DIZIONARIO DI MISTICA

L. BORRIELLO - E. CARUANA M.R. DEL GENIO - N. SUFFI

A

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ARIDITA SPIRITUALE. (inizio)

Premessa. E uno stato generale psicologico-spirituale di noia e incapacità di produrre atti di devozione e di meditazione religiosa. L'a. può darsi nei vari stadi della vita spirituale, tanto ascetici che mistici ed è stata ampiamente sperimentata e descritta. Nella sua realizzazione più piena costituisce una dimensione caratteristica della notte oscura. Si presenta anche in forma limitata e settoriale nelle diverse fasi e situazioni della vita spirituale e psicologica.

In una pagina di sapore autobiografico, s. Bernardo descrive i vari sintomi di questa situazione: " Mi ha invaso questa languidezza e ottusità della mente, questa debolezza e sterilità dell'anima, assenza di devozione. Come si è asciugato così il mio cuore? E tale la durezza del cuore che già non riesce a commuoversi né a versare una lacrima. Non trovo più gusto nel salmodiare, la lettura spirituale mi risulta insipida, la preghiera ha perso per me il suo incanto... Mi sento pigro nel lavoro manuale, sonnolento nelle veglie, propenso ad arrabbiarmi, ostinato nella mia avversione... ".1

I. Caratterizzazione. L'a. ha diversi nomi complementari tra loro: secchezza, languore dell'anima, ottusità della mente, durezza di cuore, mancanza di devozione, noia. Produce sensazione prolungata di annientamento mentale e affettivo, impossibile da superare. Ha la sua radice nell'ambito affettivo e da qui si estende a tutta l'attività psichica e spirituale: la preghiera in primo luogo, le decisioni e l'azione, la riflessione e la lettura spirituale, ecc.

La a. mentale ed affettiva è compatibile con il fervore spirituale, conserva interesse per le cose di Dio. Si distingue dalla desolazione che produce noia e incapacità totale a una maggiore profondità. E molto differente, nella qualità spirituale, dalla tiepidezza: " Tra l'a. e la tiepidezza c'è molta differenza perché la tiepidezza ha molta debolezza e pigrizia nella volontà e nell'animo, senza sollecitudine di servire Dio; quella che solo è aridità purgativa comporta un'abituale sollecitudine, con penoso dubbio di non servire Dio ".2

II. Cause e mezzi per superarla. L'a. di solito si presenta in maniera imprevista, indesiderata, passiva: opera di Dio, influsso della natura. Esige partecipazione attiva del soggetto nel suo trattamento per identificare i fattori psichici o spirituali che la causano o la favoriscono e, a partire da questo discernimento, per adottare gli atteggiamenti e i mezzi appropriati per superarla.

Tra le possibili cause di ordine naturale si possono enumerare: a. stanchezza fisica: indisposizioni, malattie, esaurimento, insonnia; b. stanchezza mentale: deconcentrazione, sforzo cerebrale prolungato, tensioni e dispiaceri, responsabilità, preoccupazioni; c. malinconia e tendenza allo scoraggiamento, stati di animo che bloccano lo sviluppo della psiche.

Per superare spiritualmente tale situazione occorre cominciare con un atteggiamento fondamentale di accettazione nell'umiltà e nella povertà. Non si tratta di sopportare o di porre rimedio a un male, ma di fare un passo avanti nella vita di fede, amore e speranza, servendo Dio nella nudità di spirito e nel totale annientamento. Poi si agisce in conseguenza applicando mezzi naturali e soprannaturali più adeguati: riposo mentale e fisico, cambiamento di attività, maggiore fedeltà alla propria vocazione con le sue esigenze, ascesi, ecc.

III. Orazione di a. Nella vita di preghiera troviamo la manifestazione più frequente e dolorosa dell'a. spirituale. Nella preghiera si fa più esplicita ed esclusiva l'attenzione religiosa e più dolorosa e cosciente l'incapacità di comunicare con Dio. Al soggetto un esercizio mentale intenso pone in maggior evidenza la sterilità dello spirito. E un'esperienza prolungata e penosa per la quale ordinariamente passano tutte le persone che perseverano fedeli nel cammino della preghiera. Porta con sé conseguenze penose e difficoltà nella ricerca di soluzioni o rimedi.

Una serie di fattori convergenti rende oggi particolarmente frequente il fenomeno dell'a. nella preghiera. Tra questi: l'esistenza frenetica, la fatica dovuta ad impressioni costanti ed intense nella sensibilità, una certa freddezza nell'ambito religioso, una scarsa educazione pastorale per la preghiera interiore, l'abitudine nella pratica della preghiera per mancanza di progetto, ecc.

S. Teresa, che ha sofferto lungamente questa tortura, dedica particolare attenzione al tema. Le sue descrizioni e i suoi suggerimenti conservano la loro validità. Nel capitolo undicesimo della Vita, ella ha lasciato un'ampia descrizione del fenomeno, delle sue possibili cause e rimedi. Lo colloca di preferenza nella prima tappa del cammino di orazione, però esso si ripete con regolarità nei momenti successivi. " Che deve fare colui che da molti giorni non prova altro che a., disgusto, insipidezza, e un'estrema ripugnanza... né potrà formulare un buon pensiero? ". Spiegazione e rimedio. " Sua Maestà vuole condurre per questa strada perché comprendiamo meglio il poco che siamo ". Questa stessa povertà aiuta a servire Dio " con giustizia, fortezza di animo e umiltà ". " Non fare molto caso né consolarsi né scoraggiarsi molto perché mancano questi piaceri e tenerezze ". Non turbare l'animo: " Peggio se allora si insiste a fargli forza perché il male dura più a lungo ".

Poi si aggiungono altri rimedi: l'aiuto del libro, della preghiera vocale, dello sguardo silenzioso e inerte.3

IV. A. come passaggio alla vita teologale. Con il suo stile peculiare nel sistematizzare l'esperienza spirituale s. Giovanni della Croce reimposta il tema sulla base di uno schema antropologico-spirituale. In questa prospettiva, l'a. rappresenta un momento di " transizione " dal senso allo spirito, dal sensibile alla vita teologale; implica un grande passo avanti nella qualità della vita spirituale. Nel passaggio dal fervore all'amore arido e conoscitivo, la persona, abituata ai sentimenti, si trova vuota e disorientata. La coscienza non è preparata per gustare il sapore fine dell'amore teologale. " Questo amore, però, alcune volte non è compreso né sentito dalla persona che lo sperimenta, perché esso non risiede nel senso con tenerezza, ma nell'anima con fortezza, ed è più veemente, più coraggioso di prima ".4

In questa prospettiva, l'a. entra come componente e diventa un elemento che porta dinamicità di carattere teologale: amore verso Dio, conformità con Cristo, purificazione dell'energia sensibile e rafforzamento dell'energia spirituale. La fortezza e libertà, che la persona consegue, le danno la capacità di agire con uguale interezza in qualunque stato di animo sia, senza i condizionamenti cui è soggetto chi si muove e si motiva per stati d'animo e sentimenti passeggeri. La maturità raggiunta si manifesta nelle attività che richiedono dedizione costante, preghiera, sofferenza, convivenza, apostolato.

Note: 1 S. Bernardo, Sermoni sul Cantico dei Cantici, 54; 2 Giovanni della Croce, Notte oscura I, 9,3; 3 Teresa di Gesù, Vita 11, passim; 4 Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo II, 24,9.

Bibl. E. Ancilli, L'orazione e le sue difficoltà, in Aa.Vv., La preghiera, II, Roma 1988, 65-78; J. Aumann, Teologia spirituale, Roma 1980, 289-291; E. Bortone, s.v., in DES I, 201-203; E. Boylan, Difficoltà nell'orazione mentale, Milano 19903; R. Daeschler, s.v., in DSAM I, 845-855; J. de Guibert, Théologie spirituelle, Roma 1952, 239-242; E. Salman, s.v., in WMy, 502-503.

F. Ruiz-Salvador

ARINTERO JUAN. (inizio)

I. Vita e opere. Nato a Lugueros (Léon, Spagna), il 24 giugno 1860 nel seno di una famiglia di solide tradizioni cristiane e di modesta fortuna, da giovane abbraccia la vita religiosa, entrando nell'Ordine dei frati predicatori. Alterna gli studi sacerdotali con quelli delle scienze naturali, conseguendo il dottorato in fisica e chimica nell'Università civile di Salamanca nel 1886. Destinato in seguito all'insegnamento nel Collegio di Vergara, paese basco, inizia la carriera di docente come quella di pubblicista, nel campo della sua specializzazione, le scienze della natura, però aprendosi già all'apologetica, " difesa scientifica ", della religione cristiana. Nel 1898 inizia l'opera L'evoluzione e la filosofia cristiana, che dovrebbe abbracciare, secondo il progetto, otto volumi, dei quali si edita solo il primo: L'evoluzione e la mutabilità delle specie. Nel 1904 partecipa a Viterbo al Capitolo generale dei definitori del suo Ordine e lì propone un piano di rinnovamento e aggiornamento degli studi e dell'apostolato tipicamente domenicano: " Bisogna dar più importanza alle questioni utili e d'attualità che servono a difendere i punti attaccati e ad impugnare con frutto gli errori, piuttosto che alle questioni strane ed antiquate. Poco importa saper confutare i nemici che non esistono più, se non si conoscono i molti che vivono adesso ". Quelli che " vivono " e si muovono sono i razionalisti, appoggiati alle nuovissime teorie scientifiche o pseudoscientifiche. A., uomo rude e di carattere forte, non rifiuta lo scontro apologetico ed usa le stesse armi del nemico per difendere i dogmi cattolici. Il dominio delle scienze naturali, la passione per le creature lo affascinano e lotta con la penna per spiegare che la verità scientifica non può essere in opposizione con la verità cristiana. La verità, motto del suo Ordine e insegna dei suoi membri, libera sempre l'uomo e lo pone in cammino per realizzare il suo destino. Insomma, A. si converte, per la sua professione e per il suo sapere, in apologista della Chiesa, attaccata dal razionalismo. Concepisce così un'opera nuova, che non è più né meno che una ecclesiologia, sotto il segno della " evoluzione "; comprende quattro tomi poderosi: 1. Evoluzione organica; 2. Evoluzione dottrinale; 3. Evoluzione mistica; 4. I fattori della evoluzione (Salamanca 1908-1911).

Nel 1909 è chiamato a Roma, presso la cattedra di ecclesiologia dell'Angelicum, che apre le sue aule in quello stesso anno. La sua " ecclesiologia " è considerata, nella Roma di san Pio X, non molto ortodossa, e lo allontanano dalla cattedra. Ritorna a Salamanca, dove prosegue i suoi studi e le sue pubblicazioni, ogni volta più incentrati sulla vita e sulla vitalità della Chiesa, " organismo vivo ", organismo mistico. In Salamanca, nel 1921, fonda la rivista La vida sobrenatural. Ivi pubblica nel 1916, Questiones místicas; nel 1919, El Cantar de los Cantares; nel 1925, La verdadera mística tradicional; nel 1926, Las escalas de amor y la verdadera perfección cristiana, ecc. Muore il 20 febbraio 1928, in odore di santità. Il suo processo di beatificazione aperto nel 1952, segue il normale corso ed ha buone speranze di approvazione.

II. Dottrina. A. è una delle figure di maggiore rilievo nel campo della moderna ecclesiologia, concretamente in ciò che potremmo chiamare ecclesiologia mistico-vitale. L'iter della sua vita scientifica è chiaramente ascendente: dalle scienze naturali all'apologetica scientifica; dall'apologetica all'ecclesiologia, dall'ecclesiologia alla mistica. Non c'è altro che continuità, progresso, evoluzione perfetta, vocazione di santità in fieri. In sintesi, la parola evoluzione è il motto - il simbolo - di tutta l'opera di A., chiave e rischio della sua avventura scientifico-religiosa. E, d'altra parte, un'arma che i razionalisti del sec. XIX brandiscono contro la Chiesa. A., più sensibile agli orientamenti di Leone XIII che a quelli di Pio IX, e più avanti dei santi timori di san Pio X, cerca di strappare ai razionalisti quest'arma e difendere con questa i dogmi. Ciò gli causa incomprensione al punto che i suoi libri rischiano di essere messi all'Indice. Ha, poi, da dare spiegazioni e giustificazioni, ma non fa marcia indietro. L'evoluzione appare già nell'abbozzo del suo primo progetto apologetico (1898). Riappare, un poco sfumata, nel suo grande trattato De ecclesia, che ha per titolo: Sviluppo e vitalità della Chiesa; però subito, nei singoli volumi, riappare il termine evoluzione. Ovviamente, questo risulta equivoco e, per la vecchia guardia dell'ortodossia, con sapore eterodosso. Le critiche all'opera di A. aumentano sia dentro che fuori casa. Lo allontanano dalla cattedra romana finché, come già precisato, è sul punto di finire all'Indice, ma, a distanza di varie decine di anni, il suo nuovo uso della parola evoluzione risulta ortodosso e perfino stimolante, fertile, geniale. Come egli stesso spiega, " la Chiesa può e deve evolversi, crescere, progredire. Possiamo, poi, considerare in essa tre modi di evolversi: organico, dottrinale e mistico o vitale ". Si tratta di evoluzioni omogenee, di evoluzioni nel senso di progresso, di sviluppo perfettibile. In una parola: di crescita. Questo processo " evoluzionista " si verifica, in maniera peculiare, nell'" organismo vivo " che è la Chiesa. L'affinità tra " organismo vivo " e Corpo mistico è evidente. A. applica il suo " concetto " di evoluzione vitale alla Chiesa, ed ugualmente, al cristiano. " Per evoluzione mistica, scrive, chiarendo termine e concetto, intendiamo l'intero processo di formazione, sviluppo ed espansione di quella prodigiosa vita che è la grazia fino a che si formi Cristo in noi e ci trasformi nella sua divina immagine ". Di tutta l'ecclesiologia arinteriana è precisamente la parte terza - Evoluzione mistica - quella che ha maggiore risonanza e risulta la più chiara, la più geniale, la più rinnovatrice. A questo punto, conviene precisare due punti: l'uno, l'" evoluzione mistica " personale o individuale è parte integrante della " evoluzione mistica " ecclesiale (la Chiesa come organismo vivo, del quale fanno parte tutti i membri del medesimo, cioè i cristiani); l'altro, l'apertura della ecclesiologia alla mistica porta A. ad un forte rinnovamento delle idee in voga sulla spiritualità, senza dubbio, partendo dal rinnovamento auspicato da Leone XIII nell'Enciclica Divinum illud munus (1897), anche con apporti di grande qualità e di feconde prospettive. Le tesi arinteriane " ispirano " l'idearium della rivista Vie spirituelle (1919) e, soprattutto, l'opera vasta e ricca di Garrigou-Lagrange, paladino e araldo, come egli confessa, del " rinnovamento mistico arinteriano ". Anche in questo campo A. ha i suoi amari contrattempi e i suoi duri avversari. Si tratta, come egli sostiene, di tornare alle cause della " vera mistica tradizionale ", oscurata e sviata durante vari secoli da una triste decadenza. Questa decadenza sterile colpisce, secondo lui, anche la genuina mistica teresiana e sangiovannista e lo stesso concetto di mistica. Essa è soprattutto la realizzazione della vocazione del cristiano, che è, secondo quanto apostrofa con enfasi, vocazione di perfezione, di santità: la mistica è lo svilupparsi della grazia e sta, pertanto, nel piano della economia cristiana; è meta comune, non privilegio di classe, né ornamento accidentale, né molto meno pericolo da evitare. L'opera Cuestiones místicas contiene le tesi primordiali, erette come sette lance: 1. la mistica è nella normale via della vita cristiana; 2. tutti i cristiani possono e debbono sforzarsi per arrivare a queste vette della mistica o " contemplazione infusa "; 3. se nell'esperienza quotidiana ci sono pochi mistici è perché non ci sono asceti che, con abnegazione e purificazione, spianano il cammino; 4. tutti i santi sono mistici, perché " perfezione cristiana ", santità e mistica sono la medesima cosa; 5. non ci sono, pertanto, due vie o cammini o tipi di santità, uno ascetico e l'altro mistico, tranne due tappe del medesimo cammino: primo, ascesi; secondo, mistica; 6. ciò che costituisce e caratterizza lo " stato mistico " è l'azione " sovrumana " dei doni dello Spirito Santo nell'anima; e 7. i cosiddetti " fenomeni mistici " sono accidentali e secondari: il fenomeno essenziale è la contemplazione infusa, maturità dell'amore di Dio e del prossimo.

Il contributo di A. alla " restaurazione mistica " nell'ambito del sec. XX è stato decisivo. Egli stesso lo avverte quando scrive: " Tra alcuni anni si andrà felicemente realizzando una vigorosa rinascita degli studi mistici. Questi, molto lontano dall'essere già visti con il funesto sdegno con il quale negli ultimi tre secoli lo furono, in tutte le parti suscitano un interesse vivo e crescente, riconquistando poco a poco il posto d'onore e l'eccezionale importanza che in altri giorni ebbero e che niente dovevano avere perso né di fatto persero senza grande detrimento della pietà " cristiana. In certo modo, A. ha seminato molte delle idee che sulla misticasantitàperfezione, sono fiorite nel Vaticano II.

Bibl. A. Alonso, Padre Arintero, un maestro di vita spirituale, Roma 1975; A. Bandera, El padre Arintero, doctor de la mistica, in La vita sobrenatural, 64 (1963), 1-12; M.M. Gorge, s.v., in DSAM I, 855-859; A. Huerga, La evolución: clave y riesgo de la aventura intelectual arinteriana, in Studium, 7 (1967), 127-153; Id., La evolución de la Iglesia según Arintero, in Com 1 (1968), 65-93; Id., s.v., in DES I, 203-205; Pellegrino de la Fuente, s.v., in EC I, 189; I. Rodriguez, Evolución de la Iglesia según Arintero, Madrid 1994; A. Suarez, Vida de J. Arintero, 2 voll., Cadiz 1936.

A. Huerga

ARTE. (inizio)

I. Rapporti ed influssi intercorrono fra le visioni delle mistiche e le immagini, la cui frequentazione, vivaio per la meditazione interiore, fa parte della loro esperienza quotidiana. Ci si riferisce alle mistiche e ai mistici, ma maggiormente alle prime, perché per le donne, spesso meno colte degli uomini, l'immagine è un punto di riferimento importante.

Una serie di aggiornamenti iconografici trapassa abitualmente nelle descrizioni delle visioni: ad esempio nelle visioni i chiodi del crocifisso da quattro si riducono a tre seguendo la parallela evoluzione cronologica dell'immagine del Crocifisso. Infatti, l'iconografia del Cristo trionfante che sottolinea la sua essenza divina lo mostra senza segni di sofferenza, con i grandi occhi spalancati e i piedi accostati l'uno accanto all'altro. Il successivo schema del " Christus patiens " sottolinea, invece, l'umanità di Cristo e lo mostra in agonia, col capo reclinato o già con gli occhi chiusi nella morte. I piedi non sono più accostati, ma sovrapposti e forati da un unico chiodo. L'innovazione che fa assumere al corpo una maggior tensione, sintomo di sofferenza, si diffonde in Italia solo a partire dalla seconda metà del sec. XIII. Lo spagnolo Luca di Tuy, cronista e vescovo (dal 1239) ha ben chiaro i motivi del mutamento iconografico che accentua lo spasimo del supplizio: " Ma qualcuno dice che per questo si va ora affermando che Cristo sia stato crocifisso con un piede sopra l'altro tenuti da un unico chiodo e che si vogliano cambiare le consuetudini della Chiesa, perché con la crudeltà maggiore della passione di Cristo sia sollecitata nel popolo una maggiore devozione ".

Spesso, sono le visioni delle mistiche a fondare iconografie diverse: ci si riferisce ad esempio a come ancor oggi viene rappresentato il presepio, che si fonda sulla visione di s. Brigida di Svezia.

II. E questo fondamentale ruolo dell'immagine nell'esperienza claustrale e mistica, la ragione che spinge le compagne di Chiara da Montefalco a credere che la metafora usata dalla santa potesse essersi concretizzata, cioè che veramente nel cuore della santa si trovassero tutti i simboli della passione, quella passione e quella croce che Chiara diceva avere radicate in petto. Come in uno stipetto a due ante furono trovati nella lunga autopsia durata più giorni, da una parte la croce, i tre chiodi, la lancia, la spugna e la canna; dall'altra, la colonna, la frusta con cinque funicoli e la corona: immediato l'esplosivo moltiplicarsi di miracoli e il concorso di popolo e di pellegrini.

III. La vita spirituale procede per visioni, quindi fondamentalmente per immagini, immagini che a loro volta forniscono le parole per descrivere esperienze altrimenti intraducibili. La figura e la sua descrizione sono perciò un linguaggio, un veicolo linguistico comune fra la " biografia " di una mistica (cioè il modello di vita che viene proposto dall'estensore della Vita) ed il pubblico dei suoi destinatari. D'altronde, il pubblico è abituato ad andare in chiesa, a guardare immagini, tanto che divengono un suo preciso sfondo culturale, un bagaglio di riferimenti culturali, bagaglio che proprio quel pubblico sarà prontissimo a ricevere e a raccogliere anche dai racconti della mistica.

Nel sec. XIV assistiamo ad una privatizzazione del culto: i privati, come le mistiche, pregano sempre più in solitudine, nelle loro stanze che accolgono altaroli e crocifissi sentiti come un necessario appoggio emotivo di meditazioni. Sono proprio quegli altaroli e crocifissi ai quali si fa frequentissimo riferimento nelle biografie delle sante, punto di partenza dell'estasi mistica. In una circolarità di temi e di linguaggi vi è quindi un rapporto molto stretto fra le immagini, le mistiche e i loro devoti, tanto più che la committenza degli altaroli è molto spesso di privati cittadini e presuppone una richiesta finalizzata a ben determinati scopi ed intenti.

