DIZIONARIO DI MISTICA

L. BORRIELLO - E. CARUANA M.R. DEL GENIO - N. SUFFI

A

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ANDREASI OSANNA. (inizio)

I. Vita e opere. Nata a Mantova il 17 gennaio 1449, primogenita del nobile Niccolò Andreasi e di Agnese Gonzaga, Osanna veste, quindicenne, l'abito delle Terziarie domenicane per assecondare la sua naturale inclinazione ascetica, riuscendo a superare la ferma opposizione di suo padre, che vorrebbe vederla sposata.

L'esistenza dell'A. è interamente dedicata ad una continua ed intensa attività caritativa in favore dei poveri e dei bisognosi. La sua attenzione e le sue premure si rivolgono anche verso gli stessi membri della regnante famiglia Gonzaga. Nel 1478 il marchese Federico I ( 1484), prima di partire per la guerra contro gli Svizzeri per il ducato di Milano, le affida la propria moglie Margherita di Baviera ed i figli, ai quali ella prodiga le sue cure spirituali e umane, specie dopo la morte della madre nel 1479. Si occupa di affari pubblici accanto alla marchesa Isabella d'Este, reggente dello Stato mantovano per il consorte Francesco II ( 1519), passato nel 1498 in Francia al servizio del re Luigi XII.

L'innata capacità dell'A. di saper conciliare vita contemplativa e vita attiva, assumendo a proprio ideale l'amore del prossimo in quello superiore di Dio, è posta bene in evidenza dai suoi primi biografi, il domenicano Francesco Silvestri da Ferrara 1 e l'olivetano Girolamo Scolari,2 che scrivono di lei quando è ancora viva.

Avendo imparato a leggere ed a scrivere miracolosamente, ci ha lasciato queste opere: lo scritto autobiografico Libello della vita sua propria e de' doni spirituali da Dio a lei collati e una novantina di lettere, metà delle quali dirette agli stessi Gonzaga. Edito sin dal 1507, il " Libello " è inserito nella biografia redatta dallo Scolari, mentre l'epistolario è stato pubblicato nel 1905 dai domenicani G. Bagolini e L. Ferretti in appendice alla loro biografia dell'A. L'ardente carità, di cui è sempre animata, è rivolta ad alleviare le miserie materiali e morali dei suoi concittadini per cui, subito dopo la sua morte, avvenuta in Mantova il 18 giugno 1505, comincia ad essere onorata di culto pubblico, permesso poi da Leone X in tutta la diocesi con breve dell'8 gennaio 1515, confermato quindi da Innocenzo XII con bolla del 27 novembre 1694 ed esteso infine dallo stesso pontefice a tutto l'Ordine domenicano il 19 gennaio dell'anno seguente.

II. L'esperienza mistica. A. pur favorita di grandi fenomeni mistici non riesce a descrivere Dio che sperimenta durante quei momenti sublimi. Colpita dalla visione di Dio che gode nel suo intimo, ella non vorrebbe ritornare più nel suo corpo, per non separarsi da tanta bellezza. Da qui il desiderio profondo dell'unione eterna con Dio, lasciata da questi rapimenti e voli mistici. Negli ultimi anni della sua vita A. vede in visione lo stato della Chiesa e presagisce i mali che sovrastano la " povera Italia ". Per questo si offre vittima di espiazione e si unisce al preziosissimo sangue di Gesù, verso le cui piaghe nutre grande devozione. Ne è ricompensata da Dio con doni soprannaturali, come la trafittura del cuore, l'incoronazione di spine e le stimmate, benché senza lacerazione dei tessuti, ma ben visibili sotto forma di turgore. Il compenso più grande, però, è quello di prendere parte, attraverso la passione del Cristo, all'opera di redenzione. La passione, infatti, non solo è sempre il centro della sua meditazione, ma anche della sua vita spirituale, facendole sublimare le sue innumerevoli sofferenze fisiche e morali che diventano sostanza della sua vita mistica.

Note: 1 Beatae Osannae Mantuanae de tertio habitu Ord. Fratrum praedicatorum vita, Mediolani 1505 e ristampata dai Bollandisti in Acta Sanctorum, Iunii, III, Antverpiae 1701, 673-724, di cui si hanno pure due traduzioni italiane, edite a Milano nel 1507 e a Mantova nel 1590; 2 Libretto de la vita et transito de la beata Osanna da Mantua... Mantova 1507 e Bologna 1524, ripubblicato in traduzione latina negli Acta Sanctorum, 724-800.

Bibl. [G. Bagolini - L. Ferretti], La Beata Osanna Andreasi da Mantova, terziaria domenicana (1449-1505), con un'appendice contenente le sue lettere inedite in gran parte e vari documenti inediti o rari, Firenze 1905; A. Magnaguti, La Beata Osanna degli Andreasi, Padova 1949; G. Morabito, s.v., in BS I, 1170-74; A.L. Redigonda, s.v., in DizBiogr III, 131-132, con bibl.

ANGELA DA FOLIGNO. (inizio)

I. Cenni biografici. Non si hanno certezze sulla data di nascita di A. Sposatasi, ha dei figli. Verso il 1285, si verifica la sua conversione ad un'autentica vita cristiana, nel sacramento della penitenza, nella Cattedrale di Foligno. Rimasta sola, inizia l'esperienza di penitente, che condivide con una certa Masazuola. Durante un pellegrinaggio ad Assisi, al termine di un'esperienza mistica, esce in grida d'amore, all'ingresso della Basilica superiore di San Francesco. All'evento è presente frate A., suo parente e consigliere, che, tornato a Foligno, la costringe a rivelargli i suoi segreti. Nasce così il Memoriale, a cui si aggiungono, anno dopo anno, altri documenti; insieme costituiscono Il libro della beata Angela da Foligno. Angela muore il 4 gennaio 1309. Il processo di canonizzazione è in corso.

II. L'esperienza mistica di A. da Foligno, magistra theologorum, entrata nel Terz'Ordine francescano verso il 1291, ci è nota grazie ad importanti documenti di un dossier che ha avuto una buona tradizione manoscritta e una notevole fortuna editoriale, anche se per secoli in una trascrizione rimaneggiata (solo negli ultimi settant'anni M. Faloci-Pulignani, M.-J. Ferré, P. Doncoeur, L. Thier e A. Calufetti hanno lavorato per risalire al testo latino autentico, il più vicino possibile alla primissima stesura irrimediabilmente perduta; molti problemi, comunque, restano aperti, tanto che si può parlare di questione angelana).

Di tale esperienza, che assicura ad A. un posto di prestigio nel movimento penitenziale medievale e nella storia della mistica occidentale, si può tentare una sintesi, a partire dal Soggetto che di volta in volta ne fu la causa.

Si ha così l'esperienza trinitaria (" A me sembra di stare e di giacere in mezzo a quella Trinità che vedo con tanta tenebra ", tr. S. Andreoli, p. 139), e in particolare, quella del Padre (" Dopo contempla Dio in una tenebra, perché egli è un bene più grande di quanto si possa pensare... ", p. 136), quella del Figlio (" Vidi e sentii che Cristo abbracciava in me l'anima con quel braccio che era stato fissato alla croce..., p. 102) e quella dello Spirito Santo (" Non posso neppure valutare quanto fosse grande la gioia e la dolcezza che gustai, soprattutto quando affermò: Io sono lo Spirito Santo e sto dentro di te ", p. 62).

Altre esperienze mistiche fanno riferimento a Maria (" Una volta improvvisamente la mia anima fu rapita... e contemplai la beata Vergine nella gloria ", p. 114), agli angeli (" Allora gli stessi santissimi angeli, procurandomi un piacere meraviglioso, mi dissero: O tutta piacevole e gradita a Dio, ecco il Dio e Uomo ti è stato portato e l'hai qui. Ti è stato dato, anche perché tu possa mostrarlo e offrirlo agli altri ", p. 243) e a Francesco d'Assisi (" In quella circostanza mi furono rivolte queste parole: Io sono Francesco, mandato da Dio. La pace dell'Altissimo sia con voi ", p. 146).

Va anche detto che l'esperienza mistica di A. conobbe un significativo sviluppo e che in vari modi la Folignate raggiunse la certezza della presenza di Dio in lei.

In merito a questa forma di esperienza (che non fu la più alta e intensa, dalla conversione fino al 4 gennaio 1309, giorno della morte), dopo aver superato molte difficoltà connesse con l'ineffabilità del mistico contatto con Dio, dichiara: " Ancora in molti altri modi, di cui non si può dubitare, l'anima comprende che Dio è in lei. Il primo è l'unzione... L'altro modo... è il suo abbraccio. Non si può pensare che una madre stringa a sé il figlio o che una persona di questo mondo ne abbracci un'altra con lo stesso amore con cui Dio abbraccia indicibilmente l'anima " (p. 120).

Poco prima la Poverella ne aveva elencati e descritti altri quattro; a conclusione del suo discorso, però, " ...fece notare che i modi in cui l'anima capisce che senza dubbio Dio è in lei sono così numerosi che in nessuna maniera potremmo indicarli tutti " (p. 122).

III. Mistica francescana. In quale rapporto si pone con il messaggio evangelico l'esperienza della Folignate, che affonda le sue radici nella tradizione francescana? Almeno quella che viene descritta nel Memoriale, prima parte del dossier, è con essa in piena corrispondenza.

Nel Prologo, infatti, si legge: " L'esperienza di quelli che sono veramente fedeli prova, conferma e illustra, riguardo al Verbo della vita che si è fatto uomo, queste parole del Vangelo: Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui (Gv 14,23). Chi mi ama io mi manifesterò a lui (Gv 14,21b) ".

L'autore del documento, frate A., annota: " Dio stesso fa sì che i suoi fedeli facciano in modo pieno tale esperienza e sviluppino la riflessione su di essa. Anche recentemente ciò ha permesso che una delle sue fedeli manifestasse in qualche maniera, per la devozione dei suoi, tale esperienza e riflessione... ".

La chiave di lettura della parte principale del Libro, suggerita dal redattore stesso è, dunque, evangelica; di conseguenza i passi - trenta, condensati da frate A. in ventisei - della prima fase dell'esperienza di A., iniziata dal disagio interiore per la situazione di peccato, sviluppatasi nella conversione del 1285 ca. e culminata in eventi mistici eccezionali, vanno letti come conferma delle promesse di Gesù Cristo.

La stessa cosa ci pare si possa dire degli sviluppi della medesima esperienza, documentati da testi molto densi della seconda parte del dossier, redatti dai discepoli della Poverella.

IV. L'attualità dell'esperienza mistica della Folignate, realizzatasi in tempi difficili, segnati dall'eresia dello Spirito di libertà e da accese polemiche tra francescani sulla povertà, è incontestabile.

Innanzitutto perché si dimostra capace di risvegliare quella coscienza dell'universale chiamata all'intima comunione con Dio, di cui parla il CCC (n. 2014); lungo i secoli si era affievolita, ma ora si va irrobustendo, anche attraverso l'influsso delle folgoranti confessioni dei grandi mistici.

Inoltre, tale esperienza rivela tutto il suo fascino di dono mirabile di Dio, indipendente dagli sforzi o artifici umani, e di convincente prova della incessante e sorprendente azione divina nell'uomo.

Infine, associata alla dottrina esposta in alcuni documenti del Libro, successivi al Memoriale (stesi da frate A. e da altri), la ricca esperienza della Poverella, " vera maestra di vita spirituale " (Giovanni Paolo II, 20 giugno 1993), è in grado di contribuire a dare un sapore nuovo alla teologia, oggi più attenta alle testimonianze dei mistici, e di stimolare la riflessione degli uomini di cultura, in particolare di quelli interessati ai problemi del linguaggio.

Bibl. Lasciando da parte quanto è stato pubblicato prima dell'edizione critica del dossier angelano (L. Thier - A. Calufetti, Il libro della beata A. da Foligno, Ed. Collegii S. Bonaventurae ad Claras Aquas, Grottaferrata [RM] 1985), senza con questo sottovalutarne l'importanza, segnaliamo le traduzioni integrali condotte su di essa: Il libro della beata A. da Foligno, Intr., trad. e note di S. Andreoli, Cinisello Balsamo (MI) 19962; Angela of Foligno, Complete Works, translated, with an introduction by P. Lachance, preface by R. Guarnieri, New York-Mahwah 1993; Le livre d'Angèle de Foligno, tr. J.-F. Godet, prés. P. Lachance et Th. Matura, Grenoble 1995; Angela de Foligno, Libro de la vida, tr. T.H. Martin, Salamanca 1991 e una versione parziale (Angela da Foligno, Il libro dell'esperienza, a cura di G. Pozzi, Milano 1992), basata sul ms 324 di Assisi (PG). Per gli studi ci limitiamo a elencare i volumi di specialisti (P. Lachance, Il percorso spirituale di A. da Foligno, tr.it., Milano 1991; A. Calufetti, A. da Foligno mistica dell'" Ognibene ", Milano 1992; D. Alfonsi, La figlia dell'estasi. Biografia spirituale della beata Angela da Foligno, Padova 1995; S. Andreoli, Angela da Foligno, maestra spirituale, Roma 19962; L. Radi, Angela da Foligno e l'Umbria mistica del secolo XIII, Padova 1996) e gli atti di due convegni internazionali (C. Schmitt [a cura di], Vita e spiritualità della beata A. da Foligno, Perugia 1987; E. Menestò [a cura di], Angela da Foligno terziaria francescana, Spoleto [PG] 1992), rimandando alle nostre bibliografie pubblicate da L'Italia Francescana 60 (1985), 75-92; 63 (1988), 185-200, e a quelle curate da riviste specializzate (Bibliografia Storica Nazionale, International Medieval Bibliography, Bibliographia Franciscana, Bibliografia Umbra), oltre che agli elenchi inseriti nei volumi già citati.

Per la conoscenza della tradizione manoscritta sono fondamentali le pp. 51-73 dell'edizione critica; alla lista, comunque, vanno aggiunti i seguenti manoscritti: 1110 di Camaldoli; 22 (III S 2 26) di Camerino; Magliabechiano Cl. XXXVIII; 122 di Firenze; A.VII.13 di Foligno; 966 di Padova; 263 di Toledo; It., Z 11 di Venezia; I 115 Inf. di Milano; V.H.386 di Napoli; C.S.D. VII. 886 di Firenze; Laudiamo Lat. 46 di Oxford.

S. Andreoli

ANGELI. (inizio)

Premessa metodologica. Nella riflessione della psicologia della religione non s'intende intaccare o sostituire né quanto la tradizione patristica insegna sugli a. né il proprio atteggiamento personale verso questo luogo teologico. Si tratta semplicemente di offrire un approccio interpretativo dal punto di vista della psicologia dei simboli.

La realtà e i fatti non ci portano necessariamente ad affermare una realtà metafisica; l'evidenza dei fatti non è mai tale da toglierci la libertà di credere. Alcuni invece, affermano che " la conclusione che i fatti ci obbligano a trarre è, quindi, che Dio esiste e anche i suoi a. esistono... ".1

Non si può condividere che vi possano essere " fatti che obbligano ad ammettere una verità metafisica ". Né una né mille ricerche potranno mai togliere con l'evidenza scientifica la libertà di credere o di non credere. La scienza non può né confermare né smentire una verità di fede. La razionalità scientifica che - attraverso la ricerca e la sperimentazione - dovesse concordare con una verità di fede non aumenterebbe il valore di quest'ultima né lo sminuerebbe in caso contrario. La fede e la scienza sono piani tra loro complementari, in sé autonomi e nessuno dei due ha bisogno della conferma dell'altro per la propria validità: la scienza non ha bisogno della benedizione della fede per confermare la propria validità e la fede non ha bisogno della prova scientifica per confermare la propria attendibilità. Per questo motivo, non si può " dimostrare scientificamente " che Dio o gli a. esistono né si potrà mai dimostrare il contrario e questo vale per ogni altro dato metafisico.

Men che meno questo può avvenire con le EPM (Esperienze pre-morte) nelle quali è pur vero che in alcuni casi abbiamo la percezione di " un essere di luce ", ma non si può certo dire che questo sia la prova dell'esistenza degli a. E poi, casi in cui gli stessi soggetti che hanno avuto una EPM identificano la luce con gli a. sono estremamente rari, contrariamente a quanto si possa arbitrariamente affermare, " grazie alle esperienze ai confini della morte, la massiccia presenza degli a. annienta qualsiasi esitazione teologica ".2

Simili atteggiamenti non possono che recare danno sia alle scienze umane che alla teologia.

In una ricerca è stata osservata una differenza tra le EPM di 216 soggetti statunitensi di cui 33 ebbero una visione di figure religiose e 255 soggetti indiani di cui 107 ebbero una visione di figure religiose: tra i primi 9 videro degli a., tra i secondi 17 videro Deva o Yamdoot.3

Per onestà scientifica bisogna aggiungere che spesso queste " visioni di luce " o " apparizioni di esseri di luce " avvengono in soggetti che hanno vissuto una prossimità di morte in un contesto ambientale buio.

Per concludere questo primo aspetto, si può ritenere che gli a. (così come ogni altra realtà metafisica) non sono dimostrabili scientificamente e tanto meno con le EPM.4

I. A. e psicanalisi. Abbandonando la pretesa di una dimostrazione scientifica tentiamo un'interpretazione psicologica degli a. La validità di questa interpretazione può essere solo speculativa perchè sia negli intenti che nei risultati nessuna interpretazione può mirare a destabilizzare una convinzione personale in un sistema di credenze religiose, come appunto quello della fede cattolica.

Un tentativo di interpretazione psicologica può essere quello che parte dalle premesse psicanalitiche unite ad alcune considerazioni personali.

Si parte da queste ultime: dal meccanismo della metaforizzazione o altrimenti detto del processo di produzione delle metafore.

La persona nel comunicare una realtà molto complessa avverte una insufficienza e un'inadeguatezza del modulo verbale-letterale e per rendere più efficace e completa la comunicazione di questi suoi vissuti praticamente inesprimibili ricorre all'uso della metafora. In questo contesto, per metafora s'intende ogni simbolo; oppure, ogni immagine mentale espressa con un linguaggio figurato. Così l'angelo potrebbe essere una metafora di una realtà molto ricca e complessa inesprimibile con un linguaggio ad litteram.

II. L'angelo custode è una metafora? A questo punto la domanda che richiede una risposta è: l'angelo è la metafora di cosa? Cosa esattamente rappresenterebbe metaforicamente quella realtà che viene chiamata " angelo custode "?

Per rispondere a questa domanda ci si può rifare allo schema psicanalitico della struttura psichica di base della persona: Es, Io, Super-Io. Brevemente, l'Es (detto anche Id) rappresenta l'insieme delle passioni, degli istinti, dei bisogni e degli impulsi che chiedono di essere soddisfatti pienamente e subito senza limiti e condizioni. L'Es, per dirla con una metafora, è come un cavallo da addomesticare. Il Super-Io (detto anche Super-Ego) è l'insieme delle norme familiari, morali, civili e religiose che limitano il piacere di soddisfare subito e pienamente tutti i bisogni, istinti e pulsioni; anch'esso può essere metaforicamente rappresentato come un giudice o censore interno in ognuno di noi. L'Io (detto anche Ego) è come un cavaliere che deve barcamenarsi tra le bizzarrie irrazionali di un cavallo selvaggio e la rigidità, altrettanto irrazionale, di regole ferree la cui trasgressione porta alla colpa. L'Io è la parte decisionale e prudente di noi che cerca di adattarsi alla realtà concedendosi dei piaceri tenendo conto della realtà e senza sentirsi in colpa, ma anche osservando quelle norme ritenute adeguate alla propria realtà senza sentirsi frustrato per non poter provare tutto il piacere che vorrebbe nel soddisfare ogni proprio bisogno.

Cosa c'entra tutto questo con gli a.? Il significato specifico dell'angelo custode potrà essere meglio evidenziato se teniamo presente anche il suo opposto complementare: il cosiddetto " diavoletto tentatore ". Quest'ultimo potrebbe essere considerato come la metafora dell'Es e l'angelo custode la metafora della sintesi tra l'Io e il Super-Io.

Infatti, il diavoletto tentatore è colui (o meglio, quel qualcosa dentro di noi) le cui richieste non sono altro che la ricerca della soddisfazione di un bisogno e ciò implica sempre del piacere. Per ottenere un piacere spesso è necessario trasgredire una regola; questa, infatti, può facilmente essere vista come una limitazione del piacere perchè riduce la soddisfazione di un bisogno.

L'angelo custode è colui (o meglio, quel qualcosa dentro di noi) che ci indica cosa bisognerebbe fare, ossia, ci chiede di seguire una norma e ci fa sentire in colpa se una certa norma non la si segue per cedere alla soddisfazione di un bisogno, ossia, al piacere.

Nello schema psicanalitico l'Io è quella parte di noi che dovrebbe barcamenarsi tra gli impulsi del piacere (ottenuto nel soddisfare le pulsioni dei bisogni, delle passioni, degli istinti) e i dettami interiorizzati delle norme date dai genitori, da una qualunque autorità e dalla società. L'Io deve scegliere se seguire il piacere o il dovere sapendo che vi sono vantaggi e svantaggi in entrambe le scelte, quindi con due problemi: 1. imparare a scegliere, ma imparare anche ad accettare le conseguenze sgradevoli delle proprie scelte; 2. imparare a rinunciare ai vantaggi dell'opzione che non viene scelta, ossia, imparare a tollerare la frustazione. L'Io dovrebbe arrivare ad autogestire responsabilmente la propria libertà di scelta e ad autogestire liberamente le proprie responsabilità di scelta.

Questo ideale equilibrio è anche parte di ciò che viene denominato l'Io Ideale. Anche questa istanza interna sembra sia sintetizzata nella metafora dell'angelo custode che, appunto, indica la perfezione non solo normativa (quella indicata dalle regole dettate dall'autorità) ma anche la perfezione personale (che tipo di persona si vuole arrivare ad essere).

In sintesi si può dire che l'Io, l'Io Ideale e il Super-Io sono delle istanze psichiche con tre (fra le tante) funzioni specifiche rispetto a se stessi: a. mantenersi nelle " giusta carreggiata " indicata dalle regole e norme; b. non lasciarsi andare in balìa delle pulsioni, ma proteggersi da queste; c. sviluppare la ragionevolezza e la prudenza per permettere uno sviluppo corretto.

Queste tre funzioni dell'Io, dell'Io Ideale e del Super-Io sembra abbiano una similitudine isomorfica con le tre principali funzioni dell'angelo custode: a. illuminare (dare il lume della ragione e della prudenza); b. custodire (mantenere nella retta via); c. proteggere (salvaguardare da tutto ciò che potrebbe impedire lo sviluppo personale).

L'angelo custode ha la funzione di illuminare, custodire e proteggere non solo dai pericoli interni (le proprie pulsioni) ma anche dai pericoli esterni (amicizie e ambienti); proprio le stesse funzioni (o quasi) dell'Io, del Super-Io e dell'Io Ideale. A questo punto si pone il problema epistemologico: come interpretare questa somiglianza apparentemente reale? L'angelo custode è la metafora che esprime in modo sintetico una realtà psichica soggettiva oppure l'Io, il Super-Io e l'Io Ideale esprimono in modo analitico una realtà metafisica e oggettiva-esterna?

Nella ricerca scientifica non si può andare oltre questa domanda perchè non c'è la possibilità di una " dimostrabilità razionale ", proprio come è stato già affermato prima a proposito delle EPM: una realtà metafisica non può essere dimostrata dalla scienza. La speculazione e la ricerca scientifica possono fornire degli elementi che potrebbero essere soggettivamente interpretati come " indizi " ma, di certo, né questi presunti indizi né la scienza in quanto tale potranno mai dire l'ultima parola su una verità di fede.

III. A. e morale inconscia. Una delle originalità di V. Frankl (il fondatore della logoterapia e analisi esistenziale) sta nella sua tesi della cosiddetta " morale inconscia ".5

La teoria della morale inconscia si basa sul concetto bidimensionale conscio e inconscio non solo degli istinti, bisogni e motivazioni ma anche della coscienza morale. Così possiamo parlare di morale conscia e di morale inconscia.

La coscienza morale, in quanto istanza di decisione, appartiene all'essere umano che si radica in un fondamento inconscio nel senso che la coscienza nella sua origine s'immerge nell'inconscio. È in questo senso che le grandi decisioni avvengono in un modo irriflesso e inconscio. Da ciò deriva che oltre alla coscienza della responsabilità ed alla responsabilità conscia dev'esserci anche qualcosa come una responsabilità inconscia.

Frankl sostiene che la coscienza morale si può percepire anche, e a volte in modo più acuto, durante stati di coscienza diversi da quello di veglia vigile. Frankl accenna anche allo stato di ipnosi e di sonno.

Vi sono altri elementi che porterebbero verso una morale inconscia; uno di questi è l'interpretazione dei sogni. " Anche a proposito dell'interpretazione dei sogni, resta valido che la coscienza morale costituisce il modello più utilizzabile, al fine di presentare in essa l'efficacia dell'inconscio spirituale ".6

A conferma di ciò Frankl riporta l'analisi di alcuni sogni, uno dei quali è un avvertimento che la coscienza fa alla persona; un altro sogno fa vedere come l'inconscio spirituale si mostri nella sua funzione di auto-rimprovero. È possibile che un problema morale si evidenzi nel sogno con proposte di soluzione. Infatti, addormentandosi con in mente un problema è possibile sognare la soluzione o percepire delle indicazioni utili alla soluzione. Se questo può accadere a problemi di vario genere è possibile che altrettanto possa accadere anche ai problemi morali o per delle scelte di vita. Altrettanto può avvenire con situazioni che da svegli appaiono inspiegabili o molto complesse, ma poi vengono illuminate di un senso e di un significato congruo in un sogno o subito dopo il risveglio.

Ciò che si chiama " intuito " nella soluzione dei problemi non sempre è un processo cognitivo di tipo logico-razionale, anzi spesso si tratta di un insight risultato o aiutato da processi e predisposizioni inconsci. Per questo motivo, nei sogni si possono leggere dei messaggi della coscienza morale alla persona intera. Vi possono essere sogni che presentano pericoli morali e situazioni spirituali che durante lo stato di veglia non si riesce a percepire, almeno non con una certa chiarezza di particolari.

Altre volte la coscienza morale attraverso i sogni può spingere a un serio esame di una certa situazione con più oggettività e con una più seria autocritica di quanto non si possa fare da svegli, quando è più facile razionalizzare gli errori. I sogni possono presentare delle problematiche morali non accettate a livello conscio. In questi casi la morale inconscia ha tutto il diritto di essere presa in considerazione.

Ma tutto questo cosa ha a che vedere con gli a.?

Ancora una volta si tratta di prendere in considerazione il ruolo e la funzione dell'angelo. Sembrerebbe che questi, ancora una volta, sia una metafora della morale inconscia che si esprime in vari modi; uno dei privilegiati è quello dei sogni che contengono un messaggio alla persona nella sua globalità. I sogni che contengono un avvertimento, un auto-rimprovero, un'" illuminazione " su una scelta da fare o su un problema da risolvere, oppure sul significato da dare a una particolare situazione hanno una similitudine o analogia sorprendente con le funzioni che ha (o che vengono attribuite) l'angelo.

Per concludere, si può sinteticamente affermare che l'angelo rappresenterebbe un'intuizione dell'antica saggezza della religiosità popolare: una parte dell'uomo che la psicologia ha semplicemente ri-etichettato con nuovi termini come appunto " morale inconscia ", oppure, sintesi dell'Io, del Super-Io e dell'Io Ideale. Freud e Frankl hanno detto qualcosa di nuovo oppure hanno analizzato i ruoli sintetizzati nella metafora dell'angelo? Inoltre, se l'angelo ha una funzione analoga a quella del sogno che manifesta una morale inconscia vi può essere un rapporto tra l'angelo e il sogno?

IV. A. e sogni nel Vangelo. Prima di considerare la correlazione tra a. e sogni nel Vangelo è opportuna una premessa contestuale.

Sembra che per " angelo del Signore " si possa intendere in senso lato ogni manifestazione o apparizione divina (cf Es 3,2). Inoltre, l'angelo " appare " ma non si evince chiaramente e sempre dai testi sacri quando è visto come un oggetto (in senso psicologico) percepibile con gli organi di senso e quando è percepito come una " visione "; per esempio, a Gedeone (cf Gdc 6,11-12; 22); a Elia (cf 1 Re 12,5.7).

L'angelo appare come un " custode e protettore " (cf Es 23,20; Dt 32,8; 2 Mac 10,29-31; Sal 91,11-12; Dan 10,13; Mt 18,10); come " interprete, mediatore e intercessore " (cf 1 Cr 21,15-17; Gb 33,23; Ez 40,3; Gal 3,19). L'angelo interviene in relazione a una gravidanza: alla futura madre di Sansone (cf Gdc 13,3), annuncia a Zaccaria la maternità di Elisabetta (cf Lc 1,13), annuncia a Maria la sua maternità (cf Lc 1,26-38).

La funzione specificamente morale dell'angelo (o l'angelo come metafora della coscienza morale) appare più chiaramente nella capacità di distinguere il bene dal male (cf 2 Sam 14,17.20); quando dà un compito o incarico (cf 2 Re 2,3) e quando indica una strada da seguire (cf Gb 33,23-24).

Con questa premessa sulle funzioni degli a. si può meglio considerare l'aspetto più specifico della funzione e del significato dell'angelo nei sogni riportati dai Vangeli.

Innanzitutto, questo specifico aspetto viene evidenziato solo da Matteo in quattro occasioni:

1. Mt 1,19-20: " Giuseppe, suo sposo [di Maria], che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa perché..."

Ciò che incuriosisce è la connessione " stava pensando queste cose - gli apparve in sogno ". Sembra che Giuseppe mentre pensa a come risolvere il suo problema si addormenti ed è quanto si diceva prima: l'insight cognitivo, l'illuminazione o il lampo di genio, l'eureka o la cosiddetta " trovata giusta " appaiono come soluzione di un problema in uno stato in cui le difese logico-razionali sono abbassate e si può osservare il problema da un'altra angolazione.

In questo caso il problema di Giuseppe era specificamente di tipo morale: seguire la legge o la sua coscienza? Era uomo giusto, quindi seguiva la Legge di Mosè; per coerenza alla Legge avrebbe dovutopotuto licenziare Maria e sarebbe stata una decisione legale, ma restava qualche seria perplessità: era la cosa migliore anche per Maria? Il suo dilemma morale era proprio questo: avrebbe dovuto licenziarla, ma non le voleva far del male con il biasimo pubblico. Pensava già a un compromesso: licenziarla ma in segreto. Sembra che neanche questo compromesso morale potesse soddisfare un uomo giusto come Giuseppe e forse anch'egli pensava che " il sonno porta consiglio ".

E possibile che vi fosse anche nell'ambiente semitico un simile proverbio, dal momento che in molte culture c'è qualcosa di analogo. Di fatto, Giuseppe segue le indicazioni dell'angelo in sogno anche se nella Scrittura vi è un concetto diametralmente opposto: i sogni sono menzogneri (cf Dt 13,2-6; Sir 34,1; Ger 23,25-32).

