FEDE E RAGIONE

Comprendere per credere, credere per comprendere - (S. Agostino)

 

In questa pagina si parlerà di fede, di religione soprannaturale: non saranno discorsi nuovi, nel senso di argomenti mai affrontati, ma certamente di discorsi in oblio, che il mondo oggi non ama o non è più abituato a sentire in questa forma e in questo modo, forma e modo che la Chiesa, invece, elaborò e sostenne nei secoli, fino ai tempi presenti. Dunque un incontro di fede, ma finalizzato a raggiungere una convinzione intorno a Cristo, cioè una CERTEZZA, non un sentimento o un movimento emotivo.

E' la stessa parola certezza che è in oblio nella nostra odierna società, dove prevale l'opinione, il relativo, il probabile, ..., l'impossibilità dunque di giungere a qualsivoglia certezza.

Con i credenti (ma anche con i non credenti che cercano sinceramente la verità) che si vorranno unire alla nostra pagina, cercheremo di ripercorrere insieme le tappe razionali per raggiungere la certezza intorno alle verità della fede cristiana, seguendo i grandi maestri e i Padri della Chiesa che tanto contribuirono a rendere salde le fondamenta della dottrina cristiana.

Il nostro " cammino " richiederà lo sviluppo di quelli che possiamo chiamare i tre fondamenti della religione soprannaturale:

1. il valore oggettivo e universale del nostro raziocinio;

2. l'esistenza di Dio, personale, distinto dal mondo e creatore di questo;

3. la provvidenza divina, cioè il governo, l'intervento e la sollecitudine di Dio per le sue creature.

Qualsiasi discorso intorno alla religione che prima non affronti e risolva i problemi emergenti da questi tre " fondamenti " è vano ciarlare e prima o poi si dovrà fare i conti con essi per darne risposte positive o negative. E' impossibile cominciare qualsiasi discussione, se prima non siamo d'accordo sul valore da dare alla nostra conoscenza e alla sua capacità di raggiungere il vero; come anche è impossibile parlare di Cristo e della Chiesa se prima non raggiungiamo la verità intorno a Dio esistente, personale e provvidente.

Da qui dunque vogliamo ripartire, perchè riteniamo che siano proprio questi fondamenti ad essere messi in ombra, ad essere trascurati o ad essere considerati " scontati ". Al contrario il pensiero moderno è proprio essi che combatte e logora: da qui la costante, graduale e continua perdita della fede di tanti cristiani; e lo scetticismo dei non credenti verso la religione.

1. IL VALORE OGGETTIVO E UNIVERSALE DEL NOSTRO RAZIOCINIO

Nell'affrontare quello che abbiamo chiamato il primo fondamento della religione soprannaturale, ossia il valore oggettivo del nostro raziocinio, occorre precisare che, per sé, esso è un tema filosofico. Tuttavia esso è propedeutico al discorso intorno alla religione, come, d'altra parte, è propedeutico a qualsiasi discorso si volesse fare, riguardando esso il significato da dare alle stesse parole umane, alla stessa possibilità di conoscere qualcosa, di apprendere principi validi.

Data la natura dell'argomento tuttavia, esso sarà trattato in maniera sintetica, rimandando ai testi che indicheremo eventuali desideri di approfondimento (ferma restando la disponibilità a trattarne nella corrispondenza diretta).

Svilupperemo, dunque, tale "fondamento" in tre pagine:

1. che significa conoscere?

2. il realismo della conoscenza

3. la causalità

  1. che significa conoscere

 

LE DOMANDE

Dobbiamo anzitutto interrogarci sul significato della nostra conoscenza: che significa conoscere? come si conosce? cosa si conosce? sono le prime, spontanee domande che possiamo porci.

Di seguito daremo delle risposte che non possono che essere sintetiche (gli approfondimenti possono essere effettuati in un testo di gnoseologia, che non mancheremo di segnalare), ma sufficienti alla nostra causa; in grado quindi di darci qualche certezza in questo campo.

 

LE RISPOSTE

Il nostro cervello: è l’unico strumento a disposizione nel lavoro conoscitivo.

Il linguaggio: è rappresentato da espressioni verbali con cui si comunicano le conoscenze acquisite. E’ importante fissare il senso delle parole e di usarle sempre in tal senso.

Noi conosciamo: noi stessi, quell’albero, questo tavolo...

Ci poniamo il problema del significato di questa conoscenza. Per rispondere dobbiamo riflettere sul "come" e sul "cosa" del nostro conoscere. Faremo, cioè, un’indagine conoscitiva sulla nostra conoscenza. Si parte quindi da una conoscenza "volgare" che è di tutti, per giungere ad una conoscenza "scientifica " che è il frutto dell’indagine. E la prima domanda da porsi è: quale deve essere lo stato mentale all’inizio di questa indagine? visto che nessuno parte da zero (io conosco già tante cose, principi).

Esistono solo tre possibilità:

ignoranza: è lo stato mentale di chi non si è ancora posta la questione. Una volta posta la questione, cessa l’ignoranza.

certezza: è lo stato mentale di chi, posta una questione, è sicuro della verità di una determinata soluzione.

dubbio: è lo stato mentale di chi, posta una questione, resta sospeso tra le due soluzioni opposte senza accettare come certamente vera né l’una, né l’altra.

All’inizio dell’indagine, rispetto alla conoscenza precedente:

perché:

1. tale dubbio è fisicamente impossibile: ci sono delle evidenze schiaccianti, ineliminabili;

2. tale dubbio porta allo scetticismo: posto il dubbio universale non c’è più modo di uscirne, diventa una gabbia;

3. tale dubbio è contraddittorio: lo è rispetto al principio di non contraddizione (quale legge inesorabile del pensiero e dell’essere) e della nostra facoltà conoscitiva.

Rispetto alle conoscenze precedenti lo stato mentale retto è la certezza provvisoria circa i fatti e i principi di ovvia evidenza.

Rispetto alla conoscenza "scientifica" seguente lo stato mentale retto è quello di ignoranza universale: chi comincia, non sa ancora niente; se sa già qualcosa, ha già incominciato.

Si escludono invece:

1. non è razionalmente motivato. Infatti il dubbio non è un metodo, cioè un modo di procedere, ma un arresto, un bloccarsi. Il dubbio rientra nel procedimento scientifico solo se la soluzione non è certa e al solo scopo di spingere ulteriormente all’indagine;

2. è temerario, non potrà essere mantenuto di fronte a evidenze scientifiche schiaccianti;

3. è pericoloso, può portare allo scetticismo. Il dubbio esteso al principio di non contraddizione e alla nostra facoltà conoscitiva impedisce di uscirne: non possiamo uscire dal dubbio servendoci di ciò che si dubita.

Pertanto, di fronte alla futura conoscenza scientifica l’atteggiamento iniziale deve essere di ignoranza totale e di ricerca spassionata, senza prendere in anticipo nessuna decisione circa eventuali stati futuri di certezze o di dubbi.

  1. il realismo della conoscenza

Nell'iniziare la nostra indagine sul significato e sulla natura della conoscenza, dobbiamo chiederci se dobbiamo partire da un fatto o da un principio.

Fatto: dato sperimentale singolare che avviene qui ed ora e che si coglie mentre avviene : c'è qualcosa, sto parlando ...

Principio: enunciazione universale, applicabile a più fatti e che di questi fatti dà la ragione o la spiegazione.

Per la conoscenza i fatti precedono i principi.

Il punto di partenza deve essere un'affermazione sia di fatto che di principio. Tale punto di partenza ci si presenta con due facce:

 

ANALISI DEL PUNTO DI PARTENZA

Fatto: c'è qualcosa.

Principio: questo qualcosa non può insieme essere e non essere (principio di non contraddizione).

Il punto di partenza (fatto e principio), è un'evidenza:

 

DUALISMO DELLA CONOSCENZA

Nella conoscenza ci sono due "poli" irriducibili l'uno all'altro:

il soggetto conoscente e l'oggetto conosciuto.

Noi abbiamo l'evidenza che esistono più soggetti conoscenti.

 

SIGNIFICATO DELLA CONOSCENZA

Conoscere significa apprendere una realtà posta davanti al soggetto conoscente, realtà supposta e quindi indipendente dal soggetto conoscente.

Dunque, l'essere precede il conoscere: prima c'è la realtà, poi io la conosco.

 

VERITA' E FALSITA'

La verità è l'adeguazione del pensiero all'essere.

Si ha la verità quando il pensiero è conforme a ciò che è.

Si ha la falsità quando il pensiero è difforme dalla realtà.

 

LE OBIEZIONI

Il negatore dell'essere e del suo principio coerentemente non dovrebbe aprire bocca per parlare: le stesse parole perderebbero di significato.

L'ERRORE: dal fatto che talvolta erriamo non si può concludere che non si può mai essere certi della nostra facoltà conoscitiva. Quando c'è l'evidenza l'errore è impossibile.

NON POSSIAMO ESSERE CERTI SE DORMIAMO O SIAMO SVEGLI: chi dorme non sa se sogna o è sveglio; chi è sveglio sa che non dorme.

NON E' POSSIBILE DIMOSTRARE LA VALIDITA' DELLA NOSTRA CONOSCENZA: si dimostra ciò che non è evidente. Dimostrare, infatti, significa rendere evidente ciò che non lo è.

L'evidenza è il criterio primordiale e supremo di verità; gli altri criteri mettono capo all'evidenza.

3. La causalità

DEFINIZIONI

Effetto: ciò che nell'essere dipende da un altro, è condizionato da un altro ente; nella linea del conoscere, per effetto si intende ciò che è intelligibile solo in ragione di un altro ente.

Causa: ciò che ad un altro ente dà l'essere e, quindi, ciò che estrinsecamente rende intelligibile questo ente a cui dà l'essere.

Causalità: è il rapporto tra effetto e causa; in senso passivo, è la dipendenza dell'effetto dalla causa; in senso attivo, è l'influsso della causa sull'effetto.

Sul piano ontologico (della realtà, dell'essere) la causa precede l'effetto: c'è l'effetto perché c'è la causa. Sul piano conoscitivo, l'effetto precede la causa: noi prima conosciamo che una certa realtà è l'effetto di una tal'altra, poi che quest'ultima è causa di quella.

La domanda a cui dobbiamo rispondere è se si dia la causalità.

 

CERTEZZE ACQUISITE

Il buon senso comune: tutti gli uomini di tutti i tempi, luoghi e condizioni non hanno mai avuto dubbi che veramente vi siano effetti e cause.

Le scienze sperimentali: esse suppongono come sicura e oggettiva la causalità e la realtà di cause ed effetti (il principio di indeterminazione di Heisemberg, correttamente esaminato, è una conferma della causalità).

 

DIMOSTRAZIONE

Nello stabilire il principio di causalità si procederà come segue:

Valore assoluto del principio di causalità: avendo tale principio carattere analitico, esso ha valore assoluto come il principio di non contraddizione.

Conseguentemente:

 

APPENDICE : IL PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE DI HEISEMBERG

Tale principio fu formulato da Heisemberg nel 1927 . Esso afferma che:

"quando si osserva un corpuscolo, cioè un elemento infraatomico (per esempio l'elettrone), non è possibile, per l'insopprimibile influsso della luce dello strumento d'osservazione sul corpuscolo, determinare insieme con assoluta precisione la posizione del corpuscolo e il suo impulso, cioè la direzione e la velocità del moto." Se si precisa la posizione, non si ha chiara la velocità e viceversa.

Partendo da tale principio alcuni ne hanno dedotto:

 

SOLUZIONE

Dal fatto che noi non possiamo sapere la posizione determinata e l'impulso preciso del corpuscolo, non segue che il corpuscolo oggettivamente non li abbia (ciò che non è determinato nella conoscenza, è però determinato nella realtà)

. Si deve aggiungere che l'imprecisione nella conoscenza di posizione e moto del corpuscolo è tale solo se nella realtà i due aspetti sono determinati: solo se il corpuscolo X nel dato momento ha una precisa posizione e una precisa velocità, la mia misurazione può essere imprecisa.

E' evidente, dunque, che nel microcosmo il presunto indeterminismo sperimentale non dipende dall'assenza di cause, ma dall'impossibilità o limite della loro misura.

 

2. L’ESISTENZA DI DIO, PERSONALE, DISTINTO DAL MONDO E CREATORE DI QUESTO

Il tema dell'esistenza di Dio è un tema filosofico illuminato dalla religione rivelata.

Il fatto dell'esistenza di Dio non è il risultato dell'evidenza, ma della dimostrazione, cioè della riduzione alla evidenza. Non sarà in quest'ambito trattato il tema dell'esperienza mistica di alcuni santi che dicono di aver "sperimentato" la presenza divina, perché tale tema suppone la dimostrazione dell'esistenza di Dio.

Il nostro tema seguirà questo percorso:

elementi propedeutici;

schema delle prove;

prove dell'esistenza di Dio;

le ragioni degli atei.

Non mancheremo di confrontarci con i problemi e/o le obiezioni sollevate dalla scienza e dalla storia.

1 - Elementi propedeutici

LA RISPOSTA PIU' COMUNE

I vari popoli: finora non si è trovato un popolo privo di religione, privo della credenza nella divinità. Gli studi sui popoli primitivi confermano che l'uomo fu sempre religioso e che le forme primitive di religione sono più pure delle posteriori.

La sintesi di quanto detto sta in un famoso testo di Plutarco:

"se uno gira tutta la terra, può trovare città senza mura, senza tetti, senza leggi... ma non senza templi in cui si facciano preghiere e sacrifici agli Dei".

Grandi uomini: i più bei nomi della filosofia, delle lettere, delle arti e delle scienze (oltre ovviamente i Santi), hanno creduto in Dio. Erano credenti in Dio Socrate, Platone, Aristotele, Cicerone, Seneca, Plotino, Avicenna, tutti gli Scolastici, Descartes,..., e perfino (a modo loro) Kant e Hegel; Omero Dante, Shakespeare,..., Copernico, Galilei, Newton, Volta, Einstein,...

 

VALORE DEL FATTO

In sé, il consenso del genere umano non è un argomento dimostrativo della esistenza di Dio.

Tuttavia, all'inizio dell'indagine si deve presumere che abbia piuttosto ragione il genere umano, che non un gruppetto di dissidenti; ci si può legittimamente chiedere "solo tu sei intelligente"?

Inoltre, ci deve essere una ragione a questo consenso del genere umano.

Negativamente - Non sono i nostri interessi, o le nostre passioni che ci spingono ad ammettere Dio: esse spingerebbero piuttosto a negarlo; e non è nemmeno il timore che ci spinge ad ammettere l'esistenza di Dio, perché il timore lo presuppone, è un effetto, non la causa della credenza in Dio.

Positivamente - La fede in Dio, essendo costante nel tempo, nei diversi luoghi, nelle differenze di sesso, cultura, ecc., si può fondare solo su un fattore comune e costante: è l'oggettiva verità dell'esistenza di Dio che si è imposta e si impone in ogni tempo a uomini tanto differenti.

Pertanto, in partenza che Dio esista è più probabile del suo contrario.

2 - Schema delle prove

Prima di presentare le prove che la ragione umana ha elaborato per la dimostrazione dell'esistenza di Dio è necessario premettere il principio filosofico su cui sono fondate con le possibili obiezioni e lo schema "tipo" con cui le prove stesse verranno esposte.

 

RAGION D’ESSERE

Ogni cosa, fatto, esige, suppone tutto e solo quello che si richiede per essere in quel determinato modo, ed esclude tutto e solo quello che gli impedirebbe di essere in quel determinato modo.

Quando la ragion d’essere di un ente (cosa, fatto) si trova dentro l’ente stesso, l’indagine è chiusa. Se, invece, la ragion d’essere non è dentro l’ente, allora va cercata al di fuori. Ne deriva il seguente principio:

Ciò che non ha in sé la ragion d’essere, l’ha da un altro distinto e di qualità differente-opposta.

 

ALTERNATIVE DI RICAMBIO

Sono state avanzate due alternative che consentirebbero di sfuggire al principio suddetto:

LA SERIE CIRCOLARE

Secondo questa alternativa, A punto di partenza, non avendo in sé la ragion d’essere l’ha da B che, a sua volta, non avendola, l’ha da C, che l’ha da A. In questa alternativa tutti gli elementi della serie restano senza ragion d’essere.

LA SERIE INFINITA

Si intende la serie infinita in atto, cioè una serie attualmente infinita, non aumentabile all’infinito.

Tale serie non spiega nulla: se la ragion d’essere non c’è nell’effetto A e non c’è in B causa di A, che a sua volta è causato da C, che è causato da D,..., non è allungando all’infinito la serie degli effetti senza ragion d’essere che spieghiamo A. In una serie di anelli della stessa natura, per ogni anello vale quanto affermato per l’ultimo: se questo non ha la ragion d’essere, non ce l’hanno nemmeno gli altri; l’intera serie è priva di ragion d’essere.

La serie infinita impedisce l’effetto: infatti tale serie non si può percorrere, è intransitabile. Se io avessi dietro di me un numero infinito di antenati, io non sarei mai nato; siccome sono nato, dietro di me ci sono un numero finito di antenati.

 

SCHEMA DELLE PROVE

Il ragionamento che seguiremo sarà così impostato:

Se esistono realtà con attributi opposti a quelli divini, realtà che siano prive della ragion d’essere in se stesse, esiste Dio.

Ora esistono realtà con attributi opposti a quelli divini, le quali non hanno ragion d’essere in se stesse. Quindi esiste Dio.

3 - Prove dell'esistenza di Dio

1. realtà nuove che sorgono

2. mutazioni

3. enti composti

4. enti contingenti

5. il finalismo

6. l'esemplarismo

REALTA' NUOVE CHE SORGONO

IL FATTO

E' un fatto che ci sono cose che cominciano: comincia ad essere quel palazzo, quel cane, quell'uomo,... Dunque qualcosa comincia.

IL PRINCIPIO

Niente comincia da sé, né per pura spontaneità, né per autoproduzione.

Il passaggio dal non essere all'essere non può avvenire senza una causa esterna, perché il non essere non può da sé dar luogo all'essere; ciò che non è non può agire su sé stesso, perché non è.

Pertanto, si può concludere affermando che ciò che comincia, non comincia da sé, ma in virtù di altri: è causato.

