismo politico-sociale e uno psico-culturale: la fine della guerra fredda; le immagini della tv, i ritmi del rock la diffusione degli sport, nuovi modelli di abbigliamento immettevano nei comportamenti e nell’immaginario giovanile una carica verso l’esibizione e il disvelamento corporale che entrava in diretta contraddizione con le norme morali allora vigenti.

Nuova contraddizione tra le quote crescenti di immagini corporali e i rapporti giuridici, etici e normativi.

A) La cultura dei consumi

Si fonda sulla costante produzione e riproduzione di segni ben riconoscibili dai loro possessori e dal loro "pubblico"; essa incoraggia non un passivo conformismo nella scelta delle merci, ma, al contrario, cerca di educare gli individui a leggere le differenze nei segni, a decodificare facilmente le infinite minuzie che distinguono i vestiti, i libri, i cibi, le automobili, le stanze => nuovi "mini-simboli" devono essere scoperti per mantenere le differenze e il corpo serve perfettamente a ciò.

Tutto ruota intorno al corpo: moda e musica; nasce la status-game in cui ciascuno espone i propri segni e decifra facilmente quelli altrui, per arrivare ad una piena e soddisfatta "coscienza di ruolo".

Il valore d’uso tende ad avere una funzione meno drammatica e sempre più secondaria.

La cultura dei consumi è una cultura della comunicazione visuale, la cui relativa autonomia sta nello stabilire gerarchie e differenze di "gusto" e di "identità". I simboli sono rapidamente identificabili come rappresentanti, come omologhi a posizioni sociali.

B) Il processo di de-simbolizzazione

Nel simbolo permane l’idea che rimanda a qualcos’altro attraverso l’analogia, la metafora, l’allegoria. Abbreviazione convenzionale attraverso cui qualcosa - un segno - rimanda a qualcos’altro, in genere ad un concetto più astratto. Dentro la parola simbolo soggiace la tensione al ricongiungimento e a prefigurarne una riunione con la parte spezzata.

Forse ora tutto questo con c’è più o ce n’è sempre meno => una prepotente pressione sociale vuole unire subito il simbolo alla "cosa", il segno allusivo all’atto consumato. A de-simbolizzare.

C) L’espansione della cultura visuale

Il modello di diffusione attuale delle ideologie lo si potrebbe definire di tipo ventriloquistico, nel senso che l’idea nasce, viene "emessa", riprodotta e sperimentata direttamente dalle "cose", dal prodotto merce, dal "gadget". L’oggetto post-industriale sempre più "parla da solo", dalla sua animata interiorità.

Il "doppio potere" della cultura visuale è legato non solo ai mass media tecnicamente riproducibili, ma anche all’irriproducibilità dal vivo connessa con l’auratico hic et nunc => la cultura visuale è l’imperfetta sintesi tra il livello tecnologico e quello auratico.

D) Video-scape e visual-scape

L’espansione della video-music.

Questo genere di musica produce una modificazione del passaggio culturale (landscape).

Video-scape = panorama elettronico espresso in ciascuna sequenza, normalmente molto breve, del clip.

Si realizza un unico concentrato: la musica è l’immagine e l’immagine è la musica; i tagli di montaggio si sintonizzano sulle scansioni sonore (come negli spot pubblicitari); il senso del racconto ruota intorno al sesso sempre più esplicito.

Prince - black narcisism - tutto nel messaggio è reso esplicito. La chitarra non è più una metafora del fallo => decadenza delle simboliche tramite l’immediata identificazione chitarra-fallo.

Madonna - Like a vergin - la verginità, abbandonato il suo essere valore religioso o morale, diventa per una giovane una condizione limite di disposizione al piacere, che può essere riacquistata ogni qualvolta il partner abbia una adeguata maestria sessuale.

Il video-scape ci racconta la storia "pura" della triplicazione dei livelli esistenziali - il divino, l’umano e l’animale - che una volta si ricongiungevano con l’orgia, e che ora sopravvivono nell’ode ad una verginità beatamente, fieramente, femminilmente riacquistabile grazie all’esperienza virile.

Nella città di Roma: mutazione silenziosa dei comportamenti sessuali in pubblico: i giovani dispongono i corpi in modo tale per cui appariranno evidenti le loro abitudini "private" e da questa "pubblicità" socialmente riconosciuta ne traggono lo status ufficiale di maturità sessuale.