2. Mt 2,12: " [I Magi] avvertiti in sogno di non tornare da Erode per un'altra strada fecero ritorno al loro paese ".

In questo sogno non è detto esplicitamente che l'indicazione viene data da un angelo, ma dato il contesto si potrebbe supporre che anche in questo caso Matteo abbia sottinteso la presenza di un angelo. Questo sogno, che avverte di un certo pericolo, potrebbe essere accostato a quello fatto dalla moglie di Pilato e questo a sua volta potrebbe essere messo in parallelo con quello della moglie di Cesare alla vigilia delle Idi di marzo. Questi sogni potrebbero essere definiti " sogni premonitori ": Pilato e Cesare non hanno dato ascolto al sogno premonitore delle rispettive mogli, i Magi invece hanno ascoltato le indicazioni del sogno. Una differenza sostanziale è che i primi si basavano su un sogno fatto da terzi (la propria moglie) i secondi, invece, si basavano su un sogno fatto personalmente, ma non si sa se i Magi abbiano fatto tutti e tre lo stesso sogno né si sa come Matteo abbia avuto notizia di questo evento: infatti, i Magi ritornarono in Oriente e Matteo non si spostò dall'ambiente giudaico. Di fatto, però, il sogno premonitore motiva il comportamento o la decisione del soggetto sognatore molto più che altri, anche se direttamente interessati. Il sogno premonitore può essere così vivido e chiaro (a volte più dello stato di coscienza vigile) da costituire una vera e propria evidenza per il forte coinvolgimento emotivo del sognatore. A volte, il sogno premonitore non è chiaro e ha bisogno di essere interpretato, come nel caso dei sogni del faraone interpretati da Giuseppe (cf Gn 15,12-21; 41,8).

3. Mt 2,13: " ... un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finchè non ti avvertirò, perchè Erode sta cercando il bambino per ucciderlo"

Anche questo sogno di Giuseppe può essere interpretato come sogno premonitore. In questo caso la figura dell'angelo è messa bene in evidenza con il suo ruolo affidatogli da Dio di " illuminare, custodire e proteggere ". Lo scampato pericolo assicura Giuseppe d'aver fatto bene a fidarsi di quanto indicatogli precedentemente dall'angelo in sogno (di non temere di prendere con sé Maria, sua sposa), infatti non solo gli viene assicurata protezione nel presente, ma anche nel futuro " ...resta là finché non ti avvertirò... ".

L'iniziale atto di fiducia di Giuseppe verso l'angelo apparsogli in sogno viene confermato, ha dato i suoi frutti, quindi si può continuare ad avere fiducia. Infatti, Giuseppe non esita a seguire anche le successive indicazioni dell'angelo: " Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va nel paese d'Israele..." " (Mt 2,19-20).

Tra Giuseppe e l'angelo c'è ormai un rapporto speciale di reciproca intesa. Da notare che le indicazioni e i messaggi dell'angelo non sono rivolti solo ai bisogni di Giuseppe ma al bisogno primario di sopravvivenza di tutto il nucleo familiare. Per questo motivo, il ruolo dell'angelo non è ristretto ai bisogni individuali, ma si allarga ai bisogni della famiglia. In particolare, l'angelo sembra avere il compito di proteggere (bambini, adulti, famiglie) durante i momenti più critici della loro crescita. L'angelo sembra intervenire per aiutare a risolvere un'emergenza ma, allo stesso tempo, non interferisce con la libertà e la responsabilità individuale.

4. Mt 2,22: " [Giuseppe] avvertito in sogno si ritirò nelle regioni della Galilea ". Anche qui, non si sa bene se ci sia l'esplicito intervento di un angelo nel sogno; si potrebbe supporre di sì, come si è già visto in Mt 2,12, ma di fatto sembra più un atto di fiducia nel proprio inconscio che l'accoglienza di una direttiva esterna.

A conclusione di questo breve accenno al ruolo dell'angelo nei sogni dei Vangeli per evidenziarne la reciproca correlazione si può ribadire che si potrebbe intravedere una vicinanza di funzioni con la morale inconscia. È certo azzardato e pericoloso affermare che ci si può fidare acriticamente dei sogni e seguire le loro indicazioni, ma si potrebbe imparare ad avere fiducia nel proprio inconscio e a cogliere la voce della coscienza morale che potrebbe farsi sentire anche in qualche sogno: questa potrebbe essere la dimensione inconscia della coscienza morale che è molto più profonda e ricca di quella inquinata dai razionalismi e dai meccanismi di difesa iperstrutturati a livello conscio.

Per ora, non è dato sapere come o con quale tecnica arrivare ad avere fiducia nella dimensione inconscia della coscienza morale, ma sembra che sia necessaria una certa disposizione psicologica e di fede. Se angelo e sogno hanno un rapporto di analogia funzionale con la morale inconscia, non significa che viene sminuito il valore teologico dell'angelo nè si vuole divinizzare l'inconscio.

V. A. e mistici. Da quanto detto, sembra che l'angelo possa essere un aiuto alla propria crescita, ma molto dipende da come viene inteso. Il criterio maggiormente discriminante è quello della responsabilità.

Se l'angelo è inteso in modo tale da de-responsabilizzare, allora l'angelo non ha una buona funzione nel processo di crescita psicologica e morale. Se invece la figura dell'angelo non intacca la propria responsabilità, mette di fronte alle responsabilità e aiuta a operare delle scelte con maggiori lumi, allora esso è funzionale alla crescita, quindi da considersi positivo dal punto di vista psicologico.

Come accennato nella premessa, non si vuole svilire la credenza negli a., non si può scientificamente dimostrarne l'esistenza né il contrario. Da un punto di vista psicologico, ciò che è più importante è verificare il " modo " di credere e la " funzione " di questa - così come di una qualunque altra credenza - all'interno di un percorso evolutivo personale.

Ogni credenza o atteggiamento può essere " sintonico " e " funzionale " alla crescita, se aiuta a maturare un'autogestione responsabile della propria libertà e ad autodeterminarsi scegliendo liberamente di cosa e di fronte a chi o a cosa essere responsabili. Una medesima credenza può essere nella sua modalità esperienziale " distonica " e " disfunzionale " nella misura in cui rallenta o blocca un percorso evolutivo verso la maturità della persona e del sistema in cui si vive.

Lo studio della funzione e del ruolo dell'angelo nella vita di un mistico potrebbe rilevare informazioni molto utili sul profilo della sua personalità. Nel campo della mistica è necessaria molta prudenza prima di tracciare un giudizio di valore sui fenomeni al di là dell'ordinario in correlazione con la personalità del mistico. In linea teorica, come si può ammettere che Dio è libero di creare esseri intermedi tra l'umano e il divino, intelligenti, spirituali e che collaborano a un suo progetto, così si può ammettere che si possa servire di loro per manifestarsi a un mistico.

Gli a. spesso sono presenti nella vita ordinaria dei mistici o in alcuni momenti cruciali della loro vita: durante la preghiera, nel ricevere le stimmate, in prossimità di un'apparizione della Vergine e in tante altre occasioni.

Tanto per fare qualche esempio, abbiamo il caso di s. Giovanna d'Arco ( 1431) che ricevette dall'arcangelo Michele l'incarico di riscattare la patria. Un angelo preannunciava eventi futuri a s. Rosa da Viterbo ( 1252 ca.), tra cui anche la morte di Federico II ( 1237). S. Francesco d'Assisi ricevette le stimmate da un cherubino alato. P. Pio da Pietralcina ricevette le sue stimmate da un angelo guerriero. Teresa Neumann ebbe molte visioni di a., Teresa Palmiota (da molti considerata una mistica e morta a Roma nel 1934) interloquiva spesso col suo angelo custode con una fenomenologia extrasensoriale. Le apparizioni di Fatima furono precedute e preparate da quelle di un angelo. Altrettanto accade in altre apparizioni. Vi sono molti altri casi di mistici che riportano la loro esperienza con a. e tanti altri fedeli riferiscono qualcosa di simile.

In molti casi - soprattutto di non credenti - si riporta l'esperienza " di un essere di luce " che, in momenti di pericolo o in prossimità di morte, si presenta d'improvviso con l'intento di aiutare.

In tutti questi casi, di mistici e non, da un punto di vista psicologico non basta osservare la tipologiga fenomenica, ma è molto importante mettere in rilievo la struttura psichica della persona che dice di vedere l'angelo e la funzione che questo angelo assolverebbe. È necessario tenere aperta la porta verso l'assoluto, ma è anche opportuno che nessuno sia spinto ad entrarvi.

Per tutti questi motivi, non si può affermare a priori che si tratta sempre di allucinazioni o di un processo di metaforizzazione di processi psichici. Ogni caso va analizzato tenendo conto di tutte le spiegazioni possibili così come è importante sottolineare che l'esperienza di un mistico non può essere interpretata solo con criteri psicologici.

Note: 1 J. Jovanovic, Inchiesta sull'esistenza degli angeli custodi, Casale Monferrato (AL) 1996, 95; 2 Ibid., 94; 3 Cf K. Osis - E. Heraldson, Quello che videro nell'ora della morte, Milano 1979; 4 Cf A. Pacciolla, EPM: Esperienze pre-morte, Cinisello Balsamo (MI) 1995; 5 Cf V. Frankl, Dio nell'inconscio, Brescia 19803; A. Pacciolla, Religiosità, spiritualità e morale inconscia, Padova 1982, 211-219; 6 Ibid., 48.

Bibl. P. Dinzelbacher, s.v., in WMy, 137-138; J. Duhr, s.v. in DSAM I, 580-625; A. Marranzini, Angeli e demoni, in DTI I, 351-364; M. McKenna, Angeli, Cinisello Balsamo (MI) 1997; K. Rahner, Angeli, in Id. (cura di), Sacramentum mundi I, Brescia 1974, 110-119; J. Ries - H. Limet, Anges et démons, Louvain-la-Neuve 1989; P.L. Wilson, Engel, Stuttgart 1981.

A. Pacciolla

ANIMA. (inizio)

I. La nozione. Il termine a. (dal greco: ànemos ossia vento) è ricchissimo di valori, evidenziati dalla continua riflessione sull'uomo, nel decorso delle culture ebraica, greca e occidentale che qui ci interessano.

Nella prima, l'a. (in ebraico: nefes ossia anima, vita, persona) è vita dell'uomo (cf Gn 2,7), è principio di sentimenti, di affetti, di pensieri e volizioni; nel tardo ebraismo l'a. sopravvive al corpo dopo la morte della persona (cf Sap 9,15) e risusciterà con il corpo (cf 2 Mac 12) in un imprecisato giorno, alla fine dei tempi, per una perennità di vita felice nel paradiso o infelice nell'inferno (cf Mc 12,18-27), in condizioni esistenziali diverse da quelle terrene.

L'a., secondo i greci, è realtà più complessa. Secondo Platone è strutturata in tre piani o parti: la più eccelsa è quella razionale, che conosce le idee o forme astratte e reali delle cose; essa deve disimpegnarsi dalle altre due parti e dominarle; la seconda è l'irrazionale concupiscibile e la terza è l'irrazionale irascibile. Queste ultime sono correlate in maniera più vitale con il corpo del quale subiscono il condizionamento. Aristotele ( 322 a.C.) ritiene l'a. un principio unico vitale, indispensabile al corpo, e con esso (analogamente alla forma e alla materia che costituiscono la sostanza di una realtà) compone il vivente umano, uno, indivisibile. Nel composto vivente umano l'a. è principio di tutte le funzioni: razionali, sensitive, vegetative.

La teologia cristiana occidentale, promossa da illustri cultori, tra cui s. Agostino d'Ippona e s. Tommaso d'Aquino, mediando terminologie e categorie desunte dal platonismo e dall'aristotelismo, ribadisce che l'a. è una realtà dinamica, immateriale o spirituale, immortale, individuale, creata da Dio e infusa nel concepito umano quando questo è costituito nuovo autonomo sistema biologico, disposto a potenziare l'attività di essa, in progressivo sviluppo di funzioni vegetative, sensitive e razionali. Pertanto, nella persona umana l'a. è fonte di crescita biologica, di tendenze, di emozioni, di sentimenti, di ricordi, di affetti, di pensieri, di intuizioni, di scelte responsabili, di volizioni e di ogni esperienza fenomenica superiore. Essa è condizionata, nella messa in atto del suo potenziale, dal corpo più o meno perfetto, e sottoposta nel continuo processo vitale a interferenza di elementi interni ed esterni non sempre positivi.

II. La teologia cattolica, attenta alle indicazioni della rivelazione vetero e neo testamentaria, afferma che l'a. di ogni singola persona umana è tarata da disordine morale (peccato originale e conseguenze di depauperamento della psiche e del corpo) ed è travagliata da confuse tendenze al benessere e alla sopravvivenza. Tuttavia l'a. è rimasta perfettibile e recettiva di valori soprannaturali. Di fatto, secondo un eterno piano salvifico di Dio, Cristo, Verbo incarnato, mediante il battesimo, offre: perdono da ogni peccato, libertà da ogni servitù satanica, grazia santificante che si dispiega in virtù infuse teologali e morali, grazie attuali, carismi ecc., così da rendere la persona atta a un rinnovato rapporto religioso con Dio-Trinità (di filiazione, di fraternità, di sponsalità). In esso avverte la capacità obbedienziale di sperimentare un ulteriore accostamento al mistero trinitario, visto che Dio vuole glorificare ogni a. redenta da Cristo. Nel reciproco scambio di una grazia divina che previene e di una risposta umana che accoglie e collabora, l'a. può disimpegnarsi affettivamente dai beni naturali (sessuali, sensitivi, intellettivi, ecc.) e progredire, mediante l'apporto dei sacramenti, dell'ascesi e della orazione fino ad amare Dio sopra ogni cosa. Così l'a. è situata in uno stato di vita contemplativa nel quale, mediante Cristo e sotto la guida dello Spirito Santo, si unisce a Dio, sperimentando sulla terra un'esistenza intermedia tra quella naturale e quella paradisiaca.

III. Sul piano mistico. L'esperienza dell'a., nuzialmente trasformata in Dio, può concretizzarsi in una conoscenza beatificante delle verità divine, in un'ebbrezza d'amore per le Persone della SS.ma Trinità, in una dedizione totale alla causa del regno di Dio sulla terra. Lo stato mistico dell'a. può anche evidenziarsi all'esterno in fenomeni d'eccezione: assopimento della persona, stato di allegrezza, visione, estasi, levitazione, ecc.

Le poche persone che ebbero capacità, precetto di obbedienza e luce dall'alto, per descrivere la storia della loro a. che viveva l'esperienza religiosa in termini eccezionalmente mistici, hanno usato parole e frasi del linguaggio profano attribuendo loro un significato diverso. La totalità di questi scrittori mistici rifrange la cultura letteraria e teologica della tradizione cattolica e, in particolare, segue i paradigmi della psicologia scolastica. Mancano finora scrittori mistici che utilizzano i dati delle moderne scienze dell'uomo.

Negli scritti dei mistici si trovano indicazioni dettagliate sull'a.: c'è una sua parte inferiore, detta anche sensitiva o sensuale o corporea, che comprende gli organi e le potenze della vita vegetativa, i cinque sensi esterni, i quattro interni (senso comune, fantasia, estimativa, memoria), l'appetito irascibile e quello concupiscibile. C'è la parte superiore, chiamata pure intellettiva o spirituale, che contiene le facoltà dell'intelletto, della volontà e della memoria (questa, a volte, è confusa con quella sensitiva). Dette parti hanno differenziata dignità, reciproco influsso, subordinazione di quella corporea alla spirituale. La parte inferiore influisce piuttosto negativamente sulla superiore, a meno che tutto l'apparato sensitivo non sia stato purificato da una forte ascesi cristiana e subordinato alla parte superiore dell'a. Questa influisce, sotto la cooperazione della grazia divina, sulla inferiore, ricomponendo l'unità psichica di tutte le funzioni, coordinandole alla recezione della luce e dell'amore che Dio infonde nella parte superiore.

In questa i mistici individuano: un fondo, un apice, un centro, una bocca. Questi termini indicano l'ubicazione spirituale del punto più cosciente e più espressivo dell'esperienza amorosa di un'a. che vive l'unione intima con Dio.

Alla vita contemplativa in genere, secondo la tradizione ascetica, si oppongono, i nemici dell'a.: carne, mondo, demonio. Il primo è la corporeità della persona umana che il peccato (originale e attuale) ha depauperato, sia riducendone il potenziale, sia scompigliando il coordinamento dei bisogni naturali di fondo, degli istinti, delle tendenze, dei sentimenti sicché tutto ciò inclina più al soddisfacimento delle parti che alla perfezione del tutto. Il mondo, cioè tutte le realtà visibili che circondano la persona, ha nei suoi manifesti valori, una forte capacità di sedurre, distogliendo l'a. da un immediato riferimento a Dio, autore di esse, e illudendola d'essere fonte di felicità perenne. Il terzo nemico dell'a., che è in amicizia con Dio, è il demonio perché, attraverso accorgimenti nel presentarle valori carnali e mondani, può infastidire o allentare il rapporto tra essa e Dio e, nel peggiore dei casi, farlo interrompere inducendo al peccato mortale. E tuttavia, un nemico dalle armi spuntate per l'a. che vive nell'amicizia di Cristo che ha vinto satana per sé e per i suoi amici.

Bibl. Aa.Vv., L'anima dell'uomo, Milano 1971; M. Bergamo, L'anatomia dell'anima, Bologna 1991; B. Dietsche, Der Seelengrund nach den deutschen und lateinischen Predigten, in Id., Meister Eckhart der Prediger, Freiburg in Br. 1960, 200-258; A. Gardeil, La structure de l'âme et l'expérience mystique, Paris 1927; U. Kern, Gründende Tiefe und offene Weite, in Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie, 27 (1980), 352-382; H. Kunisch, Das Wort " Grund " in der Sprache der deutschen Mystik des 14. und 15. Jahrunderts, Osnabrück 1929; J. Maréchal, Études sur la psychologie des mystiques, 2 voll., Paris 1937; G.G. Pesenti, s.v., in DES I, 142-146; L. Reypens, Ame (Structures d'après les mystiques), in DSAM I, 433-469; R. Zavalloni, Le strutture antropologiche e l'esperienza religiosa dell'uomo, in La mistica I, 41-72.

G.G. Pesenti

ANNICHILIMENTO. (inizio)

Premessa. Annichilirsi ha di solito un impatto uditivo sgradevole anche negli ambienti religiosi. Pur essendo uno stato di vita spirituale indispensabile per la perfezione, se ne percepiscono tutte le difficoltà intrinseche a motivo degli stimoli provenienti dalla società ed anche dalla problematica cristiana della promozione umana legata all'evangelizzazione.

I. Il termine nella Scrittura. L'a. è un'espressione iperbolica per designare atti o stati di vita spirituale ed è soprattutto un tema cristologico. Il credente si conforma a Cristo nella misura in cui sperimenta nella sua interiorità l'a. (kénosis) che fu di Cristo, la cui realizzazione storica è l'evento della croce.

Il significato di kenós e di kenóo si riscontra tanto fuori, quanto all'interno del NT.1 Kenós e kenóo sono usati solo da s. Paolo. Il valore letterario del primo si trova nella parabola dei vignaioli (cf Mc 12,3 e par.), e un senso più profondo, anche se ancora veterotestamentario, lo si ritrova nel Magnificat (cf Lc 1,53). In senso cristiano, lo si trova in Gc 2,20 (cf Mt 5,3ss.; Lc 6,20ss.; 1 Cor 1,26; 2 Cor 6,10; Gc 2,5). Non è l'uso linguistico, comunque, ad essere cristiano, ma il contenuto concettuale del termine. Esso viene usato da s. Paolo al negativo, nel senso di inutilità, per affermare che il suo apostolato non è inutile, né vuoto, come non lo sono la grazia divina e il kérigma. Il verbo kenóo pone l'accento sull'essere privato di un contenuto o di un possesso. Al passivo ha il significato di essere ridotto a nulla. In questo senso ricorre solo in Fil 2,6-11. Cristo si è volontariamente privato del suo modo di essere divino e preesistente (v.6) per assumere quello umano e terreno (v.7), per realizzare l'abbassamento e l'obbedienza fino alla morte di croce (v.8). E ciò è possibile non solo per l'onnipotenza divina, ma per una libera " rinuncia " da parte del Verbo di Dio, il cui a. (kénosis) conduce alla morte di croce. Il Dio d'Israele non teme di provocare, dal punto di vista storico-salvifico, il grande scandalo della " consegna " a morte del proprio Figlio, in un infinito atto di amore.

S. Paolo descrive un tale evento usando due catene di tre concetti che si corrispondono in modo parallelo: Dio-uomo-morte e Signore-schiavo-croce, perché l'uomo reca con sé la morte e lo schiavo la croce.2

In Cristo l'a. conduce alla croce; nel credente in lui non si dà un itinerario diverso. Non una croce cruenta; ciò che gli viene chiesto è l'eliminazione dell'io umano in quanto si oppone a Dio, in tutti gli elementi irriducibili alla perfezione interiore. Si tratta di uno sforzo, ossia di un a. attivo, costituito soprattutto da un'autentica umiltà di se stesso, dall'abnegazione di sé che è rinuncia perfetta alla propria volontà sia come creatura, sia come peccatore. Così, il cristiano si rende partecipe dell'a. di Cristo in tutto: a livello dei beni materiali, della propria sensibilità, dei doni spirituali. Solo un tale a. permette di avanzare sulla via angusta, nella quale c'è posto solo per la rinuncia e per la croce.3

II. Nell'esperienza mistica. L'a. detto mistico si compone di due fasi: la via della purificazione attiva e quella della purificazione passiva. La prima fa parte dell'abnegazione, che s. Giovanni della Croce chiama " la notte attiva dei sensi " e consiste nell'a. delle potenze o facoltà dell'anima nelle loro operazioni o attività. Esso è più o meno considerato dagli autori spirituali come preparatorio all'unione mistica.

La purificazione passiva è la fase in cui l'a. di se stesso ha il suo senso più forte: è la " notte passiva dei sensi ", il cui grado più elementare è il " raccoglimento infuso ", cioè dono di Dio, marcato da un progressivo " legame ", vale a dire " legare ", " frenare ", delle potenze operative dell'anima. Cristo nella sua morte in croce ottenne il vero a. anche della sua anima; egli è stato lasciato dal Padre in un'" intima aridità ": " Dio mio, Dio perché mi hai abbandonato? " (Mt 27,44). Solo raggiungendo il massimo del suo a. in ogni aspetto e gettato quasi nel nulla, Cristo ha portato a compimento l'opera della redenzione.

Solo la " notte oscura ", o oscurità nella fede, annichilisce le apprensioni e gli affetti particolari dell'anima: quelli dell'intelletto, ossia la sua luce, quelli della volontà, vale a dire i suoi affetti, e quelli della memoria legata come a notizie naturali e alle esperienze sensitive e sensibili. Il suo annichilirsi o spogliarsi di sé è necessario se vuole diventare " memoria di Dio ".

L'anima nel suo a. o spogliazione di sé acquista l'indispensabile libertà non solo da tutte le cose, ma anche da se stessa per un totale abbandono in Dio.4 E questa la strada che l'anima deve percorrere se vuole giungere alla contemplazione amorosa: annichilire le sue operazioni naturali in uno stato di passività e di tranquillità, senza compiere alcun atto naturale per non frapporre ostacoli ai beni che il Signore vuole comunicarle in modo soprannaturale. Questo a. esteriore ed interiore, attivo e passivo, pone l'anima in un profondo senso di umiltà.5 E nella fede oscura che Dio opera liberamente e conduce l'anima all'unione con lui, l'unione trasformante.

Note: 1 A. Oepke, kenós, kenóo, in GLNT V, 325-331; E. Tiedtke - H.G. Link, kenós, kenóo, in DCB, 2030-2032; 2 Cf E. Lupieri, La morte di Croce. Contributi per un'analisi di Fil 2,6-11, in RivBib 27 (1979)3-4, 277; 3 Cf Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo II, 7,6-7; 4 Cf Id., Cantico Spirituale B 26,14 e Cantico Spirituale A 17,11; 5 Cf Id., Fiamma viva d'amore IV, 16.

Bibl. W. Beinert (ed.), Lessico di teologia sistematica, Brescia 1990, 435, 439, 510, 569, 626, 699-701; S.N. Bulgakov, L'Agnello di Dio. Il mistero del Verbo incarnato, Roma 1990; I. de Chantal, Oeuvres II, Paris 1875; R. Daeschler, s.v., in DSAM I, 560-565; Francesco di Sales, Trattato dell'amor di Dio, l. 9, c. XIII, in Id. (cura di F. Marchisano), Torino 1969, 752-755; P. Guarre, Trésor spirituel, p. III, disp. 5, Paris 1635; A. Oepke, s.v., in GLNT V, 325-334; A. Terranova, La " notte oscura " dell'anima: tappa indispensabile dell'itinerario mistico, in Quaderni di Avallon. L'esperienza mistica, 23, Rimini 1990, 11-30.

A. Morandin

ANNO LITURGICO. (inizio)

I. Natura. Il Concilio Vaticano II afferma che la liturgia " è la prima ed indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano " (SC 14) Questa affermazione trova veramente eco quando il Concilio parla dell'a.: " Nel ciclo annuale la Chiesa presenta tutto il mistero di Cristo, dall'Incarnazione e natività fino all'ascensione, al giorno di pentecoste e all'attesa della beata speranza e del ritorno del Signore " (Ibid. 102). Di conseguenza, l'a. è il memoriale del mistero del Signore in tutta la sua complessità e ricchezza. In realtà, esso è l'anno del Signore, l'anno di Cristo, che vive di Cristo, ricordando e rendendo presente il potere di ognuno dei fatti salvifici della vita del Signore a cominciare dall'Incarnazione del Verbo sino all'ultima venuta di Gesù Giudice. Per questo motivo, l'a. si presenta come la sintesi della vita liturgica e della spiritualità della Chiesa che entra in contatto vivo con il mistero del Cristo nella ricchezza delle molteplici celebrazioni sacramentali ed eucologiche.1

Il mistero di Cristo costituisce l'oggetto primario, ma non unico, della celebrazione dell'a. Oltre che celebrare i misteri del Cristo, l'a. celebra il mistero di Maria, delle sue feste e memorie (cf Ibid. 103) e le feste dei santi (cf Ibid. 104). La celebrazione dei santi è subordinata alla celebrazione dei misteri di Cristo, ma la stessa luce che pervade la celebrazione dei misteri di Cristo si riflette nella celebrazione delle feste dei santi, parte integrante del mistero di Cristo che continua nel tempo (cf Ibid.).2

II. Il mistero pasquale, centro dell'a. Il mistero pasquale è fondamento dell'a. Lo stesso mistero di Cristo è mistero essenzialmente pasquale, in quanto ha il suo centro nella Pasqua di Cristo o meglio nel " mistero pasquale della sua beata passione, risurrezione da morte e gloriosa ascensione " (Ibid. 5). Il " mistero pasquale " di Gesù o il " mistero dei misteri ", che è la sintesi di tutti gli avvenimenti della vita storica di Gesù, occupa il posto centrale nel mistero di Cristo.3 Esso è celebrato in modo speciale una volta alla settimana nel giorno detto del Signore, la Domenica,4 e in un modo ancora più speciale una volta all'anno nella grande solennità della Pasqua (cf Ibid. 102). La celebrazione del mistero pasquale, quindi, sta al centro della " memoria " che la Chiesa fa del suo Signore. E un dato di fatto che nel primo periodo della Chiesa la Pasqua sia stata il centro unico della predicazione, della celebrazione e della vita cristiana.

Il mistero pasquale riassume, così, tutta la storia della salvezza: quella che precede l'Incarnazione e quella che segue l'ascensione fino alla venuta definitiva di Cristo, perciò il mistero pasquale pur essendo uno nell'arco dell'a. fa rivivere in ogni sua parte successivamente i singoli misteri della vita di Gesù. Nessuno fra questi misteri è indipendente ma tutti partecipano dell'unico mistero. Così, per esempio, la nascita del Signore riceve il suo significato salvifico dal mistero pasquale; l'Incarnazione del Figlio di Dio rimanda alla passione e alla redenzione. Tutti i misteri e tutti gli avvenimenti della vita di Gesù, evocati nell'arco dell'a. ricevono pienezza di significato dalla Pasqua.5

III. L'Eucaristia è il centro e la sintesi del mistero pasquale. Dopo aver affermato l'istituzione divina del sacrificio eucaristico il n. 47 della Sacrosanctum Concilium ricorda gli scopi della sua istituzione. Il primo scopo: Gesù ha voluto perpetuare nei secoli, sino al suo ritorno, il sacrificio della croce: " Il nostro Salvatore nell'Ultima Cena... istituì il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue, onde perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce... ". Infatti, Gesù Cristo " è presente nel sacrificio della Messa sia nella persona del ministro, "Egli che, offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti", sia soprattutto sotto le specie eucaristiche " (Ibid. 7). Inoltre, " ogni volta che viene offerto questo sacrificio, si compie l'opera della nostra redenzione " (Ibid. 2).

Il secondo scopo dell'istituzione eucaristica è sottolineato nello stesso numero con le parole " ... per affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e della sua risurrezione ". Così il sacrificio eucaristico è la viva continuazione del mistero pasquale di Cristo.6 E il " convito pasquale, nel quale si riceve Cristo " (Ibid. 47). Istituito da Cristo per perpetuare il sacrificio della croce, il sacrificio eucaristico è memoriale della morte e risurrezione, presenza sacramentale e perenne di tale sacrificio e banchetto escatologico. L'Eucaristia proclama l'intero mistero pasquale, l'intera economia della salvezza sintetizzato in un solo atto, in un solo segno.7

IV. La spiritualità dell'a.8 Il primo aspetto dell'a. messo in rilievo dal n. 102 della Sacrosanctum Concilium è quello d'essere sviluppo, commemorazione e sacro ricordo del mistero di Cristo nel corso dell'anno. Ma lo stesso numero aggiunge il secondo aspetto quando afferma: " Ricordando in tal modo i misteri della redenzione, essa (la Chiesa) apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, in modo tale da renderli come presente a tutti i tempi, perché i fedeli possano venirne a contatto ed essere ripieni della grazia della salvezza ". Questo secondo aspetto indica l'apertura delle ricchezze di salvezza e la presenza redentrice del potere di Cristo nella celebrazione perché l'uomo possa entrare in contatto con gli avvenimenti commemorati e ricevere le ricchezze della salvezza. Non si tratta di una semplice rievocazione storica dei singoli avvenimenti del mistero di Cristo. Essi vengono ripresentati e rinnovati cultualmente, ritualmente. La Chiesa li rivive, si conforma ad essi, quindi a Cristo. Possiamo affermare che l'a. è lo stesso mistero della salvezza che Cristo rivela progressivamente al mondo, perché l'uomo possa entrare in contatto con la persona stessa del Verbo. Tutto l'a. e ciascuno dei suoi tempi sono memoriale del mistero di Cristo, cioè evocazione liturgica di tutta la ricchezza dei suoi aspetti attraverso la Parola proclamata, le preghiere e i riti, ma anche presenza misterica di Cristo e dei suoi misteri.

