DIZIONARIO DI MISTICA

L. BORRIELLO - E. CARUANA M.R. DEL GENIO - N. SUFFI

B

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BACIO. (inizio)

I. La nozione. La letteratura mistica, ispirandosi al Cantico dei Cantici interpretato religiosamente, ha attribuito al b. una valenza soprannaturale massima.

S. Giovanni della Croce scrive: " Mi baci con il b. della sua bocca... affinché con la bocca della mia anima ti baci... Questo avviene quando l'anima gode di quei beni divini (le verità divine) con gustosa e intima pace e con grande libertà di spirito, senza che la parte sensitiva o il demonio, per mezzo di questa, valgano ad impedirlo ".1

Il b. tra l'anima e Dio, " sola a solo ", ha luogo di solito nel matrimonio spirituale. Allora viene sperimentata la fruizione della sapienza e scienza dell'amore teandrico. Anche Teresa d'Avila chiede: " Signor mio, l'unica cosa che chiedo in questa vita è che tu mi baci con il b. della tua bocca, poiché - ella spiega - il b. è segno di pace e di amicizia ".2

II. Nella terminologia mistica c'è un duplice significato. Può essere un tocco sostanziale di Dio all'anima che le fa sperimentare il più alto grado di orazione contemplativa; però è una grazia attuale di tempo limitato e che si esaurisce, lasciando la persona nel desiderio di risperimentarlo. Quando il b. invece designa uno stato di intimità vitale tra l'anima e Cristo, tra l'anima e Dio, allora può essere descritto come una condizione stabile di pace e di rapporto amoroso che rende la persona estranea alle turbolenze del mondo, tranquilla nell'area della propria sensualità, felice in Dio. S. Giovanni della Croce 3 lo riconosce come l'elemento più significativo del matrimonio spirituale, la cui essenziale componente è l'unione tra lo Sposo (Cristo, Dio) e la sposa (la persona in grazia contemplativa). Nel b. lo Sposo comunica direttamente alla sposa l'effluvio silenzioso dell'amore divinizzante, persuadendola che tutto le è stato perdonato, che è fatta oggetto di predilezione ed è elevata ad efficace strumento di salvezza dei fratelli; le fa gustare la bellezza delle verità che si riferiscono alla vita di Cristo e della Chiesa.

Note: 1 Notte oscura II, 2.8.12; 2 Pensieri dell'amor di Dio, 3,15; 3 Cantico spirituale 22,7.

Bibl. S. Bernardo, Sermone III: Del bacio del piede, della mano e della bocca del Signore, in Id., Sermoni sul Cantico dei Cantici, Torino 1947, 85-89; R. Giachetti, Il bacio, Milano 1984; A. Solignac, Osculum, in DSAM XI, 1012-1026.

G.G. Pesenti

BAKER DAVID AUGUSTINE. (inizio)

I. Vita e opere. Dom Augustine B. è uno tra i pochi mistici ad essere conosciuto nel travagliato periodo della persecuzione dei cattolici inglesi, in seguito alla protestantizzazione forzata del paese, nella seconda metà del sec. XVI. Nasce a Abergavenny il 9 dicembre 1575. Studia a Londra e ad Oxford e si laurea in legge, diventando poi notaio nella città natale. La morte di suo fratello e l'essere scampato miracolosamente anch'egli alla morte, durante un viaggio, spingono B. a passare da un attivo ateismo al cattolicesimo. Convertito, entra novizio nell'abbazia di Santa Giustina in Padova e si unisce alla Congregazione benedettina inglese poco dopo la sua rifondazione avvenuta nel 1619. Secondo alcuni, B. ha l'innato dono della preghiera mistica e, certamente, poco dopo la sua professione monastica, per grazia e non per averlo appreso, rimane assorto in contemplazione, per cinque o sei ore al giorno. Allo stesso tempo, va sottolineato che il suo stato mistico fu messo in dubbio da David Knowles, anche se molti non hanno condiviso questo giudizio. Comunque, per B. le grazie mistiche terminano ancor prima della sua ordinazione sacerdotale; così, alle prime consolanti vette mistiche seguono un periodo di penosa aridità e, successivamente, una tiepidezza che dura per circa quindici anni. Durante questo periodo, B. vive una vita semplice, ma pericolosa, a Londra, insegnando e svolgendo il suo ministero a favore dei poveri, sotto la continua minaccia di morte sancita dalle leggi anticattoliche. E solo attraverso questa sua attività che, infine, conosce la letteratura contemplativa e, attraverso tale scoperta, ritorna ad un intenso regime di preghiera, quando viene inviato come cappellano presso un notabile cattolico nella contea di Devon. In questo periodo, B. trascorre almeno undici ore al giorno in preghiera. In seguito, assume l'incarico di cappellano presso il monastero delle monache benedettine di Cambrai, alle quali detta conferenze spirituali che poi costituiscono almeno sessanta trattati sulla preghiera, molti dei quali di carattere storico. B. non favorisce una meditazione strutturata, ma una preghiera affettiva che può condurre ad una contemplazione pura. Conosce alla perfezione i mistici inglesi del sec. XIV (come pure quelli renani e spagnoli) e li fa conoscere anche a coloro che dirige. Verso la fine della sua vita, nel 1638, B. viene inviato nuovamente a svolgere il ministero pastorale a Londra, nel momento in cui la persecuzione è al suo culmine. Infatti, due dei suoi confratelli vengono arrestati e condannati a morte. Pur celando costantemente la sua attività, B. viene scoperto dall'autorità, ma gli ufficiali non lo perseguitano perché affetto da una febbre maligna, probabilmente la peste, che lo conduce alla morte quattro giorni dopo, il 9 agosto 1641.

A lui si deve una biografia di Gertrude Moro, pronipote di Tommaso Moro ( 1535), monaca a Cambrai. Le opere stampate di B. sono poche, ma di quasi tutte restano copie manoscritte. Dopo la sua morte, Sereno Cressy, con estratti di esse, compilò un'antologia sistematica sull'orazione contemplativa. L'opera, intitolata Sancta Sophia, uscì a Douay nel 1657. Nelle edizioni recenti, il titolo latino fu sostituito con l'equivalente inglese Holy Wisdom. L'opera fu stampata più volte, anche nel 1950.

II. Insegnamento spirituale. Occorre, innanzitutto, sottolineare il pensiero di B. circa la mortificazione volontaria e necessaria. Egli dà maggiore importanza al secondo tipo di mortificazione, cioè a quella necessaria; riguardo alla mortificazione delle passioni, B. ribadisce la profonda necessità dell'orazione e dell'amore.

Esaminando l'umiltà benedettina, la distingue in acquisita e infusa, ossia generata dall'esperienza contemplativa. Per B., alla " contemplazione filosofica naturale " segue la contemplazione mistica. Per mezzo di quest'ultima, l'anima, grazie all'intervento dello Spirito, nell'oscurità della fede, guarda a Dio, come verità infinita e riposa in lui come nel proprio infinito bene, al di là delle argomentazioni, delle speculazioni, dell'uso percepibile dei sensi interni o delle immagini sensibili. Tale contemplazione mistica è, secondo B., attiva o passiva: la prima si verifica quando ci si dispone ad essa; nella seconda si riconosce una speciale azione dello Spirito Santo nell'anima, proprio secondo il pensiero di Giovanni della Croce.

La vita di B. fu quella di una persona onesta, generosa e sofferente, ma sembra che egli abbia avuto un carattere piuttosto difficile. Oggi è abbastanza noto per le pubblicazioni di alcuni suoi scritti da parte degli editori inglesi benedettini, dall'inoltrato sec. XIX in avanti. Forse il suo merito più grande non fu quello che riguardò il suo insegnamento personale, ma l'essere stato lo strumento che mantenne viva la tradizione della mistica medievale nei terribili anni della persecuzione della Chiesa cattolica.

Bibl. P.-D. Belisle, Spiritual Direction according to Dom Augustine Baker (1575-1641), in Cistercian Studies, 30 (1955), 349-393; D. Cumer, s.v., in DES I, 269-270; R. Haynes, Augustine Baker, in J. Walsh (cura di), Pre-Reformation English Spirituality, London 1961, 252-264; D. Knowles, La tradizione mistica inglese, Torino 1976, 147-174; A. Low, Augustine Baker, New York 1970; J. McCann, s.v., in DSAM I, 1205-1206; J. McCann - R.H. Connolly (cura di), Memorials of Father Augustine B. and Other Documents Relating to the English Benedectines, London 1933; J. Stead, Augustine Baker on the Holy Spirit, in Word and Spirit, 3 (1981), 71-77; I.N. Sweeney, The Life and Spirit of Father Augustine Baker, London 1861; C. Testore, s.v., in EC II, 710-711; F. Wöhrer, s.v., in WMy, 44-45.

A. Ward

BALTHASAR HANS-URS VON. (inizio)

I. Vita e opere. Nato a Lucerna nel 1905, spirito brillante e colto, segue in un primo momento, nell'ambito degli studi superiori e universitari, la propria attitudine filosofico-letteraria ed estetico-musicale. Nel 1929 entra nella Compagnia di Gesù, assumendo con serietà e rigore lo spirito di tale vocazione. Vive con radicale slancio il carattere esclusivo della consacrazione religiosa, con un senso già assai marcato della sua figura ministeriale. Approfondisce, non senza originali intuizioni e accentuazioni, la spiritualità degli Esercizi ignaziani, soprattutto in riferimento alla dottrina della sequela totale e all'importanza del discernimento degli spiriti. Nel periodo di residenza a Lione (1934-1938) assimila l'importante lezione che viene dalla riscoperta dell'orizzonte patristico per il rinnovamento del pensiero teologico (Daniélou e de Lubac, soprattutto), mostrando una speciale predilezione per la profonda fusione dell'orizzonte teologico-estetico e di quello teologico-mistico che sostanzia il pensiero cristiano di Gregorio di Nissa, Agostino, Massimo il Confessore, Origene. Contemporaneamente, sviluppa una speciale affezione per la poetica teologale di tre grandi scrittori francesi: Claudel, Peguy, Bernanos. Dal serrato lavoro pastorale con gli studenti di Basilea, a partire dal 1940, scaturisce la fondazione della Johannes Verlag di Einsiedeln. E di questo periodo anche il grande dialogo aperto con K. Barth. Sempre nel 1940 avviene l'incontro, al dire di B., decisivo per l'evoluzione della sua dottrina teologica e spirituale, con A. von Speyr: " Fu Adrienne von Speyr che mi indicò il cammino autentico che va direttamente da Ignazio a s. Giovanni, cammino che è all'origine di un gran numero di miei scritti. La sua opera e la mia missione sono indissociabili sul piano psicologico come sul piano filosofico: esse costituiscono le due parti di un tutto che rinsalderà la creazione di una comunione spirituale di intenti e di vocazione, ne scaturirà la fondazione di una Weltgemeinschaft, nella linea degli Istituti secolari riconosciuti dalla Costituzione apostolica Provida Mater Ecclesia del 1947 ". Non essendosi prodotte le condizioni per integrare una tale fondazione con l'appartenenza alla Compagnia, nel 1950 B. lascia i gesuiti per entrare nel clero diocesano di Coira. Dedito al consolidamento della nuova linea spirituale e vocazionale dell'Istituto, è anche generosamente impegnato nella stesura di un'opera teologica immane, dove spiccano i numerosi volumi dedicati ad una originale " trilogia " teologica in molti volumi, tradotta in italiano dalla Jaca Book di Milano: Gloria (7 voll.), Teodrammatica (5 voll.), Teologia (3 voll.). B. ha sviluppato un insegnamento non convenzionale e non accademico, che lo ha, nondimeno, universalmente confermato come uno dei maestri di teologia e di spiritualità più conosciuti e apprezzati del nostro secolo. Muore il 26 giugno 1988.

II. Dottrina. Per quanto concerne la dottrina sulla mistica, è da notare anzitutto che il tema della relazione con Dio, in forma di radicale esperienza spirituale e teologale, è uno dei cardini del pensiero cristiano di B. Esso sta al centro della sua antropologia teologica come anche della dottrina della fede. Si può anzi dire che su questo punto, cioè la ripresa della teoria teologica della fede come " relazione ", " esperienza ", " visione ", " comunione d'amore " tipica della patristica greca e della grande tradizione monastica, B. ha introdotto nella teologia una provocazione la cui fecondità sistematica ha appena incominciato ad essere esplorata. L'" estetica teologica " prospettata da B. pone in campo una concezione che ricongiunge strettamente teologia fondamentale e teologia spirituale. La teoria della fede che ne scaturisce prende nuovamente in considerazione, con tutta serietà, il motivo di una " evidenza soggettiva " (spirituale) della verità di Dio che corrisponde alla luce obiettivamente generata dalla " evidenza oggettiva " (cristologica) della sua rivelazione. B. non teme di parlare, del resto in persuasiva consonanza con la Bibbia e la tradizione, di un atto di fede che si realizza attraverso il fascino di una " percezione della forma " della verità di Dio che diventa appunto " esperienza spirituale ", nella quale sono ugualmente coinvolte l'intelligenza, la volontà, la sensibilità e la corporeità dell'uomo.

Il luogo di questa soggettiva corrispondenza con l'illuminarsi della forma charitatis, che è il cuore della verità di Dio, è appunto costituito dall'azione dello Spirito, che rende possibile l'esperienza anticamente illustrata nella dottrina dei " sensi spirituali ". Esperienza paradossale, eppure realmente e universalmente accessibile nella fede, dell'incontro con il Signore che ci è possibile nel " tempo intermedio " fra l'Incarnazione e il ritorno di Cristo. In questa figura " mistica " del compiersi della " fede " si concentra la visione teologica della sua dimensione antropologica e personalistica: " Tutto lo spazio dei problemi dell'evidenza soggettiva è ordinato ad un centro ultimo nel quale devono stare i sensi spirituali. La fede è apparsa come il pegno di una visione globale umana, anzi il suo inizio nascosto, nella misura in cui l'apparizione umana e sensibile di Dio in Cristo non ci si fa incontro che in una percezione nascosta ed in una risposta di tutto l'uomo (...). Ma la percezione, come atto di un incontro umano globale, doveva non soltanto includere la sensibilità, bensì accentuarla (...). Il centro dell'atto di incontro deve, quindi, giacere là dove i sensi umani profani rendono possibile l'atto di fede, diventano spirituali, e la fede, per essere umana, diventa " sensibile " (La percezione della forma, 337). Il riferimento alla fondazione teologica e spirituale di questa " mistica della fede ", come si è accennato, è la cristologia paolina nonché la pneumatologia della patristica greca (ma anche Agostino). Per l'articolazione antropologica B. rimanda soprattutto a K. Barth, R. Guardini, G. Siewert e P. Claudel, che vedono nell'uomo - ciascuno a modo proprio - " una totalità sensibile e spirituale " e comprendono " le due funzioni distinguibili, partendo da un centro comune nel quale l'uomo vivente sta nel contatto e nello scambio con il Dio vivente e concreto " (Ibid., 374).

L'esperienza mistica, nel suo senso più specifico, va anzitutto collegata all'esperienza profetica dell'AT e del NT. E nel tempo della Chiesa essa va concepita come una partecipazione alla pienezza di Cristo per mezzo dello Spirito dato alla Chiesa: sia nel modo dei doni, sia nel modo dei carismi. Questo è il motivo per cui non possono e non devono ormai adeguatamente distinguersi nella Chiesa una carismatica puramente funzionale, da un'altra puramente personale; o, con altri termini, " una mistica dei carismi da una mistica dei doni dello Spirito Santo " (Ibid., 378). I doni rappresentano " il compimento e il potenziamento sperimentale delle virtù teologali vissute dal cristiano " (Ibid., 349). Storicamente parlando è questo aspetto quello che è stato il più enfatizzato (dopo s. Giovanni della Croce). B. insiste peraltro sulla dialettica del trascendimento e della Kenosi che caratterizza questa " esperienza della non sperimentalità " della fede. In tal modo, può essere ridimensionata l'enfasi unilaterale che, nella scia della tradizione spagnola, è stata assegnata alle speciali esperienze sensibili dell'unione con Dio. E, corrispondentemente, può essere individuato il nucleo teologale che propriamente decide la sua integrazione con l'esperienza cristiana ed ecclesiale: vale a dire la modalità dell'abbandono al Padre e il disinteresse totale della dedizione. La qualità cristiana dell'esperienza di Dio nei doni dello Spirito emerge con diretta evidenza nella dimensione carismatica della mistica cristiana. I carismi, infatti, sono certamente doni individuali: e in questo senso l'associazione della mistica cristiana alla dottrina dei carismi incoraggia a tenere in evidenza il carattere analogico e differenziato della libertà con la quale lo Spirito conduce ad una più profonda comunicazione personale con la pienezza cristologica. Ma appunto, secondo la dottrina paolina i carismi sono dati per l'utilità comune: e questo principio impone di valorizzare l'esperienza di disinteresse e di donazione totale che accompagna e custodisce i carismi nella loro propria autenticità cristiana.

