LA TRADIZIONE

E’ peculiare dell’uomo trasmettere i contenuti che costituiscono parte della sua storia. Tramandare è un atto tipico della cultura che tende a conservare gli elementi che la caratterizzano, quali la ricerca, la riflessione e le esperienze materiali e spirituali più significative. Poichè l’uomo vive costantemente in una tensione tra la propria finitezza e il senso di trascendenza, la tradizione gli permette di mantenere viva questa tensione e di esprimerla come fenomeno universale. Mediante la tradizione, i gruppi etnici e culturali comunicano tra di loro e la storia di un popolo viene fatta conoscere ad un altro popolo. Strumento essenziale della tradizione è il linguaggio, perchè permette la comunicazione e la trasmissione dei contenuti creando esso stesso tradizione. Con la tradizione, ognuno forma se stesso e la propria personalità, si autocomprende inserito in una genealogia.

Anche la Chiesa conosce una sua tradizione che le permette di concepirsi come soggetto storico con il compito specifico della trasmissione. Come in ogni tradizione anche nella tradizione cristiana distinguiamo il contenuto trasmesso (il traditum o traditio obiectiva), il processo di trasmettere e di ricevere (l’actus tradendi et recipiendi o traditio activa), e i soggetti della tradizione (i tradentes o traditio subiectiva).

Il principio cristiano della tradizione si fonda sul fatto che Dio si è rivelato in Israele e in Gesù Cristo una volta per tutte come salvezza degli uomini. Ne deriva la necessità di trasmettere e mediare a tutte le generazioni successive la notizia di questo evento e la sua forza redentrice.

All’origine della tradizione cristiana vi è la persona stessa di Gesù di Nazareth che, convocando intorno a se un gruppo di discepoli, trasmette loro il suo proprio insegnamento perchè lo mantenessero integro e comunicassero a tutti coloro che avrebbero creduto alla loro predicazione. Il suo comando finale, infatti, si riassume in queste parole: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra; andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battenzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che io ho trasmesso a voi (Mt 28,18-20). Alla luce di questa parola, la comunità primitiva ha preso progressivamente coscienza del suo compito e della missione affidatale: trasmettere universalmente e in ogni tempo la parola di salvezza del Signore, così come Gesù stesso aveva trasmesso a lei la Parola del Padre. In questo processo, essa ha visto costantemente presente l’azione dello Spirito del Risorto che la accompagna nel mantenere integro e puro tutto ciò che il Maestro le ha affidato, e contemporaneamente, apre se stessa a creare una tradizione che esprima alle generazioni future la fede di sempre.

 

 

LA TRADIZIONE NELLA SCRITTURA

- La rivelazione e la sua trasmissione

La rivelazione si presenta a noi come una iniziativa di Dio permanentemente efficace: Dio continua sempre a comunicarsi e a farsi conoscere. Priva del suo specifico carattere temporale e storico, la rivelazione di Dio non esisterebbe, poichè la storia - dimensione costitutiva dell’essere umano - è l’ambito e il modo in cui l’uomo può vivere e fare esperienza.

La rivelazione dunque si compie in determinati avvenimenti e persone, fatti e parole della storia. La fede cristiana riconosce in Gesù Cristo il compimento e la pienezza della rivelazione divina. In lui ha luogo la massima comunicazione storica di Dio all’uomo.

- Tradizione nel tempo della rivelazione

E’ soprattutto il NT a proporre orientamenti decisivi sul significato e il ruolo della tradizione, anche se già l’AT presenta alcuni elementi importanti. L’uno e l’altro attestano, però, che la rivelazione si compie - oltre che come comunicazione divina ai singoli o alla comunità, in eventi e parole - come trasmissione di un corpo crescente di esperienze di avvenimenti e di parole, o anche come esperienze di incontro con Dio, opera di una personale iniziativa di Dio stesso. Nella trasmissione di tale corpo di esperienze si coglie un intreccio di nuove e tramandate esperienze e parole di Dio, mediate da una tradizione che Dio stesso promuove e conduce, e che trova espressione sia in testi scritti, sia in forme di comunicazione orale, nella famiglia e nel culto, che reciprocamente si influenzano e rielaborano.