I concetti suaccennati dimostrano come l'a. sia veramente un mezzo e un'occasione per imitare il Signore contemplando i misteri della sua vita, commemorati e rivissuti. Tale contemplazione dei misteri della vita di Gesù nel corso dell'a. sprona a rivivere interamente gli atteggiamenti ed i sentimenti di fedeltà e di obbidienza del Figlio al Padre (cf Fil 2,5-8; Eb 5,8). Questa conformazione o assimilazione a Gesù Cristo (cf Rm 8,29; Fil 3,10.21), immagine della gloria del Padre (cf 1 Cor 11,7; 2 Cor 4,4; Col 1,15) comincia con i sacramenti dell'iniziazione cristiana, si sviluppa mediante la penitenza e la partecipazione all'Eucaristia con l'aggiunta di altri sacramenti e sacramentali e termina con il ritorno alla casa del Padre.9 La celebrazione dei misteri della vita di Cristo distribuiti nel corso dell'a., pertanto presenti ed operanti nella liturgia (cf SC 7; 102), contribuisce a riprodurre nei fedeli la vita di Cristo. Nei segni e nei simboli della liturgia, quindi nell'arco dell'a., Cristo si rende presente col potere salvifico di tutti e di ciascuno dei misteri che la Chiesa commemora e rende attuale nell'Eucaristia, nei sacramenti, nelle feste e nei tempi liturgici. La storia della salvezza, attuata per l'umanità soprattutto nelle azioni ]liturgiche, è un compiersi in essa, come movimento aperto e ascensionale verso la pienezza del mistero di Cristo (cf Ef 4,13-15). Nel corso dell'a., Cristo nasce, è unto, soffre, muore e risuscita nelle membra del suo Corpo mistico. L'a. diventa, così, come l'espressione della risposta della conversione e della fede da parte di ciascun fedele a quell'amore immenso di Dio per l'uomo. In altre parole, l'a. è un itinerario nella realtà sacramentale che alimenta la vita cristiana e rende gli uomini veramente figli di Dio ed eredi della vita eterna (cf Gal 4,6-7). Con Paolo, il cristiano può affermare che completa nel suo corpo la passione di Cristo (cf Col 1,24) e che non è più lui che vive, ma Cristo vive in lui (cf Gal 2,20).10

V. Dimensione mistica dell'a. Dai concetti sopra esposti e seguendo l'insegnamento del Concilio Vaticano II,11 l'a. è il sacro ricordo, in determinati giorni lungo il corso dell'anno, dell'opera salvifica di Cristo. E chiaro che non si tratta solo di un semplice ricordo, ma anche di una celebrazione. La domenica, le feste e gli altri tempi liturgici non sono anniversari degli avvenimenti della vita storica di Gesù, ma presenza redentrice della sua opera salvifica.12 Pio XII nell'Enciclica Mediator Dei, parlando della presenza, nelle celebrazioni liturgiche, degli avvenimenti come realtà di salvezza esclude che siano " la fredda ed inerte rappresentazione dei fatti che appartengono al passato ". Egli attribuisce ai misteri di Cristo celebrati durante l'a. una permanenza quanto a effetto e in quanto causa della nostra salvezza, " misteri che sono esempi illustri di perfezione cristiana, e fonte di grazia divina per i meriti e l'intercessione del Redentore, e perché perdurano in noi con il loro effetto, essendo ognuno di essi, nel modo consentaneo alla propria indole, la causa della nostra salvezza ".13

Si può affermare che l'a. non è solo una meditazione sui misteri della vita di Cristo ed una spirituale partecipazione ad essi, il che produrrebbe un'unione morale con il Signore, ma ha una valenza più profonda: produce una unione mistica, sostanziale, con il Cristo, essendo il kairós (momento di grazia) per entrare in contatto vivo con il mistero di Cristo chiamato a trasformare la nostra vita. Questo è l'aspetto mistagogico della liturgia, cioè l'attualizzazione del mistero nella vita del cristiano.14 Cristo, infatti, diventa il vero anno, il giorno di tutti i mondi, il Signore di tutti i secoli, la vera luce e vita senza inverno, senza oscurità, senza tramonto. Cristo, che in cielo è la vita dei santi, dà a tutti i fedeli, nell'a., un riflesso terreno, mistico, del suo giorno eterno presso Dio. Giovanni della Croce ammonisce nei suoi scritti sulla necessità per l'uomo spirituale, sollecito a disporsi alle grazie di unione mistica con Dio, di non fermarsi all'esteriorità dei riti e degli apparati esteriori del culto, ma di usarli come mezzo per cogliere sollecitamente l'interiorità alla quale devono condurre e che essi devono nutrire e sostenere.15 Il Dottore mistico invita, dunque, i partecipanti, che vogliono disporsi all'unione mistica, a non perdersi sull'esteriorità del culto, ma piuttosto all'interiorizzazione individuale di quanto c'è di divino e di umano.

In conclusione, occorre ricordare che la presenza di Cristo e di ogni singolo avvenimento salvifico della sua vita storica nelle feste e nei tempi dell'a. rendono i tempi liturgici " periodi di grazia e di salvezza " (cf Lc 4,19; 2 Cor 6,2). Il mistero di Cristo che si celebra nella liturgia è il dono della vita nascosta in Dio nei secoli, che egli ha voluto manifestare e comunicare agli uomini nel Figlio suo, morto e risorto, con l'effusione dello Spirito. I sacramenti, in particolare l'Eucaristia,16 fulcro di ogni commemorazione festiva e di tutte le altre celebrazioni, santificano e consacrano il tempo dell'a. come luogo di salvezza non per i nostri meriti, ma per la virtù e la presenza del Figlio di Dio, attraverso il dono dello Spirito Santo abitualmente presente nella Chiesa e nelle sue membra. Se l'anima, che è membro vivo della Chiesa, come afferma O. Casel, " percorre veramente come un mistero l'anno mistico, in unione con la propria madre, che è appunto la Chiesa, tutto quello che è contenuto nell'a. diventerà in essa realtà operante ".17

Note: 1 Cf J. Castellano Cervera, L'Anno liturgico. Memoriale di Cristo e mistagogia della Chiesa con Maria Madre di Gesù, Roma 1987, 13-28; 2 Cf A. Bergamini, s.v., in NDL, 70; P. Jounel, Santi (culto dei), in NDL, 1338-1355; 3 Cf A. Adam, L'Anno liturgico, celebrazione del mistero di Cristo, Leumann (TO) 1984, 31-44; S. Marsili, Anno liturgico, in Id., I segni del mistero di Cristo. Teologia liturgica dei sacramenti, Roma l987, 359-460; 4 Cf J. López Martín, L'Anno liturgico. Storia e teologia, Cinisello Balsamo (MI) 1987, 49-71; L. Brandolini, s.v., in NDL, 378-395; S. Dianich, Per una teologia della domenica, in Vita monastica, 124-125 (1976), 97-116; M. Augé, La domenica. Festa primordiale dei cristiani, Cinisello Balsamo (MI) 1995, 60-69; 5 Cf P. Sorci, Mistero pasquale, in NDL, 883-903; S. Marsili, La liturgia, momento storico della salvezza, in Aa.Vv., Anàmensis I, Torino 1974, 96-100; 6 La centralità del mistero pasquale in tutta la liturgia trova un'adeguata espressione nella centralità dell'Eucaristia, secondo l'insegnamento di san Tommaso (STh III, q. 73, a. 3c) e del Vaticano II (PO 5); cf anche, S. Marsili, La liturgia..., o.c., 100: " Per questa ragione tutti i sacramenti, pur dando ognuno una particolare comunicazione al mistero totale di Cristo, sono in un modo o nell'altro legati all'Eucaristia, centro e culmine del mistero pasquale; per questo nell'anno liturgico ogni mistero del Signore, dalla nascita all'ascensione-pentecoste-parusia, viene celebrato e comunicato nel mistero pasquale della morte del Signore (Messa) "; 7 Cf J.-M.-R. Tillard, L'Eucaristia pasqua della Chiesa, Roma 19612; P. Visentin, L'Eucaristia, in NDL, 482-508, in particolare, 498-501; 8 Cf Aa.Va., L'anno liturgico e la sua spiritualità, Roma-Bari 1979; F. Brovelli, s.v., in DTI I, 378-388; B. Calati, Vita cristiana come spiritualità storica, in RL 61 (l974), 355-37l; J. Castellano, s.v., in DES I, 152-161; A. Nocent, Celebrare Gesù Cristo, l'anno liturgico, 7 voll., Assisi (PG) 1978; J. Ordónez Márquez, Teología y espiritualidad del año litúrgico, Madrid 1979; J. Pinell, L'anno liturgico, programmazione ecclesiale di mistagogia, in O Theologos, 6 (1975), 15-30; 9 Cf A. Bergamini, a.c., 70: " La spiritualità dell'anno liturgico... infine richiede d'essere vissuta e alimentata attraverso i riti e le preghiere della celebrazione stessa e prima di tutto attraverso i testi biblici della liturgia della Parola "; 10 Cf A. Triacca, Tempo e liturgia, in NDL, 1494-1507; 11 Cf SC 102-111; 12 Cf. O. Casel, Il mistero del culto cristiano, Roma 19604, 111: " I misteri di Cristo hanno propriamente un doppio carattere. In sé essi sono sopraterreni, spirituali e divini; nello stesso tempo posseggono un riflesso nel divenire storico. Infatti, noi viviamo insieme al Signore, nell'anno liturgico, la vita di lui in questo mondo, la sua nascita, la sua crescita, la sua vita apostolica, i suoi insegnamenti e le sue lotte, la sua passione e la sua morte... "; 13 MD 140; 14 In questo senso si dice che la liturgia è mistagogia. Per i Padri della Chiesa la mistagogia è " un insegnamento ordinato a far capire ciò che i sacramenti significano per la vita, ma che suppone l'illuminazione della fede che sgorga dai sacramenti stessi; quello che s'impara nella celebrazione rituale dei sacramenti e quello che s'impara vivendo in accordo con ciò che i sacramenti significano per la vita ", J. Pinell, L'anno liturgico..., a.c., 27; 15 Cf Salita III, 34-43; 16 S. Tommaso d'Aquino afferma dell'Eucaristia che " in questo sacramento è racchiuso tutto il mistero della salvezza ", STh III, q. 83, a. 40, ad 3; 17 O. Casel, Il mistero..., o.c., 119.

Bibl. Aa.Vv., L'anno liturgico e la sua spiritualità, Roma-Bari 1979; Aa.Vv., L'anno liturgico: Storia, teologia e celebrazione, Genova 1988; A. Adam, L'anno liturgico, celebrazione del mistero di Cristo, Torino 1984; A. Bergamini, Cristo, festa della Chiesa. L'anno liturgico, Cinisello Balsamo (MI) 19853, 32-111; J.M. Bernal, Iniciación al año litúrgico, Madrid 1984; F. Brovelli, s.v., in DTI I, 378-388; R. Cantalamessa, Il mistero pasquale, Milano 1985; A. Carideo, Evento-celebrazione. Prospettive sulla liturgia come celebrazione degli eventi salvifici, in RL 65 (1978), 609-632; O. Casel, Il mistero del culto cristiano, Torino 1966; J. Castellano Cervera, L'anno liturgico. Memoriale di Cristo e mistagogia della Chiesa con Maria Madre di Gesù, Roma 1987; F.X. Durwell, L'Eucaristia, sacramento del mistero pasquale, Roma 19693; J. López Martín, L'anno liturgico, storia e teologia, Cinisello Balsamo (MI) 1987; S. Magrassi, Cristo ieri, oggi, sempre. La pedagogia della Chiesa-Madre nell'anno liturgico, Bari 1978; S. Marsili, Il tempo liturgico, attuazione della storia della salvezza, in RL 57 (1970), 207-235; Id., Teologia liturgica, III: Anno liturgico, Roma 1972; B. Neunheuser, Il mistero pasquale, culmen et fons dell'anno liturgico, in RL 62 (1975), 151-174; M. Righetti, L'anno liturgico nella storia, nella Messa, nell'ufficio, Milano 19693.

E. Caruana

ANSELMO DI AOSTA (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Nato ad Aosta nel 1033, in età adulta diventa monaco a Bec, in Normandia, dove è abate dal 1078, succedendo al beato Erluino ( 1078), fondatore e primo abate del monastero. Nel 1093 è chiamato a succedere a Lanfranco di Pavia ( 1089), già suo maestro al Bec, nella sede arcivescovile di Canterbury. Nell'Inghilterra da poco conquistata dai Normanni, A. si dedica ad attuare i principi della riforma della Chiesa, sollecitata in modo particolare da Gregorio VII ( 1085), ma trova forti ostacoli nel re Guglielmo II il Rosso ( 1100), e successivamente anche in Enrico I ( 1135): per due volte sceglie l'esilio. Nel 1098 partecipa al Concilio di Bari dove espone la dottrina cattolica sullo Spirito Santo. Finalmente nel 1106 può rientrare a Canterbury e fino alla morte (21 aprile 1109) attende alle cure pastorali della sua Chiesa. Benché sottoposto a tante prove, specialmente dopo la nomina ad arcivescovo di Canterbury, A. svolge durante tutta la sua vita un'intensa attività di scrittore, lasciando numerose opere che rivelano le sue grandi qualità di teologo e maestro di vita spirituale. Caratteristica che lo distingue è la capacità di unire le esigenze di una forte razionalità con un intenso amore verso Dio e verso i fratelli. Nelle sue riflessioni la ratio occupa un posto di rilievo, ma soprattutto per riflettere sui dati offerti dalla fede. Nelle due operette scritte durante gli anni felici della sua vita al Bec, il Monologium e il Proslogion, egli vuole provare con la sola ragione alcune verità fondamentali della fede, come l'esistenza e la natura di Dio, ma accompagna quelle riflessioni con un colloquio diretto con Dio: così, nei due ultimi capitoli del Proslogion, dedicati alla beatitudine, compone alcune preghiere che sono tra le più belle scritte da lui. In esse incontriamo già alcuni aspetti fondamentali della sua dottrina mistica: " Ti prego, Signore, fa' che ti conosca, ti ami per godere di te ", e poco dopo precisa: " Progredisca qui in me la conoscenza di te e là diventi piena; cresca il tuo amore ed ivi sia pieno, perché qui la mia gioia sia grande nella speranza e là piena nella realtà " (cap. 26).

II. Ma la mistica di A. trova adeguata espressione soprattutto nelle Orationes sive Meditationes: le preghiere sono diciannove, rivolte a Dio, a Cristo, alla Croce, alla Vergine, a s. Giovanni Battista, a s. Pietro, a s. Paolo, a s. Giovanni Evangelista, a santo Stefano, a s. Nicola, a s. Benedetto, a santa Maria Maddalena: l'orante si rivolge direttamente al santo, ma anche a se stesso, per rimproverarsi dei propri peccati e, attraverso la mediazione del santo, essere esaudito dal Signore, al quale la preghiera alla fine è rivolta. La diciassettesima, composta per i vescovi o gli abati, è rivolta al santo titolare della rispettiva Chiesa, invocato come advocatus meus, mentre le ultime due sono per gli amici e per i nemici, sintesi dell'insegnamento evangelico. Hanno tutte la forma del monologo e il soggetto orante non è sempre A. Le tre Meditationes hanno invece la forma di un colloquio, con notevoli riferimenti autobiografici. La prima, per suscitare il timore di Dio, insiste sullo stato infelice del peccatore, " anima sterile ", " albero infruttuoso ", " legno arido ed inutile ", che trova salvezza soltanto nella misericordia di Gesù. Nella seconda un lamento per la perduta verginità contrappone il male commesso... alla bontà di Dio, e ne invoca il perdono. Nella terza, infine, medita sulla salvezza che viene da Dio: l'anima umana era prigioniera, ma è stata redenta dalla croce del Signore, era serva ed è tornata libera, era morta ed è stata risuscitata. Anche questa meditazione si conclude con una preghiera che sottolinea il profondo mutamento operato da Gesù nell'anima umana. Il contrasto è tra il peccato e la grazia, tra le tenebre e la luce, tra la miseria e la beatitudine; la domanda è di " gustare per amorem quod gusto per cognitionem ".

Questa visione mistica dell'anima sostenuta dall'amore di Dio, è presente anche in altri scritti di A., nei quali però prevale la speculazione teologica. Nel ricchissimo epistolario sono frequenti i riferimenti a questa dottrina. Ad esempio, egli la esprime con linguaggio semplice nella Ep. 45 ad un recluso. " Dio - scrive A. - dichiara di avere un regno, quello dei cieli, da vendere; un regno dove tutti sono re. A chi chiede quanto costa quel regno, si risponde che esso è venduto a prezzo di amore: Dio non lo vende se non a chi ama. Dio non chiede altro che amore: offrigli l'amore e riceverai il regno; ama e lo avrai (Ama et habe). Questo amore deve essere alimentato con frequenti preghiere, colloqui, pensieri spirituali e sentimenti di carità fraterna ". Nella conclusione della lettera appare chiaramente come la mistica anselmiana si basi su un forte impegno ascetico: " Chi vuole avere quell'amore perfetto, con il quale si compra il regno dei cieli, ami il disprezzo del mondo, la povertà, la fatica e l'obbedienza, come fanno i santi ".

Bibl. Opere: S. Anselmi Cantuariensis archiep. Opera omnia, I-II, ed. F.S. Schmitt, Stuttgart 1968 (ed. anast.); alcune sono anche in tr. it., come le Lettere, I-III, a cura di I. Biffi e C. Marabelli, Milano 1988-1993. Studi: Aa.Vv. Anselmo d'Aosta figura europea (Convegno di studi, Aosta 1988), a cura di I. Biffi e C. Marabelli, Milano 1989 (ivi il saggio di B. Ward, Le " Orazioni e Meditazioni " di S. Anselmo, 93-102); J. Bainvel, s.v., in DTC I, 1327-1350; B. Calati, s.v., in BS II, 1-21 (con bibl.); C. Leonardi, Le " Meditationes " di S. Anselmo, in Rivista di storia della filosofia, 48 (1993), 467-475; M. Mähler, s.v., in DSAM I, 690-696; E.A. Matter, Anselm and the Tradition of the " Song of Songs ", in Rivista di storia della filosofia, 48 (1993), 551-560; E. Salman, s.v., in WMy, 24-25; P. Sciadini, s.v., in DES I, 168-169; S. Vanni Rovighi, Introduzione ad Anselmo d'Aosta, Bari 1987.

G. Picasso

ANSIA. (inizio)

I. Da un punto di vista storico, l'a. era contemplata nello stesso quadro clinico dell'angoscia nevrastenica (Bread ed Heckel 1880). Fu Freud che nel 1895 propose di separare dalla nevrastenia un certo gruppo di sintomi sotto il nome di " nevrosi d'angoscia " con due elementi fondamentali: a. una costituzione, con carattere di cronicità e con un modo di essere abituale e permanente; b. le crisi, con manifestazioni parossistiche. Negli anni '50, R. May 1 ha reimpostato la problematica psicologica dell'a.

II. Emotività, angoscia ed a. Nella nevrosi d'angoscia lo stato d'a. si può collocare nella patologia dell'emozione, ma non va confuso con l'iper-emotività: di fronte a un pericolo o a una minaccia l'iper-emotivo reagisce con una condotta anarchica e incoercibile; mentre l'ansioso può essere capace di passare dal panico al controllo o all'adattamento, cosa che non credeva di poter fare. Infatti, molti eroi, grandi lavoratori o molti di coloro che fanno più di quanto è il proprio dovere sono ansiosi. Se da una parte è vero che non bisogna confondere l'a. con l'emotività, dall'altra bisogna anche riconoscere che molti ansiosi hanno un'emotività ipereccitabile: è qui, infatti, che si evidenziano i vari disturbi. L'a. e l'angoscia sono il risultato di un conflitto tra la pulsione libidica o aggressiva e la realtà o le norme morali. Quando questo conflitto crea una tensione superiore al limite di tolleranza il soggetto avverte un disagio interiore d'intensità variabile perché da una parte vuoledeve realizzare un suo bisogno-desiderio dall'altra non-vuolenon-deve realizzarlo. Non sapendo come conciliare questa polarità, senza colpa o vergogna, aumenta il disagio.

Una breve e sommaria differenza tra a., fobia e angoscia può partire da queste considerazioni: l'a. è causata da una paura generica senza un oggetto ben definito e si manifesta con un disagio proporzionato alla gravità della minaccia che si crede imminente; la fobia è una paura sproporzionata, irrazionale ed immotivata per una minaccia reale, ma relativa o immaginaria; l'angoscia è una paura più intensa che è percepita e denominata in modo diverso a seconda delle circostanze: di fronte alla morte, alla sofferenza e alla colpa, nelle sindromi di abbandono, di perdita e di separazione, di fronte all'esistenza come taedium vitae, existential vacuum, e altre espressioni simili. I disturbi sono descritti con termini generici come nervosismo oppure, più tecnicamente, come instabilità emotiva, iper-estesia sensoriale, labilità nel controllo emotivo (ossia, soprassalto ad un piccolo improvviso rumore, tremore agli arti o palpitazioni, o sudorazione, o vampate di calore in risposta a un'emozione anche piccola, tensione sia psichica che del tono muscolare). Altri disturbi sono legati al sonno: difficoltà all'addormentamento, risvegli angosciosi, svegliarsi affaticati (a volte l'iper-sonnia: rifugiarsi nel sonno per fuggire dalla realtà).

Altre turbe sintomatologiche dell'a. si manifestano a carico dell'apparato cardio-vascolare (accelerazione del ritmo cardiaco e instabilità della pressione arteriosa), dell'apparato respiratorio (spasmi, senso di oppressione al diaframma), dell'apparato neuro-muscolare (iper-eccitabilità dei riflessi osteo-tendinei, spasmi alla muscolatura liscia). Altri sintomi dell'a. si manifestano con turbe intestinali (stipsi o diarrea), spasmi gastrici (nausea e vomito), nella secrezione ghiandolare (secchezza della bocca o scialorrea), nella minzione (oliguria o poliuria).

Ogni ansioso gestisce la propria a. secondo il proprio temperamento e la propria personalità: alcuni introversi reprimono la propria irritabilità, altri estroversi esplodono con reazioni colleriche; i viscerotonici reagiranno con sensazioni di inappetenza o di polifagia; e così via per il comportamento sessuale, religioso, relazionale, aggressivo e per ogni altro comportamento. L'a. è spesso accompagnata da un senso di insicurezza e può essere anche non legata a un oggetto o situazione specifica; in questo caso si parla di a. fluttuante, o libera, che si manifesta come una costante attesa di una non ben definita catastrofe: basta un minuto di ritardo, un campanello, un lieve dolore per immaginare l'imminenza di qualcosa d'irrimediabile. Un dramma dell'ansioso è la sua stessa consapevolezza dell'irrazionalità della sua angoscia e la sua frustrazione per non riuscire a far capire agli altri i suoi incoercibili timori. L'a. è sempre legata a una immaginazione distorta in modo disfunzionale, ma non per questo è una malattia immaginaria.

III. Definizione e contenuto. La definizione più autorevole e più aggiornata di a. è quella riportata dal DSM-IV: " L'anticipazione apprensiva di un futuro danno o sfortuna accompagnata da disforia o da sintomi somatici di tensione ".

Una sintesi descrittiva dell'a. con finalità diagnostiche può essere quella che raggruppa la sintomatologia in tredici punti, di questi bastano quattro per diagnosticare il panico: 1. Dispnea o sensazione di soffocamento; 2. Sbandamenti, instabilità, o sensazione di svenimento; 3. Palpitazioni o tachicardia; 4. Tremori fini o grandi scosse; 5. Sudorazione; 6. Sensazione di asfissiare; 7. Nausea o disturbi addominali; 8. Depersonalizzazione o derealizzazione; 9. Parestesie (torpore o formicolio); 10. Improvvise vampate di calore o senso di freddo; 11. Dolore o fastidio al torace; 12. Paura di morire; 13. Paura di impazzire o di fare qualcosa di incontrollato. L'a. ha un ruolo molto importante in tutte le patologie psicologiche e non esiste una sola nevrosi che non abbia a che vedere con il controllo dell'a. L'a., da un punto di vista diagnostico, è correlata con i quadri clinici fobici (agorofobia, fobia sociale, fobia semplice) e con alcuni disturbi particolari (disturbo ossessivo-compulsivo, da stress post-traumatico, da a. generalizzata).

Nella condotta religiosa possiamo considerare sinteticamente i significati di questi quadri clinici con qualche riferimento alla condotta religiosa.

L'agorofobia è la paura di trovarsi in posti o situazioni dalle quali sarebbe difficile uscire o nelle quali non sarebbe disponibile l'aiuto qualora se ne avesse bisogno. Nella condotta religiosa quest'a. agorofobica potrebbe essere interpretata come prudenza.

La fobia sociale è la paura del giudizio degli altri o di agire in modo imbarazzante o umiliante e perciò si evita di parlare in pubblico, di mangiare o di scrivere di fronte agli altri, e così la vita socio-relazionale è fortemente limitata.

Questo tipo di a. potrebbe essere scambiato per modestia, o riservatezza.

La fobia semplice è la paura persistente di un oggetto o di una situazione. Questa paura eccessiva o irrazionale porta ad avere comportamenti di evitamento e l'oggetto della fobia è, per esempio, il sesso; allora quest'a. potrebbe essere confusa con la castità o la pudicizia. Il disturbo ossessivo-compulsivo è composto da: a. impulsi, pensieri e immagini mentali che interferiscono nell'ordinaria articolazione del comportamento. Il soggetto cerca di ignorare o sopprimere queste interferenze, ma a volte si ottiene l'effetto opposto. Per esempio, una persona può essere molto religiosa e quanto più cerca di eliminare idee aggressive, blasfeme o erotiche tanto più queste aumentano. Queste interferenze aumentano d'intensità e di frequenza con l'aumentare dell'insicurezza di poter gestire queste pulsioni. La persona ha paura di perdere il controllo e di fare ciò che non vuole. A volte, il soggetto non sa se ciò che non vuole fare lo ha già fatto oppure no; questo determina una sempre maggiore a. fino a sentirsi stanchi e logori dai sensi di colpa per aver fatto poco o quasi nulla. b. Comportamenti ripetitivi allo scopo di calmare l'a. Si tratta dei rituali irrazionali allo scopo di neutralizzare o prevenire eventi temuti. Questa ripetizione meticolosa di schemi comportamentali può arrivare a menomare più o meno fortemente la vita affettiva, l'attività lavorativa e le relazioni sociali.

La nevrosi ossessiva-compulsiva può manifestarsi, in genere, in tre modi principali: checking, cleanining e doubting. Il checking è la compulsione a controllare e verificare ripetutamente per essere sicuri e quindi rassicurarsi d'aver fatto qualcosa come chiudere porte, finestre, rubinetti e così via. Questa caratteristica può essere accompagnata da un atteggiamento di sospettosità o da una sensazione di essere perseguitati; ma questo accade in una personalità paranoica. Il cleanining è la tendenza alla pulizia e all'igiene in modo esasperato e irrazionale per paura di essere contaminati da germi o da altre impurità. Il doubting è la pressocché costante ruminazione di dubbi da cui il soggetto si sente assalito o perseguitato; quanto più vorrebbe non averli tanto più sembra che non possa fare a meno di questionarsi sull'esattezza del suo operato. Il soggetto non si stima molto, ma ha pretese perfezioniste. Vuole essere sicuro al cento per cento e vuole essere sempre rassicurato per non perdere il controllo di sé e della situazione. Per esempio, una persona religiosa potrebbe essere portata a ripetere le stesse parole o gesti con modalità e aspettative più magiche che propriamente religiose; questo può essere accompagnato da un forte aumento di a. qualora la persona fosse impossibilitata a mettere in atto tale rito o qualora le fosse possibile agire secondo la modalità intesa. Sembra che la persona non sia capace di fare a meno di questi cerimoniali; e se ne fa a meno sente a., colpa e prevede imminenti catastrofi. Anche il cleaning è un concetto distorto della pulizia e potrebbe essere usato da una persona religiosa con un simbolismo inconscio; ossia, per lavare o purificare le colpe di cui si sente contaminata con i conseguenti cerimoniali per non contaminarsi ulteriormente.

Il doubting è tipico della persona scrupolosa che in un modo più o meno conscio collega la sua insicurezza alla morte, all'inferno o alla salvezza. In questi casi, il sacramento della confessione ha la funzione di un ansiolitico con manifestazioni di dipendenza e di crisi di astinenza se dovesse mancare. Il disturbo da stress post-traumatico è il malessere o l'a. che perdura anche dopo un evento che un soggetto ha vissuto in un modo particolarmente traumatico. Il soggetto anche dopo lo scampato pericolo continua ad avvertire minaccia per la propria incolumità e per quella dei suoi cari. Il soggetto è portato ad azionare i propri meccanismi di allerta quasi costantemente e con modalità esagerate col risultato di ricordi e di comportamenti angoscianti, ricorrenti e invasivi come se l'evento traumatico stesse per ripetersi; i disturbi si possono estendere al sonno e ai comportamenti di evitamento di tutto ciò che potrebbe essere associato all'evento traumatico. Tutto questo limita la qualità della vita del soggetto. Il disturbo da a. generalizzata è una preoccupazione irrazionale per eventi realisticamente improbabili oppure obiettivamente proporzionata alla reale possibilità o entità del danno paventato. In effetti, si tratta di una insicurezza sulle proprie capacità di poter gestire un'emergenza o un attacco di panico.

L'a. può essere causata anche da alcune condizioni mediche generali, oppure può essere indotta da alcuni farmaci, oppure può assumere una configurazione clinica aspecifica.

IV. Rimedi. L'a., per una sua valutazione clinica più completa, dovrà esssere considerata anche in altri contesti specifici come quello di una personalità isterica, o di una struttura psicotica (schizofrenia, paranoia, depressione endogena) nei disturbi sessuali, nelle sindrome neurologiche (tumori cerebrali, traumi cranio-cerebrali, encefaliti, epilessia). Altri contesti specifici entro cui valutare l'a. sono le condizioni soggettive personali; come per esempio, l'a. in bambini, adolescenti, nella senescenza e nella gravidanza, nelle prestazioni sportive e scolastiche. Attualmente la terapia farmacologica dell'a. guarda con speranza le ricerche di neuro-endocrinologia e quelle relative ai processi di somatizzazione. Sembra, però, che nei casi ordinari il miglior trattamento dell'a. sia una psicoterapia supportata da varie tecniche quali il bio-feedback, il training autogeno e soprattutto l'ipnosi con l'obiettivo che diventi " auto-ipnosi ", così che il soggetto impari a gestire autonomamente il controllo della propria a. Ciò che tiene insieme tutte queste tecniche (e anche altre meno note, come la " meditazione profonda ", la " meditazione trascendentale " e altre) è la suggestione che mira al controllo del sistema nervoso parasimpatico e alle varie manifestazioni parossistiche.