In entrambi i casi l'esperienza mistica è il segno di una sovrabbondanza della grazia che attiva esperienze spirituali e sensibili di partecipazione alla pienezza di Cristo e alla missione della Chiesa. In questo senso " la Chiesa e il cristiano non devono mai desiderare le grazie mistiche come se la figura della rivelazione posta dinanzi agli occhi del mondo non fosse sufficiente ". Ma, appunto per questo, la Chiesa e il singolo cristiano devono disporsi ad accogliere senza pregiudizio e con lieta semplicità la bellezza dell'atteggiamento esuberante e non minimalistico dell'amore di Dio verso la Sposa. In questo senso B., pur con tutta la prudenza del caso nei confronti delle devastazioni prodotte da una carismatica ingenua e da una mistica autoreferenziale, ritiene si debba contrastare vigorosamente la tendenza di tutti coloro che " come scettici radicali o psicologisti o praticoni della pastorale, in nome della ’pura fede e della sana comprensione umana', vogliono eliminare dalla Chiesa qualsiasi dimensione mistica come faccenda privata e irrilevante " (Ibid., 380).

Bibl. H.U. von Balthasar ha presentato a più riprese il resoconto bibliografico della propria opera teologica, commentandone in vario modo l'evoluzione e il senso: cf H.U. von Balthasar, Il filo di Arianna attraverso la mia opera, Milano 1980; Epilogo, Einsiedeln 1987. Dalla sterminata produzione balthasariana stralciamo i testi di maggiore interesse teologico-spirituale, con particolare riferimento alle indicazioni offerte nel testo: Présence et pensée. Essai sur la philosophie religeuse de Grégoire de Nysse, Paris 1942; Bernanos, Milano 1956; La meditazione, Alba (CN) 1958; Il cuore del mondo, Brescia 1964; Teologia della storia, Brescia 1964; Solo l'amore è credibile, Torino 1965; Con occhi semplici, Brescia 1970; Il mondo, Cristo e la Chiesa, Milano 1972; Sorelle nello Spirito: Teresa ed Elisabetta, Milano 1974; Liturgia cosmica. L'immagine dell'universo in Massimo il Confessore, Roma 1976; La teologia di K. Barth, Milano 1985; Gli stati di vita del cristiano, Milano 1985. Importanti sono poi, oltre al primo volume della ’summa balthasariana', La percezione della forma, Milano 1976, le raccolte dei Saggi teologici, pubblicati dal 1960 dalla Morcelliana di Brescia. Sono finora comparsi in lingua italiana: Verbum Caro (1968), Sponsa Verbi (1969), Spiritus creator (1972), Lo Spirito e l'istituzione (1979), Homo creatus est (1991). Studi: R. Fisichella, Hans Urs von Balthasar, dinamica dell'amore e credibilità del cristianesimo, Roma 1981; E. Guerriero, Hans Urs von Balthasar, Cinisello Balsamo (MI) 1991; M. Jöhri, Descensus Dei. Teologia della croce nell'opera di Hans Urs von Balthasar, Roma 1981; M. Lochbrunner, La cristologia di Hans Urs von Balthasar, Roma 1977 Id., Analogia Caritatis. Darstellung und Deutung der Theologie Hans Urs von Balthasars Freiburg i.B, 1981; G. Marchesi, La cristologia trinitaria di Hans Urs von Balthasar, Brescia 1997; A. Moda, Hans Urs von Balthasar. Un'esposizione critica del suo pensiero, Bari 1976; P. Sequeri, Antiprometeo, in: Hans Urs von Balthasar, Lo sviluppo dell'idea musicale, Milano 1996; A. Sicari, s.v., in DES III, 2686-2689; R. Vignolo, Estetica e singolarità, Milano 1982.

P. Sequeri

BARBO LUDOVICO. (inizio)

I. Cenni biografici. Nato verso il 1382 a Venezia, entra nel 1404 nella comunità benedettina di San Giorgio in Alga, a Venezia, alla quale dà un nuovo impulso. Nominato abate di Santa Giustina a Padova nel 1408, si dedica alla riforma di questo monastero e di quelli della Congregazione dello stesso nome da lui fondati. Legato pontificio al Concilio di Basilea del 1433-1434, vescovo di Treviso nel 1437, muore a San Giorgio di Venezia nel 1443. Racconta gli inizi della sua Congregazione in un'opera storica.

II. Dottrina spirituale. Quando il Capitolo Generale del 1440 impone l'obbligo della preghiera mentale quotidiana, egli compone per i suoi membri una Forma orationis et meditationis, grazie alla quale diventa uno degli iniziatori dell'orazione metodica. Da una parte, si riferisce alla tradizione monastica e francescana, specialmente a Guglielmo di Saint-Thierry, Aelredo di Rielvaux ( 1167), Ubertino di Casale ( 1328). D'altra parte, egli tiene conto della grande importanza esercitata nell'esistenza umana dalle immagini che l'anima riceve dai sensi corporei che egli insegna ad usare per giungere ad una partecipazione " piacevole " (suavis) ai misteri. Si tratta di passare dalle immagini che offrono i testi sacri alle realtà che essi evocano. Ciò comporta tre gradi. Il primo, di cui B. parla brevemente, consiste nell'utilizzare delle parole già scritte: è la lectio tradizionale, condizione preliminare ad ogni contemplazione; è proprio essa che fornisce i testi a partire dai quali si possono " rappresentare " i misteri di cui essa parla e le parole che permettono di esprimersi a loro riguardo. A questa " preghiera verbale " segue - ed è il secondo grado - la meditazione propriamente detta, che conduce alla contemplazione, di cui tratta un ultimo paragrafo, breve e denso: le " illustrazioni " - illustrationes - che lo spirito ha raccolto permettono di gioire della bellezza - pulchritudinem degustando - delle realtà meditate.

Ora, a proposito dei due primi gradi, il vocabolario dell'immaginario ritorna con una notevole insistenza. Il termine più frequente - e si potrebbe dire la parola chiave - è quella che, nella latinità classica, biblica, patristica medievale evoca una finzione, un " artefatto ", il processo mentale e artificiale grazie al quale " si fa finta " di commettere un'azione o di ricevere una sensazione, si " fa come se " si esercitasse un'attività: fingere. Essa equivale al verbo componere, di cui si ritroverà un derivato nell'espressione " composizione del luogo ". Questa parola è, talvolta, seguita dall'esercizio di uno dei sensi corporei o da un'azione: Finge nos videre, finge audire, finge te illi servire. Essa è assimilata all'atto stesso del meditare: meditare et fingere. E già un modo di rendersi presente al mistero contemplato: Finge te esse praesentem, e di parteciparvi come ad una scena nel corso della quale si è in conversazione con il Cristo: Semper finge quod nominet te nomine tuo. Per questo motivo, è frequente l'imperativo del verbo " dire ": dic, o il suo equivalente generalmente associato ad un'azione o che completa questa, che comporta molte varietà: stringe, tenes, vade, amplectere, sequi, proice te, revertere, plora, recede, associa cum... Talvolta, il dire diventa un grido: clama. L'esercizio di due dei sensi corporei, che si immaginano, è frequente: quello della vista imagina videre, vide contemplare - e quello dell'udito - audi. Tutte queste formule sono equivalenti ad altre che indicano la stessa attività mentale: cogita, ante intellectum repraesentari. E lo scopo è sempre quello di elevarsi, a partire da ciò che c'è di bello nella creatura - particolarmente nel Verbo di Dio incarnato in una creatura umana - alla conoscenza di Dio e della sua bellezza: ut per pulchritudinem creaturarum homo specialiter ad Dei cognitionem ascendat, ...pulchritudo deitatis.

Così, grazie a questo procedimento, basato sull'uso dell'immaginario, la contemplazione del mistero di Dio stesso è resa non solamente possibile, ma facile, perfino piacevole ed accessibile a tutti, poiché tutti - letterati e illetterati - sono dotati della stessa capacità di finzione, di rappresentazione. Con questo insegnamento, B. si colloca nella storia dei rapporti tra la devozione astratta e la pietà popolare.

Bibl. Opere: L. Barbo, Forma orationis et meditationis, in H. Watrigant, Quelques promoteurs de la méditation méthodique au XVe siècle, Enghien 1919, 15-28; I. Tassi, Ludovico Barbo (1381-1443), Roma 1952 (edizione della Forma orationis alle pp. 143-152). Studi: J. Leclercq, Ludovico Barbo e storia dell'immaginario, in Aa.Vv., Riforma della Chiesa, cultura e spiritualità nel Quattrocento veneto, Cesena 1984, 385-399, ristampato in Aa.Vv., Momenti e figure di storia monastica italiana, Cesena (FO) 1993, 529-542; M. Mähler, s.v., in DSAM I, 1244-1245; G. Mellinato, La riforma monastica di Ludovico Barbo, in CivCat 134 (1983)2, 369-373; A. Pantoni, s.v., in DIP I, 1044-1047; G. Picasso, s.v., in DES I, 270-271; I. Tassi, s.v., in BS II, 778-779.

J. Leclercq

BARELLI ARMIDA. (inizio)

I. Cenni biografici. Nasce a Milano il 1 dicembre 1882 da un'agiata famiglia di mentalità liberale, non ostile alla Chiesa ma lontana dalle pratiche religiose. Nel 1909 si consacra a Dio in forma privata e l'anno dopo incontra P. Agostino Gemelli: è l'inizio di un'interrotta e multiforme collaborazione. Con lui organizza la consacrazione dei soldati italiani al S. Cuore durante la Prima Guerra Mondiale. Nel 1918, per incarico del papa Benedetto XV fonda la Gioventù Femminile di Azione Cattolica in tutte le diocesi d'Italia. Nel 1919, dà concretezza a una forma di consacrazione, da tempo prefigurata da P. Gemelli, per i laici: vivere la speciale consacrazione a Dio, senza vita comune, restando inseriti nelle strutture della società per animarle dal di dentro. Dal piccolo nucleo di francescane riunite in Assisi nel 1919 si svilupperà l'Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità di N. S. Gesù Cristo.

Nel 1921 P. Gemelli fonda l'Università Cattolica del Sacro Cuore e la B. ne è confondatrice e cassiera. Nel 1929, inaugura, con il beneplacito di Pio XI, l'Opera della Regalità di N. S. Gesù Cristo: sente l'urgenza di diffondere la spiritualità cristocentrica e un'approfondita catechesi liturgica. Affida la direzione dell'ente a P. Gemelli. Negli anni Trenta, organizza la Settimana della Giovane per studentesse e lavoratrici. Tale iniziativa viene svolta in quasi tutte le città d'Italia su problemi vocazionali o di preparazione alla famiglia, al lavoro, ai doveri professionali, civili, sociali, politici, sempre nell'ottica di un cristianesimo vissuto. Nel 1945 si adopera perché sia concesso il voto alla donna rivendicandone la parità dei diritti civili e politici. Nel 1948 lavora intensamente per l'affermazione delle forze di ispirazione cristiana in campo politico. Nel 1949 è colpita da una grave infermità che le toglie la voce. Muore il 15 agosto del 1952.

II. Esperienza spirituale. Una delle caratteristiche più spiccate della personalità della B. è la fede profonda, immediata, operosa, che si allarga in una visione teocentrica e cristocentrica dell'universo, della storia e della vita. La sua originalità è data dalla preghiera continua nell'azione, perciò in lei tutto è ordinato ad una trasparente familiarità con il Signore.

La sua spiritualità è di stile francescano, avendo ella fatto del Cristo povero e crocifisso il punto di riferimento della sua esistenza, della sua attività e del suo cammino interiore. La preghiera è il tessuto connettivo della sua vita, una preghiera prevalentemente contemplativa, fatta di ringraziamento e di adorazione. " A me piace - scrive in una lettera del 1911 - l'atto dell'anima che considera la maestà, la grandezza infinita di Dio sempre dovunque presente e che, davanti all'abisso delle perfezioni divine, si sprofonda nell'abisso del proprio nulla. Ma noi uomini abbiamo bisogno di parlare a Dio fatto uomo, di stringerci a lui, di faticare sotto il suo sguardo, di riposare sul suo cuore ".

Nella preghiera è come assorbita dalla presenza di Dio al punto tale da non avere altro scopo, come filo conduttore di ogni sua azione, che la gloria di Dio. La preghiera, dice citando s. Bonaventura, è il gemito dell'anima bisognosa, il gemito dell'anima dolorante, il gemito dell'anima amante che trova riposo solo nel Sommo Bene. E convinta che la sofferenza sia un dono del Padre celeste, come mezzo per essere uniti alla passione di Cristo, perciò è da lei offerta in spiccata testimonianza d'amore.

Riesce sempre a tener presente, nella vasta gamma delle sue attività, il senso della Chiesa e il senso della storia e sa armonizzare nella sua vita natura e fede, lavoro e preghiera, azione e contemplazione, spirito di iniziativa, creatività e piena obbedienza e fedeltà al Magistero. Vive il quotidiano senza apparenti tratti mistici, tuttavia si registrano nella sua vita alcuni episodi del tutto singolari che si potrebbero addebitare all'irruzione del soprannaturale in momenti particolari della sua esistenza. Nel libro da lei scritto La nostra storia racconta, di sfuggita, che dovendo attraversare il Po su una passerella (dopo i bombardamenti del 1945) è aiutata e accompagnata da una donna che misteriosamente scompare alla fine del tragitto.

A la Verna un giorno fu come abbagliata da una visione: le sembrò di vedere una folla incalcolabile di giovani donne che la seguivano. Probabilmente, in quei momenti si rese del tutto disponibile al disegno che Dio andava dispiegando nella sua vita: divenire nel sacrificio di sé docile strumento per una più vasta ed efficace partecipazione del laicato alla missione ecclesiale.

Bibl. Opere: La nostra storia, Milano 1973; La sorella maggiore racconta, Milano 1981. Studi: Aa.Vv., L'opera della Barelli nella Chiesa e nella società del suo tempo, Roma 1983; Aa.Vv., Armida Barelli nella società italiana, Roma 1983; D. Barsotti, Armida Barelli nella Chiesa italiana, in Aa.Vv., Armida Barelli. Spiritualità e impegno per l'Istituto Benedetto XV in Cina, Milano 1997; M. Sticco, Armida Barelli, in Aa.Vv., Testimoni dello Spirito, Milano 1980, 20-27; Ead., Una donna tra due secoli, Milano 1983.

