Luigi Bettazzi

Dono e legame:

la solidarieta'

 


LUIGI BETTAZZI: Luigi Bettazzi, Vescovo della diocesi di Ivrea, ho 75 anni. Sono stato per molto tempo Presidente di Pax Christi, un movimento cattolico internazionale per la promozione della pace nel mondo. È, forse, questo, il mio precedente biografico che più di ogni altro mi rende particolarmente disponibile, questa sera, a partecipare a questa trasmissione in cui discuteremo della solidarietà considerata come dono e legame. Per introdurci subito al tema ora visioneremo una scheda audio e video.

Gli individui hanno risposto in modi molto diversi alle sofferenze, alle richieste di aiuto, ai destini degli altri esseri umani. Ci uniscono, spesso, i sentimenti di pietà o di simpatia. Sono sentimenti naturali, sentimenti capaci di smuovere molte risorse personali, ma anche di accomodarsi facilmente in vite rinchiuse in una profonda distanza dall'umanità. Così Charles Dickens riusciva spesso a commuovere i propri lettori, ma certamente non riusciva a far cambiare loro atteggiamento nei confronti di quelle ingiustizie sociali, che egli denunciava nei suoi romanzi. La pura pietà o la semplice carità possono essere, infatti, risposte non del tutto appropriate. Ci sono spesso, in queste situazioni di iniquità, diritti da riconoscere, diritti alla libertà, diritti ad una vita che dovrebbe essere vivibile alla luce della considerazione della dignità di ognuno, diritti che non mendicano con passione il proprio riconoscimento, ma che dovrebbero generare obblighi pratici da parte degli altri. Il linguaggio dei diritti è uno strumento potente contro la retorica paternalista della solidarietà. Le persone vogliono spesso essere riconosciute con uguale considerazione e interesse, non volendo la pietà da parte di nessuno. L'ingiustizia può richiedere un riconoscimento ancora diverso, non coincidente con la pietà, né con l'obbligo, ma attuabile attraverso il dono di sé agli altri, che si origina dall'assoluto sentimento di comunanza con i nostri simili, tramite il quale possiamo ritrovare noi stessi nel sentirci umiliati di fronte alle ingiustizie compiute verso gli altri. È solo questo magico filo della solidarietà che ci può unire agli altri esseri umani e persino a tutte le creature viventi. La verità di questa affermazione riposa nel fatto che siamo tutti coinvolti da un comune destino, quello di creature fragili e vulnerabili nella salute, nella sorte, nei nostri legami personali. Considerata sotto questa luce la vita ci appare, grazie ad un'immagine concepita dal genio del venerabile Beda, come il rapido passaggio di un passero, che entra dalla strombatura di un salone, riscaldato da un buon fuoco, dove sono serviti pasti e dove si alzano colte conversazioni, mentre fuori infuriano le piogge e le nevi dell'inverno. L'uccello attraversa il salone ed esce dalla parte opposta. Dopo questa breve tregua, venuto dall'inverno, rientra nell'inverno perdendosi alla vista dei commensali. Così è l'effimera vita degli uomini.

(fine della visione del filmato)

STUDENTESSA: Vorrei subito chiederLe: secondo Lei nella nostra epoca, l'Era del Capitalismo, che posto può occupare, secondo Lei, tra i fondamenti dei legami umani il sentimento della solidarietà?

BETTAZZI: Io credo che faremmo meglio a partire, nelle nostre considerazioni, dalle radici del problema stesso. Non Vi sto proponendo di metterci a "fare della filosofia", ma vorrei consigliarVi di partire dalla considerazione che l'essere umano, in quanto persona e in quanto categoria, possiede, contemporaneamente, dei valori individuali e dei valori collettivi. Se noi esasperassimo i valori umani individuali, rischieremmo di soffocare i reali valori collettivi, oppure rischieremmo di fare viceversa. Io credo che la storia dell'umanità, nonché la storia del pensiero umano, sia narrabile come una storia di successive valorizzazioni. Una serie di circostanze importantissime come lo sviluppo tecnologico, la crescente preponderanza economica di alcune nazioni particolarmente ricche, sviluppate e nello stesso tempo la caduta, del Muro di Berlino, ovvero della ideologia storicamente antagonista al capitalismo, ossia del collettivismo comunista, no finito per esaltare, in qualche modo, la rinascita dell'ideologia individualistica. Direi che sia questo crescente e rinnovato entusiasmo da vincitori ad essere la radice del trionfante capitalismo contemporaneo. Partendo da questa considerazione possiamo renderci conto che il doppio passo da compiere, in ogni progresso umano, vada mosso con la gamba dei valori individuali e con quella dei valori collettivi. Questo doppio passo è indispensabile, e se ci fosse per tutti una sola gamba da muovere, il passo non funzionerebbe più. L'era del capitalismo è l'epoca della esaltazione dell'individualismo, dell'essere più forte, dell'essere i più fortunati; è l'epoca che sta esaltando l'individualismo nazionale, ossia delle nazioni più forti, più fortunate, e tutto questo sta avvenendo per una serie di circostante geografiche e storiche ben precise. Ora, di fronte a questa escalation individualistica, di cui vediamo tutti i risultati, (proprio questa mattina stavo ascoltando, venendo qui in taxi, un programma trasmesso da una stazione radio nel quale si affermava che la nazione con il maggior numero dei poveri sia attualmente gli Stati Uniti d'America, ossia la nazione economicamente più ricca della terra) dovremmo fermarci a considerare come lo sviluppo dell'economia, sollecitato dal capitalismo, abbia portato in moltissime società ad una ricaduta sociale sul piano delle emarginazioni e delle povertà. È un fenomeno che vediamo all'opera quando ci viene detto che per salvare l'economia devono necessariamente diminuire i posti di lavoro. Per queste e per altre ragioni vediamo crescere la disoccupazione. È l'insorgere di tutta questa cultura individualistica a richiedere che venga promossa una solidarietà più solida, ovvero una maggiore attenzione ai rapporti fra le varie categorie sociali, tra i vari settori produttivi, fra i vari individui, che possa riequilibrare i limiti di quest'ideologia, oggi dominante, che è il capitalismo.