E’ questo il modo in cui la cultura del narcisismo si intreccia con la cultura visuale: attraverso la geometrizzazione dei corpi, resa possibile grazie all’uso dei jeans, la coppia simula l’atto sessuale in pubblico in non poche varianti, ricercando in ciò una legittimazione sociale alla loro conquistata maturità genitale. Una sorta di rito moderno di iniziazione, da effettuarsi privatamente in pubblico, La spinta a simulare platealmente nel visual-scape ciò che è praticato in privato è determinata, oltre che dalla legittimazione più o meno conscia del nuovo status, da forti istanza narcisistiche che premono la coppia a raffigurare se stessi come "centri" di un cosmo amoroso, che è tale solo in quanto legittimato dagli sguardi delle varie "periferie" che ruotano intorno: il pubblico dei passanti frettolosi o interessati.

Eugenio Barba - Odin teatret.

In una breve comparazione conclusiva, il videogramma musicale di Prince o Madonna produce un video-scape attraverso la riproducibilità tecnica; e l’ideogramma corporale delle giovani coppie produce un visual-scape attraverso l’auratica irriproducibilità dell’hic et nunc. Entrambi sono aspetti del paesaggio cultural-visuale, che unifica codici e comportamenti attraverso la de-simbolizzazione dell’eros in pubblico. Essi entrano in tensione con gli enigmatici rispecchiamenti di rebus o anagrammi teatrali, che "oscurano" i simboli per forzare la passività dello spettatore e per inventare nuove simboliche, risultanti da scorrerie sincretiche dentro culture corporali tra loro anche molto diverse.

 

CAPITOLO VI - IMMAGINI DIALETTICHE NELLA CULTURA URBANA

a) L’immagine dialettica

Benjamin : utilizzazione di "tracce" non solo della cultura intellettuale - come la nascita della fotografia, la pittura impressionista - ma anche di variegate costellazioni micrologiche sul costume, sul modo di vivere e di agire: tipo il collezionista, la folla, il flaneur, la moda, le caricature, i panorami.

Il tutto definisce un sistema di "canali" che introduce dentro la modernità di Parigi-capitale.

E’ fondamentale il concetto di Benjamin di immagine dialettica (cristallizzazioni obiettive del movimento storico): tendenza a distanziarsi dall’invecchiato e che rimandano la fantasia, che ha tratto impulso dal nuovo, al passato antichissimo.

Le esperienze inconsce dell’incrocio tra passato e presente "precipitano" nelle mode effimere della vita quotidiana come della più solida architettura.

L’evoluzione è multi-lineare non solo rispetto al passato, ma anche per il futuro.

Immagine dialettica:

 

 

 

 

•costellazione oggettiva, in cui la situazione sociale rappresenta se stessa;

•modo di percezione di feticci, fantasmagorie e illusioni nella coscienza individuale e collettiva;

•modello di riproduzione all’interno di un’antropologia della cultura visuale in cui passato e presente si incrociano.

 

 

 

 

Per noi sono indicatori empirici per delineare la cultura che la forma-metropoli diffonde ed eleva al rango di auto-rappresentazione piena di senso.

Le immagini dialettiche nella cultura urbana romana:

 

 

 

 

•l’immagine illusoria, in cui si comparano due prospettive architettoniche tra illusione e immaginazione: galleria Apollodoro di Portoghesi come replica post-moderna della galleria barocca del Borromini;

•l’immagine ecologica, in cui la natura diventa una replica allegorica delle nuove tecnologie: storni metropolitani nei tramonti romani;

•l’immagine no-future, in cui gli alieni metropolitani si spostano tra passato e presente: il gruppo punk e il flaneur nella piazza del Pantheon.

 

 

 

 

B) Borromini e Apollodoro

Il gusto definito post-moderno torna a frequentare in modo molto libero e a volte ludico le memorie del passato, abbattendo quella barriera che era stata istituita dalle avanguardie, che riteneva la forma del passato come qualcosa da relegare definitivamente nel museo senza più nessuna possibilità di attualizzazione.

Il metodo di Portoghesi è di tipo sintetico: riunisce stili appartenenti a fasi storiche differenti. Coerentemente con la sua definizione di post-moderno, la critica è rivolta alle avanguardie storiche che anticipano il futurismo, mentre il gioco "allusionista" è rovesciato verso il passato. Al posto del concetto di illusione, si utilizza quello di allusione.

