CHIESA, MAGISTERO E DOGMA

***

CHIESA

La mediazione ecclesiale della rivelazione

La Chiesa ha coscienza di essere frutto di una specifica iniziativa divina che la pone come sacramento di salvezza, cioè essa con tutta la sua vita è segno e strumento della salvezza. Ma poichè è Cristo l’annunciatore e il portatore della salvezza di Dio, la Chiesa, come sposa e corpo di Cristo, è propriamente sacramento di Cristo. Nella realtà intima e costitutiva della Chiesa è operante la presenza stessa di Dio. In tal modo la dimensione visibile e quella spirituale è parimenti necessaria alla identità della Chiesa. Non sarebbe Chiesa infatti una realtà puramente spirituale; e d’altra parte non potrebbe essere veramente capita la Chiesa se fosse considerata come una grandezza solo sociologica. Perciò la Chiesa nella sua profonda realtà si rende accessibile solo alla fede. Definire la Chiesa sacramento vuol dire che in essa l’aspetto visibile, umano e storico, è essenziale alla sua costituzione profonda perchè forma il segno espressivo e lo strumento efficace della salvezza che Dio opera in Gesù Cristo a favore dell’uomo.

La Chiesa si presenta come strettamente legata alla trasmissione della rivelazione ad opera della tradizione e della Scrittura.

La Chiesa nell’evento costitutivo della rivelazione

La Chiesa non è un’entità al di fuori dell’avvenimento della rivelazione; esso non ci sarebbe senza una comunità di uomini che la accolgono nella fede come l’autocomunicazione di Dio. La rivelazione si rivolge ad una comunità, ad un popolo. Soggetto primario della definitiva rivelazione nel mondo è la Chiesa; il singolo ne diventa partecipe mediante la comunità ecclesiale. Perciò Chiesa e rivelazione si richiamano reciprocamente. La Chiesa non è una comunità che esiste autonomamente; essa è costitutivamente la presenza della rivelazione nella storia, poichè scaturisce dall’avvenimento stesso della rivelazione. La Chiesa realizza pienamente la presenza permanente nella storia della rivelazione avvenuta in Cristo. Dio si rende presente nella Chiesa mediante la sua parola e nella sua parola. La parola di Dio non è solo strumento di conoscenza per l’uomo su Dio; essa è invece presenza personale di Dioe dono di se stesso all’uomo. Accogliere nella fede la parola di Dio, significa giungere alla conoscenza di Dio e accoglierlo in se stessi. Mediante la parola della rivelazione, Dio diventa presenza salvifica.

La Chiesa attualizza la rivelazione

La chiesa non è solo destinataria della rivelazione, ma parte attiva nel processo della sua trasmissione e attualizzazione, che si compie mediante la fede, la testimonianza, la predicazione, l’insegnamento, i sacramenti, la vita cristiana tutta intera. Attualizzare significa stabilire un rapporto con un evento del passato per situarlo nel presente facendolo rimanere sempre attivo nella Chiesa. La Chiesa media un avvenimento unico e irripetibile: quello di Gesù Cristo. La Chiesa, nelle forme sempre nuove del linguaggio umano, rende presente l’unica parola di Dio. Nell’opera di attualizzazione della rivelazione interviene non solo la parola, ma tutta l’attività dei credenti, proprio perchè la fede impegna l’uomo in tutte le sue dimensioni e in tutta la sua esistenza. Tutta la vita ecclesiale rende presente la parola di Dio. I mezzi di cui la Chiesa si serve per la mediazione della rivelazione sono:

- la parola (della predicazione, dell’insegnamento, del magistero), la quale non solo contiene , ma è essa stessa parla di Dio,

- l’azione (liturgica, l’esistenza credente), che non può essere separata dalla parola che la interpreta e la significa,

- l’immagine, ossia l’arte.

La Chiesa è posta come mediazione necessaria della rivelazione di Dio in Cristo. Tale necessità dipende dal carattere definitivo e irripetibile della rivelazione in Cristo.