STUDENTESSA: Lei crede che la solidarietà sia un valore di origine esclusivamente cristiana, o crede che essa, storicamente, sia stata presente anche in altre culture e in epoche diversa dalla nostra?

BETTAZZI: Io credo che la solidarietà sia un concetto profondamente umano che facilmente viene dimenticato da chiunque venga a trovarsi in una posizione di privilegio fisico, culturale, economico. I beneficiari di questi privilegi tendono costantemente a cercare di approfondire e di allargare solo ai propri simili i propri privilegi, emarginando, inevitabilmente, tutti coloro che si trovassero in una situazione socialmente meno favorevole. Questa è una considerazione che io vorrei svolgere su di un piano puramente umano, non necessariamente politico. Sono necessarie delle forze contrastanti, anche delle forze ideologicamente ispirate, o delle filosofie che possano richiamare l'attenzione di tutti sull'importanza dei valori che vengono, invece, continuamente trascurati. Le istanze religiose, cristiane, non solo cristiane, permettono a noi esseri umani di riconoscerci come creature di un unico Dio e quindi, con l'eccezione di qualche credo, come fratelli di un'unica famiglia. A maggior ragione la religione cristiana che professa la fede in un unico Dio che si è fatto uomo per rendere tutti gli uomini partecipi di un'unica figliolanza nei confronti di un unico Padre. Anche la fede in questo Mistero può divenire un fermento spirituale capace di allargare la visuale etica degli uomini ad un maggiore senso della comunanza, all'esigenza della ricerca di una maggiore uguaglianza tra gli uomini, e quindi ad una più concreta urgenza di solidarietà. Arrivati a questo punto bisogna necessariamente fare una distinzione. Noi cristiani, per esempio, ponendoci sul piano della fede, abbiamo sempre chiamato la solidarietà con un nome ben preciso, ovvero carità. Nel tempo, è avvenuto, però, un fatto alquanto disdicevole. La Carità, che secondo il nostro credo procede emanandosi direttamente dalla Santissima Trinità, le Tre Persone che nell'Unica Sostanza di Dio sono totalmente donate l'una all'altra, quella carità che è assieme dono e legame, come recita lo stesso tema di questa trasmissione e che viene manifestata da Gesù Cristo in persona, cioè da un Dio che per potersi donare completamente si incarna in un uomo, per poter essere di esempio per tutti e per poter salvare, con la propria morte, tutti i suoi fratelli, questa carità è stata, putroppo e troppo spesso, ridotta al rango di pura elemosina. Siamo ormai arrivati alla consuetudine per la quale esercitare la carità consiste solo nel fare l'elemosina. Ebbene, partiamo allora dall'esempio stesso dell'elemosina, il quale, in fondo, conferma in nuce questa divaricazione tra il significato attuale e quello originario di carità. Chi dona l'elemosina è, generalmente, in qualche modo, una persona ricca, che si trova nella circostanza di dare qualche cosa a qualcuno per tacitare questo ultimo o qualcosa d'altro. Può capitare anche a noi stessi di donare qualche soldo in elemosina ad un immigrato marocchino incontrato per strada purché "ci lasci tranquilli". Ebbene, io direi che questa sia una profonda deformazione del significato del termine "carità". Ecco perché è stato creato, attraverso una nuova formula lessicale, un nuovo nome per questo tipo di generosità umana, e assieme di virtù teologale, che è il termine solidarietà. Ora vedremo una seconda scheda video dove Hans Georg Gadamer disquisisce sulla origine del termine "solidarietà".

(si visiona una seconda scheda filmata)

GADAMER: Per la filosofia ermeneutica, la possibilità che gli uomini si comprendano non è solo una forma di falso ottimismo, bensì la base essenziale della solidarietà nell'agire umano e politico. Credo di essere stato trai primi a introdurre il termine solidarietà. È stato a Dubrovnik (me ne ricordo ancora molto bene): mi trovavo con un folto gruppo di intellettuali polacchi, per i quali tenevo anche dei seminari e ai quali un giorno lessi pure una relazione sul tema Il ruolo dell'amicizia nell'antichità. Fu allora che introdussi l'espressione "solidarietà". Non vorrei dire che senza di me ai polacchi questo concetto non sarebbe mai venuto in mente, però notai subito l'effetto sortito. La solidarietà non era ancora nota. Lech Walesa e gli altri non usavano ancora il termine solidarnösc, ma i tempi per l'introduzione di questo termine erano, ormai, maturi. La parola "solidarietà" ha qualcosa di immediatamente convincente perché esprime quel vero senso di comunità che conosciamo, che potremmo far derivare dal famoso principio della setta pitagorica, che dice: "Tra amici si ha tutto in comune. Qui non c'è quello che è mio e quello che è tuo, ma il mio è il tuo".