Attualmente l'a. viene rilevata da vari reattivi quali il Rorschach, il TAT e il Crown-Crisp nel contesto della struttura psichica generale. L'IPAT rileva solo l'a. ma nei suoi tratti essenziali (mancanza di auto-controllo, instabilità emotiva, sospettosità, apprensione e tensione) latenti e manifesti. Altri rilievi specifici dell'a. sono nel CBA: A. di stato (iniziale), A. di tratto (abituale) e A. di stato (finale). Nel MMPI, oltre alla struttura psichica generale, abbiamo la possibilità di rilevare e quantificare l'A. libera, l'A. somatizzata e altri due indici d'a.: quella Purcell, e quella Modlin.

E possibile che questi parametri diano delle indicazioni diverse così com'è anche possibile che uno stesso farmaco o tecnica per il controllo dell'a. diano risultati diversi.

In conclusione, nella valutazione e nel trattamento dell'a. è molto importante l'esperienza clinica del professionista tenuto a considerare i fattori organici, psico-soggettivi, socio-ambientali e il sistema di credenze morale-religioso, nonché la condotta del soggetto perché le manifestazioni ansiose non siano scambiate per forme di vita autenticamente religiosa o, peggio ancora, mistica.

Note: 1 R. May, The Meaning of Anxiety, New York 1950.

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A. Pacciolla

ANTIMISTICISMO. (inizio)

I. Il fenomeno. Ai primordi delle correnti antimistiche nella storia della mistica cristiana si trova un processo di disintegrazione tra teologia e spiritualità-mistica, che portò ad un conflitto e sfociò infine in una rottura.1

Mentre per i grandi teologi dell'apogeo della scolastica (Tommaso d'Aquino e Bonaventura) teologia e spiritualità-mistica formano ancora una unità esistenziale, alla fine del sec. XIV si avverte come un esercizio sempre più unilaterale della dialettica nella teologia minacci di produrre un'alienazione tra teologia e spiritualità. Stefano Axters ritiene la rottura tra fede e pensiero ... come il più grande scisma del sec. XV.2 Tale alienazione tra teologia e mistica è, allo stesso tempo, alienazione tra teologia e Scrittura come liber experientiae (s. Bernardo). La teologia speculativa (teologia scolastica) allontana l'attenzione della riflessione di fede dalla Scrittura a vantaggio di questioni, dispute e commenti tecnici, cioè della dialettica. Il modo in cui questa estraneazione sfocerà in una rottura può essere illustrato attraverso le dichiarazioni sarcastiche che l'autore dell'Imitazione di Cristo formula all'indirizzo dei teologi scolastici del sec. XV: " A che giova un'ampia e sottile discussione intorno a cose oscure e nascoste all'uomo; cose per le quali, anche se le avremo ignorate, non saremo ritenuti responsabili, nel giudizio finale? ". " Che ci importa del problema dei generi e delle specie (genera et species)? ".

Questo distacco tra la Scolastica speculativa e i maestri della vita spirituale produsse nell'ascesi e nella metodica di preghiera un volontarismo di ordine pratico, avulso dalla teologia e solo lontanamente ispirato alla Scrittura.

Nei Paesi Bassi e in Germania i grandi mistici del sec. XIV, Ruusbroec, Meister Eckhart e Taulero, tentano di ristabilire l'unità tra la teologia e la mistica. Con tutti i mezzi che la teologia mette loro a disposizione, cercano di tradurre in forma letteraria l'ineffabile della loro esperienza mistica. Senonché la reazione violenta di Gersone, cancelliere dell'Università di Parigi, contro la traduzione in parole, da parte di Ruusbroec nel suo Die Gheestelijke Brulocht, dell'esperienza mistica dell'unione, mostra come il conflitto tra teologia e mistica sia ormai un dato di fatto.3

Gersone è convinto che la terza parte del Gheestelijke Brulocht " debba essere disapprovata e rifiutata in quanto completamente contraria e fuorviante rispetto alla sana dottrina dei santi maestri, che hanno scritto in merito alla nostra beatitudine; essa non coincide neanche con la dichiarazione esplicita dei Decretali, dove si sostiene che la nostra beatitudine consiste di due atti: la visione e il godimento, quindi insieme con la luce della gloria. E se, dunque, questo è il caso della pienezza della gloria ultima nell'aldilà, che Dio non è la nostra visione e chiarezza essenziale..., quanto più tutto questo allora non sarà il caso dell'imperfetta similitudine della beatitudine che ci è permesso di gustare in questa vita ".

Nella sua distinzione tra teologia mistica pratica e teologia mistica speculativa (Theologia mystica practica e Theologia mystica speculativa) il cancelliere parigino accentua questa rottura tra teologia e mistica.

Tale distinzione ha come conseguenza che, mentre la teologia si irrigidisce in mancanza di feeling con l'esperienza di Dio, la letteratura religiosa perde ogni feeling con la teologia. Se, dunque, da un lato i problemi relativi all'ascesi vengono trattati sempre più per se stessi e senza un orientamento che s'ispiri all'esperienza di Dio, dall'altro la letteratura religiosa, in assenza di riflessione critica, rischia di ridursi a trattatelli volontaristici privi del necessario supporto scritturistico e teologico.

Si comprende, pertanto, come nei Paesi Bassi, dopo Ruusbroec, la mistica speculativa lasci il posto ad una letteratura orientata in modo pratico-ascetico. Lo stesso centro mistico di Groenendael vede in Jan van Schoonhoven ( 1432) il primo rappresentante di questo nuovo indirizzo. In particolare, per i Fratelli della vita comune, la dottrina a carattere speculativo e teologico di Ruusbroec non ha più alcuna attrattiva. La rottura tra teologia e mistica continua ad estendersi. Anche G. Groote, vero pioniere del risveglio spirituale della Devotio Moderna, si trova, come Jan van Schoonhoven, sotto l'influsso dell'ambiente parigino caratterizzato da una teologia scolastica estremamente critica. Tutti i suoi scritti risentono del suo essere ad un tempo teologo, canonista, riformatore e predicatore. La sua spiritualità è concreta e pratica; l'accento è posto sulla propria santificazione mediante l'esercizio delle virtù; l'imitazione di Cristo è la porta di ogni vita spirituale. Non è un anti-mistico, ma è contro ogni forma di dilettantismo. Arricchì la sua traduzione delle litanie di tutti i santi con la seguente invocazione: " Da tutti i sommi piaceri e le somme conoscenze; da tutti i sensi alteri e sottili nella spiritualità, liberaci o Signore ".

Fiorenzo Radewijns ( 1400), il suo collaboratore più importante, fondatore della prima confraternita dei Fratelli della vita comune e loro guida dopo la morte di Groote nel 1384, seguì le orme del suo maestro per quanto riguarda il suo orientamento spirituale. Il suo atteggiamento anti-mistico è caratterizzato dal fatto che egli, nel suo Tractatus devotus, parla ampiamente della via della purificazione e dell'illuminazione senza menzionare minimamente la via dell'unione. La purezza del cuore e l'amore per Dio devono ispirare tutto l'agire umano. Nella sua visione l'insegnamento puramente teologico, la mistica speculativa e la teologia scolastica non sono che ostacoli per la devotio.

J. Huizinga afferma: " In generale i devoti dei Paesi Bassi avevano perduto il contatto col misticismo febbrile, dai cui stadi preparatori era fiorita la loro forma di vita. Così essi avevano anche scongiurato in gran parte il pericolo di cadere in deviazioni fantastiche ed eretiche. La Devotio moderna dei Paesi Bassi rimase ubbidiente ed ortodossa, conservò una moralità pratica e, all'occasione, anche castigata ".4 Le speculazioni teologiche in cui i mistici renani e fiamminghi, Eckhart, Taulero, Suso, Ruusbroec, avevano raggiunto ancora una volta un punto culminante non riuscirono ad ispirarli e sicuramente dalla prima generazione furono ritenute non adatte e persino pericolose per i cristiani comuni.

Intorno alla metà del sec. XV, il certosino Vincenzo d'Aggsbach ( 1464) rileva che la teologia mistica e la scolastica non hanno più nulla in comune, proprio come la pittura con il mestiere del calzolaio. Infatti, il decreto del 1559, emanato dal Grande Inquisitore Fernando Valdés che proibisce non solo vari scritti di mistici non spagnoli, ma anche gli scritti di mistici in lingua vernacola inclusa la traduzione della Bibbia, indica l'estrema conseguenza della rottura tra la teologia ecclesiale e la mistica.5 La rottura divenne presto antagonismo la cui virulenza fu alimentata dal panico e dalla paura contro ogni infiltrazione di idee e pratiche eretiche, le quali vennero considerate un attentato all'unità religiosa e politica della nazione.

Ciò che qui è in questione riguarda un modo di concepire la spiritualità. Cosa che diventa chiara nella caccia agli eretici contro Bartolomeo Carranza (1576), arcivescovo di Toledo, da parte del suo confratello Melchior Cano (1560), teologo di Salamanca, baluardo dell'Inquisizione spagnola. Il teologo Cano si era convertito ad un ascetismo rigido come reazione all'infiltrazione di tendenze protestanti e di " incertezze " teologiche di umanisti e mistici. Egli pone l'accento, in modo piuttosto unilaterale, su una vita virtuosa attiva, mentre nel suo stesso Ordine, Bartolomeo Carranza, Luigi di Granada e i cosiddetti " contemplativi " sostengono una spiritualità più affettiva, dove trovano maggiore spazio la preghiera e la contemplazione.6 Il dogmatico Melchior Cano non prova che inquietudine nei confronti del misticismo e della spiritualità affettiva. Questo teologo inquisitore di Salamanca, nemico giurato degli " spirituali ", aveva la pretesa di fiutare gli eretici a distanza, proprio come un cane da caccia fiuta la selvaggina. Nel suo trattato De locis theologicis (lib.12, c.10) scrive: " Tali (ossia incoscienti) sono, ai nostri giorni, tutti quegli uomini che, benché leggano e citino Battista da Crema, Enrico Herp, Taulero ed altri autori, non si rendono tuttavia conto delle loro deviazioni, della loro spiritualità e del loro intento, né mediante l'odorato, né attraverso l'impronta, né mediante il gusto ".7 Quegli uomini sono, secondo Cano, innanzitutto i gesuiti; ecco quanto scrive in una lettera a Venegas del 28 marzo 1556: " Come te, anche io ho sentito dire che questi (i gesuiti) seguono Giovanni Taulero e Enrico Herp, e in passato fra Battista di Crema. A Roma, di recente, la dottrina di quest'ultimo è stata condannata, poiché egli faceva parte degli " illuminati " (Alumbrados) o " quietisti ". Gli stessi Taulero e Herp sono stati smascherati in molti luoghi come uomini della setta degli " illuminati " o dei " quietisti ".8

II. La battaglia per la devozione ideale: Bossuet e Fénelon. Oltre al gallicanesimo, che fu piuttosto una crisi nel governo della Chiesa in Francia, altresì la vita religiosa propriamente detta conobbe alcune degenerazioni che fecero dubitare della ortodossia dei suoi seguaci e misero in moto i teologi più importanti del paese.

Il misticismo poco critico dello spagnolo Miguel Molinos ebbe anche in Francia alcuni sostenitori. Molinos, molto richiesto a Roma come guida spirituale nei monasteri femminili, nei suoi scritti aveva difeso la Comunione quotidiana e considerato l'atteggiamento passivo dell'anima come l'ideale della devozione. In tale quiete perfetta dell'anima di fronte a Dio, dove persino il desiderio di santità si placa e non esiste più alcuna produzione di atti o aspirazione propria, l'anima non commetterebbe più peccato, anche laddove esternamente desse l'impressione di trasgredire i comandamenti.

Questa dottrina fu definita quietismo e come tale venne ben presto combattuta dal gesuita Segneri (1694). Nel 1687 Innocenzo XI (1689) condannò sessantotto proposizioni presenti nelle lettere e nelle conferenze dello spagnolo. Molinos venne rinchiuso in un monastero fino alla morte. La sua condanna suscitò in Italia un'avversione largamente diffusa per la mistica.

Prima della sua condanna i suoi scritti e i suoi pensieri si erano diffusi anche in Francia. F. Lacombe ( 1715), barnabita, pensò a divulgarli nella Savoia, e ben presto trovò una seguace avida di conoscenza nella devota giovane vedova de La Motte Guyon.

Educata presso le Visitandine, affidò ad altri i propri figli sull'esempio di Francesca di Chantal, per dedicarsi, consigliata dal suo direttore spirituale, completamente ad una vita di contemplazione. Fece propaganda per il suo ideale spirituale anche mediante scritti e cantici devozionali; parlò della quiete in Dio, dell'amore per lui, puro e disinteressato, che come condizione permanente non pensa né al premio né al castigo. La maggior parte delle opere di M.me Guyon è stata pubblicata solo dopo la sua morte.

Proprio contro gli scritti di M.me Guyon comincia a delinearsi in Francia una corrente fortemente antimistica alla fine del sec. XVII; questa lotta contro la mistica trova il suo punto più alto nella spiacevole controversia tra l'ecclesiastico Bossuet, politico ed intellettualistico, e Fénelon, il quale difendeva la mistica con delicatezza di sentimenti.

Quando nel 1687, a Roma, venne condannato Molinos, l'arcivescovo di Parigi cominciò a nutrire sospetti nei confronti della pia vedova, M.me Guyon, e della sua guida spirituale, Lacombe. Quest'ultimo venne rinchiuso e M.me Guyon più volte arrestata. Venne accusata di quietismo: una passività esagerata nella via mistica, un'accentuazione esagerata della contemplazione e del " puro amore " (amour pur) e una sottovalutazione dell'Incarnazione del Cristo.

M.me Guyon trovò più tardi uno strenuo difensore nell'educatore del principe, il futuro arcivescovo Fénelon. Questi proveniva dall'alta nobiltà di provincia ed era stato educato da Olier. Per lunghi anni diresse prima l'istituto parigino per giovinette convertite, e poi divenne educatore di Luigi, duca di Borgogna; con gioia di Bossuet divenne nel 1695 arcivescovo di Cambrai che, dal 1697, anno in cui venne allontanato dalla corte, governò in modo esemplare.

Una commissione d'inchiesta, presieduta da Bossuet, di cui faceva parte anche de Noailles ( 1729), arcivescovo di Châlons e in seguito arcivescovo e cardinale di Parigi, condannò nella conferenza di Issy (1695) le esaltazioni di M.me Guyon in trenta proposizioni. Ella accettò questo verdetto con umiltà opponendosi, tuttavia, al fatto che le sue convinzioni fossero state poste sullo stesso piano della già condannata dottrina di Molinos. M.me Guyon si lamentò del comportamento che le era stato riservato: " Il Monsignore di Meaux (Bossuet) mi ha investito con la veemenza dei suoi ragionamenti, incentrati sempre sulla credibilità del magistero della Chiesa, sulla quale io non ho affermato di voler discutere con lui, invece di procedere pacificamente ad uno scambio di pensieri sulle esperienze di una persona, sottoposta alla Chiesa ".9

" Ciò che avrei desiderato dal Monsignore di Meaux - lamenta - era che mi giudicasse con il suo cuore e non con la sua ragione. Prima di incontrarlo, non avevo pensato affatto a preparare qualche risposta: tutta la mia forza consisteva soltanto nella schietta verità.10

Del resto, M.me Guyon accusa Bossuet di avere sia una conoscenza minima degli scrittori mistici che una scarsa esperienza spirituale.

D'altronde, in Francia, esistevano anche altre fonti - oltre agli scritti del Molinos - dalle quali si potevano attingere idee sull'amore disinteressato (l'amour pur). Sull'" amore disinteressato e puro " scrive, all'inizio del secolo, altresì il cappuccino Lorenzo di Parigi ( 1631), il quale fu molto stimato anche da Francesco di Sales. Soltanto l'intellettualista Bossuet, che conosceva bene la tradizione dei Padri, ma al quale era estranea la mistica, pubblicò una critica alle opere di Molinos e Lacombe, includendovene altresì alcune di M.me Guyon.

Dal momento in cui la dottrina di quest'ultima viene condannata, Bossuet comincia ad opporsi a Fénelon. Scrive un'istruzione pastorale Sur les états d'oraison ed esige, inoltre, che lo stesso Fénelon l'approvi rigettando così la dottrina di M.me Guyon. Fénelon, che conosceva la mistica meglio della Bibbia - la formazione teologica di Bossuet e Fénelon mostrano verosimilmente diverse lacune - e aveva incontrato pensieri analoghi sull'" amore puro e disinteressato " in Caterina di Genova, rispose, nel 1597, a difesa di colei che gli era affine di spirito, con le sue Explications des maximes des Saints, in cui offrì protezione a M.me Guyon e alla dottrina dell'amore puro e disinteressato per Dio. Essendo pendente il processo a Roma dal 1597, Bossuet, mediante calunnie, corruzione e pressioni politiche, ottenne la condanna di Fénelon. Il vescovo di Meaux riuscì ad ottenere, grazie a M.me de Maintenon, l'appoggio del re contro il suo confratello di Cambrai. Allorché Fénelon decise di andare a Roma per difendersi, gli venne rifiutato il permesso per il viaggio. Per contro, Bossuet e i suoi amici esigevano adesso una decisione ... La Sorbona doveva far pervenire alla curia le proposizioni " sospette " di Fénelon. Dopo una lunga inchiesta, non senza pressioni da parte del re Luigi XIV ( 1715) e contro la propria convinzione, Innocenzo XII (1700) emise, nel 1699, il Breve Cum alias, con cui si condannarono ventitré proposizioni contenute nell'opera Explications des maximes des saints. Immediata fu la reazione di Fénelon che dal pulpito dichiarò di sottomettersi al giudizio di Roma; M.me Guyon rimase rinchiusa ancora per anni. La lotta era finita. Con Bossuet prevalse l'intellettualismo. La " vittoria " di Bossuet ebbe conseguenze dubbie per la spiritualità, tanto da gettare ombre di sospetto sulla mistica. A partire dal sec. XVII, la " invasion mystique " (H. Bremond) cede il posto alla " insorgente oscurità ", il crepuscolo dei mistici (Crépuscule des mystiques, di L. Cognet). La diffidenza nei confronti della spiritualità mistica limita, nel sec. XVII, la vita spirituale e la teologia spirituale ad una tecnica ascetica della meditazione, ai buoni propositi e all'esame di coscienza, agli esercizi di devozione controllabili statisticamente. Essa produce in Francia un rafforzamento della corrente antimistica e porta praticamente alla scomparsa di qualsiasi letteratura mistica fino al sec. XIX inoltrato.

Il sec. XVIII subisce il contraccolpo della reazione provocata dal quietismo in una penuria di scritti e studi mistici. In questo secolo intellettualistico, l'animazione religiosa diventa piuttosto scarsa anche per effetto della reazione contro il quietismo. Anche negli " ambienti mistici " originariamente tali, l'accento viene posto sull'ascesi non dimenticando però di menzionare la mistica. Da qui la distinzione eccessiva tra " teologia ascetica " e " teologia mistica ". A partire da questo momento, la via ascetica e quella mistica si affermano come due vie totalmente differenti. La " contemplazione infusa " è quindi riservata soltanto a pochi. Pertanto, tutti gli altri ne sono esclusi. E qui, dunque, il principio che fonda la distinzione teologica tra la via " comune " e quella " straordinaria ". Tale visione fu diffusa soprattutto dal gesuita Scaramelli con il suo Direttorio ascetico (1753) e il suo Direttorio mistico (1754).

In questa concezione la mistica assume un carattere elitario e viene posta in una prospettiva di " straordinarietà " e di " prodigio " e spesso identificata con fenomeni eccezionali, quali la levitazione, l'estasi, le stimmate. Questo approccio insufficiente dimostra la sua debolezza nella difesa della mistica contro l'approccio medico-positivistico verso la fine del sec. XIX e l'inizio del sec. XX. Quest'ultimo prende come metro di misura proprio tali sintomi straordinari e suddivide il carattere dei diversi mistici secondo determinate sindromi.

Alla fine del sec. XIX si avverte molto forte l'influsso delle dimostrazioni che Charcot e, sulle sue tracce, Charnet danno di pazienti isterici in condizioni post-ipnotiche. Un esempio di tale influsso è l'opera di padre Hahn, s.j., che fece discutere molto e che annovera Teresa d'Avila, in ogni caso secondo i suoi fenomeni organici, sotto la " grande isteria ", benché le riconosca, per quanto attiene la sua " fisionomia morale ", " ...les plus éminentes qualitée de l'ésprit e du coeur... ".

Paolo di Tarso e Dostojewski (1881) diventano epilettici. Francesco d'Assisi è affetto da degenarazione ereditaria. La teologia della Chiesa reagisce a questo approccio positivistico ugualmente in modo positivistico dichiarando come miracoli tutti i fenomeni straordinari e descrivendoli tutti come esaltazioni delle leggi naturali. In questo modo, la mistica viene collocata nel regno di una " soprannaturalità " inumana.

All'interno dell'ambito teologico, l'acuita distinzione tra teologia mistica ed ascetica si trasforma in una rottura - e il significato dei termini si carica di controversia - dove i fautori della teologia ascetica tentano di monopolizzare il loro punto di vista e viceversa. Persino dopo la ripresa dello studio della spiritualità e della mistica all'inizio di questo secolo, si continua a parlare di teologia mistica ed ascetica in questo senso controverso del termine (F. Poulain).

Inoltre, bisogna sottolineare che la tendenza, presente anche in ambienti cristiani, di collocare la mistica nella sfera del " prodigioso ", rispondeva all'orientamento dell'Illuminismo di rinviare la mistica al campo dell'occulto e del magico, dell'irrazionale. La mistica viene a trovarsi nella sfera delle emozioni intense, dell'esperienza geniale ed eccezionale, cose riservate solamente ad una élite.

Un tale uso romantico della parola mistica è fortemente vivo in ambienti protestanti che oppongono resistenza alla mistica romantica di Schleiermacher (1834). L'avversione che Karl Barth ed Emil Brunner, per esempio, nutrono nei confronti della mistica può essere in parte ricondotta alla loro avversione per la teologia del sentimento di Schleiermacher e conseguente psicologismo. Appunto questo sentimentalismo viene qualificato come mistica da Karl Barth. La cosa strana è che le conclusioni a cui egli perviene vengono fatte valere per tutta la mistica, anche per quella cattolica. " A suo avviso, mistica è un termine che abbraccia complessivamente e senza distinzioni: i sufiti, i mistici cattolici, i devoti protestanti come Teerstegen, i credenti e i non credenti sentimentalisti assieme ai teologi del pio sentimento e del bisogno religioso ".11 Mistica si trova sotto la voce " Religione ". E " Religione " per lui è " miscredenza ". Religione e fede, a suo avviso, stanno l'una di fronte all'altra in modo contraddittorio. Per questo il termine, in Barth e nei suoi seguaci, ha una valenza negativa e richiama l'idea di superstizione, ossia la fine di ogni fede.

Sulle tracce di Barth e Brunner la mistica viene tacciata di idolatria e posta sullo stesso piano dell'alchimia, dell'occultismo e della divinazione; appartiene al dominio del serpente.12

Da parte protestante, la mistica è stata semplicemente avversata con forza, come elemento inconciliabile con il carattere di rivelazione del cristianesimo, in special modo dalle nuove scuole di " teologia evangelica ": la cosiddetta Luther-renaissance e la " teologia dialettica ". Entrambe le scuole si sono ispirate, nella loro critica e rifiuto della mistica, a A. Ritschl (1889), neokantiano, che aveva ripreso la critica canzonatoria di Kant (1804) all'indirizzo dei mistici Swedenborg (1772) e Hamman (1788). Kant aveva relegato la mistica nel campo della superstizione e della " ciarlataneria ". Ritschl combatté la mistica come teoria in conflitto con la dottrina riformata della giustificazione. Secondo lui la mistica proviene dal neoplatonismo ed appartiene alla prassi monacale cattolica. L'unione mistica avrebbe, a suo avviso, portato necessariamente al panteismo, con conseguente ridimensionamento del Vangelo e svalutazione dell'etica cristiana e al quietismo.13

Nell'ambito della Luther-renaissance fu soprattutto lo storico della Chiesa K. Holl che combattè la mistica per il suo essere in conflitto con la dottrina della giustificazione. In primo luogo, egli negò radicalmente che l'avvento della riforma di Lutero ( 1546) avesse comportato una qualsivoglia esperienza mistica. Quella di Lutero non fu l'esperienza di " un mistico che viene assalito dall'esperienza di Dio come in uno stordimento ".14 La sua concezione della mistica fu determinata dalle seguenti componenti: la repressione e la negazione dell'io, la concezione panteistica dell'uomo come frammento della Vita Totale, quindi il suo tendere all'unione con l'Infinito ed infine l'autodeificazione dell'uomo. Questi elementi sono stati presi in prestito dalla mistica del neoplatonismo e da diverse religioni orientali, come pure dalla teosofia e dalla antroposofia.

Dopo questa qualificazione negativa della mistica, Holl considera la mistica come incompatibile con la dottrina della giustificazione e, in questo modo, risolve la questione.

La nuova riflessione teologica che mise in moto la " teologia dialettica ", comportò una lotta fino all'estremo contro ogni " religione soggettiva ". Ciò significò tra l'altro una dichiarazione di guerra nei confronti della mistica. Il programma con cui bisognava sconfiggere la teologia del sec. XIX diceva: via dalla teologia dell'esperienza di Schleiermacher e ritorno ai riformatori, alla Bibbia e a Paolo.15 Durante il periodo teologico iniziale, Karl Barth considerava ogni forma di esperienza religiosa come impudenza inaudita da parte dell'uomo nei riguardi di Dio, il Creatore.16

Barth comprese la mistica come Menschengerechtigkeit e come tale doveva essere rifiutata in quanto non cristiana. Barth mise insistentemente in guardia contro questa Menschengerechtigkeit: essa " è capace di tutto, anche di autodistruzione e di autoeliminazione qualora fosse necessario (buddismo, mistica, pietismo). Non si abbassi mai la guardia di fronte a tale malinteso che ha già provveduto a lasciar fuori, all'ultimo momento, più di uno che si trovava proprio davanti alla porta della giustizia divina ".

La religione venne caratterizzata da Barth come " una audace temerarietà dell'uomo " che attenta a Dio. Un mistico era per lui una manifestazione di religione. Nella sua Kirchliche Dogmatik l'avversione per la mistica prese un posto rilevante. Rifiutò la religione e con essa anche la mistica come una delle sue gradazioni, in quanto " in se stessa contraddittoria, un'impresa per sé impossibile ".17

Quanto evidenziato da Karl Barth nella sua Römerbrief con un " florilegio di espressioni sarcastiche " contro la mistica, veniva elaborato concretamente da Friedrich Gogarten nella sua opera Die religiöse Entscheidung (1921). Egli rigettò la sintesi di Heiler tra mistica e fede e combatté la mistica fino all'estremo. Mistica e rivelazione storica si escludono a vicenda, secondo Gogarten, poiché la mistica pretende di condurre l'uomo all'eternità. La rivelazione storica, per contro, pretende di " essere essa stessa la terra santa su cui si trova l'Eterno ed è fondato il mondo, da quando è avvenuta questa rivelazione... ".18 L'immediatezza divina esiste solo nell'uomo storico Gesù di Nazaret. Mentre la rivelazione storica vede la rivelazione di Dio nel Gesù storico, il mistico invece intende da se stesso gettare un ponte che vada dall'uomo a Dio. In questo modo la mistica diventa religione. La perversione della mistica consiste per Gogarten nel non riconoscere che proprio nella conoscenza negativa di Dio non si afferma l'essere di Dio ma l'essere dell'uomo in quanto peccatore. La mistica cerca di gettare un ponte tra uomo e Dio, poiché considera il nulla come l'essere di Dio, con il quale è possibile unirsi nella misura in cui ci si annulli. Purtroppo, dice Gogarten, la mistica non vede che il nulla è proprio ciò che costituisce l'essere dell'uomo. Anche Emil Brunner si oppose, sulla linea di Barth, alla teologia dell'esperienza di Schleiermacher con il suo Die Mystik und das Wort (1924).

Secondo Brunner, l'errore fondamentale del pensiero psicologico è quello di ridurre a qualcosa di puramente personale ciò che è la Parola personale di Dio, la rivelazione vivente del Padre. Lo psicologismo della mistica consegna la Parola al dominio del soggetto religioso. Questo soggetto ritiene che, partendo dai suoi empirici stati di coscienza, si possa concludere che la Parola ne sia la causa. In tal modo, il soggettivo diventa normativo nei confronti della Parola, la quale viene assimilata completamente allo stato soggettivo. Brunner vede un legame tra lo psicologismo di Schleiermacher e la cultura dell'estasi religiosa tipica della mistica di tutti i tempi. Qui non è Dio ma l'anima umana che occupa il centro dell'interesse. Brunner predica il ritorno alla signoria della Parola spirituale oggettiva. Via tutta la mistica e tutti i tentativi di naturalizzazione dello spirito. Nessuna egemonia dello spirito soggettivo sulla Parola, ma il regno della Parola sullo spirito.

Nella " seconda edizione, molto modificata " del suo Die Mystik und das Wort Brunner scrive: " La fede cristiana, oggi come oggi, non ha più un altro avversario degno di rispetto; tuttavia la mistica resterà suo avversario fino alla fine dei tempi ".19 E, in un altro punto: " La mistica è la forma più fine e più sublime della deificazione creaturale, del paganesimo ... La mistica è un superamento vietato del limite. Essa oltrepassa il confine tra creatura e Creatore, tra tempo ed eternità, tra l'io e il Tu, tra Dio e l'anima ... La tendenza più profonda della mistica è l'autodeificazione ".20

Del resto, Friedrich Hertel rifiuta nel suo Das theologische Denken Schleiermachers untersucht la critica di Karl Barth e di Emil Brunner. Ciò che Schleiermacher chiama " pio sentimento ", non è poi così lontano dall'uso che nella teologia contemporanea si fa della parola " autocomprensione ".21

Note: 1 Cf F. Vandenbroucke, Le divorce entre théologie et mystique, in NRTh 72 (1950), 372-389; 2 Cf S. Axters, La spiritualité des Pays-Bas, Louvain-Paris 1948; 3 Cf A. Combes, Essai sur la critique de Ruysbroeck par Gerson, 3 voll., Paris 1945-1959; 4 L'autunno del Medioevo, Roma 1992, 258; 5 Cf Cathalogus librorum qui prohibentur mandato Illustrissimi et Reverendissimi D.D. Ferdinandi de Valdés Hispalensis Archiepiscopi, Inquisitionis Generalis Hispaniae..., Pinciae 1559; Tres indices expurgatoris de la Inde de la Inquisición española en el siglo XVI, Madrid 1952; 6 Cf E. Colunga, Intelectualistas y místicos en la teología española del siglo XVI, in Ciencia tomista, 9 (1914), 209-221 e 377-394; 10 (1914-15), 223-244; 7 Melchior Cano, Opera, Padova 1720, 390; 8 A. Caballero, Conquenses ilustres, II, Madrid 1871, 597; 9 Vie, t. III, 154; 10 Ibid., 156; 11 J. Peters, Geloof en mystiek. Leuven 1957, 229; 12 W. Ouwenheel, Il dominio del serpente, manuale cristiano sull'occultismo e misticismo, Amsterdam 1978; 13 Cf F.-D. Maass, Mystik im Gespräch. Materialien zur MystikDiskussion in der Katholischen und evangelischen Theologie Deutschlands nach dem ersten Weltkrieg, Würzburg 1972, 169-170; 14 K. Holl, Kleine Schriften [Hrsg. Strupperich], Tübingen 1966, 73; 15 A. Oepke, Karl Barth und die Mystik, Leipzig 1928, 6; 16 K. Barth, Der Römerbrief. Zweiter Abdruck der neuen Bearbeitung. Zürich 1923; 1947, 229; 17 Kirchliche Dogmatik, I2, München 1932, 343; 18 F. Gogarten, Die religiöse Entscheidung, Jena 1921, 63; 19 Die Mystik und das Wort. Der Gegensatz zwischen moderner Religions-auffassung und christilichen Glauben dargestellt an der Theologie Schleiermachers, Tübingen 1928, 394; 20 Ibid., 2 e 396; 21 Zürich-Stuttgart 1965, 3, 2.