Bibl. Aa.Vv., Bibbia Arte e Musica, in Supplemento a Jesus, n.2 - febbraio 1992, tutto il numero; T. Amodei, L'arte sacra oggi, Roma 1973; Id., Spinte " mistiche " nell'operare artistico di oggi, in Aa.Vv. Mistica e misticismo oggi, Roma 1979, 291-297; C. Frugoni, Le mistiche, le visioni e l'iconografia: rapporti ed influssi, in Atti del Convegno su La mistica femminile del Trecento, Todi (PG) 1983, 5-45; Ead., Il linguaggio dell'iconografia e delle visioni, in Culto dei santi, istituzioni e classi sociali in età preindustriale, a cura di S. Boesch Gajano e L. Sebastiani, L'Aquila 1984, 527-537. Su Chiara da Montefalco in particolare: C. Frugoni, Domine, in conspectu tuo omne desiderium meum: Visioni e immagini in Chiara da Montefalco, in C. Leonardi - E. Menestò (cura di), S. Chiara da Montefalco ed il suo tempo, Firenze 1985, 154-174.

A. Frugoni

ASCESI-ASCETICA. (inizio)

I. Con il termine ascesi, che deriva dal greco askesis (=esercizio), comunemente s'intende l'insieme degli sforzi mediante i quali si vuole riuscire a progredire nella vita morale e religiosa. Nel suo significato originario, il termine indicava qualsiasi esercizio, fisico, intellettuale e morale, svolto con una certa metodicità in vista di un progresso. In ambito cristiano, l'a. assunse molteplici significati: mortificazione, penitenza, esercizio di virtù per il conseguimento della perfezione.1

A questo termine sono collegate le parole ascetica, dottrina riguardante l'a., ossia l'impegno costante a realizzare una progressiva perfezione spirituale; 2 ascetismo, che indica sia la dottrina che la pratica degli asceti, ossia lo stato di coloro che si dedicano ad esercizi rigorosi di pietà. L'a. 3 è, dunque, la ricerca della perfezione. Nell'esperienza cristiana essa tende ad un adattamento sistematico di tutta la vita del credente a quell'immagine e somiglianza di Dio, inscritta nell'anima al momento della creazione; è lo sforzo di armonizzare la vita con la fede per mezzo di una continua morte di croce, secondo il linguaggio di Paolo. Essa, pertanto, non è il fine ultimo della vita cristiana, bensì una mediazione strumentale per raggiungere l'unione con Dio Padre.4

Se sono sorte deviazioni, esagerazioni o confusioni nella pratica dell'a. è perché si è instaurata, erroneamente, una sorta di identificazione tra l'opposizione, di matrice greca, dell'anima e del corpo e l'opposizione di cui parla Paolo tra " la carne " e lo " Spirito ".

Sulla base di questo dualismo tra corpo e anima, in un passato piuttosto recente, la teologia ha presentato il cammino spirituale in due tappe successive: esperienza ascetica ed esperienza mistica.5 L'a., obbligatoria per tutti, si concretizzava nell'impegno di realizzarsi con l'aiuto della grazia in uno stato virtuoso, mentre la mistica designava un dono di eccezionale perfezione spirituale accordato dallo Spirito, con il quale l'anima collabora per lo più passivamente.

Nella teologia contemporanea si preferisce affermare che il cristiano è, in modi e forme diverse, asceta e mistico, virtuoso e spirituale allo stesso tempo, operante per virtù propria e sottomesso all'influsso dello Spirito del Risorto. Ogni cristiano, infatti, in virtù del battesimo e in stato di grazia, è in germe pneumatizzato dalla Pasqua di risurrezione, quindi, in comunione con lo Spirito di Cristo.

Posti questi principi, rimane il fatto innegabile che il cristianesimo propone un'a. che si fonda sulla carità, in virtù della quale si rinuncia a tutto ciò che impedisce il tendere alla perfezione evangelica.

Per cogliere pienamente il significato dell'a. cristiana, è opportuno studiarne le motivazioni che si manifestano, gradatamente, nella storia del popolo di Dio, alla luce della Parola e delle provvidenziali esperienze degli uomini di Dio. Soprattutto, occorre tener presente il fatto che ogni a., caratterizzata dalla carità che lo Spirito effonde nell'anima 6 in stato di grazia, imprime un orientamento caritativo a tutto l'agire morale, anche se non se ne ha la coscienza esplicita.7

II. Nella Sacra Scrittura. Fin dalle prime pagine della Genesi, in tutto il racconto della creazione si ripete che tutto ciò che esiste è buono in sé (cf 1,31). Ne segue immediatamente che il dono di Dio agli uomini delle cose buone della creazione costituisce un tutt'uno con la benedizione divina. Il peccato dei primogenitori non cambierà sostanzialmente questo primo dato. Le benedizioni dei patriarchi, difatti, ripeteranno quelle della creazione (cf Gn 49): saranno sempre legate al dono. Anche la pasqua, prima alleanza redentrice con il popolo d'Israele, comporterà un dono: la terra promessa.

Ma, appena Israele si sarà stabilito nel paese della promessa, dimenticherà il suo Dio. Più precisamente, si vedrà drammaticamente diviso tra la scelta dell'unico Dio e i suoi doni. Di qui il peccato fondamentale del popolo che si manifesterà come vera e propria idolatria. In altri termini, Israele, sfruttando le ricchezze della terra, porrà se stesso come centro del creato. In questa ricerca affannosa delle ricchezze e nell'assicurarsi un futuro tranquillo, Israele dimenticherà il Dio dei suoi padri.

Nel medesimo tempo, la soddisfazione dei propri appetiti insaziabili trascinerà il popolo d'Israele verso l'ingiustizia.

Per i profeti, il peccato d'Israele è innanzitutto questo complesso d'idolatria e di ingiustizia. Tutto questo sarà espresso da Osea nell'immagine dell'adultera applicata al popolo infedele (cf 2,7-10), quasi spiritualmente soffocato dal godimento dei beni elargiti da Dio.

In questa situazione, Dio stesso interverrà, per privare, per un certo tempo, l'uomo di questi beni, in modo che egli lo riconosca di nuovo come l'unico vero Dio e Signore della propria vita.

Isaia, a sua volta, inveisce contro gli accaparratori di ricchezze perché queste li allontanano da Dio e li mettono contro i propri fratelli. Per Geremia i ricchi sono maledetti nelle loro ricchezze, mentre i poveri vengono benedetti da Dio nella loro desolazione: riprovati, considerati traditori della patria, imprigionati, essi trovano in Dio sicurezza e protezione.

La verità, ancora velata nell'insegnamento di Geremia, si fa molto più esplicita nei carmi del Servo sofferente del Deutero-Isaia. Il profeta preconizza un uomo sul cui capo si sono accumulate tutte le miserie possibili, ma proprio lui è l'unico servo fedele di JHWH, l'unico del quale egli si compiace (cf Is 53,4-5). In questa prospettiva si verifica, allora, che Dio colpisce il peccatore in vista della sua guarigione, mentre la sofferenza del giusto acquista un senso redentore per gli altri uomini peccatori, come nel caso del Servo sofferente, di Giobbe e di altri personaggi dell'AT.

Tra i libri apocalittici, quello di Daniele, insiste sul fatto che il regno di Dio è vicino. Per disporsi a questo avvento del Re dei secoli, occorrerà rompere l'alleanza con tutte le potenze umane che pretendono di regnare al posto di Dio, il che vuol dire rinunciare a ogni sistemazione nel mondo presente.

Non fa, dunque, meraviglia se nell'epoca in cui fioriscono gli scritti apocalittici sorgono in Israele alcune comunità di tipo completamente nuovo: ci si separa dalla massa per vivere una vita più fedele a Dio, in cui le rinunce volontarie e la preparazione alle prove dei tempi messianici assumono un posto di rilievo. Ci si ritira nel deserto per andare incontro al regno futuro.

E da queste comunità che sorge il Battista. Asceta e profeta, grida nel deserto alle folle che vanno da lui, invitando alla metánoia, vale a dire a una conversione totale dell'uomo per prepararsi a quelle vie di Dio di cui parlava Isaia e che non sono le sue vie (cf Mt 3,1-3). Giovanni Battista rappresenta una vita ascetica che prepara, attraverso digiuni, astinenze, privazioni, solitudine, preghiera, il regno del Messia.

Nel NT, Gesù si pone nel solco del Battista: " Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua " (Mt 16,24). Quando Paolo vorrà dare una spiegazione del profondo significato della croce del Maestro esclamerà: " Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù... (il quale), pur essendo di natura divina,... umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte... di croce " (Fil 2,5-8, passim). E chiaro in questo testo il parallelo tra Adamo e Cristo così familiare a Paolo (cf Rm 5 e 1 Cor 15). Adamo aveva voluto ottenere con un atto di rapina l'uguaglianza con Dio, quindi, aveva rifiutato di essere un servo, di umiliarsi, di obbedire. Pretendendo l'indipendenza da Dio aveva fatto rovesciare su tutta l'umanità proprio quelle miserie che l'umiltà, l'obbedienza e l'annientamento del Servo fedele cancelleranno.

L'accento si sposta, con Paolo, sulla lotta spirituale che il cristiano dovrà ingaggiare sia nella propria vita, sia in quella apostolica; la vita cristiana è lotta e combattimento (cf 1 Cor 9,24-25.27).8 Per giustificare tale pratica, Paolo esorterà alla vigilanza: " Attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia, infatti, non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti " (Ef 6,10-12).

Del resto, lo stesso Signore aveva dato l'esempio della lotta contro satana quando, prima di iniziare la vita pubblica, era andato nel deserto per esservi tentato (cf Lc 4,1-13); in seguito, insegnerà a scacciare i demoni e le tentazioni con il digiuno e la preghiera (cf Mc 9,29), come per dire che la preghiera è più efficace se accompagnata dalla penitenza.

Per un discepolo di Cristo il termine a. evoca tutti questi aspetti sopra menzionati. In realtà, è Cristo stesso che apre la via ai discepoli perché seguano le sue orme, come dice Pietro (cf 1 Pt 2,21). Seguendo questa via, si va verso la purificazione del cuore, o per dirla con Geremia, la circoncisione del cuore (cf 4,4), la trasformazione del cuore di pietra in un vero cuore di carne (cf Ez 36,26).

Il motivo giustificante l'a. cristiana sta, dunque, nel seguire il Cristo della croce e della gloria. E proprio per questo il primo ed eterno modello dell'asceta cristiano sarà il martire.9 Andando incontro alla morte per essere fedele a Cristo, il martire-asceta attesterà il potere salvifico della croce gloriosa.

Su questa base biblica, nel corso dei secoli verranno a enuclearsi tre formulazioni di a.: quella di compartecipazione, di riparazione e di sostituzione. La prima, cioè la condivisione della croce di Cristo, è la via inevitabile per condividere la sua stessa gloria, cioè la vita nuova in lui (cf 2 Tm 2,11-12). Molto di più, l'a. concepita come riparazione vede l'uomo impegnato a pagare di persona per ottenere la salvezza operata da Cristo per tutta l'umanità. Difatti, secondo l'affermazione di Pietro, Cristo non ha sofferto per dispensare il cristiano dalla sofferenza, ma perché ne potesse seguire le orme (cf 1 Pt 2,21). Di conseguenza, lo sforzo ascetico assume il significato di adesione, o più precisamente di riparazione, all'amore del Cristo crocifisso, contristato per i peccati dell'umanità, pur restando egli l'unico che può riparare veramente il peccato-offesa all'amore divino.

Infine, l'a. di sostituzione vuole il cristiano partecipe, coscientemente e liberamente, di quella duplice solidarietà con Cristo e con i fratelli. Tale solidarietà gli permette di cooperare alla salvezza del mondo e di se stesso tutte le volte che, per la fede, egli fa sue le sofferenze del Crocifisso (cf Col 1,24).

III. Dimensione teologica dell'a. L'a. cristiana è autentica solo se collocata entro l'orizzonte del mistero pasquale.10 Per questo motivo, l'a. del cristiano può essere nel suo significato più profondo soltanto partecipazione all'a. di Cristo, quindi, a. di croce. Tale partecipazione, libera e volontaria, alla morte salvifica del Cristo, posta quale fondamento nel battesimo, deve venire accettata sempre di nuovo ed esplicitarsi in un morire continuo con Cristo (cf 1 Cor 15,31; 2 Cor 4,10-12). In questa prospettiva ascetica si può parlare della vita cristiana come evento pasquale quando nei solchi della storia quotidiana gli atti di rinuncia e di superamento di sé costituiscono una " pasqua ", cioè un passaggio dalla morte alla vita, un'attuazione dell'iniziazione battesimale, che è essenzialmente il vissuto concreto della pasqua del Signore in ciascuno dei membri del suo corpo.

Solo in questa prospettiva, l'a. cristiana lungi dallo scadere in qualche sospetto dolorismo, rimane uno sforzo di liberazione, nella fede 11 dalla morte del peccato.

Se dalla considerazione della lotta al peccato si passa a quella del progresso spirituale, si trovano altri motivi teologici per giustificare la pratica dell'a. nella vita cristiana. Il primo è dato dalla carità. Difatti, solo un grande amore può esigere il dominio del corpo per imporgli dure mortificazioni. Forte di questo amore divino, il cristiano ingaggia, così, una lotta serrata contro l'amor proprio e l'egoismo, veri e propri ostacoli alla vita cristiana.

L'altra dimensione dell'a. è quella escatologica. Infatti, il cristiano è homo viator, cioè un pellegrino in viaggio verso la Gerusalemme celeste. Egli si trova alla penultima tappa di tale peregrinazione, nel tempo compreso tra il già della salvezza offerta da Dio nel suo Figlio Gesù Cristo e il non ancora del manifestarsi della gloria nei nuovi cieli e in una terra nuova (cf 2 Pt 3,13). Pur esule in questo mondo, ospite e viandante, tuttavia è già concittadino dei santi e familiare di Dio (cf Ef 2,19) in Cristo Gesù, nella patria beata, dove non ci saranno morte né lutto né affanni, né tantomeno sofferenze (cf Ap 21,4), perché la sofferenza è stata cambiata in gioia (cf Gv 16,20). Per questo motivo, Pietro esorta a partecipare alle sofferenze del Cristo con gioia, perché nella rivelazione della sua gloria futura si possa esultare e godere per sempre dell'unione con Dio Trinità d'amore (cf 1 Pt 3,12-19).

In questa visione teleologica, si può affermare che la stessa ed unica realizzazione del mistero pasquale, mistero di morte e di vita, presenta due aspetti indissociabili tra loro: l'a. e la mistica. Difatti, " l'a. è... parte essenziale della mistica, se per mistica intendiamo l'esperienza del mistero pasquale, vissuto nel suo duplice ma unico movimento di morte-vita... ".12

IV. A. e mistica. Secondo K. Rahner l'a. cristiana, " essendo partecipazione alla morte di Cristo dev'essere considerata dal punto di vista della passibilità e della morte reale dell'uomo ".13 Nel mistero pasquale al quale il cristiano è associato in virtù del battesimo, egli rivive il movimento dialettico di morte-vita nel compimento del pieno sviluppo della vita di grazia, allentato e infirmato dal peccato. Di qui la consegna del cristiano a superare dentro di sé la tendenza al peccato che si configura in quel conflitto interiore tra il bene e il male (cf Rm 7,18-23). Tuttavia, pur con questa conflittualità, la tensione lacerante può placarsi nell'unica esperienza dell'amore. La morte-peccato e la vita-bene fanno parte integrante dell'uomo. Nell'esperienza dell'amore la sequenza di queste due dimensioni non si chiude su una sorte di reiterazione senza fine. C'è una meta escatologica verso cui tende l'uomo pur lacerato dalla sua tensione interna ed è il luogo dell'eternità. L'uomo viene dalle mani di Dio e ritorna a lui, nel suo grembo d'amore. La vittoria sulla morte è una sorta di ri-creazione che permette all'uomo di ritornare a vita nuova come cantava Isaia (26,19), vita nuova dove non c'è più la morte né il lutto né lamento né affanno, " perché le cose di prima sono passate " (Ap 21,4).

Per questo motivo, l'a. invita il cristiano a partecipare ai patimenti del Cristo (cf Paenitemini 6 e 7). In questo modo la sofferenza non è una pura disgrazia, ma un dono d'amore unito a quello del Cristo sofferente per divenire sorgente positiva di bene, capacità espiatrice e beatificante; insomma, la sofferenza è mezzo efficace per la propria e altrui redenzione. L'uomo quindi è invitato ad alleggerirsi della sofferenza, frutto del peccato, inserendola in quella emblematicamente incarnata dal Cristo uomo dei dolori. Solo così egli scopre che l'atto di sofferenza o di morte è altamente fecondo e liberatore, perché lo schiude a vita nuova e gli permette già qui e ora di godere anche se parzialmente e tra i veli della vita stessa di Dio.

In questa lotta che si svolge all'interno dell'uomo tra carne e spirito non sempre è facile riconoscere la fragilità del proprio essere creaturale impastato di polvere e di miseria. E questo il peccato di satana che non riconosce la sua dipendenza da Dio, promuovendo l'incredulità che rifiuta di riconoscere il Signore Gesù (cf 2 Cor 4,4), l'aberrazione dell'idolatria (cf 1 Cor 10,19-20; Rm 1,21-22), il culto dell'uomo al posto del Dio di Gesù Cristo (cf 2 Ts 2,3-4.9-11). L'opzione per Cristo deve includere la volontà di lottare rivestendosi " dell'armatura di Dio " (Ef 6,11) contro " il principe delle potenze dell'aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli... " (Ef 2,2).

Scopo ultimo dell'a. è, dunque, prendere coscienza della propria creaturalità, accettandola come tale, cioè come dono di Dio e, allo stesso tempo, praticare la giustizia nel senso di riconoscere in Dio l'unico Signore. Si tratta di una sorta di nostalgia del divino, di recuperare la purezza dell'immagine e somiglianza di Dio impressa in ogni creatura umana, di un'implorazione a Dio per non precipitare nel gorgo del male. Questa è un'esperienza da non accantonare troppo facilmente come vuole certa cultura contemporanea. E un'esperienza che esorcizza ogni orgoglio, ogni prepotenza, ogni illusione di salvarsi da soli. Da un lato è quindi necessario prendere coscienza del proprio limite creaturale; dall'altro lato, però, deve crescere il senso della liberazione e della salvezza che viene da Dio. In questo senso è emblematico il canto del Miserere, canto della colpa e della liberazione salvifica: " ...Crea in me, o Dio, un cuore puro... Ridammi la gioia della tua salvezza " (Sal 51,12.14). E questo il canto del trionfo del Cristo pasquale che trasformando la morte in sonno apre all'alba dell'eterno Vivente, il che vuol dire che il destino dell'uomo va oltre i suoi stessi confini di creatura per approdare nella gioia della comunione divina (cf Sal 16,10-11). Questa verità dell'uomo dinanzi a Dio è stata incarnata in Gesù che ha indicato la strada del recupero di se stesso: " Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua " (Mt 16,24). Rinnegare se stessi vuol dire un continuo esercizio di a. che non riguarda episodici e piccoli atti quotidiani, bensì un atteggiamento di accettazione della propria creaturalità, quindi accoglienza della verità di se stessi come creature dipendenti da Dio. In questo modo, si supera la ricorrente ed originaria tentazione di diventare come Dio (cf Gn 3,5), annullando la volontà di potenza, di gestire da padroni la propria vita. E un'esperienza che annulla ogni forma di orgoglio recuperando quella verginità e purezza interiore che in passato divenne la forma più alta di a.

Il problema se l'ascesi porti alla mistica e la mistica produca l'a. è presente in tutta la tradizione cristiana, quindi percorre tutta l'esperienza umana, a partire dallo sconcertante appello evangelico delle beatitudini che propongono all'uomo un ideale altissimo: " Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste " (Mt 5,48), passando attraverso l'inquietum cor nostrum di Agostino. In realtà, il destino dell'uomo è l'infinito, egli tende connaturalmente all'infinito di Dio ed è proprio in quest'apertura all'assoluto di Dio che risiedono l'attività del desiderio umano e la passività dell'accoglienza divina (s. Bernardo): è un passaggio dalla nostalgia della pienezza di Dio all'accoglienza della sua luce assoluta e pura, luce che illumina la propria cecità o i propri limiti e permette di riconoscere la vera relazione di sé di fronte a Dio.

Giovanni della Croce, quando parla di " conoscenza amorosa " di Dio introduce l'immagine della fiamma viva d'amore, fiamma che non solo consuma, ma trasforma l'uomo: " Prima che questo fuoco d'amore s'introduca nella sostanza dell'anima e si unisca ad essa come purificazione completa e perfetta, la fiamma divina, cioè lo Spirito Santo, ferisce l'anima, distruggendone e consumandone l'imperfezione degli abiti cattivi. Con questo lavoro, egli la dispone all'unione e trasformazione d'amore in Dio... ".14 L'amore divino non è, dunque, solo fonte di a. ma anche conseguenza dell'a. La forza dell'amore, secondo Giovanni della Croce è quella di rendere l'uomo uguale a Dio, di trasformarlo in lui e a lui ridonarlo (igualidad, transformación, reentrega), perché possa trovare la sua piena realizzazione in Dio dopo che questi ha bruciato con le fiamme del suo amore le forze negative dell'anima.

Il cristiano si trova, così, a collaborare attivamente, lasciandosi passivamente agire dalla grazia divina. A questo punto si sviluppa una stretta relazione tra natura e soprannatura, tra l'azione di Dio e l'attività dell'uomo. Si può solo affermare che l'attività del cristiano consiste nel disporsi con atti di carità all'azione di Dio, che introduce e fa crescere nella vita secondo lo Spirito.

Tali atti svolgono un ruolo eminentemente positivo, giacché Dio ha voluto che l'uomo cooperasse alla propria salvezza. Tuttavia, si tratta soltanto di una disposizione che non assicura affatto il progresso spirituale, dovuto soprattutto all'azione divina. Il fondamento di una vita ascetico-mistica va, quindi, ricercato nel fatto che Dio ha voluto la collaborazione dell'uomo alla propria salvezza, operata dallo Spirito di Cristo. La cooperazione del cristiano, oltre ad accogliere l'azione trasformante dello Spirito, tende ad assecondarla sul piano esistenziale, per poi testimoniarla in dimensione ecclesiale. In questo modo, il cristiano lascia trasparire da tutta la sua esistenza questa trasformazione ascetico-mistica avvenuta nel suo intimo, cioè il fatto di essersi veramente spogliato dell'uomo vecchio con le sue azioni e di essersi rivestito del nuovo con atti d'amore, uomo nuovo che si rinnova sempre, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore (cf Col 3,10; 2 Cor 5,17).