Tutta la Chiesa mediatrice della rivelazione

Tutta la Chiesa è mediatrice della rivelazione. Due espressioni ci aiutano a precisare il significato della mediazione della rivelazione ad opera di tutto il popolo di Dio: senso della fede e consenso della fede. E’ in forza del senso della fede che si compie la mediazione ecclesiale della rivelazione. La totalità dei fedeli è qualificata da una infallibilità nel credere, che si manifesta nel consenso della fede. Il senso della fede è il sentirsi in intima concordanza con l’oggetto della fede. Come tale esso è dato ad ogni credente insieme alla fede stessa. Il consenso della fede consiste nelle espressioni che il senso della fede si da attraverso la professione di fede e la testimonianza. Dunque, il consenso della fede si manifesta sempre in accordo con la predicazione del magistero della Chiesa.

 

 

 

MAGISTERO

Il magistero della Chiesa

Il rapporto intrinseco che esiste tra il magistero della predicazione della Parola e la successione apostolica sta alla base della comprensione e giustificazione di un magistero nella Chiesa. Esso è il potere conferito da Cristo agli apostoli e ai loro successori di esporre, custodire e difendere la dottrina della rivelazione in modo autentico, presentandola come oggetto di fede per il conseguimento della salvezza. Questo potere di insegnamento è di istituzione divina, come risulta dalle parole con cui Cristo affida agli apostoli la missione di evangelizzare le genti. La Chiesa primitiva è consapevole che l’Evangelo è la dottrina degli apostoli. Gli apostoli costituiscono quindi il punto di riferimento irrinunciabile per conoscere con certezza la parola del Signore e la verità salvifica. Tutta la Chiesa, globalmente intesa, vive della verità di Cristo ed è il soggetto portatore e fedele della rivelazione, ma la stessa Chiesa è per sua natura gerarchica, nella quale l’autorità è connessa con la successione apostolica e trae la sua origine da Cristo stesso. Affidato al collegio degli apostoli, dopo la costituzione del primato di Pietro, principio di unità e Pastore supremo ed universale della Chiesa, questo magistero risiede, mediante la successione apostolica, garantita dal sacramento dell’ordine, nei successori di Pietro e degli apostoli.

Il soggetto del magistero

Soggetto del magistero è l’intero collegio episcopale in unione e sotto il papa; tale collegio esprime la continuità con il collegio apostolico costituito da Cristo, ed è soggetto di suprema e piena potestà su tutta la Chiesa. Anche il successore di Pietro è soggetto e portatore della medesima potestà. Esiste comunque un solo soggetto magisteriale, che agisce in due modi:

- o con un atto propriamente collegiale,

- o con un atto del papa come capo del collegio.

L’esercizio del magistero

L’esercizio del magistero, sotto il profilo del soggetto che agisce, secondo l’insegnamento della Lumen Gentium, si può esprimere in tre modi:

- i vescovi nelle rispettive diocesi, in comunione tra loro e con il papa,

- il collegio episcopale radunato in un concilio,

- il papa in quanto capo del collegio episcopale.

Tale magistero può essere: ordinario (non infallibile) e straordinario (infallibile).

Il magistero ordinario è proprio del papa, che lo esercita nei confronti di tutta la Chiesa, e dei vescovi, che lo esercitano ciascuno immediatamente sulla propria Chiesa locale e solo mediatamente, nel collegio dei vescovi, sulla Chiesa universale. Dal magistero ordinario si distingue il magistero universale e ordinario, che viene esercitato dalla totalità dell’episcopato unito al papa e, in quanto tale, costituisce un organo del magistero infallibile. L’infallibilità del magistero universale e ordinario è stata definita dal concilio Vat I. Il compito del magistero ordinario non è quello della formulazione precisa di una verità di fede, ma la giuda alla comprensione dei misteri della salvezza, l’individuazione dei mezzi dell’azione pastorale e dell’applicazione spirituale e vitale del messaggio della fede. Ciò spiega perche le indicazioni del magistero ordinario non sono di per se irreformabili, e hanno spesso un valore e un significato prudenziale.