Nel variare delle forme e delle espressioni, per l’AT permane identica la coscienza che il popolo ha dell’elezione e dell’alleanza: Israele sa di vivere come popolo solo in forza di una iniziativa di Dio che sta all’origine della sua storia; e nella memoria sempre viva di quell’iniziativa prende coscienza della presenza che attualmente Dio realizza ed esercita verso il compimento delle sue promesse.

In questo modo la tradizione non si presenta come una trasmissione meccanica della memoria di fatti e parole del passato, ma come lo spazio umano in cui il credente fa esperienza della presenza attuale ed efficace di Dio nella propria storia.

Gesù e la tradizione

Gesù non teme di attaccare duramente quella tradizione che tende a piegare e a stravolgere l’intenzione originaria di Dio, qualificata da egli stesso come "semplicemente umana". Gesù si adopera per riscoprire la purezza originaria della parola tramandata secondo la vera intenzione di Dio e l’autentica interiorità umana. Infatti, il compimento della tradizione cui Gesù porta, va nel senso dell’amore di Dio e del prossimo. Gesù indica un criterio fondamentale per discernere la vera tradizione, che consiste nella incessante riscoperta della più profonda intenzione religiosa della tradizione stessa, sia in riferimento a Dio che all’uomo. Gesù, allora, si presenta come il rivelatore supremo di Dio e, contemporaneamente, dell’uomo. In lui si svela l’intenzione profonda di tutta la tradizione anticotestamentaria. Gesù in persona si pone come criterio decisivo di discernimento di ogni autentica tradizione e come inizio di una nuova e definitiva tradizione.

La tradizione in san Paolo

San Paolo nelle sue lettere ci da accesso alla coscienza che la Chiesa primitiva ha del significato e dell’importanza della tradizione. Nella 1 Cor, Paolo afferma: "Io infatti ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso" (11,23); "Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto" (15,3). Tutto per Paolo viene giocato su due termini: ricevere-trasmettere. Con essi segnala di trovarsi dinanzi ai contenuti centrali della fede cristiana che ha l’obbligo di conservare inalterati e trasmettere fedelmente. Non a caso si tratta dell’Eucaristia e della Risurrezione. Accogliendo la fede nella risurrezione e nella eucaristia, la Chiesa accoglie il Signore e la sua salvezza.

L’apostolo è convinto che nella trasmissione di quella fede non è lui a disporre di quei contenuti, ma al contrario essi dispongono di lui, chiedendogli di accoglierli e di trasmetterli fedelmente.

Accogliere o respingere la tradizione significa accogliere o respingere il Signore e la salvezza.

Esiste un contenuto centrale della rivelazione, tramandato dagli apostoli per comando del Signore stesso, che perviene a noi mediante la tradizione , che diventa il compito e la realtà principale della missione apostolica e della vita della Chiesa.

Il "deposito" e il ministero

Paolo in 1 Tm 6,20 (... custodisci il deposito) e 2 Tm 1,12-14 (... so infatti a chi ho creduto e son convinto che egli è capace di conservare il mio deposito fino a quel giorno... Custodisci il buon deposito con l’aiuto dello Spirito santo che abita in noi) parla della rivelazione tramandata dagli apostoli e nella Chiesa come di un deposito. Paolo presenta la tradizione come un corpus omogeneo e compatto con un contenuto di tipo dottrinale, capace dunque di resistere a tentativi di deformazione e di interpretazioni devianti. In questo contesto assume anche maggior peso la figura dell’apostolo, posto come garante della fedele conservazione e trasmissione del deposito. Questo, è una realtà viva che trasmette una presenza viva: quella del Signore, della sua parola e della sua salvezza.