Nei più alti vertici dell'unione mistica d'amore gioca un ruolo molto importante l'a. come vigilanza, cioè l'attesa con il capo eretto, spiando la venuta dello Spirito. Tale vigilanza è, altresì, speranza nella radiosità di quell'alba che è vita divina, anche quando la notte della purificazione avvolge l'anima e la trasforma. E lotta contro ogni forma di egoismo per potersi abbandonare in pura nudità all'azione divina, raggiungendo così la mistica comunione d'amore con le divine Persone. In breve, la vigilanza è celebrazione del distacco da se stessi e dalle creature tutte, celebrazione della vittoria sulla tentazione, celebrazione dell'a. che si traduce così in ascensione verso Dio.

Chi è impegnato nelle vie dello Spirito in una profonda vita d'intimità divina non può mai cogliere il frutto ultimo del suo sforzo ascetico, perché esso è grazia divina. Il Signore dei giorni, come lo Sposo del Cantico è solito nascondere di tanto in tanto sua divina presenza, in periodi di apparente assenza e aridità desertica dello spirito, affinché la sposa, per rimanere nell'immagine, si purifichi dalle scorie del suo egoismo. L'infinita purezza o santità dello Sposo, proprio perché è amore, esige questi momenti di purificazione (H.U. von Balthasar). Ma, proprio in quei momenti di sconcertante aridità, Dio rivela il suo amore. Proprio allora egli sta purificando la sua amata creatura per condurla, attraverso la prova interiore, a una trasparenza sublime, dalle tenebre alla luce. In questo tempo così lacerante, è opportuno lasciarsi guidare dalla costanza, virtù tipica del deserto spirituale. Questa sola può condurre la creatura umana dalla terra alle vette altissime della grazia divina, per farla approdare, negli ultimi tempi, alla luce di quel giorno senza tramonto.

L'a., insomma, rappresenta per così dire la ricerca, mentre la mistica conclude tale ricerca: verità questa che si può evincere dal simbolo della croce. Le due traiettorie di quest'ultima raffigurano le dimensioni dell'evento salvifico comunionale che su di essa si consuma. Da una parte, c'è il palo conficcato nella terra, quindi nella storia degli uomini; l'altro lato del palo, però, rivolto verso l'alto, tocca idealmente il cielo, perché sostiene il Crocifisso per amore, che raccoglie in sé l'umana realtà e l'infinito di Dio. L'asse trasversale della croce comprende e celebra così il mistero della morte e della vita, le due facce unite indissociabilmente dell'a. e della mistica.

V. Il rapporto tra a. e psiche. Alla luce di quanto detto prima si può delineare la morfologia dell'asceta: un uomo spirituale che, da un lato, tiene sotto controllo gli elementi spirituali e corporali sregolati della sua persona; dall'altro, attraverso l'esercizio ascetico, volontario ed equilibrato, tende al progresso personale, cioè alla ricerca di una unificazione interiore e dell'assoluto di Dio.

In breve, lo sforzo ascetico-metodico, che mira, con la forza dell'amore, a ristabilire dentro l'uomo i legami tra il mondo della carne e quello dello spirito, tra l'uomo e gli altri uomini e tra se stesso e Dio, è sotteso da una certa concezione dell'uomo,15 variabile a seconda delle epoche. Per questo motivo l'a. cristiana, in quanto metodo, è " al servizio della vita e cercherà di accordarsi alle nuove necessità... ".16

Resta il problema di capire come realizzare l'equilibrio tra la vita spirituale in crescita e la psiche che non sempre sottostà ai comandi dello spirito, anzi, a volte, reagisce in forme patologiche più o meno lievi o gravi. La sapienza della tradizione orientale ed occidentale consiglia in questi casi di conflitto, quando cioè la psiche non vuole obbedire al controllo della parte spirituale, di incanalare l'energia negativa - che si traduce in malattia se non governata - in azioni, impegni e gesti gratificanti, ove tale energia viene trasformata in positiva, quindi, benefica per l'uomo spirituale, impegnato in un cammino spirituale sano ed equilibrato. E in questa luce che viene interpretata la psicologia dell'a. cristiana, intesa non come repressione delle tendenze perniciose dell'uomo, ma come sforzo metodico, cioè come esercizio riguardante tanto lo sviluppo delle attività virtuose quanto l'incanalamento delle tendenze disordinate.17 Secondo J. Maréchal, l'a. è soprattutto un " ridurre positivamente le attività inferiori a mettersi con perfetta docilità agli ordini dello spirito ".18 Ora sottomettere non vuol dire annientare. Queste attività, infatti, rimangono sempre come condizione, sostegno e strumento di efficienza.

A questo punto si può accennare a due prospettive con le quali va considerata l'a. In senso ristretto, cioè limitato all'aspetto puramente negativo, l'a. viene concepita essenzialmente come rinuncia, ossia come repressione delle tendenze perniciose dell'uomo, come mortificazione e penitenza. In un senso più ampio, che assomma tanto l'aspetto negativo quanto quello positivo, l'a. assume il significato di sforzo metodico, o di esercizio riguardante sia lo sviluppo delle attività virtuose sia l'imbrigliamento delle tendenze disordinate.

La seconda nozione di a. nasce da una visione integrale e realistica dell'uomo. Il concetto di integrazione sembra contrapporsi a quello di rinuncia o di repressione, sul quale insiste la maggior parte degli autori. In realtà, non vi è opposizione fra i due concetti; vi è soltanto una differenza di prospettiva. Sulla base di questa concezione più positiva del processo ascetico, l'a. sembra acquistare una maggiore efficacia educativa. In tal caso, essa avrà il compito di ravvivare uno spirito essenzialmente soprannaturale, praticare la moderazione nell'uso dei mezzi, cercare sempre un sano adattamento alle condizioni umane del soggetto in questione. Insomma, l'a. è chiamata a perfezionare, non a deformare l'uomo, cioè a ristabilire l'armonia tra contrastanti tendenze che si agitano entro l'essere umano (cf Rm 7). Nel suo aspetto umano, l'a. tende a ristabilire questo equilibrio psichico. Nel suo aspetto soprannaturale, essa tende a raggiungere la perfezione cristiana. Ora, siccome il vertice di tale perfezione consiste nella dedizione totale e amorosa alla volontà di Dio, s'impone necessariamente un previo lavoro di purificazione della propria volontà. L'a., la purificazione, il silenzio hanno proprio lo scopo di creare questo vuoto necessario dell'io per collocarvi il tutto di Dio, per dirla con Giovanni della Croce. Per tendere al compimento perfetto della volontà di Dio, l'a. si sforzerà di scoprire l'ideale assegnato da Dio al soggetto in questione, di puntare a questo ideale come scopo della vita e, infine, di realizzare questo ideale secondo le leggi della psicologia.19 Sia nel suo tendere come nel suo progressivo adeguarsi ad un ideale, l'a. implica necessariamente lo sforzo di ciascun individuo, con una sua particolare psicologia.20

Ma è anche vero, che l'a. cristiana, proprio perché tale, deve tener conto anche e soprattutto dell'orizzonte soprannaturale o di fede, entro cui è inserita. In altri termini, il cristiano, per liberarsi dal peccato e per crescere nella vita soprannaturale, ha necessariamente bisogno dell'aiuto della grazia, delle grazie sacramentali e delle molteplici grazie che Dio può concedergli. Ciò vuol dire che il progresso spirituale non dipende dallo sforzo ascetico né gli è direttamente proporzionale; è Dio che infonde e fa crescere le virtù teologali, che costituiscono la sostanza della vita spirituale. Tuttavia, è necessaria un' a. di educazione che " educe " cioè trae fuori dall'intimo l'immagine e somiglianza di Dio, l'uomo armonizzato ed equilibrato che, nella pacificazione spirituale, ritrova dentro di sé la tensione all'infinito di Dio.

Note: 1 Nel mondo greco, il termine assunse dapprima il significato di rinuncia fisica: gli atleti e i soldati, per esempio, si sottoponevano a privazioni e a continui esercizi per affinare le loro capacità fisiche e combattive. In seguito, il termine assunse il significato di esercizio morale, cioè di autodisciplina; molte religioni e filosofie antiche insegnavano, infatti, la lotta contro le passioni e gli impulsi sensibili. In alcuni filosofi stoici si può facilmente ravvisare un tendenziale ascetismo. Il cristianesimo orientale, prima dell'avvento del monachesimo benedettino, si manifestò spesso in forme di ascetismo radicale: solitari si dedicavano a una vita di stenti e di preghiera in luoghi deserti. In epoca moderna, ascesi ha conservato il significato di esercizio spirituale in senso molto ampio, come impegno morale, sforzo della volontà, ecc. Nella prima metà dell'Ottocento, Schopenhauer indicò nell'ascesi mistica il momento culminante della vita morale; 2 Dal sec. XVII in poi si cominciò a parlare di teologia ascetica, che comprendeva allora anche la teologia mistica; 3 E questo il termine che adopereremo nel corso dello studio; 4 Cf a tale proposito D. Barsotti, Ascesi di comunione, Brescia 1976; 5 Cf l'opera classica di A.M. Lanz, Lineamenti di ascetica e mistica, Milano 1953; 6 Cf S. Tommaso, III Sent. 27, 2,4, sol. 3; 7 Ibid., 40,1,5, ad 6; 8 B. Ducruet, Il combattimento spirituale, Città del Vaticano 1995; 9 Cf. A. Stolz, L'ascesi cristiana, Brescia 1943, soprattutto il cap. IV; 10 Scrive a tale proposito I. Hazim: " L'ascesi cristiana è pasquale, mistica, teologale, vivificante. Per la croce di Cristo noi diventiamo liberi ogni giorno, poiché essa sola è riconciliazione, servizio, dono totale, agape ", (La risurrezione e l'uomo d'oggi, Roma 1970, 70); 11 " Nella fede, infatti, l'uomo si abbandona all'oscuro mistero di Dio che non è dato scrutare né penetrare (cf 1 Tm 6,16), gli si affida fiducioso, senza vedere ciò che esso promette (cf Eb 11,1). Egli rinuncia con ciò alla delucidazione per iniziativa propria del senso della sua esistenza, del mondo nella totalità e della sua storia. Egli confida in colui che gli promette la vita eterna, senza avere altra garanzia al di fuori di lui stesso, il Dio testimoniante... Nella fede il credente trascende il mondo e la sua significatività immanente, li abbandona, e con ciò se stesso, in uno slancio in Dio, non si attiene più al fatto che l'intelligenza naturale sembra essere la sola realtà che garantisca il compimento della sua esistenza; edifica, in ultima analisi, la sua vita non più su di sé e sulle proprie forze, bensì su Dio ", F. Wulf, Ascesi, in K. Rahner (cura di), Sacramentum mundi, I, Brescia 1974, 425; 12 L. Borriello, Lineamenti di antropologia spirituale cristiana, in Aa.Vv., L'esistenza cristiana, Roma 1990, 165; 13 K. Rahner, Il patire e l'ascesi, in Id., Saggi di spiritualità, Roma 1965, 106-107; 109-113; 14 Fiamma viva d'amore I, 19-25; cf L. Borriello - Giovanna della Croce, Conoscere Dio è la vocazione dell'uomo, Cinisello Balsamo (MI) 1991, 119-121; 15 Cf E. Saint-Pierre, Armonia e serenità, Milano 1982; 16 P. Evdokimov, Le età della vita spirituale, Bologna 1968, 60; 17 Cf R. Titone, Ascesi e personalità. Saggio di una apologia dell'ascesi cristiana dal punto di vista psicologico, Torino 1965 (rist.), 29ss.; 18 Études sur la psycologie des mystiques, I, Bruxelles 19382, 190; 19 Cf V. Marcozzi, Ascesi e psiche, Brescia 1958, ove il noto gesuita studia le possibilità e le difficoltà d'inserire, concretamente, l'ascetismo cristiano nelle complessità, diversità, deviazioni, anomalie della psiche umana; 20 Cf. A. Roldán, Ascetica e psicologia. Introduzione all'ascetica differenziale, Roma 19622.

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L. Borriello

ASCOLTO. (inizio)

I. Il termine a. si riferisce alle persone che hanno la capacità di ascoltare la parola di verità che viene da colui che è la verità, Dio.

Il Creatore del mondo " ha fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza " (Gn 1,26) perché fosse interlocutore tra sé e l'universo e potesse entrare in un rapporto di amicizia con Dio stesso mediante la conoscenza reciproca. Ci si conosce ascoltando le parole dell'altro; Dio si è inserito in questa legge antropologica e attende sempre che lo si ascolti.

La Parola di Dio riportata nella Sacra Scrittura manifesta che Dio ha parlato per mezzo dei profeti, poi rivela che, nel tempo, la Parola stessa si è fatta carne ed ha parlato in modo umano: è Gesù, Verbo umanato.

Chi era Gesù prima di nascere da Maria Vergine? Il pensiero del Padre, il Verbo eterno, l'autocomprensione di Dio stesso, l'immagine personale del Padre inviata tra noi uomini, per l'amore infinito che Dio ha per tutti e per ciascuno di noi. E il Verbo incarnato ha vissuto tra di noi in questa terra, ha parlato ed ha accettato di essere ucciso per manifestare il suo amore per ciascuno di noi. Per questo motivo il Padre invita ogni uomo ad ascoltarlo (cf Mt 17,5).

La Parola di Gesù, conservata nel NT, è prefigurata nell'AT, ed è sperimentata dalla coscienza umana del credente che si mette in libero e amoroso contatto con Gesù e con il suo Spirito.

La parola di Dio abbraccia tutta la rivelazione ed è il centro di tutto lo scibile cosmico dal momento che la parola sussistente è il centro e l'origine di tutte le parole che si leggono o si pronunciano. Solo nell'a. intelligente, amoroso penetrante si entra nel mistero di Dio, avvolti lentamente nella sua luce transluminosa che trasforma e introduce, con la morte corporale, nella pienezza della luce divina.

II. L'a. nell'esperienza mistica. Dio parla all'uomo e lo invita a un rapporto di comunione e di vita per rispondere alle esigenze più profonde della psiche umana. Per questo è fondamentale l'a., ed è per questo che Dio ha parlato " mediante eventi e parole intimamente connessi " (DV 1,2), affinché possiamo riconoscere la voce stessa di Dio e arrivare a credere sinceramente, poiché " la fede nasce dall'a. ", afferma s. Paolo (cf Rm 10,17).

E l'a., dunque, che genera la fede, non soltanto della parola scritta, quanto, e più ancora, della parola interiore pronunciata nell'intimo della nostra coscienza dal Maestro della fede cristiana, lo Spirito Santo. " Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io (Gesù) vi ho detto " (Gv 14,26).

III. Le disposizioni per un a. autentico e sincero richiedono un impegno esistenziale che coinvolge tutte le potenzialità umane poiché è Dio stesso che opera nell'uomo e con l'uomo.

Gesù paragona la sua parola a un seme che produce più o meno abbondantemente a seconda delle disposizioni del terreno (cf Mc 4,26), e l'autore della Lettera agli Ebrei la paragona ad una " spada a doppio taglio " che " penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore " (4,12). La spada che trafisse Paolo fu la parola di Gesù: " Perché mi perseguiti? " (At 22,7).

L'a. della parola di Dio, a differenza di quello di tutte le parole umane, include ed esige un cambiamento, poiché tende alla cristificazione, per trasformare in Cristo (cf Gal 4,19).

L'esemplare di ogni cristiano in a. della Parola di Dio è la Vergine Maria che disse: " Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto " (Lc 1,38).

Le condizioni per un autentico a. riguardano la serietà del nostro impegno lasciandoci possedere dal desiderio dell'infinito (cf Gregorio di Nissa), per penetrare al di dentro delle Scritture, tenendo presente che è lo Spirito che vivifica, mentre la lettera è un velo che viene tolto quando incontriamo lui, lo Spirito (cf 2 Cor 3,6-18).

Arrivando a cogliere il significato della parola ci si apre al dialogo orante, poiché è Dio che ci parla, ed è questa preghiera dialogante che ci trasforma e ci santifica.

La lettura, lo studio e la riflessione sulla Parola di Dio acuiscono il nostro a. dilatando sempre più la visione della rivelazione divina incentrata sulla persona di Gesù Cristo, trasformandoci in veri contemplativi atti ad annunciare il messaggio cristiano con la vita e con la parola, come gli apostoli.

La contemplazione cristiana consiste essenzialmente nell'ascoltare la Parola di vita per lasciarsi possedere da essa. Ciò vivifica e spinge alla testimonianza di questa vita nuova raggiunta in Dio con l'esempio, la parola e, se occorre, col sangue, come i nostri fratelli martirizzati per la loro fedeltà al Vangelo di Gesù Cristo. Inoltre, l'a. di passiva e fedele obbedienza alla Parola di Dio conduce all'incontro mistico d'amore con le divine Persone, ossia a quell'ineffabile dialogo d'amore ove a Dio che parla si risponde con quell'a. che è silenzio arcano e profondamente obbedienziale.

Bibl. Aa.Vv., Parola di Dio e spiritualità, Roma 1984; Aa.Vv., Ascolta!..., in Parola, spirito e Vita, 1 (1979), tutto il numero; D. Barsotti, La Parola e lo Spirito, Milano 1971; E. Bianchi, Pregare la Parola, Torino 1974; I. De La Potterie, La lettura della Sacra Scrittura " nello Spirito ", in CivCat 137 (1986), 209-223; M. Magrassi, Protesi all'ascolto. Esultanti nella lode, Noci (BA) 1983; C.M. Martini, In principio la Parola, Milano 1982; G.M. Oury, Cercare Dio nella sua Parola. La Lectio divina, Cinisello Balsamo (MI) 1987; S.A. Panimolle, Ascolto della Parola e preghiera. La " Lectio divina ", Città del Vaticano 1987.

A. Giabbani

ASSENZA DI SONNO. (inizio)

I. Il termine. Per a. intendiamo quel fenomeno che si prolunga per anni senza che nel soggetto diminuiscano il vigore fisico, psichico, morale, spirituale né l'attività richiesta dal proprio stato di vita.1

Non ci riferiamo, quindi, all'insonnia, dovuta a particolari stati emotivi che lasciano la persona affaticata e stordita né alle veglie prolungate che, talvolta, accompagnano uno stato di malattia.2

L'a. è certamente un fenomeno eccezionale, anche nel cammino di vita cristiana, non solo perché raro, ma anche perché tocca esigenze profonde e necessarie dell'uomo che, se non soddisfatte, conducono alla morte.

Il fenomeno non si spiega con ascetismi o patologie né con autocontrolli psichici: il bisogno di sonno potrà essere ridotto al minimo, ma non soppresso, sebbene, di per sé, veramente necessario non è dormire, bensì riposare.

L'a. non si può spiegare neppure ipotizzando uno stato di estasi continua, che non è segno di forza, al contrario manifesta il limite e la debolezza di una natura umana non perfettamente purificata né sufficientemente robusta da sostenere il peso dell'irruzione divina. Infatti, nello stato di perfetti le estasi cessano.3

Similmente, non riteniamo che si debba spiegare con il continuo miracoloso intervento di Dio. Riferirsi ad esso vorrebbe dire giustificare, mediante un intervento straordinario, quella comunione con Dio per la quale l'uomo fu creato uomo. Con ciò si affermerebbe implicitamente che Dio ha assegnato alla natura umana una finalità inadeguata.4

II. Nell'esperienza mistica il fenomeno rappresenta la manifestazione di una vita che ha raggiunto la perfetta comunione con Dio così da risentirne i benefici effetti in tutto l'essere, corpo compreso. Non si tratta, dunque, di qualche cosa che Dio aggiunge alla natura umana né della sospensione di leggi naturali. Si tratta della maturazione di una vita che, finalmente, attua le disposizioni e perfeziona le sue capacità naturali che consentono a Dio di esprimersi in essa secondo il suo progetto originale che, un giorno, sarà realizzato pienamente in tutti i salvati.

La creatura che sperimenta questo fenomeno non solo ha già raggiunto la santità intesa come unione totale e perfetta di volontà, ma è unita a Dio con tutto l'essere. Questa è la ragione che spiega, anche psicologicamente, come simili persone siano divenute " incapaci di peccare ". Nella fase di matura relazione comunionale con Dio, il mistico si trova nello stato di assoluto riposo, di completa passività mistica, di totale accoglienza di Dio fin nelle fibre più periferiche. Ciò permette di concepire la vita eterna come vita dell'uomo. Dio, infatti, non ha creato un uomo per il tempo e uno (diverso) per l'eternità.

L'unità del corpo e dello spirito nella persona convince della necessità di perfezionare i meccanismi psicofisici naturali che evidenziano in essa quella " capacità di Dio " per cui fu creata. La completa relazione con Dio non rompe l'unità della persona, neppure sospende le leggi della natura, anzi, le porta alla loro piena funzionalità.

Note: 1 A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 19656, 1107: s. Macario di Alessandria non dormì per vent'anni consecutivi; s. Ludvina in trent'anni dormì l'equivalente di tre notti; ecc.; 2 N. Irala, Il controllo del cervello, Roma 1971, 157; 3 Giovanni della Croce, Notte oscura II, 1,2. Teresa d'Avila, Castello interiore VII, 3,12; 4 Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo III, 31,9; cf Ibid. II, 17,2.3.4.8; III, 26,6.

Bibl. J. Aumann, Teologia spirituale, Roma 1991, 511-512; A. Gentili, s.v., in DES III, 2347-2353; N. Irala, Il controllo del cervello, Roma 1971; M. Maltz, Psicocibernetica, Roma 1965; A. Royo Marín, Teologia della perfezione cristiana, Roma 19656, 1107-1109.

A. Zorzin

ASSIMILAZIONE DIVINA. (inizio)

I. Premessa. Nel cristianesimo si dà l'esperienza concreta della divinizzazione dell'uomo come un dono di grazia dall'alto, piuttosto che come una sua conquista ascetica, come spesso capita in altre religioni. Tale esperienza si precisa ulteriormente non tanto come a. spersonalizzante o come una immersione in un divino sconosciuto e lontano, quanto piuttosto come una comunione di amore con Dio Trinità mediante un processo di conformazione a Cristo, il " Dio con noi " (cf Mt 1,23), il Figlio del Padre, nel quale i cristiani diventano figli di Dio. Si tratta di un' esperienza spirituale fondamentale, che può essere espressa con vari termini, come, ad esempio, comunione, divinizzazione, partecipazione, conformazione, assimilazione, incorporazione.