A. Miceli

BARTH KARL. (inizio)

I. La personalità e le opere. Nel panorama teologico del sec. XX B. spicca per almeno tre motivi: l'eccezionale recupero del Verbum Domini, " scatenando " la Parola " imprigionata " dalla teologia liberale dei suoi maestri (nonché da una certa " teologia naturale ", ipotecata deisticamente); la " ricentrazione " cristologica in teologia, anche per liberare il vero Dio, quello biblico, per definizione " il tutt'altro ", dalle pastoie religiose, esistenziali o pietiste; il coinvolgimento nell'azione politica, in senso alto e altro e particolarmente (ma non solo) a fianco della " Chiesa confessante " tedesca -, rigorosamente fondandosi sui " mandati " divini ossia biblici e perciò stesso annullando la dicotomia invalsa presso molti riformati tra Chiesa e mondo (i " due regni "). Il tutto espresso con uno stile maestoso come un fiume in piena, non raramente bello, poetico addirittura (come hanno riconosciuto von Balthasar e Brunner), spesso polemico ma insieme umoristico. Bastino qui un paio di citazioni: se in L'epistola ai Romani afferma che " la polemica è amore ", più tardi, tuttavia, riconosce che " il dire No non è il sommo dell'arte, né il rovesciare idoli sarà mai il nostro compito essenziale ". Infatti, " un cristiano fa buona teologia quando è lieto, sì, quando si accosta alle cose con umorismo. Bisogna guardarsi dai teologi di cattivo umore e noiosi! " (KD III4 e IV2). Ma c'è di più. Nei tre ambiti suddetti della rivisitazione barthiana possiamo cogliere, in filigrana, una sorta d'anima " mistica ": solitamente disattesa e che B. stesso, forse, contesterebbe. Eppure, in senso analogico ma non per questo meno vero, egli può definirsi un " mistico suo malgrado ". Infatti, cos'è la " mistica " se non un impatto col Dio tutt'altro - ineffabile, non accessibile né tematizzabile (roveto ardente, tremendo e fascinoso ma non categoriabile, nube luminosa o, viceversa, luce tenebrosa) -, esperito in modo tutt'altro (non simmetrico con le " esperienze " religiose pagane né con l'analogia entis dei filosofi) e per le vie tutt'altre di un impatto con la Parola (e relativa analogia fidei) che manifesta il suo volto rivolto a noi in Cristo (l'assolutamente trascendente ma vicinissimo)? Detto altrimenti, la " mistica " è l'irruzione di un Tu che ritieni " troppo bello per essere vero " ma che t'accorgi " essere bello perché vero " dal fatto che ti scompagina oggettivamente la vita, capovolgendo tutte le mete e progettualità soggettive (anche religiose). Di una simile " mistica " B. ci ha lasciato tracce vistose, a iniziare dalla requisitoria profetica contro le varie forme di idolatria religiosa e finendo con un impegno anche politico " straordinario " (etimologicamente): quello che, nell'etica, traduce le " opere della fede ". Sicché anche B., come ogni vero mistico, toccato dal Mistero Tutt'Altro e Personale fu un " contempl-attivo " (etimologicamente). Analizzare ciascuna di queste tematiche è impossibile: ci limiteremo ad uno sguardo panoramico delle varie fasi e opere barthiane, indugiando poi su alcuni elementi qualificanti la sua " mistica " analogicamente intesa. Dopo gli studi teologici a Berna, Berlino, Tübingen e Marburg, con W. Herrmann, H. Gunkel e A. von Harnack (cf carteggi in Le origini della teologia dialettica, Brescia 1976 e, per un giudizio dello stesso B., Filosofia e Rivelazione, Milano 1965), nel 1909 B. fu viceparroco a Ginevra e nel 1911 " parroco rosso " a Safenwil: coinvolgendosi nel movimento dei " socialisti religiosi " e iscrivendosi (per breve) al partito socialdemocratico. E di questo periodo il famoso commento Der Römerbrief (tr.it. L'epistola ai Romani, Milano 1962), da far sempre interagire dialetticamente con la posteriore Kirchliche Dogmatik (tr.it. parziale: Dogmatica ecclesiale, Bologna 1969). Nel 1921 è docente a Göttingen, nel '25 ordinario a Münster e nel '30 a Bonn. In questi anni si forma il gruppo K. Barth, E. Brunner, R. Bultmann, F. Gogarten e E. Thurneysen che, intorno alla rivista Zwischen den Zeiten, edita da G. Merz, attacca frontalmente la teologia liberale (" idolatrica ", secondo B.). Nel 1931 B. scopre la teologia medievale (sant'Anselmo) e redige Fides quaerens intellectum (tr.it. parziale nel cit. Filosofia e Rivelazione), mentre nel '32, sull'onda lunga della riflessione anselmiana, pubblica il vol. I della cit. e monumentale Kirchliche Dogmatik (KD), cominciata nel '30 e rimasta incompiuta (al vol. 12). Purtroppo il gruppo di Zwischen den Zeiten non regge: Gogarten passa ai Deutschen Christen filonazisti, Merz resta neutrale ma defilato, Brunner incappa nella confusione tra natura e grazia (B. contesta duramente la sua teologia naturale), Bultmann va rieditando una sua teologia liberale, in chiave ermeneutica (demitizzazione), come gli rimprovera B., che registra puntualmente nella KD i vari errori: la storia di Gesù non può essere ricostruita solo mediante le parole, eliminando le azioni miracolose; la gloria Dei non può ridursi alla sola filantropia (amore del prossimo); l'evento pasquale non può essere ridotto a un das, senza alcun was, pena interpretare docetisticamente la risurrezione. In sostanza, Bultmann " dissolve il Nuovo Testamento " (come scrive B. in Aa.Vv., Capire Bultmann, Roma 1971).

In tale sfascio generale, B. non solo resiste ma diventa l'animatore della " Chiesa confessante " (vedi anche Bonhoeffer), stilando di getto la famosa " Confessione di Barmen " (31 maggio 1934). Nel '35 i nazisti lo privano della cattedra e, ritornato a Basel, vi insegna fino al 1962 (emeritanza). Notiamolo una volta per tutte: è stupefacente che B., in mezzo a tutte queste lotte, oltre a scrivere un numero impressionante di studi esegetici, storici, dogmatici, prediche e scritti d'occasione - l'Opera omnia prevede 70 volumi -, abbia condensato il suo pensiero nelle circa 7.000 pagine della KD (manca il vol. V, che avrebbe dovuto contenere la dottrina della redenzione e dell'escatologia, nonché l'ultima parte " etica " della riconciliazione). Da sempre impegnato nel movimento ecumenico, invitato come osservatore al Vaticano II, dopo l'incontro con Paolo VI scrive Ad limina Apostolorum (tr.it. Domande a Roma, Torino 1967), pietra miliare nel dialogo tra fratelli separati. Muore a Basilea il 10 dicembre 1968, all'età di ottandue anni, e H. Küng, nel discorso commemorativo tenuto nella cattedrale di quella città, lo definisce Doctor utriusque theologiae: cioè della teologia protestante e cattolica. E a ragione, visto che B., proprio occupandosi di Anselmo, aveva scoperto che " la dottrina cristiana dev'essere esclusivamente dottrina di Gesù Cristo, in quanto parola vivente di Dio, detta a noi ". Ciò lo aveva portato a rivisitare la teologia in quanto cristologia, il giudizio in base alla grazia, il No a partire dal Sì, e a giungere così dai prolegomeni alla dogmatica, dal cristianesimo alla Chiesa. E lì si chiarisce anche la negazione che l'uomo fa di se stesso, determinata dalla parola del giudizio divino. Dio, infatti, è colui che in Gesù Cristo ha accolto l'uomo peccatore e giudicato, negantesi e negato, lo ha tolto dalla situazione di opposizione a Dio e lo ha preso con sé. Il riconoscere questo dà a B. la forza di parlare solo di Gesù Cristo e di fare teologia della Parola solo a partire dalla grazia, perciò a lottare contro ogni forma di teologia naturale, anche negativa, indicando nell'analogia entis la " trovata dell'anticristo ".

Per quanto esagerato, questo atteggiamento radicale barthiano - come più tardi dirà Bonhoeffer, rimproverandogli un " positivismo della rivelazione " -, lo ha reso paradossalmente disponibile non solo a una discussione critico-positiva coi Riformatori e a una vera continuazione della Riforma, ma pure a un nuovo dialogo oggettivo con la Chiesa cattolica e con quella parte di umanità che è aperta al mondo. Tutto ciò gli ha anche mostrato la differenza fra vera e falsa Chiesa, diventando proprio quel suo " positivismo " l'arma vincente contro il dilagare della " grande malattia secolare " che, in quel periodo, si esprimeva nella forma dei " Cristiani tedeschi ". Perciò quella lotta teologica diviene insieme lotta non solo di politica ecclesiatica, ma di politica tout court: schierandosi dalla parte di Abele. Concretamente, l'antisemitismo fu per B. il segno chiarissimo dell'anticristo incarnato nello Stato nazionalsocialista e il segnale per l'opposizione cristiana ad esso. " Dove si è capito che solo Gesù Cristo è Führer, lì c'è un'esistenza teologica; ogni altra invocazione a un Führer diverso è un: Baal, ascoltaci ", ha scritto in Theologische Existenz heute! Né sfugga l'assoluta coerenza in ogni parte del teologizzare barthiano: sia quando attacca E. Brunner, che aveva escogitato un formale punto d'aggancio, su base umanistico-pedagogica, tra natura e grazia, sia quando lotta contro i " Cristiani tedeschi ". E anche quando viene scacciato dalla Germania, nel 1935, egli rimane non solo il fedele consigliere della " Chiesa confessante ", ma con le sue lettere diventa il consolatore e ammonitore dei credenti francesi, olandesi, inglesi, norvegesi, cechi (e anche svizzeri). D'altra parte, nel 1945, ancor prima della fine della guerra, si pone al fianco dei tedeschi contro l'odio generale, attuando lui stesso quello che suggerisce ai tedeschi per risanare la loro situazione: lo spirito " del realismo cristiano "; né più tardi interromperà i contatti coi credenti dei Paesi dell'Est europeo, giudicando l'anticomunismo di principio un male ancora peggiore dello stesso comunismo; né si piegherà mai alle " ragioni " che giustificavano la bomba atomica (cf Lettera a un pastore della Germania Orientale, Brescia 1964; Lettera al Congresso di Londra contro il riarmo atomico, in G. Casalis, K. Barth, Torino 1967).

In questo modo l'annuncio evangelico - contemporaneamente presenza del Risorto vivente nella comunità e gloriaimpegno della medesima che lo esperisce proprio vivendolo - trova la sua valenza profetica nel qui ed ora del mondo, come sua forza inedita (salelievito nella pasta) e proprio in quanto ne realizza le promesse. Scrive infatti B.: " Mi basta, nel quadro della piena mortalità della vita umana, attenermi a Dio come a ciò che contiene ogni speranza. Io mi avvio alla fine, ma Dio è il mio rifugio. Io non riesco ad attendermi molto dal mio essere, ma tutto posso guardando al Risorto. Egli è la risurrezione: di che altro ci si può rallegrare? C'è un altro fondamento del nostro eschaton personale, del nostro aldilà? Tutte le affermazioni escatologiche sono contenute nell'affermazione ontica (e non noetica): Dio è il nostro aldilà ". E ciò fin da qui ed ora, altrimenti la " fede " non sarebbe donum gratiae ma un dato esistenziale e " Dio ", alla fine, non sarebbe Il Tutt'Altro personale manifestatosi in Cristo, ma un nostro prodotto. Invece la realtà di Dio e dell'uomo consiste proprio nel fatto che il Christus pro nobis è prima un Christus pro Deo; che Dio non è prigioniero della sua parola, ma resta il Signore anche della sua parola. Solo qui la theologia crucis trova il senso vero e tutta la sua portata (anche mistica). " Il mio pensiero si aggira attorno alla gloria di Dio, in cui è compresa anche la nostra salvezza ". Solo la divinità di Dio rettamente intesa comprende la sua umanità e poi svela anche la nostra. E questa veritàscoperta (decisamente tutt'altra: mistica?) rendeva la difesacritica barthiana estremamente virulenta, come egli stesso riconosceva umilmente: talvolta fui, nella lotta, " brutalmente inumano " e così " ho avuto torto, proprio dove avevo ragione "!

Avere presente tutto ciò significa mettersi nell'ottica giusta per capire B. il quale, fino all'ultimo, ha paventato che impercettibilmente " Dio " riemergesse nelle vicinanze dell'esperienza religiosa di Schleiermacher o del pietismo di Zinzendorf o dell'esistenzialismo di Kierkegaard. Perciò B. insiste senza posa: il Dio che si rivela deve sempre restare al centro (dell'uomo e della storia) ma, insieme, restare sempre " il tutt'altro " dalle nostre categorie. Di qui il primato biblico, ossia della Parola scatenata! Che l'uomo possa gridare a gran voce di sentirsi soccombere sotto il peso di Dio - come avvenne a san Cristoforo - può forse essere patetico o interessante, ma teologicamente non ha importanza. Sarebbe un degenerare la teologia, abbassarla al rango di monitoraggio per l'umana situazione.

In teologia, secondo B., bisogna guardarsi dal troppo " kierkegaardeggiare ".

Sant'Anselmo gli aveva mostrato il giusto mezzo. Per questo medievale la teologia non è " una scienza contemplativa senza scopo fuori della Chiesa ". E B. afferma che, appunto per essersi resi pienamente consapevoli di questo, i veri teologi hanno anche pregato. Essi l'hanno fatto tanto più consapevolmente quanto meglio si sono resi conto della fragilità del loro lavoro, perché, " come teologi dobbiamo parlare di Dio. Ma noi siamo uomini e come tali non possiamo parlare di Dio ". Proprio in questa contraddizione dobbiamo cercare la gloria Dei, ma anche il luogo dove possa vivere l'uomo che in essa ha trovato grazia. La via d'uscita non è facile, perché la riflessione del credente non si muove esclusivamente dal basso verso l'alto; né solo ascende dall'evidenza naturale verso i misteri celesti. All'inizio di ogni teologia c'è la discesa di Dio, che ha rivelato se stesso agli uomini. Certo B., partendo di qui, è arrivato forse un po' troppo in là: condannando la teologia naturale. Ma non sarebbe questa una buona ragione per trascurare quanto c'è di valido nel suo teologizzare. Per esempio, coniugando le due analogie in una forma meno oppositiva. Anche perché, se entro l'analogia della fede non trovasse il suo posto l'analogia dell'essere, la rivelazione che Dio ha fatto di sé non sarebbe che un " pericoloso affare cinese " (come disse Brunner, in polemica con B.).