CONCLUSIONE

Esiste una causa mai cominciata, eterna, che fa cominciare tutto ciò che comincia: tale causa ha l'essere da sé e non è mai cominciata: è l'ETERNO, DIO.

 

1. INIZIO DELL'UNIVERSO

L'esperienza e le scienze ci mostrano che il processo energetico del mondo si sta ancora svolgendo; ora, le leggi della termodinamica dimostrano che se l'universo esistesse da sempre tale processo sarebbe terminato: quindi l'universo ha un inizio.

D'altra parte se l'universo esistesse da sempre, ci sarebbe una concatenazione di eventi che si succedono ab aeterno; noi abbiamo già dimostrato che la serie infinita in atto è contraddittoria. Per cui, anche al lume della ragione, l'universo è cominciato, dunque è causato.

Un'ultima osservazione contro l'immagine fantastica circa l'inizio dell'universo: esso non è cominciato nel tempo, è cominciato con il tempo, è il tempo che è cominciato con l'universo, non viceversa.

Esperienza, scienze e filosofia ci portano dunque a concludere che l'universo è causato; sulla base del principio di ragion sufficiente, sappiamo anche che tale causa deve essere proporzionata e di qualità differente-opposta. Tutto ciò ci porta a concludere che il creatore dell'universo ha una potenza infinita, è l'ONNIPOTENTE.

Egli è Colui che colma l'incommensurabile distanza tra il nulla e l'essere.

 

2. INIZIO DELLA VITA CORPOREA

Se è cominciato l'universo, a maggior ragione è cominciata la vita. Anche per la vita corporea sono valide le ragioni che negano una successione ab aeterno della stessa, già esaminate per l'esistenza dell'universo. Ma per la vita corporea ci sono anche ragioni particolari che confermano che essa è cominciata:

 

COME NON E' COMINCIATA LA VITA

Generazione spontanea: nel passato si è spesso creduto che dal mondo inanimato potesse per generazione spontanea sorgere il vivente. Redi, Spallanzani e Pasteur hanno definitivamente dimostrato che "ogni vivente viene da un altro vivente".

Circostanze favorevoli: si è sostenuto che la vita sarebbe sorta quando la Terra, tanti anni fa, giunse al clima giusto e alle altre condizioni indispensabili alla stessa. Ma una cosa sono le condizioni indispensabili alla vita, un'altra la causa proporzionata per farla sorgere: senza le condizioni indispensabili la causa proporzionata non può far sorgere la vita, ma con le sole condizioni la vita non sorgerà mai.

COME E' COMINCIATA LA VITA

Bisogna concludere che i primi viventi sono stati creati da Dio: il CREATORE.

3. INIZIO DELLE ANIME UMANE

Tale argomento verrà approfondito in una trattazione apposita. Qui solo si ricorda:

 

MUTAZIONI

IL FATTO

Qualche cosa muta, cambia: ci sono mutazioni di luogo, qualitative, quantitative, sostanziali (trasformazioni radicali: es. l’uranio si trasforma in piombo; il cibo si trasforma in carne umana; ...).

IL PRINCIPIO

Niente si muta da sé per spontaneità o per azione su sé stesso. Nella mutazione c’è un passaggio dal non essere all’essere: l’ente che muta acquisisce una nuova entità. Il corpo freddo diventa caldo passando dal "non caldo" al "caldo"; un oggetto passa dal bianco al grigio; una cosa passa da quì a là.

CONCLUSIONE

Ciò che si muta è causato. La causa proporzionata e di qualità differente-opposta di ciò che si muta è un agente immutabile, senza variazioni o alterazioni: un motore immobile, DIO.

 

1. MUTAZIONE INIZIALE DELL’UNIVERSO

Rispetto all’origine dell’universo sono ipotizzabili due ipotesi:

La prima ipotesi è quella che deriva dall’aver dimostrato che tutto ciò che comincia è causato.Tuttavia anche la seconda ipotesi, sebbene non dimostrata, porterebbe ugualmente a Dio. Infatti, ci si può anzitutto chiedere da dove viene questa materia iniziale "inerte" o "diversa". In secondo luogo, ammesso che la materia iniziale fosse "inerte", ferma, bisogna chiedersi come e chi l’ha messa in moto: niente si muove da sé! Dunque ci sarebbe un agente che l’ha messa in moto e questo agente starebbe fuori dall’universo e sarebbe non-materiale, cioè spirituale. E tale agente dovrebbe pre-esistere all’universo. Se, invece, l’universo fosse stato costituito da materia "diversa", un agente, con le medesime caratteristiche di quello dell’ipotesi precedente, dovrebbe averla cambiata in quella attuale con le leggi e caratteristiche che ora conosciamo.

Nelle due alternative si arriva sempre a Dio DOMINATORE del mondo.

 

2. EVOLUZIONE DELLE SPECIE VIVENTI

Abbiamo già stabilito che la vita corporea è cominciata. Si pone ora il problema della fissità o trasformazione delle specie viventi, divenuta di attualità dopo C. Darwin.

Si deve premettere che il problema dell’evoluzione della specie in sé non è né a favore, nè contro l’esistenza di Dio. Però, molti evoluzionisti hanno sostenuto che la scoperta delle "leggi" dell’evoluzione della specie ha reso "inutile" Dio.

IPOTESI NON DIMOSTRATA

Affinché l’evoluzione della specie abbia senso, essa deve riguardare i singoli individui viventi, non la specie o tipo che in sé non esiste. Dunque è durante il ciclo di vita dell’individuo che l’evoluzione dovrebbe verificarsi.

1. L’evoluzione non è un fatto sperimentato - Non è stata mai sperimentata l’evoluzione di un individuo durante la sua vita. Introdurre il concetto della lentezza del processo è solo un modo per falsare la discussione: infatti, come s’è detto, l’evoluzione deve avvenire durante la vita di un soggetto preciso.

2. L’evoluzione non trova posto nel ciclo vitale :

CONCLUSIONE: la specie sussiste solo negli individui e siccome non trova posto nelle diverse fasi della vita di un individuo essa non è naturalmente possibile

3. L’ipotesi dell’evoluzione non è dimostrata - Un’ipotesi non deve essere imposta dai fatti, altrimenti sarebbe un’evidenza; né deve essere estranea o in contrasto con i fatti; essa deve essere suggerita dai fatti. Un’ipotesi che si armonizzasse con i fatti e li spiegasse tutti e che fosse l’unica spiegazione possibile sarebbe una teoria provata, dimostrata.

I FATTI RACCOLTI DAGLI EVOLUZIONISTI

Alcuni sono pseudo fatti - Come la legge biogenetica fondamentale di Haeckel, secondo cui gli stati successivi dello sviluppo dell’embrione riassumerebbero l’evoluzione dei suoi antenati; gli organi cosiddetti "rudimentali" (in realtà è rudimentale la nostra conoscenza); la scoperta dei cosiddetti "anelli di congiunzione".

Altri fatti sono reali - Tuttavia non dimostrano l’evoluzione. Ad esempio la successione cronologica nelle varie ere dei viventi dai più semplici ai più complessi non dimostra l’evoluzione. Le specie più semplici non sono meno perfette di quelle più complesse: ogni specie nel suo ordine è perfetta e completa. Esiste un’altra spiegazione possibile: che il Creatore della vita sia intervenuto successivamente a produrre le varie specie.

Ci sono poi alcune mutazioni (di grandezza, di figura) che sono da considerarsi variazioni dentro la specie e non evoluzione della stessa.

ENTI COMPOSTI

IL FATTO

Esistono enti composti: un edificio è composto, un treno è composto ... Le composizioni possono essere sostanziali o accidentali.

Le scienze confermano la reale composizione degli enti: Botanica e Zoologia per le piante e gli animali; la Chimica afferma l’esistenza di composizioni atomico-molecolari; la Fisica afferma la composizione dell’atomo e delle parti dell’atomo. La Filosofia a sua volta stabilisce alcune composizioni per spiegare il reale: il mutabile è composto; il finito è composto.

Se A si trasforma in B, significa che qualche cosa di A passa in B e qualche cosa no: c’è dunque un elemento comune ad A e B e c’è un elemento proprio di A e B.

IL PRINCIPIO

Ciò che è composto è causato. Il composto non si costituisce da sé, né per pura spontaneità, né agendo le parti su sé stesse. L’unione spontanea di parti diverse non avviene da sé. L’esperienza conferma tale principio per gli artefatti umani: le singole parti di un treno non si uniscono da sé; ...

CONCLUSIONE

Il composto è dunque causato e la causa proporzionata di qualità differente - opposta è una causa del tutto semplice: DIO.

ENTI CONTINGENTI

IL FATTO

Si dice contingente l’ente che, pur esistendo, avrebbe potuto non venire all’esistenza e, a ogni istante, potrebbe cessare di esistere. Ora, sono contingenti tutti gli enti che cominciano ad esistere ed a un certo punto cessano di esistere: se fossero necessari, sarebbero esistiti da sempre e continuerebbero ad esistere sempre.

IL PRINCIPIO

Ciò che è contingente per essere dipende da altri, è causato. Il contingente non esiste da sé (altrimenti esisterebbe sempre), ma da altri. Il contingente è causato ad ogni istante.

CONCLUSIONE

La causa proporzionata di qualità differente - opposta del contingente è l’Ente Necessario, che esiste per la sua stessa natura, che esiste sempre: DIO.

IL FINALISMO

Premessa

L’azione è impossibile senza un fine. Il fine è ciò in grazia di cui, in vista di cui è posta l’azione. Agire in nessun senso, verso nessuna direzione, per nessuno scopo, verso nessun oggetto, è non agire! Muoversi da nessun punto di partenza verso nessun punto di arrivo, è non muoversi!

Il fine è lo scopo dell’azione! Il fine è il "primo" nell’intenzione: è precontenuto nell’intenzione dell’agente (si vuole la laurea, si studia per conseguirla). Nell’esecuzione, il fine è il risultato a cui l’azione mette capo (studiando si consegue la laurea).

Dunque, il fine è il primo nell’intenzione e l’ultimo nell’esecuzione.

Conclusione

Ogni azione è per un fine e ogni agente agisce per un fine.

Il fine come scopo intenzionale non esiste ancora nella realtà; tuttavia è tale fine che dà la ragion d’essere all’azione e ne determina la natura. Si chiama finalismo il rapporto tra una realtà ad un fine estrinseco, per cui quella realtà è posta e strutturata. Si dice finalizzato ciò che è posto per un fine.

IL FATTO

Il finalismo è reale , è osservabile o deducibile. Nell’attività umana il finalismo è incontestabile: si studia per..., si cammina per..., si lavora per..., quello strumento è per... Alla prima osservazione alcune realtà naturali ci appaiono finalizzate: l’occhio è fatto per vedere, il piede per camminare, l’orecchio per sentire,...

IL PRINCIPIO

Ciò che è per un fine è causato. Non è, infatti, possibile che la realtà finalizzata, da se stessa, si strutturi in vista del fine: non è l’orologio che combina se stesso in vista dell’ora e minuti da segnare, ma è l’orologiaio che lo struttura a tal fine.

La causa del finalismo è il finalizzatore, che è chi o cosa pone il fine e struttura qualcosa per conseguirlo. Deve essere una causa intelligente e libera perché conosce e pone il fine prima che questo nella realtà sia. La causa proporzionata e di qualità differente-opposta del finalismo è Dio: Essere semplice e Fine ultimo di tutte le cose.

FINALISMO NATURALE

Spesso il non credente parla della natura come surrogata di Dio: si esalta la Natura saggia, provvida e madre. La natura, però, non è un unico ente, ma un aggregato di enti distinti e differenti. Ognuno di tali enti distinti è ciò che esiste e che agisce. Dal fatto che nella natura riscontriamo il finalismo non vuol dire che tale finalismo viene dalla natura.

Mondo inanimato

Macrocosmo: le caratteristiche della Terra mostrano che esse rispondono ad un piano intenzionale per renderla adatta alla vita (distanza dal sole, rotazione, inclinazione dell’asse dell’eclittica, l’atmosfera, le caratteristiche dell’acqua,...). Il sistema solare con il movimento dei pianeti congegnato in modo da evitare urti. Gli altri sistemi stellari con il processo di generazione dell’energia da parte delle stelle... Tutto un sapiente piano intenzionale!

Microcosmo: la struttura dell’atomo mira a tenerlo in equilibrio, stabile; la struttura molecolare con le affinità degli elementi a combinarsi... Ancora un sapiente piano intenzionale!

Regno vegetale

Da come è congegnato il seme (che già precontiene la futura pianta completa), a come è protetto e ai suoi meccanismi di diffusione, alle parti in cui la pianta è costituita e alla distribuzione delle funzioni alle diverse parti, è tutto un evidente finalismo.

Regno animale

Nel regno animale il finalismo è più appariscente. Dal momento della fecondazione dell’ovulo allo sviluppo completo; dalla moltiplicazione delle cellule che mette capo infallibilmente ai tessuti e agli organi; dalla struttura degli organi e dalle loro funzioni; dal collegamento interfunzionale degli stessi; dai processi di difesa della vita; e dalla presenza di istinti animali disalvaguardia della specie, è tutto un mirabile piano intenzionale.

Finalismo di collegamento

Il mondo inanimato, quello vegetale e quello animale sono collegati con finalismo reciprocamente utile. Es.: la fotosintesi clorofilliana rappresenta un collegamento tra luce solare e piante; il plancton si nutre di sostanze inorganiche ed è cibo per alcuni animali. Le proprietà dell’acqua sono indispensabili a tutte le forme di vita. La respirazione di piante ed animali è di reciproco giovamento...

APPENDICE A "IL FINALISMO"

IL CASO

L’unica via per negare radicalmente nella natura qualunque finalismo è quello di ricorrere al caso

Dire che una cosa avviene a caso significa dire che tale cosa avviene senza ragione, senza una causa. Tale impostazione è assurda perché nega la ragion d’essere e si fonda sull’irrazionale. Per cui preso in senso totale il caso è assurdo e insostenibile.

Il caso, invece, può avere un senso relativo e allora può essere preso in considerazione: l’incontro casuale di due amici alla partita (che però individualmente non stavano per caso allo stadio); la scoperta di un tesoro o di altra cosa mentre Tizio stava facendo (intenzionalmente) un’altra attività;...

Al caso inteso in senso relativo si fanno tre rilievi:

1. necessità della causa - Anche quando si dice che un fatto non si spiega con la sola causa A, ma anche con altre cause, di fatto si riafferma la necessità della causa;

2. intenzionalità elementare - La casualità di un avvenimento, quando c’è, riguarda unicamente il combinarsi di più fattori ognuno dei quali è intenzionale (così i due amici allo stadio, o lo scopritore del tesoro e il tesoro stesso). Così se un certo fenomeno naturale va verso una direzione, significa che tale fine era precontenuto nella natura stessa; il caso può favorire l’incontro di più fenomeni naturali singolarmente intenzionali. Tale incontro casuale non ci sarebbe se prima non ci fossero movimenti intenzionali;

3. intenzionalità complessiva - Ci sono criteri per escludere il caso anche nelle combinazione o incontri:

- spesso il complesso o la combinazione sono il risultato di una intelligenza. Infatti, in certi casi è possibile escludere agenti fisici (che la Divina Commedia sia una delle tante possibili combinazioni delle lettere di una macchina da scrivere battuta da una scimmia è certamente da escludere; analoghi esempi si hanno analizzando i complessi finalistici della natura: troppe volte chiamiamo caso tutto ciò che è frutto della nostra ignoranza). L’intenzionalità di un complesso emerge quando esso mostra fantasia, intelligenza, arte, funzionalità (nessun dubbio che gli artefatti umani non siano il prodotto del caso, ma altrettanto si deve dire di più perfetti strumenti naturali quali pompe, valvole, lampadine, lenti bifocali, filtri,...);

- un complesso è intenzionale quando presenta manifestamente memoria-volontà. E’ stato calcolato che la possibilità che una sola cellula vivente si formi a caso è uguale a quella di un esercito di scimmie, che battendo a caso su altrettante macchine, riproducano senza alcun errore tutte le pubbicazione esistenti. Si noti che quanto più è bassa la probabilità del verificarsi di un evento, quanto più è improbabile il ripetersi dello stesso una volta verificatosi. Ora nella natura, da miliardi di anni nelle molecole degli inanimati e da migliaia di anni nei viventi, in miliardi e miliardi di eventi si verificano solo e sempre le combinazione giuste. Il caso è cieco, senza fantasia né memoria, senza intelligenza né volontà: il caso non può spiegare niente delle meraviglie della natura.

L'ESEMPLARISMO

1. PREMESSA

Il fine dice il perché c’è l’azione e il dove essa è diretta; ma l’azione richiede anche il modo o il come è o va eseguita. Per agire, oltre al fine, occorre anche la regola di agire, che ci guidi e determini come agire verso un dato fine. Se decido di andare a Roma, c’è il fine (Roma, come destinazione), ma ci sarà pure la decisione del mezzo con cui andarci e della strada da prendere (il modo e il come, appunto).

L’esperienza conferma questa necessità del come e modo di agire: bisogna imparare come camminare, come guidare, come farsi la barba,... Ogni volta che si vuole raggiungere un effetto (fine) esso deve essere ben determinato nella mente: se devo costruire una chiesa, devo conoscere ogni particolare della chiesa da costruire. L’agente deve avere l’idea o modello dell’effetto da produrre ed è questa idea che lo guida nell’agire. L’agente è come l’artista che produce un’opera d’arte sulla base di un esemplare o modello reale o ideale.

Si chiama causa o idea esemplare, l’idea che guida l’azione nel produrre un effetto che sarà copia più o meno conforme al modello.

Si chiama esemplarismo il rapporto tra l’azione e l’esemplare o modello. L’esemplarismo è la dipendenza di una copia da un modello.

IL FATTO

L’esemplarismo è reale. E’ evidente nell’attività umana: ogni opera d’arte, i film, una composizione musicale, un artefatto,... Ma anche nel campo della natura l’esemplarismo è evidente.

IL PRINCIPIO

Ciò che è copia è causato. Infatti, non è possibile che la copia si plasmi da sola a somiglianza dell’esemplare: dovrebbe esistere prima di esistere.

La causa della copia è un agente che riproduce la copia secondo un esemplare.