I. L'esempio di Gesù. Nella sua esistenza terrena Gesù chiamò i discepoli a " vivere " con lui, invitandoli alla sua " sequela ", alla sua " imitazione " e alla piena " comunione " e " condivisione " con lui nella preghiera, nell'apostolato, nel sacrificio della croce. Questa esperienza è tematizzata nei Vangeli, soprattutto in quello di Giovanni, e nelle lettere paoline. Paragonando se stesso alla vite e i discepoli ai tralci, Gesù afferma: " Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me: Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla ... Rimanete nel mio amore " (Gv 15,4-9). Senza comunione con Gesù non esiste apostolato e non c'è partecipazione alla vita divina trinitaria. Nel quarto Vangelo l'Eucaristia è il sacramento della comunione con Gesù sulla terra: " Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me " (Gv 6,56-57). La comunione con Gesù è comunione con il Padre: " Io sono nel Padre e voi in me e io in voi " (Gv 14,20).

II. L'esperienza di Paolo. E Paolo ad offrirci una riflessione articolata e completa della sua esperienza mistica, vissuta come una continua a. a Cristo: " Per me il vivere è Cristo " (Fil 1,21). Nell'episodio della sua conversione sulla via di Damasco (cf At 9,3-5; 22,1-12; 26,1-24) Gesù gli si rivelò come il presente e il vivente nella Chiesa e nei cristiani: " Io sono Gesù che tu perseguiti " (At 9,5). L'a. vitale a Cristo e la " convivenza " con lui viene descritta con neologismi come " con-morire ", " con-vivere " con Cristo (2 Tm 2,11; Rm 6,8), " com-patire " (Rm 8,17; 1 Cor 12,26), " essere con-crocifissi " (Rm 6,6), " essere con-sepolti " (Rm 6,4; Col 2,12), " con-risuscitare " (Ef 2,6; Col 2,18; 3,1), " essere con-figurati " a Cristo nella morte (Fil 3,10), " essere con-glorificati " (Rm 8,17), " con-sedere " con lui (Ef 2,6), " con-regnare " (2 Tm 2,12; 1 Cor 4,8), essere " co-eredi " (Rm 8,17; Ef 3,6). I cristiani, cioè, sono stati predestinati dal Padre a " essere con-formi all'immagine del Figlio suo " (Rm 8,29). La realtà del battezzato è la sua incorporazione a Cristo: " Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo (" con-vivificò "): per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati (" con-risuscitò ") e ci ha fatti sedere (" con-sedere ") nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù " (Ef 2,4-7).

III. Le immagini paoline dell'a. a Cristo. L'apostolo usa molte immagini per descrivere il modo dell'unione del battezzato con Cristo: " Voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio " (1 Cor 3,9); " Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui, perché santo è il tempio di Dio, che siete voi " (1 Cor 3,16-17). Ci sono immagini più personalistiche: " Voi siete ...familiari di Dio " (Ef 2,19); " Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo " (2 Cor 11,2). L'analogia dell'unione sponsale esprime bene la comunione intima del cristiano con Gesù: " Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai!... Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito " (1 Cor 6,15-17; cf Ef 5,21-32). L'analogia paolina per eccellenza è quella del " Corpo mistico ". Nel battesimo i fedeli sono diventati " Corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte " (1 Cor 12,27): " Poiché, come in un solo Corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri " (Rm 12,4-5); " Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità " (Ef 4,15-16). L'immagine del Corpo Mistico esprime al meglio la convivenza e la compartecipazione del fedele al mistero salvifico di Cristo sì da diventare una sola cosa con lui: " Tutti voi siete uno in Cristo Gesù " (Gal 3,28). Questa esperienza viene vissuta come una vita di a. totale a Cristo: " Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me " (Gal 2,20); " Per me vivere è Cristo " (Fil 1,21); Cristo è " la nostra vita " (Col 3,3).

IV. Realtà trinitaria dell'incorporazione a Cristo. L'incorporazione a Cristo pone il fedele in relazione intima con le Persone trinitarie e, al tempo stesso, stabilisce un nuovo rapporto con gli uomini. Tale unione rende i cristiani figli adottivi del Padre: " Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà " (Ef 1,3-5). Non si tratta di un' adozione estrinseca e giuridica, ma di una conformazione e a. filiale a Cristo: " Quelli che egli [il Padre] da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli " (Rm 8,29); " Avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!" ". Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria " (Rm 8,15-l7). Uniti a Cristo i battezzati non costituiscono un coacervo informe di chiuse esistenze individuali, ma un organismo vivo e pieno di correlazioni. Ogni fedele non solo ha un suo intrinseco riferimento a Cristo, capo del Corpo Mistico, ma anche una sua originale funzione e interrelazione con le altre membra: " Come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi " (Rm 12,4-6). Inseriti nella comunione di vita trinitaria, i cristiani vivono in unione, comunione e condivisione di beni (tutti coeredi), indipendentemente dalla nazione, razza, condizione sociale e sesso (cf Gal 3,28).

V. A. a Cristo e vita morale. Questa a. vitale a Cristo, che ha inizio col battesimo (cf Rm 6,3; Gal 3,27; 1 Cor 12,13), immette nel cuore del fedele la legge del vedere e del fare il bene, superando la legge del peccato e della carne e producendo un'esistenza secondo i frutti dello Spirito (cf Gal 5,16-25). La vita in Cristo comporta una dimensione negativa di annientamento dei desideri della carne (correzione dei vizi) e una dimensione positiva di rafforzamento e di promozione dei frutti dello Spirito (pratica delle virtù). Qui la morale e la spiritualità sono strettamente legate. Il ritmo della vita spirituale è una continua tensione tra la legge della carne e la legge dello Spirito: ed è attraverso l'annientamento dell'uomo vecchio che si giunge alla vera vita in Cristo. Questo " morire per vivere " è il programma ascetico-mistico sintetizzato nella Lettera ai Colossesi (Col 3,1-17). Anche nella Lettera agli Efesini la vita in Cristo comporta l'abbandono dell'uomo vecchio e il " rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera " (Ef 4,23). L'uomo vecchio compie le opere della carne, cioè le mancanze contro la carità, contro la temperanza e contro la modestia. La carne oscura l'intelligenza e la guida verso il falso. L'uomo nuovo, l'uomo interiore osserva i comandamenti (cf 1 Cor 7,19), vive nella carità (cf Gal 5,6), compie opere buone (cf Ef 2,10), si riveste di Cristo (cf Gal 3,27). Sembra che l'apostolo descriva le due fasi della propria esistenza: l'uomo vecchio, Saulo, e l'uomo nuovo, Paolo. Questa pedagogia di mortificazione dei vizi e di promozione degli abiti virtuosi ha la sua radice, la sua fonte e la sua forza nella comunione con Gesù: " Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l'avete ricevuto, ben radicati e fondati in lui " (Col 2,6). " Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio " (Ef 3,17-19). Paolo consegna ai suoi migliori confidenti, Galati e Filippesi, i segreti di questa vita spirituale di a. a Gesù, con le sue famose formule: " In realtà ... sono morto alla legge, per vivere per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita terrena io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me " (Gal 2,19-20). L'esistenza dell'apostolo non è solo imitazione di Cristo ma totale identificazione con lui. Gesù prende il posto di Paolo, il quale ha talmente annientato il suo uomo vecchio con i suoi abiti viziosi e talmente mortificato e crocifisso i richiami della carne e della legge da giungere a vivere da vera immagine del nuovo Adamo, che opera nello Spirito di carità e porta i frutti dello Spirito. E Cristo il soggetto delle azioni di Paolo, il quale pensa, agisce, parla e si comporta come Cristo. Cristo è il nuovo " io " dell'apostolo. C'è una specie di " communicatio idiomatum " tra Cristo e Paolo: Paolo vive in Cristo e Cristo vive in Paolo. E il vertice della mistica cristocentrica paolina: " Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno " (Fil 1,21). Si tratta di un'espressione appassionata, che viene dal cuore. E una di quelle frasi geniali, che con estrema sinteticità, comunicano il significato e il valore di un'intera esistenza. La vita e la morte di Paolo sono segnate da Cristo, il quale vive e opera nella vita e nelle opere del suo apostolo.

VI. L'esperienza di s. Agostino. L'epoca patristica approfondì il tema della divinizzazione dell'uomo, soprattutto a partire dal fatto dell'unione ipostatica, e cioè dell'assunzione della natura umana da parte della Persona divina del Verbo. Tale unione rappresenta l'approdo sommo dell'umanità in Dio, come primizia di ogni futura divinizzazione dell'uomo. Più che una visione panoramica dell'a. divina nell'epoca patristica, diamo qui una sintesi di tale tema in s. Agostino. Dopo la sua conversione dal manicheismo al cristianesimo (estate del 386) e dopo il battesimo (quaresima del 387), anche Agostino si concentrò interamente su Gesù Cristo, guida e maestro interiore: " La vostra carità sa che noi tutti non abbiamo che un solo Maestro; e, sotto la sua autorità, noi tutti siamo dei condiscepoli ...; il Maestro di tutti è colui che abita in noi tutti ".1 Scrivendo a Florentina, giovane religiosa molto timida, egli dice: " Tieni bene in mente che, anche quando avrai acquisito per mio tramite una qualche conoscenza salvifica, te l'avrà insegnata Colui che è il Maestro interiore dell'uomo interiore e che ti mostra nel tuo cuore la verità ".2 Illustrando il mistero della Pasqua, così continua: " Tutti siamo in lui e noi siamo di Cristo e siamo Cristo, perché in un certo modo il Cristo totale è il capo e il corpo " (" Omnes in illo et Christi et Christus sumus, quia quodammodo totus Christus caput et corpus est ").3 L'Eucaristia viene considerata come una continua a. a Cristo. Così parla Gesù nelle Confessioni: " Io sono il nutrimento degli adulti. Cresci, e mi mangerai, senza per questo trasformarmi in te, come il nutrimento della tua carne; ma tu ti trasformerai in me "; 4 " Questo è il sacrificio dei cristiani, che molti siano un corpo solo in Cristo " (" Hoc est sacrificium christianorum, ut multi unum corpus sint in Christo ").5 Comunione con Gesù è immissione nella vita divina trinitaria. La speculazione agostiniana sulla Trinità non è solo approfondimento teorico, ma coinvolgimento personale e tensione mistica: è una ricerca di intelligenza, di partecipazione, di a. Per lui, le vie per giungere alla comunione trinitaria sono quelle della verità, della bontà, della giustizia, dell'amore. Nella città di Dio " non c'è che una sapienza, la pietà che rende al vero Dio il culto dovuto, e che attende come ricompensa nella società dei santi - non solo degli uomini. ma anche degli angeli - che Dio sia tutto in tutti ".6 A proposito dell'amore di Dio egli afferma: " Ami Dio? Che cosa dirò: sarai Dio? Non oso dirlo da me. Sentiamo le Scritture: Io ho detto: voi siete dei e figli tutti dell'Altissimo ".7

Il dialogo agostiniano sulla Grandezza dell'anima contiene una sintesi dell'itinerario ascetico-mistico che porta il cristiano alla sua graduale a. a Dio. Sono sette le attività proprie dell'anima. Le prime tre sono naturali e consistono nel vivificare il corpo, sentire mediante i sensi, comprendere e creare mediante la scienza e l'arte. Le altre quattro costituiscono le tappe spirituali della divinizzazione dell'uomo, che deve combattere i vizi, rafforzarsi nel bene e nella virtù, entrare e abitare nel regno della luce. La contemplazione mistica della Trinità esige l'eliminazione dei vizi e il rafforzamento delle virtù.

VII. Pluralità di esperienze di a. divina. La mistica cristiana è fondamentalmente unica e universale, perché è vita filiale in Dio Trinità. Tuttavia questa esperienza viene vissuta concretamente in modo diverso dalle singole persone. Cirillo di Gerusalemme paragona la grazia divina alla rugiada, che sul giglio è bianca, rossa sulla rosa, purpurea sulle viole e sui giacinti, assumendo vari colori a seconda delle diverse specie delle cose; altra è la rugiada sulla palma e altra ancora sulla vite, ma è pur sempre la stessa acqua a dar vita e bellezza al mondo multiforme.8 Conseguentemente, sono svariatissime le esperienze di a. dell'anima a Dio vissute nella storia della Chiesa. Tale esperienza fu anche il fine del monachesimo orientale e occidentale, entrambi caratterizzati dalla tensione alla santità raggiunta mediante il gesto ascetico radicale come premessa al vissuto mistico e all'espansione sempre più grande dello Spirito nell'anima. Nel misticismo russo, ad esempio, prevale l'elemento della totale estraneità al mondo e della completa dedizione alla contemplazione e all'abbandono di se stessi in Dio mediante la preghiera, quella del cuore, che diventa comunione esistenziale con Dio, respiro dello Spirito Santo nell'anima, verifica vitale della Parola di Dio: " Io dormo, ma il mio cuore veglia " (Ct 5,2). Il pellegrino russo riesce alla fine a convivere talmente con la preghiera del cuore da assimilarla quasi fisicamente: " Dopo un certo tempo sentii, non so come, che la preghiera passava da sola dalle labbra al cuore: il cuore cioè, con il suo battito regolare, si metteva in certo qual modo a scandire da se stesso le parole della preghiera ".9 La preghiera diventa non un'azione, uno sforzo, ma uno stato, una consolazione. E talmente presente e viva che un mattino è la preghiera a svegliare il pellegrino, a confortarlo, a sostenerlo.

VIII. La vita in Cristo di Nicola Cabasilas. Uno dei classici della spiritualità bizantina è La vita in Cristo, di Nicola Cabasilas ( 1370 ca.), che analizza l'a. delle anime a Cristo attraverso i sacramenti: " La vita in Cristo prende inizio e si sviluppa nell'esistenza presente, ma sarà perfetta soltanto in quella futura, quando giungeremo a quel giorno: l'esistenza presente non può stabilire perfettamente la vita in Cristo nell'anima dell'uomo; ma nemmeno lo può quella futura, se non incomincia qui... Il profumo dello Spirito si effonde copiosamente e riempie tutto, ma non lo coglie chi non ha l'olfatto... E l'esistenza presente l'officina di questa preparazione ".10 La vita cristiana è una continua e misteriosa unione con Gesù Cristo: " Il Salvatore... è sempre e del tutto presente in coloro che vivono in lui: provvede a ogni loro bisogno, è tutto per essi e non permette che volgano lo sguardo a nessun altro oggetto, né che cerchino nulla fuori di lui. Infatti, nulla c'è di cui abbiano bisogno i santi, che non sia lui: egli li genera, li fa crescere e li nutre, è luce e respiro, per sé plasma in essi lo sguardo, li illumina per mezzo di sé e infine offre se stesso alla loro visione. Insieme nutre ed è il nutrimento; è lui che porge il pane della vita, e ciò che porge è se stesso; la vita dei viventi, il profumo di chi respira, la veste per chi vuole indossarla. E ancora lui che ci dà modo di poter camminare ed è la vita, ed anche il luogo del riposo e il termine. Noi siamo le membra, lui il capo: è necessario combattere? Combatte con noi ed è lui che assegna la vittoria a chi si è fatto onore. Vinciamo? Ecco, è lui la corona. Così da ogni parte riconduce a sé la nostra mente e non permette che si volga a niente altro, né che sia presa da amore per nessuna cosa... Da quanto abbiamo detto risulta chiaro che la vita in Cristo non riguarda solo il futuro, ma già ora è presente per i santi che vivono ed operano in essa ".11 Questa a. a Cristo viene quotidianamente operata dall'Eucaristia: " Come il buon olivo innestato nell'olivo selvatico lo cambia completamente nella propria natura, sicché il frutto non ha più le proprietà dell'oleastro, allo stesso modo anche la giustizia degli uomini per sé non giova a nulla, ma, non appena siamo uniti a Cristo e abbiamo ricevuto la comunione della sua carne e del suo sangue, può produrre immediatamente i massimi beni, quali la remissione dei peccati e l'eredità del regno, beni che sono frutto della giustizia del Cristo. Infatti, non appena alla sacra mensa prendiamo il corpo di Cristo..., anche la nostra giustizia, per effetto della comunione, diviene una giustizia cristiforme ".12 Mediante l'Eucaristia " il Cristo si riversa in noi e con noi si fonde, ma mutandoci e trasformandoci in lui come una goccia d'acqua versata in un oceano infinito di unguento profumato. Tali effetti può produrre questo unguento in coloro che lo incontrano: non li rende semplicemente profumati, non solo fa loro respirare quel profumo, ma trasforma la loro stessa sostanza nel profumo di quell'unguento che per noi si è effuso: "Siamo il buon odore di Cristo" (2 Cor 2,15) ".13 L'Eucaristia realizza la nostra a. a Cristo: " E qui che il Cristo nutre il corpo di coloro che lo circondano e, solo per questo sacramento, noi siamo carne della sua carne e ossa delle sue ossa ".14 " Le nostre membra sono membra di Cristo, sono sacre e contengono, come in una coppa, il suo sangue, anzi meglio sono ricoperte del Salvatore tutt'intero, non come ci si riveste di un mantello e nemmeno della nostra pelle, ma in un modo ancora più perfetto, perché questa veste aderisce a coloro che la indossano molto più della pelle alle ossa. Ossa e pelle infatti, anche nostro malgrado, ce le possono strappare, ma il Cristo nessuno ce lo può portare via, né gli uomini, né i demoni, "non le cose presenti, né le future - dice Paolo (Rm 8,39) - né l'altezza, né la profondità, né qualunque altra creatura", per quanto superiore a noi per potenza. Il maligno può togliere la pelle ai martiri di Cristo, può scorticare per mano dei tiranni, può amputare le membra, spezzare le ossa, riversare gli intestini, strappare le viscere, ma non può spogliare i beati di questa veste e privarli del Cristo. Anzi i suoi disegni falliscono a tal punto che senza saperlo li riveste del Cristo molto più di prima, proprio con quei mezzi con i quali credeva di spogliarli ".15 L'uomo ha una struttura intrinsecamente cristiforme: nascere e vivere in Cristo fa parte del suo essere e del suo realizzarsi. La storia della salvezza dell'umanità non è quindi un ritorno al primo Adamo, ma un cammino verso Cristo, il nuovo Adamo. L'uomo si compie quando assume le forme di Cristo, quando viene interamente assimilato a lui.

IX. La ricchezza della mistica occidentale. Nel cristianesimo occidentale sono numerosissime le opere profondamente autobiografiche di grandi santi e mistici, che descrivono con ineguagliabile finezza spirituale il loro personale cammino di perfezione e di comunione di amore con Dio. Citiamo, ad esempio, l'a. a Cristo mediatore e " ponte " narrata nel Dialogo della divina Provvidenza dettato da s. Caterina da Siena nell'autunno del 1378; o l'impegno ascetico-mistico celebrato negli Esercizi spirituali di s. Ignazio di Loyola, elaborati tra il 1522 e il 1548; o la riscoperta della interiorità perduta fatta nel Castello interiore da s. Teresa di Gesù (1577); o l'esperienza dell'unione con Dio descritta nel Cantico spirituale (1584) e nei quasi contemporanei Salita del Monte Carmelo e Notte oscura da s. Giovanni della Croce; o il racconto della bruciante a. alla passione di Cristo presentato nella Storia di un'anima di s. Teresa del Bambino Gesù. Si tratta solo di esempi tra i più noti dal momento che nel cristianesimo sono moltissimi coloro, uomini e donne di ogni età, ceto, condizione e razza, che vivono la loro a. divina come un meraviglioso segreto tra Dio e la loro anima, facendo trapelare al di fuori solo il profumo della loro umiltà e il sapore delle loro virtù.

A partire dall'esperienza concreta dei santi che hanno vissuto questa comunione intima con Dio Trinità si possono ricavare i seguenti criteri per una prima sintesi sistematica al riguardo: 1. l'a. divina viene inaugurata nei santi da una conversione radicale a Cristo, vissuta come dono di grazia dall'alto; 2. come conseguenza di questa concentrazione su Cristo, visto come unico riferimento della loro esistenza, essi si allontanano dal male e rafforzano il loro corredo virtuoso; 3. l'unione con Gesù, che è comunione trinitaria con il Padre nello Spirito Santo, viene concretamente vissuta nell'ambito della comunione e della sacramentalità della Chiesa; 4. l'a. divina non estranea il cristiano dal mondo, ma lo rende testimone e apostolo, per cui i santi sono non solo grandi mistici, ma anche missionari infaticabili del Vangelo e ispiratori coerenti di autentica cultura umana e cristiana.

Note: 1 Agostino, Sermo 134,1,1; 2 Id., Epistula 266; 3 Id., En. in Ps. 26, 2,2; 4 Id., Confessioni VII, 10,16; 5 Id., De Civitate Dei 10,6; 6 Ibid., 14,28; 7 In ep. Io, tr. II, 14; 8 Cf Cirillo di Gerusalemme, Catechesi 16,12; 9 Racconti di un pellegrino russo, Milano 1973, 46; 10 N. Cabasilas, La vita in Cristo, I, 1-2; 11 Ibid., I, 13-15; 12 Ibid., IV, 24; 13 Ibid., IV, 28; 14 Ibid., IV, 30; 15 Ibid., VI, 20.

Bibl. Per la bibliografia rimandiamo alle trattazioni di storia della spiritualità e ai classici della spiritualità e della mistica cristiana orientale e occidentale. Qui diamo solo alcune indicazioni: Aa.Vv., Divinisation, in DSAM III, 1370-1459; E. Behr-Sigel, Il luogo del cuore. Iniziazione alla spiritualità ortodossa, Cinisello Balsamo (MI) 1993; S. Bolshakoff, Incontro con la spiritualità russa, Torino 1990; J. Duperray, Le Christ dans la vie chrétienne d'après saint Paul, Paris 19284; J. Dupont, Syn Christo. L'union avec le Christ suivant saint Paul, Bruges 1952; F.M. Léthel, Connaître l'amour du Christ qui surpasse toute connaissance. La théologie des saints, Venasque 1989; V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d'Oriente. La visione di Dio, Bologna 1985; G.I. Mantzaridis, La divinizzazione dell'uomo, in C. Valenziano (cura di), La spiritualità cristiana orientale, Milano 1986, 39-48; R. Moretti, s.v., in DES I, 227-232; A. Verwilghen, Christologie et spiritualité selon saint Augustin, Paris 1985; A. Wickenhauser, La mistica di san Paolo, Brescia 1958.