II. Mistica barthiana. E veniamo così a qualche sottolineatura della " mistica " barthiana, analogicamente intesa. Anzitutto ricordiamo che, nel difendere la trascendenza divina e proclamare il " Dio Tutt'Altro ", B. evita sia l'incontrare Dio nel puro simbolo della rappresentazione - perché la fede non è rappresentazione concettuale ma Erlebniss: ossia continuo passare dall'inautentico (del peccato) all'autentico (della grazia), traducendo qui il Dasein zum Tode heideggeriano nel decidersi per Dio (in Cristo), che viene dal futuro (nella fede) -, sia in quell'immediatezza di slancio che, per quanto emotivamente utile, non ha maggiore adeguatezza rispetto all'appello del patto che Dio (in Cristo) propone (realizzando certamente le sue promesse, ma assai raramente i nostri desideri). Detto altrimenti, per B. sia il razionalismo che l'irrazionalismo mancano di quella avvedutezza critica che permette di porsi sul piano della distinzione tra forma e contenuto, linguaggio e realtà, res et sacramentum: ossia in quella prospettiva che, sola, rende giustizia all'umanità dell'uomo e alla divinità di Dio. Senza quest'avvedutezza, tanto la religione quanto l'etica naufragano in una specie catalogabile di gusti e di proiezioni psicologiche. In questo senso, la deriva razionalista e quella misticheggiante provocano gli stessi guasti: il naufragio dello spirito critico e profetico nelle rugiadose e consolate soddisfazioni degli istinti religiosiesistenziali, che forniscono alle svariate e più o meno incosce violenze gli alibi ipocriti della benignità. Ulteriore luce in questa direzione ci offre B. scavando nel " tempo sequestrato " per Dio. Oltre al tempo della creazione, ignoto all'uomo peccatore - che vive nel tempo inautentico del peccato -, vi è il tempo autentico che Dio ha per noi, stendendolo dalla creazione alla parusia con le varie tappe della rivelazione e riconciliazione. Per B., l'analisi filosofica, condotta sia da Agostino sia da Heidegger, non può avere altro oggetto che quel tempo dell'uomo autonomizzato da Dio e che, attraverso le tenebre del mysterium iniquitatis e i bagliori dell'opus divinum, realizza l'esodo dal tempo alienato (kronos) a quello reale e compiuto (kairos). In quest'ottica, anche per la teologia c'è un tempo dell'attesa e del fare memoria (= memoriale, anche eucaristico) di Cristo, in attesa del suo ritorno (parusia). E guai se il nostro teologizzare non provocherà (etimologicamente) il tempo di grazia (kairos). Fuori di questo, infatti, non resta che l'antinomia kantiana o il " divertimento " (etimologicamente: divertere l'attenzione) nel kronos, tanto implacabile quanto privo di senso. La conclusione è lapidaria: " Il tempo di Dio per noi risiede nel fatto che egli ci si rende presente in Gesù Cristo: Deus praesens. Ma Gesù Cristo significa anche presenza umana e temporale, sicché la rivelazione in Gesù Cristo è anche quello che noi chiamiamo vita autentica di un uomo ". Nessun docetismo, quindi, né evasione spiritualista bensì, semmai, la concretezza altra di un mistico sui generis. Come accennato, oltre a tutto ciò, B. ha scoperto, nei grandi teologi medievali, anche quell'indicibile " fragranza " della teologia genuina: una sensitività, quasi, che prelude alla mistica verace. Quei teologi, infatti, possedevano ancora la " perla preziosa " smarrita dalla modernità cartesio-hegeliana: ossia che ogni pensare autentico, anche quello teologico, reclama tutto l'uomo. Anselmo, filosofo (e mistico) sui generis, l'aveva confermato con la sua vita. Nato in Italia, dopo una giovinezza burrascosa aveva vagato per tutta la Francia fino ad approdare, quasi per caso, in un'abbazia benedettina dove giganteggiava il monaco Lanfranco ( 1089), che lo accolse e presto creò intorno a lui l'ambiente capace di fare dell'irrequieto Anselmo il primo teologo sistematico del Medioevo. Nel cap. I del Proslogion di Anselmo (prova ontologica dell'esistenza di Dio), B. lesse questo avvertimento: " Oh, debole uomo, ritirati dalle tue assillanti occupazioni, getta via le tue pressanti preoccupazioni e poni fine alla tua divisione interiore. Renditi un poco disponibile a Dio e cerca qualche riposo in lui. ’Entra nella camera interiore del tuo cuore', chiudi fuori tutto ciò che non è Dio e che non ti aiuta a trovare lui, e quando ’avrai chiuso la porta', cercalo. Di' ora con tutto il cuore, di' a Dio: ’Il mio volto ti ha cercato: il tuo volto, o Signore, io ancora cercherò!' ". Dal monaco Anselmo, che raramente aveva trovato riposo e che aveva vergato queste parole, B. imparò pure che lo studio della teologia non è semplicemente un'occupazione " utile ", che fornisce generi di consumo spirituali a beneficio dei predicatori o di laici " clericheggianti ". Il perdersi in Dio ha una sua suprema bellezza. Pienamente d'accordo con lui, B. citava quel passo in cui Anselmo chiama la conoscenza, che nasce dalla fede e compie le opere della rivelazione, " ben al di là di ogni umano intendimento ". Anselmo diceva che bisogna " gioire di essa " (delectari), e B., facendo sua questa riflessione, affermava che " la teologia è una scienza di eccezionale bellezza. Si può anche dire senza timore che, fra tutte le scienze, essa è la più bella. E sempre un segno di barbarie annoiarsi della scienza. Ma è doppia barbarie quando è la teologia che annoia o che può annoiare qualcuno. Non si può che essere felici e contenti di essere teologi: diversamente non si è teologi. Facce acide, pensieri tristi e conversazioni annoiate sono del tutto intollerabili in questo ramo del sapere " (KD II1, p. 740).

Anche per questo la predilezione barthiana non riguarda l'Anselmo solitamente interpretato razionalisticamente, bensì quello le cui " prove naturali " dell'esistenzaessenza di Dio vengono poste e sviluppate in un totale abbandono di fede. Credo ut intelligam, ossia: partendo dalla fede, il credente tenta di leggere il mistero dal di dentro (intus-legere), tentando di capire teologicamente il mistero per mezzo sia di un raffronto con i vari dati della fede (analogia fidei) - che peraltro non disprezza l'aiuto della ragione (analogia entis), memori del rationabile obsequium (cf Rm 12,1) -, sia ascoltando le inedite " ragioni del cuore " (Pascal). Insomma, nell'affrontare le questioni teologiche non dovremmo cercarne la ratio solo nell'orizzonte della ragione naturale, ma nel sensus plenior di quella globale ratio veritatis: ossia nella proporzione d'intelligibilità contenuta nello stesso mistero, perché ogni mistero di fede è una partecipazione alla verità suprema o, barthianamente, " tutt'altra " (che eccede ogni umano direteorizzare). Forse che i mistici pensano e fanno diversamente? Anche per questo sosteniamo che, per quanto analogicamente, il teologizzare di B. è anche mistico!

Bibl. Opere principali (con tr. it., oltre a quelle già citate): Der Romerbrief (1919, II ed. completamente rielaborata 1922); Die Auferstehung der Toten (1924); Die Lehre vom Wort Gottes (1927); Fides quaerens intellectum (1931); Die kirchliche Dogmatik: I, 1 (1932), I, 2 (1938), II, 1 (1940), II, 2 (1942), III, 1 (1947), III, 2 (1948), III, 3 (1950), III, 4 (1951), IV, 1 (1953), IV, 2 (1955), IV, 3,1 (1959), IV, 3,2 (1959); Theologische Existenz heute! (1933); Credo (1935); Gotteserkenntnis und Gottesdienst (1938); Die kirchliche Lehre von der Taufe (1942); Eine Schweizer Stimme (1945); Die protestantische Theologie im 19. Jahrhundert (1947); Dogmatik im Grundniss (1947, tr. it. Dogmatica in sintesi, Roma 1969); Furchte dich nicht! (1949); Kurze Erklärung des Römerbriefes (1956, tr. it. Breve commentario all'epistola ai Romani, Brescia 1982); Die Menschlichkeit Gottes (1956, tr. it. L'Umanità di Dio, Torino 1973); Einführung in die evangelische Theologie (1962); Den Gefangenen Befreiung (1959, tr. it. Liberazione per i prigionieri, Brescia 1969); Rufe mich an (1965, tr. it. Invocami, Brescia 1969). L'Opera omnia, in corso presso Theologischer Verlag (Zürich), prevede 70 voll. divisi in 5 sezioni, esclusa la monumentale Die Kirchliche Dogmatik, cui H. Krause ha aggiunto un prezioso Registerband (Zürich 1970). Studi: Per un approccio generale cf Aa.Vv., La teologia contemporanea, Torino 1980, 38-59; E. Busch, K. Barth. Biografia, Brescia 1977; I. Mancini, Novecento teologico, Firenze 1977, 3-178; A. Moda, Strutture della fede, Padova 1990; H. Traub, K. Barth, in P. Vanzan - H.J. Schultz (cura di), Mysterium salutis: Lessico dei teologi del secolo XX, Brescia 1978, 289-296.

P. Vanzan

BASILIO MAGNO (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Nasce a Cesarea di Cappadocia nel 329-330. La sua famiglia è profondamente cristiana: il nonno paterno è martire; la nonna, il padre e la madre, la sorella Macrina e i fratelli Pietro, vescovo di Sebaste, e Gregorio, vescovo di Nissa, sono tutti santi. Dopo i primi studi in patria, si reca a Costantinopoli e ad Atene dove stringe amicizia con Gregorio di Nazianzo. Ritornato a Cesarea verso il 356 riceve il battesimo e, dopo aver distribuito tutti i suoi beni ai poveri, si dà ad una vita di preghiera e di studio. Chiamato dal vescovo Eusebio di Cesarea ( 340) ad aiutarlo nel governo della diocesi, è ordinato presbitero nel 364 e gli succede nell'episcopato nel 370. Come sacerdote e vescovo s'impegna nella difesa della fede nicena contro gli Ariani.

Si distingue anche per la carità realizzando un complesso d'istituzioni assistenziali per chiunque ne avesse bisogno. Muore il primo gennaio del 379.

Gli scritti di B. possono essere divisi in: teologico-polemici (Contro Eunomio, Dello Spirito Santo, vari Discorsi e Omelie); esegetici (Omelie sull'Esamerone, Sui Salmi, Commento a Isaia - che, probabilmente, non è suo); morali (vari Discorsi e Omelie); ascetici (Regole morali, Piccolo e Grande Ascetikon); epistole (oltre trecento Lettere).

II. Dottrina spirituale. Il fine dell'esistenza umana non è altro che Dio, il primo e il più perfetto dei beni (cf Sui Salmi 1,3; 33,7; 114,1). È per questo che Dio dev'essere cercato in ogni cosa e prima di ogni cosa. Per fare questa ricerca è necessario allenarsi. Dice B.: " L'atleta si mette in mostra per la sua prestanza, per il suo colorito; e il cristiano mostra con la magrezza del suo corpo e il pallore che fiorisce nell'enkráteia che egli è veramente un atleta nella via dei comandamenti del Cristo " (Regole diffuse 17,2). B. ammira il cosmos - infatti il suo Esamerone non è solo una descrizione dell'universo, ma è una pia meditazione - però considera il corpo come somasema, con Platone, e come un ingombrante peso, con Plotino. Da qui la rinuncia ai piaceri sensuali e, in una visione più ampia, la rinuncia a quei legami che provengono dal corpo. È questo il centro dell'ascesi di B.: " Essa permetterà alla libertà di fiorire per compiere tutti i comandamenti del Cristo formulati nella Scrittura " (L. Bouyer). Si diventerà perfetti quando ci si sarà rivestiti di Cristo (cf Comm. a Is. 5, 176). In Cristo e per Cristo cantiamo la gloria del Padre, poiché egli è nostro modello di vita. Da questa conoscenza scaturisce per noi un'esigenza: seguire il Cristo, imitarlo non solo nella sua vita, ma anche nella sua morte, per poter, poi, risorgere con lui dai morti (Dello Spirito Santo 15,35). La conformazione a Cristo nella pienezza dell'amore si ha per mezzo dello Spirito Santo: " La rinnovazione si compie in noi per mezzo dello Spirito Santo " che, inoltre, ci fa giungere alla " celeste conversazione " (Ibid.). Infatti: " La nostra mente, illuminata dallo Spirito Santo, si fissa nel Figlio e nel Figlio, come in immagine viva, vede il Padre " (Dello Spirito Santo, 24,57). " Per l'illuminazione dello Spirito Santo... contempliamo lo splendore e la gloria di Dio: per la carità siamo portati a colui del quale è carattere e uguale sigillo " (Ibid. 26,64). Si entra, così, nella vita trinitaria partecipando della carità vivificante. E come Dio si fa conoscere al cuore di coloro che lo amano (cf Sui Salmi, 33,6) così la ricchezza di trasformazione e di illuminazione è diversa: " Perché a tutti è presente lo Spirito Santo, ma comunica una particolare virtù a coloro che vivono in purezza d'affetti " (Comm. a Is. proemio, 3).

Bibl. R. Albrecht, s.v., in WMy, 46-47; G. Bardy, s.v., in DSAM I, 1273-1283; L. Bouyer, La spiritualità dei Padri, 3B. Monachesimo antico e Padri, Bologna 1986; J. Gribomont, Basilio di Cesarea di Cappadocia, in DPAC I, 491-497; M. Pellegrino, Letteratura greca cristiana, Roma 19833; J. Quasten, Patrologia. II: dal Concilio di Nicea a quello di Calcedonia, Casale Monferrato (AL) 1973; S. Rendina, La contemplazione negli scritti di s. Basilio Magno, in Studia monastica, 4 (1962), 237-339; C. Sorsoli - L. Dattrino, s.v., in DES I, 273-278; T. Spidlík - I. Gargano, La spiritualità dei Padri greci e orientali, Roma 1983.

R.M. Russo

BATTESIMO. (inizio)

I. Alcune premesse. Gesù, dopo la risurrezione dai morti, riunì i suoi discepoli sul monte e disse loro: " Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco io sono con voi fino alla fine del mondo " (Mt 28,18-20). Da allora, la comunità cristiana ha sempre obbedito a questo comando del Maestro.

Davanti ai bambini che vengono presentati alla comunità dopo la nascita o all'adulto che, dopo aver compiuto un cammino di maturazione nella fede con i fratelli, chiede d'essere ammesso alla comunione sacramentale del popolo di Dio, la Chiesa celebra la volontà di Gesù rigenerando il fratello dall'acqua e dallo Spirito e lo aggrega alla comunità dei redenti. Questa celebrazione sacramentale determina per sempre la vita del candidato, lo rende partecipe dell'evento della salvezza, orienta il suo spirito ad una maggiore conformazione a Cristo al fine di realizzare il senso stesso della vita del discepolo: " Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più né giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'é più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù " (Gal 3,26-28).

Nel rito, ove la parola, il gesto della immersione o della infusione, la presenza dell'acqua e la comunità orante operano insieme, avviene la cristificazione dell'uomo. Quell'acqua battesimale che vive della potenza dello Spirito e quel gesto che è animato dall'invocazione della comunità, infatti, esprimono la fecondità della vita divina, la sua potenza creatrice, l'affiorare di una creatura rinnovata " secondo Dio nella giustizia e nella santità vera " (Ef 4,24). Dall'acqua è scaturito il mondo, mediante l'acqua è stato distrutto l'uomo del peccato, nel mistero dell'acqua l'umanità ha goduto del dono della liberazione da ogni forma di schiavitù. La tipologia della creazione, del diluvio e del passaggio del mar Rosso nell'esodo, cara alla tradizione patristica e liturgica, è significativa per comprendere il mistero dell'acqua, perciò il mistero stesso del b.

II. L'insegnamento delle Scritture. La comunità cristiana fin dal giorno della Pentecoste ha celebrato il b. come conclusione di tutto un itinerario di conversione a Cristo. L'apostolo Pietro, annunciando l'evento della morte-risurrezione di Gesù agli abitanti di Gerusalemme e a tutti quelli che erano convenuti per la festa, aveva suscitato in essi un intenso desiderio di salvezza ed aveva offerto loro le condizioni per accedere ai tempi messianici: " Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo " (At 2,38).

Il b. costituisce la celebrazione dell'accoglienza dell'annunzio, della volontà di godere della fedeltà divina che fa nuove tutte le cose, dell'intenso desiderio d'essere associati alla comunità di coloro che condividono le meraviglie di Dio in attesa della pienezza della comunione definitiva con il Maestro nella Gerusalemme del cielo.

Il discepolo, dopo aver accolto il kerigma apostolico: " Gesù morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture " (1 Cor 15,3-4), attraverso il gesto sacramentale (cf Rm 6,3-11) viene assunto in tale mistero e si considera ormai morto al peccato e vivente per Dio in Cristo Gesù (cf Rm 6,11).

Lo Spirito che lo ha condotto a celebrare l'alleanza pasquale gli ha fatto intuire che nella morte di Gesù egli era già presente. Infatti, il b. è la memoria della croce, di quell'evento nel quale è già in atto la salvezza di ogni uomo. Il cristiano è già morto nel Signore ancora prima di conoscerlo poiché Gesù è il primogenito tra molti fratelli, la primizia di coloro che sono risorti dai morti, dal momento che in lui tutti gli uomini sono morti e risorti. L'intensa contemplazione dell'evento della croce ci permette di intendere fino in fondo il significato del b. Paolo ce lo ricorda in modo molto efficace: " E in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi avete in lui parte alla sua pienezza, di lui cioè che è il capo di ogni principato e di ogni potestà... Voi, infatti, siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! " (Col 2,9; 3,3).