Si deve giungere ad un essere intelligente, ad una persona che non sia copia, ma modello o esemplare di tutte le cose prodotte: è l’ente più perfetto possibile, Dio.

2. ESEMPLARISMO NATURALE

Microcosmo - Ogni atomo ha una sua precisa struttura, identica in tutti i tempi; ogni molecola ha la sua struttura, identica in tutti i tempi; nelle molecole gli atomi si combinano secondo determinati rapporti e misure precise, tali che queste strutture sono esprimibili in numeri; i cristalli hanno tutti una figura geometrica che varia da tipo a tipo.

Macrocosmo - Vi troviamo modelli costantemente riprodotti (il tipo satellite, pianeta, sistema solare, galassia, cometa, ...)

Regno vegetale - La struttura di radici, fusto e foglie realizzano delle forme geometriche una più elegante dell’altra.

Regno animale: l’esistenza di "tipi" che si ripetono è ancora più manifesta.

Così nell’universo vi sono schemi fondamentali che ritornano in tutti i corpi e in tutti i viventi.

Tutto l’universo appare disposto con "misura, numero e peso" (Sap., XI,20).

4 - Le ragioni degli atei

PERCHE’ DIO NON DOVREBBE ESISTERE? (1)

Sono possibili solo due posizioni contro l’esistenza di Dio.

Negativa: non è dimostrabile che Dio esista; e non è necessario perchè la sua esistenza è superflua.

Positiva: non è possibile che Dio esista perchè la sua esistenza è inconciliabile con la realtà.

Vengono tralasciati gli argomenti contrari di tipo conoscitivo, perchè già esaminati e perchè investono l’intera conoscenza del reale.

Domanda. Il progresso della scienza ha reso inutile Dio?

Infatti, se l’universo è spiegabile con la scienza senza ricorrere alla "scappatoia" Dio, quest’ultimo è un concetto reso inutile dal progresso.

Risposta. Tutte le scoperte scientifiche hanno gettato maggior luce alla dipendenza dell’universo da una Causa potentissima ordinatrice dello stesso.

Esaminando senza pregiudizi e con animo sereno le scoperte scientifiche la necessità di Dio viene rafforzata. D’altra parte è stata una pseudo-scienza ad inventare "scappatoie" quali la serie infinita e quella circolare che non dimostrano niente.

Ma l’obiezione legata al progresso scientifico viene spesso presentata in maniera più sottile: quello che non si è spiegato oggi verrà spiegato domani grazie al continuo progresso della scienza.

Nella prima formulazione c’era contrapposizione tra scienza e conoscenza volgare: la conoscenza superficiale e rozza della realtà mondana portava a credere a Dio; mentre l’approfondimento scientifico

lo avrebbe reso inutile.

Nella seconda formulazione c’è contrapposizione tra realtà nascoste (sempre meglio studiate dalla scienza) e Dio: le realtà ora nascoste grazie alla scienza si riveleranno sempre meglio e renderanno inutile Dio.

La risposta decisiva da dare per l’una e l’altra formulazione riguarda la natura conoscitiva delle scienze sperimentali. Le scienze sperimentali danno spiegazioni immediate circa le cause prossime di un fatto (la forza che "attrae" la mela che cade verso terra, la/le forze che "legano" le componenti di un atomo di una molecola, le leggi di sviluppo di una popolazione di moscerini, ...).

In realtà le spiegazioni della scienza sono solo descrittive, cioè descrivono in modo sempre più esatto e complesso il fatto da spiegare. Però, descrivere un fatto non è darne la spiegazione o ragione definitiva; non è rispondere agli ultimi "perchè" di quel fatto.

Tornando al nostro esempio più classico quello dell’orologio: la conoscenza superficiale e rozza del suo meccanismo porterebbe ad ammettere l’orologiaio, invece la conoscenza approfondita, o "erudita" dello stesso meccanismo renderebbe inutile l’orologiaio? Oppure dovremmo attendere altre scoperte e progressi da parte dell’osservatore "erudito" per poter tranquillamente fare a meno dell’orologiaio? Tutto ciò è poco serio!

CONCLUSIONE

Rispetto alla prima obiezione che nega l’esistenza di Dio, possiamo concludere che essa non nega niente perchè priva di argomentazioni valide. L’esistenza di Dio finora è stata dimostrata ricorrendo alla ragione umana, ai principi logico-ontologici, partendo dai dati dell’esperienza e confrontandosi con i risultati delle scienze.

PERCHE’ DIO NON DOVREBBE ESISTERE ? (2)

L’ESISTENZA DI DIO E’ INCONCILIABILE CON LA REALTA’?

1. DIO E IL MALE

C’è il male fisico e c’è il male morale. Il male fisico normalmente ha un significato relativo: ciò che è male per un soggetto è bene per un altro. Così il lupo che mangia la pecora, è male per la pecora, ma è bene per il lupo, ...

Il male è privazione di bene, è la mancanza di qualche cosa in un soggetto che potrebbe e dovrebbe avere. Il male assoluto non esiste. Esiste il bene misto con il male, cioè limitato. In questa linea l’esistenza del male è una prova dell’esistenza di Dio, perché il male suppone il bene e quest’ultimo Dio. Ciò che noi chiamiamo male è, dunque, un bene difettoso, un disordine in ciò in cui ci doveva essere ordine: è un essere difettoso. Ora Dio è l’Essere Infinito che produce ogni altro essere. Egli non può produrre un essere simile a sé stesso, ma solo esseri imperfetti, limitati. Dio non produce direttamente il male (cioè l’imperfezione), ma l’essere.

D’altra parte occorre osservare che chi nega Dio a causa dell’esistenza del male, non risolve il problema del male.

2. DIO E LA NOSTRA LIBERTA’

E’ questo l’unico vero mistero di tutta la conoscenza umana.

Tra le realtà finite prodotte da Dio ci sono anche le nostre azioni libere: come possono quest’ultime restare libere e noi responsabili di esse? Noi non siamo in grado di spiegare come ciò avvenga. Tuttavia possiamo affermare:

1. che ciò avviene, perché è evidente che noi siamo liberi e responsabili delle nostre azioni;

2. che Dio è veramente causa di tutta la realtà;

3. che pertanto le due posizioni si conciliano, senza sapere come.

Verità non si oppone a verità. Dobbiamo su questo punto restare al fatto:

"state contenti, umana gente, al quia; ché, se potuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria" (Purg. 3,37-39)

CONCLUSIONE

Mentre ci sono - e sono state esposte - tante ragioni a sostegno dell’ esistenza di Dio, non ci sono valide ragioni per dire che Dio non c’è.

 

  1. LA PROVVIDENZA DIVINA, CIOE’ IL GOVERNO, L’INTERVENTO E LA SOLLECITUDINE DI DIO PER LE SUE CREATURE

Il terzo fondamento della religione soprannaturale ci fa entrare nella teologia.

Ammessa l'esistenza di Dio, Creatore, Onnipotente, Bontà Infinita, Somma Sapienza, il passaggio alla Sua Provvidenza, al fatto cioè che "tutte le cose che Dio ha create le sostiene e le governa" (Concilio Vaticano I, sess. III, Cap. I), non dovrebbe presentare più difficoltà.

Dio, infatti, non abbandona gli esseri creati, ma li assiste provvidamente affinché raggiungano il fine per cui sono stati tratti all'esistenza.

Questo interessamento di Dio per il creato è un'esigenza di ragione confermata dalla Rivelazione:

La ragione

1. Come è necessario l'intervento divino per la creazione, così è necessaria la continua azione divina per conservare nell'esistenza le creature tratte dal nulla.

2. Ogni essere intelligente agisce per un fine e per il suo conseguimento. Dio è infinitamente intelligente e potente, quindi agisce per un Fine che conseguirà. Egli nel creare ha dunque impresso un ordine o fine alle cose create e ha cura che venga conseguito.

La rivelazione

"Dio ha fatto il grande e il piccolo e ha cura egualmente di tutti" (Sap. VI, 8); "Tocca tutto da un estremo all'altro, fortemente e soavemente dispone ogni cosa" (Sap. VIII, 1); "Non vi prendete pena né di quello con cui alimentare la vostra vita, né di quello onde vestire il vostro corpo: La vita non val più dell'alimento e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli dell'aria che non seminano né mietono né riempiono granai: e il vostro Padre celeste li pasce. Non valete voi assai più di essi? ... E perché vi prendete pena del vestito? Pensate come crescono i gigli del campo: essi non lavorano e non filano. Ora vi dico che nemmeno Salomone in tutto il suo splendore fu mai vestito come uno di questi. Se dunque Dio riveste in tal modo l'erba del campo, che oggi è e domani viene gettata nel forno, quanto più voi, gente di poca fede? Non vogliate dunque angustiarvi dicendo: cosa mangeremo e cosa berremo o di che ci vestiremo? ... Il Padre vostro sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate dunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia e avrete in sovrappiù tutte queste cose" (Mt. VI, 25-33).

Il fatto della rivelazione (naturale e soprannaturale), dell'Incarnazione del Verbo, dell'istituzione della Santa Chiesa e dei mezzi di salvezza, sono tutte manifestazioni della Provvidenza divina.

Pertanto in questa terza parte cercheremo di ricostruire il fatto della Rivelazione soprannaturale che ha il suo centro in ciò che fece e disse nostro Signore Gesù Cristo. Inizieremo introducendo i concetti

fondamentali intorno alla Religione dando anche le soluzioni intorno ad alcuni luoghi comuni.

Questa terza parte verrà così sviluppata:

1. Religione e religioni

2. la Rivelazione

3. Storicità della Rivelazione cristiana

4. Gesù Cristo

5. La Chiesa

 

1 - Religione e religioni

L'IDEA DI RELIGIONE

Prima di affrontare il problema del rapporto tra le religioni è importante definire con il massimo della chiarezza possibile il concetto di "religione" e le caratteristiche storiche con cui il fenomemo religioso si è presentato.

La religione è il complesso dei rapporti tra uomo e Dio.

Presupposti da ammettere prima di poter parlare di religione, nel senso della definizione appena data, sono:

La non accettazione di questi due presupposti ci fa uscire dal mondo della religione, per entrare in altri campi come la superstizione o la magia, o altro.

Dio creatore determina il fine ultimo della creatura: Dio stesso. Dunque Dio determina l'orientamento, il processo attraverso il quale la creatura dovrà evolvere.

Dio creatore è infinitamente superiore alla sua creatura. Da cui deriva il dovere di riconoscimento nell'atto di culto.

Dio è il legislatore. Da cui deriva il dovere di obbedienza. Se Dio ci rivela delle verità, allora è dovuta l'obbedienza intellettuale.

Se Dio esiste, la religione ha il primato su tutto.

IL FATTO DELLA RELIGIONE:

Nessuno può negare che la religione sia un fatto che riempie gran parte dell'esistenza.

Il fatto religioso ha avuto le sue deformazioni contaminandosi con elementi impuri, fantastici, favolosi, arbitrari ed immorali: nonostante queste contaminazioni, il fenomeno religioso ha però sempre mantenuto un fondo costante e una certa idea di Dio, confermando allo stesso tempo la sua costanza e la sua degradazione a causa dell'instabilità umana rispetto alla verità e alla morale

Senza la Divina Rivelazione la religione (l'idea di Dio) subisce quindi involuzioni.

OPINIONI ERRATE

"La religione è un'imposizione di re e caste sacerdotali"

Come spiegarne l'idea presso gli stessi re e sacerdoti? Come l'accoglienza che ne fecero i popoli tutti? Come la durata e costanza?

"La religione esiste perché viene tramandata dai padri ai figli"

Come spiegarne la prima origine e la non interruzione? Diverse esperienze hanno tuttavia mostrato il contrario: un bambino segregato dal Sentennis fu sorpreso a mandare il suo saluto al Creatore del sole; diversi sordumuti, posti in osservazione rispetto a questo problema, sono giunti da sé all'idea di Dio.

"La causa della religione è l'ignoranza"

La religione ha origine da una riflessione intelligente, anche rudimentale e spontanea, che fa risalire dalla creatura, che non ha la ragion d'essere, al Creatore, come causa adeguata di tutto ciò che c'è.

RELIGIONE NATURALE E RELIGIONE SOPRANNATURALE

Questa è la più importante classificazione della religione.

Religione naturale

E' quella possibile a tutti gli uomini che non hanno la Rivelazione Divina. Dà risposte nell'ordine proprio dell'uomo, secondo la sua naturale costituzione.

Tutte le religioni che nascono da una riflessione sulla natura come effetto di un creatore e che instaurano una relazione di adorazione e culto di questo creatore rientrano nell'ordine delle religioni naturali.

Religione soprannaturale

E' quella che attua qualcosa che riguarda l'ordine divino; suppone la Rivelazione Divina.

Una religione di tale tipo trae origine direttamente da Dio, che interviene per far conoscere "cose più alte". Va dimostrato che una tale religione può esistere ed esiste concretamente.

CRITERI DI SCELTA FRA RELIGIONI

IL FATTO: nel mondo ci sono più religioni. In tutte le religioni c'è qualcosa in comune, tuttavia tra esse ci sono pure notevoli differenze, spesso radicali opposizioni (come paragonare monoteismo con politeismo, Cristo con Maometto,...?)

Il luogo comune su questo tema recita all'incirca così: "una religione vale l'altra" oppure, "tutte le religioni sono uguali".

In realtà tra le religioni vi sono differenze quantitative, qualitatitive e perfino contraddizioni.

Se ciò è vero bisogna dire che: "una religione non vale l'altra" e che: "le religioni non sono uguali".

D'altra parte al lume della ragione esistono solo queste possibilità:

1. tutte le religioni sono nell'errore;

2. tutte le religioni sono parzialmente vere;

3. una religione è vera, le altre o sono false o solo parzialmente vere.

CRITERI

Non è questo il luogo per trattare di storia comparata delle religioni; qui si vogliono solo fornire dei criteri per stabilire che esiste una religione vera e che, di conseguenza, le altre o sono false o sono solo parzialmente vere.

L'applicazione serena e imparziale di questi criteri lascia sopravvivere solo la religione cattolica, di cui andremo a dimostrare anche positivamente la sua verità.

2 - La Rivelazione

IPOTESI DI UNA RIVELAZIONE DIVINA

Il passaggio dalla religione naturale a quella soprannaturale suppone una rivelazione da parte di Dio provvidente. E' quanto cercheremo di affrontare in questa pagina dove dovremo verificare anzitutto la

possibilità di una rivelazione divina e della sua necessità storica ai fini della salvezza dell'uomo fornendo anche i criteri di credibilità di una rivelazione.

La rivelazione è la manifestazione di verità da parte di Dio. Etimologicamente il termine rivelazione significa "rimozione di veli", "riduzione della zona d'ombra".

Si premette una classificazione per un miglior chiarimento concettuale e terminologico.

1. POSSIBILITA' DI UNA RIVELAZIONE

All'inizio la possibilità di una rivelazione divina è una ipotesi; si tratta di verificare se tale ipotesi ha elementi contraddittori: se dall'analisi che faremo non emergeranno contraddizioni, si potrà legittimamente concludere che la rivelazione di verità soprannaturali da parte di Dio è possibile. Sono tre gli aspetti da analizzare:

Dio che rivela: non c'è contraddizione da parte di chi ha comunicato l'essere, di comunicare anche la verità.

L'uomo che accoglie la verità: in quanto la rivelazione aumenta qualcosa nell'uomo, essa risponde alla esigenza di apertura a tutta la verità che l'uomo avverte.

La verità manifestata: esiste solo il problema della "traduzione" in linguaggio umano del pensiero divino (noi chiamiamo "misteri" le principali verità rivelate: ma come può Dio rivelarci un mistero?).

Limitiamoci al momento a precisare che "mistero" significa "cosa nascosta", non "cosa assurda" e che noi sperimentiamo continuamente i limiti della nostra facoltà conoscitiva, quindi non è assurdo che ci siano "misteri", cioè cose nascoste alla nostra limitata conoscenza. E' questo uno dei punti fondamentali della nosta religione che è anche il titolo delle nostre pagine: "FEDE E RAGIONE", ossia "credere per comprendere, comprendere per credere" secondo la splendida sintesi di S. Agostino. Ci riserviamo di trattarne approfonditamente in apposita Appendice.

CONCLUSIONE: una rivelazione da parte di Dio è possibile.

 

2. NECESSITA' STORICA DI UNA RIVELAZIONE

Perché Dio avrebbe dovuto rivelarci delle verità soprannaturali o confermarci in verità naturalmente attingibili? L'uomo non basta a sé stesso? A queste e ad altre domande al momento rispondiamo con la constatazione di quanto è avvenuto storicamente sia nel campo religioso, sia in quello filosofico.

Questo è il panorama storico che ci è di fronte. Ci sono dunque delle caratteristiche nella natura dell'uomo dopo il peccato originale che determinano una progressiva perdita della verità iniziale posseduta, caratteristiche che avrebbero impedito una conoscenza pura di Dio anche sul piano naturale.

Dunque: gli uomini possono raggiungere la verità, ma tante sono le cause per cui essi possono e di fatto cedono all'errore; inoltre, è difficile, in tali condizioni, che tutti raggiungano facilmente la verità.

Da tale situazione di fatto nasce la sollecitudine divina per illuminare l'uomo rivelando le verità necessarie alla nostra salvezza.

3. CRITERI DI CREDIBILITA' DI UNA RIVELAZIONE

Sono gli elementi che permettono all'uomo di constatare l'origine divina di una Rivelazione.

1. IL MIRACOLO FISICO - E' un fatto sensibile, meraviglioso, operato da Dio oltre le forze naturali.

Si pongono due questioni: la prima se il miracolo sia possibile; la seconda se sia conoscibile.

A) Possibilità del miracolo - Il concetto di miracolo non comporta l'idea di turbamento dell'ordine cosmico, di una sospensione delle leggi fisiche, chimiche,..., ma della immissione di una forza più alta della natura.

Il miracolo è impossibile se:

Obiezioni possibili

Viene presa in esame la sola obiezione del determinismo, perché la più forte e riassuntiva delle altre. Con tale obiezione si nega la possibilità del miracolo in nome del carattere assoluto e costante delle leggi di natura.