A. Amato

ASSOLUTO DI DIO. (inizio)

I. Breve excursus storico. Prima dell'Illuminismo l'a. non fu mai seriamente preso in considerazione. Tuttavia, dal sec. XVIII, si tende a separare sempre di più Dio dalla persona umana. Nel sec. XX possiamo, invece, ritrovare nuovi assoluti in molte ideologie: l'onniscienza suggerisce che, se ora non sappiamo tutto, un giorno potremo saperlo; l'onnipotenza sostiene che per mezzo della scienza e della tecnologia quasi tutto è possibile; l'autorealizzazione e la liberazione sono divenute nuove norme morali in sostituzione di tutte le altre. Se, in realtà, si considera Dio, è spesso in una visuale del New Age, cioè di divinizzazione in cui tutto è Diodèi. Nel New Age la figura chiave della cristianità non è più Gesù, l'incarnato Figlio di Dio, ma un " Cristo " cosmico, non più radicato nella storia. Queste posizioni estreme sono difficilmente rintracciabili allo stato puro, ma sono sottilmente presenti nella psicologia, nella politica e perfino nella spiritualità. Spesso capita di imbattersi in atei militanti, ma più spesso ancora nell'agnosticismo e in atteggiamenti indifferenti nei riguardi di Dio. Quattro vecchie eresie sono nuovamente apparse, oggi, in abiti moderni e spesso mascherate da un linguaggio pseudo-psicologico, ossia: messalianismo, pelagianesimo, quietismo e gnosticismo. Questo non coinvolge, però, le grandi religioni del mondo.1 Dio è assoluto in tutte le morfologie del divino: dio cielo, madre terra, signore degli animali. Neppure la persona religiosa (homo religiosus) riduce l'a. di Dio. Tutte le religioni abramiche confessano un Dio assoluto: ebrei e cristiani dicono che c'è un solo Dio, nostro Signore (cf Es 20,1-11) e i mussulmani riconoscono solo Allah (Corano 2,225) i cui novantanove nomi rivelati parlano di assolutezza. La teologia cristiana classica confessa Dio come Creatore supremo, fine ultimo dell'umanità.2

La dottrina di Lutero ( 1546) sulla Parola di Dio e la fede e la dottrina di Calvino ( 1564) sulla gloria e la supremazia di Dio sono, a loro modo, incisive affermazioni dell'a., anche se costoro non sono certamente amici della scolastica. La tradizione mistica cristiana non è indipendente dalla teologia; entrambe si fondano sulla stessa rivelazione divina.3

II. I mistici cristiani di tutti i tempi hanno dato un importante contributo sia all'espressione dell'a. che alla possibilità di incontrarlo. Si fallirebbe nel tentativo di comprendere i mistici dell'era patristica se non si prendesse in considerazione il fatto che tutti costoro erano, in qualche modo, in dialogo o sotto l'influenza del platonismo. Il platonismo dei mistici cristiani fu mediato da Plotino e più precisamente chiamato neoplatonismo. I tre supremi principi sono l'Uno, l'Intelligenza (nous) e l'Anima (psyche), correlati dall'emanazione e dal ritorno (proodosepistrophé). Per i filosofi o le persone religiose l'ascesa all'Uno, come nelle Enneadi, è un entrare nell'intimo.4 Il risultato è la possibilità dell'estasi. Ma è forse proprio l'indifferenza dell'Uno riguardo agli sforzi umani per tendere all'unità che soprattutto differenzia il neoplatonismo dalla mistica cristiana.5

L'idea di un cammino all'interno di sé per trovare l'a. ha bisogno di molta purificazione prima di poter diventare parte integrante della tradizione mistica cristiana. Origene evidenzia immediatamente una differenza rispetto al neoplatonismo poiché per lui la persona umana risponde alla grazia di Dio nel battesimo.6 Successivamente parla di un'ascesa in tre stadi, ossia lo stadio purificante, illuminante e unitivo rispettivamente caratterizzati dal libro dei Proverbi, di Qoelet e dal Cantico dei Cantici. Tale ascesi diventa rappresentativa dell'insegnamento della virtù (etike), della contemplazione naturale di un mondo trascendente e della contemplazione della Parola, intesa come Scrittura e come Incarnazione. Il punto culminante della contemplazione è un puro dono della grazia divina. Il pensiero mistico di Origene è caratterizzato da una costante analisi dell'amore, sia come desiderio (eros) sia come dono (agàpe). Origene è, inoltre, il primo a vedere uno sposalizio mistico dei sensi nel Cantico dei Cantici: l'anima è la sposa della Parola eterna. Il Cantico dei Cantici sarà fonte di una costante ispirazione e di argomentazione per i futuri mistici. Con Origene il paradosso della trascendenza e dell'immanenza è già in atto: il Dio assoluto che è infinito in tutta la sua maestà, il suo potere e la sua bellezza, può essere cercato e trovato dalla creatura.7

Dio è nascosto, ma si è rivelato in Gesù Cristo e si rivela, in modo singolare, a tutti coloro che lo cercano, arrendendosi a lui amorevolmente.8 La conoscenza ultima di Dio è quella di una Trinità di Persone, l'unica che approfondisce il senso dell'assolutezza. Non è, quindi, frutto di comprensione, ma piuttosto di amore; s. Giovanni della Croce nel suo Cantico spirituale mostra l'interrelazione tra l'amore e la conoscenza, ossia: la conoscenza comunicata nella contemplazione fa nascere l'amore che, a sua volta, è causa dell'infusione della più profonda conoscenza.

Ma l'approccio a Dio richiede una più profonda purificazione. In Platone e in tutta la tradizione mistica esiste la convinzione che solo i puri possano sperimentare l'a.9

In Occidente, una delle più note esposizioni è quella di s. Giovanni della Croce contenuta nel suo dittico: La Salita del Monte Carmelo e La notte oscura dell'anima. In Oriente, la tradizione parla di una progressione dall'ascetismo positivo e negativo (praxis) fino ad arrivare al distaccosobrietàindifferenza (apatheia) e alla contemplazione (theoria). Ma la storia di ogni mistico è quella di una continua profonda purificazione, spesso attraverso la malattia, le contraddizioni esterne o altre manifestazioni della croce, fin quando tutto ciò che è egoismo o impurità viene cancellato. Le immagini del cammino, come nelle opere di Bonaventura (Itinerarium mentis in Deum), e dell'ascesa come nella Vita di Mosè di Gregorio di Nissa o nella Devotio moderna oppure nell'Ascensione spirituale di G. Zerbolt ( 1398), sono un'espressione dell'a. che gli uomini si sforzano di raggiungere, ma che neanche in cielo verrà mai compresa pienamente.10 Una delle ricchezze di alcune teologie di liberazione è un senso nuovo dell'a. che si manifesta tra la gente, in particolare tra i poveri,11 in sintonia con la riscoperta e con la rappresentazione della tradizione mistica cristiana. La posizione dell'uomo al cospetto dell'a. costituisce il principio e il fondamento pienamente descritto, anche se brevemente, dagli Esercizi spirituali di s. Ignazio di Loyola: " L'uomo è creato per lodare, per amare e servire Dio solo, nostro Signore, e così salvarsi " (n.23). L'a. è la verità correlata al creato. Esso è anche il fondamento di tutte le affermazioni circa Dio, anche nel caso che tali affermazioni apofatiche o catafatiche risultino inadeguate.

Note: 1 L.E. Sullivan, Supreme Beings, in Encyclopedia of Religion, New York-London 1987, 166-181; 2 Cf Tommaso d'Aquino, STh I, qq. 1-26; 3 J. Finkenzelle, Il problema di Dio. Il primo capitolo della teologia cristiana, Milano 1986; 4 Cf STh I, q. 6, aa. 8-9; 5 A. Louth, The Origins of the Christian Mystical Tradition: From Plato to Denys, Oxford 1981; O. Clement, Sources, Paris 1982= The Roots of Christian Mysticism, London 1993; 6 H.U. von Balthasar, Origenes, Geist und Feuer. Ein Aufbau aus seinen Werken, Salzburg 19542; 7 Ch.-A. Bernard, Le Dieu des mystiques, Paris 1994; 8 Cf K. Rahner, Uber die Verborgenheit Gottes, in Id., Schriften zur theologie, XII, Zürich-EinsiedelnKöln 1975, 285-305; 9 H.D. Egan, I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995; W. Tritsch, Introduzione alla mistica: Fonti e documenti, Città del Vaticano 1995; 10 STh I, q. 12, a. 7; K. Rahner, Fragen zur Unbegrieflichkeit Gottes nach Thomas von Aquin, in Id., Schriften zur theologie, XII, Zurich-Einsiedeln-Köln 1975, 306-319; 11 G. Gutiérrez, Il Dio della vita, Brescia 1992.

Bibl. H.U. von Balthasar, La verità è sinfonica, Milano 1974; Id., Il tutto nel frammento, Milano 1972; F. D'Agostino, s.v., in NDS, 85-96; H. de Lubac, Il mistero del soprannaturale, Bologna 1967; X. Pikaza, Experiencia religiosa y cristianesimo, Salamanca 1981, 467ss.; J.J. Sánchez Bernal, s.v., in Aa.Vv., Diccionario Teológico: El Dios cristiano, Salamanca 1992, 1-5; C. Yannaras, Ignoranza e conoscenza di Dio, Milano 1973.

A. O'Donnell

ATANASIO D'ALESSANDRIA (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Se sono piuttosto oscuri gli inizi della sua vita, è ben documentato il periodo dell'episcopato, tanto che verrà denominato A. il Grande. La sua icona sarà venerata nelle chiese bizantine e gli storici della Chiesa parleranno del " secolo d'Atanasio ". Nasce ad Alessandria verso il 295, dove riceve una formazione intellettuale e religiosa accurata.1 Dispone di un'ottima preparazione letteraria (scrive in greco e in copto) per diventare un grande scrittore. Tra i monaci di Antonio Abate fa esperienza di vita monastica e si vanterà di essere suo discepolo (Vita di Antonio, Prologo). Verso il 318, egli, " uno degli asceti ", entra tra le fila del clero alessandrino quale diacono e segretario del vescovo Alessandro, che segue al Concilio di Nicea (325) e al quale succede nel 328. E consacrato assai giovane, non ancora trentenne, nel 328. Nel segno di una denuncia per l'età troppo giovane, A. inizia un'episcopato lungo (328-373), segnato da dure lotte per la difesa e l'affermazione della verità cattolica contro l'arianesimo teologico e imperiale, ma caratterizzato soprattutto da un'azione pastorale e catechetica, tra le più fervide e creatrici. Rifiutatosi di riaccogliere nella sua comunità Ario ( 336), richiamato dall'esilio da Costantino ( 337) in seguito ad una professione (insufficiente) di fede, dopo il 330, A. viene citato in concilio a Cesarea (333-334), dove non compare. Nel sinodo di Tiro (335) egli, però, in base a rinnovate accuse, viene deposto e inviato da Costantino in esilio a Treviri (I esilio). Costantino II ( 340), successo come imperatore in Occidente a Costantino I, il Grande, gli permette di ritornare ad Alessandria, dove nel 338 indice un sinodo di vescovi che lo riabilitano. Esautorato, poi, dai suoi avversari, che eleggono l'ariano Giorgio, A. abbandona la città (339) (II esilio); raggiunge Roma, dove lo accoglie papa Giulio ( 352), che nel 341 si pronuncia a suo favore. Alla morte di Gregorio, che era stato eletto dagli eusebiani, A. può ritornare ad Alessandria (346). Seguono per lui dieci anni, la " decade d'oro ", d'intensa attività letteraria e pastorale. Nel 356 deve riprendere la via dell'esilio per sfuggire alla persecuzione di Costanzo ( 361), rimasto dal 350 unico imperatore, e degli ariani (III esilio). Si rifugia presso i monaci del deserto egiziano, dove rimane sei anni, fecondi di attività letteraria a difesa chiarificatrice della sua posizione. Dopo l'assassinio del vescovo ariano, che gli era subentrato ad Alessandria e dopo la morte del suo successore, Costanzo, Giuliano ( 363) revoca il decreto d'esilio ad A., che può di nuovo rientrare ad Alessandria (362). Intanto Giuliano, infastidito per l'affermarsi di lui, lo costringe a lasciare la città nel 362 (IV esilio). L'anno successivo, Giuliano muore in battaglia e il suo successore, il niceno Gioviniano, lo richiama. Ma dopo il breve regno di quest'ultimo, cui succede Valente ( 378), favorevole agli ariani, A. nel 365, è costretto ad andarsene (V esilio). Un successivo editto gli permette di rientrare per rimanervi definitivamente. Muore il 23 maggio 373, amareggiato solo di non aver potuto riportare la pace nella chiesa di Antiochia per unire l'Oriente a Roma contro l'arianesimo.

Gli scritti sono in gran parte in rapporto a circostanze e a finalità teologico-catechetiche specifiche della sua comunità ecclesiale. Ecco i principali: a. Dogmatici e apologetici: Il Discorso contro i pagani con cui egli dimostra l'inconsistenza del paganesimo e L'incarnazione del Verbo (337), in cui si precisano il perché dell'Incarnazione e i suoi effetti salvifici; i tre Discorsi contro gli ariani (339-346): sono il capolavoro dogmatico di A., in difesa della divinità del Verbo; quattro Lettere a Serapione di Tmuis sulla divinità dello Spirito Santo. (362); Trattati sui sinodi di Rimini e di Seleucia (362); Lettera enciclica ai vescovi d'Egitto e di Libia (356); b. Storici e apologetici: Apologia contro gli ariani (350-355); Lettera ai vescovi d'Egitto e di Libia (356-357); Apologia in difesa della propria fuga. Apologia a Costanzo (362); Storia degli ariani indirizzata ai monaci (358); c. Pastorali e ascetici: Lettere festali indirizzate ai suoi fedeli per le solennità pasquali; ne sono conservate quindici (dal 329 al 348) in traduzione siriaca; tra i diversi trattati Sulla verginità a lui attribuiti, probabilmente è autentico quello incompleto in lingua copta e, infine, il capolavoro Vita di Antonio (362), considerato il padre della vita monastica: l'opera, sostanzialmente di valore storico, intende offrire ai monaci un documento di edificazione ascetica e spirituale.

II. La mistica di A. è guidata dalla sua impostazione teologica circa la divinità del Verbo e della sua Incarnazione.

1. I fondamenti cristologici. L'Incarnazione del Verbo. La vita spirituale e mistica in A. è incentrata sul mistero di Cristo. Dio ha affidato " l'uomo al Figlio ", " perchè incarnandosi rinnovasse ogni cosa " (Sul detto: " Tutto mi è stato affidato "), perciò l'agire del Verbo incarnato attraversa tutto l'uomo: " La sua passione è la nostra impassibilità, la sua morte la nostra immortalità, (...), il suo sepolcro la nostra risurrezione " (L'Incarnazione, 5). Egli è il primo vescovo e maestro nella catechesi, autore di una sintesi teologica centrata sulla fede nell'Incarnazione del Verbo, che pone a servizio della pastorale.

Pur concependo una cristologia da lui elaborata, " i suoi parametri sono indubitabili: la Scrittura divina e l'insegnamento della Chiesa, nella liturgia e nella catechesi, trasmettono tutto un corpo di dottrine, che A. non penserebbe per un istante solo di scartare ".2 Non ha un progetto di scuola, come Origene e Ario ( 336), ma fonda la verità del suo messaggio sull'esperienza credente dei racconti biblici. Lui, non i teologi e le loro scuole, è il portavoce autorizzato della comunità: la teologia s'integra al ministero del vescovo. La sua cristologia antiariana è più che mai integrata nella sua meditazione personale, in particolare, della Scrittura. A. è soprattutto un uomo di preghiera, che conosce la Scrittura a memoria.

Egli è l'uomo della Bibbia; tale si rivela fin dalle prime battute: nella sua prima Lettera festale del 328 appare immerso nel testo biblico, deciso a voler partecipare ai destinatari la propria contemplazione. Vi s'intravede una cristologia quasi monastica orientata alla preghiera, alla contemplazione della Scrittura, all'esercizio delle virtù. V'entra la tipologia, che orienta le figure dell'AT a Cristo, loro realizzazione. In questa lettera, egli intende offrire ai fedeli un insegnamento mistico tutto improntato sulla contemplazione orante, sull'onda di una cristologia omiletica, quale luogo in cui celebrare la gioia essenziale della fede, nell'assenza di ogni apparato sofisticato, assieme ai più umili tra i fedeli. Pertanto, egli intende educare il suo pubblico ad una maggiore comprensione della Bibbia. La Scrittura, letta e riletta nelle assemblee comunitarie o appresa a memoria dai monaci, offre una base magnifica per una lotta letteraria efficace contro Ario.

La cristologia di A. ha il suo centro nell'Incarnazione del Verbo. Cristo, Dio egli stesso, partecipe della nostra condizione per salvarci, è il Signore della storia, che anticipa nella sua storia vissuta, con la risurrezione la fine della storia umana. Pur inscritta entro la tradizione alessandrina (Clemente e Origene), è rettamente comprensibile, se situata nella dottrina della Chiesa di A. Facendo dell'Incarnazione la chiave di volta della sua cristologia, egli cambia l'orientamento stesso del pensiero cristiano, tanto più che egli considera la rivelazione divina, legata all'incarnazione del Logos, solo alla luce della sua realizzazione attuale in seno alla Chiesa: al cosmo di Origene sostituisce l'esperienza attuale dei credenti. Egli concepisce il ruolo del Logos creatore degli esseri logici fatti a sua immagine, come anticipazione dell'azione salutare del Verbo incarnato. I ricordi dell'Incarnazione tendono ad attualizzare nell'affermazione credente alessandrina la verità delle narrazioni evangeliche. La sua preferenza per il Logos risale a Origene (e a Clemente) e la sua preferenza per la divinità è antiariana. Il Verbo è divino: " Questa divina manifestazione noi l'adoriamo a ragione, perché è divina " (L'Incarnazione, 1,1). Il Verbo è l'autore immediato dal nulla della prima creazione (cf Gn 1-3), così pure degli uomini, che " fece a sua Immagine dando loro la potenza del suo proprio Verbo ", divenendo così " logici ", essi potevano rimanere nella beatitudine (Ibid., 3,1-3). Dopo la caduta, gli uomini furono privati della grazia della propria conformità all'Immagine (Ibid., 7,4). Proprio perchè Dio, il Verbo era in grado di " ricreare tutte le cose " (Ibid., 7,5); la sua Incarnazione produsse " la distruzione della morte e la risurrezione della vita " (Ibid., 10,5): è una restaurazione dell'essere secondo l'Immagine delle origini, secondo, cioè, il Logos del Padre. In ciò A., come Ario, si rifà a Origene, ma con proprie peculiarità. Il Logos, infatti, non è per lui immagine se non in rapporto a questa universale economia salvifica, inglobante la creazione originale e la ricreazione, ossia la redenzione.

I titoli dati al Verbo da A. intendono sottolineare la divinità del Verbo contro le accuse di debolezza verso di lui da parte di Ario. Il Verbo è anzitutto il Salvatore, comune a tutti, Cristo, che è la vita vera (Ibid., 30,1), " il comune Salvatore di tutti, Dio il Verbo, nostro Signore Gesù Cristo " (Ibid., 37,3), " il Cristo, il Santo dei Santi " (Ibid., 40,1). Così i titoli Salvatore, Immagine del Padre, la Via in sè, il nostro Signore Gesù Cristo, " il Verbo, che ha ordinato tutte le cose, e che è il solo Figlio unigenito e vero del Padre " (Ibid., 20,1). La cascata di titoli divini sfocia nel ricordo della comunità ecclesiale, poiché " nella sua morte e nella sua risurrezione il Verbo incarnato ci apre un accesso imprevisto alla sola intelligenza propriamente cristiana della divinità, un'intelligenza messa alla prova del reale, fuori della quale ogni teologia non è più che vana astrazione ".3 La conoscenza si fa adorazione " del potente Dio Verbo al di sopra di tutti gli esseri " (L'Incarnazione, 55,2).

2. Sviluppi della mistica: dall'Incarnazione del Verbo alla conoscenza di Dio. Anche nell'ambito della conoscenza di Dio, A. si muove secondo una visione antropologica, non cosmologica, dell'economia salvifica: Dio finalizza la creazione anche in ordine alla conoscenza di Dio, qualora gli uomini disprezzassero " la grazia di essere secondo l'Immagine " (Ibid., 12,1). A. rileva, al ritmo narrativo della storia salvifica, come Dio mediante il suo Verbo, nostro Signore Gesù Cristo, crei l'uomo a sua somiglianza; " lo rese così capace di contemplarlo " e, conservando tale somiglianza " non avesse da allontanarsi mai dal pensiero di Dio "; inoltre, " senza impedimento la sua purezza gli permettesse di contemplare di continuo l'immagine del Padre, il Verbo di Dio, ad immagine del quale egli è stato fatto ". " Quando dunque lo spirito umano ... è tutto intero in alto, come è stato fatto all'inizio, allora egli oltrepassa le cose sensibili e tutte le realtà umane per vivere in alto nei cieli; vedendo il Verbo, egli vede il Padre del Verbo: questa contemplazione allieta l'uomo e lo rinnova nel desiderio che lo innalza verso Dio " (Contro i pagani, 2). Il primo uomo, immagine del Logos, rimaneva volto verso questo in un' estasi senza fine. Ma sopravvenne la caduta dei progenitori. Così gli uomini, distolto lo sguardo dagli intelligibili, lo abbassarono su se stessi (Ibid., 3) e, divenuti egocentrici, decentratisi dal Logos, si perdettero nell'idolatria e nelle passioni carnali. Poiché gli uomini " si erano distolti dalla contemplazione di Dio..., il Verbo di Dio, amico degli uomini e salvatore di tutti, prende un corpo ... e concentra su di sé la mente di tutti gli uomini " (L'Incarnazione, 15,2).