(fine dell'ascolto della scheda)

BETTAZZI: Ecco io penso che sia interessante l'ascolto di questo contributo, anche perché, come noi sappiamo, questo concetto di solidarietà, trapiantatosi in Polonia, ha contribuito a dar vita al movimento politico e sindacale Solidarnösc di LechWalesa. Anche il Papa attuale, che, come tutti sanno, (e non è un caso) è polacco, ha cominciato a tradurre in latino, nei propri documenti apostolici, ossia nelle Encicliche, la parola "solidarietà". In questo caso esistevano degli illustri precedenti. Basti pensare, per esempio, all'Enciclica Pace in terram di Papa Giovanni XXIII, scritta nel 1963 in cui si parlava della pace come valore universale. Questo documento apostolico ha dato l'avvio, assieme a molti altri, al Concilio Ecumenico Vaticano II. Come esempio è stato seguito da Papa Paolo VI, il quale disse: "Il nuovo nome della pace è lo sviluppo dei popoli". Anche queste parole "Sviluppo dei popoli" ispirarono una importantissima Enciclica intitolata, appunto, Populorum progressio. Vent'anni dopo troviamo Giovanni Paolo II, il papa polacco, il quale afferma: "Il vero, nuovo, nome della pace è solidarietà", ovvero questo valore capace di mettere in grado coloro che si potrebbero trovarsi in una situazione socialmente più fortunata, di maggiore agio economico, di percepire la propria responsabilità nei confronti dei settori dell'umanità che vivono nella povertà o nel disagio più totale. Non so se qualcuno di voi abbia qualche cosa da chiedere su questo punto.

STUDENTESSA: Secondo me in questo ultimo periodo stiamo assistendo ad una sorta di calo nell'uso corrente della parola solidarietà, forse dovuto al fatto che molte persone non sanno più come esprimerla nel migliore dei modi. Molte persone, magari benestanti, possono esprimerla tramite l'offerta di denaro. Mi chiedo, allora, quanto questo modo di agire possa essere considerata una forma pura di solidarietà. Infatti, molte persone che non godono della stessa possibilità di esprimere solidarietà offrendo denaro, si trovano concretamente sprovvisti, a livello di forze, di una concreta opportunità di azione in questo campo. Come si può esprimere una solida forma di solidarietà, oggi, se non attraverso il denaro?

BETTAZZI: Io credo che la solidarietà debba consistere soprattutto nel dare sé stessi, ossia nel mettere sé stessi al servizio del prossimo. Penso al volontariato. Quanti giovani si occupano di volontariato? Io sono bolognese di nascita, e mi piaceva, spesso, richiamare alla mente la figura di un certo sacerdote, padre Marella, che era molto conosciuto a Bologna. Padre Marella, da giovane, a causa delle sue idee "avanzate", era stato un po' emarginato dalla Chiesa. Infine gli venne proibito di ufficiare i sacramenti. Decise, così, di mettersi a insegnare Filosofia, perché era un professore e un insegnante. Il giornalista Indro Montanelli è stato un suo alunno. Infine il Vescovo di Bologna gli permise nuovamente di amministrare i sacramenti, dicendo: "La terra lo mise al servizio dei giovani più poveri". Proprio per aiutare i giovani abbandonati delle periferie, sessanta, settant'anni fa erano sicuramente più abbandonati di quanto lo siano ora, decise di mettersi a fare l'accattone. Andava personalmente fuori dai teatri e dai cinema a chiedere l'elemosina. La mattina insegnava filosofia, la sera andava in giro con il suo cappello proprio per raccogliere i soldi mettendo sé stesso al servizio dei più poveri. Venne soprannominato il prete-accattone. Padre Marella venne persino a trovarmi in occasione della mia nomina a Vescovo di Ivrea, 32 anni fa. Pensiamo ad una altra immagine, molto più famosa, di Calcutta. Madre Teresa non dava soldi a nessuno, ma donava a tutti una ricchezza molto più grande: sé stessa. Quanti altre persone, uomini e donne, perfettamente sconosciuti al pubblico, si sono detti: "Veniamo anche noi, per mettere noi stessi al servizio di coloro che si trovano in situazioni di maggiore disagio". Voi siete studenti e letterati e non so se vi sia capitato di leggere, ancora, I Promessi Sposi di Manzoni. In esso Renzo e Lucia, dopo tutte le loro peripezie, Don Abbondio, i bravi e la peste, alla fine si sposano, un po' come accade nei film americani, concludendo la loro vicenda con un "e vissero felici e contenti". In quel romanzo si legge pure di come il successore di Don Rodrigo decida ad un tratto di invitarli a pranzo al proprio castello, offrendo loro un ricco pranzo. C'è un piccolo particolare che Manzoni non trascura di descrivere. Il ricco successore di Don Rodrigo non si mise a mangiare con loro. Era certamente un personaggio positivo, ma non un eroe. La morale di questo aneddoto letterario è questa: è molto più facile dare qualche cosa agli altri che non mettere sé stessi allo stesso livello degli altri. In questo io credo che consista l'essenza del volontariato. È questo il suo grande segreto.

STUDENTESSA: Io vorrei solo sottolineare soprattutto il fatto che è possibile vedere nella connotazione odierna e maggiormente condivisa della solidarietà una certa nota di ipocrisia. È più facile donare del denaro piuttosto che donare sé stessi.