Risposta

E' falso dire che il miracolo rappresenti una deroga o sospensione delle leggi di natura; al contrario, in esso si rileva l'ingresso di una forza superiore che elimina l'effetto della legge, non la legge.

B) Conoscibilità del miracolo - Provare che un fatto è miracoloso, significa mostrare che la sua causa non può trovarsi nell'ordine creato e, quindi, che può trovarsi solo nell'ordine divino.

Metodo dimostrativo

Si presuppone il principio di causalità. Si procede, quindi, escludendo tutte le possibili cause naturali. Sono noti i seguenti principi:

1. l'esperienza ci indica che tutte le leggi e forze agiscono sempre e allo stesso modo, a parità di condizioni. Per cui: là ove manca, a parità di condizioni, la costanza non agiscono le leggi di natura;

2. le leggi fisiche non hanno intelligenza, né libertà, ma obbediscono a necessità. Per cui: là ove compariranno elementi intellettuali, di finalismo, si potrà parlare di causa che trascende i fatti fisici.

La conoscibilità del miracolo presuppone:

CONCLUSIONE

Il miracolo può essere dimostrato tale; siccome contiene un intervento divino è elemento valevole per dimostrare eventualmente una Rivelazione.

2. MIRACOLI MORALI - Noi sperimentiamo non solo il mondo fisico, ma anche quello morale, delle azioni libere dell'uomo rispetto al determinismo della natura. Se anche in questo campo vi sono leggi che solo un intervento divino può trascendere, si può parlare di miracoli morali.

3. MIRACOLI INTELLETTUALI - Si possono osservare fatti che trascendono le capacità spirituali e intellettuali umani, come certi doni di scienza e soprattutto di profezia: siamo in questi casi di fronte a miracoli intellettuali.

3 - Storicità della Rivelazione cristiana

LA RIVELAZIONE DI GESU’

Avendo già esaminato la possibilità di una Rivelazione soprannaturale e constatato la sua necessità storica, non resterebbe che sottoporre tutte le "presunte" rivelazioni al vaglio critico dei criteri di veridicità che pure abbiamo esposto.

Noi ci limiteremo ad esaminare la Rivelazione attribuita a Gesù Cristo: se questa dovesse risultare vera, ne risulterebbero conseguentemente false o parzialmente vere le altre (vedi la pagina Religione e religioni).

Gesù si presenta come un Rivelatore, come un apportatore di verità e iniziatore di una nuova religione divina.

Questo è il fatto storico da ricostruire: la ricostruzione sarà fatta attraverso la documentazione e le testimonianze.

Di seguito daremo un sommario delle fonti storico-documentali di riferimento per poi entrare nel dettaglio cercando di ricreare, per quanto possibile, l'ambiente in cui Gesù visse.

LE FONTI

Fonti classiche: Plinio il Giovane (111-113); Tacito (54-119); Adriano (125); Svetonio (75-160); Luciano : sono autori nelle cui opere si afferma, direttamente o indirettamente, l’esistenza di Gesù.

Fonti giudaiche: triplice atteggiamento delle autorità giudaiche su Gesù:

Dunque Gesù è conosciuto sia da fonti pagane che da fonti giudaiche: per esse Gesu’ esisteva.

Fonti cristiane

EVANGELI

L'esame dei testi evangelici al fine di dimostrarne la storicità passa attraverso la previa dimostrazione dell'autenticità e della veridicità.

1. Autenticità - Un documento storico è autentico se è veramente stato scritto dall’autore cui la tradizione lo attribuisce.

Limitiamoci, al momento, a riportare alcune testimonianze del primo secolo (lo stesso in cui gli Evengeli sono stati scritti): 75 citazioni nella DIDACHE’; 18 in CLEMENTE ROMANO; 7 in BARNABA; 13 in IGNAZIO; diverse in POLICARPO; 9 in ERMA; 179 in GIUSTINO.

Tutti questi personaggi appartengono ai tempi apostolici e sono indipendenti tra loro.

Conclusione: nell’ambiente del I secolo si sa con certezza che gli autori degli Evangeli sono Matteo, Marco, Luca e Giovanni.

2. Veridicità degli Evangeli - La veridicità di un testo storico dipende dalle qualità morali dell’autore.

La veridicità afferma che l’autore non ci ha voluto ingannare. La veridicità è presupposta qualora non si rilevano difetti contrari, o interessi a deformare la verità.

1. La lettura senza pregiudizi degli Evangeli testimonia già della mancanza di artifici.

2. L’unico interesse che avrebbero avuto gli Evangelisti fu quello di farsi perseguitare: il vero interesse umano sarebbe stato quello di tacere.

3. Prove storiche dirette di veridicità sono le qualità morali degli autori:

Gli autori degli Evangeli sono credibili perchè sono testimoni diretti o a contatto di testimoni diretti e veridici per le loro alte qualità morali.

Svilupperemo ora il tema della storicità degli Evangeli, cercando di ricostruirne l'ambiente, in questi capitoli:

1. l'ambiente in cui nacquero i Vangeli;

2. la tradizione scritta;

3. dai rotoli ai libri;

4. frammenti di manoscritti;

5. la data dei documenti;

6. il cristianesimo a Roma.

1. L’AMBIENTE IN CUI NACQUERO I VANGELI

Gesù sapeva leggere e scrivere. Egli parlava aramaico, ebraico e greco. Es.: parlava con la gente comune della Palestina che parlava aramaico, ma leggeva e capiva le Scritture, scritte in ebraico; e parlava con Pilato, si suppone in greco, non in latino.

Domanda. Se Gesù sapeva scrivere, perché non ha messo per iscritto i suoi insegnamenti?

Risposta. Gesù era un maestro, vissuto in un ambiente dove qualsiasi istruzione veniva impartita oralmente.

L’ INSEGNAMENTO ORALE - Buon maestro era chi sapeva condensare i propri insegnamenti fondamentali in espressioni facili da memorizzare. Sin dai primi anni di scuola i ragazzi venivano esercitati nelle tecniche della memorizzazione. L’insegnamento orale del maestro, nella sua immediatezza, era molto più importante di qualsiasi istruzione scritta.

L’ ISTRUZIONE DEI PRIMI DISCEPOLI - Seneca afferma che era caratteristica dei Giudei di conoscere il perché delle loro tradizioni religiose, al contrario dell’altra gente. Dunque, i Giudei (e quindi i primi cristiani), conoscevano bene le origini della loro fede, non vivevano di miti e di superstizioni (es. 2Pt. 1,16).

Domanda. Come poteva della gente povera, semplice ed ignorante come erano gli Apostoli e gli altri discepoli diffondere il messaggio di Gesù ad un livello internazionale?

Risposta. E’ questo un luogo comune non corrispondente alla realtà. E’ infatti molto probabile che il gruppo dei discepoli di Gesù fosse gente abituata a condurre attività di respiro internazionale e in grado di parlare più lingue, compresa la lingua mondiale più importante del tempo: il greco.

Che cosa di più adatto, dunque, per la missione mondiale di Gesù di uomini cresciuti in un contesto internazionale e che conoscevano diverse lingue, tra cui il greco?

 

2. LA TRADIZIONE SCRITTA

Domanda. Come cominciò la tradizione scritta?

Rispasta. Chi seguiva Gesù non ne aveva bisogno, usava la memoria; ma i "simpatizzanti" sparsi nel paese desideravano appunti, resoconti.

Quando si è parlato dell’insegnamento orale non si voleva escludere la possibilità che gli ascoltatori potessero prendere appunti, come spesso avveniva in riunioni del tipo di quelle che faceva Gesù. Tali appunti venivano presi su tavolette di cera, o su cocci (ostraca). Questi appunti potevano servire per richiamare alla memoria i discorsi, sia per passarli ad amici non presenti.

Rispetto alla capacità di prendere appunti era diffuso anticamente la tecnica della scrittura veloce (tachigrafia), nota anche al Vecchio Testamento ("La mia lingua è stilo di scriba veloce" Sal. 45,2).

C’era almeno uno dei discepoli di Gesù che poteva conoscere la tachigrafia e quindi poteva aver raccolto i discorsi e i "detti" di Gesù: Matteo.

Domanda. Quando e in che ordine furono scritti i Vangeli?

Risposta. Abbiamo una data di riferimento certa rappresentata dalla "bozza" del Vangelo di Marco: tra il 44 e il 46 d.C., gli altri due sinottici scrissero qualche anno dopo, ultimo fu Giovanni dopo la caduta di Gerusalemme.

Da diverse testimonianze (Papia, Eusebio, Girolamo, Ireneo,...) sappiamo che S. Pietro visitò per la prima volta Roma tra il 41 e il 44, portando con sé Marco. Subito dopo il 44, quando Pietro andò via i cristiani romani chiesero a Marco di mettere per scritto quanto Pietro insegnava. Marco acconsentì e scrisse in greco (lingua nota sia ai Cristiani latini che a quelli di provenienza ebraica).

Dunque Marco incomincia a scrivere il suo Vangelo subito dopo la partenza di Pietro da Roma (44); e lo terminò prima di lasciare Roma (sappiamo che dopo il 46 egli è sicuramente a Gerusalemme).

In qualche modo Matteo viene a conoscenza della bozza di Marco e seguendone la struttura scrive il suo Vangelo utilizzando il suo "archivio" di "detti" e racconti di Gesù e per primo lo pubblica.

Anche Luca stava raccogliendo il "materiale" intorno ai fatti di Gesù, quando viene a conoscenza della bozza di Marco. L’occasione per scrivere è la conoscenza di un ufficiale romano (Teofilo) al quale egli, dedicandogli il libro, dà anche l’incarico (secondo l’usanza romana) di pubblicarlo a sue spese.

Il Vangelo di Giovanni nascerà più tardi sotto la spinta della sua comunità e alla luce dei "tre" già pubblicati.

Domanda. E’ proprio necessario pensare che i Vangeli si siano seguiti uno dopo l’altro cronologicamente?

Risposta. Le cose sono andate più "naturalmente": c’era Matteo con i suoi appunti; c’era Marco che annotava gli insegnamenti di Pietro; c’era Luca che raccoglieva "scientificamente" il materiale sulle vicende di Gesù; e infine c’era Giovanni che era un testimone oculare particolarmente privilegiato. Ad un certo momento comincia a circolare la bozza del Vangelo di Marco che costituirà per Matteo e Luca l’occasione per completare il loro. Molto più tardi sarà Giovanni a pubblicare il suo.

3. DAI ROTOLI AI LIBRI

Domanda. I Vangeli sono stati scritti da individui o sono il risultato della fede di una comunità?

Risposta. I Vangeli sono stati scritti da individui, non da comunità; e precisamente sono da attribuire ai quattro evangelisti a cui li attribuisce la Tradizione.

Perfino per i più dubbiosi tra gli studiosi attuali la data del 100 d.C. è un limite invalicabile per la datazione degli Evangeli: ma ancora in quel periodo erano viventi testimoni delle vicende raccontate negli Evangeli. Come si può dunque pensare che le comunità si siano inventate i nomi degli autori?

Se poi si ammette che gli Evangeli erano già in circolazione prima del 70 d.C., allora sarebbe ridicolo pensare ad un’attribuzione falsa.

Già dal II° sec. abbondano le testimonianze che identificano i quattro evangelisti per gli autori dei rispettivi Vangeli (Papia, Marcione, Ireneo,...).

L’identificazione di un autore di uno scritto era anche un risultato pratico:

Domanda. Qual era la primitiva forma degli scritti cristiani e perché?

Risposta. I primi cristiani scrivevano su rotoli per non rompere la tradizione delle scritture del Vecchio Testamento. Solo più tardi essi incominceranno ad utilizzare i codici sia per ragioni pratiche, che per esser venuta meno la ragione tradizionale.

Fino al 70 d.C. i cristiani si sforzarono di conservare buoni rapporti con gli ebrei. Anche sul piano delle Scritture, perché introdurre un nuovo formato? C’erano già i cinque rotoli della Legge ai quali i cristiani aggiungevano, con evidente simmetria, i cinque rotoli dei Vangeli ed Atti. Nelle catacombe di Domitilla a Roma viene rappresentata in una pittura murale la scena di San Paolo e San Pietro con ai piedi due cilindri (capsa): uno con i 5 rotoli della Legge mosaica; e un altro con i 5 rotoli dei Vangeli e degli Atti.

I rotoli potevano misurare anche 8 metri ed erano generalmente scritti da una sola parte (eccezioni rarissime sono riportate in Ez. 2,9 e i Ap. 5,1). L’uso dei rotoli era poco pratico e c’era un grande spreco di spazio. Naturalmente i primi cristiani incominciarono per motivi pratici ad usare i codici, ma questo avvenne su larga scala solo dopo il 70 d.C., quando con la distruzione del Tempio e la fine dello stato giudaico non si poneva più il problema di non "rompere" con gli ebrei.

Tra il 70 e il 90 d.C. i cristiani incominciarono una rivoluzione che avrebbe segnato tutta la storia della produzione libraria: l’uso sistematico del codice.

4. FRAMMENTI DI MANOSCRITTI

Domanda. Sono stati mai ritrovati manoscritti antichi del Nuovo Testamento?

Risposta. Fino ad oggi i frammenti di papiro che si ritiene contengano brani del Nuovo Testamento sono 96.

Questi frammenti appartengono a quelli che gli scienziati hanno già studiato ed attribuito; ma studiosi di tutto il mondo stanno lavorando su altri frammenti.

In realtà, i manoscritti antichi risalenti fino al primo medioevo sono ben 5.400.

Tutti gli antichi manoscritti di cui disponiamo vengono da pochissimi luoghi, dove la loro conservazione è stata facilitata da particolari condizioni ambientali naturali: le grotte di Qumran, l’arido clima del Sinai, gli strati lavici di Ercolano-Pompei, l’interno di sarcofagi.

Domanda. è sopravvissuto qualche manoscritto originale del Nuovo Testamento?

Risposta. Nessun manoscritto originale del Nuovo Testamento è sopravvissuto.

Una delle cause di questa perdita degli originali, oltre all’usura, è rappresentata dal lungo periodo di persecuzioni (fino all’età di Costantino) che i cristiani subirono: persecuzioni che spesso avevano come scopo dichiarato di distruggere gli scritti. Dopo Costantino, molti scritti andarono distrutti a causa delle ondate successive di invasioni barbariche. Non si dimentichino poi i numerosi incendi.

Tuttavia la documentazione relativa alla letteratura biblica posseduta rappresenta una situazione di privilegio confrontata con quella che si possiede della letteratura non cristiana.

Nel campo della letteratura non cristiana, la distanza fra l’originale di un’opera e i suoi manoscritti più antichi a noi noti è ben maggiore di quello che si ha nel campo della letteratura biblica. Ad esempio:

I cristiani dunque erano ben coscienti del carattere non comune dei documenti che possedevano e, fin dall’inizio, hanno fatto del loro meglio per diffondere e moltiplicare le testimonianze contenute nei Vangeli scritti.

5. LA DATA DEI DOCUMENTI

Domanda. Perché è importante riuscire a datare con precisione un documento?

Risposta. 1) E’ anzitutto importante perchè nessun papiro e nessuna pergamena antica del Nuovo Testamento reca la data;

Risposta. 2) E’ inoltre importante perché la datazione di un documento permette di risalire alla probabile datazione di quello originario.

Ai tempi in cui i nostri documenti sono stati scritti, non c’era l’abitudine di apporre la data sugli scritti, fatta eccezione per i documenti giuridici o comunque ufficiali e per le lettere personali.

Tuttavia, analizzando lo stile della scrittura, le singole lettere e le caratteristiche generali di un documento si riesce normalmente a datarlo, con un’approssimazione di 20-30 anni.

Il metodo più semplice per avvicinarsi alla realtà è quella di paragonare il documento con altri datati.

Domanda. Esistono documenti del Nuovo Testamento la cui datazione ci permette di confermare o rigettare quella tradizionale ad essi attribuita?

Risposta. Esistono diversi documenti del Nuovo Testamento la cui datazione ci permette di confermare quella tradizionale.

Di essi si riportano i più famosi:

Papiro Rylands: gli è stata attribuita prudenzialmente la più alta data ammissibile (il 125 d. C.), con il sistema del confronto con altri documenti datati. Oggi, grazie alla disponibilità di più documenti datati, lo studioso Young Kyu Kim ha proposto una data anteriore (fine I secolo d.C., vivente ancora l’autore San Giovanni).

Papiro 7Q5: questo frammento fu ritrovato nel 1955, insieme ad altri 18, nella settima grotta di Qumran. Tutti questi frammenti sono scritti in greco, al contrario delle altre grotte dove i testi erano in ebraico o in aramaico (fatta eccezione della grotta 4 dove sono stati ritrovati anche 4 frammenti in greco). Dalle identificazioni finora effettuate risulta che si trattava di frammenti sia del Vecchio che del Nuovo Testamento. Si tratta di frammenti di papiro. Nel 1972 padre Josè O’Callaghan, papirologo spagnolo, comunicò di aver scoperto che il 7Q5 corrispondeva a Mc. 6,52-53 e che il 7Q4 corrispondeva a 1Tim. 3,16-4,13. Se si tiene conto che le grotte furono chiuse nel 68 d.C. e che tutti i frammenti furono ritrovati dentro un’anfora con scritto sopra in ebraico "Roma", è evidente la portata rivoluzionaria della scoperta di padre O’Callaghan.

Frammenti del Magdalen College di Oxford: si tratta di tre frammenti del Vangelo di S. Matteo che il papirologo prof. Carsten Peter Thiede ha datato tra il 30 e il 70 d.C. e siccome si tratta di una copia, suppongono un originale più antico. Quest’ultima scoperta riconferma l’attribuzione tradizionale del vangelo di Matteo come il primo Vangelo pubblicato.

6. IL CRISTIANESIMO A ROMA

Domanda. Come arrivo’ il cristianesimo a Roma?

Risposta. I Giudei e i proseliti del giudaismo di Roma presenti a Gerusalemme furono i primi ad ascoltare la "predica" di S. Pietro su Gesù e la sua resurrezione nel giorno di Pentecoste (At. 2,10). Essi erano in visita in Palestina, ma poi ripartirono per Roma portando la Buona Novella. Era l’anno 30 d.C.: 12 anni prima dell’arrivo a Roma di S. Pietro; 29 anni prima dell’arrivo di S. Paolo.