Bibl. Si rimanda ai testi citati nelle note.

O. Steggink

ANTINOMIE SPIRITUALI. (inizio)

I. Il termine " antinomia " deriva dal greco antí (= contro) e nómos (= legge). Nel suo senso più generale indica la contraddizione, reale o apparente, tra due leggi o tra due principi.

Il riferimento più classico è, in ambito filosofico, alle antinomie della ragion pura elaborate da Immanuel Kant ( 1804). Egli vede nell'insorgenza di quattro coppie di proposizioni, reciprocamente esclusive e contraddittorie, la prova dell'impossibilità di pensare i fenomeni come cose in sé: 1. il mondo è limitato nel tempo e nello spazio - il mondo è illimitato nel tempo e nello spazio; 2. nel mondo tutto è semplice - nel mondo tutto è composto; 3. il divenire è libero - il divenire è necessario; 4. esiste un essere necessario - non esiste nulla di necessario.1

All'inizio del '900 il termine " antinomia " viene utilizzato prevalentemente in riferimento alle antinomie logiche e linguistiche che designano coppie di asserti contraddittori tali che sia la loro affermazione che la loro negazione implichi una contraddizione (tra le più famose: quella del mentitore, quella di Burali-Forti [1897], quella di Cantor [1899], quella di Russell [1902], quella di Richard [1905], quella di Grelling [1908], quella di Löwenheim-Skolem [1923]).

II. Nell'ambito della teologia spirituale l'uso del termine " antinomia " è più recente. Nel 1958 Karl Vladimir Truhlar pubblica il volume Antinomiae vitae spiritualis nel quale, con " novità di intuizione ",2 presenta l'" indole apparentemente paradossale e "antinomica" della vita spirituale ".3 Propone, così, sei " aspetti " della vita cristiana nei quali, come osserva nella prefazione alla traduzione italiana del 1967, sembra celarsi " un'antinomia di fondo, irriducibile " tra " i valori di natura e i valori di grazia ": 4 1. totalità del cristianesimo e debolezza del cristiano; 2. evoluzione e crocifissione delle forze umane; 3. trasformazione del mondo e fuga dal mondo; 4. " contemplativo nell'azione "; 5. coscienza del proprio valore e umiltà; 6. prudenti come serpenti e semplici come colombe (in riferimento, in particolare, alla prudenza e all'apertura d'animo in materia di apparizioni). La riflessione conduce all'affermazione di una possibile, anzi di una necessaria composizione tra questi aspetti, apparentemente antinomici, ma in realtà complementari, della vita spirituale.

Nel 1979 Tullo Goffi testimonia un'estensione del concetto di antinomia spirituale sino a comprendere i contrasti, le opposizioni, gli squilibri di cui è intessuta la vita; rilegge, così, nei termini di antinomia spirituale tutta la vita cristiana. L'antinomia è interpretata come " una partecipazione attiva al morire-risorgere del Signore " e le antinomie più specifiche della fede cristiana sono individuate nelle tensioni tra: realtà terrena e regno di Dio, storia ed escatologia, salvezza e perdizione, amore della carne e mortificazione, Parola di Dio e magistero, schiavitù e libertà in Cristo. Antinomiche sono anche: la vita della Chiesa (carisma e istituzione), l'esperienza spirituale (natura e grazia), i rapporti " complementari " tra le virtù morali, gli stati di vita (il laico: tra fede e politica; il sacerdote: tra vita secolare e dedizione apostolica; il monaco: tra maturazione personale umanistica e rinuncia monastica); il volontariato (tra iniziativa spirituale e prescrizione legale autoritativa). Per quanto riguarda la vita mistica, essa viene intesa come " iniziazione alla semplicità dell'esistenza divina trinitaria " e, in quanto cammino di semplificazione, favorisce, in particolare, il superamento dell'antinomia esistente fra le molteplici virtù.5

III. L'esperienza mistica è comunque, secondo Jan-Hendrix Walgrave, fortemente caratterizzata da quattro " antinomie " o " aporie " o " polarità ": tra perfezione umana e annichilimento in Dio; tra sapere e non-sapere; tra contemplazione interiore e attività missionaria esterna; tra sofferenza e felicità. Esse non sono, come nella prospettiva kantiana, " paradossi insolubili alla ragione teorica ", ma, in prospettiva teologica, elementi derivanti dal " carattere profondamente misterico della vita mistica ".6

IV. Valutazioni e prospettive. L'uso del termine nell'ambito della teologia spirituale appare, quindi, piuttosto vario e indeterminato. Non indica delle reali contraddizioni e, talvolta, viene applicato in maniera indifferenziata a tutti gli aspetti della vita cristiana. Ciò ha probabilmente contribuito alla sua non ampia diffusione. Lo stesso K.V. Truhlar, per esempio, non lo riprende nel suo Lessico di spiritualità del 1973.

Al di là della questione strettamente terminologica, le a. mettono, però, in evidenza aspetti fondamentali della spiritualità cristiana: la complessità, la varietà, la complementarità, l'apparente contradditorietà del mistero cristiano.

Molti sono i testi della tradizione cristiana nei quali, anche attraverso il ricorso a particolari figure retoriche (metafore, paradossi, ossimori), gli autori spirituali cercano di mettere in luce il " carattere antinomico " dell'esperienza cristiana. Si possono ricordare: Dionigi Areopagita che, nella sua Teologia mistica, introduce alla " tenebra luminosissima " della contemplazione e della unione con Dio; Nicolò Cusano che, in una prospettiva più filosofica, riflette sulla coincidenza degli opposti (coincidentia oppositorum) in Dio;7 s. Gregorio Magno che, con finezza di indagine psicologica e con profondità teologica, analizza gli aspetti antinomici e complementari delle virtù e delle molteplici situazioni della vita personale e sociale;8 s. Teresa d'Avila che, nella descrizione della sua esperienza di preghiera, è attenta all'intreccio, apparentemente antinomico, tra l'azione della grazia e la libera risposta dell'uomo;9 s. Giovanni della Croce che, nella sua analisi teologica dell'esperienza cristiana, utilizza la ricca simbologia, divenuta poi classica, della contrapposizione tra il " tutto " e il " nulla ", tra la " luce " e le " tenebre ".10 In epoca più recente, Hans Urs von Balthasar individua quattro " tensioni fondamentali " della creatura umana e spirituale che " condeterminano anche l'atto dell'ascolto contemplativo della parola nelle sue infinite dimensioni ": l'esistenza e l'essenza; la carne e lo spirito; il cielo e la terra; la croce e la risurrezione.11

Note: 1 Cf Critica della ragion pura, Dialettica trascendentale, l. II, c. 2; 2 Cf G. Dumeige, Truhlar C.V., in DSAM XV, 1337; 3 C.V. Truhlar, Antinomie della vita spirituale, Padova 1967, 6; 4 Ibid., 5; 5 Cf T. Goffi, Antinomie spirituali, in NDS, 20-30; 6 Cf J.-H. Walgrave, Teologia della grazia ed esperienza mistica nella tradizione della Chiesa cattolica, in La mistica, a cura di J.-M. van Cangh, Bologna 1992, 199-226; 7 Cf La dotta ignoranza I, IV, 11-12; Le congetture II, I, 78-79; 8 Cf Regola Pastorale, l. III; 9 Cf Vita, 16,1; 20,11.15; 29,13; 35,10; 10 Cf Salita del Monte Carmelo 1,3,1; 1,13,11-13; 11 La preghiera contemplativa, Milano 1992, c. III.

Bibl. H.U. von Balthasar, La preghiera contemplativa, Milano 1992; C. Castro Tello, La antitestis en los escritores místicos, in Revista Teológica Limense, 15 (1981), 161-180; T. Goffi, s.v., in NDS, 20-30; T. Spidlík, Ritmi e antinomie spirituali, in C. Valenziano (cura di), Spiritualità cristiana orientale, Milano 1986, 73-88; C.V. Truhlar, Antinomie della vita spirituale, Padova 1967.

A. Stercal

ANTONIETTA MEO (NENNOLINA). (inizio)

I. Vita e scritti. Il 3 luglio 1937 muore a Roma una bambina di circa sette anni: Antonietta Meo, conosciuta come Nennolina. Era nata il 15 dicembre 1930. Dotata di una natura pronta e incline al bene, trova nell'ambito familiare un clima di serenità pieno di amore che ne favorisce il rapido sviluppo della virtù.

La sua è una vita apparentemente normale di una bimba romana che a tre anni va all'asilo, a cinque è iscritta come piccolissima alla Gioventù Femminile di Azione Cattolica, a sei anni inizia la prima elementare e, intanto, diviene beniamina della Gioventù Femminile.

Ma la normalità dura poco: il 1 aprile 1936 le viene diagnosticata una sinovite al ginocchio sinistro che, ad una successiva diagnosi, si rivela sarcoma. Il 25 aprile le si amputa la gamba sinistra. Offre con piena consapevolezza tutta le sue atroci sofferenze per il Papa, i missionari e i bambini dell'Africa nera. Nel settembre del '36, torna a scuola con una protesi, ma non sa ancora scrivere; per questo chiede alla mamma di scrivere per lei delle letterine a Gesù, alla Madonna, a Dio Padre. Qualche volta deve scrivergliele la sorella più grande; di solito, però, è la mamma che a sera scrive su fogli di fortuna, fogli posti sotto la statua di Gesù così " di notte lui li avrebbe letti ".

L'amputazione della gamba della piccola non serve, però, a bloccare il tumore, perché il 24 luglio le si devono tagliare tre costole: il sarcoma ha colpito i polmoni e impedisce la respirazione alla bambina. Ma neppure questo doloroso ultimo intervento serve a guarire A. che, il 3 luglio del '37, a soli sette anni raggiunge il suo amico Gesù.

Nel dicembre del '38, il padre vuole che la gambina amputata e sepolta al Verano venga ricongiunta alla salma: dopo trentuno mesi dall'amputazione e sedici dalla morte di A., l'arto viene trovato completamente intatto. Richiuso in una cassettina è posto accanto alla cassa con il corpo.

Questo fenomeno, insieme a visioni ed estasi accertate, nonché alla predizione precisa della morte - " In clinica resterò dieci giorni meno qualcosa " - fanno pensare ad un intervento straordinario di Dio 1 nella vita di questa bimba, che rappresenta una vera e propria tipologia di esperienza mistica. Infatti, il 16 ottobre del '36 A. afferma: " Vedo la Madonna non il quadro " e nel gennaio del '37: " Io delle volte vedo Gesù " - soggiunge la mamma: " E come lo vedi? " - A.: " In croce ". Nel marzo del '37: " Ieri ho visto Gesù risorto ". Poi Gesù non si fa più vedere e A. scrive: " Caro Gesù io desidero tanto di vederti e vorrei che tutti potessero vederti allora sì che ti vorrebbero più bene " (9.4.'37).

Il 2 luglio del '37, dopo l'ultima Comunione, confida alla mamma: " L'ho veduto questa mattina quando ho fatto la Comunione ". Un giorno del maggio '37, mentre detta una delle sue letterine, A. si ferma come per incanto; la mamma la scuote e quando la piccola rientra in sé dice: " Sai ho visto Gesù nell'angolo della stanza ".

Il 2 ottobre 1942, il Centro Nazionale della Gioventù Femminile dell'Azione Cattolica Italiana si costituisce promotore della causa di beatificazione. Dopo che l'eroicità delle virtù viene accertata dal processo diocesano di beatificazione, nel 1981 la causa passa a Roma.

Ci sono pervenute 158 Letterine, di cui sette autografe, ma molte altre, e non si sa quante, sono andate perdute perché non si dava importanza alla cosa. Sono fatte di pensieri staccati e spesso sgrammaticati come quelli dei bambini. Eppure dietro queste parole così semplici che rivelano un dialogo d'amore con le divine Persone, dietro l'incerta grammatica e il dettato spoglio ed elementare, s'intravede, come in filigrana, l'intensità di un amore che è conoscenza esperienziale e che fa, quindi, pensare subito alle parole di Gesù: " Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli " (Mt 11,25). Padre Garrigou-Lagrange così si è espresso circa l'esperienza mistica di A.: " Lo studio che ho fatto della vita di questa fanciulla eroica mi ha condotto alle stesse conclusioni del Rev.mo P. Gemelli e del Rev.mo P. Pierotti ".2

II. L'esperienza interiore che si può evincere dai pochi scritti di A. ne evidenzia alcuni tratti caratteristici: 1. La consapevolezza della figliolanza divina: " Caro Dio Padre d_' a Gesù che sono molto contenta di riceverlo e dille anche che quando scriverò a lui lo sentirà in tutte le letterine che lo desidero " (21.11.'36); " Caro Dio Padre sono molto contenta che domani devo confessarmi per la prima volta e tu perdonami caro Dio Padre sono molto contenta e ti ringrazio " (28.11.'36); " Caro Dio Padre che bel nome Padre: lo voglio nominare con tanto rispetto; vedo che quando lo nomino non lo nomino con tanto rispetto come si dovrebbe nominare. Caro Dio Padre io ti chiedo perdono di tutti questi peccati che ho fatto " (4.2.'37); " Caro Dio Padre mi ha detto la mamma che domani si riunisce della gente che si vogliono chiamare senza Dio: che brutto nome! Dio c'è anche per quelli che non lo vogliono; tu falli convertire e mandagli la tua grazia "; " Caro Gesù io domani farò la Comunione in riparazione di tutti i peccati di questi uomini che si vogliono chiamare senza Dio " (6.2.'37).

2. L'unione 3 con Gesù: " Caro Gesù oggi ho preso lodevole e spero di prenderne molti perché voglio diventare la prima della classe per far piacere a te e per far piacere anche alla Madonnina. Vorrei far piacere anche alla maestra che le voglio bene però più bene lo voglio a te " (23.10.'36); " Caro Gesù lo so che hai sofferto tanto sulla croce ma io sarò buona per farti sentire meno dolore " (29.10.'36); " Caro Gesù... io voglio essere la tua lampada non starò sempre con la persona vicino a te ma col pensiero e penserò sempre sempre a te " (6.12.'36); " Carissimo Gesù Eucaristia saluti carezze caro Gesù e baci. Non vedo l'ora di riceverti nel mio cuore per amarti di più " (23.12.'36); " Caro Gesù domani quando sarai nel mio cuore fai conto che la mia anima fosse una mela. E come nella mela ci stanno i semi dentro alla mia anima fai che ci sia un armadietto e come sotto alla buccia nera dei semi ci sta dentro il seme bianco così fa che dentro all'armadietto ci sia la tua grazia che sarebbe come il seme bianco " (10.2.'37) e alla mamma che le chiedeva se la maestra le avesse fatto vedere una mela per spiegarlo lei rispose: " Non me lo ha detto la maestra, l'ho pensato io "; " Caro Gesù imparami prima a fare il mio dovere per potere poi fare i sacrifici " (10.2.'37); " Caro Gesù io voglio stare sempre nel tuo cuore rinchiusa voglio stare sempre con te " (14.3.'37); " Caro Gesù io voglio fare quello che tu vuoi io mi voglio abbandonare nelle tue mani o Gesù " (30.3.'37); " Caro Gesù io mi voglio fare santa, ma tu aiutami perché senza il tuo aiuto non posso far niente " (14.4.'37); " Caro Gesù dì a Dio Padre che mi voglio abbandonare nelle sue braccia e anche nelle tue per venire sicura in paradiso " (25.?.'37).

3. L'inabitazione trinitaria:4 " Caro Spirito Santo tu che sei l'amore del Padre e del Figlio illumina il mio cuore e la mia anima e benedicimi caro Spirito Santo; io ti voglio tanto tanto bene caro Spirito Santo: quando io farò la cresima tu dammi tutti i tuoi sette doni " (29.1.'37); " Caro Spirito Santo: tu, che sei Spirito d'amore, infiamma il mio cuore di amore per Gesù " (4.2.'37); " Caro Spirito Santo: tu che sei l'Amore che unisce il Padre al Figlio unisci anche me alla SS.ma Trinità " (26.4.'37).

4. Il ruolo della Madonna: " Cara Madonnina ti voglio tanto bene. tu che sei tanto buona, tu che sei la mamma del mondo di tutti gli uomini buoni e cattivi " (15.10.'36); " Caro Gesù io vorrei riceverti dalle mani della tua cara mammina perché sarei più degna di riceverti " (25.10.'36); " Cara Madonnina io ti voglio tanto bene e tu dì a Gesù che mi perdoni perché in chiesa non sono stata tanto ferma " (8.12.'36); " Cara Madonnina domani aiutami a fare una buona confessione e fa che tutti i peccati mi vengano in mente " (17.3.'37).

5. Preghiera e sofferenza riparatrice. Nel febbraio del '36 A. non vuole fare le iniezioni di calcio. La mamma le dice: " L'ha detto il professore, quindi non si discute " e aggiunge: " Tu che ami tanto Gesù se pensassi a quello che ha sofferto quando gli misero la corona di spine e i chiodi sapresti sopportare questo dolore e offrirlo a lui ". Da quel momento la piccola non pianse più e per non piangere rideva e cantava, ma il suo era un canto forzato. " Caro Gesù dammi delle anime te le chiedo perché tu le faccia buone e con le mie mortificazioni le farò diventare buone " (12.11.'36); " Caro Dio Padre io so che il tuo Figliolo ha sofferto tanto ma digli che io per riparare i peccati nostri farò tanti sacrifici " (23.11.'36); " Caro Gesù io so che ti fanno tante offese: io voglio riparare tutte queste offese... Caro Gesù se tu fossi un uomo come noi e ti chiudessi dentro una casa non sentiresti le offese che ti fanno e così potresti venire nel mio cuore e restare chiuso con me e io ti farò tanti sacrifici e ti dirò qualche parolina per consolarti " (10.2.'37); " Caro Gesù offro tutti i miei sacrifici in riparazione dei peccati che faranno i peccatori " (9.4.'37); " Caro Gesù crocifisso io ti voglio tanto bene e ti amo tanto io voglio stare sul calvario con te e soffro con gioia perché so di stare sul calvario. Caro Gesù io ti ringrazio perché mi hai mandato questa malattia perché è un mezzo per arrivare in paradiso. Caro Gesù dì a Dio Padre che amo tanto anche lui... Caro Gesù dammi la forza necessaria per sopportare i dolori che ti offro per i peccatori... Caro Gesù dì alla Madonnina che l'amo tanto e voglio stare insieme a lei sul calvario perché io voglio essere la tua vittima d'amore caro Gesù " (2.6.'37).

Quelle di A. non erano solo parole. Difatti, due giorni prima di morire disse al padre: " Durante il giorno delle volte mi faccio mettere sulla ferita e vi premo sopra per sentire più dolore e offrirlo a Gesù ". Il 12 giugno del '37 disse alla madre: " Io in paradiso non mi divertirò voglio lavorare per le anime " - " Già - le rispose la madre - come santa Teresina che promise una pioggia di rose "... E la piccola guardando nel vuoto, aggiunse: " Io farò scendere una pioggia di gigli ".

Nell'ora della dolorosa medicazione: " Oggi vado a fare la missionaria in Africa ". " Caro Gesù ti ringrazio che hai fatto smettere la guerra con l'Africa; fa smettere anche quella con la Spagna " (23.8.'36).

6. Senso del peccato: " Caro Gesù Eucaristia ti voglio tanto bene ma oggi ho detto una bugia e io vorrei essere perdonata e te lo chiedo con tutto il cuore perché io sento un grande dolore " (6.9.'36); " Caro Gesù fammi morire prima che possa commettere un peccato mortale almeno potrò venire in paradiso nella gloria degli angeli e dei santi " (8.11.'36); " Caro Gesù bambino mi pento con tutto il cuore del capriccio che ho fatto e ti chiedo perdono con tutto il cuore e domani farò tanti piccoli sacrifici per riparare " (9.12.'36).

Un giorno è seduta accanto alla mamma e dice: " Brutto non voglio darti retta vorresti che disobbedissi alla mamma no io voglio essere buona " - e la mamma: " Che hai? " - e lei: " Il demonio mi dice vai a giocare con l'acqua, ma io voglio obbedirti e voglio così far piacere a Gesù e alla Madonnina ".

Si potrebbe continuare all'infinito con citazioni del genere, ma basta dire con il salmista che con la bocca dei bimbi e dei lattanti Dio afferma la sua potenza (8,3). Sono parole semplici, quelle di A., che ripetono con una freschezza e un'intensità uniche verità evidenti, ma antiche come: l'inabitazione di Dio, la figliolanza divina, l'azione della grazia nel cuore dell'uomo, la pace coniugata con l'innocenza, la sofferenza unita alla speranza, insomma l'amore che è fiducia nel suo Gesù. Sono, dunque, parole tenere, quelle di A., voce di tutti i bambini, che attirano l'attenzione del Cristo e che svelano la loro dote fondamentale, quella della fiducia destinata a diventare emblema dei figli di Dio. A. proprio a questo titolo si abbandona a Dio Padre, vedendolo come una sorgente d'amore da cui attinge una forza vitale per crescere nell'amore e sperare quando il male l'aggredisce.

Quella di A. è una luminosa testimonianza di adesione a Dio che abbraccia il breve arco della sua esistenza: dall'uscita dal grembo materno all'ingresso nel grembo di Dio, passaggio verso la vita eterna in paradiso. Tutto l'essere di A., come si può intuire dalle sue stesse parole, è un gioco d'amore, una danza di gioia insieme al suo caro Gesù. In questo divino abbraccio anche il suo dolore si trasfigura e diventa una via d'amore: la sua anima si perfeziona sotto la stretta della sofferenza che è come la dolce rugiada primaverile che fa sbocciare fiori meravigliosi dai mille colori. Il dolore è come un crogiuolo che purifica dalle scorie; è una sorta di liberazione che prelude a gioie pure. Il peccato di cui parla A. è espressione di un godimento immediato ma fragile e caduco; la sofferenza ne è quasi l'espiazione, ossia la salvezza per poter accedere alla pace e alla gioia di Dio. In questa pace dello spirito, pur nella straziante sofferenza, A. ritrova la totalità della donazione di sé come vittima d'amore, o per dirla con sue parole, come missionaria, per la salvezza degli uomini. E questo avviene perché Dio stesso ha bevuto a quel calice amaro e l'ha assaporato attraverso il suo amato Figlio. Proprio perché Cristo scende nella creaturalità debole e fragile di A., la sofferenza di quest'ultima toglie il peccato dal mondo. Il mistero della sofferenza di A. resta un mistero: s'accende come un bagliore e divampa come un incendio benefico per gli altri, ma per chi lo vive in prima persona è come bere fino in fondo tutta l'amarezza del mondo.

Come il sole o l'acqua, la semplicità di A. non conosce clamori, non percorre vie sofisticate, non dispera, anzi è gioia e speranza a un tempo, ma soprattutto è riposo sereno e tranquillo nel grembo di Dio Trinità d'amore, come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, per amare ora e per l'eternità. La forza di A. è stata proprio nell'aver conservato questo spirito d' infanzia spirituale, esaltato dal salmista (cf Sal 130,2-3). Non per nulla Gesù ha scelto come emblema del suo discepolo il bambino: " Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli " (Mt 18,3).

A Qumran un membro della comunità essena celebrava così il Signore: " Tu hai esultato su di essi come una mamma sul suo bambino ",5 perché " tu sei un padre per tutti i tuoi figli fedeli ".6 Essere bambini semplici e trasparenti, come nel caso di A. è certamente dono di Dio, ma è altresì frutto di una ricerca spirituale, per raggiungere Dio, il Semplice perfettissimo. E per questo motivo che la trasparenza interiore di A. le permette di individuare il nodo d'oro che riunisce i frammenti di una vita semplice ed insignificante in una meravigliosa armonia che è l'ultimo traguardo di una forte esperienza interiore. Questa s'innesta nell'esperienza storica della comunione con Dio nella grazia, durante l'esistenza terrena di questa normale bambina. Nel più profondo della sua umana fragilità la grazia divina penetra per alimentare quella scintilla di eternità, che è dialogo d'amore tra Dio Padre e la sua amata creatura. Questo seme divino coltivato dallo Spirito divino nella realtà umana di questa bambina evidenzia, altresì, il passaggio del Figlio incarnato all'interno della sua breve ma intensa esistenza terrena, un passaggio esplosivo per manifestare che egli è il Dio vivente. La speranza di cui parla A., perciò, è innestata già nel presente, cioè nell'attuale comunione di vita con Dio Trinità d'amore. Sperare per A. significa, allora, affidarsi alle mani di Dio. Ed è questo che rende la sua vita un capolavoro di bellezza, nonostante la modestia della sua vita esteriore. L'essere bambina privilegiata da Dio, infatti, più che esaltare la sua purezza vuole sottolineare la dimensione della fiducia senza esitazioni verso il suo amato Signore e Dio. Il segreto di A., o per meglio dire, la sua vocazione è quella di tradurre tale fiducia in fedeltà nelle piccole cose, facendo della sua vita un continuo atto d'amore.

Note: 1 " [Nel caso di Antonietta Meo] è evidente che è intervenuta l'opera di Dio. Solo così si spiegano le frasi, i giochi, gli atteggiamenti di vita di Nennolina ", scrive padre Agostino Gemelli nella Prefazione a P. Pierotti, Le Letterine di Nennolina, Milano 1951, 6; 2 R. Garrigou-Lagrange, Lettera alla Presidente Centrale della G.F di A.C.I.: 23.6.1951; 3 " E manifestamente straordinaria la grazia di una unione trasformante (...) concessa fin dall'infanzia a certi santi, all'età di sei o sette anni ", scrive R. Garrigou-Lagrange in Perfezione cristiana e contemplazione, Torino 1933, 257; 4 A proposito dell'inabitazione trinitaria in Nennolina, così si esprime A. Dagnino: " Per coloro che ancora fossero increduli sulla praticità-applicabilità della sublime dottrina [di Giovanni della Croce sull'inabitazione di Dio nell'anima]..., riportiamo un documento di grande valore teologico-mistico: lo togliamo da una lettera di una bambina di sei anni [Nennolina] indirizzata alla SS.ma Trinità: " Padre! ", scrive, " che bel nome! Lo voglio ripetere: Padre! Che bel nome! " in La vita cristiana o il mistero pasquale, Cinisello Balsamo (MI) 19735, 167, nota 4; 5 Inni IX, 36; 6 Ibid., 35.

Bibl. G. Bella, s.v., in BS (Prima Appendice), 903-904; M. Calbucci, Nennolina: bambina romana, Firenze 1938; L. Ciccone, Un esempio di santità: Nennolina Meo, in Presenza pastorale, 65 (1995)3, 97-110; A.G. Piazza, Un beau lis brillant, in Les Annales de Lisieux, maggio 1952, 12-17; P. Pierotti, Le Letterine di Nennolina, Milano 1951; A. Rossi, Antonietta Meo (Nennolina). Studio biografico dai documenti del processo canonico, Piacenza 1986.

L. Borriello

ANTONIO ABATE (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Da un consistente ramo della tradizione è ritenuto fondatore dell'anacoretismo e " primo monaco ". Nato nel 251, si dà, attorno ai vent'anni, alla vita ascetica, prima in un villaggio, poi in una tomba, poi in pieno deserto. In un secondo tempo, attorno alla sua persona sorge un sistema di piccoli monasteri. Più tardi, si sposta verso il Mar Rosso, nel luogo dove sorge tuttora il monastero a lui dedicato e dove egli muore nel 355 ca. A lui stesso è attribuito un corpus di lettere (PG 40, 977-1000), il cui originale è perduto, tramandato in georgiano, latino e, parzialmente, in copto e siriaco; un corpus di venti lettere è tramandato in arabo. Inoltre, a lui sono attribuiti una lettera a Teodoro di Tabennesi, una serie di Regole e una ventina di sermoni. Sembrano autentici solo il corpus di sette lettere e la lettera a Teodoro.

II. Nella tradizione spirituale. Di grande valore spirituale è la Vita di Antonio scritta da sant'Atanasio (PG 26, 835-978), che può essere considerata come uno dei primi trattati di ascetica. Dopo che il primo ideale di santità fu il martirio, la Vita di Antonio ci presenta una certa sostituzione del martirio, il " martirio della coscienza ".

Si possono indicare le caratteristiche principali di questo nuovo tipo di santità. 1. A. appare come " uomo di Dio ". E una diretta conseguenza della teologia di Atanasio: Dio si è fatto uomo affinché l'uomo diventasse divino. 2. La divinizzazione dell'uomo è la vita " secondo natura ", ma nel senso cristiano, cioè secondo lo stato della prima creazione. La vita monastica permette di far ritorno al paradiso. 3. La " natura " si può esprimere per mezzo di principi generali. Anche nella vita spirituale, quindi, si cominciano a formulare direttive generalmente valide. 4. Il ritorno alla natura vera, divinizzata, suppone una lotta contro il peccato e le sue conseguenze e contro il diavolo stesso. Però A. esce da questo combattimento spirituale vittorioso. Il suo volto irraggia " l'apatheia ", liberazione da tutto ciò che turba il cuore. 5. L'uomo unito a Dio purifica anche il mondo, vince i " demoni dell'aria ", anche il cosmo obbedisce all'uomo di Dio (miracoli, obbedivano a lui perfino gli animali selvaggi).

La vita dell'" uomo di Dio " non si concilia con quella degli " uomini del mondo ", perciò A. sceglie come sua dimora la solitudine. La Vita descrive quattro fughe successive: 1. dalle passioni del mondo - la ricompensa è l'apatheia; 2. dai pensieri malvagi - il premio è la preghiera continua; 3. dal commercio inutile con gli uomini - ne segue la paternità spirituale di quelli che cercano Dio; 4. dalla vanagloria causata dalla fama dei miracoli - in ricompensa è rivelata ad A. l'ora della sua morte, segno, questo, di predestinazione alla salvezza.

Tradotta presto in tutte le lingue dell'antichità cristiana, la Vita di Antonio fu per lunghi secoli manuale di vita monastica, non solo solitaria, ma anche cenobitica.