BETTAZZI: Ciò è dovuto al fatto che al posto del significato corretto della parola solidarietà sta entrando ormai in voga la deformazione, di cui parlavo prima, della parola "carità". La vera carità consiste nel dare sé stessi. Mentre, oggi, la solidarietà si è trasformata nell'atto dell'elemosina, rischiando di rimanere confinata in questa accezione. Credo che esista una concezione di fondo realmente fuorviante, a questo proposito. In base ad essa noi pensiamo che tutti dovrebbero essere come ognuno di noi. Se un individuo è diverso da noi, noi lo guardiamo subito come qualche cosa di "meno umano". Le differenze possono, così, diventare causa di guerre o di oppressione. Io penso, invece, a quello che diceva un mio grande amico, monsignor Tonino Bello (forse ne avete sentito parlare) un giovane vescovo, morto, purtroppo, da giovane. Egli sosteneva che la pace non sia altro che la "convivialità delle differenze". In base a questa visione le differenze umane non esistono per permettere lo scatenarsi della guerra, ma per vivere nella convivialità. Il che mi fa pensare a quella scultura dove c'è un uomo in nero, una donna in bianco e un bambino in braccio alla donna. Nell'umanità, la differenza biologica più saliente è quella tra uomo e donna. Questa differenza non è stata certamente concepita per la guerra (anche se spesso uomini e donne la guerra se la fanno, eccome) ma è stata prevista per il raggiungimento della "convivialità". Quando questa "convivialità" divienee molto intima ne può nascere un'altra "differenza" biologica ed esistenziale, che è un bambino. Anche la venuta la mondo di un nuovo essere (purtroppo, devo dire con molta tristezza, è possibile vedere al giorno d'oggi come da ogni parte i bambini vengano sfruttati), è stata concepita e prevista per la "convivialità". Questo significa che è la Natura stessa che crea le differenze per arricchirsene nelle sue creature. Se siamo diversi, vuol dire che tu hai qualcosa che io non ho, e che io ho qualche cosa che tu non hai. Ma allora dovremmo dirci reciprocamente: non facciamoci la guerra! Mettiamoci insieme; tu ti arricchirai del mio, io mi arricchirò del tuo. Questa è la grande radice della "convivialità", della solidarietà. Io direi che le religioni, a cominciare dalla religione cattolica, dovrebbero aiutare gli uomini a superare la chiusura tipica dell'individualismo umano, e promuovere la comprensione del fatto che la personalità si realizza non tanto nella misura in cui essa si chiuda al confronto con l'altro, ma nella misura in cui si essa può donarsi. È un legame, questo della solidarietà, con il quale mi arricchisco nella misura in cui mi dono. Credo che questa sia la grande intuizione che dovrebbe entrare a far parte della mentalità del sistema che regola la situazione mondiale in cui viviamo. La verità è che noi siamo ancora portati a emarginare il prossimo disagiato, perché vediamo ancora in noi stessi un io che deve poter emergere a scapito degli altri. Contro tutto questo credo che dovrebbe insorgere una reale conversione interiore.

STUDENTESSA: Don Luigi, io volevo chiederLe se, secondo Lei, la solidarietà debba essere sempre considerata come una pura e naturale propensione alla fratellanza, ovvero alla "bontà", messa tra virgolette, o se non sia meglio, talvolta, vedere, piuttosto, in essa, una forma di garanzia per l'individuo, che potrebbe spingerci a compiere un atto solidale, nella consapevolezza di compiere un'azione nobile.

BETTAZZI: Qualche volta può essere qualche cosa capace di innescare delle azioni ispirate puramente all'autodifesa. Tutto l'agire umano è sempre stato un misto di aspetti positivi e di limiti negativi. Un oggetto che ho portato qui questa sera è la riproduzione di questo individuo bianco che abbraccia un altro individuo nero. È stato realizzato nella mia Diocesi, a Castellamonte, un centro artigianale davvero speciale per le ceramiche. Si pensi soltanto a come noi europei bianchi, storicamente, abbiamo sempre caratterizzato l'approccio il nostro prossimo di colore. Siamo arrivati a chiederci se l'uomo di colore fosse veramente un uomo; l'abbiamo persino deportato come schiavo dall'Africa in America. Adesso è pur vero che noi occidentali, nei confronti delle popolazioni africane stiamo attuando una politica basata sulla volontà di incontro. Ma, in fondo, è come se noi bianchi continuassimo a considerarci superiori ai neri. Perché, allora, andiamo loro incontro in molte problematiche? Forse perché bisogna tenere pur conto, della loro esistenza, o per una precauzione politica o per fare un gesto di bontà? Bisognerebbe realmente arrivare a percepire l'esigenza di una più profonda uguaglianza tra tutti gli uomini. Ma per arrivare alla consapevolezza di questa esigenza servirebbe una vera e propria conversione mentale che ognuno di noi dovrebbe fare arrivando a credere nella profonda uguaglianza in dignità di ogni essere umano che deve essere rispettata, incoraggiata, promossa, nonostante la storia abbia portato noi occidentali a godere di situazioni di maggiore agio e di maggiore progresso culturale. Dovremmo domandarci perché di fronte alla storia moltissime popolazioni abbiano come mostrato di essere, almeno apparentemente, "da meno" sul piano del progresso culturale ed economico. Dovremmo, come minimo, renderci conto di quanto noi occidentali dovremmo considerarci fortunati di vivere in un clima temperato. Quando il clima è troppo caldo o troppo freddo lavorare diviene realmente difficile. Le regioni tecnologicamente avanzate della terra (Stati Uniti d'America, Europa, Giappone) godono della fortuna di vivere in climi temperati: Questo indiscutibile vantaggio non dovrebbe essere un'occasione o un pretesto per attuare una forma di dominio o di sfruttamento sui paesi climaticamente più sfortunati, quanto, piuttosto, il segno visibile dell'assegnazione di un compito storico, se non addirittura cosmico: aiutare gli altri esseri umani che vivono in condizioni di maggiore disagio, ad emergere su ogni piano. Se ci impegnassimo tutti verso questo obbiettivo riusciremmo in questo sforzo. Io penso all'esempio dello Stato di Israele. Potrei avere tante riserve nei confronti della politica estera di quel paese, ma se mi fermo a pensare a come gli israeliani siano riusciti a far fiorire il deserto circostante gran parte del loro territorio! Non a caso Israele rappresenta una delle parti più tecnologicamente sviluppate del medio oriente, e non a caso, molti cittadini israeliani provengono dall'America. Ebbene, in Israele, laddove c'era la sabbia, attraverso degli espedienti biochimici, si è arrivati alla creazione di intere aree coltivate. Questo vuol dire che è possibile aiutare anche altri popoli che vivono in condizioni di maggiore disagio ad emergere, fino a conseguire un livello di vita umana più dignitoso. La solidarietà non è un semplice atto di carità umana, ma passa attraverso il mettersi concretamente nei panni degli altri. Essa può consistere nell'aiutare gli altri per camminare insieme ad essi. Pensiamo anche alla solidarietà che può esistere in una famiglia!