Dopo la caduta, l'Incarnazione è anche la restaurazione del senso di Dio nella coscienza umana: " Così il Verbo di Dio è venuto di persona, per essere in grado, lui che è l'Immagine del Padre, di restaurare l'essere-secondo-l'Immagine degli uomini " (Ibid., 13,8). " Ecco perché è nato, è apparso come uomo, è morto, è risuscitato. [...]. " Il Verbo si è inabissato fino ad apparire in un corpo, per centrare gli uomini su se stesso in quanto uomo e rivolgere a lui la propria mente; (...) mediante le sue opere egli convincerà noi che egli è Dio, Verbo e Sapienza del vero Dio " (Ibid., 16,1). Al nous della coppia adamitica si sostituisce il Logos incarnato per le creature, la cui attenzione egli polarizza sulla rivelazione di Dio. L'Incarnazione del Verbo introduce la fonte ultima della rivelazione divina nel cuore stesso dell'umanità perduta. Il Logos incarnato introduce una verità di vita luminosa, attirando tutti a sé, aprendo così un accesso al Padre.

3. Dall'Incarnazione del Verbo e dall'azione dello Spirito Santo alla divinizzazione dell'uomo. - Il polo dell'Incarnazione del Verbo. Nei tre Discorsi contro gli ariani la divinizzazione è più centrale rispetto alla concezione atanasiana di salvezza; infatti A. la pone sul piano dell'adozione, della ri-creazione e del perfezionamento. Adozione e divinizzazione sono legate: in forza di Cristo gli uomini sono chiamati figli e dei (Contro gli ariani, 38). La divinizzazione include santificazione e perfezionamento: il dominio del peccato ha fatto posto a quello dell'amore divino (Ibid., 47). La salvezza dell'uomo è la sua divinizzazione, tanto la pienezza della divinità del Salvatore ha pervaso A. (Ibid., 41). La salvezza e la divinizzazione dell'uomo sono assicurate dal fatto che il Figlio è Dio e che la carne, da lui rivestita, è di natura umana (Ibid., 70). La concezione di salvezza di A. si fonda, infatti, sulla comunanza della carne di Cristo con la nostra e sulla comunanza della natura divina di Cristo con quella del Padre: vera unione (synaphe) della nostra natura di creature con la natura divina nella persona del Verbo. Grande è il ruolo dell'Incarnazione rispetto alla divinizzazione. Adottati dalla parentela con la carne, possiamo essere divinizzati ed ereditare da ora la vita eterna (Ibid., 34). Il polo dell'Incarnazione del Verbo non esclude il polo dell'azione dello Spirito Santo, datoci nel battesimo, che ci fu conferito nel nome della Trinità: siamo legati a Dio mediante il Figlio e lo Spirito Santo (Ibid., 41-43). Gli uomini che Dio chiama dei, sono tali solo partecipando al Verbo mediante lo Spirito (Ibid., 9). La divinizzazione comporta l'immortalità (Ibid., 34), in forza della divinizzazione della natura umana di Cristo conseguita con la sua ascensione al cielo (Ibid., 42). A. sottolinea nella divinizzazione la liberazione dalla morte, che equivale alla liberazione dal peccato (Ibid., 23). Essa comporta pure l'incorruttibilità, come partecipazione alla vita e alla gloria di Dio; la vita eterna è il coronamento della ri-creazione dell'uomo, ma ora unito a Dio e nel pieno possesso di lui.

3. Divinizzazione dell'uomo ad opera dello Spirito. A. tratta, poi, della divinizzazione dell'uomo da parte dello Spirito Santo La funzione e la natura di questo è in rapporto al Figlio e la sua unità con questo è come quella del Figlio in rapporto al Padre (Ser. 2). Tra i due c'è identità di sostanza, essendo lo Spirito Santo l'Immagine del Verbo (Ibid., 24). Lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo ed è presente dove il Verbo è all'opera (Ser. 5). Pneumatologia e cristologia sono parallele. " Il Padre crea e rinnova tutte le cose mediante il Verbo nello Spirito " (Ser. 24): il Verbo è implicato nella creazione e conservazione come nella salvezza e divinizzazione e lo Spirito Santo non può essere implicato nell'ultima a danno della prima. Cristo offre nello Spirito l'unica grazia e l'unica santificazione proposta da Dio agli uomini (Ibid., 14) e la presenza dello Spirito significa l'abitazione in essi del Verbo del Padre (Ibid., 30). Poiché lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo, il suo raggio d'azione coincide con quello del Figlio. Lo Spirito Santo non può essere separato dal Figlio e tutto ciò che è realizzato dal Verbo lo è mediante lo Spirito (Ibid., 31). " Unica è la santificazione, operata dal Padre, mediante il Figlio nello Spirito " (Ibid., 20), come unica è la grazia che, procedendo dal Padre mediante il Figlio, termina nello Spirito Santo " (Ibid., 14). Questi sigilla agli uomini l'abitazione in essi di Cristo; ciò è una partecipazione a Dio, che li trasforma sull'esempio dell'umanità storica e concreta del Salvatore. L'unzione e il sigillo ci danno la partecipazione a Dio e alla sua natura, di modo che noi siamo divinizzati dallo Spirito (Ibid., 24), non, però, all'infuori di Cristo, di cui siamo divenuti partecipi mediante il suo Spirito (Ibid., 27). Un aspetto della divinizzazione, inoltre, è lo scambio dell'ignoranza, propria della carne (Contro gli ariani, 37) mediante la conoscenza di Dio, propria del Verbo (Ibid., 38). Cristo continua anche ora a istruire i suoi nella Chiesa, che vive della Scrittura ispirata e della tradizione dei Padri, che attraverso gli Apostoli, risale a Cristo. Ora, questo insegnamento è dato dallo Spirito, che ha ispirato la Scrittura e che assiste lo sviluppo della tradizione.

Note: 1 Cf Gregorio Nazianzeno, Disc. 21 in lode del beato Atanasio, PG 35, 1117-1120; 2 Ch. Kannengiesser, Le Verbe de Dieu selon Athanase d'Alexandrie, Tournai 1990, 109; 3 Ibid., 107.

Bibl. Opere: Discours contre les Paíens: SC 18bis (1983), ed. P.Th. Camelot; Lettres à Sérapion sur la divinité du Saint Esprit: SC 15 (1947), ed. J. Lebon; Lettres festales et pastorales en copte, CSCO 150-151, ed. Th. L. Lefort Omelie copte [Corona Patrum, 7], ed. T. Orlandi, Torino 1981; [Atanasio d'Al., 43-91]; Traités contre les Ariens (in preparazione l'ed. critica per SC, a cura di Ch. Kannengiesser); L'Incarnazione del Verbo, SC 199 (1973), a cura di Ch. Kannengiesser; Vie d'Antoine, SC 400 (1994), ed. G.J.M. Bartelink. Studi: G. Bardy, s.v., in DSAM I, 1048-1052; Id., La vie spirituelle d'après saint Athanase, in VSpS 18 (1928), 97-113; J.-B. Berchem, Le role du Verbe dans l'oeuvre de la création et de la sanctification d'après saint Athanase, in Ang 15 (1938), 201-232; Id., Le Christ sanctificateur d'après saint Athanase, in Ibid., 515-558; R. Bernard, L'image de Dieu d'après saint Athanase, Paris 1952; L. Bouyer, Le Père invisible. Approches du mystère de la divinité, Paris 1976; Id., Mysterion. Dal mistero alla mistica, Città del Vaticano 1998; Ch. Kannengiesser, Athanase d'Alexandrie évêque et écrivain. Une lecture des traités contro les ariens, Paris 1983; Id., Le Verbe de Dieu selon Athanase d'Alexandrie, Tournai 1990; J.-M. Leroux, Athanase d'Alexandrie, Paris 1956; J. Roldanus, Le Christ et l'homme dans la théologie d'Athanase d'Alexandrie. Étude de la conjonction de sa conception de l'homme avec sa christologie, Leiden 1968; C. Sorsoli - L. Dattrino, s.v., in DES I, 233-236; G.C. Stead, s.v., in DPAC I, 423-432.

O. Pasquato

ATEO-ATEISMO. (inizio)

Premessa. Le due voci sono distinte ma strettamente collegate. A. è colui che, in pratica o in teoria, vive senza Dio. Il qualificativo " ateo " si riferisce evidentemente all'individuo singolo in concreto. " Ateismo " dice riferimento a un'ideologia non soltanto individuale.

Vi sono molti tipi di atei. Anzitutto vi sono atei che non conoscono Dio e, anche se ne hanno sentito il nome, non hanno un'idea precisa di Dio. Cosa piuttosto rara in una cultura pervasa di elementi cristiani.1 Chi ha vissuto in tale clima culturale, spesso, più che a., è uno che ignora Dio. Infatti, l'ignoranza del cristianesimo, per le nazioni di antica cultura cristiana si risolve in una forma di non-conoscenza di Dio. Non vivere da cristiano, equivale in pratica, a vivere da a. Di qui il diffondersi straordinario di sette e ideologie che sono altrettanti idoli sostitutivi di Dio: " Se il cielo si vuota di Dio, ripeteva il teologo protestante K. Barth, la terra si popola di dei ". Ad una situazione del genere contribuiscono in misura non piccola i mezzi di comunicazione sociale che spargono a tutti i venti lo scetticismo e l'indifferenza religiosa, nonché forme di vita paganizzanti. Quando avviene un serio ritorno al Vangelo e alla Chiesa per uomini e donne, sembra loro una scoperta, una novità assoluta. Gli atei finora descritti rimangono, in generale, ancora aperti alla verità di Dio e del cristianesimo.

Vi sono, poi, vaste aree in cui non vi sono soltanto atei per difetto di conoscenza. Vi sono anche atei con atteggiamento dichiaratamente ostile, seguaci di fazioni politiche che si professano atee, che dipingono la Chiesa quale nemica della libertà e degli umili. A livello popolare il marxismo, con una propaganda tenace, ha contaminato vaste zone dell'Europa e dell'Occidente. Coloro che sono infatuati di queste ideologie sono " atei " di professione. Il marxismo, là dov'è assurto a rango di politica ufficiale inteso a sradicare il nome stesso di Dio dalla cultura e dal cuore dell'uomo, ha inferto ferite culturali e sociali difficilmente sanabili. Gli effetti delle sue devastazioni non sono ancora scomparsi, nonostante la sua rovinosa caduta politica. Non è facile il passaggio dall'ostilità e dalla guerra aperta contro Dio e la Chiesa all'accettazione di Dio. Il marxismo in particolare ha portato fino alle ultime conseguenze i principi illuministici che avevano forgiato prima la cultura politica europea sul modello del laicismo liberale e del socialismo rivoluzionario nella sue diverse forme. Dall'Illuminismo sono scaturite le più celebrate filosofie largamente diffuse, come il kantismo, l'idealismo hegeliano, il positivismo, che sono alla base delle diverse dottrine politiche.

Dalla politica laicista, al marxismo, cioè all'odio e alla guerra a Dio e alla Chiesa non c'è che un passo.

I. Una definizione dell'a., universalmente valida, non è possibile per molti motivi. Anzitutto perché l'a. non è mai solamente teoretico: entrano in gioco fattori psicologici e culturali incontrollabili, anche perché il problema di Dio non impegna mai soltanto la mente, impegna necessariamente la volontà, il sentimento, tutta la psiche umana. Una definizione universalmente valida non è possibile anche per la disparata varietà delle forme di a., aventi poco in comune. Quale differenza tra l'a. di Nietzsche, quello di Sartre, quello di Marx! Si può dire che vi sono, di fatto, tanti ateismi quanti atei e tante diverse forme di ateismi quanti sono i modi con cui la persona umana è lontana o si allontana da Dio. Chi pretendesse di darne una definizione adeguata finirebbe per cadere nell'astrattismo. Anche nelle forme più pretenziosamente " scientifiche ", vi sono dei sottintesi extrateoretici non sempre avvertiti.

II. A. e mistica. L'a. è un problema troppo profondamente umano per non investire tutto l'uomo. E spesso qualcosa d'inafferrabile come la storia interiore degli individui e del loro evolversi individuale e sociale. Vi è dell'a. nello scetticismo, nel problematicismo, nello scientismo, nel razionalismo di origine illuministica, nel panteismo. L'a. d'oggi pretende di superare tutte le forme del passato ed ha la pretesa di presentarsi non solo come una contestazione di Dio, ma come una teoria scientificamente giustificata e positiva. La ferita mortale che l'a. porta con sé sta nella negatività di nome e di fatto costitutiva della sua stessa essenza. Parte da una negatività radicale in sé insanabile. E impossibile negare Dio senza negare l'uomo nella sua radice, nella sua struttura e nelle sue finalità. La negazione dell'Assoluto travolge tutto. Chi nega il Dio della ragione e della fede vi sostituisce fatalmente un idolo che può anche chiamarsi ideologia, senza cessare d'essere un idolo. Ogni a. radicale finisce con autonegarsi e contraddirsi. Ogni negazione si fonda ed è causata dalla rispettiva affermazione e la presuppone. E sempre più facile negare che affermare, distruggere che costruire.

Lo sappia o non lo sappia, lo voglia o non lo voglia, l'uomo, per natura sua ama più Dio che se stesso, dice s. Tommaso2. Vi è nell'uomo un amore naturale di Dio. Nell'amore naturale la volontà non c'entra. Questo dato, però, è molto significativo. La stessa natura aspira a Dio. Vi è in ogni uomo anche nell'a., la vocazione a Dio. L'intelligenza e la volontà, (il " cuore " direbbe s. Agostino), aspirano a Dio. Vi è, dunque, in ogni uomo un'inclinazione che lo spinge a Dio, al quale in qualsiasi momento e in qualsiasi situazione personale e sociale si trovi, può sempre liberamente aderire. Volgendosi al cristianesimo trova la più meravigliosa delle risposte e la più ariosa liberazione dall'interiore schiavitù del negativo. Tradire la natura è tradire se stesso. Tutto dipende anche dall'intelligenza oltreché dalla volontà. L'ignoranza incolpevole non impedisce a Dio d'intervenire con la sua grazia, se l'a. (in senso privativo), vive rettamente, seguendo la legge che Dio ha inscritto nella sua stessa coscienza. Dio non abbandona nessuno e vuole tutti salvi nella dignità della libera volontà. Più grave è la situazione di coloro che, pur conoscendo Gesù Cristo, la sua legge e la sua Chiesa, non solo la rinnegano, ma la combattono. Ma la possibilità del ritorno a Dio e alla fede è sempre aperta.

Note: 1 Oggi è in atto una progressiva scristianizzazione della vita familiare, sociale e culturale. Non sono rari i nuclei familiari in cui non si prega e non si parla di Dio. All'interno della civiltà cristiana vi sono giovani e uomini che non hanno mai affrontato seriamente il problema di Dio e non ne hanno sentito parlare seriamente né in famiglia né nella scuola. Le scuole di Stato in genere sono fortemente laicizzate, l'ambiente culturale rimane ancora sotto l'influsso dominante dell'illuminismo, quanto meno indifferente quando non ostile o peggio nei confronti del cristianesimo, quasi si tratti di un mondo di fiabe; 2 Tommaso d'Aquino, STh I. q. 60, a. 5.

Bibl. Aa.Vv., Ateismo contemporaneo, Napoli 1965, 534; Aa.Vv., Ateismo tentazione del mondo, risveglio dei cristiani, Torino 1965, 283; Aa.Vv., Dio e l'ateismo moderno, Assisi (PG) 1974; L. Bogliolo, Ateismo e pastorale, Milano 1967 (con bibl.); A. Del Noce, Il problema dell'ateismo, il concetto dell'ateismo e la storia della filosofia come problema, Bologna 1964, XXXII-375. E una profonda e acuta analisi dell'ateismo in tutte le sue forme; C. Fabro, Introduzione all'ateismo moderno, 2 voll., Roma 1971; T. Goffi, s.v., in NDS, 98-109; V. Messori, La sfida della fede fuori e dentro la Chiesa; l'attualità di una prospettiva cristiana, Roma 1993; V. Miano, s.v., in DTI I, 436-451; G. Morra, Dio senza Dio, Ateismo, Secolarizzazione, Esperienza religiosa, Bologna 1970; G. Mura, Una mistica atea?, in La Mistica I, 681-716; Philippe de la Trinité, Dialogue avec le marxísme? Ecclesiam suam et Vatican II, Paris 1955; E. Sertillanges, Atei, miei fratelli, Torino 1966.

L. Bogliolo

ATTACCAMENTO UMANO. (inizio)

I. La nozione. Per " attaccamento umano " o " imperfetto " s'intende ogni atto legato ad un affetto disordinato, connesso a beni superflui che non vengono ricercati per la gloria di Dio, ma per le soddisfazioni che tali beni procurano.

Gli autori spirituali, e in particolare Giovanni della Croce,1 parlando degli a., descrivono azioni che non sono direttamente contro la legge di Dio e che sarebbero legittime se fossero eseguite per motivazioni adeguate. Ciò comporta, per es., difendere le proprie opinioni, il proprio pensiero o, in altre circostanze, compiere atti elementari quali godere di un periodo di riposo e di recupero psico-fisico. Tali atti non hanno in sé nulla di peccaminoso, ma sono di ostacolo alla vita spirituale del soggetto quando entrano in contrasto con le parole di s. Paolo: " Sia che mangiate, sia che beviate, sia qualsiasi altra cosa facciate, fate tutto nella gloria di Dio " (1 Cor. 10,31).

Tali a. sono particolarmente negativi quando siano ripetuti e persistenti. La natura di tali atti è legata al soddisfacimento del proprio egoismo, e come tale, essi sono direttamente contrapposti alla carità come chiaramente specifica s. Agostino: Augmentum caritatis diminutio cupiditatis; augmentum cupiditatis diminutio caritatis.

Gli autori spirituali sono concordi nel condannare questi affetti sregolati, che ostacolano le anime pie nella ricerca della perfezione.

II. Nella vita spirituale. Giovanni della Croce dà degli esempi caratteristici di a. che impediscono all'anima di avanzare nella virtù,2 come " ...l'abitudine di parlare troppo, un piccolo attaccamento che la persona non si decide a rompere, sia che si tratti di una persona, di un abito, di un libro, di una cella, di un cibo preferito, o ancora talune conversazioni dove si ama sapere, comprendere, ecc... ".

S. Francesco di Sales paragona le giovani anime, dominate da questi a. a giovani spose " ...che amano veramente tanto i loro sposi.... ma non smettono di amare grandemente le cose da poco, i cagnolini, gli scoiattoli... Così, queste giovani anime amano certamente e assai lo sposo caro, ma non smettono di dilettarsi con molte compagnie che esse non amano secondo lui, ma oltre lui, al di fuori di lui e senza di lui... ".3

La perfezione - secondo s. Tommaso - è la disposizione attraverso la quale " ab affectu hominis excluditur ... illud quod impedit ne affectus mentis totaliter dirigiter in Deum... ". Tale stato d'animo, precisa Tommaso, non si trova nei principianti, né nei praticanti successivi, ma è la caratteristica dei perfetti, giunti alla vita di unione.4 Pertanto, dopo s. Tommaso, bisogna considerare la perfezione come la condizione di un'anima che si è liberata di ogni legame irregolare, che giunge a Dio con tutta la sua volontà.

Colui che si sente trascinato da un affetto disordinato deve contrastarlo, " agere contra ", come insegna s. Ignazio di Loyola " ...egli deve fare ciò che è diametralmente opposto alla tentazione... ".5 S. Ignazio, attraverso gli " esercizi ", vuole condurre l'anima a liberarsi di tutti gli affetti irregolari, per giungere a trovare la volontà di Dio.6 Egli vuole che l'anima del penitente sia attenta alla vocazione che è " ...sempre pura, senza mescolarsi alle inclinazioni della carne o dei sensi o di affetti disordinati... ".

Tuttavia, il vero distacco può essere prodotto - spiega s. Teresa - solo da un atto di grazia. " ...Bisogna, dicono certi libri, essere indifferenti al male che si dice di noi... fare poco caso al bene, essere distaccati dal proprio prossimo... e da una quantità di altre cose dello stesso genere. Secondo me, vi sono dei doni puri di Dio per il fatto che essi sono soprannaturali... ". Ma questo atto di grazia, secondo il pensiero della santa, può essere ottenuto solo attraverso preghiere ferventi e perseveranti e con una instancabile generosità.

In ogni caso, comunque, leggendo i vari autori spirituali, si intravvede una caratteristica comune a tutti: il vero distacco presuppone l'abbandono di tutti gli affetti collegati alla vita umana secondo quanto afferma s. Agostino: " Minus te amat qui tecum aliquid amat quod non propter te amat ".7

Note: 1 cf Salita del Monte Carmelo I, 11; 2 cf Ibid. I, 11, 4; 3 Amore di Dio X, 4; 4 cf STh II-II, q. 184, a. 2; 5 Exerc. Spir. n. 97, cf n. 13, 16; 6 cf Ex. spir., n. 1; 7 Confess. , X, 29.

Bibl. S. Canals, Ascética meditada, Madrid 1981; C. Geret, Le christianisme contre nos plaisir, in Lumière et vie, 22 (1973), 65-81; B. Marchetti Salvatori, s.v., in DES I, 236-237; A. Sandreau, s.v., in DSAM I, 1055-1058.

G.P. Paolucci

I. La psicologia contemporanea, con il termine " attaccamento " intende definire ii rapporto emotivo con il quale una persona si relaziona con persone, oggetti, luoghi o eventi. L'a. è, quindi, una relazione oggettuale che inizia fin dal concepimento (vita endouterina), è presente anche in modo inconsapevole in tutti gli stati di coscienza (relazione oggettuale conscia durante la veglia vigile; oppure inconscia durante il sonno, sogno, trance, delirio, ecc...) e cessa solo con la morte clinica (ossia lo stato irreversibile senza alcuna funzione vitale attiva).