Bibl. G. Bardy, s.v., in DSAM I, 702-708; L. Bouyer, Vita di Antonio, Milano 1974; Id., Antonio Abate, in L. Dattrino - P. Tamburrino (cura di), La spiritualità dei Padri, 3B, Bologna 1986, 25ss.; L. Dattrino, Il primo monachesimo, Roma 1984, 16ss.; G. Garitte, Lettres de S. Antoine. Version georgienne et fragments coptes, Louvain 1955; J. Gribomont, s.v., in DIP I, 700-703; Melchiorre di Santa Maria, s.v., in DES I, 171; B. Steidle (ed.), Antonius Magnus Eremita, Roma 1956.

T. Spidlík

ANTONIO DELLO SPIRITO SANTO. (inizio)

I. Vita e opere. A. nasce il 20 giugno 1618 a Montemor o Velho, diocesi di Coimbra, in Portogallo, da Jerónimo Soares Carraca e Felipa Gaspar. Veste l'abito dei Carmelitani scalzi nel convento di Lisbona il 26 maggio 1635 ed emette i voti religiosi l'anno seguente, il 29 maggio 1636. Studia arti a Figueiro e teologia a Coimbra. Nel 1648 chiede di ritirarsi nell'eremo di Bussaco, ma viene invece nominato professore di teologia morale a Viana do Castelo, dove insegna per dodici anni. E eletto definitore provinciale della provincia portoghese e dal 1668 al 1670 è definitore generale della Congregazione di Spagna dei carmelitani scalzi. Nel 1670 diviene priore del convento di Lisbona. Nel 1672 è designato dal re Pietro II di Portogallo vescovo del Congo, nomina confermata dalla Curia romana il 14 novembre 1672. Riceve la consacrazione episcopale a Lisbona l'8 gennaio 1673, si imbarca il 16 luglio seguente e prende possesso della sua diocesi l'11 dicembre. Indebolito dalle fatiche del viaggio, si ammala e muore il 12 o, secondo altri, il 27 gennaio 1674.

La sua produzione letteraria, riflette gli interessi coltivati durante gli anni di insegnamento. Nel 1661 vede la luce a Lione il Directorium regularium, cui seguono Consulta varia, theologica, iuridica et regularia pro conscientiarum instructione (Lione 1671) e il Directorium confessariorum (Lione 1671). Prende parte, in difesa della tradizione dell'Ordine, alla controversia circa la paternità eliana del Carmelo, che si agita fortemente in quegli anni, con l'opera intitolata Primatus sive principatus Eliae, che ha due edizioni contemporanee a Lisbona e a Lione nel 1671.

L'opera cui deve la sua fama è il manuale di teologia mistica che inizia a scrivere nel 1670 su commissione del Capitolo generale celebrato in quell'anno a Pastrana, nell'ambito di una politica tendente a dotare le case di studio dell'Ordine di una serie di strumenti che possano servire come testi di riferimento. Alla fine del 1671 la stesura è terminata e all'inizio del 1673 l'opera è pronta per la stampa, avendo ottenuto i necessari permessi delle diverse censure. Essa, però, vede la luce solo nel 1676 a Lione con il titolo: Directorium mysticum, in quo tres difficillimae viae, scilicet purgativa, illuminativa et unitiva undique illucidantur.

II. Dottrina mistica. Il manuale di A. è una delle principali opere sistematiche di mistica apparse nella seconda metà del sec. XVII. I quattro trattati di cui è composto sviluppano successivamente le questioni relative alla teologia mistica in generale ed alle tre vie classiche, purgativa, illuminativa ed unitiva, che corrispondono ai tre gradi di principianti, proficienti e perfetti. Sue fonti di ispirazione sono la dottrina di Teresa di Gesù e di Giovanni della Croce; utilizza, inoltre, gli scritti di Giovanni di Gesù Maria, Tommaso di Gesù e José de Jesús María Quiroga ( 1628). Particolare predilezione dimostra per la Summa Theologiae Mysticae di Filippo della SS.ma Trinità e per le opere del domenicano Tomás de Vallgornera ( 1675).

Assieme a Filippo della Trinità, A. afferma che la meditazione ha come termine e fine intrinseco la contemplazione, per cui i principianti non devono limitarsi a meditare, ma piuttosto aspirare alla contemplazione soprannaturale. Nel cammino spirituale, il soggetto passa dalla ricerca intellettiva all'operazione quieta del giudizio pratico, cioè allo sguardo di fede semplice e generale - preludio all'illuminazione divina -, la quale avviene quando egli ha posto fine ad ogni attività discorsiva. L'uomo ha, comunque, bisogno di disporsi a ricevere la luce divina rimuovendo i due ostacoli principali che vi si oppongono: le forme e le rappresentazioni di oggetti naturali e sensibili e l'operazione attiva e discorsiva dell'intelligenza. Questo processo di semplificazione altro non è se non il semplice sguardo di fede. In ogni caso, la contemplazione resta un dono gratuito che Dio accorda a chi vuole, concedendola a volte agli imperfetti e negandola ai perfetti.

Bibl. Opere: Anastasius a Sancto Paulo, Cursus theologiae mystico-scolasticae... auctor P. Fr. A. a Sp. S., t. I, Brugis 1924, App., 187-288. Studi: G. Beltran i Larroya, Catálogo de los superiores generales del Carmen descalzo (1600-1875), Roma 1995, 33; Bibliotheca carmelitico-lusitana, historica, critica, chronologica excudebat J.G. Salomonius, Romae 1754, 28-30; Crisógono de Jesús Sacramentado, La escuela mística carmelitana, Madrid-Avila 1930, 188-189; David do Coração de Jesus, A reforma teresiana em Portugal, Lisboa 1962, 209-210; F. De Almeida, História da Igreja em Portugal, III2, Coímbra 1915, 994; Elisée de la Nativité, s.v., in DSAM I, 717-718; Gabriel de Sainte Marie-Madeleine, L'École d'oraison carmélitaine, in ÉtCarm 17 (1932)II, 30-31; Id., École mystique thérésienne (Carmes déchaussés), in DSAM II, 176-177, 186; Giovanna della Croce, Der Karmel und seine mystische Schule, in JMT 8 (1962), 82-85; R. Ritzler - P. Serfin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, V, Patavii 1952, 168-169; Silverio de santa Teresa, Historia del Carmen descalzo en España, Portugal y América, X, Burgos 1942, 665-666; Simeone della Sacra Famiglia, Panorama storico-bibliografico degli autori spirituali teresiani, in Archivum Bibliographicum Carmelitanum, 12 (1970), 46*-47*; Id., s.v., in DES I, 174-175.

S. Giordano

ANTONIO DI PADOVA (santo). (inizio)

I. Cenni biografici e scritti. Fernando, nato a Lisbona nel 1195 dalla nobile famiglia dei Buglioni, nel 1210 diventa monaco tra i canonici agostiniani, dove poi viene consacrato sacerdote, ma nel 1220 passa tra i frati minori prendendo il nome di Antonio.

Svanito il tentativo di vita missionaria in Marocco, approda ad Assisi dove assiste al capitolo delle stuoie (Pentecoste 1221). Dopo un breve periodo di solitudine nell'eremo di Montepaolo (Forlì), dà inizio all'attività di predicatore, che si estende a tutta l'Italia settentrionale e alla Francia, combattendo energicamente gli eretici (catari, patarini, albigesi) e meritandosi il titolo di " martello degli eretici ".

Fra il 12231224, con l'approvazione di s. Francesco, inaugura lo studio teologico di Bologna. In qualità di lettore pubblico insegna anche in Francia a Montpellier, Tolosa e Puy-Valay. E custode a Limoge in Francia (12261227) e poi ministro provinciale in Italia tra il 1227 e il 1230. Muore all'Arcella, alla periferia di Padova, il 13 giugno 1231. Viene canonizzato da Gregorio IX l'anno successivo (30 maggio 1232) ed è dichiarato Dottore universale della Chiesa da Pio XII il 16 gennaio 1946.

I biografi antichi di A., preoccupati di registrare più i fatti esterni della sua vita che le intime disposizioni del suo spirito, ci rivelano poco dei mistici rapporti che intercorrevano tra A. e il suo Signore. Tuttavia, pur dando la precedenza alle sue attività di predicatore e di taumaturgo, non tralasciano di accennare alla sua eroica santità e alle sue estasi e visioni. Ma è soprattutto attraverso i suoi scritti che traspare il suo culto pieno di fede, di tenerezza e di entusiasmo verso l'Eucaristia, il Bambino Gesù, il Crocifisso, il s. Cuore e la Vergine Maria.

Il desiderio del martirio che spinge A. sulla via del Marocco, la vita contemplativa coltivata negli eremi di Olivares, di Montepaolo, di Camposampiero e lo zelo ardente con cui si dedica alla predicazione per la salvezza delle anime e per la difesa degli oppressi testimoniano in A. un animo totalmente infiammato dalla carità divina. E, al momento della morte, il suo cantare l'inno mariano " O gloriosa Domina " e l'esclamazione " Vedo il mio Signore " sono un'altra conferma dello spessore mistico della sua vita. Del resto, il modo con cui parla della vita mistica nei suoi scritti lascia intendere che attinge non solo dagli autori, ma anche dalla propria esperienza di vita. Nei suoi scritti si sente vibrare il mistico, ardere il fuoco di un desiderio che è il fuoco dell'amore del prossimo nel desiderio di travolgerlo nell'amore di Dio.

Gli scritti sicuramente autentici del santo sono i Sermones dominicales e i Sermones in solemnitatibus Sanctorum. Un'edizione critica di questi sermoni, con il titolo di Sermones dominicales et festivi è stata pubblicata nel 1979 a Padova a cura di B. Costa, L. Frasson, G. Luisetto, in tre volumi. E dubbia l'attribuzione dell'Expositio in psalmos (278 parafrasi e disquisizioni sui 150 salmi).

II. Teologia mistica. Nei Sermones di A. invano si cercherebbe un'esposizione sistematica della sua dottrina mistica; eppure è possibile trovarvi i contenuti sufficienti per una ricostruzione organica di tale dottrina. Per questo motivo, gli studiosi riconoscono al Dottore evangelico anche il titolo di scrittore mistico.

Secondo l'invito rivoltogli da s. Francesco, A. insegna teologia ai frati leggendo e commentando la Bibbia, così come viene proposta dalla liturgia, allo scopo di " consolare ed edificare " i frati allo " spirito di orazione e devozione " e aiutarli nella predicazione ai fedeli, perciò, nello spirito di Francesco, A. mira a una predicazione che porti alla " penitenza ", al rinnovamento della vita cristiana.

Tra i vari sensi spirituali della Bibbia, in A. l'interesse centrale è per il senso morale. E la sua tendenziale totalità all'esegesi morale ha rapporto con la totalità che nell'animo di A. ha la carica apostolica e missionaria. La totalità biblica dei Sermones corrisponde alla totalità predicante di A. che, in questo senso, non può non essere francescano.

Nei confronti con la teologia monastica, A. afferma una concezione diversa del divino, quindi, un diverso modello di santità: considera la pienezza cristiana come realtà non più extra-storica, ma intra-storica. Non più solo Dio (come tendenzialmente è la cultura monastica), ma il prossimo è l'oggetto della considerazione biblica e teologica di A.: " Ascendite ad contemplandum quam suavis sit Dominus, descendite ad sublevandum, ad consulendum, quia his indiget proximus ".1

L'uso che A. fa della Bibbia rivela la sua originalità culturale e spirituale: entro la riduzione scolastica e clericale, A. riesce a dare voce a nuove esigenze, a mantenere uno spazio di novità, a coprirla del suo zelo per Dio e della sua passione per il prossimo. Forse A. è il primo a realizzare una predicazione non-monastica così alta, per cui la contemplatio consiste nel gustare Dio, nel consolare il prossimo e nel perdersi nella croce. In ciò è evidente l'influsso di Francesco d'Assisi.

La lettura morale della Bibbia per A. non è solo la ricerca di una classificazione degli atti come buoni o come cattivi, ma è soprattutto formazione dell'uomo interiore. I termini " forma, informare, informazione " percorrono con insistenza tutta la raccolta dei Sermones.

La forma per eccellenza, che il penitente deve assumere, è quella di Cristo, perciò il tema di Cristo, e più precisamente l'umanità di Cristo (le sue virtù), emerge nei Sermones. L'anima contemplativa è rapita dalla conoscenza della santa umanità di Cristo, " aurea urna " nella quale si contempla la " manna della divinità ", e, in ragione di questa conoscenza, l'anima si sente infiammata d'amore per la persona di Cristo. E per un movimento convergente che il penitente assume la forma di Cristo: il penitente si offre vittima al Dio crocifisso, e questi segna il cuore del penitente con la stessa croce.2 Questa possibilità di immedesimazione cristica è opera dello Spirito di Dio.3 Il cristiano è veramente un altro Cristo, il cui spirito è lo stesso Spirito di Cristo; così " risplendeat et facies animae nostrae sicut sol, ut quod videmus fide, clarescat in opere; et bonum, quod discernimus intus, discretionis virtute foris exequamur in actionis puritate; et quod gustamus de Dei contemplatione, calore ferveat in proximi dilectione ".4

L'essenza della perfezione cristiana è posta da A. nell'adempimento del duplice precetto della carità. L'uomo perfetto è il " vir caritativus... qui de solo igne caritatis vivit ".

A sua volta la perfezione della carità sfocia nella contemplazione come nel suo vertice connaturale. Quando A. usa il termine " contemplazione " nel suo significato rigoroso per indicare lo stato mistico, intende con esso la cognizione semplice ed amante, la " sapienza " o gustazione saporosa di Dio e delle cose divine, prodotta da Dio stesso nell'anima del giusto.

Oggetto della contemplazione è Dio stesso nel mistero della SS.ma Trinità e nelle sue opere ad extra, e Gesù Cristo nella sua umanità santa. La contemplazione mistica comprende atti intellettivi e affettivi. In quanto atto dell'intelligenza, non è un processo dialettico, ma una visione repentina, intuito unitario, semplice sguardo o intuito di Dio e delle cose divine; e in quanto atto della volontà è saporosa gustazione di Dio e delle cose divine.

Seguendo Riccardo di S. Vittore, A. ammette due principali gradi di contemplazione: la mentis elevatio che si avvera quando industria umana e grazia speciale concorrono insieme a far sì che la mente, senza perdere totalmente il contatto con le cose presenti, sia trasferita in uno stato che supera le possibilità puramente umane. La mentis alienatio è la forma superiore di contemplazione, che si avvera quando, unicamente in forza della grazia divina, il giusto perde l'avvertenza delle cose presenti ed entra in uno stato estraneo ed inaccessibile all'industria umana: conoscenza e amore che soltanto Dio produce nell'anima.

Pure affermando la gratuità della contemplazione mistica, A. ribadisce che ad essa tutti sono chiamati; la sua rarità di fatto è dovuta all'impreparazione dell'anima ad accoglierla. La pratica delle virtù evangeliche e soprattutto l'amore dispongono ad accogliere il dono del Signore. L'amore è necessario come fonte di elevazione e la contemplazione, a sua volta, compie la perfezione morale; ma è la grazia a portare a compimento la trasformazione dell'uomo giusto. Dall'intimità con Dio, l'anima esce rifatta, riportando in sé i riverberi della bellezza divina. La contemplazione produce il candore, l'aumento delle virtù e delle opere meritorie, l'agilità sempre crescente dello spirito, l'abbandono fiducioso in Dio.

Lo stato dei perfetti non si risolve né nella sola azione né nella sola contemplazione, ma nella conciliazione dell'una e dell'altra, che a vicenda si influenzano.

Prima ancora di s. Giovanni della Croce, A. parla di una notte dell'anima, non cercata, ma da essa sopportata come preparazione alla contemplazione.

Note: 1 Sermones, I, 90; 2 Cf Ibid., I, 48,130,147,154-155; 3 Ibid., 328; 4 Ibid., 96.

Bibl. Le più antiche Leggende hanno avuto varie edizioni; attualmente si possono trovare in Fonti agiografiche antoniane, tr. a cura di V. Gamboso, I: Vita prima di S. Antonio o Assidua; II: Giuliano da Spira: Officio ritmico e vita secunda; III: Vita del Dialogus e Benignitas, Padova 1981-1986. Tra le biografie più recenti segnaliamo: S. Clasen, Sant'Antonio, Dottore evangelico, Padova 1963; V. Gamboso, La personalità di s. Antonio di Padova, Padova 1980; A.F. Pavanello, S. Antonio di Padova, Padova 19856; Studi: Aa. Vv., S. Antonio di Padova dottore evangelico, Padova 1946; Aa.Vv., S. Antonio dottore della Chiesa. Atti delle settimane antoniane tenute a Roma e a Padova nel 1946, Città del Vaticano 1947; Aa.Vv. Le fonti e la teologia dei sermoni antoniani, Padova 1982; A. Blasucci, La teologia mistica di s. Antonio, in Aa.Vv. S. Antonio dottore della Chiesa, o.c., 195-222; J. Heerinckk, S. Antonius Patavinus auctor mysticus, in Ant 7 (1932), 39-76, 167-200; T. Lombardi, Il Dottore evangelico, Padova 1978; L. Meyer, De contemplationis notione in sermonibus s. Antonii Patavini, in Ant 6 (1931), 361-380.

R. Barbariga

ANTROPOCENTRISMO -ANTROPOMORFISMO. (inizio)

Premessa. L'esperienza mistica è dovuta fondamentalmente non alla nostra ascesi, ma alla autocomunicazione di Dio nello Spirito di Cristo all'anima. Lo Spirito comunica tale esperienza in forme varie attingendo dall'inesauribile ricchezza dei suoi carismi. Egli la offre armonizzata sull'essere socio-caratteriale della persona che eleva allo stato mistico, perché ama rispettare la configurazione personale del soggetto beneficiato: s'immedesima con il suo stato umile valorizzandolo nel suo essere specifico. Ne è testimonianza lo stesso Verbo che, con la collaborazione dello Spirito, si è fatto carne: ha assunto la carne nostra segnata dal peccato (2 Cor 5,21). Il condizionamento umano dell'esperienza mistica indica non la grandezza nostra, ma che Dio è infinitamente dono caritativo verso di noi nel rispetto dei nostri limiti.

Un discorso spirituale sull'esperienza mistica include necessariamente la considerazione sul come noi ci offriamo al dono carismatico (antropocentrismo); anzi su come Dio stesso ama unirsi intimamente a noi (antropomorfismo). Nella determinazione delle forme del vissuto mistico, oltre all'apporto primario dello Spirito di Cristo e del condizionamento antropologico, sono operanti molteplici altri fattori. Qui il discorso di proposito si limita a mettere solo in luce quale condizionamento rechi l'aspetto antropologico attraverso talune sue configurazioni socio-culturali.

I. Concezione antropologica greco-romana e biblico-ebraica. Nella concezione antropologica classica greco-romana l'uomo è ritenuto stimabile a motivo della sua facoltà razionale. Se viene valutato delimitato nella sua esistenzialità sensibile, è esaltato per le sue facoltà spirituali.

Lo Spirito nel comunicare il carisma mistico in Cristo rispetta l'autocoscienza del credente di possedere nel suo intimo un valore inestimabile che lo predispone alla comunione con Dio. E quanto viene affermato nell'esperienza mistica renano-fiamminga dell'essenza, secondo la quale l'unione mistica con Dio avviene nel fondo estremo dell'anima, proprio perché questa profondità interiore è ritenuta imparentata con il mistero di Dio. Meister Eckhart precisava: " Chi vuol penetrare nel fondo di Dio, in ciò che esso ha di più intimo, deve prima penetrare nel suo proprio nel fondo, in ciò che esso ha di più intimo. In effetti, nessuno può conoscere Dio se non conosce prima se stesso ".1

Nella concezione antropologica biblico-ebraica l'uomo è non tanto " ratio ", ma creatura fatta a immagine di Dio (cf Gn 1,26-27). Egli giace tra due dati esperienziali: dal profondo di se stesso aspira al totale infinito e, insieme, rimane amareggiato dalla parzialità delimitata dei propri esiti. Questo sfondo antropologico biblico orienta e predispone a comprendere talune forme di esperienza mistica.

La prima forma si delinea nell'elevata visione esperienziale mistica di s. Agostino e di s. Bernardo. Essi vivono nell'inquietudine di riuscire ad appagarsi in Dio. Al dire di s. Gregorio di Nissa l'anima è tutta sospinta dalla propria immagine originaria di Dio, così da sapersi immergere nel divino increato. Su questo sfondo antropologico, s. Tommaso riterrà che l'uomo ha bisogno di Dio per attuarsi in una propria beatitudine definitiva. Dio non viene asservito alla propria felicità, ma è amato anche perché nostra felicità.

Su questo medesimo sfondo antropologico biblico fiorirà successivamente la stessa esperienza mistica sponsale, secondo la quale l'anima è tutta unita a Dio, godendo e partecipando al suo medesimo amore secondo la simbologia nuziale. Matilde di Magdeburgo si sente dire da Dio: " Nel mio regno vivrai quale novella sposa e allora ti darò il dolce bacio della bocca. Tutta la mia divinità vibrerà attraverso l'anima tua e i miei sguardi si specchieranno senza posa nel tuo cuore ".

Invece, in modo del tutto differente, gli Esercizi di s. Ignazio di Loyola concepiscono Dio non come beatitudine dell'uomo, ma come colui che chiama al suo servizio. " L'uomo è stato creato allo scopo di lodare Dio, di venerarlo e di servirlo e di salvare in tal modo l'anima sua ". E una forma mistica della vita umana che appare svelata presso la stessa missione svolta da Gesù Cristo. Egli, " vero cibo e vera bevanda " è apparso in totale dedizione sacrificale al Padre.

Entro questa stessa concezione antropologica biblica si svolge l'esperienza mistica di s. Bonaventura e di Guglielmo di Saint-Thierry. Un'esperienza mistica che tende non solo ad uniformarsi al vissuto mistico di Cristo, ma a condividerlo e a comparteciparlo. Lo Spirito Santo introduce a convivere il mistero pasquale di Cristo così da essere con lui spiriti risorti. Allora l'anima e Cristo risorto " si penetrano vicendevolmente a tal punto che ognuno non sa più essere da sé... Anima nell'anima, mentre una stessa dolce natura divina li attraversa, i due diventano una sola cosa, per sempre ".2 La persona umana perde se stessa per diventare membro del Cristo integrale.

II. Cultura antropologica secolare odierna. Nella cultura contemporanea viene emergendo e diffondendosi un'attenzione prevalente all'antropologia detta " secolare ", così da costituirla centro anche della riflessione spirituale. Si parla di svolta antropologica della teologia spirituale. Sullo sfondo di questa contemporanea cultura antropologica vengono indicate nuove forme di esperienza mistica con ricchezza di sfaccettature varie. Ne ricordiamo alcune in forma sintetica.

E affiorata la spiritualità della teologia della liberazione.3 Essa è un nuovo umanesimo in cui l'uomo si definisce innanzitutto per la sua responsabilità verso i fratelli e verso la storia " (GS 55). R. Tonelli invita a realizzare l'intera esistenza spirituale nella meditazione del Cristo, considerato come colui che, attraverso la propria morte in croce, testimonia " l'amore alla vita terrena trascinato fino alle estreme conseguenze ".4 A. Rizzi afferma che si vive in modo spirituale mistico qualora si raccolga il comando di Dio a rendersi responsabili del bene creato promuovendolo. " La gloria di Dio è questa realizzazione dell'umano ". " Nella creazione e nella redenzione Dio si è fatto antropocentrico; e in questo consiste il suo essersi rivelato come Dio ". Dio non ambisce a divinizzare l'uomo, " ma lo vuole compiutamente umano ".5

Soggiacente a queste proposte mistiche contemporanee sta il presupposto teologico che Dio è tutto donato a noi. Lo stesso amore divino, che si autocomunica in forma pericoretica tra le Persone divine, è rivolto al bene delle creature. Dio ignora se stesso, conoscendo unicamente il volto amato della creatura. In pratica si nega il teocentrismo per sostituirvi un antropocentrismo, confermato dall'antropomorfismo vissuto dal Figlio di Dio incarnato.

Sembra necessario precisare, innanzitutto, che dal lato spirituale non è consentito ripiegarci su noi stessi. Siamo chiamati, come immagine di Dio, a essere rivolti e donati all'altro, a Dio e ai fratelli, nello Spirito di Cristo. In secondo luogo, viene trascurata l'esperienza caritativa pasquale della croce, come morire alla carne e risorgere spirito. La via pasquale è irrinunciabile per una stessa completezza umana (cf GS 41).

Note: 1 M. Eckhart, Sermone Haec est vita aeterna, ed. Quint. 546; 2 Hadewijch d'Anversa, Lettera IX, in Id., a cura di R. Berardi, Lettere, Cinisello Balsamo (MI) 1992, 94; 3 Cf G. Gutierrez, Bere al proprio pozzo. L'itinerario spirituale di un popolo, Brescia 1983; J. Sobrino, Tracce per una nuova spiritualità, Roma 1987; 4 R. Tonelli, Una spiritualità per la vita quotidiana, Leumann (TO) 1967; 5 A. Rizzi, Dio in cerca dell'uomo. Rifare la spiritualità, Cinisello Balsamo (MI) 1987.

Bibl. J. Beaude, La mistica, Cinisello Balsamo (MI) 1992; Filone d'Alessandria, La vita contemplativa, Genova 1992; E.L. Frackernheim, La presenza di Dio nella storia, Brescia 1977; W. Kasper, Cristologia e antropologia, in Aa.Vv., Teologia e Chiesa, Brescia 1989, 202-225; L.F. Ladaria, Antropologia teologica, Casale Monferrato (AL), Roma 1986; J.B. Metz, Antropocentrismo cristiano, Torino 1969; W. Pannenberg, Antropologia in prospettiva teologica, Brescia 1987; O.H. Pesch, Liberi per grazia. Antropologia teologica, Brescia 1988; A. Perretti, Le forme dell'umanesimo contemporaneo, Roma 1974; A. Rigobello, Il personalismo, Roma 1975; I. Sanna, Chiamati per nome. Antropologia teologica, Cinisello Balsamo (MI) 1994.

T. Goffi

APATHEIA. (inizio)

I. Il termine. A. è sostantivo greco composto da alfa privativo e patos, che indica sia l'evento subíto (in genere doloroso) sia i sentimenti che esso suscita nell'animo. A. significa, dunque, " non-sentire ", " non essere toccati " (o non lasciarsi toccare) dalle realtà esterne. Lo si traduce con impassibilità, imperturbabilità, e diventa così sinonimo di assenzasuperamento delle passioni, intese come la totalità degli stati d'animo, in un'ampia gamma che comprende ira e compassione, paura e desiderio, invidia e gioia.

Non meno importante del significato etimologico, è la storia di questo termine. Esso appartiene al vocabolario filosofico, e più precisamente a quello della filosofia stoica, dove segna il vertice della perfezione, l'ideale teoretico ed etico. In un mondo che è cosmo, ossia universo regolato da un ordine necessario e impersonale, l'uomo saggio accetta passivamente gli eventi e trova la sua felicitàlibertà nel dominio volontaristico di se stesso, reprimendo turbamenti ed emozioni che lo renderebbero schiavo o, meglio, gli rivelerebbero la sua radicale schiavitù. Stolto è agitarsi per ciò che non è suscettibile di cambiamento ed è giusto così com'è. Emozioni e passioni sono malattie dell'animo, un disordine da cui liberarsi e guarire.

II. Nella vita spirituale. Dall'ambito filosofico, il termine a. è poi entrato nella spiritualità cristiana orientale. In Occidente, invece, non ha mai avuto grande fortuna. In passato è stato contestato da autori come Lattanzio ( 325 ca.), Girolamo, Agostino, ecc., che vi scorgevano sia una negazione della natura dell'uomo, ridotto all'impassibilità della pietra, sia soprattutto la radice diabolica della superbia, che sfocia nell'individualismo e nella ricerca di un'orgogliosa invulnerabilità e impeccabilità.

Oggi questo vocabolo è piuttosto desueto, estraneo. Indubbiamente contrasta con le tendenze più specifiche dell'epoca contemporanea, nella quale da una parte si sottolinea l'unità psicofisica dell'uomo (valorizzando in particolare proprio la sfera dell'emotività), dall'altra, in campo teologico e religioso, si pone viva attenzione al tema della " sofferenza " di Dio, e soprattutto si ha, per esperienza, un'acuta intuizione del valore redentivo della sofferenza umana, come partecipazione alla passione-morte di Cristo. L'a. appare non solo disumana, ma addirittura contraria al cristianesimo, fondato sulla " follia della croce ", sulla " stoltezza " di un Dio che sceglie di salvare l'uomo percorrendo la via della povertà, del disprezzo e dell'umiliazione. In Gesù, il cristiano incontra un Dio fatto carne, un uomo che si commuove, prova compassione ed anche sdegno, conosce la tristezza e l'angoscia, fino all'agonia del Getsemani e al grido straziante del venerdì santo. Di fronte alla sconvolgente realtà della passione, l'a. perde tutta la sua forza. Nondimeno, nell'Oriente cristiano tale termine fu accolto con particolare benevolenza, e non vi è Padre che non vi si soffermi. Evagrio ne fa il centro e il fine stesso della vita spirituale. Il loro pensiero, tuttavia, non è unitario. Grande è, ad esempio, la distanza tra l'apologia dell'a. stoica di Gregorio di Nazianzo e la concezione di Teodoreto ( 460), che vede nell'a. un dono concesso da Dio al primo Adamo e perduto con la caduta originale. Comunque, molto sinteticamente, si può dire che essa presso i Padri non ha più il carattere volontaristico che aveva presso gli stoici. Si è, infatti, trasformata in quel combattimento " sovrumano " che il cristiano è chiamato ad ingaggiare non solo contro i propri istinti cattivi, ma contro il potere stesso delle tenebre. In questa lotta, che non si combatte se non con la forza di Cristo, si riceve in dono la purezza di cuore che coincide con l'a. stessa e apre l'uomo alla visione di Dio. Inoltre, l'a., tendendo all'eliminazione dei sentimenti, è spesso associata a uno stile di vita solitaria e all'esercizio della preghiera apofatica. Ecco perché Evagrio può affermare che non c'è contemplazione senza a., e Giovanni Climaco ( 649) definire l'a. come " il cielo all'interno dello spirito ", dove si può già sperimentare qualcosa dell'unione intima con Dio.

Bibl. G. Bardy, s.v., in DSAM I, 727-746; O. Clément, Alle fonti con i Padri. I mistici cristiani delle origini. Testi e commento, Roma 1987 (cf in part. parte II); G. Colombàs, Il monachesimo delle origini. Spiritualità, II, Milano 1990; I. Hausherr, Solitudine e vita contemplativa secondo l'esicasmo, Brescia 1978; P. Lamma, s.v., in Enciclopedia filosofica, I, Firenze 19672, 373-374; Padri esicasti, L'amore della quiete. L'esicasmo bizantino tra il XIII e il XV sec., Magnano (BI) 1993; M. Pohlenz, La Stoa, 2 voll., Firenze 1967; S. Siedl, s.v., in DES I, 181-182; T. Spidlík, s.v., in DIP I, 714-715.