La rivelazione, tuttavia, non si ferma a questa comprensione dell'evento battesimale. La contemplazione del Cristo ci immerge nel mistero del Verbo fatto carne nel quale è la vita. Il battezzato, infatti, nel gesto sacramentale afferma che Gesù è il Signore, perciò ha parte alla vita eterna. Parafrasando le espressioni dell'evangelista Giovanni (20,31) così si potrebbe definire il mistero battesimale: " Questi riti sono stati posti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e credendo abbiate la vita nel suo nome ". Il cristiano, perciò, generato da Dio è chiamato a divenire figlio di Dio nell'accoglienza quotidiana del Maestro per poter giungere alla maturità della fede (cf 1 Gv 3,1-2)

III. La vita battesimale. Il b. è un evento che rende il cristiano memoria di Gesù, poiché dal momento dell'incontro sacramentale egli diviene contemporaneo con Gesù e Gesù stesso diviene contemporaneo con lui. L'esperienza battesimale rappresenta un continuo, diuturno, inesauribile processo di attrazione che determina il cristiano in tutto il suo essere e nella globalità del suo porsi all'interno della storia umana.

Il rito battesimale assume un significato più profondo rispetto a ciò che si potrebbe intendere. Esso esprime l'unità di due atteggiamenti: l'obbedienza pasquale di Gesù e l'ansia obbedienziale di coloro che bramano l'incontro sacramentale. Nel b. l'oblazione di Cristo diventa l'obbedienza del discepolo e l'oblazione del discepolo l'espandersi dell'obbedienza di Gesù. Questo è il senso vero dell'esperienza spirituale che fluisce dalla celebrazione battesimale. Ormai il discepolo vive solo di ciò che ha attinenza al mistero pasquale di Cristo, tutta la sua esistenza è cristiana in quanto vive e assume il mistero cristiano che gli si comunica nella perenne attualità della Pasqua, si radica nella celebrazione, si espande nella testimonianza della carità.

Il valore portante del mistero cristiano è vivere la vita che si è rivelata in Cristo morto e risorto. Questa esperienza non è un fatto statico, ma essenzialmente dinamico poiché il dono battesimale significa sviluppare in modo diuturno, sotto l'azione incessante dello Spirito Santo, il passaggio dell'uomo dalla morte alla vita e questo si realizza nella continua attualità della conversione. La vocazione battesimale è, infatti, accoglienza del dono della conversione nello stile esistenziale di Gesù: attenzione intensa al Padre, abbandonando le esigenze dell'uomo immerso nel peccato attraverso la perfetta docilità all'azione dello Spirito Santo. La conversione è in Cristo e nello Spirito una costante ascensione al Calvario per essere poi assunti alla destra del Padre, ad imitazione del Maestro.

Questo itinerario ha luogo nella Chiesa, con la Chiesa e per la Chiesa poiché ogni battezzato rappresenta un dono dello Spirito alla comunità cristiana perché questa ritrovi la sua freschezza e giovinezza evangelica. Questa componente ecclesiale costituisce un momento particolarmente rilevante per la comprensione del b.

Un aspetto essenziale del dono battesimale è l'abbandono della dispersione in atto nell'uomo a causa del peccato per crescere nella vera comunione voluta da Gesù: " Io in loro e tu in me perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato " (Gv 17,23).

Tale atteggiamento di vita si rivela possibile nel discepolo che, nell'accogliere il messaggio pasquale della salvezza, è consapevole d'essere un dono del Padre al Figlio perché questi, attraendolo a sé lo riconsegni al Padre, dopo averlo reso nuovo nell'ora della Pasqua (cf Gv 17,6). L'esperienza spirituale del battezzato si ritraduce nella sua profonda consapevolezza d'essere nelle mani del Padre per essere forgiato dalla morte-risurrezione del Signore attraverso la piena docilità all'azione dello Spirito Santo. Egli è ormai figlio nel Figlio e gode l'intimità del Padre. S'inserisce in tale evento l'ineffabile processo di divinizzazione per il quale il battezzato viene reso partecipe della natura divina (cf 2 Pt 1,4), gode della viva relazionalità con la SS.ma Trinità e cresce nel contesto dell'immortalità divina così che può avvertire la luce interiore che lo trasforma in modo continuo e lo guida nell'ascensione della piena trasfigurazione.

IV. Lo sviluppo della vita battesimale. L'acquisizione di questi dati essenziali permette di superare letture meramente estrinsecistiche o parziali dell'evento battesimale e ci aiuta a ritrovare le modalità perché l'evento possa divenire sempre più espressione vitale per la Chiesa e nella Chiesa, per il fedele e nel fedele, dell'ineffabile amore della SS.ma Trinità.

Il dono battesimale, sintesi tra il contenuto della fede e l'atteggiamento ricco di supplica della comunità e del battezzando, fa nascere a vita nuova chiunque brami seguire Gesù ed entrare nella sua interiorità. La fecondità di tale dono postula alcuni atteggiamenti esistenziali essenziali:

- l'atteggiamento di ascolto nel silenzio dello Spirito per essere sempre interiormente aperti alla presenza di Cristo che ama relazionarsi in modo inesauribile con il discepolo;

- l'intensità di un'esistenza ricca di supplica che pone in luce una povertà evangelica che aspira unicamente ad essere ricreata dalle ineffabili meraviglie del Padre ad imitazione di ciò che è avvenuto nella Pasqua di Gesù;

- lo sviluppo della comunione con i fratelli, condividendo con loro il mistero della morte-risurrezione di Gesù, per rendere sempre fecondo il popolo dei redenti a lode del Padre e a testimonianza di ogni uomo che nello Spirito è alla ricerca della luce della vita;

- l'apertura teologale alla comunicazione che il Padre fa all'anima di ogni battezzato perché cresca nella configurazione a Cristo, entrando nella luminosità del suo volto;

- l'ansia di costruire una vita che esprima gli atteggiamenti interiori di Gesù per essere speranza e dare ragione della speranza ad ogni uomo, attraendolo nell'ineffabile mistero della carità divina.

Conclusione. Il dono battesimale è la celebrazione della essenziale vocazione presente nell'uomo d'essere attratto in modo diuturno a Cristo per accogliere il dono del suo Spirito e per accedere alla comunione con il Padre. Questa ineffabile e divinizzante esperienza rende nuovo il cuore dell'uomo così da farlo idoneo a costruire un mondo che, ad immagine di Cristo, possa essere a lode e gloria del Padre. La potenza battesimale orienta, dunque, a vivere nel tempo nella stabile condizione di dare un'ospitalità creante al Verbo incarnato, morto e risorto e allo Spirito creatore e santificatore, in modo che tutto l'essere del discepolo sia il volto luminoso del Maestro in attesa della piena trasfigurazione nella Gerusalemme del cielo.

Bibl. Aa.Vv., Il battesimo. Teologia e pastorale, Leumann (TO) 1970; Aa.Vv., Iniziazione cristiana e immagine di Chiesa. Leumann (TO) 1982; B. Baroffio - M. Magrassi, s.v., in DTI I, 472-491; J. Castellano, s.v., in DES I, 278-290; Id., La mistica dei sacramenti dell'iniziazione cristiana, in La Mistica II, 77-111; P. Dacquino, Battesimo e cresima. La loro teologia e la loro catechesi alla luce della Bibbia, Leumann (TO) 1973; J. De la Potterie - S. Lyonnet, La vita secondo lo Spirito, Roma 1976; B. Rey, Creati in Cristo Gesù. La nuova creazione secondo san Paolo, Roma 1968; E. Ruffini, Il battesimo nello Spirito. Battesimo e iniziazione cristiana, Torino 1975; R. Schnackenburg, La vita cristiana, Milano 1972.

A. Donghi

BEATITUDINI. (inizio)

I. Premessa. Prima che un'esclamazione o un discorso rivolto ai credenti, le b. parlano innanzitutto di Dio, manifestano in profondità il suo cuore, rivelano il suo essere, dicono la sua felicità e i modi attraverso i quali essa si esprime, in particolare il suo chinarsi con sollecitudine sull'umanità oppressa e sofferente. Gesù, pronunciando le b., rivela il volto di Dio Padre e il senso dell'Incarnazione: comunicare all'uomo la felicità di Dio offrendogli le vie che, pur nel travaglio di un'esistenza fragile, possono condurlo a godere in pienezza il dono della vita. Per questo motivo, le b. costituiscono il cuore del Vangelo, sono la pagina innegabilmente più ricca e insieme più provocatoria, contengono il segreto della gioia vera e duratura, aprono ad un fiducioso abbandono in Dio, all'attesa del suo dono, all'accoglienza e alla rivelazione del suo amore. Sono, per così dire, uno stato esistenziale di mistica comunione con Dio, fruibile già qui ed ora, in parte, e completamente nell'aldilà.

II. Nella Sacra Scrittura. 1. Nell'AT il termine 'ashere, felice chi..., ricorre quarantacinque volte e abbraccia tutto ciò che l'uomo può desiderare da Dio nella vita per essere pienamente felice. Israele è un popolo assetato di felicità, ma spesso la intende nel senso di benessere materiale, fecondità, ricchezza... shalom. Solo lentamente scopre, alla scuola della sua stessa storia, che la b. è qualcosa di più e che la felicità è un dono di Dio, raggiungibile se in lui si confida: " Beato chi in lui si rifugia " proclama il Sal 2,12 (cf Sal 33,9; 64,5; 83,13; 145,5). JHWH è un Dio di gloria e desidera comunicarla agli uomini. La b. dell'uomo deriva dalla grazia divina, è partecipazione alla sua gloria. La b. da una parte descrive una situazione, un dato di fatto: " Te beato, Israele! Chi è come te, popolo salvato dal Signore? Egli è lo scudo della tua difesa e la spada del tuo trionfo " recita la prima b. della Bibbia (Dt 33,29), descrivendo lo stupore dinanzi all'affettuosa paternità di Dio che si prende cura del suo popolo. L'ultima causa della b. di Israele è la piccolezza del popolo che Dio si è scelto e sul quale riversa il suo amore: " Il Signore si è legato a voi... perché vi ama " (Dt 7,7-8; cf Sal 64,5). Solo i " piccoli ", però, comprendono che con Dio possiedono tutto e che l'abbandono totale, la fiducia senza limiti, è la via della b.: " Beati coloro che sperano in lui " (Is 30,18). Per scoprire che solo Dio è felicità, l'uomo deve percorrere un itinerario attraverso il quale mette a nudo il suo peccato e sperimenta il chinarsi misericordioso dell'Onnipotente sulla sua povertà: " Beato l'uomo a cui è rimessa la colpa e perdonato il peccato " (Sal 31,1ss.). Il credente deve però purificare i suoi desideri passando di delusione in delusione e facendo esperienza della caducità di tutto quanto è terreno: " Anche l'amico in cui confidavo, anche lui, che mangiava il mio pane, alza contro di me il suo calcagno " (Sal 41,10; cf Sal 118,8ss.; 146,3ss.). Dall'altra parte, la b. esprime anche una scelta, un impegno di ascesi personale: " Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori... ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte " (Sal 1,1ss.): è la felicità di colui che sceglie il bene e si nutre della costante meditazione della Parola di Dio. Questa deve spingerlo a condividere la felicità ricevuta con coloro che ne sono privi: " Beato l'uomo che ha cura del debole, nel giorno della sventura il Signore lo libera... lo farà vivere beato sulla terra " (Sal 40,1ss.). Con l'esilio babilonese, Israele comincia a considerare b. non solo il benessere materiale, la salute e la ricchezza, ma anche la sofferenza, la povertà, il dolore e scopre lentamente che l'amore di Dio passa anche per questa strada misteriosa e incomprensibile. Il Servo di JHWH porta in sé la b. dell'amore di Dio attraverso la mansuetudine nella prova (cf Is 42,1-7), il fallimento apparente dei suoi sforzi (cf Is 49,1-6), la pazienza nelle opposizioni e nelle persecuzioni (cf Is 51,4-9), il dolore e la morte abbracciata volontariamente per redimere il peccato dell'umanità (cf Is 52,13ss.). Si apre così la strada alle b. del Vangelo che codificano proprio queste situazioni e queste disposizioni, in una maniera che umanamente appare assurda e paradossale.

2. Nel NT. a. Beatitudine. Tutto il Vangelo è sotto il segno della beatitudine perché è l'annuncio di gioia per eccellenza: è l'epoca della felicità messianica predetta dai profeti (cf Is 9,1-6). La prima e l'ultima b. dei Vangeli è quella della " fede ": " Beata te che hai creduto! " (cf Lc 1,45) esclama Elisabetta dinanzi a Maria: in lei Dio è particolarmente presente nel suo Figlio fatto carne e a questo ella ha creduto, perciò è beata. " Perché mi hai veduto, hai creduto: - dice il Risorto a Tommaso - beati quelli che pur non avendo visto crederanno! " (Gv 20,29). Senza la fede è impossibile ogni discorso sulle b. Fondamento di ogni b. è accogliere Dio e la sua parola salvifica, perciò alla donna che chiama " beata " la Madre di Gesù, questi risponde: " Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano " (Lc 11,28): è quanto ha fatto Maria nell'annunciazione. La b. è esperienza viva e scoperta della presenza attiva, amorosa e salvifica di Dio in Cristo Gesù: " Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono... " (Mt 13,16-17). E la b. di Pietro (cf Mt 16,16-17): è pura grazia che beatifica. Ma ancor più beati sono coloro che credono senza aver visto (cf Gv 20,29), coloro che si affidano a Dio pur nell'aridità della vita e nel buio della fede. La b. è sentirsi Dio vicino, da lui aiutati e valorizzati nella situazione di limite della vita umana; è sentirsi, come lui, utili alla salvezza del mondo. Per questo esige uno sforzo personale di conversione radicale e di cambiamento di mentalità per essere capita e accettata. Esige la piena accoglienza della volontà di Dio perché è particolarmente impegnativa sul piano personale. Gesù proclama felici gli spettatori delle meraviglie divine operate nell'era messianica (cf Mt 11,2-6; 13,16ss.), ma soprattutto i servi fedeli che, al ritorno del Signore, saranno trovati vigilanti e impegnati nell'eseguire la sua volontà (cf Lc 12,37ss.). Costoro, infatti, ascoltano e vivono la Parola, perciò sono beati (cf Lc 11,28). Tale felicità è raggiunta e sperimentata dai discepoli del Cristo che si trovano in uno stato di povertà e di afflizione (cf Lc 6,20ss.) e si impegnano seriamente nella via della pace, della misericordia e dell'amore, perché si mettono in sintonia con le esigenze fondamentali del regno messianico. Le persone beate e felici, secondo l'insegnamento del profeta di Nazaret, sono coloro che vivono le esigenze del regno, sintetizzate nella povertà evangelica e nell'amore fraterno. La b., infatti, è visione di Dio nella pienezza della carità. Soltanto colui che ha posto Cristo al centro della sua fede può essere veramente felice. E questa la promessa dell'ultimo libro della Bibbia. Beato colui che ascolta Cristo (cf Ap 1,3; 22,7) e rimane vigilante (cf Ap 16,15), perché è chiamato alle nozze dell'Agnello (cf Ap 19,9) per la risurrezione (cf Ap 20,6). Anche se deve dare la vita in testimonianza non si perda d'animo: " Beati... i morti che muoiono nel Signore! " (Ap 14,13).

b. Beatitudini. Con le b., Gesù è sceso al centro di questa nostra umanità per dare un senso a tutto ciò che tormenta l'uomo e lo riempie di paura. Perché le sue parole non fossero vane, egli stesso ha assunto la condizione di povertà, fame, dolore, persecuzione: è l'itinerario di abbassamento e di totale " svuotamento " descritto da Paolo (cf Fil 2,4ss.). Le b. poste all'inizio del discorso inaugurale di Gesù offrono, secondo Mt 5,3-12, il programma della felicità cristiana. Nella recensione di Luca esse sono abbinate a delle constatazioni di sventura, esaltando in tal modo il valore superiore di certe condizioni di vita (cf Lc 6,20-26). Le otto (o nove) b. di Matteo sono una catechesi di vita nuova nello Spirito, che egli descriverà nei capitoli 5-7 (Discorso della Montagna): una pagina che evidenzia sia gli atteggiamenti sia le disposizioni interiori richieste dal Vangelo del regno. Luca, invece, riporta solo quattro b. nel suo " discorso della pianura " (6,20-47) annunciando la felicità a coloro che vivono in particolari situazioni dolorose. Gesù è venuto da parte di Dio a pronunciare un solenne sì alle promesse dell'AT. Le b. sono un sì detto da Dio in Gesù, il quale si presenta come colui che porta a compimento l'aspirazione alla felicità: il regno dei cieli è presente in lui. Più ancora, Gesù ha voluto incarnare le b. vivendole perfettamente, mostrandosi " mite ed umile di cuore " (Mt 11,29). Con Gesù i beati di questo mondo non sono più i ricchi, i pasciuti, gli adulati, ma coloro che hanno fame e che piangono, i poveri e i perseguitati. Questo rovesciamento dei valori era possibile ad opera di colui che è ogni valore. Le b. vogliono essere il ritratto dell'uomo progettuale, verso cui dobbiamo tendere, che non è ancora realizzato, ma che noi speriamo di poter attuare in pienezza; sono la carta d'identità del cittadino del regno di Dio, così come lo sogna Cristo e come vuole che noi lo incarniamo, perché il regno di Dio è già in mezzo a noi!