Roma era il centro del mondo e l’impero romano la realtà che esercitava il maggior influsso sulla vita degli uomini.

Ai tempi del Nuovo Testamento si stimavano presenti a Roma almeno 60 mila giudei: quasi quanti ne vivevano a Gerusalemme dove ne venivano stimati come residenti fra 50 mila e 95 mila.

A Roma esisteva una comunità cristiana prima che vi giungesse S. Paolo (Rm. 12, 20-22). Nel 49 d.C., racconta Svetonio, l’imperatore Claudio espulse molti giudei da Roma: tra essi c’erano cristiani perché il motivo dell’espulsione erano "i tumulti su istigazione di Chrestus". D’altra parte, quando S.Paolo sbarca a Pozzuoli nel 59 d.C. vi trova un’ospitale comunità cristiana (At. 28, 14).

Domanda. Quanto tempo occorreva a idee, notizie, documenti... per diffondersi nelle varie parti dell’impero?

Risposta. Scambiare notizie, inviare lettere non rappresentava nulla di straordinario, era una cosa normale che faceva parte dell’esperienza quotidiana. La comunicazione e la diffusione delle idee tra le comunità cristiane del I secolo non era né lenta, né difficoltosa.

Gli scambi di documenti avvenivano o tramite amici e parenti che si spostavano, o tramite i "servizi postali" dell’impero (privilegio, però, del personale pubblico e dei militari), oppure servendosi del servizio privato dei tabellarii, i quali venivano pagati sia da chi spediva che da chi riceveva.

In soli 5 giorni una nave partita da Corinto poteva attraccare a Pozzuoli, e da lì in altri 2 giorni far giungere a Roma una lettera.

Molte moderne ricostruzioni dei tempi del Nuovo Testamento sono basate su una scarsa conoscenza storico-ambientale e su molti pregiudizi, piuttosto che su dati disponibili e indubitabili.

 

4. Gesù Cristo

Le fonti storiche che abbiamo illustrato ci garantiscono che Gesù appartiene alla storia; ci dànno la certezza sulla sua vita e su quello che Lui ha detto e fatto.

Dalla lettura degli Evangeli emerge con chiarezza che Gesù ha messo la Sua persona al centro del Suo pensiero. Occorre quindi conoscere Gesù: per farlo dobbiamo conoscere ciò che Lui stesso ha detto di sé.

Le affermazioni di Cristo

IL MESSIA - Gesù ha detto di essere il messia, l’atteso di Israele (Mt. XVI, 17; Mt. XXVI, 63-64; Mt. XXIII, 10; Mc. IX, 40; Lc. XXIV, 26; Gv. XVII,3). Gesù ha affermato di essere il Messia sia in circostanze solenni, che in quelle meno impegnative, in tutte con dichiarazioni chiare, serene, ma, anche perentorie e inequivocabili.

MANDATO DA DIO E RIVELATORE - Gesù dice di essere mandato da Dio affinché insegnasse e predicasse (Mt. X,40; XV,24; VII,29; XXIII,10; Mc. ,21-38; Lc.IV,31; X,16; Gv. VII,16).

Gesù è un apportatore di verità da parte di Dio: Egli è un rivelatore, per cui chi non ascolta Gesù non ascolta Colui che lo ha mandato.

PERFEZIONATORE DELLA LEGGE - Gesù dice di non essere venuto ad abrogare, ma a perfezionare la Legge e i Profeti (Mt.V,17). Dal discorso della montagna ed altri, sono tanti gli interventi di Gesù tesi a perfezionare la Legge (Mt. V, 21segg.; VI,9segg.; XVIII,18; X,14segg.). Tutta la vita morale si raccoglie intorno al concetto e alla pratica di carità.

APPORTATORE DI UNA VITA NUOVA - "Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano con grande abbondanza" (Gv. X,10). Gesù insiste su questo punto con frequenza, insistenza e solennità (Gv. I,1segg.)

FONDATORE DI UN REGNO - Gesù afferma di essere venuto a fondare il Regno di Dio, conformemente alla sua missione messianica. Egli fissa i caratteri di questo Regno: storia, attribuzioni e gerarchia.

FIGLIO DI DIO - Nelle circostanze più solenni Egli si chiama Figlio di Dio (Mt.XI,27; Lc. XXIII,24)

Egli distingue la paternità di Dio nei suoi riguardi rispetto a quella con gli altri (Mt. VI,1-32). Tutti lo chiamano Figlio di Dio o gli contestano che si fa chiamare tale (Mt. IV,3; VIII,23; Lc.I,35; III,22; Gv. V,23segg.

Il messaggio di Gesù ci ha educati a familiarizzare con le più alte cose: Dio, paternità, vita, amore.

Le profezie e Cristo

Esiste una corrente profetica unica nella storia umana che preannuncia Cristo.

TRADIZIONE PRIMITIVA COMUNE A TUTTI I POPOLI STORICI: ci sono in tutti i popoli degli elementi comuni quali una felicità primitiva, un decadimento dovuto a cause morali, un’aspettativa di un riparatore e salvatore, che rivela l’esistenza in tutti i popoli di un’intima pena e di una segreta speranza e aspettativa di una riparazione.

LA STORIA DI ISRAELE

LE PROFEZIE

I Profeti erano coloro che parlavano "in vece di Dio", erano il legame visibile con Dio.

Gli scritti profetici si distribuiscono in un arco di tempo di circa 1.300 anni (dal XVII al IV sec. a.C.). Si pone il problema dell’unità del soggetto di riferimento delle profezie.

Esistono tre elementi di connessione:

Questi elementi di connessione sono la base che unisce le successive profezie, che preciseranno e arricchiranno.

Ora, le profezie sono anteriori a Cristo ed esse si sono avverate in Cristo.

I miracoli di Cristo

I fatti prodigiosi attribuiti a Gesù sono una parte importante della Sua vita. Occorre esaminarli come fatti per vedere se rappresentano o meno un’ulteriore conferma della realtà del Cristo, Figlio di Dio.

I MIRACOLI DI GESU’

I miracoli sono una parte notevole dell’attività di Gesù. Complessivamente negli Evangeli sono narrati 41 miracoli: 24 da Matteo, 22 da Marco, 24 da Luca e 9 da Giovanni (alcuni miracoli sono narrati da più evangelisti).

Gli evangelisti raccontano i miracoli senza enfasi, né con personale ammirazione o amplificazione.

Il campo di applicazione della taumaturgia di Gesù è vastissima: ogni sorta di infermità, la materia inanimata, quella vivente e i demoni.

Ci si può chiedere se questi fatti narrati corrispondano alla realtà storica (veri ammalati, veri storpi, veri morti,... veri risanati)?

Si può rispondere che i Vangeli, di cui si è già dimostrata la storicità, indicano inequivocabilmente come reali i cambiamenti da infermo a sano, da non vedente a vedente, da morto a risorto,...

Il Vangelo non dà appigli sulla possibilità che il fatto del miracolo si sia verificato e sia stato constatato all’esterno (es. il miracolo del cieco nato).

Il Vangelo non consente altre interpretazioni. Sussiste l’equazione tra valore storico dei Vangeli e realtà storica dei miracoli: o si accettano entrambi, o si negano entrambi.

I MIRACOLI DI GESU’ E L’AMBIENTE

La realtà storica dei miracoli di Gesù emerge anche analizzando le reazioni degli osservatori.

Gli avversari e i nemici: non contestano il fatto, ma il modo ("guarisce di Sabato", "è opera del demonio").

Gli amici e i fedeli: mostrano ammirazione, entusiasmo, sono la causa della fede in Lui ("Tale fu l’inizio dei segni di Gesù in Cana di Galilea, e manifestò la Sua gloria e i suoi discepoli credettero in Lui"; "Della turba molti credettero in Lui e dicevano: il Cristo, quando verrà compirà forse prodigi maggiori di quelli che costui opera?).

I miracoli sono il mezzo ordinario con il quale Gesù dà prova della Sua origine divina ("Davvero Tu sei il Figlio di Dio" ; "Rabbì, noi sappiamo che Tu sei venuto da parte di Dio come Dottore, perché nessuno, se Dio non è con Lui, può fare i miracoli che Tu fai" ).

L’azione taumaturgica di Gesù è percepita da tutti come una realtà di fatto indiscussa.

CARATTERISTICHE DEI MIRACOLI DI GESU’

I miracoli di Gesù hanno il carattere della subitaneità ("Egli stendendo la mano lo toccò dicendo: lo voglio, sii guarito: E tosto la sua lebbra fu guarita").

C’è un legame volitivo tra causa ed effetto, cioè un legame spirituale.

I Suoi miracoli sono assolutamente liberi.

Non ci sono ripetizioni di circostanze, di soggetti , di procedimenti.

I MIRACOLI INTELLETTUALI DI GESU’

Gesù ha l’abituale percezione dell’intimo pensiero degli altri ("Ma Lui non si fidava di loro, perché li conosceva tutti e non aveva bisogno gli si rendesse conto - dei pensieri - dell’uomo; poiché sapeva quello che dentro l’uomo c’era").

Dunque il mistero del futuro dinanzi al quale nessuno scruta, non esiste per Cristo, come non esiste per Lui la soggezione alle leggi e alle possibilità umane. Tutto ciò è la conferma della Sua Divinità.

Noi, come i discepoli del Battista, siamo andati da Gesù per "chiedergli" se è il Cristo; e anche a noi è stato "risposto": "Andate e riferite a Giovanni quello che avete udito e visto. I ciechi vedono, gli storpi camminano, i sordi odono, i morti risorgono".

La Sua resurrezione

Gesù annuncia la sua resurrezione ("Allora alcuni scribi e farisei gli risposero dicendo: Maestro, vogliamo vedere un prodigio proveniente da te. Rispose loro: una generazione maligna e depravata chiede un prodigio e prodigio non le sarà dato che quello di Giona profeta. Ché, proprio come Giona rimase nel ventre del pesce tre dì e tre notti, così rimarrà il Figlio dell’uomo nel cuor della terra tre dì e tre notti."; "Distruggete questo tempio ed in tre giorni io lo riedificherò... Parlava del tempio del suo corpo. Quando egli adunque fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono - di questa predizione, dicendo - : è ciò che egli diceva."; "E cominciò a mostrare ai suoi discepoli che bisognava andare in Gerusalemme e patisse molto dagli anziani e dai capi dei sacerdoti e dagli scribi e risuscitasse il terzo giorno."). Gesù intendeva chiaramente presentare la sua resurrezione come segno, come elemento dimostrativo.

Egli era certo di risorgere. La sua resurrezione è connessa con tutta la storia precedente e ne è la più completa garanzia.

CRISTO E’ VERAMENTE MORTO

La morte e i suoi particolari sono narrati dai quattro Evangelisti.

CRISTO E’ VERAMENTE VIVO AL TERZO GIORNO

Anche qui abbiamo la testimonianza dei quattro Evangelisti, di cui tre erano testimoni oculari. Davanti alla chiarezza dei testi si può negare la resurrezione di Gesù solo:

LA TESTIMONIANZA DELL’AMBIENTE APOSTOLICO

Tutta la predicazione apostolica primitiva o parte dalla risurrezione di Gesù o ci arriva ("Con grande potenza gli apostoli rendevano tesimonianza della risurrezione di Gesù Cristo Signore Nostro e una grande grazia era con tutti loro."; "Vi rammento, fratelli, il Vangelo che vi annunziai, che voi avete ricevuto e nel quale perseveraste e per il quale anche siete salvi; se lo conservate come ve lo annunziai, che non abbiate creduto invano! Vi trasmisi dunque anzitutto ciò che io stesso avevo ricevuto: che Cristo morì per i nostri peccati, conforme alle scritture, che fu sepolto, che risorse il terzo giorno, secondo la scrittura e che comparve a Pietro, poi ai Dodici: In seguito comparve a più di cinquecento fratelli in una volta, la più parte dei quali sono vivi ancor oggi, alcuni invece, son morti. Poi comparve a Giacomo, poi a tutti gli apostoli; dopo tutti questi, come all’abortivo, comparve a me...Ma se si predica che Cristo risorse dai morti, come dunque certuni tra voi dicono che non c’è resurrezione dei morti? Se i morti non risorgono, neppure Cristo risorse! Ma se Cristo non risorse, dunque, è vana la nostra predicazione, vana anche la nostra fede...Ma di fatto Cristo risorse dai morti, prima di coloro che son morti...").

Il fatto della resurrezione di Gesù fu metodicamente, solennemente ripetuto. Né mai vi fu una contestazione del fatto.

L’ INTERPRETAZIONE A-CATTOLICA

Per tutti coloro che partono dal pregiudizio dell’impossibilità del soprannaturale, la resurrezione di Gesù è un ostacolo da eliminare in qualunque modo e con qualunque mezzo.

Inoltre, posta la realtà della resurrezione non è possibile darne una spiegazione di ordine naturale.

CINQUE TIPI DI INTERPRETAZIONE

Spiegazioni naturali - Il corpo è stato sottratto; Gesù ebbe una sincope temporanea...Tali spiegazioni sono poco serie e devono alterare il testo evangelico.

Creazione del mito della resurrezione mediante sostituzione di un concetto materiale ad un concetto spirituale - Si pensava ad una immortalità spirituale di Cristo e poco a poco se ne è fatta una resurrezione materiale del corpo. Anzitutto questa interpretazione deve prescindere dal testo evangelico. Inoltre la formazione del mito richiede tempo, mentre a solo 50 giorni dalla riapertura del sepolcro, il messaggio degli Apostoli è proprio la resurrezione di Gesù. Da tutta la predicazione apostolica primitiva emerge con chiarezza che al mito sarebbe mancato il tempo per nascere.

Il fatto non sarebbe credibile perché vi è diversità nelle narrazioni - Diversità non significa opposizione. E’ vero che le narrazioni dànno particolari diversi, ma essi analizzati bene sono particolari complementari che si integrano. Tali narrazioni sono indice di spontaneità e di mancanza di artificio.

I testimoni erano esaltati e quindi allucinati - A tale obiezione si è già risposto.

Infiltrazioni mitologiche orientali - Il cristianesimo avrebbe assorbito miti orientali ed ellenici. Questo metodo richiede il rigetto del valore storico dei racconti. Inoltre, l’idea di un Dio morto e risuscitato non esiste in nessuna mitologia. La narrazione del Vangelo è personale, non simbolica. Tali infiltrazioni mitologiche sono, dunque, affermazioni arbitrarie.

La vittoria di Cristo sulla morte rende piena e sicura testimonianza della sua Divinità.

L’ORIGINALITA’ DEL PENSIERO DI CRISTO

L’originalità di una dottrina consiste nella non derivazione di essa da fonti estranee.

L’importanza di tale argomento è sottolineata dai tentativi che molti hanno fatto per negare l’originalità del cristianesimo riducendolo ad un eclettismo di altre religioni e forme di pensiero.

IL FATTO: IL PENSIERO DI GESU’ E' ORIGINALE

Tutto poggia fondamentalmente sulla fede in Gesù, Figlio di Dio - Fede significa aderire ad una verità proposta, basandosi unicamente sulla autorità di Dio che la rivela e la garantisce: è un atto intellettuale e libero. La verità rivelata a cui liberamente si aderisce, viene trasmessa senza alterarla e viene garantita da un Magistero infallibile. Queste caratteristiche della fede cristiana non comparvero mai prima del cristianesimo né dopo.

Al vertice della verità rivelata sta il dogma trinitario - Il mistero trinitario, sintetizzato dai termini natura e persona, che rappresentano la vetta dell’indagine per la mente umana, è infinitamente trascendente gli stessi. In nessuna altra religione e/o espressione di pensiero è mai apparso una tale verità se non in forme antropomorfiche o volgari o mitiche la cui unica somiglianza sta nel numero 3.

La storia umana si svolge attraverso la creazione - Da cui c’è distinzione tra l’Essere assoluto e gli esseri creati, la storia della caduta e della Redenzione: libertà e intervento divino, amore e dolore, si armonizzano. Niente di simile nelle altre espressioni religiose.

Gesù Cristo vero Dio e vero uomo sta al centro - Tutta la riflessione su Gesù non trova paragoni nella storia.

L’ordine soprannaturale, la grazia, costituiscono l’essenza del cristianesimo - La grazia è una partecipazione alla dignità del Figlio di Dio che inserendosi nel genere umano vi ha portato l’eredità divina. La grazia innalza l’uomo, non lo distrugge, apporta aiuto non lo sopprime nelle sue libere facoltà. Niente a che vedere con le "mistiche orientali" che annientano la vita e la personalità.

Dalla grazia sgorgano i sacramenti come mezzi che vivificano.

IL VALORE DELLA ORIGINALITA’

L’originalità del cristianesimo acquista un valore maggiore se si tiene conto che la sua fisionomia è perfetta sin dagli inizi. L’analisi storica permette di concludere che nessuno di quelli che operarono nel cristianesimo primitivo apportò elementi sostanziali allo stesso. Pertanto, la fisionomia originale, autonoma, completa del cristianesimo è dovuta al solo Gesù Cristo.

IMMUTABILITA’ DEL CRISTIANESIMO

Gesù ha pensato la sua "opera" come immutabile. Tale immutabilità riguarda sia il fatto che l’idea. Si può e si deve indagare se ciò è avvenuto.

Il confronto del cristianesimo qual era nel I sec. e qual è nel XX sec. ci fa escludere che ci sia stata mutazione sostanziale nello stesso.

CARATTERI DELL’ IMMUTABILITA’

Il carattere dell’immutabilità del cristianesimo è, dunque, unico.

 

5. La Chiesa

IL REGNO MESSIANICO

Gesù ha espressamente parlato del "Regno di Dio", riprendendo un tema del quale si parlava in Israele da più di mille anni. Nel Vecchio Testamento si attribuisce al Messia la missione di fondare un regno detto, appunto, "messianico".

L’aspettativa di Israele non riguardava solo la persona del Messia, ma anche l’attuazione della sua opera. Per descrivere il regno messianico i Profeti fanno riferimento al regno teocratico di Israele, che ne rappresentava la preparazione, l’annuncio e il "tipo".

IL REGNO TEOCRATICO

A partire dal sec. XVII a.C. Israele divenne popolo grazie alla legislazione di Mosè. Solo a partire dal XI sec. a.C. però Israele divenne regno nel senso esteriore (cioè con l’istituzione di un re). Tuttavia la fisionomia strutturale non cambiò: Israele fu un regno teocratico sia prima che dopo Saul.