C) Storni metropolitani

La cultura urbana privilegia da sempre la trasformazione di "fatti naturali" in segni, a loro volta elevati al rango di allegoria. Il paesaggio urbano è mutato in alto, in centro, in basso.

 

 

 

 

•L’alto - fuochi di artificio viventi, pattuglie acrobatiche, frecce azzurre sotto forma di piume degli storni.

•Il centro - alberi

•Il basso - guano

 

 

 

 

Risultato dissoluto della mutazione storica nel rapporto città-campagna, di cui anche gli storni sono una parte ecologicamente connessa agli abitanti urbani.

Gli storni metropolitani sono l’immagine dialettica in cui il mito della natura animale pare unirsi alle nuove forme della spettacolarità urbana; l’arcaicità del tramonto è sconvolta dall’eccessiva modernità di queste immagini di storni.

D) I punk e il flaneur

 

 

 

 

•La piazza. A partire dagli anni ‘80 è diventata un luogo di ritrovo quotidiano di giovani punk che hanno "occupato" il colonnato imperiale destro e gli scalini centrali e di sinistra della fontana barocca, formando così un asse ideale obliquo delimitante il loro territorio. Un insieme di fattori concomitanti (dispersione del nucleo familiare, insofferenza per la scuola, rifiuto per i canoni estetici culturali dominanti) ha prodotto la necessità di caricare il proprio corpo di un eccesso di segni, per emanare in modo indiscutibile una differenza, un’alterità inconciliata. Rivista frigidaire: la conoscenza della rivista più acida è servita come un riconoscimento.

•Il flaneur. Complessa visione del mondo: una sorta di commistione tra scienze esatte e, inseriti come tra spazi bianchi, elementi religiosi, fantascientifici, esistenziali.

•La biografia. Il flaneur vive molto lontano dal Pantheon. Tentato suicidio. Martirizzarsi con "segni" è l’ultima difesa prima di essere costretti a rivolgersi direttamente al corpo e all’anima. La coincidenza tra le due biografie - quella del gruppo punk e quella del flaneur - non ha nulla di casuale o solidaristico. La sofferenza di entrambi li spinge a legittimare una coabitazione in piazza.

 

 

 

 

E) Sincretismi culturali

Col termine sincretismo si intende in genere l’incontro tra due culture e più in particolare tra due religioni - ad es. una animista e una cristiana - per elaborare un intreccio normalmente considerato "sporco" tra arcaicità sopravvissute e tecnologie evolute.

L’egemonia espansionistica eurocentrica è stata come diluita, stemperata e resa accettabile nei paesi "altri", salvando almeno in parte le tradizioni ancestrali da una caduta mnemonica.

In generale, il sincretismo si è affermato prendendo come modello la contaminazione, l’ibrido: poter sopravvivere diventa possibile solo "confondendo" ciò che è "primitivo", arcaico, ma pur sempre interno alla propria cultura, con ciò che è "avanzato", innovativo, ma esterno. Gli incroci sincretici sono vincenti in quanto "misturano" elementi profondamente diversi, rielaborati in modo originale.

Il sincretismo periferico è, all’origine, di tipo difensivo, resistenziale. Tra il momento sincretico-religioso e quello, ad es., sincretico-musicale, si afferta una crescente autonomizzazione di quest’ultimo, che finisce per trasformarsi in qualcosa di nuovo e profano.

Rastamen: in quanto sincretizzano il movimento religioso, si esauriscono; mentre il reggae che sincretizza elementi musicali - ma anche vestiari e corporali - conquista il mondo.

In tal modo il sincretismo si trasforma, si laicizza. Mutano anche i luoghi di questi sincretismi profani: dalle periferie si spostano al centro.

L’esogamia sincretica rimescola le culture metropolitane.

Forse è possibile sincretizzare la dialettica: in tal modo è possibile "intrigare" quella che fu una classica divisione etnocentrica del pensiero: la dialettica alle culture "avanzate" e il sincretismo a quelle "arretrate". Ciò che si può auspicare è una nuova espansione dello scambio culturale.

L’ibrido è la maschera. La comunicazione sincretica per eccellenza può essere quella fondata anche sulla riproducibilità visuale (Benetton - alto grado di mescolanza razziale).