STUDENTE: Don Luigi, io vorrei chiederLe se, a Suo parere, possa esistere la possibilità concreta che, di tanto in tanto, gli sforzi in campo sociale ispirati da qualsiasi modello di solidarietà possano tendere a diventare un modo di sostituire tanti compiti reali che dovrebbero essere una priorità unica dello Stato, che però, da quest'ultimo, non vengono assolti. Lei che ne pensa?

BETTAZZI: Questa è una domanda ben posta. Molte volte, per esempio, il compito delle religioni (io penso, per esempio, al Cristianesimo, che è stata quella storicamente, più affermata in Italia) sia stato quello di aprire la strada a delle innovazioni sociali. Un tempo non tutte le famiglie avevano la possibilità di assumere un pedagogo per l'istruzione dei propri figli. Così si decise di aprire nelle Chiese parrocchiali le scuole popolari per i meno abbienti. Risalendo ancor di più la china del tempo, prima del Medioevo, per chiunque poteva insorgere la necessità di ricorrere ad un medico. Per i più abbienti, in genere, il medico non era altro che un "liberto" ossia uno schiavo parzialmente affrancato, sempre disponibile per le esigenze del padrone. Non tutti se lo potevano permettere, così la Chiesa decise di aprire gli ospedali pubblici per tutti. Ad un certo punto ci si rese conto che queste forme di intervento in campo sociale non potevano esser viste come un semplice gesto di carità. Cominciarono a diffondersi sotto forma di grossi gesti di carità ma in seguito vennero classificati come forme socialmente concrete di solidarietà sociale. Oggi si è tornati ad affermare che la scuola dovrebbe essere aperta a tutti, che gli ospedali dovrebbero essere aperti a tutti. Guardiamo le malattie del secolo, sociali e virali. Tra le più diffuse troviamo la droga o l'AIDS. Sono state, in genere, delle istituzioni cristiane quelle che per prime hanno cominciato a dire: "Stiamo assolvendo noi, operatori cattolici, al compito di lottare su questi fronti". Da questo tipo di stimolazione, storicamente, si è potuti arrivare ad affermare: "Ebbene, cominciamo noi operatori laici e religiosi. In seguito, però, dovrà pensarci lo Stato, ovvero la comunità intera, ad assumersi queste responsabilità". Questo è stato il passaggio storico dalla carità, ossia dalla solidarietà vista essenzialmente come aiuto assistenziale alla solidarietà garantita come diritto, di cui parlava prima Gadamer. È pure vero che per potere creare le basi per un concreto sviluppo io devo avere la possibilità di fare utilizzare a tutti quello le risorse necessarie al lavoro di ognuno. Esistono dei casi, che potremmo definire addirittura "limite". Pochi sanno che nel Codice Civile Italiano esiste una norma, per cui se una persona si trovasse, in condizioni di estrema indigenza, o meglio, ridotta alla fame mortale, la persona in questione ha diritto di prendere per la propria salute quello che gli è necessario per venire incontro a questa esigenza. Esistono alcuni pretori che hanno deciso di assolvere, per esempio, degli imputati accusati di aver portato via da un supermercato qualche cosa da mangiare, perché nella propria famiglia si moriva letteralmente di fame. Quello che ho appena esposto non è altro che l'ultimo anello del concetto, che, con un termine un po' difficile da comprendere, viene chiamato la "destinazione universale dei beni". In base a questa categoria il mondo in cui viviamo è fatto per essere goduto da tutti gli uomini, purché a tutti gli uomini venga garantito il diritto di impegnarsi nella lotta per la sopravvivenza, anche tramite la proprietà privata. Ma quando la proprietà privata arriva a minare l'esistenza materiale di altri uomini, deve prevalere su di essa l'esigenza della difesa della vita. Se io, cristiano, mi ritrovo a pensare che, oggi, nel mondo, ogni anno, dai 35 ai 40 milioni di esseri umani, di cui 15 milioni che sono bambini, muoiono a causa della fame o per le conseguenze cliniche della fame, mi viene da chiedere se noi, popoli sviluppati, che possediamo ricchezze maggiori di molte altre nazioni, non dovremmo sentirci, non tanto per un paternalistico senso della carità, ma per il dovere di agire in conformità ad un senso di giustizia, spinti immediatamente a mettere al servizio di coloro che si trovano in situazioni di disagio tutte le risorse disponibili per questa emergenza. Credo anche che tornerebbe a nostro vantaggio, in molti casi. Se noi aiutassimo, per esempio, il Marocco, a svilupparsi economicamente, molti marocchini, che vengono a vivere, e spesso malamente, qui da noi, potrebbero godere del diritto di rimanersene nel proprio paese. Sarebbe un vantaggio per loro e sarebbe un vantaggio anche per noi. Forse ci vuole un po' più di fantasia di quanta ne usiamo normalmente, per arrivare a percepire tutto il peso di questa responsabilità che, noi popoli più sviluppati, abbiamo nei confronti dei popoli più sfortunati. Questa è la solidarietà concepita come giustizia. Questa, credo che sia una concezione da approfondire.