Il magistero straordinario è di per se infallibile e ha due organi: il concilio ecumenico (ad esso compete la suprema autorità nella Chiesa, sia sul piano disciplinare sia sul piano dottrinale) e il magistero del papa quando parla ex cathedra. E’ stato definito nella costituzione dogmatica sulla Chiesa di Cristo Pastor aeternus del concilio Vat I. Nella definizione sono compresi le condizioni e i limiti del magistero infallibile del papa:

- innanzitutto il papa deve voler esercitare il suo supremo potere magisteriale e deve dichiarare che vuole definire una dottrina;

- inoltre la sua intenzione deve essere quella di voler vincolare la fede di tutta la Chiesa;

- infine la sua infallibilità si riferisce alle questioni di fede e di costume.

L’infallibilità del papa ha la stessa estensione della infallibilità della Chiesa. L’attenzione riservata al magistero infallibile del papa non deve far dimenticare o sminuire il suo magistero ordinario, che si esercita attraverso atti come le encicliche, le costituzioni e le esortazioni apostoliche, i motu proprio, i discorsi.

L’infallibilità nella Chiesa è data dal fatto che in essa non può mancare l’assistenza dello Spirito santo. Il concetto di infallibilità ha un carattere negativo, cioè afferma l’assenza di errore in ciò che viene insegnato o definito formalmente come vincolante per la fede. Ciò si verifica normalmente di fronte ad un’eresia o a un errore. L’aspetto positivo consiste nella sicurezza della verità rivelata insegnata ed espressa. Il fondamento e il senso della infallibilità non riposa sulla Chiesa, bensì sulla infallibilità della verità di Dio, perchè in senso assoluto soltanto Dio è infallibile. Infallibilità non vuol dire dunque nuova rivelazione, ma fedele conservazione e interpretazione dell’unica rivelazione.

Quindi riepilogando, il magistero straordinario è di per se infallibile e si esprime in tre modalità:

1a .: magistero straordinario del concilio.

Si realizza quando tutti i vescovi uniti al papa proclamano in modo solenne e formale una dottrina come proveniente dalla rivelazione e da credersi o ritenersi definitivamente per tutta la Chiesa.

2a .: magistero straordinario del papa.

Si realizza quando il Sommo Pontefice proclama ex cathedra (cioè solennemente e con una dichiarazione ufficiale) che una dottrina concernente la fede o la morale è da credersi o ritenersi in modo definitivo da tutti i fedeli. La definizione ex cathedra del papa è dipendente dalla fede della Chiesa.

3a .: magistero ordinario universale.

Si realizza quando una dottrina di fede o di morale è insegnata costantemente da tutti i vescovi sparsi per il mondo, senza che vi sia una proclamazione solenne, ma nella persuasione concorde ed esplicita di trasmettere un insegnamento vero e definitivo.

Le due forme di magistero, infallibile o ordinario, esprimono, a livelli diversi, la natura dell’insegnamento magisteriale ecclesiastico.

L’oggetto del magistero

L’oggetto dell’insegnamento del magistero è la Parola di Dio in tutta la sua ampiezza, cioè la dottrina rivelata concernente la fede e i costumi. La riflessione teologica distingue un oggetto primario, cioè tutto ciò che Dio ha rivelato in vista della nostra salvezza, e un oggetto secondario, che pur non essendo direttamente rivelato da Dio, è tuttavia intimamente connesso con i misteri della salvezza. Tale oggetto secondario si riferisce ai preamboli della fede, alla legge morale naturale, ai cosiddetti fatti dogmatici, come la legittimità di un concilio, la validità dell’elezione papale, la canonizzazione dei santi.

La missione del magistero è pertanto quella di affermare il carattere definitivo dell’Alleanza salvifica instaurata da Dio per mezzo di Gesù Cristo con il suo popolo. Il servizio alla verità cristiana reso dal magistero è perciò a favore di tutti i fedeli chiamati ad entrare nella libertà della verità che Dio ha rivelato in Cristo e che mediante l’assistenza dello Spirito santo viene custodita e approfondita dalla Chiesa.

 

DOGMA

Dogma e rivelazione

Verità divinamente rivelata, proclamata come tale dal magistero autorevole e infallibile della Chiesa, e perciò con forza vincolante, da allora e per sempre per tutti i fedeli. Nonostante la loro grande importanza, i dogmi non sono la norma suprema. La Scrittura rimane per sempre la regola suprema della fede della Chiesa, e questa viene celebrata nel culto. Nella Chiesa ortodossa, si intende per dogma un insegnamento conciliare accettato da tutte le Chiesa particolari in comunione fra di loro e destinato ad alimentare i fedeli nella liturgia e nella vita.