Può cambiare anche l’ottica generale con cui affrontare la diversità: infatti, nel passato l’"altro" era schiacciato, represso, eliminato. Successivamente si sono riconosciuti i diritti formali alla diversità: in pratica, rispettare gli altri rimanendo se stessi. Il risultato è di indifferenza, ostilità latente, rispettosità ghettizzante, quando non aperto razzismo. Ora invece è sempre più possibile realizzare scambi parziali con l’altro, incrociare, ibridizzare, esogamizzare le diversità => xenofilia.

 

CAPITOLO VIII - IRRIPRODUCIBILITA’ E COMUNICAZIONE CONTRO-CULTURALE

A) Premessa: la lotta dei codici

I movimenti politici di opposizione di quest’ultimo ventennio hanno inventato nuove forme della comunicazione verbale, corporale e comportamentale.

Benjamin definisce l’aura come l’espressione di una autenticità irripetibile di un’opera d’arte in quanto legata "inflessibilmente" ai rapporti sociali di tipo aristocratico-borghese, ai quali era ristretto il suo "gusto"; contro questo modello la riproducibilità tecnica insorgeva come liberatrice, allargando produzione e consumo a quegli strati sociali tradizionalmente esclusi dalla fruizione estetica. In tal modo, la politicizzazione dell’arte diffusa tra grandi masse proletarie avrebbe potuto sconfiggere la tendenza opposta dell’estetizzazione elitaria operata dal fascismo europeo. Ma la riproducibilità allargata vincente nel complesso spettacolare-industriale degli Stati Uniti ha imposto da tempo un ripensamento di questo modello interpretativo.

In realtà il medium della riproducibilità contribuisce alla passivizzazione delle classi, degli strati sociali, dei gruppi etnici e degli individui - subalterni e non - solo in quanto gli stessi sono resi spettatori di un’azione che avviene sempre nel mondo dell’"altrove". Non è quindi la presunta "natura" eversiva, democratica, manipolatoria della riproducibilità tecnica in quanto tale a doversi sostenere o criticare, bensì la sua relazione con l’intero processo comunicativo sociale.

In ogni struttura codificata della comunicazione, per quanto storicamente determinata, permangono tracce del dominio ideologico anche del passato, secondo una stratificazione tettonica che spesso pone in contatto i livelli liberazionistici con quelli conservativi. Tutto ciò implica un travaso di segni, messaggi, modelli dall’egemone al subalterno, che ha come veicolo apparentemente neutro proprio questi codici.

A partire dalla fine degli anni ‘60, si è avuta una fase critica in tutta l’area del mondo occidentale, che ha significato il trionfo della riproducibilità tecnica e che ha conglobato il "tempo libero" definitivamente nei tempi produttivi della società post-industriale nascente, affidando alle classi sociali e agli strati generazionali considerati "subalterni" il solo status di spettatori passivi per una prassi decisa altrove. E allora queste classi e questi strati hanno compiuto un’operazione di distruzione dei ruoli loro assegnati, per sperimentare la creazione di un modello innovativo della comunicazione, certamente da codificare in seguito, ma che in una fase iniziale fluttuante scorre dentro la corrente calda non ancora incanalata, bensì spontanea, sperimentale, aperta alle più diverse possibilità di sbocco. Secondo Canevacci, in questo nuovo modello si è riaffermata - ma in un modo totalmente nuovo - la riscoperta della potenza dell’irriproducibilità che, da proprietà ristretta alle élites aristocratiche o vetero borghesi, si è vista dilatata sociologicamente e culturalmente negli strati sociali una volta esclusi. L’hic et nunc, in quanto già determinante l’aura di un’opera d’arte, si è esteso alla spontaneità di una nuova forma di comunicazione che ha escluso i codici dati e si è posta l’esigenza di inventare nuovi modelli da codificare senza mediazioni esterne.

Irriproducibilità antagonista di massa: l’assemblea, il corteo, la riunione, gli slogans, gli striscioni, il volantino. Tali modelli comunicativi, nati come irriproducibili, hanno tentato il delicatissimo salto nella sfera della riproducibilità contro-culturale (giornali alternativi, radio libere, riviste autofinanziate, film di movimento): finché tutto si è fermato dinanzi alle soglie della tv: "rivincita" di chi detiene il potere della comunicazione contro la diffusione di una manipolazione autonoma da parte dei manipolati.