La tradizione, da uno sguardo d’insieme della Scrittura, costituisce l’ambito umano in cui si compie storicamente la rivelazione di Dio. Essa si serva di parole per trasmettere, tuttavia, non soltanto una conoscenza, ma la realtà stessa significata; non solo dunque il resoconto di un evento del passato, ma soprattutto una presenza attuale che nella fede rende possibile l’esperienza dell’incontro con il Signore.

Di fronte ai pericoli cui la tradizione è esposta, la Chiesa sente il bisogno di fissare più precisamente la dimensione dottrinale del deposito della rivelazione. Gli apostoli, costituiti come mediatori autorevoli della rivelazione, hanno il compito di garantire che quanto essi hanno trasmesso a voce o per iscritto, rimanga integro e sia trasmesso e ricevuto senza menomazioni ed errori.

Riassumendo: in Paolo emerge la figura dell’apostolo come primo e decisivo testimone e trasmettitore della tradizione cristiana. E’ apostolo:

- colui che è testimone dell’autorivelazione di Dio in Gesù Cristo;

- colui che è mandato dal Signore a proclamare la parola di Dio.

Al pari di Gesù, Paolo assume un atteggiamento critici nei confronti della tradizione. Protesta contro il tradizionalismo giudeo-cristiano e insiste sulla vera conoscenza di Gesù Cristo come principio della interpretazione del messaggio di Gesù.

Nella Bibbia la costante reinterpretazione della tradizione è espressione della verità che il Signore vive ed è immediatamente presente in ogni tempo e in esso vuole essere nuovamente testimoniato. In tal modo la Bibbia trasmette non soltanto i contenuti della tradizione ma anche i modelli della sua interpretazione.

Subito nei primi secoli, provocata dalle prime eresie, la comunità specifica ulteriormente il concetto, arrivando a distinguere tra Scrittura e Tradizione. Contro le sette gnostiche, che pretendevano rivelazioni speciali accessibili solo ad una élite, si inizia a formulare un primo criterio di tradizione che si focalizza nella regula fidei. Ireneo e Tertulliano, saranno tra i primi ad esplicitare il concetto dei veri trasmettitori del Kerigma: i veri trasmettitori sono gli apostoli, perchè mediante l’imposizione delle mani hanno reso i loro successori (vescovi) i garanti della vera e corretta tradizione. Viene istituzionalizzata, quindi, la catena dei testimoni nella forma della successione apostolica dei vescovi. Come testimoni della tradizione apostolica e mandati da Cristo con l’imposizione delle mani, i vescovi diventano successori degli apostoli e quindi autentici trasmettitori.

 

LA TRADIZIONE DELLA CHIESA

La Chiesa è vissuta sempre con la convinzione di possedere indivisibilmente nella Scrittura e nella Tradizione la mediazione visibile della rivelazione divina per la salvezza dell’uomo.

La riforma protestante: "Sola Scriptura"

Nella prima metà del XVI secolo, la Chiesa fu colpita dalla riforma protestante. Lutero, agli occhi di molti, apparve come il demolitore della tradizione e della Chiesa. Egli ritenne di dover abolire alcuni sacramenti e molte credenze e consuetudini privi di esplicito fondamento scritturistico, per rimettere nuovamente in luce il puro Vangelo. Lutero diventa, nella controversia confessionale, il negatore dell’uomo, della Chiesa, delle tradizioni, al punto che la Chiesa si sente profondamente ferita nella sua coscienza di fede.

Il Concilio di Trento

Col "Decretum de libris sacris et de traditionibus recipiendis" (Adozione delle sacre Scritture e delle tradizioni degli apostoli) del 1546, nella sessione IV, il Concilio di Trento prende in esame il problema della Tradizione e del suo rapporto con la Scrittura. Recepisce la richiesta di Lutero di mantenere nella Chiesa la puritas ipsa Evangelii. Il Vangelo è la fonte di ogni verità salutare e della condotta di vita cristiana che sono contenute nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte.