Alle origini del dogma

Il termine non è di origine cristiana. Derivando dal verbo greco dikeo, etimologicamente ha il valore di opinione, e tale significato conserva nella filosofia antica dove ancora indica un insegnamento non vero (così in Platone, Epitteto, Cicerone). Per questa ragione il termine stenta ad entrare nella lingua cristiana.

Ma esso ha pure il significato di decisione (At 17,7), e viene usato dai Padri apostolici per indicare l’insieme degli insegnamenti e delle prescrizioni di Gesù e degli Apostoli.

Vincenzo da Lerino opera il primo tentativo di introdurre la nozione di dogma nella dottrina della fede: il dogma è la dottrina cattolica, la dottrina divina che deve essere sempre mantenuta nella Chiesa. Egli denuncia l’arianesimo come nuovo dogma opposto ai dogmi della Chiesa.

Anche S. Tommaso non adopera il termine dogma con tale significato, anche se utilizza un concetto analogo, articolo di fede.

Solo nel XVIII secolo il termine entra univocamente e unanimemente nel linguaggio ecclesiastico ufficiale per designare ciò che la Chiesa propone alla fede dei credenti. Il termine acquista un significato definito nel concilio Vat I, soprattutto con la definizione della infallibilità pontificia.

Il concetto di dogma

L’uomo, e ogni comunità umana, ha bisogno di dare assenso in modo assoluto a determinate verità e di farlo servendosi di formulazioni concettuali. Tale presupposto antropologico, trova una precisa applicazione proprio nella rivelazione e nell’accoglienza di essa da parte dell’uomo.

Le verità di fede definite sono rivolte e proposte alla libertà dell’uomo, e non imposte contro di essa. L’assenso dato ai dogmi si compie come una scelta di fondo che ogni uomo e ogni comunità non può fare a meno di compiere. In esso convergono sia la grazia dello Spirito santo che agisce nel cuore dei fedeli, sia la ragionevolezza che risponde positivamente al messaggio evangelico in quanto credibile, sia la libertà umana.

Così si esprime il concilio Vaticano I: "Perciò per fede divina e cattolica si devono credere tutte quelle cose, che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, e che vengono proposte a credere nella Chiesa o con solenne definizione o con ordinario e universale magistero come verità rivelate da Dio". Due elementi fondamentali vanno segnalati in questa definizione:

1. l’elemento materiale o contenuto del dogma: si deve credere con fede divina e cattolica ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata. Il dogma ha un riferimento costitutivo alla rivelazione divina, e il magistero che lo proclama è al servizio di essa. Dal deposito della rivelazione il magistero attinge tutto ciò che insegna; ma tutto ciò che insegna deve riguardare la fede e i costumi, ovvero Dio stesso e i decreti eterni della sua volontà riguardo alla salvezza degli uomini. Ciò che si riferisce a Dio e alla salvezza degli uomini delimita il contenuto della dottrina rivelata e rappresenta l’unico oggetto possibile di una definizione dogmatica.

2. l’elemento formale: consiste nel fatto che un dogma deve essere proposto come verità rivelata da parte della Chiesa, mediante il magistero straordinario o il magistero ordinario e universale. Ciò significa che non tutte le verità rivelate vanno ritrovate in una definizione dogmatica del magistero, ma possono di fatto essere insegnate senza che si renda necessaria una loro solenne proclamazione.

Nel proporre delle verità come dogmi di fede il Magistero dipende dalla rivelazione divina, così come essa è stata consegnata alla Chiesa nel deposito della fede. Il magistero interviene con una definizione dogmatica allo scopo di salvaguardare il deposito della fede da devianze ed errori.