Significato di questa teocrazia: E’ Dio stesso che dà la legislazione ad Israele. Questa legislazione comprende sia leggi religiose e morali, che leggi cerimoniali, giudiziarie, sociali, igieniche, politiche e penali. Tale legislazione ha valore duraturo, permanente: deve essere scritta, deposta nell’Arca Santa, vengono previste dure punizioni a chi osa violarla. L’autorità stessa dei capi di Israele sarebbe stata considerata illegittima se utilizzata contro tale legislazione che, quindi, limitava permanentemente l’esercizio della sovranità.

La storia di Israele è la messa in atto di tale concezione teocratica della legge mosaica: è Dio stesso che assegna al suo popolo la terra da abitare; è Lui che sceglie i giudici; è Lui che crea la dinastia reale; è Lui che istituisce in maniera stabile i Profeti, come raccordo tra Dio e il popolo.

CONCLUSIONE

La teocrazia ebraica è l’esercizio diretto da parte di Dio del governo del regno da Egli stesso istituito, governo che nelle altre realtà è affidato all’autorità umana.

Questo regno teocratico, che è umano nelle sue finalità immediate (benessere), ma è divino nella sua sorgente e nell’esercizio della sua sovranità, rappresenta una fase preparatoria che preannuncia e descrive il regno messianico.

IL REGNO MESSIANICO

Le profezie riguardanti il Messia lo presentano come fondatore di un regno avente le seguenti caratteristiche:

REGNO TEOCRATICO E REGNO MESSIANICO

L’elemento che collega i due regni è l’umana discendenza di Gesù da Davide. Ossia tutta la trama della fondazione del regno definitivo, quello messianico, il vero regno di Dio, corre su una trama umana.

Dunque c’è una successione e una continuità tra i due regni rappresentata dalla discendenza davidica: da Gesù Cristo.

IL PENSIERO DI GESU’ SUL REGNO

Il fatto storico fondamentale è che Gesù parla di un regno.

1. GESU’ RIPRENDE IL DISCORSO ANTICO

Abbiamo già visto che Gesù non si presenta in antagonismo con il VecchioTestamento, ma come continuatore e perfezionatore di esso.

Quando Gesù parla di "regno", per i suoi ascoltatori questo significava "regno messianico"; e Gesù di fatto riprende questo discorso antico per continuarlo e perfezionarlo. Questa continuità assicura alla storia della Chiesa uno sviluppo iniziato molti secoli prima della sua fondazione. Gli ascoltatori di Gesù mostrano di capire che Egli parla del suo regno come dell’avveramento di quello antico. L’errore stava nel modo di concepire il regno messianico, non nella convinzione che Gesù lo stesse attuando.

2. CARATTERI DEL REGNO

Nel solo Vangelo di Matteo Gesù per una quarantina di volte parla o allude al suo regno.

E’ proprio la dottrina del regno che permetterà agli accusatori di Gesù di convincere Pilato. Egli morirà come "re dei Giudei". Dunque il discorso sul regno nella predicazione di Gesù non è né occasionale, né secondario, ma fondamentale e Gesù è inconcepibile, conseguentemente, separato dal suo regno (che come vedremo coincide con la Chiesa).

Gesù parla di tre momenti o fasi del suo regno.

3. IL MOMENTO TERRENO DEL REGNO

Secondo il pensiero di Gesù il suo regno si attua anzitutto in questo mondo. Infatti:

4. LA SECONDA FASE DEL REGNO

Gesù parla anche di un secondo momento del suo regno, una fase traumatica che separa il momento terreno da quello che seguirà dopo la fine del mondo. Questa fase si chiama escatologica.

Gesù ne parla soprattutto in alcune parabole: del "padre di famiglia", del "servo fedele", delle "vergini prudenti", dei "talenti", della "veste nuziale", della "zizzania".

In questa fase avverrà, in seguito all’ultimo giudizio, la separazione definitiva tra il bene e il male, tra gli eletti e i dannati.

Dalla descrizione del trapasso dalla fase terrena a quella celeste emerge che il suo regno durerà fino alla fine dei tempi.

La storia secondo Gesù non procede secondo rette parallele, o disordinate, procede secondo un fine, secondo un ordine in cui tutte le linee convergono verso lo stesso vertice: la storia del mondo è cioè unica e Cristo e il suo regno ne sono il perno.

5. IL MOMENTO ETERNO DEL REGNO

Gesù parla, infine, di una fase che seguirà quella del giudizio e che sarà eterna. E’ la fase della gioia, della luce, della serenità, della conquista e del possesso del bene eterno. Egli fissa le condizioni per conseguire questa fase. Tutte le cose si illuminano e si esaltano nella visione di questo regno futuro.

"Venite o benedetti dal Padre mio: possedete il regno che vi è stato preparato fin dalla fondazione del mondo".

LA FASE TERRENA DEL REGNO

Gesù ha parlato della fase terrena del suo regno utilizzando termini diversi: regno, chiesa, ovile. Termini che si equivalgono.

Gesù dedica molta "cura" alla preparazione della fase terrena del suo regno: Egli ha la preoccupazione costante di preparare gli Apostoli alla missione che li aspetta. Circa il suo regno, Gesù dà spiegazioni a tutti, ma agli Apostoli e ai discepoli dà anche spiegazioni supplementari e riservate: "a voi è dato conoscere i misteri del regno".

1. LA CHIESA EREDE DEL PASSATO

Tutto ciò che è stato profetizzato nel Vecchio Testamento si sarebbe ritrovato nella Chiesa. Gesù invita i suoi connazionali ad entrarvi, ma essi non lo ascoltano. Per cui Gesù annuncia la loro sostituzione: il posto di Israele verrà preso dai Gentili e la Chiesa realizzerà fuori di Israele le aspettative di Israele (parabola delle nozze del figlio del re).

2. LA FORMA ORGANIZZATA

E’ costante nella predicazione di Gesù relativa al suo regno di ricorrere ad immagini che richiamano un organismo, una struttura organizzata: il campo, con dei preposti a tenerne la gestione e responsabilità; l’ovile, sotto il pastore che conosce le pecore, le chiama, le ricerca, le guida... L’esame di queste parabole evidenzia che l’elemento "organizzazione" non è una sovrapposizione superflua, ma voluta.

Gesù dunque parlando del regno vedeva una unità organizzata. L’elemento materiale di questa unità organizzata erano i credenti in Lui, dunque una pluralità di uomini: ciò delinea l’idea di una società.

Emerge dunque una struttura sociale con dei capi, dei sudditi, dei seguaci.

3. LE DIFFERENZIAZIONI

Le vicende terrene del regno di Dio, cioè della Chiesa, si verificheranno accanto a quelle del mondo (parabola della zizzania).

Il regno di Dio sarà dunque nel mondo, ma si distinguerà anche dal mondo perché la sua opera sarà in contrasto con lo spirito del mondo.

4. SOCIETA’ RELIGIOSA

Compito principale della Chiesa e quindi degli Apostoli sarà la reintegrazione morale del mondo con la remissione dei peccati (parabole della pecorella smarrita, della dracma perduta, del figliol prodigo). Agli

Apostoli Gesù conferisce il potere di rimettere i peccati. Gesù stesso affronta la morte di croce per la redenzione degli uomini dal peccato. Il regno di Gesù darà inoltre la vera vita e la darà con abbondanza.

Tutto ciò mette in luce il carattere religioso soprannaturale della Chiesa.

5. CHIESA E TRASMISSIONE DELLA VERITA’

Il regno di Dio si diffonderà attraverso la proposizione della verità (parabola del seminatore).

L’arma che Egli fornisce ai suoi discepoli è la parola.

L’ATTUAZIONE DEL DISEGNO DI GESU’

Dobbiamo domandarci come Gesù abbia dato forma concreta alla sua idea.

1. L’UNIVERSALITA’

A chi mirava Gesù nel concepire ed attuare il suo regno?

La risposta a questa domanda è di tale rilevanza che potrebbe pregiudicare una delle caratteristiche più importanti attribuite alla Chiesa: la cattolicità.

La risposta degli Evangeli è chiara: Gesù mirava a tutte le genti, aveva cioè l’idea della universalità della sua Chiesa.

Questa idea fu netta ed esplicita sin dall’inizio e con essa Gesù si distaccò completamente dal particolarismo ebraico: "in verità vi dico di non avere mai trovato tanta fede in Israele, e vi dico ancora che molti verranno dall’Oriente e dall’Occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regmo dei cieli, mentre i figli del regno saranno gettati nelle tenebre esteriori" (leggere anche la parabola dei vignaioli infedeli).

L’idea di universalità della Chiesa in Gesù non ha né limiti di tempo, né di spazio.

Come conseguenza dell’idea di universalità si deve dire che l’istituzione della Chiesa da parte di Gesù ha un carattere di stabilità definitiva e di trasmissibilità.

2. COSTITUZIONE DEL COLLEGIO APOSTOLICO

Il collegio apostolico viene preceduto e accompagnato da un adunarsi intorno a Cristo di discepoli che rappresentano gli spettatori costanti dei suoi detti e fatti.

Il fascino esercitato da Gesù doveva essere penetrante, ineffabile, sovrano: non fa dunque meraviglia che intorno a Lui si adunassero numerosi discepoli. I discepoli lo considerano il "maestro" che viene da Dio e lo chiamano "Signore".

Gesù, di questi discepoli, ne sceglie 72 a cui affida incarichi ministeriali. Gesù applica dunque un criterio selettivo.

C’è poi, sin dall’inizio, un gruppo di discepoli più intimo: sono i personaggi che emergono dalla massa anonima dei discepoli; sono quelli che vengono distinti con il nome di apostoli. E’ Gesù stesso a stabilirne il numero in 12 e a sceglierli.

Dopo la resurrezione Gesù dirà agli apostoli: "come il Padre ha inviato me, così io mando voi". Gesù non parla di due missioni diverse, ma di un’unica missione, la sua: "chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. Chi poi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato".

Il collegio apostolico dunque tiene, in qualche modo, il posto stesso di Gesù.

La partecipazione degli apostoli alla missione del Cristo è un fatto storico inoppugnabile. Nella costituzione del collegio apostolico si delinea chiaramente la distinzione tra quelli che avrebbero diretto e quelli che sarebbero stati diretti: affiora cioè la natura gerarchica del regno di Dio in terra.

3. DOVERE DI INSEGNARE

Gesù ha lasciato trasparire il suo disegno già nel chiamare i dodici "apostoli", cioè mandati, ambasciatori, persone quindi che trasmettono il pensiero di qualcun altro.

Durante il periodo della predicazione in Galilea, Gesù affidò agli apostoli una prima missione; è importante rilevarne i contenuti:

L’ufficio di insegnamento rivestirà un carattere permanente in futuro: "Ecco che io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi, alcuni ucciderete, altri crocifiggerete, altri flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguirete di città in città"; "ecco io vi mando come pecore in mezzo ai lupi"; "andate nel mondo intero e predicate l’Evangelo ad ogni creatura. Ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro a praticare tutto ciò che vi ho comandato. Chi crederà e verrà battezzato, sarà salvato; chi non crederà sarà condannato. Ed ecco che io sono con voi in ogni tempo, fino alla consumazione dei secoli".

Non c’è alcun dubbio, Gesù ha conferito agli apostoli il potere di insegnare. Gli apostoli venivano fatti maestri del mondo intero.

4. POTERE TRASMISSIBILE

L’Evangelo deve essere portato a tutti e non verrà la fine se non dopo che la predicazione avrà il carattere dell’universalità.

Nel conferimento del potere magisteriale Gesù parla esplicitamente di "tutte le genti" e di "ogni creatura": ciò richiama l’idea della perennità dell’ufficio di insegnare. Ed Egli garantisce la sua presenza/assistenza fino alla fine dei secoli. D’altra parte Gesù non ha promesso ai suoi apostoli l’immortalità, anzi ha promesso martirio. Pertanto, Gesù concepisce il potere magisteriale conferito agli apostoli come un potere trasmissibile.

NATURA DEL POTERE MAGISTERIALE

Accertato il fatto della istituzione di un potere magisteriale da parte di Gesù, dato agli apostoli e ai loro successori, occorre adesso chiarirne i contenuti e l’ampiezza.

1. MAGISTERO AUTORITARIO

L’insegnamento deve essere fatto in nome e per l’autorità di Gesù Cristo. Ora ogni missione attinge il suo valore dal mandante: in questo caso il mandante è Colui che si è proclamato Figlio di Dio e, secondo il suo stesso pensiero, il non ricevere loro equivale a non ricevere Lui. Dunque, l’autorità divina di Gesù si trasferisce nel magistero dei suoi mandati.

Gesù conferisce inoltre - come meglio si vedrà - agli apostoli il potere di comando.

Tutto ciò conferma il carattere "autoritario" del magistero apostolico e dei successori.

Conseguenza importante: se il magistero apostolico ha lo stesso valore di quello di Gesù, segue che ne ha la stessa efficacia quanto a produrre una obbligazione morale e giuridica. In altre parole, tale magistero apostolico crea avanti a Dio l’obbligazione in coscienza di accettarlo, di non discuterlo, di uniformarvisi. Una volta conosciuto il magistero, il non credere equivale a contravvenire ad un dovere: "...chi crederà sarà salvato, chi non crederà sarà condannato".

2. MAGISTERO VIVO

Gesù non ha mai comandato ad alcuno di "scrivere", ma agli apostoli ha comandato di "parlare".

Egli vuole che la verità sia portata attraverso l’opera personale, libera, che aderisca a quanto da Lui insegnato, ma affidata all’iniziativa personale nel modo di esporla. Tutto l’entusiasmo, i sentimenti, la sensibilità di cui gli uomini sono capaci dovevano essere impiegati nel trasmettere questa verità.

Gesù ha, dunque, conferito un magistero immutabile nella sostanza, ma vivacissimo nella forma e nell’adattamento alle circostanze: "Quando vi tradurranno innanzi ai persecutori non vogliate impensierirvi sul come o sul cosa dire; vi sarà dato in quell’ora che dire".

Si tratta dunque di un magistero vivo in quanto non esclude ma assume e assimila tutti gli elementi vitali, liberi, personali di chi lo esercita.

3. MAGISTERO INFALLIBILE

Nell’affidare agli apostoli un magistero vivo, Gesù doveva anche preoccuparsi di come conservare l’immutabilità del contenuto da trasmettere. A tale scopo Egli garantisce la sua presenza costante: "io sarò con voi fino alla consumazione dei tempi" e l’assistenza dello Spirito Santo.

Gesù, dunque, si è impegnato ad assistere il magistero apostolico in modo che mai abbia ad errare.

Tale assistenza è volta a preservare dall’errore, non è un’ispirazione positiva. Infatti, i depositari del magistero apostolico (Papa e vescovi) hanno sempre dovuto studiare per insegnare.

In ciò consiste il carisma dell’infallibilità con il quale Cristo ha garantito nella sua Chiesa l’esercizio del magistero apostolico.

Attenzione: infallibilità non significa impeccabilità! Con l’infallibilità Gesù ha garantito la verità, ma ha rispettato pienamente l’iniziativa e la libertà umana.

4. OGGETTO DEL MAGISTERO INFALLIBILE

Gesù ha affidato agli apostoli tutto quello che ha detto Lui: questo è il contenuto del magistero apostolico: "Le parole che tu hai date a me le ho date a loro"; "Lo Spirito Santo... vi suggerirà tutto ciò che vi ho detto".

L’oggetto immediato del magistero è dunque esteso quanto la predicazione di Gesù e, quindi, abbraccia tutte le verità relative alla fede e alla morale. Ovviamente tale magistero si estende anche alle verità connesse con la fede e la morale e a quei fatti in cui fede e morale possono risolversi o tradursi (la canonizzazione dei santi, l’ortodossia di un libro, la legittimità di un Papa,...).

IL POTERE DI COMANDO

1. IL CONFERIMENTO

Gesù ha affidato al collegio apostolico l’ufficio di reggere e governare la sua Chiesa, conferendo pertanto un vero e proprio potere giurisdizionale, creando quindi una autorità nella sua stessa Chiesa.

Tutto ciò è in armonia con il suo pensiero, con l’aver concepito il suo regno in terra come una unità organizzata.

Gli Apostoli avevano sin dall’inizio la consapevolezza di ricevere una investitura, fino al punto di questionare "su chi fosse il maggiore di loro".

D’altra parte Gesù non mancò di essere chiaro sull’argomento. Nel Vangelo di Matteo viene dettagliatamente previsto il contenuto del mandato di Gesù; Egli spiega agli Apostoli come "seguire le pecorelle" : le dovranno cercare se smarrite; ci saranno scandali, occorrerà evitarne le conseguenze; ci saranno liti e dissensi, dovranno essere eliminati. Gesù poi riassume il potere del collegio apostolico in questo solenne modo: "in verità vi dico, qualunque cosa avrete legata sulla terra sarà legata in cielo, e qualunque cosa avrete sciolta sulla terra sarà sciolta anche in cielo"

"Legare e sciogliere" in aramaico hanno un significato giuridico: "porre obbligazioni morali e toglierne i vincoli, dichiarare autorevolmente una cosa".

E’ dunque conferita agli Apostoli la capacità di porre autorevolmente obbligazioni di qualunque genere (leggi, precetti, sentenze giudiziarie, premi e pene).

2. NATURA E LIMITI DEL COMANDO

Alcune caratteristiche del potere di comando:

Gesù lo vede in funzione pastorale e fraterna: "Ho altre pecorelle che non sono di quest’ovile: è necessario che anche quelle vi siano condotte".

L’autorità data agli Apostoli deve essere, come le altre autorità terrene, un servizio agli altri: "il maggiore tra voi sia come il più piccolo, ed il capo come colui che serve" e ancora "Chi è infatti più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse chi sta a tavola? Ora in mezzo a voi io sono colui che serve".

Gesù volle un’autorità umile, disinteressata, paterna, accostevole e allo stesso tempo forte, distaccata e piena di dedizione.

Gesù, dunque, non solo trasmise un potere, ma ne definì anche la natura impregnandola di tutto il messaggio evangelico.