Lo spirito delle b. è sintetizzato in una frase che Matteo colloca alla fine del discorso della montagna: " Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste " (Mt 5,48). La perfezione è qualcosa che non possediamo, è una meta a cui arrivare, un monte da salire, ma nello stesso tempo è qualcosa di dinamico, che si va facendo. Questo il nucleo portante delle b. Esse sono lo specchio di un atteggiamento evangelico radicale, non la descrizione di un comportamento di alcune ore o di alcuni momenti; sono l'appello alla struttura di fondo che deve per sempre permanere e tutto abbracciare. Con le b. e tutto il Discorso della Montagna, Gesù ci invita all'" amore totale ", ci richiama allo " spirito ", cioè alla radice dell'essere; esse sono l'eco della legge dell'amore al fratello e al nemico in quanto fratello in Cristo. Dando " carne " alle b., la vita cristiana diviene slancio evangelico inedito, misteriosa corrente di radicalità profetica in continuo dialogo con il mutare dei tempi e l'emergere di nuove sfide. La vita cristiana deve reinventare la contestazione evangelica e vivere con fedeltà dinamica e creativa la fede, deve saper raccontare la fedeltà e le meraviglie del Dio-con-noi, sapendo " mostrare Dio " e " dire la fede " in termini innovativi e significativi, facendosi carico di una nuova cultura della speranza. Le b. sono la trasparenza di Dio nella vita del mistico che si manifesta in segni immediatamente percepibili come maturità umana, solidarietà fattiva, compassione e tenerezza, fraternità e pace, fede che sa rischiare. Il mistico, che vive in pienezza le singole b., manifesta la felicità possibile già qui ed ora posseduta da chi ormai vive nel cuore di Dio e l'impegno costruttivo a favore di un'umanità nuova.

III. Lo spirito delle b. a. Felicità dei poveri. Nel testo greco di Mt 5,3 viene usato il termine ptochos: mendicante, misero, incapace di provvedere alle proprie necessità per indicare colui che attende dagli altri i mezzi di sussistenza e manca del necessario. In ebraico abbiamo due termini quasi simili: 'anî e 'anaw. Il primo indica colui che cede, si piega, l'uomo che si abbassa, si curva, si sottomette: è l'oppresso. Il secondo, quasi sempre usato al plurale, indica persone discrete, umili, sottomesse, miti, la cui umile sottomissione si trasforma spontaneamente in atteggiamento di fiduciosa adesione a Dio. Per l'ebraico dunque il " povero " è l'uomo senza difesa. La prima b. rimanda all'oracolo di Is 61,1-3, ripreso anche da Luca nel discorso inaugurale di Gesù alla sinagoga di Nazaret e offerto quale risposta ai discepoli del Battista: " ...Ai poveri è predicata la buona novella " (Mt 11,5). Con l'avvento definitivo del regno di Dio i poveri godranno veramente e pienamente degli effetti della sollecitudine di Dio, che colmerà di beni gli affamati e rimanderà i ricchi a mani vuote (cf Lc 1,52-53). Ecco perché l'annuncio dell'imminenza del regno di Dio non può che riempire di gioia i poveri: Dio stesso sta per prendersi cura di loro, facendone l'oggetto della sua regale sollecitudine. Colui che ha uno spirito da poveri vive la sua totale adesione a Cristo con uno stile di vita umile: " Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti " (Mc 9,35). Avere uno spirito da poveri significa avere il coraggio di piegarsi con umiltà nel servizio, sull'esempio di Cristo che non è venuto per essere servito, ma per servire e che " da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà " (2 Cor 8,9). Significa, altresì, diventare sacramento della sollecitudine di Dio, segno eloquente di speranza verso tutti coloro che vivono nell'oppressione. b. Felicità degli afflitti. Secondo il testo di Is 61,1-3 l'inviato del Signore viene anche per " fasciare le piaghe dei cuori spezzati... per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion... ". Gesù proclama beati oi penthountes: quelli che si affliggono. Panthein, infatti, significa " affliggersi-addolorarsi ". Questo verbo, molte volte, è connesso con klaiein (piangere) perché l'afflizione interna spesso si mostra esternamente nelle lacrime. In Lc 6,21 si legge: " Beati voi che ora piangete, perché riderete " e in Lc 6,25: " Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete ".

Nell'AT, l'afflizione è causata dalla partecipazione alle disgrazie altrui (cf Gn 23,2; 50,3). Nel Sal 35,13ss. si descrive la solidarietà con la malattia altrui, solidarietà espressa con il dolore paragonato al lutto che si porta per la morte della propria madre: l'esperienza dell'impotenza umana di fronte alla necessità e il desiderio di aiutare il prossimo sofferente conducono alla preghiera, alla richiesta dell'aiuto di Dio, richiesta che viene intensificata con la penitenza e il digiuno. Nell'elenco delle opere di misericordia in Sir 7,31-36 troviamo anche la partecipazione al dolore altrui: " Non evitare coloro che piangono e con gli afflitti mostrati afflitto " (cf Rm 12,15). Anche il peccato altrui è causa di afflizione (cf Esd 10,6; Ne 9,1). Ebbene, coloro che sanno affliggersi partecipando al dolore altrui saranno consolati da Dio, Padre di ogni consolazione. S. Paolo usa frequentemente il verbo " consolare ". Il testo più esplicito è 2 Cor 1,1-7: " Dio... Padre di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio... ". Il verbo si trova venti volte in Isaia (40-66) e quasi sempre riferito a JHWH. Dio è il vero consolatore; questo è il suo nome: " Io, Io sono il tuo consolatore " (Is 51,12-13); " Come una madre consola un figlio... " (Is 66,13): in Dio potenza e tenerezza " materna " sono un tutt'uno. Il cristiano fa esperienza della consolazione divina ed è chiamato ad essere portatore di speranza e di consolazione; pur facendosi carico delle situazioni di afflizioni, non si lascia abbattere da esse, ma le trasforma con la tenerezza protesa verso il prossimo. La sua felicità sta nel partecipare al dolore altrui, nel vivere in intima comunione con gli uomini suoi contemporanei, non ignaro del carico di sofferenze che questo comporta. Dio lo chiama alla solidarietà con l'umanità peccatrice, ammalata, sofferente, facendosi portavoce della gioiosa consolazione divina. Sperimentando nel quotidiano la consolazione di Dio deve a sua volta farsi consolazione.

c. Felicità dei miti. Nel Sal 37,1-11 i miti sono confrontati con le azioni e il successo dei malvagi contro i quali sarebbero portati a reagire negativamente. Essi però devono evitare quattro cose: non adirarsi, non invidiare, desistere dall'ira, deporre lo sdegno. Con otto imperativi i miti sono chiamati a porre la loro speranza nel Signore: confidare, fare il bene, abitare la terra, cercare la gioia nel Signore, manifestare al Signore la propria via, confidare in lui, stare in silenzio davanti al Signore, sperare in lui! Ne segue che solo una forte e globale direzione verso Dio rende possibile la mitezza. L'uomo che non si pone in direzione di Dio, da solo, di fronte ai malfattori e alle ingiustizie, non riesce ad evitare l'ira e l'invidia. Il mite sa dominare le emozioni negative, come l'ira, e ne evita le manifestazioni che, in realtà, provocano altrettante opposte reazioni e creano divisioni. Anche la correzione fraterna richiede mitezza (cf 1 Cor 4,21; 2 Cor 10,1; Gal 6,1; 1 Tm 2,25). Il mite, consapevole della propria debolezza, non si sente e non si presenta come migliore e superiore rispetto agli altri e corregge colui che ha mancato da pari a pari, da fratello a fratello. Secondo Gc 1,19-21 la mitezza sembra essere la libertà da " ogni impurità ed ogni resto di malizia ", ovvero la libertà da ogni emozione e tendenza oscura e sbagliata che disturba l'ascolto della Parola di Dio. Secondo Matteo la mitezza è un tratto particolarmente caratteristico di Gesù e, infatti, nessun'altra sua qualità viene così rimarcata. Gesù non è un Maestro duro e presuntuoso, ma mite ed umile di cuore (cf Mt 11,29; 21,5). La mitezza di cui parla Mt 5,5 qualifica un atteggiamento e un comportamento molto importante per le relazioni con gli altri. Tale mitezza è caratterizzata dal dominio dei propri impulsi e delle proprie emozioni nonché dal pieno rispetto per la persona dell'altro; è un presupposto essenziale per un agire giusto e sapiente. Soltanto su questa base è possibile una conoscenza serena e indisturbata della volontà di Dio come anche un trattamento rispettoso e amorevole del prossimo. La mitezza comprende e determina le tre relazioni essenziali: con se stessi, con Dio, con il prossimo. E una disposizione interiore che non può essere realizzata solo con uno sforzo umano; richiede dunque una profonda relazione filiale con Dio.

d. Felicità dei giusti. Mt 5,6 dice che della giustizia bisogna avere fame-avere sete. Nel NT questi due verbi, quando sono collegati, esprimono un bisogno naturale ed un desiderio elementare che afferra e penetra la totalità dell'uomo. I due verbi, in senso metaforico, possono esprimere un forte desiderio di Dio e della sua Parola: " L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente... " (Sal 41,3); " O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, di te ha sete l'anima mia... " (Sal 62,2); " Ecco verranno giorni - dice il Signore - in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, nè sete di acqua, ma d'ascoltare la parola del Signore " (Am 8,11). Giustizia indica l'atteggiamento e l'agire secondo una norma retta e valida. Dio viene chiamato " giusto " specialmente in quanto, nella sua misericordia, è fedele alla sua volontà salvifica, adempie le sue promesse, realizza la salvezza degli uomini. L'uomo è " giusto " in quanto agisce secondo le norme stabilite dalla volontà di Dio. " Adempiere la giustizia " (cf Mt 3,15) significa agire perfettamente secondo la volontà di Dio. La b. di Mt 5,10, ripresa e applicata all'uditorio di Gesù in Mt 5,11, parla di " persecuzione " non solo " per causa della giustizia ", ma " per causa mia ": la " giustizia " e Gesù sono strettamente connessi. La superiorità della giustizia dei discepoli (cf Mt 5,20) consiste nel loro agire fedelmente non secondo le norme dei farisei, ma secondo quelle di Gesù; e questo è causa di persecuzione. Fare la giustizia - fare la volontà del Padre (cf Mt 7,21) - fare queste mie parole (cf Mt 7,24), nel Discorso della Montagna, designano la stessa realtà, cioè l'agire umano necessario per entrare nel regno dei cieli: " Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta " (Mt 6,33): si oppone alla cura ansiosa del cibo, della bevanda e del vestito. La preoccupazione necessaria ed essenziale è il Regno di Dio! Secondo il Sal 16,15 la giustizia è il presupposto della sazietà. A causa della giustizia, il salmista spera di poter vedere il volto di Dio, di essere saziato da questa contemplazione. Coloro che hanno fame e sete della giustizia possono rinunciare ad ogni affanno nella loro vita perché essa è garantita, in modo assoluto, da Dio (cf Gv 6,35; Ap 7,16-17). Amare Dio e giungere alla piena b. esige il fare la sua volontà e il coraggio di passare attraverso prove e tribolazioni per " causa di Gesù Cristo ". Ma Dio e la sua volontà coincidono, per cui camminare nella divina volontà è camminare in Dio.

e. Felicità dei misericordiosi. La Lettera agli Ebrei (2,17-18) presenta Gesù sommo sacerdote, misericordioso e degno di fede. La sua misericordia è radicata nella sua propria esperienza di sofferenza e di prova e si mostra nell'aiuto effettivo agli uomini che vengono provati (cf Eb 4,15-16). Nell'AT Dio stesso si presenta a Mosè come il " misericordioso e pietoso " (Es 34,6-7). I due termini sono sinonimi (cf Lc 6,36). Misericordia (in ebraico rahamîm da rehem, che significa " grembo materno ") è il legame di grazia, di tenerezza e di amore che c'è fra Dio e l'umanità sua creatura. La b. di Mt 5,7 dichiara felice colui che si fa sacramento della divina misericordia nei confronti del prossimo (cf Mt 9,13; 12,7; 23,23). Anzi, alla luce della parabola di Lc 10,30-37, il samaritano definito come " colui che ebbe misericordia " richiama il cristiano al dovere di " farsi prossimo " di chiunque è nel bisogno. Elementi essenziali della misericordia sono dunque la necessità del prossimo e del farsi prossimo, la compassione e l'aiuto efficace. Per Giacomo (3,17) la misericordia appare come elemento essenziale della vera sapienza e si mostra nelle opere buone. Matteo 18,33 è un prezioso commento alla quinta b., in quanto opera il collegamento fra la misericordia divina e la misericordia umana: la relazione con gli uomini determina la relazione con Dio. Misericordia indica il giusto comportamento dell'uomo nei confronti del suo prossimo che versa in una situazione di necessità e sofferenza e chiede un aiuto che si è in grado di offrire. La beatitudine di Mt 5,7, con cui inizia la seconda metà delle b. riprende e precisa il tema della prima b. La " povertà in spirito " significa il riconoscimento della propria totale dipendenza da Dio. A tale dipendenza appartiene il fatto che noi peccatori, per la nostra salvezza e vita, dipendiamo dalla misericordia di Dio. A questa si aggiunge la dipendenza del prossimo da noi. Se l'aiuto decisivo di Dio verso di noi, che siamo deboli e poveri, ci raggiunge, esso diviene definitivamente efficace solo quando ci siamo sforzati di aiutare i nostri fratelli in necessità. Questa b. pone in risalto gli aspetti positivi della fisionomia del discepolo, cioè come egli deve agire. La misericordia è la passione di Dio per l'uomo, e la stessa passione nel dono dell'amore viene richiesta da Dio all'uomo nei confronti del prossimo.

f. Felicità dei puri di cuore. Per la Bibbia il termine cuore indica la sede dei pensieri (cf Mt 9,4; 24,28), della comprensione (cf Mt 13,15), del riconoscimento dei valori (cf Mt 6,21), delle aspirazioni e delle attività (cf Mt 15,19), degli atteggiamenti verso gli altri (cf Mt 11,29; 18,35) e del rapporto con Dio (cf Mt 15,8; 22,37). E il centro della vita intellettiva, volitiva ed emozionale dell'uomo, il luogo di origine, di riferimento e di unità di tutti i suoi rapporti con Dio e con gli altri. E felice, secondo Mt 5,8, colui che mantiene il cuore - così inteso - puro. Puro è ciò che è conforme a Dio, che appartiene alla sfera di Dio. Il cuore è decisivo per la purezza dell'uomo; dal cuore dipende se l'uomo appartiene alla sfera di Dio e piace a Dio. Il cuore puro è quello conforme alla parola di Dio, libero da tendenze ed impulsi che spingono ad azioni contrarie alla volontà di Dio (cf Es 20,13-16). I puri di cuore sono coloro che, proprio a partire da tale centro interno, sono conformi alla volontà di Dio. Secondo il Sal 24, si può avvicinare a Dio " chi ha mani innocenti e cuore puro ": le mani indicano l'agire esterno, il cuore i movimenti interni (pensieri, intenzioni, emozioni). All'innocenza delle mani e alla purezza del cuore è collegato il desiderio della presenza di Dio, desiderio saziato con la visione escatologica (cf Mt 5,8). Anche l'orante del Sal 51, dopo il riconoscimento della misericordia divina e del proprio peccato, chiede un cuore puro perchè non sia respinto dalla presenza di Dio; anche in Is 6,5-6 la purezza appare come la condizione per " vedere " Dio. Chi ha un " cuore puro " è anche capace di amore fraterno (cf 1 Tm 1,5). Il cuore puro, infatti, è la fonte da cui proviene la carità (cf 1 Pt 1,22).