Il decreto indica la rivelazione con il termine vangelo; esso consiste nel contenuto di salvezza annunciato dai vangeli e cioè Gesù Cristo.

La rivelazione, dunque, giunge a noi insieme attraverso la Scrittura e la tradizione, di cui si sottolinea che non è scritta, perchè destinata a rimanere tale, cioè tradizione orale, trasmissione viva, testimonianza personale ed ecclesiale della fede che accoglie la rivelazione. Non si mette in questione il motivo e la natura della duplice forma di trasmissione della rivelazione (scrittura e tradizione). Tale duplicità viene constatata come un fatto voluto dal Signore stesso e dai suoi apostoli, così che la Chiesa con pari pietà e rispetto accetta e venera l’una e l’altra. Viene, invece, sottolineata con forza la mediazione degli apostoli.: sono essi il passaggio necessario e intenzionale della trasmissione della rivelazione, sia perchè hanno potuto ascoltare Cristo sia perchè hanno ricevuto dallo Spirito santo il pieno dispiegamento del significato della parola di Gesù Cristo.

La parola di Cristo e l’azione dello Spirito santo sono all’origine della trasmissione della rivelazione, che ha negli apostoli la mediazione unica e necessaria. Tutto ciò che gli apostoli hanno comunicato a questo scopo costituisce il vangelo, patrimonio della rivelazione. Non è possibile, quindi, incontrare l’evento della rivelazione divina fuori della mediazione apostolica.

Discernimento della tradizione

Il testo indica due criteri per discernere le vere tradizioni.

Il primo criterio riguarda il contenuto, e considera come vera tradizione della rivelazione ciò che in essa ha rilevanza per la fede e i costumi, ovvero per la dottrina della fede e per la dottrina morale.

Un secondo criterio è indicato nella conservazione delle tradizioni con successione continua nella Chiesa. Non può essere trascurato il fatto che, accanto e oltre alla Scrittura, la parola di Cristo ha trovato sempre nella vita della Chiesa modo di essere predicata, accolta e vissuta.

Il Concilio di Trento non riuscì a porre termine alle controversie, anzi non potè impedire il diffondersi, in ambito cattolico, della teoria delle due fonti in ordine al rapporto tra la Scrittura e la tradizione.

L’insegnamento del Concilio di Trento si può sintetizzare con questi punti:

1- La Chiesa deve rimanere nella purezza del Vangelo, ciò significa legata all’evento Gesù Cristo che costituisce la fonte unica e ultima della verità di fede e della norma morale; egli, quindi, è la stessa continuità della rivelazione.

2- La rivelazione viene necessariamente contenuta e mediata nei libri sacri e nelle tradizioni non scritte; il concilio, pertanto, riconosce due mediazioni della Parola di Dio: la Scrittura e la tradizione.

3- Si definiscono le tradizioni non scritte in cui il Vangelo viene trasmesso come tutto ciò che dalla voce di Cristo stesso, dagli apostoli sotto l’ispirazione dello Spirito santo, sono giunte fino a noi come se trasmesse di mano in mano.

Dopo Trento

Dopo il Concilio di Trento, a causa del controverso interesse teologico, s’impone la distinzione materiale tra Scrittura e Tradizione. Invocando il concilio, si insegna che il Vangelo sarebbe contenuto partim nella Scrittura e partim nella tradizione orale. Si giunge così a parlare delle due fonti della rivelazione. Questa concezione afferma l’insufficienza materiale della Scrittura.

Il Concilio Vaticano II

Soltanto il concilio Vat II, nella sua costituzione dogmatica Dei Verbum (1965), ci fa uscire dal vicolo cieco teologicamente controverso dei confini tra Scrittura e tradizione. Riallacciandosi al discorso del concilio di Trento sul Vangelo, come unica fonte di ogni verità salutare, dichiara che la sacra Tradizione e la sacra Scrittura scaturiscono dalla stessa divina sorgente e formano un’unità organica (DV 9). Viene evidenziata l’eccellenza della Scrittura all’interno dell’evento della tradizione: la Scrittura è parola di Dio perchè iscritta per ispirazione dello Spirito di Dio, la tradizione trasmette la parola di Dio, la conserva e la espone.