Il potere di comando dovrà essere esercitato nella Chiesa: nulla nel Vangelo fa pensare ad un esercizio sui beni terreni di questa autorità. Il limite, dunque, di questo potere è il limite stesso della Chiesa, del suo scopo eterno.

Il potere di comando deve operare entro questi limiti:

L’autorità giurisdizionale della Chiesa provenendo da Dio comporta l’assoluta indipendenza rispetto a qualsiasi potere umano relativamente a tutto ciò che rientra nel suo fine.

IL POTERE DI SANTIFICARE

Il fine ripetutamente esplicitato da Gesù per il suo Regno in terra è il raggiungimento della santità. Infatti:

LA SANTITA’

Per Cristo ciò che fa "santi" è un dono divino soprannaturale infuso nell’anima. Questo dono è la "vita divina comunicata agli uomini", che è l’elemento essenziale per essere cari a Dio e uniti a Dio: è ciò che la Chiesa chiama "grazia santificante".

Ora la santità mira a realizzare l’unione più perfetta con Dio; pertanto, la santità è costituita dalla grazia santificante.

Però la santità richiede anche un agire umano fatto di adesione della volontà alla legge divina: a questo libero agire umano Gesù ha promesso un altro dono soprannaturale, una "forza divina" che lo aiuti, lo stimoli, lo illumini: è ciò che chiamiamo "grazia attuale".

Riassumendo, per Gesù la santità richiede la grazia santificante e le virtù umane, come apporto libero e meritorio, supportate queste ultime soprannaturalmente dalle grazie attuali.

La grazia santificante basta dove non c’è uso di libertà (ad es. bambini); l’apporto umano (virtù) è necessario quando c’è l’uso della libertà.

Per essere santi, dunque, occorrono i doni divini (grazia santificante e attuale) e il contributo umano. Quest’ultimo necessita di essere "guidato", aiutato, sanzionato se necessario. Gesù ha provveduto sia a

fornirci i mezzi di salvezza soprannaturali (i Sacramenti), sia a darci una guida infallibile : sono appunto i poteri e i mezzi affidati al collegio apostolico.

APPENDICE: LA GRAZIA

Nella Sacra Scrittura si afferma chiaramente che in coloro che amano Dio Egli è presente in una maniera speciale, venendo ad abitare nella loro anima: "se uno sente la mia voce e mi apre io entrerò da lui e cenerò con lui e lui con me" (Ap. 3,20). In questo come in altri passi si parla di una presenza speciale, intima, personale. Tale presenza riguarda Dio nelle Tre Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. Questa presenza è una comunione di vita: una vita diversa da quella naturale, che ci verrà data in abbondanza, che ci farà rinascere, che è la partecipazione alla stessa vita di Cristo: "Io sono la vera vite... rimanete in me e io in voi... Io sono la vite, voi i tralci... se uno non rimane in me è gettato via..." (Gv. 15, 1-8).

Gesù, di cui partecipiamo la vita, è Figlio di Dio, dunque quella partecipazione ci fa figli di Dio e fratelli di Gesù, più esattamente figli adottivi di Dio, non naturali, per cui possiamo chiamare Dio Padre.

La Grazia è, dunque, un dono gratuito di Dio: ma un dono misterioso, inverificabile nello stato presente. Infatti, se la Grazia è una realtà che mi modifica e mi trasforma, dovrei in qualche modo avvertirla, dovrei sentirmi ciò che si dice sono diventato: figlio di Dio, partecipe della vita divina. Invece, sembro quello di prima, con le stesse tendenze e passioni, con gli stessi peccati. Ora, la Grazia non si rileva sul campo sperimentale e nessuno può, per altre vie ordinarie, avere la certezza assoluta della Grazia, della quale al massimo si può avere una certezza morale, ben fondata.

Il metro adeguato per conoscere la Grazia è la ragione, vale a dire una penetrazione razionale della rivelazione che ci porti ad una fede razionalmente fondata. La posizione cattolica è: credo a quanto ha detto Gesù Cristo il Figlio di Dio. Dalle sue parole sappiamo che la Grazia è un germe di Dio (1Gio. 3,9) destinato a crescere e svilupparsi sino al frutto perfetto, che è la gloria del Paradiso.

Così, sia il giusto che il peccatore non hanno l’esperienza diretta della Grazia finché vivono nella prova, ma l’avranno nel momento del giorno felice o infelice della loro consumazione. Fino a quel momento noi dobbiamo vivere della Parola di Gesù, che sappiamo essere credibile.

IL CAPO

Abbiamo visto come Gesù abbia stabilito una Chiesa di tipo "gerarchico", ciò anche al fine di garantire un’unità della stessa, "un solo ovile".

L’unificazione raggiunge il suo massimo con la costituzione di un primato personale, con la nomina cioè di un capo, di un pastore dell’unico ovile.

PIETRO

Sono tre i momenti fondamentali nel Vangelo del conferimento all’Apostolo Pietro del primato su tutta la Chiesa.

Il cambiamento del nome - "Tu sei Simone, figlio di Giona; ti chiamerai Pietro" (Gv. I, 42). Questo cambiamento di nome preannunzia il primato che verrà successivamente conferito.

Il conferimento del primato - "Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non la carne ed il sangue ti hanno rivelato questo, bensì il Padre mio che è nei cieli. Ed io ti dico a te che tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno mai contro di essa. E darò a te le chiavi del regno dei cieli. E qualunque cosa avrai legata sulla terra sarà legata anche in cielo, e qualunque cosa avrai sciolta sulla terra sarà sciolta pure nei cieli." (Mt. XVI, 16). L’importanza di questo testo è tale che tutti coloro che negano il primato di Pietro negano il valore e perfino l’esistenza di questo testo. Ora il testo di Matteo, sopra riportato, si legge in tutti i manoscritti greci e latini. Esso è inoltre presente nelle opere degli scrittori antichi. L’interpretazione di questo passo chiarisce che:

La conferma del primato - "Quando ebbero mangiato, Gesù dice a Simon Pietro: Simone Figlio di Giona, mi ami più di costoro? Si, Signore, - gli risponde - tu sai che io ti amo. Gli dice Gesù: Pasci i miei agnelli. Per la seconda volta gli domanda: Simone, figlio di Giona, mi ami tu? Si, Signore - gli risponde - tu sai bene che io ti amo. Ed egli gli dice: Sii il pastore delle mie pecore: Per la terza volta gli dice: Simone, figlio di Giona. mi ami tu? Pietro fu contristato, perché Gesù gli aveva chiesto per la terza volta: mi ami tu? Ed esclama: Signore tu sai tutto, tu sai che io ti amo! Gesù gli dice: Pasci le mie pecore." (Gv. XXI, 15-17)

Gli agnelli e le pecore sono, naturalmente, simbolo dei fedeli. Pertanto, il significato di questo passo evangelico è che Gesù ha costituito Pietro capo di tutto il suo "gregge".

I POTERI DEL CAPO

Nell’analizzare i poteri che Gesù ha conferito a Pietro, bisogna ricordare che essendo - come abbiamo visto - trasmissibile il suo primato nella Chiesa, parlare dei poteri di Pietro equivale a parlare dei poteri dei suoi successori.

1. IL MONARCA

Gesù individua il fondamento della sua Chiesa in una persona, in Pietro e i suoi successori: Pietro sarà il pastore per eccellenza dell’ovile di Cristo. Pietro è, dunque, un monarca.

Le uniche limitazioni al potere di Pietro sono le stesse che indicammo per il collegio degli Apostoli, ossia:

Al di fuori di questi limiti i poteri di Pietro sono pieni. Ciò significa che nella Chiesa nessun’altra gerarchia, o istituzione può limitare i poteri di Pietro; e, quindi, tutte le altre autorità e istituzioni sono sottoposte al potere di Pietro.

Al contrario di tutti gli altri monarchi della Terra, il potere di Pietro sorge direttamente da Dio che lo ha conferito; pertanto, non può essere limitato da nessun’altra autorità: nemmeno Pietro stesso può decidere di limitare i suoi poteri!

2. INFALLIBILE

Al collegio apostolico Gesù ha dato il potere magisteriale infallibile. Analogo potere è goduto da Pietro personalmente, come capo del Regno a cui Gesù ha affidato le chiavi.

Pietro è, dunque, il sommo maestro infallibile della Chiesa: "Disse Gesù: Simone, Simone, ecco Satana che va in cerca di voi per vagliarvi come il grano. Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; tu poi, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli." (Lc. XXII, 31-32).

Il "non venir mai meno alla fede" da parte di Pietro riguarda non la sua persona ma il suo ruolo di capo della Chiesa.

3. L’INFALLIBILITA’

Gesù ha dato a Pietro l’infallibilità in quanto fondamento della sua Chiesa. Pertanto, egli godrà di questo carisma quando e in quanto agisce in tale veste e funzione.

Quando il Papa insegna nella sua qualità di Maestro universale, rivolgendosi a tutta la Chiesa e proponendo una verità da ritenersi con assoluto assenso, esercita la sua qualità di "fondamento", parla - si dice - ex cathedra: è infallibile!

4. RAPPORTI CON IL COLLEGIO APOSTOLICO

Nel Vangelo si leggono identiche parole rivolte sia al Collegio Apostolico, sia a Pietro: non c’è forse contraddizione?

Per rispondere alla domanda occorre esaminare con attenzione il problema. Vi sono anzitutto dei punti certi.

Una prima certezza è la subordinazione degli altri Apostoli a Pietro.

Una seconda certezza è che il magistero giurisdizionale e infallibile del Collegio apostolico esiste solo se esercitato "collegialmente". Il che significa che il collegio è tale quando è con il suo capo, con Pietro.

Il Papa può da solo far tutto, ma può anche insegnare e governare la Chiesa con il Collegio Apostolico (i Vescovi), il quale insegna e delibera con il Papa.

FINALITA’ DELLA CHIESA

Dobbiamo chiederci quale fine Gesù diede alla sua Chiesa. Questa ricerca del fine della Chiesa non può prescindere dal fine generale che Dio ha impresso ad ogni creatura, ossia che ogni creatura ha per finalità suprema Dio stesso, la sua gloria eterna. La Chiesa non potrà non aver questo fine comune di ogni creatura.

Accanto a questo fine ci chiediamo se alla Chiesa Gesù diede anche delle finalità specifiche.

1. FINE PROPRIO ED ULTIMO

Dal pensiero di Gesù emerge che il fine proprio ed ultimo che Egli assegna alla Chiesa è quello di condurre tutti gli uomini alla gloria nella vita eterna: "Io non berrò più d’ora in poi del frutto della vite fino a quel giorno in cui lo berrò nuovamente con voi nel regno del Padre mio" (Mt., XXVI, 29).

La Chiesa ha la stessa finalità dei suoi sudditi: infatti, se il fine dell’uomo è Dio stesso, l’Eterno, quello della Chiesa è, appunto, la vita eterna.

Questa finalità della Chiesa risponde anche all’intima esigenza dell’uomo che si avverte inadeguato e insoddisfatto per le cose periture, finite e si sente, invece, chiamato all’eternità.

2. LE FINALITA’ SUBORDINATE

Dal pensiero di Gesù emerge anche l’assegnazione alla Chiesa di fini immediati, propri della fase terrena di essa, che rappresentano tappe progressive della meta finale e i mezzi per raggiungerla.

Il principale di questi fini immediati è che la Chiesa deve formare i santi: tutti debbono essere santificati, non solo alcuni privilegiati. L’eventuale gradazione nella santità dipenderà dalla rispondenza degli uomini al Vangelo, non dall’appartenenza a qualche casta privilegiata. Ora la Chiesa deve spingere tutti alla santità perché essa ci avvicina alla vita eterna: "Padre Santo...santificali nella verità...che tutti siano una cosa sola come tu stesso, o Padre, sei in me ed io in te, anch’essi siano in noi...io in loro e tu in me, affinché siano consumati nell’unità...Che l’amore col quale mi hai amato, sia in loro ed io in essi" (Giov., XVII, 11-25).

Portare alla santità è dunque un onere per la Chiesa. Però fare dei santi è compito arduo e fa sorgere il diritto della Chiesa al rispetto, alla comprensione, alla libertà, all’aiuto.

Il fine di formare i santi implica l’altra finalità di predisporre un programma di tale formazione, lasciato alla libera scelta degli uomini. Tale programma emerge chiaramente dai cosiddetti consigli evangelici.

Il programma di tali consigli viene ordinariamente attuato attraverso la vita monastica e religiosa; da cui il diritto della Chiesa di promuoverla, difenderla, sostenerla.

La Chiesa, infine, deve offrire i mezzi di santificazione a tutti gli uomini. I mezzi per tale scopo sono: il Magistero infallibile, per far conoscere la verità rivelata al fine di crederla; il potere giurisdizionale rispetto a tutto ciò che è morale e religioso; il potere di santificare con i Sacramenti.

Non c’è dubbio, il distacco più grande tra la Chiesa e le altre istituzioni è dato dalla sua finalità. Ecco perchè Gesù poteva dire:"Il mio regno non è di questo mondo" (Giov., XVIII, 36).

LA CHIESA E’ UNA SOCIETA’ PERFETTA

Da quanto disse e fece Gesù è evidente che Egli ha voluto un’unione organizzata di uomini. Si tratta di uomini con la stessa finalità, con una gerarchia, con dei mezzi comuni.

La gerarchia si presenta con più livelli:

CARATTERI DELLA CHIESA

Visibilità - La Chiesa non è una pura società di anime i cui scopi sono vissuti a livello di coscienza; al contrario, molti elementi costitutivi della Chiesa sono visibili: il magistero è fatto di uomini vivi che comunicano in maniera ordinaria; i sacramenti hanno un elemento materiale e una fruizione visibile; l’attività gerarchica comporta relazioni giuridiche esterne; in una parola, la Chiesa è un fatto pubblico, anche se non assimilabile agli altri fatti pubblici.

Unità - Gesù parla di un solo regno, di un solo capo, "di un solo ovile sotto un solo pastore" (Gv. X,15). Non è quindi possibile che esistano più Chiese legittime del Cristo. Se vi sono più Chiese pretendenti, sarà necessario individuare quella legittima.

Società religiosa e soprannaturale - In quanto ha un fine religioso e soprannaturale. Ciò ne definisce anche la dignità soprattutto in rapporto con altre società.

Società necessaria - Gli uomini vi debbono necessariamente appartenere per ottenere la salvezza eterna.

Società indefettibile - Non potrà mai venir meno, né alterarsi "le potenze degli inferi non prevarranno contro di essa".

Società gerarchica e monarchica - Come abbiamo visto, con più livelli di comando e con un capo supremo.

Società perfetta - In quanto ha in sé tutti i mezzi necessari per raggiungere il suo fine.

LA STORIA DELLA CHIESA NARRATA DA GESU’

Gesù ha descritto non solo la struttura della sua Chiesa, ma anche le linee del suo sviluppo, cioè la sua storia.

1. SVILUPPO PROGRESSIVO

Il Regno di Gesù, nella sua fase terrena si sarebbe sviluppato gradualmente, partendo da un umile inizio fino ad essere superiore alle altre società: "Il Regno di Dio è come un grano di senape il quale, quando è seminato nella terra, è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra e dopo che è stato seminato cresce e diventa più grande di tutti i legumi e fa grandi rami cosicché gli uccelli del cielo possono fare i loro nidi all’ombra sua" (Mc., IV, 31-32).

I secoli successivi all’epoca di Gesù hanno visto crescere la sua Chiesa e il continuo convolare degli uomini verso essa in cerca di pace e verità.

2. GESU’ PIANIFICA LO SVILUPPO DELLA CHIESA

Gesù detta le tappe cronologiche di tale sviluppo:

3. L’INTIMA RAGIONE DELLO SVILUPPO

La causa sufficiente e necessaria dello sviluppo della Chiesa non è un elemento estrinseco, umano, ma un elemento intrinseco: "Il Regno di Dio è simile ad un po’ di lievito che una donna prese e nascose in tre misure di farina finché tutto fu lievitato" (Mt. XIII, 33).

Il regno di Dio, dunque, mira con la intima educazione delle anime alla nuova grande trasformazione del mondo in profondità. La causa del fermentare del Regno l’ha messa direttamente il fondatore; pertanto,

l’esistenza della Chiesa è frutto di risorse superiori a quelle umane, è indipendente da esse e, quindi, "la forza degli inferi" non potrà prevalere contro di essa.

4. IL MEZZO DI ESPANSIONE

Il mezzo di espansione del Regno di Dio è la diffusione della sua parola di verità: tutta la parabola del seminatore sta a dimostrarlo (Mt.XIII, 3).

Pertanto il mezzo di propagazione della fede si rivolge all’intelligenza dell’uomo, non si basa sulla forza, ma sulla capacità di convinzione. La storia della Chiesa sarà, quindi, l’applicazione della parabola del seminatore nelle contingenze individuali e collettive.

5. LE VICENDE INTERNE DEL REGNO

La storia della Chiesa pur essendo sorretta da un principio intimo soprannaturale, non sarà senza difetti: la storia non verrà addomesticata da Dio passando sopra i difetti umani. Coloro che faranno parte della Chiesa saranno chiamati ad essere perfetti: dalla chiamata alla realizzazione, ovviamente, ci corre.

Nella parabola della zizzania (Mt. XIII, 24-36) è descritta chiaramente una convivenza nel Regno di Dio dei buoni con i cattivi; altrettanto emerge dalla parabola delle vergini savie e delle vergini stolte (Mt. XXV,1 segg.).

6. L’ANNUNCIO DELLA PERSECUZIONE

Gesù ha anche anticipato le persecuzioni che subiranno i cristiani: saranno calunniati, uccisi, tradotti nelle assemblee, flagellati, odiati a causa del suo nome, traditi, cacciati dalle città, ... e tutto ciò perché Egli non è venuto a portare la pace, ma la guerra al male. Tuttavia in tutto questo dobbiamo restare tranquilli: "non abbiate paura!", "confidate: io ho vinto il mondo".

LA CHIESA E’ DI CRISTO

La struttura e il piano di sviluppo della Chiesa sono stati - come abbiamo visto - stabiliti direttamente da Gesù: la responsabilità intera della Chiesa risale a Cristo.