STUDENTE: Salve. Io vorrei chiederLe: Lei, poco fa, stava parlando del problema dell’uguaglianza dell'umanità e della necessità di distinguere le differenze umane anche all’interno dell'uguaglianza dell'umanità, come se chiunque, da queste differenze, possa sempre trarre un arricchimento. Aiutare per arricchirsi equivale, comunque, da questo punto di vista, ad aiutare per un fine, un fine che potrà anche essere nobile, ma che sarà pur sempre un fine. È sbagliato dire che una persona è solidale soltanto perché dona sé stessa, non volendo niente altro in cambio, oppure si può anche parlare di solidarietà come scambio, ovvero come gesto prodotto in vista di un determinato fine?

BETTAZZI: Dipende, direi, da cosa intendiamo con il termine "arricchirsi"; io non mi riferivo, prima, ad un tipo di arricchimento economico.

STUDENTE: Ma anche il desiderio di "arricchimento morale" può essere animato, in un certo senso, da uno sfondo di egoismo, o di individualismo?

BETTAZZI: No, al contrario. Io credo che lo sfondo delle motivazioni di quel tipo di desiderio sia soprattutto un forma di realismo. Per "realismo" intendo il senso della vita che, in ognuno di noi che è vivo e che possiede questa vita, è presente e ci rende noto il fine reale per realizzarla pienamente. Come cristiano risponderei al tuo dubbio dicendo: "Se Dio mi ha chiamato alla vita, vuol dire che Egli desidera che io la viva pienamente". Quando voi, giovani, vi chiedete: "Domani che cosa farò?", sicuramente dietro questa ansia di conoscenza del futuro c'è un fine. La misura di questo scopo, che vorreste scoprire, può essere data da risposte del tipo: "Vorrei guadagnare molto a tutti i costi"; oppure: "voglio comandare a tutti i costi", o ancora: "Vorrei realizzare il meglio di me". Credo che questo possa corrispondere al nostro essere delle reali creature umane, al nostro essere autenticamente esseri umani, ossia individui alla ricerca della piena realizzazione di sé stessi. Anche da questa prospettiva io potrei affermare che quanto più realizzo me stesso, tanto più potrò aiutare gli altri. Ma all’interno di questa prospettiva io dovrei pur capire che esiste la possibilità di realizzare me stesso non soltanto nella misura in cui io potrei chiudermi nel mio Ego, ma proprio perché noi siamo esseri personali, in quanto persone, per definizione direi, siamo predisposti a vivere e a realizzarci all’interno di un continuo rapporto di relazioni con l’altro. Solo per potersi parlare è necessario che esistano (almeno) due persone nel rapporto comunicativo. Nel secolo scorso, se non in un passato più remoto, si faceva ricorso al tipico esempio del bambino abbandonato nella foresta, che cresceva diventando come un animale. Una delle spiegazioni più semplici e logiche fornite per spiegare l’imbarbarimento di un "fanciullo selvaggio" (N.d.R.) era il riferimento all’assenza di una necessaria rete di rapporti con gli altri, assente nel fanciullo selvaggio, visto e considerato che ogni persona si realizza e cresce in un rapporto con gli altri esseri umani. Ecco perché la solidarietà non è affatto riconducibile, in qualche modo, nelle sue motivazioni, ad una forma di egoismo! Essa consiste nel rendermi conto che se io volessi realmente assolvere il mio compito di persona umana, assumendo il presupposto di essere credente, volendo rispondere alla chiamata che Dio mi ha fatto nell’atto stesso di mettermi al mondo, allora non dovrei fare altro che aprirmi il più possibile agli altri.

STUDENTE: Monsignore; vorrei sapere come Lei spiegherebbe il fatto che il concetto cristiano di carità si sia maggiormente sviluppato nei paesi ad economia capitalistica più che nei paesi che in passato sono stati gestiti con una economia pianificata. Perché la cristianità ha dato maggior impulso a molte attività e ha ricevuto uno sviluppo più generoso in paesi radicalmente capitalistici al contrario di molti altri paesi dove il concetto di solidarietà è stato quasi subito posto in contrasto con la ricerca di una maggiore giustizia in campo economico?