g. Felicità degli operatori di pace. La b. di Mt 5,9 pone nuovamente, come le prime tre, l'attenzione sull'agire esterno. Secondo il testo di Mt 10,12ss., essere " operatori di pace " significa mettere sempre Gesù al primo posto, anche a costo di " perdere la pace " con le persone più care. La pace ama la franchezza e la schiettezza, la mormorazione invece distrugge la pace e causa dolore. Per s. Paolo, Gesù Figlio del Padre è l'operatore di pace per eccellenza, avendoci liberati dal peccato e ristabilito la pace con Dio (cf Col 1,20). Cristo è talmente operatore di pace da venire chiamato in Ef 2,14-17 " nostra pace ". Lo spirito di servizio (cf Mc 9,35) deve dare sostanza e sostenere nei discepoli sia il loro comportamento che i loro rapporti i quali devono avere, come misura e punto di orientamento, la pace. La pace fra i membri della comunità designa lo stato perfetto delle loro mutue relazioni (cf 2 Cor 13,11). La pace è frutto dell'amore di Dio e presuppone l'amore (cf Gal 5,22). Gli operatori di pace sono coloro che fanno la pace e, per essa, s'impegnano. L'impegno per la pace racchiude in sé tutti gli atteggiamenti delle b. precedenti e si esprime anche con un atteggiamento " sereno ". A questo punto, pace assume anche il significato di riappacificazione con il creato, con se stesso e con Dio, pacificazione interiore interrotta dal peccato, ma ora recuperata da e in Gesù Cristo (cf Ef 2,14ss.).

IV. Conclusione. Le b. esprimono la promessa di un futuro che manifesta l'avvenuto regno di Dio in ogni uomo che vive il Vangelo di Gesù Cristo come lui, unito indissolubilmente alla volontà del Padre. Tale testimonianza è tipica del mistico che esprime in sé il cammino della storia nel segno di una positività verso la realtà ultima, ove ogni uomo di buona volontà raggiungerà la sua pienezza in Dio.

Bibl. Aa.Vv., Alle fonti della spiritualità cristiana. Le otto Beatitudini, Assisi (PG) 1981; Aa.Vv., Il mondo dell'uomo nascosto. Le Beatitudini, Roma 1991; D. Buzy, s.v., in DSAM I, 1298-1310; J. Castellano, Beatitudine, in DES I, 292-294; G. Ciravegna, Le Beatitudini del Vangelo, Milano 1992; G. Colzani, Beatitudine, in DTI I, 491-503; J. Dupont, Beatitudine-Beatitudini, in NDTB, 155-161; Id., Le Beatitudini, Roma 1979; G. Helewa, Beatitudini evangeliche, in DES I, 294-333; M.J. Le Guillou, Quale felicità? Riflessioni sulle Beatitudini, Padova 1992; G. Lohfink, Per chi vale il Discorso della Montagna?, Brescia 1990; C.M. Martini, Le Beatitudini, Milano 1990; S.A. Panimolle, Il Discorso della Montagna, Milano 1986; M. Russotto, Le Beatitudini evangeliche, Città del Vaticano 1991; L. Serenthà, Il regno di Dio è qui. Il Discorso della Montagna, Milano 1988; C. Stock, Gesù annuncia la beatitudine, Roma 1989.

M. Russotto

BEATRICE DI NAZARET. (inizio)

I. Vita e opere. B. è una esponente della vivace realtà ecclesiale fiamminga del sec. XIII in cui anche il mondo femminile entra con responsabilità creativa (cf movimento delle beghine). Nata nel 1200 a Tienen, orfana di madre a sette anni, B. viene educata dalle beghine di Léau e, poi, nel monastero cistercense di Bloemendael fondato dal padre, dove, a sedici anni, è ammessa alla professione religiosa. In seguito B. si trasferisce negli altri due monasteri fondati dal padre, quello di Maagdendaal e di N.S. di Nazaret (1236-37) nei pressi di Lier, dove sarà priora fino alla morte, avvenuta nel 1268.

B. scrive la propria vita in antico fiammingo (fino al 1236) intervallata da riflessioni di ascetica e mistica. Di quest'opera perduta resta una traduzione-rielaborazione in latino, Vita Beatricis, e, nella lingua originale, solo il breve trattato Seven Manieren van Minne (Le sette modalità dell'amore).

Stando alla sua biografia, B. è una donna colta, lettrice assidua della Bibbia, aperta alle amicizie, " impastata " di affettività, ma anche concreta nella sua attenzione al prossimo. Appassionata di Dio, B., sia da bambina che da adulta, vorrebbe conquistarlo gettandosi in pratiche ascetiche esagerate che arriverà a moderare solo quando sperimenterà come dono l'unione con Dio. Nelle frequenti " visioni ", legate di solito alla lettura della Scrittura e alla liturgia, B. è confermata nella conoscenza amorosa di Dio Trinità e di Gesù Cristo (attirata soprattutto dalla sua passione, dal suo cuore e dall'Eucaristia).

II. Insegnamento mistico. Il trattato sulle sette modalità dell'amore descrive, benché non in prima persona, l'esperienza dell'Autrice. Le sette modalità, secondo il sottotitolo L'amore prende sette forme, che vengono dalla cima dell'essere e fanno ritorno alla sommità, vengono presentate via via con chiarezza e calore insieme.

Nel primo modo, che consiste nel " desiderio attivo dell'amore ", B. nota che l'origine di tale desiderio si trova nella stessa persona umana che vuole servire il Signore in " purezza, nobiltà e libertà ", poiché così Dio l'ha creata a sua immagine e somiglianza. Nel secondo modo viene messa in rilievo la gratuità dell'amore. L'anima, la persona " vuole servire nostro Signore per niente: amarlo semplicemente, senza perché " (espressione tipica di B. ripresa in seguito dai mistici renani). Il terzo modo è caratterizzato dal desiderio di amare Dio in modo totale e perfetto, di fare tutto " per servire, onorare e amare l'Amore secondo la sua dignità ". L'anima, pur rendendosi conto che l'assoluta perfezione è al di sopra delle possibilità umane, non si dà pace, " le sembra di morire senza morire e in questa morte soffre l'inferno. (...) Nessun compimento, nessuna soddisfazione, nessuna pacificazione si lascia intravvedere ". Il Signore solo, non uno sforzo più generoso della persona, può fare uscire l'anima da questo modo. Così, nel quarto modo, B. descrive la svolta: ora è il Signore a suscitare i movimenti dell'anima ricevuti in maniera passiva. L'amore si manifesta senza causa umana, il cuore ne è infuocato e l'anima " non è più che amore " (perdendo talvolta forze fisiche e sensi). Nel quinto modo, nella fruizione dell'amore, l'anima può ricevere una grande energia e capacità di operare oppure essere talmente sopraffatta dall'amore da sentir scoppiare corpo e cuore. La " fidanzata " (termine qui usato nel testo per la prima volta) è nel tormento: la sua anima più riceve più anela a ricevere. Nel sesto modo, la fidanzata del Signore riconosce che l'amore regna in lei e che può sia agire che riposare: tutto le diventa facile, " nella prudenza, saggezza, dolcezza e forza della carità ", comincia la vita eterna. Questo sembra essere il grado culminante dell'amore, ma B. aggiunge il settimo modo, nel quale l'anima si trova al confine, doloroso e felice, della situazione definitiva in Dio e nella Trinità (con termini che appaiono solo ora: Ben-Amata, Amato, Ben-Amato, Sposo). Dalla terra-esilio, la fidanzata arde per Cristo (cf Fil 1,23), per il tempo nel quale " contemplerà appassionatamente colui che ha amato così teneramente e (...) così fedelmente servito ", ormai totalmente " unita al suo Sposo ".

La " mistica " di B. sottintende la positività della persona umana e del suo amore, insofferente di ogni limite, per Dio Creatore. Nella dinamica dell'amore, originata unicamente dall'amoreAmore, non da dovere o timore, è messo in luce il passaggio dall'agire al ricevere da Dio nonché il carattere sponsale dell'unione con il Signore. In coerenza con l'accento sull'amore per l'umanità di Gesù, tale " mistica " presenta l'amore fattivo verso gli altri quale via e segno imprescindibile del cammino di unione con Dio.

Bibl. Opere: Beatrijs van Nazareth, Seven manieren van minne, ed. L. Reypens e J. van Mierlo, Leuven 1926; Id., Sept degrés d'amour. Traduction du moyen-néerlandais, in Hadewijch, Lettres spirituelles, Genève 1971; Vita Beatricis, ed. L. Reypens, Antwerpen 1964. Studi: Giovanna della Croce, s.v., in DES I, 333-335; Ead., I mistici del Nord, Roma 1981, 19ss.; G. Epiney-Burgard - E. Zum Brunn, Le poetesse di Dio, Milano 1994, 85-107; J. van Mierlo, s.v., in DSAM I, 1310-1314; F. Willaert, s.v., in WMy, 47-48.

S. Cantore

BEDA IL VENERABILE (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Nato nel 672673 nella regione del nord d'Inghilterra, al di là del fiume Humber, Northumbria, da famiglia presumibilmente cristiana, B. viene affidato dai " parenti più prossimi " (forse perché rimasto orfano) all'età di sette anni ai monaci benedettini del doppio monastero dei SS. Pietro e Paolo di Jarrow. I suoi principali maestri sono s. Benedetto Biscop ( 690), fondatore, e s. Ceolfrido, suo successore ( 716), in un periodo di forte espansione di quell'istituzione monastica, guidata da questi due uomini colti e santi, costruttori e legislatori, viaggiatori instancabili alla ricerca di quanto può arricchire culturalmente, spiritualmente e liturgicamente il monastero. B. rimane profondamente influenzato da essi, così da sentirli come padri. La Regola, da essi scritta, è composita, marcatamente "romana" ma, forse, non strettamente benedettina. B. riceve un'ottima formazione classica e religiosa, grazie all'insegnamento di sapienti maestri e all'aiuto di una ben fornita biblioteca monastica.

E presumibile che la composizione dell'opera Storia ecclesiastica degli Angli l'abbia indotto a portarsi sui luoghi da descrivere. Muore il 25 maggio del 735, ai primi vespri dell'Ascensione. Il suo corpo riposa nella cattedrale di Durham. Le sue opere e la fama della sua santità attraversano il Medioevo, di cui è uno dei pedagoghi con Alcuino ( 804) e la scuola di York. Il Concilio d'Aquisgrana (836) lo proclama Doctor admirabilis e Leone XIII lo dichiara Dottore della Chiesa nel 1899.

Possiamo assegnare i principali scritti teologici, in base ai risultati della critica, a tre fasi successive. Prima fase (701-709): Explanatio Apocalypsis (3 libri); In Epistolas septem catholicas, Expositio Actuum Apostolorum e le Adnotationes in principium Genesis. Seconda fase (710-720): In Lucae Evangelium expositio; Retractatio in Actus Apostolorum; In Regum Librum triginta quaestiones; In Cantica Canticorum; In Canticum Habacuc. III Fase (721-735): De tabernaculo; In Ezram et Neemiam; In Marci Evangelium Expositio; De templo. Opere completate in seguito: De temporum ratione; In principium Genesis II-IV; Homeliarum Evangelii libri duo; Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum. L'attenzione di B. si rivolge, come si vede, anzitutto ai libri storici della Bibbia e alla storia della Chiesa sia universale che particolare, come pure all'esegesi scritturistica in genere: è chiaro l'accento sul rapporto tra Bibbia-storia-ecclesiologia e, da certi punti di vista, liturgia. Ma i suoi interessi sono quasi enciclopedici, comprendendo anche opere sulle scienze del trivium e del quadrivium, agiografiche, poetiche, di ortografia, di metrica, di computo e di cronologia.1

II. Concezione teologica del B. 1. L'orizzonte. Le sue opere teologiche sembrano nascere come risposta teologica alle situazioni e ai progetti della Chiesa anglosassone. Esse costituiscono una lettura della realtà ecclesiale alla luce della Parola di Dio, interpretata dai Padri e attualizzata nella liturgia; a sua volta la Scrittura è interpretata alla luce delle celebrazioni liturgico-sacramentarie e della vita delle chiese locali, northumbriche e britanniche e della Chiesa universale. I loro destinatari non sono ravvisabili né in monaci da edificare (la teologia di B. non è monastica, in senso stretto), né in chierici da istruire (la teologia del B. non è scolastica), né in ascoltatori di omelie, ma sono invece ravvisabili, primariamente, in predicatori ed educatori (ecclesiastici e laici).

1. I contributi teologici. In ambito ecclesiologico egli si muove con trattazioni organiche (cf. De Tab., In Ezram, De templo e Comm. al Cant. dei Cant.). Il tema in lui ricorrente è quello della Chiesa in sviluppo (ecclesiogenesi) presso nuovi popoli. La Chiesa di B. è quella storica, reale, cioè mixta (mysterium lunae), in lotta con i pagani e gli eretici, coi rudes e i carnales (cf ad es. Storia Ecclesiastica V, 21,544) ed evangelizzata dai predicatori della Chiesa romana e da quelli dei " novi populi " (De Templo I: CCL 119,169-170). B. vede ciò che Gregorio Magno aveva appena intravisto, va oltre la riflessione di lui. L'anima dell'evangelizzazione è più che mai la Parola di Dio, che apre i popoli alla fede e ai sacramenti per mezzo degli evangelizzatori (" doctores " e " fenestrae templi ": Ibid., I: CCL 119,162).

In ambito ecclesiologico-pneumatologico B. vede la Chiesa in costruzione come un " edificio spirituale " secondo 1 Pt 2,4-5 e lo Spirito presente e attivo nella vita di Cristo (cf Exp. Act.: CCL 121,27) fin dall'Incarnazione e in quella dei cristiani, che sono unti per la grazia di adozione a figli per una salvezza eterna, ma non per natura come Cristo (In Habacuc: CCL 119,398-399). I sacramenti dell'iniziazione cristiana sono visti come rinascita e triplice unzione, profetica, sacerdotale e regale o come nuova Pentecoste in forza d'una nuova epiclesi (cf Hom. II, 7: CCL 122, 231; De templo II: CCL 119,214). A livello d'azione, inoltre, tutto inizia, continua ed è seguito dalla grazia dello Spirito (In Ezram I: CCL 119,276; In Cant. Cantic. II: CCL 119,235). In ambito ecclesiologico-liturgico e sacramentario, B. sviluppa una riflessione sistematica sulla vita cristiana come culto sacerdotale. Questo tema egli lo incontra fin dai suoi primi scritti (cf Expl. A poc. e Comm. a 1 Pt), poi nella reinterpretazione delle istituzioni cultuali ebraiche (cf In Samuelem, De tab., In Ezram, De templo) e, infine, nella lettura tipologico-sacramentale dei misteri della vita di Cristo (cf In Luc. Ev. exp., In Marc. Ev. exp. e Hom. Ev. libri duo) e della Chiesa primitiva (cf Exp. Act. Ap.). In ambito di teologia spirituale, B. si rivolge ai " perfecti ", cristiani maturi e ai monaci, in particolare, la cui perfezione non si deve limitare all'ascesi e alla contemplazione personale, ma, come il Figlio di Dio incarnato, essi devono prendersi cura della salvezza degli altri, specialmente dei pagani. La sua teologia spirituale presenta una maturità cristiana come perfezione dell'amore, culminante nella cura pastorale e nella evangelizzazione missionaria.