La Scrittura non contiene, ne coincide con la rivelazione. Essa è parola di Dio. La realtà della rivelazione, cioè il dono che Dio fa di stesso per farsi conoscere e comunicarsi, supera la stessa Scrittura e non può essere come imprigionata in essa. La rivelazione piuttosto si compie e si trasmette là dove c’è anche la fede. La rivelazione è una realtà vivente nella fede e testimoniata nella Scrittura; la comunicazione viva della sua realtà si compie solo nella fede.

Peculiarità della tradizione

"La chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede" (DV 8).

La Chiesa nella sua totalità trasmette la rivelazione. Essa compie quest’opera di trasmissione attraverso la dottrina, la vita e il culto.

La dottrina comprende tutte le verità di fede, siano esse dogmi dichiarati o verità implicite, in cui la Chiesa si riconosce.

La vita della Chiesa è l’esistenza cristiana nella sua globalità e nella sua concretezza di esperienza di fede speranza e carità.

Il culto della Chiesa si riferisce alla dimensione liturgico e sacramentale.

Tutto ciò non è solo oggetto di fede da parte della Chiesa, ma anche e soprattutto la realtà stessa in cui la Chiesa consiste. La Chiesa crede ciò che essa stessa è e trasmette, e trasmette ciò che sa di essere per la grazia di Cristo e per la fede in lui.

Quindi, la trasmissione della predicazione e della testimonianza apostolica al di fuori della Scrittura è la tradizione in senso proprio e specifico. Per la sua natura non scritta, la tradizione non poteva essere espressa una volta per tutte per iscritto. Essa, infatti, non è costituita solo da parole, ma da tutta la realtà cristiana.

Progresso della tradizione

I termini conservazione e progresso applicati contemporaneamente alla tradizione, non risultano essere antitetici, poichè la tradizione conserva la sua identità solo nel progredire della comprensione e della esperienza della sua realtà interiore. Il progresso della tradizione si compie innanzitutto ad opera dello Spirito santo, il quale conduce la Chiesa per vie nuove, ma sempre sulle orme tracciate dagli apostoli.

La costituzione presenta tre fattori del progresso della tradizione.

Il primo è la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le (realtà trasmesse) meditano in cuor loro. Ai teologi è affidato un compito specifico, ma tutti i credenti hanno il dovere di riflettere e meditare su di esse. La realtà trasmessa non può essere fatta oggetto di studio senza essere stata prima contemplata.

Il secondo è la profonda intelligenza che essi provano delle cose spirituali. Si fa appello alla dimensione esperienziale della fede dei credenti.

Il terzo è costituito dalla predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità. I vescovi, infatti, come garanti certi della verità della tradizione, hanno il compito di promuovere e soprattutto di vagliare e giudicare i progressi che si manifestano tra il popolo di Dio nella esperienza e nella intelligenza della realtà rivelata e tramandata.

In sintesi

La ridefinizione del rapporto tra Scrittura e Tradizione e soprattutto della stessa concezione di tradizione è resa possibile dall’approfondimento del concetto di rivelazione e di chiesa:

1- Come la rivelazione non è più intesa nel senso di mera comunicazione di singole verità ma come vivificante auto-comunicazione della Trinità attraverso la quale essa parla agli uomini come ad amici, così anche la tradizione non è più assunta come mera collezione di verità singole ma come presenza vivificante della parola di Dio, così che Dio non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio diletto.

2- Come la rivelazione non viene più presentata come mera istruzione ma avviene con eventi e parole, così la tradizione avviene nella dottrina, nella vita e nel culto della Chiesa.

3- Come tutta la Chiesa è il popolo di Dio in cammino verso la perfezione del regno di Dio, così anche tutto il popolo santo, unito ai suoi pastori, trasmette la tradizione. La comprensione della parola di Dio trasmessa cresce non solo con la predicazione dei pastori ma anche con la riflessione e lo studio dei credenti e con l’esperienza data da una più profonda intelligenza (delle cose spirituali).