Benedettine dell'isola San Giulio (NO)

APOCALISSE. (inizio)

I. Introduzione: senso e limiti della mistica dell'A. Un primo sguardo alla mistica dell'A. rischia di risultare deludente. La bibliografia sull'A., oggi particolarmente copiosa riguardante sia l'insieme, sia settori specifici di ricerca - come la storia, gli aspetti letterari e linguistici, la teologia, ecc. - dedica al tema della mistica solo un'attenzione sporadica,1 dando così l'impressione che la dimensione propriamente mistica sia assente o quanto meno marginale.

Questa impressione si fa più acuta quando si rilevano nel testo degli elementi che, almeno a una prima lettura, fanno pensare a una situazione di misticismo. Si parla di esperienze straordinarie vissute dall'autore 2 che alcune traduzioni interpretano come estasi 3 e il contenuto che egli esprime appare, sempre a una prima lettura, collocato nella cornice di una visione protratta.4

Ma è proprio il misticismo degli stati estatici e delle visioni quello da ricercare nell'A.?

Un esame più ravvicinato porta ad un approfondimento. Lo stato estatico di cui si è parlato è, di per sé, un contatto in profondità con lo Spirito, i cui effetti esigono di essere ulteriormente precisati.5 Le visioni sono anzitutto un espediente letterario tramite il quale l'apocalittico veicola il suo messaggio in termini simbolici. Non c'è nell'A. un misticismo scontato, di prima mano. Ma proprio il contatto con lo Spirito e il linguaggio simbolico usato introducono a quella che è una esperienza mistica vera e propria, tipica dell'A.

La potremmo formulare, come punto di partenza, quasi come ipotesi di lavoro, in questi termini: sotto l'influsso dello Spirito si parte dal livello usuale di una vita di fede, si raggiunge un contatto diretto - ultra razionale e ultra concettuale - con Cristo, con Dio e con la trascendenza.6 Si forma quindi, sotto un influsso particolare dello Spirito, un'espressione di ritorno che, tramite il simbolismo, tende a coinvolgere il lettore e l'ascoltatore nello stesso giro.

Questa formulazione articolata, suggerita da un esame del testo, dovrà essere riportata a contatto diretto col testo stesso e verificata, sia nella prima che nella seconda parte del libro.7

II. Cristo risorto al centro della comunità: il misticismo della prima parte dell'A. (1,4-3,22). La prima parte dell'A. (1,4-3,22) presenta uno sviluppo letterario ascendente. L'autore, come è noto, non ci dà un messaggio astratto, ma propone un'esperienza, di cui l'assemblea liturgica è protagonista.8 L'assemblea in una prima fase si concentra mediante un dialogo liturgico con il lettore che l'accoglie (cf 1,4-8); quindi si incontra col Cristo risorto (cf 1,9-20); in una terza fase conclusiva, sottomettendosi al giudizio e all'azione di Cristo risorto, viene tonificata e posta in grado di cooperare alla vittoria di Cristo e di prestare ascolto al messaggio dello Spirito (cf 2-3). E all'inizio della seconda fase che avviene il passaggio dal livello usuale dell'esperienza cristiana a quello propriamente mistico. L'autore, parlando in prima persona secondo lo stile apocalittico, fa un quadro della sua situazione secondo le coordinate spazio-temporali: si trova relegato " nell'isola di Patmos " (1,9) fisicamente diviso dalla sua comunità, con la quale, tuttavia, si sente in una comunione quanto mai stretta. La coordinata temporale è particolarmente importante: riguarda il " giorno del Signore " (1,10), la domenica, nel quale già al tempo dell'A. si riuniva l'assemblea cristiana per commemorare e rivivere la risurrezione.

In questa situazione accade un fatto rilevante: Giovanni " diviene ", è trasformato nello Spirito.9 L'effetto di questa trasformazione non è una situazione extracorporea che si determina,10 ma una capacità nuova di rapportarsi a Cristo risorto, già creduto presente in mezzo all'assemblea liturgica, a un livello che supera le apparizioni di Gesù risorto sia dei sinottici sia di Giovanni. Il Cristo risorto viene contattato in maniera diretta e immediata, ma a un livello che va oltre la percezione visiva e uditiva normale. Nelle apparizioni dei Vangeli, i discepoli, con tutta la gamma delle reazioni umane, vedono, ascoltano, toccano il Risorto, si rallegrano con lui. Qui il rapporto è ad un altro livello.

Giovanni qui percepisce una voce la quale esprime per lui un messaggio comprensibile in termini umani (cf 1,11), che viene ascoltata, ma è " come di tromba che parla " (os sálpingos legoúses). La combinazione, impossibile nel linguaggio umano corrente, della " tromba " e del " parlare " fa scattare l'ineffabile: Giovanni percepisce nella voce che lo interpella la presenza immediata di Dio che nelle teofanie veterotestamentarie era annunciata a suono di tromba.

Un altro tratto di ineffabilità emerge quando Giovanni si volta indietro " per vedere la voce " (blépein ten fonén).

L'espresssione combina di nuovo due aspetti - il " vedere " e " la voce " - in una sintesi meta-concettuale che, ancora più esplicitamente della tromba, punta verso la trascendenza. Nella letteratura rabbinica troviamo un'identificazione, giustamente richiamata da Charlesworth a proposito di questo testo,11 tra la voce, la parola e Dio stesso. Qui il vedere la " voce che stava parlando con me " (1,12) comporta un contatto diretto, dialogico, tra Giovanni e Cristo che parla, ma situato e avvertito a livello di trascendenza.

La " voce veduta ", che mette in un rapporto immediato e di reciprocità dialogica con la trascendenza, viene esplicitata. Riprendendo lo stesso verbo con cui Giovanni affermava di essersi " voltato per vedere la voce " (1,12a), egli ci dice che, " voltatosi " (epistrépsas, 1,12b) vede " sette candelabri d'oro e in mezzo ai candelabri un corrispondente figlio di uomo, vestito di una veste lunga fino ai piedi e cinto al petto di una fascia d'oro " (1,12b-13). Anche se, a prima lettura, si tratta di un quadro ricostruibile, in realtà l'autore si esprime in termini che oltrepassano il giro visivo. Giovanni percepisce di più, va e trascina il gruppo di ascolto oltre il livello usuale e concettuale: quello che avverte e vuole trasfondere è il senso incomunicabile a parole del rapporto tra Cristo risorto e la sua Chiesa. Questa è vista come un insieme in atto liturgico " sette candelabri d'oro "; il Cristo risorto, realizzando l'intuizione di Dn 7,13 su un " figlio di uomo ", è presente in mezzo ad essa e svolge la sua funzione sacerdotale.12 Ma non basta. Nei versetti seguenti vengono sottolineati alcuni punti di contatto caratteristici, l'autore li introduce con un " come " (os): la particella non ha nell'A. un semplice valore comparativo, ma fa pressione sul soggetto interpretante portandolo a interpretare la realtà che gli viene presentata - si tratta costantemente di una realtà trascendente - alla luce di una realtà percettibile a livello umano, che viene trasformata creativamente, diventando un simbolo. E un modo con cui Giovanni introduce nella meta-concettualità.13

Questi versetti indicano alcuni aspetti dell'impatto con il Cristo risorto: la sua testa e i suoi capelli bianchi, e di un bianco particolarmente accentuato (" come lana bianca, come neve ", 1,14), da una parte riprendono alla lettera Dn 7,13, ma - con sorpresa - non sono più i tratti caratteristici del Figlio dell'uomo, già identificato con Cristo, ma addirittura quelli dell'" anziano dei giorni " (Dn 7,13), di Dio. Cristo risorto è percepito, in continuità con la " voce veduta " a livello della trascendenza divina, tutto compenetrato da essa. L'insistenza accentuata sul bianco, nell'A. costantemente rapportato alla risurrezione, ci dice che Giovanni sente il Cristo presente nell'assemblea come risorto. Questa qualifica penetra in lui, lo avvince, lo riempie: tutto in Cristo è una risurrezione che si irradia.

Seguono dei tratti caratteristici, tutti espressivi dello stesso livello nel quale Cristo risorto è situato e della intensità con la quale è sentito costantemente, introdotti da " come " (os) si riferiscono al rapporto col fuoco, ripetutamente affermato - "i suoi occhi come fiamma di fuoco", 1,14; " i suoi piedi come bronzo incandescente ", 1,15 - che indica, sulla scorta del simbolismo del fuoco riferito alla trascendenza,14 l'amore scottante di Cristo-Dio. Giovanni ne prende coscienza, ma non può esprimerlo che in questi termini meta-concettuali. Tale amore supera ogni logica umana.

E ci sono ulteriori dettagli di questa esperienza di Cristo risorto, Dio, veicolata dallo Spirito. Si insiste sulla voce percepita " come voce di molte acque " (1,15): la ripresa letterale di Ezechiele (cf Ez 1,24) esplicita che si tratta della voce stessa di Dio. Notiamo che Cristo ha già parlato (cf 1,11) e che riprenderà a parlare in seguito (cf 2,1ss.). Ciò rende il richiamo ancora più rilevante: la sua è e sarà parola di Dio, con tutta l'efficacia che le è tipica, e come tale produrrà degli effetti che superano l'impatto della parola umana: è quanto viene suggerito con una combinazione di elementi simbolici che, impossibile a livello di esperienza umana, spinge decisamente verso l'alto: " E dalla sua bocca stava uscendo una spada a due tagli, affilata " (1,16b). E la parola di Cristo risorto che possiede una sua capacità di penetrazione al di là di ogni supposizione umana.

Cristo - un ultimo dettaglio di questa esperienza di lui che Giovanni sta facendo e proponendo - si occupa della sua Chiesa e vi impegna il meglio delle sue risorse: la dimensione trascendente, " stellare ", che compete alla Chiesa è tenuta saldamente dalla " sua destra " (1,16a). L'autore avverte per la Chiesa in tutto il suo complesso una presenza forte, proteggente, in cui si può confidare senza paura e senza limiti, una forza impegnata e a disposizione. La forza, appunto, di Cristo.

Il contatto meta-concettuale con Cristo risorto viene riassunto in un'espressione conclusiva: " E il suo aspetto come (os) il sole splende nella sua potenza " (1,16c). La frase in corrispondenza con quanto ritroviamo nella trasfigurazione (cf Mt 17,2), fa sentire il fascino irresistibile e la forza penetrante di Cristo risorto.15

L'esperienza iniziale di Cristo risorto si protrae per tutta la prima parte del libro ed emerge in modo particolare nelle " lettere " alle chiese (cf 2-3). In ciascuna di esse il Cristo risorto, parlando in prima persona,16 fa una presentazione di se stesso, introdotta dall'espressione " così dice " (táde léghei) che riprende una frase usuale nell'AT dove viene attribuita a Dio.17 In Cristo risorto che parla, di conseguenza, si esprime Dio stesso. E la " voce veduta " di Ap 1,12 che si protrae e si fa sentire per tutta la prima parte dell'A. Tutta la prima parte ha questa dimensione mistica come sua struttura portante.

Ne sono una conferma due fatti. Nel corpo delle singole " lettere " emergono elementi di un rapporto con Cristo risorto che oltrepassano la soglia del concettuale. Alla chiesa di Pergamo viene promessa da Cristo una " pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno comprende all'infuori di chi lo riceve " (2,17). C'è una comprensione del " nome nuovo " di Cristo - il nome che implica la risurrezione - la quale scatta solo a livello di reciprocità intersoggettiva, quando il nome viene donato e ricevuto. L'estremismo proprio del linguaggio dei fidanzati con cui Cristo parla alla chiesa di Laodicea trova una chiave di comprensibilità non nel gioco dei concetti, ma nell'esperienza tormentosa dell'amore (cf 3,14-22).

Un secondo aspetto mistico di questa prima parte è dato dall'efficacia che la parola di Cristo è capace di esplicare. Gli imperativi che Cristo rivolge alla chiesa (" convertiti " metanóeson: 2,5.16; 3,3.19; " mantieni con forza ciò che hai ", krátei ò écheis, ecc.) tendono a produrre in essa ciò che esprimono. Le chiese, tutte diverse come punto di partenza nella loro posizione morale, sono, alla fine, tutte ugualmente, nella forma ottimale per ascoltare il linguaggio dello Spirito e collaborare con la vittoria di Cristo. Qualcosa è accaduto durante lo sviluppo della lettera: ha avuto luogo una trasformazione ultraconcettuale, mistica, analoga a quella strettamente sacramentale.

III. L'esperienza mistica della seconda parte dell'A.: la riscoperta di Dio. All'inizio della seconda parte dell'A. viene sottolineato un passaggio dal livello terrestre a quello della trascendenza: Giovanni vede " una porta già aperta (thúra eneogméne) nel cielo " (4,1), una comunicazione stabilita in virtù di Cristo risorto e asceso al cielo tra la trascendenza e l'immanenza. E proprio la voce di Cristo invita Giovanni - e con lui tutto il gruppo di ascolto che sta compiendo la seconda grande fase dell'esperienza apocalittica 18 - a salire al cielo per mettersi dal punto di vista proprio di Cristo risorto, quasi a condividere, per usare un'espressione paolina (cf 1 Cor 2,16), l'intelletto di Cristo stesso per una valutazione sapienziale della storia. A questo punto si verifica un nuovo contatto con lo Spirito: " Subito divenni nello Spirito " (4,2). Il " divenire ", che anche qui comporta una trasformazione, è rapportato all'esperienza che segue immediatamente ed ha per oggetto Dio. Ritroviamo lo schema indicato all'inizio, ma espresso in una forma ancora più articolata. Partendo da una situazione pienamente positiva - quella realizzata nel gruppo di ascolto dall'azione di Cristo risorto in Ap 2-3 - si ha prima l'invito a compiere il passaggio verso la trascendenza; l'invito si realizza sotto l'influsso dello Spirito e si stabilisce, quindi, un rapporto diretto con la trascendenza stessa - simboleggiata dal " cielo " - che rimarrà costante, fino a quando, con l'apertura totale del cielo, quelle che sono attualmente la trascendenza e l'immanenza tenderanno a coincidere.19 Abbiamo, quindi, un livello mistico, nel senso indicato, che si mantiene costante e si esprime in un linguaggio simbolico proprio dello Spirito confermato dal fatto che l'autore interrompe, talvolta, il filo espositivo, quasi ritornando sulla terra, per rivolgersi direttamente all'assemblea liturgica e tradurre in termini concettuali usuali il contenuto espresso nel simbolo.20

Esaminiamo alcune punte emergenti di questo livello mistico, seguendo la struttura del libro.

La prima esperienza di contatto con la trascendenza è espressa in maniera caratteristica e vale la pena guardarla da vicino: " Ed ecco un trono era posto nel cielo e sul trono un personaggio seduto e il personaggio seduto corrispondeva a guardarlo al diaspro e alla cornalina e l'arcobaleno era intorno al trono e corrispondeva allo smeraldo " (4,3).

Il trono è simbolo dell'impatto attivo che Dio ha sulla storia. Tale impatto non viene né specificato in dettaglio, né espresso mediante categorie concettuali: tutto questo non sarebbe possibile, trattandosi di un'azione propria di Dio. Esso viene fatto avvertire e percepire mediante il riferimento alla categoria umana del trono e della sua funzione.

Sul trono c'è " un personaggio seduto " (kathémenos). L'autore lo percepisce e lo vuol far percepire nella sua identità personale e a questo scopo si rifà ad un'esperienza che, pur partendo dall'AT,21 egli elabora in proprio. Ha una predilezione per le perle preziose,22 ma non gli interessa il loro valore commerciale. Gli piace guardarle: come spiegherà più dettagliatamente in 21,11 - ci dovremo occupare dettagliatamente in seguito di questo brano - la pietra preziosa che, colpita dalla luce, emette un bagliore caratteristico che affascina: questo bagliore risveglia in Giovanni l'esperienza di Dio. Infatti, il " personaggio seduto " sul trono è, indubbiamente, Dio stesso. Giovanni volge il suo sguardo verso di lui, ma non ne descrive le fattezze e neppure il vestito come fa Isaia,23 ma si limita a dire, con una certa ridondanza, che proprio guardando il personaggio, la sensazione che se ne ha corrisponde a quel senso di gioia che viene comunicato dallo splendore delle pietre preziose. L'autore qui ne enumera tre, tutte con lo stesso effetto di fondo: la bellezza ineffabile del loro riflesso quando sono colpite dalla luce suscita ripetutamente un'esperienza viva di Dio, ovviamente intraducibile in concetti. Tutto ciò acquista ancora più rilievo per il fatto che l'esperienza delle pietre preziose è intramezzata da una indicazione simbolica che, invece, è concettualizzabile: si tratta dell'arcobaleno, segno chiaro ed inequivocabile dell'alleanza (cf Gn 9,13), che si trova intorno al trono di Dio.

E intorno al trono, in connessione col trono, troviamo i ventiquattro anziani, i quattro viventi, il mare di cristallo, i lampi e i tuoni: questo fatto comunica loro un'impronta di trascendenza. L'esperienza immediata di Dio, percepito come il " personaggio seduto sul trono ", lascia una traccia indelebile nell'autore: parlando di Dio, per ben quarantaquattro volte egli la rievocherà indicandolo semplicemente come " il personaggio seduto ", a cominciare da 4,2-3.

IV. L'esperienza mistica di Cristo nella seconda parte dell'A.: Cristo come agnello. Anche nei riguardi di Cristo non meno che nei riguardi di Dio troviamo, nella seconda parte dell'A., un'esperienza tipica che supera il livello concettuale ed è fondamentale: si tratta di Cristo presentato come agnello (arníon) in Ap 5,6. E una seconda punta di misticismo emergente: " Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro viventi e dai vegliardi un Agnello (arníon) come immolato (estekòs os esfagménon). Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette Spiriti di Dio mandati su tutta la terra " (5,6).

La preparazione della presentazione di Cristo-agnello che inizia e si sviluppa in crescendo (cf da 5,1 a 5,5) e la dossologia solennissima che segue (cf 5,8-14) sottolineano l'importanza della " visione " dell'agnello, intesa come un'esperienza multipla di Cristo che supera la soglia della concettualità, entrando esplicitamente nell'ambito della mistica. Ce lo dice l'ingombro che si determina nella mente quando si tenta, a una prima lettura, di costruire un quadro coerente di insieme: i tratti simbolici indicati, a cominciare dalla posizione dell'agnello fino alle sue caratteristiche individuali, tendono a respingersi a vicenda. Siamo di fronte a un messaggio meta-concettuale. Il simbolismo che lo esprime, data la sua struttura discontinua,24 esige di essere decodificato in una maniera caratteristica: i singoli tratti simbolici devono essere elaborati. Ciò ne comporta un'assimilazione vitale, quasi una ri-creazione interiore la quale, una volta realizzata, elimina il tratto simbolico iniziale lasciando nella mente lo spazio per quello che segue. Per specificare maggiormente questo punto importante, il primo tratto simbolico, " e vidi in mezzo al trono circondato dai quattro viventi ", fa pressione sul soggetto interpretante il quale, meditando sul ruolo di Cristo nella storia, ne avverte la centralità insostituibile. A questo punto potrà passare ai tratti successivi, rinnovando lo stesso procedimento. Il soggetto interpretante, di conseguenza - qui il gruppo di ascolto - assimila così, assorbendola a più riprese, ricreandola in se stesso, l'esperienza di Cristo-agnello che Giovanni gli comunica.

Ma c'è un aspetto che supera ancora più decisamente la soglia della concettualità fino ad esprimere una contraddizione: Cristo-agnello è visto " in piedi come immolato " (estekos os esfagménon). Un agnello ucciso non può stare ritto: in più la particella " come " (os), secondo l'uso tipico che ne fa l'A. rilevato più sopra, mette in un rapporto stretto di una corrispondenza da scoprire i due elementi che unisce. Cristo-agnello " in piedi " - col valore trasparente di risorto 25 - viene messo nel rapporto di una corrispondenza da interpretare con Cristo protagonista della passione e soprattutto della morte (os esfagménon, " come ucciso "). Tale rapporto, che esprime una simultaneità tra la risurrezione e la morte, sfugge a una collocazione logica: viene avvertito e sperimentato nell'ambito dell'assemblea liturgica dove il Cristo, presente e attivo come Signore, partecipa le virtualità della sua morte e della sua risurrezione. Cristo-agnello, di conseguenza, è simultaneamente morto e risorto in senso applicativo: nello stesso contesto dell'assemblea liturgica si comunicano e vengono partecipate la sua morte e la sua risurrezione. Ma si tratta di un contatto, quasi di una osmosi vitale, che, come tale, supera il rapporto dei concetti.

Questa esperienza è talmente radicata nell'autore da portarlo a fare dell'" agnello " - arníon - un simbolo cristologico permanente in tutta la seconda parte del libro. Come la " visione " mistica di Cristo di 1,9-20 si prolunga in tutta la prima parte, così la figura di Cristo-agnello ritornerà altre ventotto volte nell'arco della seconda. E come un filo di misticismo che l'attraversa tutta in diagonale, al punto che sarà impossibile comprendere adeguatamente i singoli contesti in cui ricorrerà il termine senza un richiamo esplicito di tutto il quadro presentato in 5,6.

Tutto questo, poi, è accentuato dal fatto che l'" agnello " appartiene alla categoria del simbolismo teriomorfo: 26 ciò comporta una fascia al di sotto della trascendenza di Dio, ma al disopra della possibilità di verifica da parte dell'uomo. La figura dell'agnello, le sue attribuzioni, la sua attività non potranno essere comprese ed espresse adeguatamente a livello umano. C'è un di più, una qualche trascendenza rispetto alle leggi comuni e note: tutto questo conferma il quadro mistico nel quale troviamo situata la figura di Cristo-agnello.

V. Il punto di arrivo: la Gerusalemme nuova. L'A. presenta, sotto il profilo letterario,27 un asse di sviluppo che, partendo dalla situazione concreta del presente per sfociare in quella escatologica, comprende anche l'esperienza meta-concettuale, mistica, delle realtà trascendenti. E si ha uno schema in crescendo: si parte dall'esperienza di Cristo risorto che avviene sulla terra, " nell'isola di Patmos " (1,9); si passa poi all'esperienza di Cristo e di Dio non più situata sulla terra, ma nella zona della trascendenza di Dio, il cielo, nel quale però c'è solo una " porta aperta " (4,1); nella sezione conclusiva troviamo tutto il " cielo aperto " (19,11) in permanenza (eneogménon), permettendo così un contatto pieno e continuato con la trascendenza.

Questo movimento confluisce, dopo la piena disattivazione del male, nella Gerusalemme nuova: ed è a questo punto che anche l'esperienza mistica dell'A. raggiunge il suo culmine.

Ce lo dice anzitutto il simbolismo a " struttura ridondante ",28 che viene usato qui con particolare insistenza: l'autore avverte la difficoltà di comunicare adeguatamente la realtà trascendente con cui sta a contatto e moltiplica, ripetendolo, il referente simbolico: l'oro e le pietre preziose.

Venendo al contenuto, l'autore dell'A., con un'audacia senza precedenti, presenta e vuol far condividere nella Gerusalemme nuova di Ap 1,1-22,5 la sua intuizione geniale di un superamento di quella barriera che, nell'esperienza umana usuale, è interposta tra il livello dell'uomo e quello di Dio: siamo al culmine della sua mistica.

Vale la pena seguirlo da vicino. La presentazione della Gerusalemme nuova, avviene in due fasi che si succedono con ritmo ascendente. Proprio perchè il cielo è aperto, quindi, c'è una comunicazione illimitata con Dio e il mondo suo proprio, il linguaggio umano che la veicola sarà necessariamente simbolico, con quelle pressioni dal di dentro che abbiamo già rilevato e che tendono a far rivivere nel soggetto interpretante ciò che esprime.

E quanto troviamo già nella prima fase (cf 21,1-8). Giovanni " vede " un cielo nuovo, una terra nuova e constata l'assenza del mare: tutte immagini simboliche per dire e inculcare che la realizzazione finale dell'opera creatrice di Dio comporterà da una parte il superamento di tutto il male attuato nella storia sotto l'influsso del demoniaco e, dall'altra, una realtà tutta pervasa dalla novità propria di Cristo risorto.29

Un passo ulteriore si ha quando, sempre nell'ambito della prima presentazione della Gerusalemme nuova, si dice di quest'ultima che scende dal cielo, da Dio già preparata (etoimasménen), corrispondente a una fidanzata ornata per il suo uomo (cf 21,2b). La città indica la vita condotta insieme dal popolo di Dio, la convivenza: ma quando alla convivenza viene attribuita la situazione di un fidanzamento che sta per concludersi, si crea una tensione all'interno del linguaggio: una città non è raffigurabile neppure simbolicamente come una fidanzata. Questa divaricazione espressiva trova la sua radice in un'esperienza che Giovanni vuole comunicare. Tale esperienza riguarda da una parte il popolo di Dio: Giovanni lo sente, più che pensarlo, talmente unito e legato da un vincolo di amore a livello orizzontale da farne una sola persona; nello stesso tempo avverte con particolare intensità l'amore paritetico tra due sposi e lo proietta su Cristo-agnello e sul nuovo popolo di Dio.30

In un ultimo passo della prima presentazione, l'autore qualifica la Gerusalemme nuova come " la dimora di Dio con gli uomini " (21,3a), ribadendo esplicitamente che Dio abiterà nella tenda insieme a loro (cf 21,3b). La convivenza paritetica, affermata ma non descritta, comporta una realizzazione ottimale dell'alleanza e la scomparsa di ogni forma di dolore. Giovanni suggerisce tutto questo comunicando al gruppo di ascolto a cui costantemente è indirizzato il messaggio, il senso acuto di Dio che lo porta ad affermare: " Lui stesso, Dio con loro, sarà il loro Dio ". Dio, secondo quello che Giovanni sente e vuole partecipare, non solo non è indifferente alle vicende degli uomini ma, personalmente, " tergerà ogni lacrima dai loro occhi " (21,4).

La presentazione si conclude con un richiamo all'esperienza di Dio " seduto sul trono ", di Ap 4,2-3, - è l'ultima ricorrenza di kathémenos che incontriamo nella quale l'autore vuole coinvolgere il gruppo di ascolto. E Dio " seduto sul trono " parla qui esplicitamente,31 interpretando in prospettiva cristologica la sua attività creatrice: " E colui che siede sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose" " (21,5).

Quanto l'autore suggerisce nella prima presentazione della Gerusalemme nuova lo esplicita dettagliatamente nella seconda (21,9-22,5).

Il passaggio a questo nuovo livello viene accentuato dalla premessa dell'angelo: " Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell'Agnello " (21,9). La fidanzata, già preparata e ornata per l'incontro nuziale è, adesso, la " sposa ".

Siamo al livello più alto della pariteticità nuziale di amore tra Cristo-agnello e il suo popolo.

Inoltre, ha luogo un incontro rinnovato con lo Spirito, talmente intenso da determinare anche uno spostamento spaziale simbolico: 32 " E mi trasportò, in Spirito, su di un monte grande ed alto, e mi mostrò la città santa Gerusalemme " (21,10).

La Gerusalemme nuova si presenta, a questo livello altissimo di trascendenza pura, con una nota caratteristica fondamentale: " Aveva la gloria di Dio, e il suo splendore (o fostér) corrispondeva (ómoios) a una pietra preziosissima corrispondente (os) al diaspro quando emette il suo riflesso (krustallízonti) (21,11) ".

La Gerusalemme nuova possiede la " realtà-valore " di Dio che si manifesta, la " gloria " in forma di luce. La illuminazione che così si realizza è messa in rapporto di corrispondenza con il riflesso di una pietra preziosa, della quale vengono sottolineate la qualità ottimale " preziosissima " (timiotáton) e la capacità di riflesso.33

La gloria - intesa come manifestazione ed espressione della realtà-valore di Dio - diventa splendore: percepita a livello dell'uomo, di Giovanni e del suo gruppo, corrisponde al brillare delle pietre più preziose. L'autore insiste su questa corrispondenza, riprendendo ed esplicitando quanto aveva già detto in 4,1.

Si ha, di conseguenza, un contatto a tutto campo con Dio. Questo contatto costituisce come un filtro ottico, una categoria interpretativa attraverso la quale si può guardare e gustare adeguatamente la Gerusalemme nuova con la possibilità di comprenderla: essa, allora, appare come il popolo di Dio ugualmente dell'AT e del NT, proveniente da tutta la terra e da tutta la storia (cf 21, 12-14).

La Gerusalemme nuova ha raggiunto il suo massimo. Lo dicono il simbolismo delle misure e la forma cubica (cf 21,15-17). Soprattutto s'insiste sulla situazione trascendente, davvero al livello di Dio, in cui si trova: le misure, espresse in termini umani, sono in realtà misure " di angelo " (21,17). Soprattutto, ciò che c'è di meglio e di più prezioso a livello dell'esperienza umana come l'oro e le pietre preziose, è presente in una profusione che impressiona e in una situazione tutta particolare: l'oro, che copre tutta la città e, in particolare, la piazza, è " corrispondente (os) a cristallo puro " (21,18), " a cristallo trasparente " (21,21). Ha qualcosa delle pietre preziose. A proposito di pietre preziose troviamo nei dodici fondamenti della città qui menzionati, i quali coincidono ciascuno proprio con una pietra preziosa (cf 21,19-20), l'elenco più lungo di tutta la letteratura greca. E le pietre preziose, qui come sopra, indicano un contatto a tutto campo tra l'uomo e Dio. Il testo è insostituibile: " Le fondamenta delle mura della città sono adornate di ogni specie di pietra preziosa. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffiro, il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardonice, il sesto di cornalina, il settimo di crisolito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, corrispondente a cristallo trasparente ".

L'abbondanza e la ripetizione, secondo la struttura ridondante del simbolismo propria di questo brano rilevata più sopra, inculcano ripetutamente e fanno gustare, al di sopra di ogni formulazione logica, la massima compenetrazione tra Dio, Cristo-agnello e il suo popolo.

Non sorprende, di conseguenza, l'assenza di un tempio (cf 21,22) dato che Dio e l'agnello ne svolgono la funzione, stando in comunione immediata e diretta con tutti. La luce di questa terra - il sole e la luna - è superata da questa nuova realtà: Dio stesso illumina la città e la " lucerna di essa è l'agnello " (21,23).

Infine, un unico flusso di vita pervade la città: è il " fiume di acqua di vita, brillante come un cristallo, che esce in continuazione dal trono di Dio e dell'agnello " (22,1). Si parla ancora di trono, ma non si ha più il personaggio seduto su di esso: il trono - il primo elemento che Giovanni ha notato in cielo (cf 4,2) - a questo punto non è più simbolo degli impulsi che determinano lo sviluppo della storia. Detto per la prima volta " trono di Dio e dell'agnello " (22,1) simboleggia il dono dello Spirito che, procedendo dal Padre e dal Figlio, pervade tutto e tutti della sua vitalità.