ORIGINALITA’ DEL PENSIERO DI GESU’

Ci si può domandare se Gesù copiò qualcuno. Se confrontiamo la Chiesa di Cristo con le altre forme religiose anteriori emergono queste caratteristiche:

nessuna religione precedente ha un’aspirazione universale;

le religioni precedenti o sono di tipo panteista o non presentano mai un disegno che abbraccia l’uomo e Dio, il tempo e l’eterno;

in tali religioni manca una vera organizzazione sociale, l’esistenza di una "famiglia" di anime con organizzazione esterna.

VALUTAZIONE DELL’OPERA DEGLI APOSTOLI

Analizzando gli scritti e le opere degli Apostoli di Gesù emerge un atteggiamento rivolto ad eseguire e non a plasmare in forza del Suo nome. Gli Apostoli sono stati dei trasmettitori, non liberi nell’iniziativa,

ma legati nella fedeltà all’operato di Gesù.

Il sentimento vero dei cooperatori di Gesù è, dunque, di essere dei puri esecutori della Sua volontà.

IL RUOLO DI SAN PAOLO

Molto spesso San Paolo viene presentato come un alteratore della parola di Cristo e un innovatore che costruì una propria chiesa.

In realtà questa opinione è infondata e si appoggia su pregiudizi storico-filosofici. Se noi analizziamo serenamente come sono andate realmente le cose dobbiamo ammettere:

Alla fine di questa indagine si può ribadire: solo Gesù Cristo porta la responsabilità della Chiesa.

I SUCCESSORI DEGLI APOSTOLI

Dobbiamo ora chiederci: che è accaduto della Chiesa dopo Cristo? La domanda ha un’importanza non solo storica, ma riguarda la stessa fede.

Infatti Gesù ha concepito e istituito una Chiesa indefettibile con un potere gerarchico trasmissibile. Scoprire che la Chiesa esiste ancora ed è come Gesù la concepì, significa trovare la conferma storica della sua divina istituzione. Infine, risalire dall’attuale gerarchia a quella creata da Gesù, significa aver trovato la vera Chiesa, quell’unico ovile che Egli volle.

I SUCCESSORI DEGLI APOSTOLI

Nel II secolo la Chiesa ha la seguente forma organizzata:

Tale forma organizzata si desume da numerose testimonianze risultanti dalla documentazione in nostro possesso.

Pertanto, alla fine del secolo I l’episcopato è la forma universale ordinaria di organizzazione della Chiesa, perché tale era la mente e la prassi degli Apostoli: di ciò ne è conferma la situazione che abbiamo documentata per il II secolo. Infatti il comportamento comune degli immediati successori degli Apostoli è la prova indiscutibile del loro attingere al loro insegnamento e alla loro prassi.

I VESCOVI LEGITTIMI SUCCESSORI DEGLI APOSTOLI

Nelle vicende storiche della Chiesa dei primi secoli emerge con chiarezza che i vescovi sono i successori, nelle Chiese particolari, degli Apostoli.

Tutto ciò emerge in maniera perentoria dai cosiddetti "cataloghi", ossia elenchi della serie successiva dei vescovi nelle diverse Chiese, redatti già a partire dal II secolo. A titolo dimostrativo si riportano tre cataloghi redatti da Eusebio ma, in parte, risalenti a documenti anteriori:

Per quanto riguarda l’ufficio, i Vescovi sono "uno in ogni Chiesa, in modo che l’unità dei fedeli deriva dalla unità del vescovo"; dove è il vescovo "ivi è Gesù Cristo, ivi è la Chiesa cattolica" e "senza il vescovo nessuna coadunazione di fedeli merita il nome di Chiesa" (da S. Ignazio di Antiochia).

IL SUCCESSORE DI PIETRO

Preliminarmente al problema che ci poniamo va osservato che, durante tutta l’era cristiana, nessuno, al di fuori del Vescovo di Roma, ha mai rivendicato di essere il legittimo successore di Pietro.

Tale argomento costituisce almeno una presunzione di legittimità nella successione di Pietro a favore della sede romana.

1 - RICONOSCIMENTO DEL PRIMATO DEL VESCOVO DI ROMA NEL I-II SECOLO

San Giovanni Evangelista sopravvisse a San Pietro; eppure riportò nel suo Vangelo la conferma del primato. Inoltre dalla sua predicazione nulla emerge contro questo primato. Dai suoi immediati successori apprendiamo, al contrario, che essi credevano nel primato di Pietro:

San Policarpo, immediato successore di San Giovanni, durante la controversia pasquale, pur essendo centenario, partì dall’Asia verso Roma per sentire il parere del Vescovo di Roma;

Sant’Ireneo, discepolo di Policarpo, nelle sue opere tratta del modo sicuro di conoscere la vera tradizione apostolica, indicando come criterio supremo quello della conoscenza della successione dei Vescovi romani.

Da questi due Vescovi apprendiamo dunque qual era il pensiero di San Giovanni e degli altri Apostoli che mai dubitarono del primato di Pietro e dei suoi successori.

Molto importante è anche la testimonianza di Sant’Ignazio di Antiochia, immediato successore di Pietro come Vescovo di quella città, il quale considerava la Chiesa romana "quella che presiede".

Nello stesso periodo l’atteggiamento dei pontefici romani mostra che essi erano consapevoli del loro primato.

San Clemente Romano scrivendo ai Corinti (vivente ancora San Giovanni Evangelista) dà disposizioni e consigli e l’intero tono della lettera è solenne e pieno di autorità.

In tutto il II secolo gli interventi dei Vescovi di Roma sono sempre evidenti interventi di chi è il Capo indiscusso della Chiesa.

Gli stessi eretici rendono omaggio a tale verità accorrendo essi da ogni parte verso Roma per cercare di ottenere il consenso del Vescovo di quella città.

2 - IL PRIMATO DI ROMA SI FONDA SULLA SUCCESSIONE A PIETRO

I documenti del I e II secolo rivelano che il motivo per cui il Vescovo romano viene considerato Capo della Chiesa universale è la sua successione a Pietro. Pertanto quest’ultimo ha lasciato il comando della Chiesa al suo successore nell’episcopato romano.

Sant’Ireneo riporta un catalogo della Chiesa romana con il quale giustifica il motivo per cui bisognava "convenire" con l’allora Papa Eleuterio. Infatti egli ci informa che:

ELEUTERIO successe a SOTERO, questi ad ANICETO, a PIO, a IGINO, a TELESFORO, a SISTO, ad ALESSANDRO, ad EVARISTO, a CLEMENTE, ad ANACLETO, a LINO che successe a PIETRO.

LA INDIVIDUAZIONE DELLA VERA CHIESA

Il problema che ci poniamo è di individuare quale società religiosa oggi sia la legittima erede di quella fondata da Gesù Cristo.

Si parte dal presupposto che se Cristo è Dio allora la Chiesa che Lui fondò deve ancora esistere e ha le stesse caratteristiche.

Il problema che ci poniamo è fondato sul fatto che nel corso della storia del cristianesimo tante sono state le scissioni.

CRITERIO : la Chiesa di Gesù sarà quella che corrisponde integralmente al Suo disegno ; una sola può avere questa possibilità.

LA SUCCESSIONE

La Chiesa, per indicazione dello stesso Gesù, è là dove è il suo fondamento, cioè Pietro. Abbiamo visto anche che la successione di Pietro è passata al Vescovo di Roma ; dunque, la Chiesa di Cristo è quella unita al Vescovo di Roma.

IL PIANO COMPLETO DI GESU’

La vera Chiesa di Cristo sta lì dove è realizzato pienamente il Suo piano :

dove è pieno il concetto di Regno di Dio, del primato, dell’episcopato, del presbiterato e del diaconato,...

Un confronto con le altre professioni cristiane mostra chiaramente che solo la Chiesa Cattolica ha mantenuto integre le caratteristiche di quel piano.

QUATTRO NOTE CARATTERISTICHE

Gesù volle per la Sua Chiesa l’unità : unità nella Fede, in quanto chiese l’adesione della mente ad un complesso di verità da Lui rivelate ; unità di regime, perché fondata sul primato di Pietro e del Collegio Apostolico.

Gesù ha voluto la Sua Chiesa universale, cioè cattolica : universalità di destinazione, in quanto è l’unico mezzo di salvezza; universalità di diritto, in quanto tutti gli uomini sono tenuti ad entrarvi; universalità progressiva, perché la Chiesa dovrà espandersi gradualmente fino ai confini della Terra.

Gesù volle la Sua Chiesa apostolica : cioè la affidò ad una gerarchia. Pertanto la Chiesa sta dove è la successione apostolica.

Gesù volle la Sua Chiesa santa : santo fu il patrimonio dottrinale che Egli le affidò ; santi furono i mezzi che Gesù le affidò per la salvezza dei fedeli ; santi, in maniera eroica, ne sarebbero stati i frutti che effettivamente mai mancarono nella sua lunga storia ; santo ne è il fine.

Ora la Chiesa vera dovrà possedere le quattro note integralmente : questo si ha solo per la Chiesa romana.

L’AZIONE LIBERA DELLA CHIESA NELLA STORIA

Gesù ha definito le caratteristiche dell’istituzione da Lui fondata, ma ne ha affidato la conduzione ad uomini che avrebbero dovuto portare il messaggio evangelico, i mezzi di salvezza (e quant’altro loro affidato) nel mondo, utilizzando le loro capacità.

Verificare i gradi di libertà che gli Apostoli e i loro successori esercitarono, significa verificare la storia della Chiesa.

L’AUTONOMIA DI AZIONE NELLA CHIESA

Gesù ha previsto per la Sua Chiesa una zona di libertà, di libera iniziativa.

Pietro ebbe da Gesù un potere di comando universale : questa universalità pose a Pietro e ai suoi successori infiniti oggetti su cui esercitare tale potere ; da ciò emerge un campo di azione libera per Pietro e i suoi successori.

Analoghe considerazioni possono ripetersi per il Collegio Apostolico.

Gesù conferì un potere di magistero vivo, che avrebbe utilizzato le doti, le iniziative e, quindi, le libertà di coloro che lo avrebbero esercitato.

Dal Vangelo emerge che la pedagogia di Cristo non fu di opprimere con vincoli gli Apostoli, ma di rispettarne la personalità ; Egli cercò di formarne la spirituale sapienza in modo che essi stessi avrebbero saputo guidarsi, con l’aiuto dello Spirito Santo.

Possiamo riassumere così l’azione di Gesù : Egli fissa un recinto fatto di elementi dottrinali e istituzionali con carattere di permanenza ; entro questo recinto c’è l’azione libera della Chiesa, dei suoi uomini nelle diverse circostanze storiche.

Pertanto vengono distinti due campi : quello del sostanziale immutabile, dell’essere (la costituzione e natura della Chiesa, il primato, la struttura gerarchica, il deposito dottrinale,...) e quello del libero, del contingente, dell’esistere. Il secondo campo ha come legge e limite il primo.

L’USO CONCRETO DELLA LIBERTA’

Vediamo, a titolo di esempio, un rapido sommario di come la Chiesa usò della libertà che lo stesso Suo Fondatore previde.

CONCLUSIONE

Il principio di unità su cui Gesù fondò la Chiesa va integrato e reso intelligibile dal principio di articolabilità.

La Chiesa ha una struttura intangibile, grazie al Suo divino Fondatore e all’assistenza dello Spirito Santo ; la Chiesa ha anche libertà di movimento, di sviluppo logico, di adattamento e completamento che sono in mano alla libertà umana.

Questa distinzione è importante per giudicare le vicende storiche della Chiesa : in Essa c’è ciò che appartiene a Dio e ciò che appartiene agli uomini.

IL RAGGIO DI AZIONE DELLA CHIESA

Dobbiamo ora chiederci qual è l’estensione dell’azione della Chiesa nei diversi campi umani.

NEL CAMPO DELLA LEGGE MORALE

La Chiesa ha nelle sue mani la legge morale con il mandato divino di interpretarla e, quindi, specificarla per i singoli atti e giudicarne le concrete applicazioni.

In quest’ambito il raggio di azione della Chiesa si estende a tutti gli atti liberi umani : questi hanno, infatti, un aspetto morale proprio perché "atti liberi". Ogni atto libero umano può convergere o divergere con la volontà di Dio. La Chiesa, come autentica interprete della Parola divina, ha pertanto giurisdizione sugli atti liberi umani.

Il raggio di azione della Chiesa in quest’ambito è innegabilmente immenso : tutti gli uomini, di tutte le epoche, di tutte le razze e religioni, sono sottoposti al giudizio della Chiesa.

NEL CAMPO DELLA VERITA’

La Chiesa propone infallibilmente la verità rivelata e quanto ad essa connesso. Ora, la verità rivelata dà luce a tutte le altre verità, nel senso che inserisce la conoscenza in un contesto superiore alle sue stesse possibilità. In questo contesto le verità scoperte dal nostro intelletto acquistano una luce nuova che fornisce una migliore estimazione delle stesse. Altro, ad esempio, è vedere una questione internazionale dal punto di vista cristiano, altro è vederla da un punto di vista strettamente politico-economico o, peggio ancora, dei rapporti di forza militare : da un punto di vista cristiano la necessità della salvezza di tutti gli uomini per mezzo di Gesù Cristo fa vedere anche nei rapporti internazionali delle possibilità di pacificazione, di rinunce a pretese o, al contrario, di invito anche forzato a riconoscere diritti, che non sempre emergono dagli altri punti di vista.

Da tutto ciò emerge un ruolo della Chiesa di "illuminazione" delle vicende umane anche estranee alla sua diretta giurisdizione, il tutto, naturalmente, nei limiti della Sua specifica finalità.

RAPPORTI TRA CHIESA E CITTA’ DEL MONDO

Abbiamo visto come il raggio di azione della Chiesa si estenda a tutti gli uomini. Tutto ciò crea un insieme di rapporti tra la Chiesa e il mondo che passiamo ora ad esaminare.

LA TESTIMONIANZA DELLA VERITA’

Anzitutto la Chiesa deve dare e dà al mondo la testimonianza della verità.

Rispose, infatti, Gesù a Pilato :"io sono nato e venuto al mondo per rendere testimonianza alla verità." (Gv. XVIII,37).

Come il fondatore, il Suo Regno deve rendere testimonianza alla verità. Questo l’onere e l’onore della Chiesa nel mondo : rendere testimonianza alla verità ! Al di là e al di sopra del potere di cui gode, delle ricchezze in suo possesso, delle opportunità da cogliere, degli amici da proteggere o dei nemici da combattere, ..., c’è un’unica missione che la Chiesa non può trascurare : testimoniare la verità, fino al martirio.

A sostegno di questa missione il Figlio di Dio ha conferito il primato a Pietro e ai suoi successori e ha garantito loro il potere di Magistero infallibile.

LA FORMAZIONE DEGLI UOMINI

Altro fondamentale compito della Chiesa nel mondo voluto da Gesù Cristo è la formazione delle anime.

La società civile è tanto più salda ed ordinata quanto più gli uomini che la costituiscono godono di una pace interiore fatta di una coscienza rettamente formata che conosce e vuole il bene comune.

Infatti la civiltà è il risultato dello sviluppo armonico di tutto quello che è nell’uomo : intelligenza sentimento, volontà, senso estetico, morale, religione,...Tutti questi elementi devono crescere in armonia, in proporzione. La vera civiltà è, appunto, il risultato della crescita armoniosa di questi elementi umani. Ora, la Chiesa è certamente l’istituzione più attrezzata a raggiungere tale scopo attraverso la formazione delle anime.

LA COESISTENZA

La Chiesa essendo società perfetta, gerarchica, visibile e indipendente, coesiste di fatto con la città del mondo. Il momento delicato di questa coesistenza si ha quando la Chiesa esercita la sua giurisdizione su persone che sono anche soggette all’autorità civile. E’ questo il momento dove possono sorgere e sono sorti i conflitti.

I criteri per la soluzione di tale potenziale conflitto sono :

Chiariti così i diversi campi di azione la coesistenza tra le due città è certamente possibile, ma non facile come documentano le tante vicende storiche di lotta tra Stato e Chiesa.

IL MISTERO DELLA CHIESA

Abbiamo visto che Gesù diede alla Chiesa la Sua missione. Nella parabola della vite Egli prefigurò che i suoi continuatori avrebbero vissuto la Sua stessa vita : in qualche maniera, quindi, la Chiesa continua la vita di Gesù.

La Chiesa ha dunque una realtà visibile e una invisibile : quest’ultima può essere rappresentata solo con il simbolo, cioè con un segno che serve a rappresentare e significare ciò che non si vede. Ciò spiega nell’uso della Chiesa il ricorso a formule liturgiche, a specifiche forme musicali, ad abiti identificativi,..., il tutto a servizio del soprannaturale, dell’invisibile che si vuole "significare".

CRISTO E LA CHIESA

Il mistero della Chiesa è il Cristo agente in essa. Questa presenza misteriosa spiega certe sue caratteristiche per cui, nonostante i difetti degli uomini, essa risulta sempre vincitrice in tutte le vicende storiche.

San Paolo sintetizzava questa presenza di Cristo in questo modo :"Poiché come noi abbiamo più membra in un solo corpo e tutte le membra non hanno la stessa funzione, così collettivamente noi formiamo un solo corpo nel Cristo e individualmente siamo membri gli uni degli altri" (Rom. XII, 4-5), e in altro passo precisa :"Egli è il capo del corpo della Chiesa" (Col. I, 18). Noi dunque siamo le membra di un corpo il cui capo è lo stesso Cristo. Attenzione, San Paolo non parla di unione morale, ma reale ; resta da capire in quale modo esista un’azione vitale di Cristo sui membri della Chiesa, che può così riassumersi :

il Verbo eterno, consustanziale al Padre, incarnandosi in un uomo si è inserito nella famiglia umana mettendosi fisicamente in contatto con tutti gli uomini e costituendo il presupposto giuridico per donare la possibilità ad una vita soprannaturale ;

Nel disegno redentivo divino la vita divina di Cristo diventa vita divina della Sua Chiesa, per cui la storia di Cristo diventa anche storia della Chiesa. Anche Essa come il Suo Capo ha la Sua nascita nell’umiltà e nell’oscurità, il Suo splendore nelle folle esaltanti e la Sua Passione e Resurrezione. La Chiesa, quindi, nelle Sue vicende terrene, ridice al mondo il Vangelo.