BETTAZZI: Qualcuno ha constatato che il capitalismo si sia sviluppato soprattutto in paesi cristiani, ma riformati. Qualcuno ha attribuito i meriti di questo risultato al calvinismo (ossia al movimento protestante di riforma animato e realizzato da Giovanni Calvino, N.d.R.) che è nato in Svizzera, a Ginevra, arrivando fino in Scozia, e che è, in seguito, divenuto la matrice religiosa e culturale dei padri fondatori degli attuali Stati Uniti d'America. Perché ci si riferisce al calvinismo per spiegare la diffusione del capitalismo? Perché il calvinismo ha sempre fornito una propria interpretazione del cristianesimo fortemente influenzata dalla visione escatologica contenuta nell'Antico Testamento. Nell'Antico Testamento gli antichi Israeliti vengono descritti come non ancora ispirati ad una chiara visione del giudizio della vita nell'al di là, dopo la morte. Era come se, di fronte alla domanda: "Come si bilancia visibilmente nella vita attuale il giudizio di Dio su quella ultraterrena?", la risposta fornita dalle Scritture veterotestamentarie fosse: "Il segno della benedizione di Dio consiste nello "star bene". Ovvero: considerati benedetto e prescelto da Dio soprattutto quando le cose ti vanno bene in campo economico: quello è un segno che Dio ti sta benedicendo". Questa concezione escatologica ha portato coloro che credevano nella sua veridicità ad impegnarsi molto nello sviluppo delle proprie ricchezze materiali, perché solo nella misura in cui ci si impegna, in cui ci si sviluppa, solo in quella misura, si può aspirare a divenire segno visibile della benedizione di Dio. Qualcuno, partendo da queste considerazioni ha affermato che il capitalismo possieda queste radici legate ad un certo Cristianesimo riformato. Ciò spiegherebbe perché esso sia nato dapprima soprattutto in paesi protestanti e non in paesi cattolici, come la Spagna, ad esempio. In Francia l’economia capitalistica ha cominciato a dilagare nella misura in cui la Rivoluzione Francese è riuscita a produrre una forte contestazione del Cattolicesimo tradizionale. Qualcuno ha addirittura affermato che lo sviluppo del capitalismo sia dovuto al fatto che il Cristianesimo sia una religione che tenda a valorizzare molto l'essere umano, essendo l'unica religione in cui un Dio si fa uomo, valorizzando, così, l'essere umano in misura eccezionale. Chi professa questa visione del cristianesimo può arrivare a dire a sé stesso: "Io mi impegno a fondo, perché solo in quella misura io realizzo pienamente come cristiano" È una sorta di immedesimazione dell’uomo in Dio. Trovo comprensibile, essendo tutti noi esseri umani e fallibili, che il Cristianesimo, una religione fondata originariamente sull’amore e sulla solidarietà, possa essere stato ridotto soltanto ad alcuni aspetti, abbastanza comodi da perseguire. Questa tensione all’impegno per il successo già esisteva nell'Antico Testamento, dove vediamo raffigurata una forte solidarietà tra i membri del popolo ebreo. Tant'è vero che i "poveri" meritori di soccorso e misericordia, nell’antico Israele erano la vedova, l'orfano e il pellegrino. La vedova, perché, dal punto di vista dell’autosufficienza economica, valevano solo gli uomini, la vedova non aveva nessun appoggio; tanto più l'orfano. Il pellegrino poteva correre addirittura il rischio di finire schiavo, generalmente, se doveva attraversare paesi ostili e pagani. Già i profeti, nell’Antico Testamento, però, accusarono coloro che, pur andando a celebrare il sabato, lo shabbath, nel Tempio, rendendo atti di culto, potevano essere i primi a sfruttare gli altri, ovvero il proprio prossimo. Oggi i profeti sono ancora tra noi. Prima parlavo di quel mio amico sacerdote, ma pensiamo anche alla figura di un Don Milani, ad alcuni altri viventi, come Erder Khammer. "Perché è molto più facile - si chiedeva Erder Khammer – che mi definiscano un santo se do’ da mangiare ad un affamato, a uno che è povero, mentre se mi chiedo perché egli è povero e combatto contro le cause che lo rendono povero, posso essere definito come un sovversivo?". Esiste una tendenza falsamente solidaristica, contro la quale bisognerebbe costantemente lottare richiamandosi invece ad un senso più profondo della fraternità umana. Chiamiamo, allora, solo quest’ultima solidarietà!

STUDENTE : Io, con la domanda di prima, volevo soltanto chiederLe quale è stato, secondo lei, il reale rapporto della cristianità e del suo concetto più importante, quello della carità, della solidarietà con i regimi comunisti (che ormai quasi sono tutti caduti). Si pensi, per esempio, al fatto che il Papa sia andato in visita a Cuba, e a tutto il dibattito che ne è seguito. Perché si è creato questo contrasto, a mio avviso, inutile, tra cristianesimo e socialismo? Vedo la carità cristiana molto più vicina alle ispirazioni di un regime socialista che a quelle di un regime capitalista.