Aspetti del dogma

Il dogma ha essenzialmente una dimensione ecclesiale e sociale; esprime la dimensione comunitaria della fede, sia perchè vuole essere espressione e norma della fede della Chiesa nella storia, sia perchè esso stesso nasce dall’esperienza e dalla riflessione di fede della Chiesa. Esso si presenta con una finalità unificatrice. Esso è la forma che unifica:

- l’accoglienza comune della rivelazione nella Chiesa,

- l’annuncio della parola di Dio a tutti nel corso della storia.

Le funzioni ecclesiali del dogma possono essere ricondotte a tre:

- funzione confessionale e dossologica: abbraccia la lode e il ringraziamento, e insieme la confessione, cioè la pubblica affermazione della fede nella comunità e dinanzi al mondo.

- funzione dottrinale e polemica: la prima si evidenzia nella catechesi nella predicazione; la seconda sottolinea l’esigenza di tutelare la purezza dottrinale e l’unità della Chiesa.

- funzione prolettica ed escatologica: essa evidenzia il tempo della Chiesa come tempo della accoglienza progressiva della salvezza e della rivelazione nel corso della storia, in continua tensione verso la pienezza escatologica.

Sviluppo e interpretazione del dogma

La storicità e lo sviluppo del dogma si basano sui seguenti punti fondamentali:

- ogni verità dogmatica deve essere contenuta, esplicitamente o implicitamente, nel deposito della rivelazione;

- lo sviluppo del dogma non può essere inteso come progresso rispetto al dato biblico originario, ma come esigenza di attualizzare il vangelo in un determinato contesto storico e culturale;

- ogni dogma futuro deve essere in continuità omogenea con il significato dei dogmi definiti.

Le verità di fede definite dal magistero devono essere interpretate, poichè vanno collocate nel contesto storico in cui sono state pronunziate e nel contesto più ampio della rivelazione.

FEDE E CREDIBILITA’

Il primato della fede

La fede è una forma di conoscenza personale mediante la quale, sotto impulso della grazia, si accoglie la rivelazione di Dio in Cristo Gesù. Nessuno può accogliere la parola di Gesù come parola di Dio se lo Spirito non agisce in lui mostrando che quella Parola è autenticamente Parola del Padre. La fede è sempre relazionata ad un contenuto e determinata da esso. La rivelazione storica di Gesù Cristo è il contenuto formale della fede. La prima professione di fede che la Chiesa formula, infatti, si concentra intorno all’evento della passione, morte e risurrezione del Signore, e fa di questo annuncio la realtà stessa della fede a tal punto che, se questo evento non esistesse, vana e inutile sarebbe la predicazione apostolica. Questa dimensione della fede, comporta che l’evento in cui si crede sia vero. Solo attraverso la certezza della verità del contenuto di fede, si può pensare di compiere un atto di fede che sia personale. Caratteristica della fede cristiana è il suo valore salvifico e la sua dimensione onnicomprensiva: l’esistenza dell’uomo è finalizzata alla luce della rivelazione storica realizzatasi in Gesù Cristo. La fede cristiana, in quanto fondamento della comunità ecclesiale, non è patrimonio del singolo credente, ma appartiene come un deposito affidato a tutta la Chiesa. Il contenuto della fede e la sua coerenza con la rivelazione sono, infatti, patrimonio del carisma e del ministero del collegio apostolico e, in esso, del successore di Pietro.

La fede, infine, si relaziona alla speranza e alla carità formando la globalità della vita teologale. Credere, implica vedere l’esistenza personale relazionata al futuro; solo nel futuro, infatti, la verità di ciò che è creduto trova la sua espressività suprema. La speranza della fede è certezza di compimento, perchè già fin da ora anticipato nella vita di Gesù di Nazareth. Il contenuto della fede, alla fine, è la risurrezione, cioè la salvezza di una vita trasformata dopo la morte; la fede sa che questo contenuto è già dato per ognuno, perchè nel battesimo si è inseriti definitivamente nel mistero pasquale di Cristo.

Fede e speranza si coniugano con l’amore. La fede si esprime nell’amore e diventa amore. L’amore che origina la fede è quello gratuito che vede nell’impegno del Figlio sulla croce la sua prospettiva ultima. Questa circolarità permette di verificare la fede come un tutt’uno di azione personale. La fede, pertanto, si esprime dove c’è l’uomo.