Non si può vivere senza una relazione e ogni relazione rispecchia una modalità di a. che - a partire dalle prime ricerche psicologiche strutturate - dipende molto dalla tipologia di " a. " con la propria madre (o di chi ne ha fatto le veci) nei primi mesi di vita. Infatti, fin da queste prime esperienze la persona impara ad avere fiducia in chi si occupa di lei, in chi l'aiuta a soddisfare i propri bisogni. La natura e la qualità dell'interazione madre-figlio determinano l'emotività che accompagna il primo a.: il grado di tensione del neonato durante l'allattamento è strettamente correlato con quello materno.1

Lo sviluppo dell'a. nel bambino si articola in tre fasi: a. Ricerca di ogni tipo di stimolo; egli si attacca più facilmente a quelli che provocano piacere e sicurezza. b. Interesse per le persone che possono meglio soddisfare i suoi bisogni. c. Interesse ridotto a un numero selezionato di persone.2

In queste prime fasi, se il bambino sperimenta situazioni di isolamento e di freddezza relazionale è più probabile che da adulto abbia lo stesso tipo di a. verso gli altri.3 Bambini separati dalle madri hanno una prima reazione di agitazione, poi di apatia-inibizione e poi di indifferenza (disinteresse verso un autentico a.).

Più recentemente, la teoria dell'a. è considerata non solo partendo dalla soddisfazione dei bisogni. Soprattutto nell'approfondire la ’qualità dell'accudimento " (ossia, la disponibilità e capacità di risposta materna) si va evidenziando sempre più come l'a. possa costituire la base di un sistema motivazionale e un'attitudine continua della vita. Questi aspetti - se rinforzati da consistenti esperienze nella preadolescenza e nell'adolescenza - costituiscono la base della capacità di relazionarsi socialmente e comunicare in modo creativo. In questo senso, la teoria dell'a. ha consentito di allargare l'attenzione dai bisogni ai valori, dall'intrapsichico al socio-relazionale.

Il comportamento di a. è strettamente correlato con l'apprendimento; proprio per questo il bambino può discriminare la figura di a. Quando vi sono dei problemi in questo settore è possibile che l'adulto non abbia sviluppato bene le capacità di discriminare la figura di a. e faccia una certa confusione attaccandosi al partner come se fosse la madre o ad un superiore come se fosse il padre. Imparare a discriminare la figura di a. significa poter gestire la modalità relazionale nelle sue varie forme a seconda del contesto e della specificità della persona.

La modalità relazionale in termini di " comportamenti di a. " può essere distinta in due classi: il comportamento di segnalazione (pianto, sorriso, vocalizzazione) e il " comportamento di accostamento " (aggrapparsi, seguire, restare in contatto). Per Bowlby entrambi questi comportamenti hanno la funzione di assicurare il contatto fisico e la vicinanza. Qui si pone l'accento più sulla funzione della protezione che della nutrizione.

Anche H.F. Harlow considera l'a. come " un'organizzazione interna di sistemi comportamentali che non solo controllano la costante tendenza a cercare la vicinanza, ma sono anche responsabili delle differenze nei comportamenti adottati dal bambino per mantenere il contatto ".4

R.A. Hinde,5 distingue l'a. come tratto stabile, dai comportamenti di a. che si modificano con l'ambiente e con l'età. Perciò, è possibile che una persona sia sempre ansiosa ogni qual volta dovrà allontanarsi da un luogo o da una persona ma sarà diverso il comportamento esterno col quale manifesta il suo stato d'animo.

Rimane sempre la difficoltà non solo a definire, ma anche a misurare l'intensità dei legami di a. e altri comportamenti ad esso correlati come per esempio il comportamento esplorativo. È facile capire come più è stretto l'a. più deboli saranno i comportamenti esplorativi che richiedono una proporzionata sicurezza.

Per M.D. Ainsworth,6 il tipo di a. con la madre determina il tipo di atteggiamento esplorativo; anzi, il bambino usa la madre come base per l'esplorazione. Quanto più il bambino percepisce la disponibilità delle figure di a. tanto meglio può sviluppare i comportamenti esplorativi. Un rapporto di fiducia con la figura di a. comunica la disponibilità ad essere rassicurati ogni qual volta lo si desidera e questo permette una maggiore sicurezza, quindi una minore vulnerabilità alle fobie. Le aspettative sull'accessibilità e disponibilità delle figure di a. giocano un ruolo importante nel processo della maturazione affettiva. È ovvio che meno accessibili e disponibili sono queste figure di a. nell'infanzia e nell'adolescenza e più sarà difficile realizzare un'armoniosa vita relazionale di coppia, di famiglia, di gruppo o di comunità.

Tutto questo ha permesso anche di formulare la " nuova teoria degli affetti ", più differenziata dalla psicofisiologia animale e più adeguata agli obiettivi clinici. Infatti, anche se uno stile di a. e cura è rilevabile anche nei primati, tuttavia è bene impostare la questione dell'a. su ciò che vi può essere di peculiarmente umano e sul come si possa intervenire dal punto di vista psicoterapico.

La " nuova teoria degli affetti " ipotizza l'origine degli affetti nel primo putterning affettivo che s'integrerà con le attività infantili, l'immagine di sé e le esperienze adolescenziali per costituire una struttura fondamentalmente ansiosa o gioiosa o paurosa.

L'a. primario influenza il prototipo di atteggiamento di base o modello operativo. La qualità del rapporto di a. e cura determina anche la capacità di legarsi e di separarsi - sempre nell'asse di fiducia-sfiducia - da adulti nelle varie relazioni oggettuali: persone, cose, luoghi ed eventi. La persona umana di fronte al condizionamento infantile di un particolare tipo di a. può assumere vari atteggiamenti e da questi dipende un suo eventuale superamento o trasformazione del rapporto oggettuale. In altri termini, un accudimento parentale freddo e distaccato non determina irrimediabilmente un destino immutabile. La persona umana, reduce da un'esperienza, può replicarla su altre così come l'ha subita, può amplificarla al negativo (come una sorta di vendetta compensatoria), oppure può trasformarla in risorsa per la propria e altrui crescita.

Ogni relazione è un a., quindi un modo per possedere e farsi possedere. Ogni persona ha un suo modo di legarsi e farsi legare; questo è lo stile di a. e cura. Corrispettivamente, ognuno ha un suo modo di staccarsi e separarsi e un suo modo per vivere i cosiddetti " vissuti luttuosi "; ossia, le esperienze di perdita di qualcosa o qualcuno. Proprio queste ultime esperienze ci danno la coscienza della precarietà di ciò che abbiamo e proprio per questo alcuni trasformano la relazione di a. in rapporto di possessività.

La possessività nella relazione oggettuale di a. può assumere varie forme e connotazioni: gelosia, avarizia, ingordigia, nostalgia. Altrettanto si può dire per l'esatto opposto; ossia, il distacco può manifestarsi con un atteggiamento freddo, prodigo e superficiale.

L'a. nelle sue psicodinamiche evolutive è una dichiarazione di bisogno che viene colmata con la complementarietà (io ho bisogno di te e sarebbe bello che anche tu avessi bisogno di me). Diverso è l'a. parassita; quello di un adulto incapace di scambi emotivi che utilizza persone e cose per sostenere le proprie insicurezze.

II. Da un punto di vista morale l'a. sano va inquadrato in un contesto di solidarietà che permette di offrire il proprio appoggio a chi ne ha bisogno perché possa essere abbastanza forte da sostenere se stesso e terzi. La solidarietà universale si basa sull'a. disinteressato, quello che permette di crescere insieme. Anche il rapporto empatico è impossibile senza un adeguato a.

In questo stesso contesto psicologico e morale potrebbe essere inteso il distacco ascetico che va differenziato dall'atteggiamento distaccato dello stoico o dell'apatico o dell'abulico, o peggio ancora del cinico, di chi è impassibile a persone, cose ed eventi.

L'asceta si distacca dalle certezze e dalle sicurezze caduche ed impara a fare maggiore affidamento su Dio. Infatti, proprio per questo, il rapporto tra Dio e il mistico può essere paragonato al rapporto di fiducia bambino-madre. Il mistico si affida a Dio come un bambino si affida a sua madre; il bambino si affida alla propria madre come un mistico si affida a Dio. L'a. di fiducia e la coscienza della propria precarietà avvicinano il bambino al mistico.

Dal punto di vista umano, la psicoterapia aiuta a recuperare la fiducia in un rapporto, senza il quale non si può crescere. La mistica è un processo di crescita globale fondato sul recupero di un rapporto di fiducia con Dio. In questo caso psicologia e mistica s'integrano in una dinamica di crescita come superamento. L'iniziale fiducia madre-figlio potrà essere superata con una fiducia più matura (io-altri nel processo psicoterapico; io-altri-Dio nel processo mistico). Anche un'iniziale sfiducia madre-figlio potrà - se pur con maggiori difficoltà - essere superata. La dinamica del superamento resta possibile anche dopo ripetute esperienze sia di fiducia che di sfiducia dopo la nostra infanzia.

In un contesto psicologico e morale, crescere significa non solo essere se stesso e diventare se stesso; ma anche superare se stesso. Qui psicologia, morale e mistica non evidenziano incompatibilità.

Note: 1 A.M. Kulka, Observation and Data on Mother-Infant Interaction ", in Israel Annals of Psychiatry, 6 (1968), 70-83; 2 H.F. Harlow e M.K. Harlow, Learning to Love, in American Scientist, 54 (1966), 244-272. H.F. Harlow e S.J. Suomi, Nature of Love Simplified, in American Psychologist, 25 (1970), 161-168; 3 J.A. Bowlby, Separation Anxiety, in International Journal of Psychoanalysis, 41 (1960), 89-113; 4 R. Canestrari, Psicologia generale e dello sviluppo, Bologna 1993, 554; 5 R.A. Hinde, Le Relazioni interpersonali, Bologna 1981; 6 M.D. Ainsworth - S. Bell - D. Stayton, L'attaccamento madre-bambino e lo sviluppo sociale, Milano 1978.

Bibl. J.A. Bowlby, Separation Anxiety, in International Journal of Psychoanalysis, 41 (1960), 89-113; Id., L'attaccamento e la perdita, 3 voll., Torino 1989; H.F. Harlow - M.K. Harlow, Learning to Love, in American Scientist, 54 (1966), 244-272; H.F. Harlow - S.J. Suomi, Nature of Love Simplified, in American Psychologist, 25 (1970), 161-168; A.M. Kulka, Observation and Data on Mother-Infant interaction, in Israel Annals of Psychiatry, 6 (1968), 70-83.

A. Pacciolla

ATTITUDINE. (inizio)

I. Nozione. Termine che tende ad indicare il complesso delle condizioni psichiche, e per certi versi anche fisiche, che permettono ad un soggetto l'espletamento di una particolare attività o di un particolare compito.

Nella psicologia il concetto di a. si è rivelato particolarmente importante nell'orientamento scolastico e lavorativo ed ha dato il via all'elaborazione di una serie abbondante di test per la misurazione di a. generali e specifiche: a. per le tecniche, per la matematica, per le lingue, ecc. Occorre dire, comunque, che questi test non hanno mai indicato in maniera precisa una pura componente psichica, piuttosto la possibilità di esercitare l'attività che dall'a. si richiede. Ciò ha portato gli psicologi a concludere che esistono tante a. quante sono le attività umane, ovvero infinite.

G. Froggio

II. Nel contesto della psicologia della personalità il termine a. può più facilmente essere compreso con l'ausilio di altri due termini inclinazione e tendenza, specie se riferiti a un oggetto sferico su un piano inclinato. Il comportamento umano - contrariamente a questa analogia - non è meccanicisticamente e deterministicamente orientato in modo esclusivo dalle inclinazioni e tendenze (come una sfera su un piano inclinato) perché la persona è capace di muoversi anche contro le proprie tendenze e mutarle. La persona matura non è schiava, vittima, succube e oggetto delle proprie tendenze, ma l'esempio del piano inclinato ci può aiutare a comprendere la facilità di un orientamento anziché un altro se è congruo ad una inclinazione. Al contrario, un comportamento mostra la sua difficoltà nella misura in cui esso è diverso oppure opposto a certe predisposizioni personali.

Le tendenze e le inclinazioni sono, perciò, alla base delle a. e cominciano a formarsi fin dalla nascita; per questo vengono denominate " naturali "; esse vanno insieme ai gusti e alle preferenze che fanno parte della propria specifica individualità. Può essere psicologicamente molto pericoloso coartare queste strutture personali, ma ciò non vuol dire che le tendenze e le inclinazioni, come i gusti e le preferenze, non siano oggetto della pedagogia e della formazione. È molto importante che sia il soggetto stesso a dare una forma personale a queste strutture di base tenendo presente dei modelli. Infatti, le tendenze e le inclinazioni formano la struttura psichica e fisica in modo sempre più adeguata alla loro realizzazione; questa è anche la base delle a. Per esempio, una particolare a. psicofisica ad un certo lavoro significa che il corpo e la mente sono atti e appropriati a un certo modo di lavorare. Seguendo e incoraggiando le proprie tendenze e inclinazioni si acquisiscono le a. e quando queste trovano la possibilità di applicazione contribuiscono notevolmente alla realizzazione del soggetto.

III. Nell'ambito religioso. Le a. hanno un ruolo importante non solo nel lavoro, ma in una qualunque scelta vocazionale. Spesso sono le a., unite ai valori morali, che determinano le scelte di orientamento di vita personale. In questo senso si parla di a. alla vita contemplativa oppure di a. alla vita pastorale e si possono ben immaginare le conseguenze conflittuali del concetto di " obbedienza " che nella vita religiosa si determinano quando un soggetto " portato " alla vita contemplativa viene preposto ad un compito o ruolo per il quale non è o non si sente " adatto ". Nella persona adulta, le a. non sono una gabbia. La personalità è equilibrata se e nella misura in cui sa mantenere una buona elasticità nei confronti dei propri gusti, preferenze, tendenze e inclinazioni: è la persona che decide e non una sua parte.

La psicologia della religione afferma l'importanza di individuare le a. personali per meglio costruire la persona e il suo futuro. Ignorare o contrastare le a. personali impoverisce la persona stessa e il sistema sociale in cui essa vive. Nel contesto cristiano, l'a. come risorsa è immediatamente collegabile al carisma " personale ", in quanto l'uomo sviluppando le proprie a., può tendere più facilmente alla pienezza della vita umana intesa come realizzazione di sé in Dio.

A. Pacciolla

Bibl M.L. Falorni, Lo studio psicologico del carattere e delle attitudini, Firenze 1954; R. Meili, Manuale di diagnostica psicologica, Firenze 1967; G.G. Pesenti, s.v., in DES I, 239-240; E.L. Thorndike, The Psychology of Wants, Interests and Attitudes, New York 1935.

ATTIVITA UMANA. (inizio)

I. Nozione. Per a. s'intende tutto l'uomo che agisce nel tempo e nella storia e viene trasformato dalla grazia divina interiormente. A sua volta, egli trasforma il mondo appunto con la sua attività esteriore, nel senso che porta a compimento la creazione intera insieme al Cristo redentore verso la pienezza escatologica.

II. Nell'insegnamento conciliare. Anche se indubbiamente un tema tanto ampio e, al tempo stesso, così fondamentale come quello dell'a. (nel quale si trovano implicate molte nozioni fondamentali della teologia cristiana) non è stato assente dalla riflessione sia teologica che magisteriale della Chiesa, possiamo affermare che è stato il Concilio Vaticano II ad elaborare, per la prima volta, in forma diretta e sistematica il senso, il valore e la dignità di questa attività nell'ambito di una concezione cristiana della vita e della realtà. Il Concilio ha dedicato al tema tutto il capitolo III della prima parte della Gaudium et Spes, sotto il significativo titolo De humana activitate in universo mundo. Poiché lo stesso documento conciliare sembra riferirsi non solo all'a. in generale (che esiste da sempre ed è connaturale all'essere umano), ma anche all'a. che tende oggi a controllare il mondo e che possiamo considerare un fenomeno quantitativamente e qualitativamente nuovo (M. Flick), noi ci rifaremo al Concilio.

In primo luogo, il testo conciliare prende atto di un dato fondamentale che caratterizza il nostro tempo, cioè lo sviluppo spettacolare della scienza e della tecnica che ha dotato l'essere umano di una capacità impensabile solamente da alcuni decenni. Esso ha prodotto in diversi casi una certa desacralizzazione, all'inizio positiva, nel senso che molte cose che l'uomo sperava di ricevere prima da forze soprannaturali, le ottiene oggi da se stesso.

Il testo conciliare afferma con solennità il valore positivo del lavoro e dell'a., la sua bontà ontologica radicale. Per questo motivo, il Concilio afferma che l'a., sia individuale che collettiva, tesa a migliorare le condizioni di vita dell'uomo sulla terra, risponde alla volontà del Creatore. Tale affermazione è stata ribadita e sviluppata frequentemente dal Magistero post-conciliare (PP 27 e LE 25, per esempio). Questa bontà radicale dell'a., da cui emana la sua dignità, non si limita solo alle grandi opere e fini dell'umanità, ma si estende anche al lavoro e alle faccende quotidiane di ogni essere umano, che per mezzo della sua attività diventa collaboratore dell'opera creatrice di Dio. Egli, perciò, guarda con amore il progresso umano e ne gode (gloria Dei, vivens homo) riscontrando nell'a. una risposta all'appello rivolto all'uomo per collaborare con la sua opera creatrice.

D'altra parte, l'uomo loda il Creatore con il suo lavoro, attraverso cui orienta pazientemente e tenacemente il mondo verso il piano divino e ancora di più scopre Dio nelle meraviglie e nelle potenzialità della creazione, che gestisce con il suo lavoro (gesta Dei per homines). Questo indubbiamente è riferito all'a. rettamente concepita, orientata al bene integrale dell'essere umano e della società, anche all'interno della " giusta autonomia " delle realtà temporali.

Tuttavia, l'a. è sottomessa alle conseguenze del peccato, del mysterium iniquitatis, che introduce in ciò che era il bene ontologico del lavoro e dell'a. la tentazione del dominio, dell'egoismo, dell'orgoglio della disumanizzazione, della disuguaglianza, della possibilità (ogni volta più reale e minacciante) di distruzione e annientamento. Il lavoro, pertanto, si vede sottomesso al dominio del peccato e resta ridotto a strumento dello stesso. Come ha segnalato qualche autore, anche l'a. si trova immersa nella lotta contro i tre nemici dell'anima di cui parla Giovanni della Croce: il mondo, la carne e il diavolo. Questi nemici non sono pure elocubrazioni teologiche, ma cause ultime, molto reali, della situazione in cui molte volte si vede sottomessa l'a.

III. Nella vita cristiana. E per questo motivo che l'a. necessita anche di una purificazione e di una continua revisione perché non perdano valore il suo senso e i suoi obiettivi. L'esempio di Cristo, che ci insegna come il comandamento nuovo dell'amore dev'essere la norma fondamentale di ogni a. e perfezionamento umani, nonché l'apertura generosa all'azione dello Spirito Santo, devono essere gli elementi fondamentali che portano il cristiano a un maggiore e continuo avvicinamento all'uomo nuovo, costruttore, a sua volta, di un mondo nuovo. Con realismo, ma al tempo stesso con speranza, il cristiano vive anche nella sua a. la dimensione della croce che evoca già in se stessa la risurrezione. In questo modo, la risurrezione di Cristo ci si presenta nella sua dimensione cosmica e totale: tutta la creazione sottomessa al peccato è già in qualche modo purificata e risorta in Cristo. Anche per quanto detto precedentemente l'a. è sottomessa a ciò che si è chiamato " tensione escatologica ". Da una parte, l'essere umano collabora con il Creatore e viene anticipando già il regno futuro che deve venire. Ma, dall'altra parte, tale a. è ancora sottomessa al potere del peccato e necessita continuamente di purificazione.

Il Concilio invita, perciò, a distinguere con attenzione (sedulo distinguendus sit) il progresso temporale del regno di Dio e, al tempo stesso, avverte che la speranza di una terra nuova non deve mortificare bensì ravvivare l'interesse nel perfezionamento di questa terra. In breve, insiste sull'impegno temporale del credente. Il Concilio basa questo atteggiamento su ciò che si potrebbe denominare l'" identità del soggetto " tra la terra, l'essere umano, la terra nuova che deve venire e l'uomo nuovo che sarà una sola cosa con il Cristo, in modo tale che i beni che stiamo seminando nella terra saranno incontrati di nuovo germinati, totalmente purificati e trasfigurati nel " regno eterno e universale ".

IV. Mistica dell'a. Da questa affermazione conciliare si può dedurre una certa " mistica " dell'a., che in nessun caso deve confondersi con una mitificazione idolatrica della stessa a. In questa, rettamente intesa, l'uomo s'incontra con le meraviglie della creazione e, in ultima analisi, con il Creatore, di cui si sente umilmente collaboratore. L'essere umano con la sua attività, accettando la negatività che essa comporta come conseguenza del peccato, sente la vicinanza di Dio al quale si unisce intimamente e il cui regno anticipa in forma paziente (aspetto ascetico che non dovrebbe essere dimenticato) e piena di speranza.

Il credente non concepisce l'a. come una condanna, ma come un luogo d'incontro dinamico e creativo tra l'essere umano e Dio in cui, in forma misteriosa, restano prefigurati e anticipati l'uomo nuovo in Cristo e la terra nuova che si è chiamati ad abitare in eterno.

Conclusione. L'a. è, dunque, il luogo teologico dell'esperienza di Dio e, in quanto continuazione dell'opera creatrice di Dio, è partecipazione alla sua stessa vita. Il fine ultimo della creazione, secondo i mistici cristiani, è l'unione dell'essere creato con l'Essere increato: si tratta, attraverso l'opera di Dio nell'uomo e attraverso una cooperazione attiva di quest'ultimo all'azione creatrice di Dio, di compiere ciò che non è mai stato stato realizzato nel passato e che si realizzerà solo nel futuro. Sicché, l'a. è essa stessa mistica, se e quando s'inserisce in questo progetto di trasformazione di uomini e cose, secondo il progetto salvifico di Dio.

Bibl. M.D. Chenu, Pour une théologie du travail, Paris 1955; Y. Congar, Jalons pour une théologie du laicat, Paris 1953; J. David, Theologie der irdischen Wirklichkeiten, in J. Feiner (ed.), Fragen der Theologie heute, Einsiedeln 1957, 548-567; M. Flick, L'attività umana nell'universo, in Aa.Vv., La Chiesa nel mondo contemporaneo, Leumann (TO) 1966, 581-631; J.M. Guix Ferreres, La actividad humana en el mundo, in Aa.Vv., Comentarios a la constitución Gaudium et Spes sobre la Iglesia en el mundo actual, Madrid 1968, 267-336; G. Philips, Pour un christianisme adulte, Tournai 1962; P. Smuldelrs, L'attività umana nel mondo, in S. Olivieri (ed.), La Chiesa nel mondo di oggi, Firenze 19672, 308-330; G. Thils, Teologia delle realtà terrestri, Roma 1951.