 

 

Scrittura e Tradizione

Non è possibile parlare della tradizione senza fare riferimento alla Scrittura. Scrittura e tradizione non sono due entità tra loro separate. Il loro rapporto può essere determinato in funzione della unità originaria, della reciproca dipendenza e della loro differenza.

Scrittura e tradizione hanno la stessa origine. Ambedue testimoniano che Dio si è rivelato e sono così profondamente radicate nella rivelazione che Dio è l’autore di ciò che esse comunicano. Infatti ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente e perciò formano in un certo qual modo una cosa sola. Ma non per questo si può parlare di identità tra rivelazione e Scrittura-tradizione. Esse costituiscono la mediazione necessaria che ci fa incontrare la rivelazione. Dio rimane l’autore e il garante della rivelazione che ci giunge attraverso Scrittura e tradizione. Questa medesima origine costituisce l’unità originaria di Scrittura e tradizione. Da questa deriva l’unità di servizio, poichè esse tendono allo stesso fine, cioè comunicare la rivelazione. La Chiesa per rimanere se stessa non può fare a meno di richiamarsi continuamente alla Scrittura e alla tradizione. L’obbedienza della Chiesa a Dio che si è rivelato si concretizza nell’obbedienza alla testimonianza della rivelazione, cioè nella perenne presenza della Scrittura e della tradizione nella sua vita. Tra Scrittura e tradizione c’è anche una unità di contenuto, in quanto discendono da una stessa e unica fonte, il vangelo di Cristo: la Scrittura va letta alla luce della tradizione e la tradizione va intesa come luogo di interpretazione della Scrittura.

Il rapporto di reciproca dipendenza tra Scrittura e tradizione è stabilito nel processo della loro formazione. Infatti la tradizione orale è all’origine degli scritti sia dell’AT che del NT. La Scrittura non può essere accolta come parola ispirata da Dio e letta come tale, al di fuori della tradizione. La Scrittura può essere indicata come criterio generale di discernimento della tradizione divino-apostolica. Si può cogliere dunque una circolarità tra Scrittura e tradizione, per cui l’una esprime veramente se stessa nel richiamo e nel rimando permanente all’altra.

Tra Scrittura e tradizione va rivelata anche una differenza di forma e di struttura. Mentre la Scrittura è formalmente parola di Dio, cioè è tale nella sua espressione e non solo nel suo contenuto, la tradizione è formalmente parola dell’uomo che trasmette integralmente la parola di Dio. Mentre la Scrittura non ha istanze superiori esterne a se stessa, la tradizione invece è a priori parola interpretativa. Questa diversa struttura non toglie tuttavia la loro omogeneità.

La tradizione è norma normata, la Scrittura costituisce invece la norma normante. La tradizione appare come la norma interpretativa e intellettiva di una Scrittura che esige continuamente il suo commento vivente, venuto dagli apostoli e assunto da noi.

Valore dogmatico della tradizione

Il riconoscimento e l’accoglienza della rivelazione avviene nel confronto con la duplice circolare testimonianza della Scrittura e della tradizione. L’una e l’altra consentono ordinariamente di riconoscere un valore dogmatico (cioè rivelato) ai contenuti di fede tramandati. E’ nella tradizione che la Chiesa riconosce e dichiara ciò che è divinamente rivelato. La DV indica due casi in cui la tradizione si presenta come determinante per riconoscere ciò che Dio ha rivelato.

La Scrittura è fondamento della fede, perciò la Chiesa non solo la riconosce ispirata da Dio, ma ne riceve e accoglie il canone, e lo proclama. Come la Scrittura nasce nella e dalla tradizione , cosi’ solo nella tradizione può continuare a vivere. La tradizione, infatti, è lo spazio storico della viva accoglienza credente della parola di Dio.