BETTAZZI: Io credo che dovremmo, per compiere delle analisi più lucide e realistiche di questo problema, rifarci un po' di più alla storia. È pur vero che, normalmente, tutte le religioni hanno cercato di adeguarsi allo stato politico in cui si sono trovate ad essere e a svilupparsi, cercando, quindi, in qualche modo di allearsi con coloro che, di volta in volta, comandavano. In questo modo, però, le istituzioni religiose hanno finito, qualche volta, di ritrovarsi in contrasto con coloro che lottavano in difesa degli oppressi e degli sfruttati. Si pensi agli ideali della Rivoluzione Francese: libertà, uguaglianza, fraternità. Sono tre idee profondamente cristiane, ma la cui rivendicazione fu immediatamente vista come anticristiana, perché la Chiesa Cattolica, in Francia, era fortemente appoggiata dalla nobiltà, ossia dal ceto dominante. Pensiamo alla Rivoluzione Russa del 1917, dove, in fondo, questo ideale dell’uguaglianza ritornò ad emergere a piè sospinto. Essendo la Chiesa Russa, la Chiesa ortodossa, fortemente legata alla monarchia degli Zar, i quali furono degli oppressori, la ricerca di questi valori di solidarietà ed eguaglianza finì per colorirsi di una funzione anche antireligiosa, appellandosi ad un'ideologia materialista e atea. Questo può aiutare a rendere comprensibile perché la Chiesa si sia sempre trovata in contrasto con chi professasse posizioni del tipo: "Io sono ateo, sono materialista". Forse divenne difficile, in quei momenti, per molti cristiani, distinguere che cosa fosse una ideologia filosofica da che cosa, invece, fosse un positivo impegno pratico per il miglioramento della società. Si pensi a Fidel Castro, e alla rivoluzione Cubana. Castro iniziò la propria carriera politica come nazionalista. Inoltre, guardando alla sua formazione, aveva studiato dai Gesuiti. Quando però l'America ha tentato di invadere Cuba per reinstaurare l’economia di mercato, lui si è trovato costretto, per resistere all'America, ad appellarsi alla Russia, entrando, così, nella guerra fredda. Io ho avuto dei rapporti con il Vietnam, per esempio, dove esiste ancora uno degli ultimi governi cosiddetti "comunisti". È un governo, che, in fondo è riuscito ad ottenere l'indipendenza del popolo vietnamita dal colonialismo. Non è un governo contrassegnato da un forte richiamo all’ideologia, anche se, all'apparenza, può sembrare che abbia messo in pratica alcune posizioni fortemente ostili alla Chiesa. Va detto subito che, oggi, dopo la caduta del Muro di Berlino, dovremmo sentirci più liberi di valutare serenamente i fatti storici degli ultimi cinquanta anni. È sembrato, addirittura, ad alcuni, che il Papa, andando a Cuba, volesse appoggiare l'ideologia atea materialista che lì è al potere. Molti hanno accusato il Papa con queste parole: "Ecco, va là. In un paese governato da un regime avversario degli Stati Uniti d'America, della Chiesa, che ha sempre avuto certe inclinazioni politiche o certi modi dittatoriali di esprimersi". Mentre, in realtà, stiamo parlando di un paese dove, con mezzi sicuramente sbagliati, si è tentato di aiutare la povera gente, dando adito ai suoi bisogni più immediati. Io sono stato a Cuba. Ricordo la fierezza con cui la gente diceva: "Finalmente siamo tutti uguali. Possiamo andare tutti a scuola, in delle scuole ben fatte". Il Nunzio Apostolico Cubano (perché Cuba ha sempre avuto un Nunzio Apostolico) avendo bisogno di una urgente cura medica, è andato a farsi operare in un ospedale dell’Avana, pur non dando fiducia a questo modello di uguaglianza. Limiti sicuramente superabili in quel modello di società. Bisogna, a questo proposito, avere fiducia nel cammino che fa la storia. Disse, una volta, Enrico Berlinguer, che fu segretario del Partito Comunista, durante uno scambio di idee che avemmo molti anni fa: "Vede, la Chiesa va coi nemici di ieri contro gli amici di domani". Ed è chiaro, per esempio, che la "libertà", contro i regimi socialisti, sia sempre stata rivendicata da coloro che godevano di benessere economico. Perché costoro, più di chiunque altro, erano costretti a non utilizzare appieno la propria libertà, mentre chi si trovava alla fame era libero di dire: "Che cosa me ne faccio dell'essere libero, se non ho neppure da mangiare?". "Bisogna stare attenti anche a questo tipo di rivendicazioni della libertà", dicono i miei amici cattolici in Belgio, "perché altrimenti si può rischiare di mettere una libera volpe in un libero pollaio", dove, teoricamente, tutti sono liberi, ma dove chi può molto, economicamente, finisce per essere più libero del proprio prossimo. Credo che il cammino che la nostra società, nonché le Chiese, dovrebbero seguire dovrebbe essere quello di coniugare e promuovere la ricerca della libertà con quella della solidarietà sociale.

STUDENTE: Don Luigi, ho trovato su Internet alcuni siti come quello di Forum Solidarietà, un'associazione a scopo benefico, che aiuta varie categorie di persone: alcolizzati, o anziani, detenuti o ex detenuti. Ritengo che questo sia un sito molto importante e penso sia giusto segnalarlo in questa puntata. Il suo indirizzo è http://www.forumsolidarietà.it , mentre chi volesse approfondire la propria conoscenza del movimento Pax Christi può trovare la pagina web di questo movimento all'indirizzo http://www.paxChristi.com.index.html. Un altro sito importante in cui ci si occupa del problema della solidarietà si può trovare all’indirizzo http://q.it.solidarietà .

BETTAZZI: Pax Christi è il movimento in cui ho lavorato per moltissimo tempo. È un movimento che tende ad esprimere la solidarietà non solo attraverso aiuti, (generalmente non forniamo aiuti concreti), ma attraverso la lotta per la rivendicazione dei diritti dei popoli. Lotta che è stata attuata nel Sud Africa, nel Centro America, ovunque vi siano stati popoli o settori sociali calpestati dai potenti, aiutando costoro a rivendicare i propri diritti, la propria libertà, la propria autonomia. Come è stato, per esempio, in Indonesia. Anche le indicazioni che Pax Christi, storicamente, ha dato, sono sempre state indicazioni che facevano appello ad una solidarietà basata sulla carità concepita come aiuto capace, al tempo stesso, di richiamare governi e popolazioni a ritrovare la necessità di un dovere di giustizia. Giustizia che si può cominciare a riscoprire come un dovere alla carità. Si inizia aiutando i più poveri, i diseredati, gli alcolisti, i malati di AIDS, per poi in seguito, mostrare concretamente come, con una maggior senso di responsabilità da parte di coloro che amministrano intere collettività, queste ingiustizie possano essere mitigate o addirittura prevenute.