F. Millán Romeral

ATTRIBUTI DI DIO. (inizio)

Premessa. Tutte le religioni sono interessate agli a. della divinità. L'ebraismo contemporaneo parla spesso di tredici a.; l'islamismo dei novantanove nomi di Allah; l'induismo ha cento divinità, ma forse questo numero si riferisce più propriamente agli a.

Negli ultimi anni, gli a., rimasti a lungo indiscussi in tutte le religioni, cominciano a perdere credibilità. L'olocausto, la diffusa carestia in Africa, l'oppressione socio-economica in America Latina e in altre parti del mondo, hanno messo in discussione la fede nella generosa bontà di Dio e nella sua misericordia. I teologi della morte di Dio, negli anni '60 e agli inizi del '70 hanno suscitato gravi problemi tra i credenti, senza tuttavia fornire risposte risolutive. L'umanesimo della nostra società contemporanea ha invertito la relazione tra Dio e l'umanità: Dio è fatto ad immagine dell'uomo. La New Age presenta la divinizzazione dell'umanità in modo tale che non c'è un posto reale per il Dio cristiano. Sulla scorta di R. Otto1, siamo stati abituati a concepire ciò che riguarda Dio o il sacro come fascinans et tremens, qualcosa che, allo stesso tempo, ci attira e suscita in noi timore. Gli a. delle lontane religioni orientali sono, in un certo senso, più rassicuranti e meno esigenti rispetto alle tre religioni che si rifanno ad Abramo. Tali religioni orientali, soprattutto per i loro elementi esoterici e mistici, suscitano un interesse sempre maggiore in Occidente. Nel frattempo, i moderni manuali di teologia dogmatica hanno approfondito sia il campo delle materie trattate sia lo studio sulla relazione tra i misteri rivelati2.

I. Nell'esperienza dei mistici. Nel corso dei secoli, la filosofia cristiana e la teologia nel Medioevo hanno sviluppato un'elaborata riflessione sugli a. E opportuno distinguere questi a. in necessari e contingenti. I primi sono a. che Dio deve avere: ad esempio eternità, semplicità, onnipotenza, immensità... Gli altri sono dedotti dalle libere scelte di Dio, come ad esempio creatore, infinitamente misericordioso, salvatore, colui che predestina i suoi figli alla vita eterna. Sebbene si possa insistere sulla priorità degli a. necessari di Dio, i contingenti sono quelli maggiormente visibili in azione nella religione e soprattutto nella spiritualità. Le due più grandi verità contingenti sono: Dio crea e salva; successivamente Dio invita, guarisce e abilita con la sua grazia e conduce all'unione con lui. In varie forme, questi sono gli a. più rilevanti nella letteratura mistica. Essi costituiscono la manifestazione del fondamentale attributo, " Dio amore " (1 Gv 1,5). Infatti, la teologia classica asserisce che tutti gli a. sono Uno nella divina semplicità; la nostra limitata conoscenza umana ha bisogno di considerarli separatamente, ma essi non sono tuttavia sinonimi3.

Se si prende in considerazione la rivelazione, vi si trovano molte espressioni circa gli a. Nell'AT, in modo particolare nel libro del Deuteronomio si ritrova un'espressione classica: Dio è il Dio che dà salvezza, il Signore che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto; che ha stabilito un' alleanza e la legge; che è fedele e misericordioso; un Dio geloso che non avrà rivali; un Dio giusto che ricompensa e punisce, ma lento nell'ira e ricco nella grazia (cf Dt 6,4-19; 7,7-10; 26,5-11). Questi a. sono successivamente elaborati nei salmi. Sono conservati e sviluppati nel NT, nel quale sono rivelati soprattutto nel contesto della salvezza: " Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio unigenito... Ma Dio è ricco di misericordia " (Gv 3,16; Ef 2,4); gli a. devono essere contemplati in Gesù che è la rivelazione del Padre (cf Gv 14,6-11), confermati in seguito dallo Spirito (Gv 15,26). Il NT afferma anche che Dio " abita una luce inaccessibile " (1 Tm 6,16).

Nella Chiesa primitiva c'è un costante dialogo con la filosofia pagana, principalmente con quella platonica, che i primi teologi assumono e, gradualmente, nel corso di seicento anni, riorganizzano secondo le necessità della rivelazione cristiana. Ma la teologia del periodo patristico non è una disciplina accademica tra le tante circa la conoscenza di Dio. Quest'ultima è un'espressione piuttosto inadeguata per indicare l'esperienza della vita divina attraverso la comunione con lui nella contemplazione: è quella che Giovanni della Croce definirà " la teologia mistica (mística) con la quale si conosce per amore, nella quale le cose non solo si conoscono, ma insieme si gustano ".4 Gli a. determinanti sono quelli comunicati da Dio a coloro che si arrendono all'amore. Nei secoli successivi, è indubbiamente decisivo il contributo di Dionigi Areopagita nel sec. VI. Poiché lo si crede un discepolo di Paolo (cf At 17,34), quindi dotato di una certa autorità, il suo trattato sugli a. ha un enorme prestigio fino al sec. XV ed influenza notevolmente la tradizione mistica. La sua teologia di Dio non è una verità astratta, ma un tentativo di trovare delle vie per glorificarlo (hymnein). Dionigi è il primo ad esprimere chiaramente la differenza tra teologia catafatica ed apofatica. La teologia catafatica è quella simbolica riguardo a ciò che noi possiamo affermare su Dio (vedi i suoi Nomi divini); la teologia apofatica, invece, è la comprensione che abbiamo della realtà divina quando le parole falliscono e ci troviamo nell'oscurità alla ricerca della luce (vedi la sua Teologia mistica). Poiché Dio è verità affermata come Trinità, noi dobbiamo conoscere, " il mistero che è dentro Dio stesso, l'ineffabile che dà il suo nome a tutto, è completa affermazione, completa negazione, oltre tutte le affermazioni e tutte le negazioni ".5 Così, Dio, in un certo senso, è oltre sia le affermazioni apofatiche che quelle catafatiche. Ma occorre stare attenti ad usare la teologia apofatica che sarebbe semplicemente la negazione di ogni affermazione su Dio, cioè una sua pura negazione.

Dionigi fu molto ignorato in Occidente, tranne che da G. Scoto Eriugena, il migliore dei suoi primi traduttori; Pietro Lombardo ( 1160) non si allontana da Dionigi che, intanto, sta diventando famoso agli occhi dei suoi contemporanei. E s. Alberto Magno, insieme al suo pupillo s. Tommaso d'Aquino, che medita con successo sulle affermazioni di Dionigi. Alberto conclude il suo commento sulla Teologia mistica, con queste parole: " E così, nessuna negazione, nessuna affermazione è capace di glorificare sufficientemente Dio, colui al quale appartengono la potenza, l'infinito splendore e l'eternità, per sempre. Amen ".

Senza dubbio, la maggioranza, ma non la totalità dei mistici del primo millennio è ancora legata alla visione della tradizione platonica di Dio; per la conoscenza mistica profondamente trinitaria dovremmo aspettare, forse, Guglielmo di Saint-Thierry.6

La teologia trinitaria è vista all'inizio come catafatica, ma poiché rappresenta l'ineluttabile Mistero è più profondamente apofatica, fuggendo da ogni adeguata comprensione ed espressione. La Trinità è classicamente espressa in termini di Padre, Figlio e Spirito, ma i mistici hanno penetrato un po' di più il significato di questi nomi in molti modi, ad esempio: Padre, Parola e Paraclito (Giovanni); Memoria, Intelligenza, Volontà (s. Agostino); Potenza, Sapienza, MisericordiaClemenza (s. Caterina da Siena); Onnipotenza, Sapienza, Amore (s. Gertrude di Helfta).

La storia di ciascun mistico è la rivelazione di alcuni dei più profondi aspetti degli a. Così, s. Caterina da Genova penetra il mistero della guarigione, doloroso amore del purgatorio; s. Tommaso d'Aquino esplora Dio come nostra beatitudine; la b. Elisabetta della Trinità sonda la profondità della " lode della sua gloria " (cf Ef 1,12). Ma la contemplazione mistica li porta alla perfetta umiltà che deriva non da una contemplazione del peccato (umiltà imperfetta), bensì dalla contemplazione degli a. (vedi Nube della non-conoscenza, c.13).

Infatti, la vita di tutti i cristiani può rivelare qualcosa della divina bontà, anche se la persona non può distinguere gli a. che manifesta o sperimenta. Il viaggio spirituale è una continua scoperta e una più profonda appropriazione degli a.

Note: 1 Cf Das Heilige, Breslau 1917; 2 Per esempio, A. Ganoczy, Dio: Grazia per il mondo, Brescia 1988; 3 Tommaso d'Aquino, STh I, q.13, a. 4 ad 3; vedi tutta la q. 13; 4 Giovanni della Croce, Cantico spirituale, prologo 3; 5 Nomi divini 2, 4; Cf 1, 2; 6 Cf L. Reypens, Connaissance mystique de Dieu, in DSAM III, 883-929 in particolare 892.

Bibl. Dionigi Areopagita, in particolare I Nomi divini: PG III, 585-996 con i commenti, PG IV; Id., Gerarchia celeste, teologia mistica, lettere, a cura di S. Lilla, Roma 1986; P. Pourrat, Attributs divins (Meditation des), in DSAM I, 1078-1098; J.M. Rovira Belloso, s.v., in Aa.Vv. Diccionario Teológico: El Dios cristiano, Salamanca 1992, 123-130; L. Serenthà, s.v., in DTI I, 460-471; Tommaso d'Aquino, STh I q. 13-22.

A. O'Donnell

AUREOLE. (inizio)

I. Il fenomeno. Si tratta di un fenomeno mistico straordinario relativo al corpo, che gli autori denominano anche irraggiamento luminoso, irradiazioni, luci, splendore.

Fatti del genere possono essere facilmente osservati tra gli animali (lucciole e pesci dotati di organi fluorescenti) e tra i vegetali (alghe e alcuni tipi di funghi). Anche reazioni chimiche di corpi in putrefazione possono dare luogo a fenomeni di questo tipo. La luminosità che, a volte, si verifica nelle sedute spiritiche è frutto per lo più di imbrogli, ma non si esclude che possa essere causata da satana.

II. Nell'esperienza mistica. Le a., di cui qui si parla, sono dovute a intervento divino, come nel caso di Mosè (cf Es 34,28-35) e di Gesù sul Tabor (cf Mt 17,2ss.). Di non pochi santi (Gregorio Palamas, Francesco d'Assisi, Angela da Foligno, Caterina da Siena, Ignazio di Loyola, Filippo Neri, Teresa d'Avila) si hanno testimonianze documentate di splendori che emanano dalla testa, ma anche dal viso, dagli occhi e da tutto il corpo, generalmente sotto forma di a. o di raggi, di cometa e di croce.

Una spiegazione plausibile potrebbe essere la seguente: anticipazione della luminosità del corpo risorto, grazie all'inabitazione dello Spirito. Prima di pronunciarsi, occorre, però, accertare la natura del fatto e verificare che il soggetto sia psicologicamente sano, moralmente onesto e sincero, spiritualmente attento ai valori evangelici.

Bibl. Cf Benedetto XIV, De servorum Dei beatificatione et beatorum canonisatione, Bologna 1737, IV, 1,26; J. Gagey, Phénomènes mystiques, in DSAM XII1, 1259-1274; H. Thurston, Fenomeni fisici del misticismo, Alba (CN) 1956.

P. Schiavone

AVARIZIA. (inizio)

I. La nozione. L'avaro è colui che è morbosamente attaccato ai beni materiali, di cui brama il possesso, e che non utilizza, ma che accumula in quantità sempre maggiori.

S. Paolo motiva l'esclusione dal Regno degli avari (cf 1 Cor 6,10) in quanto essi hanno nel cuore " la radice di tutti i mali " (1Tim 6,10). Anche Matteo (6,21) cita l'avaro come colui che ha il cuore asservito alle cose. La vita dell'avaro è un'esistenza di sacrifici, ma al contrario delle rinunce dei santi, tale condotta è viziata da una cattiva intenzione di fondo. Infatti, tale stile di vita non è attuato per la gloria di Dio, ma per l'accumulo di proprietà terrene. S. Agostino così pregava: " ...O Signore, distingui le mie tribolazioni da quelle che soffrono anche gli avari... Si rassomiglia la pena ma è ben distinta la causa: questa distinzione della causa mi è garanzia di vittoria... ".

II. Nella vita spirituale. La vita spirituale è definita più che dalle virtù messe in atto (ciò che caratterizza l'ascesi) dalla disponibilità ad essere guidati dalla grazia-luce dello Spirito.

Così l'a. spirituale consiste nell'attaccarsi ai mezzi di santificazione per se stessi, con una preoccupazione più quantitativa che qualitativa, cercando più di accumularne che di goderne pienamente. Rappresenta, pertanto, una forma di egoismo, di amore proprio carnale che può creare innumerevoli illusioni, ammantata del pretesto della gloria di Dio.

In tal modo, l'anima potrà manifestare desiderio di perfezione con attaccamento ai doni di Dio per spirito di proprietà; avidità nel tentare di ottenere mezzi di perfezione, nella ricerca disordinata di immagini e affetti sacri che vengono accumulati, nella lettura di ogni libro che tratti dell'argomento; o ancora nel cercare di guadagnare esageratamente le indulgenze e nel porre in atto specificamente le pratiche religiose che ne sono ricche. L'anima colpita da a., più che pregare con autentico fervore, ricerca l'esecuzione materiale di tali adempimenti allo scopo di lucrarne i vantaggi.

S. Giovanni della Croce dice che solo l'azione di Dio può purificare, attraverso la notte dei sensi, l'anima da questa a. Da parte sua, l'anima, ancor prima di essere introdotta nella notte passiva, deve opporsi coraggiosamente a questo difetto.

Più specificamente, s. Giovanni della Croce, all'inizio della Notte oscura, per mostrare ai principianti la necessità che essi hanno di sottoporsi alle prove purificatrici della notte passiva dei sensi, passa in rassegna i sette peccati capitali, mostrando loro le imperfezioni che impediscono a ciascuno di essi di ricevere le grazie di contemplazione.1

L'unione con Dio richiede la rinuncia e il distacco da qualsiasi bene, fosse anche ascetico; qualsiasi bene personale dev'essere lasciato in offerta al Signore (Gv 12,25; Mc 8,35; Lc 17,33).

Meister Eckart nel trattato " De distacco " afferma: " Quando lo spirito libero si trova in un giusto distacco, costringe Dio a venire nel suo essere; se potesse restare senza forma e senza alcun accidente, prenderebbe in sé l'essere stesso di Dio ". E, per altri versi, è s. Paolo a dire: " Io vivo, e tuttavia non vivo: Cristo vive in me ".

Un tale spirito, pertanto, che affronta il suo percorso di risurrezione attraverso Cristo, deve tendere a rimanere al di fuori di tutti gli aspetti umani, quale l'amore, il dolore, l'onore, le tribolazioni poiché l'unico scopo reale è quello del distacco spirituale, ovvero il perdersi in Dio. Sono le parole di Paolo, che ancora una volta ci traducono tale condizione: " Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù " (Fil 2,5).

Note: 1 Notte Oscura I, 3.

Bibl. Antonius a Spiritu Sancto, Directorium mysticum, t. II, d. 1, n. 35, Paris 1904, 54; J. de Guibert, Avarice Spirituelle, in DSAM I, 1160-1161; T. Goffi, s.v., in DES I, 249-250; Joseph a Spiritu Sancto, Cursus theologiae mysticoscholasticae, t. I, Bruges 1924, 36; Maestro Eckhart, Trattati e Sermoni, a cura di G. Faggin, Milano 1982, 175ss.; J. Rigoleuc, Oeuvres spirituelles, Paris 1931, 222.

G.P. Paolucci

I. Aspetto psicologico. Il termine a. indica il rapporto di possesso caratterizzato da insicurezza nei confronti degli eventi e da una eccessiva affidabilità nei confronti del denaro. Da un punto di vista conscio l'avaro giustifica il suo atteggiamento come prudenziale e previggente nei confronti di un futuro incerto e imprevedibile.

Non vi sono ricerche in quantità e qualità sufficiente per trarre delle conclusioni. L'ipotesi di una correlazione tra a. e stitichezza non è suffragata da adeguati riscontri scientifici, anche se la psicodinamica sembra analoga soprattutto se interpretata come il non superamento della fase anale pre-edipica. La psicodinamica evidenziata sarebbe quella del piacere di trattenere qualcosa di proprio per riservarsene l'esclusiva. Il " non lasciarsi sfuggire qualcosa di sé " sembra tipico del bambino di circa due anni che non differenzia ancora bene l'io dalle sue feci verso le quali mostra un certo interesse ludico. Il " non lasciarsi sfuggire qualcosa di sé " è maggiormente accentuato in bambini con un vissuto di gelosia che nel bambino in fase edipica potrebbe evidenziarsi con " la mamma è solo mia ".

Un po' più attendibile potrebbe essere l'ipotesi fondata sulla relazione oggettuale secondo cui il rapporto tra l'avaro e il denaro potrebbe essere simile a quello tra il bambino e il suo giocattolo preferito ma smarrito (o sottrattogli). In questo caso, la dinamica maggiormente messa in evidenza è il godimento del possedere anche se l'oggetto di relazione non è usato. In questo caso il " sapere d'avere qualcosa " non è sufficiente. Infatti, l'avaro ha bisogno di vedere, toccare, contare il suo valore, il denaro. Il contatto sensibile col denaro dà una sensazione di controllo ed è per questo che l'avaro ha bisogno della prossimità fisica col suo oggetto relazionale. Un deposito in banca sarebbe come un distacco ansiogeno; invece averlo a portata di mano è maggiormente sotto il proprio controllo.

La contraddittorietà dell'avaro è evidenziata dal paradosso che vuole vederlo all'opposto di ciò che effettivamente è. Ossia, anche se l'avaro è all'opposto del generoso, tuttavia egli viene indicato il più generoso di tutti; infatti, è colui che accumula non per il godere di spendere per sé ma per il piacere del possesso, perciò è quello che lascia più degli altri ai suoi eredi. Un atteggiamento esasperato porta a risultati opposti a quelli desiderati. Neanche questo paradosso può far cambiare l'avaro.

Un'altra ipotesi per spiegare l'avarizia è quella del simbolismo. Non possiamo comprendere l'avaro se non risaliamo al significato simbolico soggettivo del denaro. Comunque, qualunque sia il significato specifico del denaro rimane sempre la dinamica sottostante dell'attaccamento ad una fonte di sicurezza.

II. Da un punto di vista morale questo attaccamento è considerato egoista perché si pone all'opposto della condivisione che vede anche il proprio denaro come un valore sociale e farlo circolare non solo ha dei vantaggi privati ma anche collettivi. È ovvio che ogni investimento ha un margine variabile di rischio, ma l'avaro nel suo egoismo e nella sua insicurezza non valuta né i vantaggi personali né gli svantaggi per il bene comune.

Infatti, il danno dell'avaro potrebbe essere considerato sotto un triplice aspetto. L'avaro danneggia se stesso perché, pur avendo dei mezzi, non li usa per il suo personale benessere. Il secondo danno è quello diretto al suo prossimo verso il quale non è di aiuto neanche se è in condizione di bisogno. Un altro danno è quello sociale: trattenendo il denaro non permette i benefici sociali, oltre che personali dell'investimento. Inoltre, trattenere infruttuosamente il denaro contante rallenta la velocità di circolazione del denaro; e anche questo è un danno sociale.

Il contatto diretto con il denaro (o altri oggetti di valore) dà all'avaro un piacere di gran lunga superiore a quello di investirlo o spenderlo, anche se oculatamente e per il proprio bene. Spesso gli avari vivono (o sopravvivono) con pochissimi mezzi; sembra che possano essere in uguale misura sia uomini che donne e questa inclinazione può iniziare già da bambini con sensibile aumento nell'età adulta. È possibile che il grado (o la gravità) di avarizia sia direttamente proporzionato alla quantità di ricchezza accumulata. Sembra che ad ogni aumento di denaro vi sia una breve soddisfazione per poi risentirsi insicuri, quindi bisognosi di altro denaro da accumulare. Ogni spesa, anche necessaria, è come un sanguinante smembramento; una parte di sé da dover cedere e da dover quanto prima recuperare.

Non vi sono ricerche attendibili per poter affermare in quale classe sociale è più frequente l'a., anche se da quanto ipotizzato i ricchi dovrebbero essere più avari. Resta la perplessità sul rapporto causa-effetto: gli avari sono tali perché sono ricchi; oppure, i ricchi sono tali perché sono avari?

La stessa perplessità è riscontrabile per quanto riguarda la struttura sociale e il periodo storico. Non vi sono evidenze sufficienti per indicare se la struttura autoritaria porti all'a. più di quella democratica o viceversa; se il periodo pre-bellico faccia tendere all'a. più di quello post-bellico. Molto dipende dalla famiglia e dalla persona che percepisce la minaccia e dai meccanismi di difesa uniti al sistema di valori per fronteggiare un'emergenza. L'avaro si pone all'opposto della solidarietà, perciò sia dal punto di vista psicologico e della crescita umana che dal punto di vista morale e religioso è un immaturo che è fortemente concentrato sui suoi bisogni e che cerca di soddisfarli anche a spese degli altri.

L'avaro confonde il fine con il mezzo. La natura del denaro, per sua definizione, è " mezzo di scambio "; ma per l'avaro il denaro è un fine, uno dei più importanti della sua vita. Dal punto di vista morale il denaro non ha una connotazione qualitativa; di per sé non è né buono né cattivo; dipende dall'uso che se ne fa. Il denaro vale per il cambiamento che intendiamo effettuare nello scambiarlo; ossia, il denaro come mezzo di scambio per cambiare la qualità della vita personale, di coppia, di famiglia e sociale.

Il rapporto con il denaro può essere una discreta spia dalla quale poter intravedere una parte della maturità morale, ma anche l'equilibrio psichico nel rapporto oggettuale.

Bibl. A. Berti - A.S. Bondi, Il mondo economico del bambino, Firenze 1983.

A. Pacciolla