Le trasmissioni attraverso i mass media riproducibili comportano da un lato, una sempre maggiore decadenza dell’esperienza, e, dall’altro, un’ulteriore paralisi del giudizio.

B) L’assemblea

Mass medium irriproducibile. Nel ‘68 avviene l’affermazione di una nuova forma di assemblea, che, da un lato, rompe il cerchio paralizzante della riproducibilità sempre più invadente e avvertita come deprivatrice di esperienze; e, dall’altro, afferma la diffusione di un livello di comunicazione che, attraverso l’irriproducibilità, attira la partecipazione diretta di certi strati sociali e singoli individui tradizionalmente esautorati dalla parola, dell’immagine, di ogni manipolazione attiva da parte di tv e giornali.

Codice mimetico di tipo nuovo: inflessioni, iterazioni, metafore, espressioni allusive o esplicite, così come il modo di vestire, di cantare, di gridare, di gesticolare.

L’aura dell’assemblea modello ‘68 esplode e si stratifica in frazioni o gruppi tra loro in competizione; infine, essa comincia a decadere per subire una metamorfosi che la omologa al modello del congresso.

C) La riunione

Costituisce il momento intermedio, precedente e susseguente l’assemblea stessa, che connette l’istanza più particolare con quella più generale. Qui si diffonde il più privato canale di mimesi che riguarda il tipo di libri, riviste, giornali, dischi, posters, che emanano messaggi suggestivi e irresistibili non solo per il loro contenuto, quanto per come sono disposti in un nuovo ordine soggettivo. Si afferma quindi un nuovo arredamento domestico. La conservazione di giornali e riviste è un fattore percettivo di una memoria che non si vuol perdere. In queste riunioni si diffonde capillarmente una nuova qualità della vita che coinvolge l’espressione logico-verbale, quanto l’interazione tra il sé e l’altro.

D) Il corteo

Se l’assemblea è l’espressione di un mass medium alternativo ed irriproducibile, ma statico, chiuso all’interno delle mura universitarie e senza comunicazioni con l’esterno, il corteo, viceversa, è lo strumento più immediato, vitalistico e coinvolgente per pubblicizzare contenuti, valori e simboli lungo il territorio.

Col servizio d’ordine si arriva all’anima del corteo, al suo livello più iniziatico => crescente professionalizzazione, un senso di "corpo" militaresco, che esalta al massimo i valori "virili" di forza, sangue freddo, aggressività, etc. E questi chiarissimi messaggi non sono rivolti solo all’esterno, quanto all’interno stesso del corteo.

Lo slogan è lo strumento di esaltazione, di spontaneità e anche di omogeneizzazione interno (ingroup), con cui si cerca di comunicare parole d’ordine all’esterno (outgroup).

Gli striscioni sono elementi tra i più significativi e simbolici del corteo: sono slogans muti. Nella successiva fase organizzativistica, gli striscioni assurgono a segnali che delimitano le varie zone di influenza, il territorio con cui i "gruppi" dividono le manifestazioni.

Infine il corteo ha una valenza psicologico-corporale che influenza profondamente e compulsivamente le motivazioni interiori di ogni partecipante: l’emissione di piacere al proprio interno. Le forme rituali prima descritte sviluppano una carica ludica; quest’ultimo fattore e la riscoperta del piacere, insiti anche nel puro movimento fisico, simbolico o comunicativo, in una società che predispone a ruoli fissati nell’immobilità, sviluppa e accentua il livello normale di sensibilità e anche di sensualità.

La produzione di cultura che ivi si sviluppa non è più repressiva nei confronti del principio del piacere, anzi diffonde un eros comportamentale e culturale di tipo nuovo. Istinto e ragione sembrano trovare un luogo di equilibrio, eliminando la punizione dei sensi o della riflessione. La potenza di questa carica libidica è riscontrabile nella permanenza della sublimazione erotizzata tra i partecipanti al corteo, che vivono le ore immediatamente seguenti la sua conclusione in uno stato di profonda eccitazione, a causa dell’agitazione polimorfa di tutti i sensi. Riesce a riunificare gli opposti: la politica e le pulsioni.

La frustrazione derivante da conflitti imprevisti o non desiderati esplode in aggressività pura e sorda, a causa dell’obbligo di dover chiudere quel circuito di comunicazione innovativa.