Il gruppo di ascolto, che già possiede una comunione di base con la vita trinitaria e lo sa (1,3-4),34 a questa presentazione sente attivare dentro di sé il codice del suo " non ancora ",35 del suo punto di arrivo, avverte un risucchio che lo spinge verso di esso. E davvero il culmine dell'esperienza mistica dell'A.

VI. Conclusione. In uno sguardo d'insieme a quello che è tutto il cammino che viene proposto al gruppo di ascolto nell'A., troviamo l'aspetto mistico - inteso come un contatto ultra-concettuale con la trascendenza e, più specificamente, con Cristo e con Dio - costantemente presente.

Questo contatto mistico ha una sua formula: si parte dal livello dell'assemblea liturgica in un suo momento forte, la domenica, si realizza in un contatto con lo Spirito, che porta a raggiungere in maniera diretta Cristo e Dio. Lo sviluppo di questo aspetto mistico è distribuito secondo la struttura letteraria del libro: il suo punto di partenza è il contatto con il Cristo risorto della prima parte (cf 1,4-3,22), quello di arrivo è il livello di nuzialità proprio della Gerusalemme nuova (cf 21,1-8; 21,9-22,5) che viene raggiunto gradualmente nella seconda parte (cf 4,1-22,5).

Guardando più da vicino le modalità del contatto mistico, che così si realizza, notiamo che esso comporta un aspetto conoscitivo e un aspetto esistenziale. L'aspetto conoscitivo si ha quando l'esperienza mistica permette di raggiungere un livello nuovo di intesa con la trascendenza, quello esistenziale si ha quando, nel vivo dell'esperienza liturgica che si sta svolgendo, si realizza una trasformazione all'interno del soggetto interpretante, il gruppo di ascolto. I due aspetti s'intrecciano tra loro, condizionandosi a vicenda: la nuova esperienza conoscitiva tende a trasformare e la trasformazione apre a una nuova esperienza.

L'espressione più suggestiva di questa interazione in crescendo tra la dimensione conoscitiva e quella esistenziale si trova nel " dialogo liturgico " conclusivo (cf 22,6-21),36 dove il gruppo di ascolto appare come la fidanzata che si sta avvicinando al livello della nuzialità, che si realizzerà con la presenza totale di Cristo. Tra il traguardo finale della nuzialità piena e la situazione di adesso si colloca la venuta, che l'A. interpreta come una crescita progressiva dei valori, della " novità " di Cristo nella storia. La chiesa-" fidanzata " ha già una sua esperienza e conoscenza di Cristo; aspirando alla venuta completa, si trasforma e si perfeziona, confezionando il suo abito da sposa (cf 19,7-8).

La venuta di Cristo fa sentire la sua capacità di risucchio: per due volte, nel dialogo idealizzato, egli dice " Guarda, (idoú) vengo presto! " richiamando così l'attenzione sulla venuta che si sta attuando.

La chiesa-fidanzata accetta e questo la porta a una conoscenza sempre più esplicita di Cristo che appare così come colui " che è l'alfa e l'omega " (22,13) " stella luminosa del mattino " (22,16).

Apprezzando adeguatamente la venuta di Cristo, la chiesa-fidanzata prendendo l'iniziativa, la invoca in sintonia con lo Spirito: " Lo Spirito e la sposa dicono: "Vieni" " (22,17).

Gesù prende atto di tutto questo e risponde facendo sua l'invocazione della Chiesa: " Sì, vengo presto! " (22,20). Si è stabilita tra Cristo e la Chiesa un'intesa e una reciprocità a tutto campo che porterà alla nuzialità piena.37 La mistica dell'A., con questo sfondo nuziale giustamente messo in risalto da Feuillet, coinvolge tutto l'uomo cristiano e lo spinge verso la piena " cristificazione " - potremmo dire l'Incarnazione con tutto il suo sviluppo - che si realizzerà per lui e per tutti insieme nello splendore della Gerusalemme nuova.

Note: 1 Esistono tre contributi: H.E. Hill, Mystical Studies on the Apocalypse, London 1932; A. Feuillet, Vue d'ensemble sur la mystique nuptiale de l'Apocalypse. Le festin des noces de l'agneau et ses anticipations, in EspVi 25 (1987), 353-362: l'a. presenta una sua concezione di insieme dell'A. che culmina nella festa delle nozze tra Cristo agnello e la Chiesa. L'indubbia suggestione che l'immagine di tale nuzialità comporta è denominata mistica intuitivamente, senza un discorso articolato riferibile alla dimensione mistica dell'A. Infine il contributo di W.E. Beet, Silence in Heaven, in Expository Times, 44 (1932), 74-76, si riferisce solo ad Ap 8,1 e interpreta come " mystical rapture " il silenzio di " circa mezzora ". Un'analisi di tutto il contesto porta però a concludere che si tratta del silenzio sacro - non necessariamente mistico - che accompagna l'azione liturgica descritta in 8,1-5; 2 Siccome l'autore reale - l'estensore del testo - si rifà continuamente, secondo una costante della letteratura apocalittica - la cosiddetta pseudonimia - a un personaggio celebre del passato e lo chiama Giovanni (cf Ap 1,2), riferendosi con tutta probabilità a Giovanni l'apostolo, con cui si sente particolarmente in sintonia e di cui rivive le vicende e l'esperienza, parleremo in seguito semplicemente di Giovanni, quando l'autore reale si oggettiva nel suo personaggio; parleremo di autore quando dovremo sottolineare l'attività di scrivente dell'autore reale; 3 La CEI, ad esempio, traduce Ap 1,10 e 4,2 " Rapito in estasi "; 4 Il verbo " vidi " (eidon) ricorre ben quarantaquattro volte nell'A. Cf É. Delebecque, "Je vis" dans l'Apocalypse, in RevThom 88 (1988), 460-466; R.D. Witherup, Visions in the Book of Revelation, in Bib 28 (1990), 19-24; 5 Secondo l'interpretazione, certamente riduttiva, di R.H. Charles si tratterebbe addirittura di " trance ": " eghenómen en pneúmati denotes nothing more than the seer fell into a trance ", R.H. Charles, A Critical Commentary on the Book of Revelation, I, Edinburgh 1920 (ristampa 1956), 22; 6 A. Feuillet parla, con una espressione felice, di " realitées ineffables ", o.c., 354; 7 L'A., a un'indagine basata su fenomeni letterari tipici, mostra la seguente struttura: 1,1-3: prologo; 1,4-3,22: prima parte, costituita dal settenario delle lettere; 4,1-22,5: seconda parte: suddivisa in cinque sezioni: 4,1-5,14: introduzione; 6,1-17: settenario dei sigilli; 8,1-11,14: settenario delle trombe; 11,15-16,16: sezione del triplice segno; 16,17-22,5: sezione conclusiva; cf U. Vanni, La struttura letteraria dell'Apocalisse, Brescia 19802; 8 Ciò appare già in Ap 1,3 dove emerge il rapporto, tipico anche della liturgia sinagogale, tra un lettore e un gruppo di ascolto, che si protrae per tutto il libro. Cf U. Vanni, The Ecclesial Assembly, "Interpreting Subject" of the Apocalypse, in Religious Studies Bulletin, 4 (1984), 79-85; 9 Lo indica l'uso del verbo " divenire " ghénomai, che nell'A. non è mai sinonimo di " essere ", come accade presso altri autori. E impropria la traduzione della Revised Standard Version " I was in the Spirit "; è più appropriata quella della TOB: " Je fus saisi par l'Esprit "; 10 Che qui non si tratti di un'estasi, ma di una trasformazione complessa di tutta la persona è già stato mostrato. Cf E. Moering, Eghenómen en pneúmati, in Theologische Studien und Kritiken, 92 (1919), 148-154; F. Contreras Molina, El Espiritu en el libro del Apocalipsis, Salamanca 1987; 11 Cf J.H. Charlesworth, The Jewish Roots of Christology: The Discovery of the Hypostatic Voice, in Scottish Journal of Theology, 39 (1986), 1941. La traduzione CEI " mi voltai a vedere colui che parlava " appare banalizzante; 12 Tale funzione non viene descritta nel suo svolgimento, ma insinuata, quasi fatta sentire dall'abbigliamento tipico di Cristo, che appare " rivestito di una veste lunga fino ai piedi e cinto al petto di una fascia d'oro " (Ap 1,13); 13 La particella os " come ", è particolarmente frequente nell'A., dove ricorre settantuno volte; ómoi - " corrispondente " ricorre diciannove volte, rispettivamente nelle forme ómoios (5x), ómoia (4x), ómoio (3x), ómoias (1x), ómoiai (1x), ómoios (1x), ómoiota (1x); 14 E un simbolo costante del fuoco nell'uso antico-testamentario (cf F. Lang, púr, in GLNT XI, 821-876). Il rapporto simbolico del fuoco con la trascendenza appare chiaramente in una definizione che Dio dà di se stesso in Dt 4,28: " Perché JHWH tuo Dio è fuoco divoratore "; 15 Più che riprendere Gd 5,31 (" ... coloro che ti amano siano come il sole quando sorge in tutto il suo splendore "), l'autore allude qui alla potenza del sole come è presentata nel salmo 19,6-7; 16 L'arditezza da parte dell'autore di far parlare Cristo in prima persona - è l'unico caso nel NT dopo i Vangeli - conferma con quanta intensità egli ne avverta la presenza; 17 L'espressione koh amar " così parla " ricorre quattrocentoun volte nell'AT ebraico. Nei LXX viene tradotta trecentoquarantadue volte con táde léghei come troviamo nell'A.; trentasette volte con oútos léghei, le altre volte con frasi equivalenti; 18 Nella seconda parte (4,1-22,5) l'assemblea ecclesiale, ascoltando quanto le dice lo Spirito tramite il messaggio profetico dell'autore, si dispone e impegna, rivedendo le sue posizioni operative, a vincere con Cristo risorto il male concretizzato nella storia; 19 Questo rapporto a tutto campo inizia in Ap 19,11: " E vidi il cielo già aperto " e si conclude nella Gerusalemme nuova (cf Ap 21,1-22,5); 20 Cf Ap 1,20; 4,5; 5,6.8; 7,13.14; 11,4; 14,4.5; 17,9.12.15; 21,5 ecc.; 21 L'autore ha indubbiamente presente Is 6,14 (riprenderà in 4,8 proprio Is 6,3) e Ez 1,1-28 (visto che i quattro viventi di 4,6b-7 sono presi da Ez 1,5ss.). Ezechiele costituisce il suo punto di partenza per quanto concerne l'intensità dell'esperienza di Dio, Isaia per quanto riguarda il collegamento col trono. Ezechiele avrà una risonanza tutta particolare nel misticismo apocalittico giudaico: cf I. Gruenwald, Apocalyptic and Merkavah Mysticism, LeidenKöln 1980; 22 Apparirà chiara in seguito nel contesto della Gerusalemme nuova; 23 " I lembi del suo manto riempivano il tempio " (Is 6,1); 24 Cf per una interpretazione del simbolismo dell'agnello presentato per la prima volta in Ap 5,6: U. Vanni, L'Apocalisse. Ermeneutica, Esegesi, Teologia, Bologna 19912, 167-169; 25 Nel " simbolismo antropologico " dell'A. la posizione eretta - " stare in piedi " - indica la risurrezione avvenuta; 26 Cf per una presentazione di questo tipo di simbolismo U. Vanni, L'Apocalisse..., o.c., 138-140; 27 Cf U. Vanni, La struttura ..., a.c., 206-235; 28 Cf per una descrizione di questo tipo di simbolismo U. Vanni, L'Apocalisse..., o.c., 58; 29 E il valore, tipicamente cristologico della " novità " nell'A. Cf P.J. Alonso Merino, El cántico nuevo en el Apocalipsis, Roma 1990; 30 A ragione Feuillet vede proprio in questa nuzialità paritetica il punto di arrivo di tutta l'Apocalisse, cf o.c.; 31 L'a. attribuisce il verbo " dice " direttamente a Dio solo due volte in tutto il libro: una volta nella prima parte, 1,8, e un'altra volta nella seconda, 21,5. Il fatto acquista, quindi, una rilevanza letteraria notevole; 32 Spostamenti spaziali di persone sono attribuiti a una forza particolare di Dio e dello Spirito, come nel caso del diacono Filippo (cf At 8,39: " Lo Spirito del Signore rapì Filippo "). Qui lo spostamento avviene in cielo, dove Giovanni si trova, è opera dell'angelo e avviene in un contatto particolare con lo Spirito; 33 Per l'autore questa pietra è il diaspro, anche se la sua denominazione non corrisponde necessariamente a quelle moderne. Qualcuno ha pensato all'opale o ai diamanti. Le pietre preziose nell'Apocalisse, per tutte le loro caratteristiche indicate, hanno attratto notevolmente l'attenzione della ricerca: cf O. Böcher, Zur Bedeutung der Edelsteine (Apk 21), in Kirche und Bibel. Festgabe für Bischof Eduard Schick, Paderborn-München-Wien-Zürich 1979, 19-32; G. Schille, Der Apokalyptiker Johannes und die Edelsteine (Apk 21), in StudNTUmwelt, 17 (1992), 231-244; M. Wojciechowski, Apocalypse 21.19-20: des titres christologiques cachés dans la liste des pierres précieses, in NTS 33 (1987), 153-154; U. Jart, The Precious Stones in the Revelation of St. John 21,18-21, in Studia theologica, 24 (1970), 150-181; 34 L'interpretazione del fiume di acqua della vita come simbolo dello Spirito trova la sua base solida proprio nella tradizione della scuola giovannea. Abbiamo in Gv 7,38-39: " Come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Questo egli disse riferendosi allo Spirito "; 35 La tensione verso una pienezza escatologica si fa già sentire nell'ambito della chiesa giovannea al livello della 1 Gv 3,2: " Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perchè lo vedremo così come egli è ". Nell'A. tale tensione diventa ancora più forte; 36 Per questa fisionomia letteraria caratteristica di Ap 22,6-21 cf U. Vanni, Liturgical Dialogue as a Literary Form in the Book of Revelation, in NTS 37 (1991), 348-372; 37 Cf per un'analisi dettagliata, oltre l'articolo citato - cf nota 1 - di A. Feuillet, U. Vanni, Lo Spirito e la sposa (Ap 22,17), in Parola Spirito e Vita, 13 (1986), 191-206.

Bibl. P. Barbagli, s.v., in DES I, 182-187; D. Barsotti, Meditazioni sull'Apocalisse, Brescia 1966; A. Cannizzo, Apocalisse ieri e oggi, Napoli 1988; B. Maggioni, L'Apocalisse, Assisi (PG) 1981; D. Mollat, L'Apocalisse: una lettura per oggi, Roma 1985; P. Prigent, L'Apocalisse di s. Giovanni, Roma 1985; A. von Speyer, L'Apocalisse. Meditazioni sulla rivelazione nascosta, 2 voll., Milano 1988; U. Vanni, L'Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, Bologna 1991.

U. Vanni

APPARIZIONI. (inizio)

I. Definizione. Per a. s'intende la manifestazione extranaturale, percepibile, sia dai sensi esteriori che dall'immaginazione, di un oggetto che sembri presente. In altre parole, per a. s'intende la manifestazione di Dio, della Madonna, di un angelo ecc., sotto forma materiale, vale a dire che l'oggetto dell'a. è visto, toccato o sentito come presente.

In questi eventi straordinari il primo elemento che si riscontra è il carattere sensibile, cioè la presenza come realtà corporea esistente dell'a.

BII. Descrizione del fenomeno. Le parole latine " apparere, apparitio " significano apparire, mostrarsi, manifestarsi. Tali termini hanno degli equivalenti nella lingua ebraica e greca, indicanti manifestazioni di ordine sensibile. La Vulgata traduce tali termini con la parola " apparere " che significa esser visto, mostrarsi agli occhi, evidenziarsi, ecc.

E chiaro pertanto che, secondo la consuetudine, i modi attraverso cui un'a. si verifica interessano in ogni caso l'aspetto visivo che, perciò, costituisce l'esperienza più immediatamente intelligibile del fenomeno (ad esempio, a. della Madonna a Lourdes e a Fatima).

Tuttavia, non vi è totale identificazione tra il termine a. ed il termine visione, poiché mentre la visione esprime un atto soggettivo del vedente, il termine a. esprime una manifestazione dell'oggetto, vale a dire l'espressione di una realtà attualmente ed obiettivamente presente.

E necessario, inoltre, precisare che l'aspetto visivo talora non è il solo interessato, potendosi associare aspetti di altro ordine sensoriale (ad esempio, udito od olfatto).

Se, tuttavia, fosse assente l'aspetto visivo, si useranno altri termini per definire tali fenomeni mistici. In caso di percezioni uditive, si parlerà, più che di a., di locuzioni, ovvero citando s. Giovanni della Croce " tutto ciò che l'intelletto riceve secondo il modo di udire ".1 Per esemplificare tale fenomeno è possibile ricordare la percezione di " parole miracolose ".

Qualora fosse assente l'aspetto visivo e fossero presenti percezioni olfattive, parleremo di percezione di odori miracolosi.

Il tatto avrà la funzione di controllare la realtà obiettiva dell'a., confermandone il senso di presenza.

BIII. Tipologia delle a. S. Agostino,2 come anche s. Isidoro di Siviglia ( 636) 3 e s. Tommaso 4 soffermandosi sul fenomeno delle visioni, le divide in tre tipi: 1. Visioni materiali, percepite dai sensi esteriori (di nuovo ad esempio, le a. della Madonna a Lourdes e a Fatima); 2. Visioni immaginative (che egli chiama " spirituali ") percepite dai sensi interiori (ad esempio, l'a. in sogno dell'angelo a Giuseppe nel Vangelo, oppure le visioni di Dio raccontate da s. Teresa d'Avila nella Vita, nel Castello interiore, ecc. Con ciò la santa intendeva una sensazione di presenza di Dio che le appariva in una visione interna, dunque diversa dalla percezione esteriore della vista; 3. Visioni intellettive, percepibili dal solo spirito.

Le a., così come sono state definite da s. Agostino, apparterrebbero alle visioni della prima e seconda specie. Secondo Agostino 5 come anche secondo Giovanni della Croce,6 le a. vanno tenute distinte dalle rivelazioni in quanto queste ultime s'indirizzano alla sola intelligenza, sono da considerare delle percezioni puramente spirituali, dunque sono ben diverse dalle a. così come le abbiamo definite. Al contrario, s. Tommaso,7 come Benedetto XIV 8 ( 1758) ed altri, vede le rivelazioni sempre unite ad una visione, anche se, precisa Tommaso, non è vero il contrario.

Valutando globalmente l'interpretazione dei vari autori, potremmo sintetizzare il concetto che la rivelazione è una manifestazione di senso intelligibile, che può talora esprimersi in occasione di un'a., ma che non s'identifica con essa.

IV. Proposta metodologica di valutazione dei fatti. Sul fenomeno delle a. è, comunque, necessario osservare dei criteri di valutazione che possiamo provare ad ipotizzare. Le a., in ogni caso, non possono prescindere dai seguenti giudizi: 1. Giudizio storico: il primo passo da seguire nei confronti di una storia riferita di a. è la valutazione di alcuni punti: se abbiano avuto effettivamente luogo, se vi sia stato qualche evento che facesse ipotizzare un'a., se vi siano state testimonianze attendibili al riguardo. 2. Giudizio ontologico e teologico. La teologia insegna che le a. possono rivelare delle cause naturali, diaboliche o divine. Secondo l'insegnamento teologico, le a. provenienti dal cielo appartengono alla categoria delle grazie concesse gratuitamente, pertanto prescindono dallo stato di grazia di chi le riceve.9

I tre tipi di giudizio espressi precedentemente sono sintonici tra di loro e s'influenzano reciprocamente.

Note: 1 Salita del Monte Carmelo II, 23,3; 2 Contra Adimantum: PL 42, 171; 3 Etymologiarum, l. 7, c. 8, n. 37s.: PL 82, 286-287; 4 I, q. 93, 6, 4m; II-II, q. 174, 1, 3m; q. 175, 3, 4m, ecc.; 5 De Genesi ad litteram, l. 12, c. 9 e 10: PL 34, 461; 6 Salita del Monte..., o.c., II, 23; cf. anche cap. 21, 24 e 25; 7 In 2am ad Corinthios cap. 12, lect. 1; 8 De servorum Dei beatificatione et beatorum canonisatione, III, Bologna 1737, c. ult.; 9 Cf STh II-II, q. 172; Benedetto XIV, De servorum..., o.c., III. c. 53.

Bibl. P. Dinzelbacher, s.v., in WMy, 147-148; P. Giovetti, I fenomeni del paranormale, Cinisello Balsamo (MI), 172-181; A. Mackenzie, Apparizioni e fantasmi, Roma 1983; R. Ponnet, Les apparitions aujourd'hui, Chambray-lès-Tours 1988; J. de Tondquedec, s.v., in DSAM I, 801-809.

G.P. Paolucci

APPETITO. (inizio)

I. Il termine a. psicologicamente sta ad indicare la tendenza, l'inclinazione naturale a desiderare e cercare il proprio appagamento in un oggetto esterno, colto confusamente dalla coscienza come piacevole e rispondente ai bisogni vitali di cui il soggetto sperimenta la carenza. Dalla " scolastica " viene distinto in a. naturale ed è la tendenza verso la propria completezza entitativa, e in a. elicito ed è l'inclinazione psicologica verso un bene conosciuto. Di per sé, in quanto inclinazioni naturali, gli a. sono moralmente indifferenti: possono essere sedi di virtù se si lasciano coordinare dalla volontà, oppure sedi di vizi se precedono o condizionano le scelte della volontà.

II. Per quanto riguarda la spiritualità, il termine è presente nella teologia scolastica, ma soprattutto è molto usato da s. Giovanni della Croce il quale parla di due specie di a. Il primo, " volontario ", è connotato da una componente viziosa e sta ad indicare una tendenzainclinazione disordinata dell'affettività, con la partecipazione della volontà. Consiste in ogni inclinazione naturale in quanto si oppone alla legge della ragione e della fede e in quanto resiste e si ribella alla vita spirituale (cf Gal 5,16-20). In questo senso, forma una categoria morale negativa. Il secondo ha una connotazione positiva e sta ad indicare soprattutto " desiderio ". Nella prima accezione, per il mistico spagnolo, radice e humus di tutti gli a. sono la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita (cf 1 Gv 2,16).1 Nell'ottica di Giovanni della Croce queste inclinazioni disordinate provocano come una disintegrazione nella vita dell'uomo perché " sono come le sanguisughe che succhiano continuamente il sangue delle vene " 2 atrofizzando le relazioni d'amore a tre livelli: con Dio, con se stessi, con gli altri. Egli così enuncia le tre direzioni del disordine affettivo: " E cosa veramente degna di compassione considerare in quale stato riducano la povera anima gli appetiti che in essa vivono: quanto sia sgradita a se stessa, quanto arida verso il prossimo e quanto pigra verso le cose di Dio ".3

Proprio perché essi danneggiano la parte vitale dell'uomo in quanto la privano " dello spirito di Dio ", e ancora " la stancano, la tormentano, l'oscurano, l'insudiciano, l'indeboliscono, la feriscono ",4 la prassi ascetica del passato ha molto insistito nell'invitare alla vigilanza per purificare gli a. con metodo e mezzi adatti. In questa prospettiva, molta influenza hanno avuto i famosi aforismi di Giovanni della Croce: " Non al più facile, ma al più difficile; non al più saporoso, ma al più insipido; ... non alla ricerca del lato migliore delle cose create, ma del peggiore e a desiderare nudità, privazioni e povertà di quanto v'è al mondo per amore di Gesù Cristo ".5 In fondo si tratta di non compiere nulla per sola soddisfazione personale o per solo piacere e di non omettere un atto buono solo perché ripugna o reca molestia. Si tratta, in ultima analisi, di un processo di decentramento perché nella vita dell'uomo risplenda la gratuità di Dio.

III. Nella vita ascetica. In questo processo di decentramento certo va ripensata l'eccessiva insistenza dell'ascetica tradizionale sulla mortificazione, soppressione, censura degli a., però è da sottolineare anche oggi l'importanza dell'ascesi perché l'esperienza cristiana non è mai puro dono dello Spirito, ma è sempre integrata con l'impegno ascetico. L'ascesi va ripensata e vissuta in dimensione pasquale: si tratta di lasciarsi sedurre dal Risorto e, affascinati da lui, lasciar morire in sé quel disordine affettivo e relazionale che porta a ripiegarsi su se stessi; di consentire alle inclinazioni - tendenze considerate positivamente - di canalizzarsi " come costante desiderio ", per usare ancora il linguaggio di Giovanni della Croce, " di osservare esattamente la legge di Dio e di prendere sopra di sé la croce di Cristo "; 6 " di imitare Cristo " 7 e di dirigere " l'affetto della volontà verso il possesso dell'Amato di cui (l'anima) ha sentito il tocco ".8 L'ascesi in prospettiva pasquale è mistagogia che introduce il credente a divenire spazio di Dio e luogo della sua epifania per la salvezza di molti, ed è esperienza che non sopprime o inibisce le inclinazioni, ma le educa, le trasforma e vitalmente le orienta a una comunione maggiore con se stessi, con gli altri e con Dio. Chi vive questo mistero, abitato dal Risorto, agisce con tutto il suo essere, incluse le inclinazioni assopite, educate; infatti, come ricorda ancora Giovanni della Croce, nell'unione d'amore, avviene che " Dio tiene raccolte tutte le forze, le facoltà e gli a. dell'anima, sia spirituali che sensibili, affinché questa possa impiegare armonicamente le sue forze e virtù in questo amore e così compiere veramente il primo comandamento, il quale senza nulla disprezzare dell'uomo e senza nulla escludere di suo da questo amore, dice: "Amerai Dio con tutto il cuore..." ".9

Note: 1 cf Salita del Monte Carmelo I, 13,8; 2 Ibid. 10,2; 3 Ibid., 10,4; 4 Ibid., 6,1; 5 Ibid., 13,6; 6 Ibid., 5,8; 7 Ibid., 13,3; 8 Cantico spirituale, 1,19; 9 Notte oscura II, 11,4.

Bibl. T. Goffi, L'esperienza spirituale, oggi, Brescia 1984, 84-91; C. Molari, Mezzi per lo sviluppo spirituale, in T. Goffi - B. Secondin (edd.), Corso di spiritualità. Esperienza sistematica - proiezioni, Brescia 1989, 496-508; G. Pesenti, s.v., in DES I, 143-146; F. Ruiz, Riconciliazione finale nell'antropologia di San Giovanni della Croce, in Ch.-A. Bernard (cura di), L'antropologia dei maestri spirituali, Cinisello Balsamo (MI) 1991, 281-293.

A. Neglia

APPLICAZIONE DEI SENSI. (inizio)

Premessa. Il mondo di Dio, insegnano i mistici, non è colto principalmente con il ragionamento, ma prima di tutto con il cuore e con i sensi: la vista, l'udito, il tatto, il gusto, l'odorato. Per i Padri della Chiesa, " la carne è il cardine della salvezza. Quando l'anima viene unita a Dio, è la carne che rende possibile questo legame. E la carne che viene battezzata, perché l'anima venga mondata; la carne viene unta affinché l'anima sia consacrata ".1

I. I sensi nell'esperienza mistica. La consapevolezza di questo coinvolgimento dei sensi nell'esperienza di Dio affonda le sue radici culturali soprattutto in 1 Gv 1,1-4, dove l'annuncio è finalizzato alla gioia che fondamentalmente è frutto della comunione con il Padre e con il Figlio nel dono dello Spirito. Ebbene, qui, i temi che creano l'ambientazione della comunione e della gioia sono: l'ascoltare, il vedere, il contemplare, il toccare, la testimonianza, l'annuncio e la manifestazione. La maggior parte di questi temi ha un carattere sensoriale e ci dice che Dio viene percepito come qualcosa che pervade anche i sensi e viceversa i sensi vengono sentiti, avvertiti come pervasi della presenza di Dio.

Alla luce di questo orizzonte biblico e patristico, s. Ignazio nei suoi Esercizi spirituali,2 dopo avere impegnato l'intelligenza e la volontà dell'esercitante a vedere, udire e guardare " le persone sulla faccia della terra ", ma anche " le Persone divine " 3 lo invita a coinvolgere i sensi nelle realtà contemplate. Si tratta di " vedere le Persone con la vista immaginativa ",4 " udire con l'udito ",5 " odorare e assaporare con l'odorato e col gusto ",6 " toccare col tatto ".7 Si tratta, in fondo di coinvolgere tutto l'uomo, con la sua corporeità nella contemplazione del mistero di Dio. A questo linguaggio molto concreto ed espressivo di Ignazio, fa eco Teresa d'Avila la quale ribadisce la valenza del corpo e dei sensi nell'esperienza spirituale: " Non siamo angeli, ma abbiamo un corpo. Pretendere di fare gli angeli ancor quaggiù sulla terra... è una autentica pazzia ".8 E, poi, vincendo i pregiudizi dei maestri che guardavano con sospetto la corporeità e la stessa umanità di Cristo, evidenzia che " non possiamo piacere a Dio, né Dio accorda le sue grazie se non per il tramite dell'Umanità sacratissima di Cristo... Dobbiamo entrare da questa porta, se vogliamo che Dio ci riveli i suoi segreti ".9

Questa ricca tradizione spirituale non è priva di importanza per l'attuale sensibilità culturale che, dopo alcuni secoli di oblio, prende in seria considerazione il corpo e di conseguenza la sensibilità in tutte le sue concrete manifestazioni. Essa stimola la riflessione teologico-spirituale a liberarsi da un modello di ascesi, che mortificava l'identità umana globale, interpretando secondo moduli rigidamente spiritualistici il vissuto dell'uomo; la provoca ad assumere in modo responsabile, senza pregiudizi, il coinvolgimento della propria sensibilità-emozionalità nell'esperienza spirituale.

Certo, perché i sensi diventino ricettori e strumenti dell'esperienza contemplativa è necessaria una pedagogia che li sottragga all'ambiguità di questo mondo, li metta in sintonia con il compito che li attende, li renda docili al divino che li avvolge e li permei fino a divenirne trasparenza, epifania.

Note: 1 Tertulliano, La risurrezione dei corpi, 8,2; 2 Esercizi spirituali, 121-125; 3 Ibid., 106-116; 4 Ibid., 122; 5 Ibid., 123; 6 Ibid., 124; 7 Ibid., 125; 8 Vita 22,10; 9 Ibid., 22,6.

Bibl. I. Biffi, I " sensi " dell'uomo " spirituale ", in P.L. Boracco - B. Secondin, L'uomo spirituale, Milano 1986, 177-187; A. Liujma, s.v., in DES I, 199-201; J. Maréchal, s.v., in DSAM I, 810-828; D. Mollat, Giovanni maestro spirituale, Roma 1984 (soprattutto il c. II, L'emergere dei sensi spirituali); S. Rendina, La dottrina dei " sensi spirituali " negli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, in Ser 2930 (1983), 55-72; A. Spadaro, Gli " occhi dell'immaginazione " negli Esercizi di Ignazio di Loyola, in RST 35 (1994), 687-712; V. Truhlar, Concetti fondamentali della teologia spirituale, Brescia 1971, 42-45.

A. Neglia