Le persone che stanno all’esterno del corteo provano, pur con gradi diversi, una forte reazione contraria densa di risentimento verso gli altri, a causa della loro esclusione materiale e simbolica da tale circuito ludico-libidico. Tutto ciò prende la forma di una condanna del piacere in quanto tale e che quindi va perseguito ed inseguito.

Con la fine degli anni ‘70 anche la forma-corteo muta: il fine della comunicazione coincide con il mezzo stesso. L’espressività gioiosa e comunicativa rimane bloccata sono all’interno dei partecipanti e non riesce più a fuoriuscire dal corteo stesso.

Le uccisioni dei vari Francesco, Giorgiana, Walter produrranno cortei funebri: a Eros succede Thanatos.

E) Il volantino

L’iniziale massimo sforzo di riproducibilità tecnica del movimento sarà il volantino. La caratteristica essenziale sta nel dover essere distribuito a mano.

Gli interlocutori privilegiati dei primi volantino non sono tanto gli studenti, quanto gli operai delle fabbriche.

Dalla necessità tecnica e politica di distribuire volantini nasce la militanza.

In nuce vi è l’anticipazione di quelli che saranno i nuovi quotidiani dei "gruppi" nascenti. Nel volantino vi è il quotidiano della nuova sinistra.

L’aura del volantino tende a finire con l’avvicinarsi degli anni ‘80.

Anche l’affermazione delle radio libere contribuisce a rendere obsoleta l’irriproducibilità del volantino. Viene a mancare la spinta a comunicare in modo finalistico e solidale con strati sociali e soggettività diversi.

F) Graffiti, radio libere, tv occupate

L’autenticità e l’insieme dei rapporti espressi con un semplice graffito non è facilmente isolabile dalla parete ove è stato scritto e dal tempo in cui è comparso. I graffiti attirano altri graffiti: moltiplicazione di segni, dialogo intermittente.

Dal volantino al graffito è segnato il passaggio tra due ere storiche della comunicazione di movimento.

Radio libera: enorme impatto comunicativo della diretta. Le radio libere sono l’estremo tentativo di affrontare la riproducibilità tecnica in modo originale da parte del movimento.

La "natura" della tecnica e del codice televisivo sembra paralizzare ogni possibilità e capacità di uso alternativo. Il mezzo è "rigido" e impone le sue regole "oggettivamente". Usarla significa omologarsi.

Il terrorismo brigatisca fonda un impero mass-mediologico a diffusione planetaria col semplice uso dell’omicidio "sparato" su inesistenti simboli.

 

CONCLUSIONI - LA TRAMA CHE CONNETTE

Rifiuto di un approccio sintetico, spesso predeterminato, e ricerca di un’antropologia dialogica con l’inserimento di due esplicite "guide" - Bateson e Benjamin.

Come ricordava Bateson, la mappa non può coincidere col territorio, così come i simboli con la realtà.

Alto grado di entropia visuale.

Il "tormento" e il "perturbante" della comunicazione visuale è il suo disordine, che spinge al mutamento ogni codice dato in quanto l’assuefazione e il riconoscimento devono cedere allo stupore per fluidificare una struttura dell’attenzione che è sempre culturalmente dissipativa.

La comunicazione visuale ha una sua valenza metasimbolica di tipo ventriloquo, che sostituisce le funzioni delle passate ideologie e che si emana "spontaneamente" dalle merci visuali, sia dai contenuti espliciti, sia e ancor più dagli oggetti "puri", dalle "cose" in quanto tali.

Nella comunicazione visuale riproducibile, l’ideologia "parla" spontaneamente secondo un livello meta-comunicativo - attraverso una congerie di messaggi tra loro indifferenti o persino contraddittori - che esalta indirettamente e silenziosamente il trionfo dell’Occidente. In questo nuovo modello, le merci visuali emanano ideologie dalle loro "interiora": le merci-ideologie diventano ventriloque. Ciascuna immagine polisemica diventa un concentrato di musica, moda, tecniche del corpo e tecnologie quotidiane, di paesaggi urbani e capacità percettive. L’immagine visuale si fa visione del mondo.

La voce fuori campo esercita una funzione oggettivante di una verità esterna e indiscutibile, una sorta di super-io sonoro, depurato da ogni immagine visibile e quindi con un forte indice di autorità e "sacralità".

Il concetto di doppio vincolo assurge al rango di strumento euristico decisivo per la comprensione della cultura visuale.