III. Dottrina ascetico-spirituale. Parlando del cristiano investito della dignità del sacerdozio comune dei fedeli, a B. appare come prerequisito la purificazione dal peccato, allo scopo che il cristiano possa offrire azioni sante (cf In Ezram II: CCL 119,336; Ibid. III: CCL 119, 388; cf Rm 12,1 e Ps 50,19). La stessa penitenza dei peccati commessi è offrire sacrifici graditi a Dio (In Ezram I: CCL 119, 264). Da questa prima fase di purificazione, si deve passare a quella dell'acquisto delle virtù, mediante l'ascesi (mortificazione e preghiere) per assecondare la grazia dello Spirito (cf De Tab. III: CCL 119, 126), ma, in particolare, per l'imitazione e la sequela di Cristo morto e risorto (cf Expl. Apoc. I: PL 93,145-146). Ciascun fedele, poi, è tenuto ad amare il prossimo, conformemente al Figlio di Dio incarnato, che preferì la misericordia al sacrificio. B. sottolinea il valore nuovo che assumono le espressioni di carità verso il prossimo, in quanto Cristo le considera rivolte a sé (cf Hom. II, 4: CCL 122,210). Un'altra espressione di sacrificio spirituale è la preghiera intesa, al modo patristico, come ogni azione compiuta per amore di Dio: l'intera vita è un'interrotta liturgia (cf In Luc. V: CCL 120,322). Alla preghiera sono legati l'intercessione a Cristo, imitato nella sua mediazione presso il Padre, e il perdono fraterno dei peccati leggeri. Da notare, inoltre, che B. è un testimone nella Chiesa anglosassone dell'Eucaristia ed un apostolo della Comunione quotidiana o frequente, di cui tratta nella Lettera a Egberto.

Notiamo anche che B. fa sua la divisione tradizionale dei cristiani in "principianti", "proficienti" e "perfetti", le cui ultime due categorie si differenziano in base al grado dell'amore, inteso in senso integrale e che B. denomina " compunzione " (cf De Tab. III: CCL 119,131-132). Ci sono altre categorie più perfette di cristiani, cioè i "vergini", i "martiri" e i "ministri della Parola".

IV. Dottrina mistica. Nel commento al Cantico dei Cantici B. continua ad esprimere secondo diverse tonalità, il suo pensiero sulla contemplazione e la mistica. Egli rileva nella Chiesa in terra delle pause di contemplazione, in cui sente la voce dello Sposo (Cant. 2,8), che gradisce assai. Infatti, anche se per ora non è lecito contemplare il suo volto, tuttavia è dato di gustare la dolcezza delle sue parole nella Scrittura. Ad alcuni, anzi, per un dono più grande (altiore dono) è concesso, innalzato lo sguardo della pura mente alle cose celesti (ut sublevato ad caelestia purae mentis intuitu), di pregustare qualche soavità della vita futura anche ora (cf In Cant. Cantic. I: CCL 119,218). Per B. la vita contemplativa è bella ed è utile anche per tutta la Chiesa. Ma è dono riservato ai cristiani più perfetti godere della visione interiore di Cristo, che appare al loro spirito con la velocità del cerbiatto o che si lascia intravvedere per speculum et in enigmate, come attraverso una cancellata (cf Ibid. I: CCL, 218-220). E una situazione che lascia trepidante la Chiesa, che, se non rifiuta la fatica dell'evangelizzazione, tuttavia chiede che Cristo si renda presente più spesso almeno ai fedeli più perfetti (cf Ibid. II: CCL 119,228-229). L'azione divina è in questo determinante, " perché lo sforzo umano non produce la contemplazione, ma vi dispone " (F. Vernet). Il tipico binomio bedano contemplazione-azione viene approfondito sempre nel commento al Cantico dei Cantici, come là dove ricorda che " la santa Chiesa riconosce nel presente terreno due vite spirituali, una attiva, un'altra contemplativa " e la Scrittura parla ora della contemplativa (cf Cant. 2,8), ora dell'attiva (cf Ibid. 2,15), ora di ambedue (cf Ibid. 2,16). Il Signore si diletta sia dell'azione pura fuori, sia della dolce contemplazione più interiore (dulci interius aeternorum contemplatione) fino a che verrà il giorno della vera luce (dies verae lucis), allorché non ci affaticheremo a compiere alcuna azione buona né i più perfetti contempleranno di sfuggita e per speculum et in enigmate le cose celesti, ma tutta la Chiesa allo stesso tempo vedrà il Re del cielo in persona nel suo splendore. Ciò nonostante la Chiesa in un'apostrofe a Cristo lo implora che " la dolcezza della vita immortale, che prometti come ricompensa a tutti i miei membri, tu lasci ad alcuni ancora in cammino, sia pure da lontano, contemplare " (In Cant. Cantic., II: CCL 119,229-230). Precisiamo che quanto detto da B. circa l'azione-contemplazione è da riferirsi sia alla Chiesa che all'anima. Da parte sua, B. non tralascia di far intravvedere la sua stessa esperienza spirituale-mistica. Ma Cristo non sempre anticipa, al presente, la visione che promette a coloro che giungono alla patria. Come si vede, la perfezione e la contemplazione per B. non si costruiscono fuori della storia. Tale verità è legata anche al fatto che da quando Dio si è incarnato vi è solo un modo per incontrare Dio, ossia nella dispensatio humanitatis Christi. B. coglie una realtà da cui non è più possibile prescindere: il Verbo partecipa alla condizione umana e il cristiano partecipa alla condizione divina. Questa reciproca partecipazione si verifica nei sacramenti dell'umanità di Cristo, non fuori della storia e il cristiano deve rendere a Dio il proprio culto sacerdotale all'interno di questa escatologia storicizzata (G. Caputa). Ma il discorso di B. circa la contemplazione mistica si fa anche più tecnico e preciso. " Unica quindi e sola è la visione (theoria), cioè la contemplazione di Dio (...) " (In Luc. ev. III: CCL 120,226). In questo passo, con riferimenti a Cassiano e a Gregorio Magno, egli rileva che le due sorelle Marta e Maria rappresentano, la prima la vita attiva, con la quale ci rendiamo solidali col prossimo, la seconda quella contemplativa, con la quale respiriamo profondamente nell'amore di Dio. Ambedue sono legittime e " la perfezione di quella contemplativa è di distaccare la mente da tutte le cose terrene e, per quanto lo permette la debolezza umana, unirla a Cristo ", mentre quella attiva consiste nelle fatiche del ministero. Paolo ha attuato entrambe queste attività nell'esercizio del suo ministero tra i pagani. Che se, poi, " la vita attiva suda nella lotta faticosa, la vita contemplativa, sedati i tumulti dei vizi, gode già in Cristo della quiete desiderata della mente " (Ibid. III: CCL 120,226). Solo, però, alla fine dei tempi, quando avrà luogo l'ingresso in cielo dei beati anche con i loro corpi, la Chiesa apparirà compiuta nella sua costruzione e si avrà la festa della sua "dedicazione". Allora, Cristo sommo sacerdote, trasformerà i suoi fedeli in "sacrificio" perfetto in senso individuale e sociale. Il duplice amore, infatti, a Dio e al prossimo sarà perfetto nella pienezza della comunione fraterna e nella comune visione di Dio (cf Hom. II, 24: CCL 122,365-366).

La mistica di B. culmina con la visione diretta di Dio in cielo, quando ogni mediazione della Scrittura e dei sacramenti terminerà, ogni contemplazione dei misteri di Dio mediante la meditazione della Scrittura e della celebrazione liturgica cesserà con il sopraggiungere della contemplazione (cf In Ezram II: CCL 119,306). Finirà pure la vita attiva, di cui, però, " sopravvive il frutto perpetuo ", rimarrà solo la vita contemplativa, quale " actio quietissima ac felicissima " consistente nel cantare per sempre l'inno di ringraziamento al Creatore (cf Hom. I, 9: CCL 122,64-65).

Note: 1 Cf I. Cecchetti, s.v., in BS II, 1006-1074.

Bibl. Fonti: sono indicate nel testo. Strum. bibl.: C. Leonardi (ed.), Beda Venerabilis, in Medioevo Latino. Bollettino bibliografico della cultura europea dal secolo VI al XIII, Spoleto (PG) 1980ss.; G. Musca, Un secolo di studi su Beda storico, in Id., Il Venerabile Beda, storico dell'Alto Medioevo, Bari 1973, 400-436. Opere generali: M. Schmitt - D. Bauer (edd.), Theologia mystica, Stuttgart 1987. Studi: H. Bacht, The World of Bede, London 1970; G. Bonner, Saint Bede in the Tradition of Western Apocalyptic Commentary, Jarrow 1966; Id., Bede and Medieval Civilisation, in Anglo Saxon England, 2 (1973), 71-90; Id. (ed.), " Famulus Christi ": Essays in Commemoration of the Thirteenth Centenary of the Birth of the Venerable Bede, London 1976; B. Calati et Al., La spiritualità del Medioevo, IV, Roma 1988; B. Cappelle, Le rôle théologique de Bède le Vénérable, in Studia Anselmiana, 6 (1936), 1-40; G. Caputa, Il sacerdozio comune dei fedeli nelle opere teologiche di san Beda il Venerabile (6723-735). Contributo a una teologia liturgico-spirituale, tesi dottorale, Roma 1991; T.A. Carroll, The Venerable Bede. His Spiritual Teachings, Washington 1946; Y. Congar, L'Ecclésiologie du haut Moyen Age. De Saint Grégoire le Grand à la désunion entre Byzance et Rome, Paris 1968; A. Furioli, San Gregorio Magno e l'evangelizzazione degli Anglosassoni. Ambiente, storia e metodologia di un'azione missionaria, in Euntes Docete, 42 (1989), 471-493; R. Grégoire, Beda il Venerabile, in DPAC I, 515-558; P. Humter Blair, The Historical Writings of Bede, in Aa.Vv., La storiografia altomedievale, Spoleto (PG) 1970, 197-221; J. Leclercq, La spiritualità del Medioevo (VI-XII secolo). Da s. Gregorio a s. Bernardo, Bologna 19862; C. Leonardi, Il Venerabile Beda e la cultura del secolo VIII, Spoleto (PG) 1973; B. Luiselli, Introduzione: Beda e la storiografia cristiana, in G. Abbolito Simonetti (ed.), Venerabile Beda, Storia ecclesiastica degli Angli, Roma 1987, 5-24; G.W. Olsen, From Bede to the Anglo-Saxon Presence in the Carolingian Empire, in Aa.Vv., Angli e Sassoni al di qua e al di là del Mare, Spoleto (PG) 1986, 305-382; A.-M. Pelletier, Lecture du Cantique des Cantiques. De l'enigme du sens aux figures du lecteur, Roma 1990; F. Vernet, s.v., in DSAM I, 1322-1329; P. Visentin, I fondamenti teologici della vita cristiana secondo S. Beda, Padova 1986.

O. Pasquato

BEGARDI - BEGHINE. (inizio)

I. Il termine indica uomini (boni viri) e donne (mulieres religiose) appartenenti a un movimento spirituale che si colloca tra i religiosi e i laici. Il termine beghine (fr. = begin[e]), originariamente usato in Brabanzia, nei territori di Liegi e nelle zone renane, può essere una corruzione popolare di Albigenses (J. van Mierlo), oppure deriva dal verbo anglosassone beggen (pregare, mendicare) o, più probabilmente, dal fr. antico bege (lana grezza o non tinta) con il suffisso inus, cioè beg(h)inus, persona che indossava l'abito degli eretici (catari o lollardi). Il termine begardi (bogardi, beg(h)inhardi), sviluppatosi da beguinus e usato non prima del sec. XIII, fu applicato prevalentemente in senso ereticale. I termini acquistavano un significato ambiguo perché non si distinguevano sempre i centri ortodossi dai gruppi che diffondevano dottrine eterodosse (Fratelli del libero spirito).

II. Vita ed esperienza. I b. vivevano insieme in case comuni e più tardi nei beghinaggi, formati da un complesso di casette per due o tre persone, entro un recinto nel quale, a volte, venivano costruiti un oratorio o una chiesa e, talvolta, un cimitero. Nel sec. XIII il numero dei beghinaggi crebbe rapidamente in tutta Europa, ma soprattutto nei paesi nordici, accogliendo centinaia di donne. Luigi IX ( 1270), re di Francia, fece costruire a Parigi un beghinaggio per 400 donne e sostenne tale fondazione non solo con la sua generosità ma anche con pie allocuzioni. I b. non emettevano voti perpetui perciò potevano tornare nel mondo e anche sposarsi. Non formavano comunità di vita conventuale, erano senza superiori regolari e sceglievano un(a) responsabile o superiore(a) locale che viveva già nel beghinaggio. Un sacerdote diocesano o un religioso (domenicano o francescano) provvedeva alla celebrazione della Messa. I b. si dedicavano, in comune o privatamente, a esercizi di pietà, praticavano opere di carità (assistenza a malati a domicilio, ecc.), si guadagnavano da vivere con lavori manuali, con l'insegnamento, talvolta andavano perfino a mendicare. Nell'ultimo Medioevo i beghinaggi diventarono case di accoglienza per i poveri e, al tempo stesso, servivano come ricoveri di vedove (per es. la madre di Ruusbroec) o anche di donne anziane e benestanti.

I beghinaggi venivano preferibilmente eretti nelle città, ma le b. vivevano anche in luoghi isolati e in gruppi peregrinanti, non sempre ben viste dall'autorità diocesana. Il movimento, che si collega strettamente ai movimenti femminili dei secc. XII-XIII, ha paralleli in Francia (papelardes), in Italia (pinzocchere o bisocche, da non confondere con le mantellate), e in Spagna (beate).

Tale movimento si spiega storicamente data l'impossibilità di donne consacrate (recluse) a continuare a vivere associate a un Ordine religioso e a seguire una Regola, cosa proibita dalla nuova disciplina monastica (riforma gregoriana) del sec. XII. Per tale motivo le b. cominciarono a raggrupparsi in associazioni autonome per dedicarsi a una fervida vita religiosa, ma senza formare conventi. Per esempio, nel 1170, il sacerdote Lamberto organizzò a Liegi una casa di b., mentre nella fondazione (1180) di s. Ivetta di Huy () si allestì un lebbrosario assistito da b. Probabilmente c'erano già case nella prima metà del sec. XII.

Giacomo di Vitry ( 1240), il grande protettore del beghinismo in Belgio, ne ottenne da Onorio III ( 1227) l'approvazione, sebbene non per iscritto, e il movimento si diffuse rapidamente in Francia, in Olanda e in Germania lungo il Reno. Nei beghinaggi vissero alcune mistiche importanti del sec. XIII: Hadewijch, Dolcelina ( 1274), Matilde di Magdeburgo, Margherita Porete, Lutgarda di Tongres ( 1246), Ida di Nivelles ( 1231). I loro scritti s'inseriscono nella letteratura mistica dei movimenti femminili, motivo per cui difficilmente si può parlare di una " mistica delle beghine ". Alcune di esse, poi, entrarono in monastero.

La situazione giuridica delle b. peggiorò in seguito alla condanna del Concilio di Vienne con la Bolla Ad nostrum del 6 maggio 1312, condanna (1317) ripetuta poi da Giovanni XXII ( 1419). Esse furono condannate perché, pur non vivendo in uno stato stabilito dalla Chiesa, si occupavano di alte questioni spirituali, come la perfezione (perfectio), la beatitudine eterna, la purezza continuata dopo la morte, la contemplazione pura (altitudo contemplationis), la libertà. Un secondo decreto considerava le b. persone alienate (quasi perducte in mentis insaniam) che diffondevano dottrine contro la fede cattolica (ad esempio Lo Specchio delle anime semplici della Porete già proibito nel 1306). Se si permetteva alle b. di condurre un'umile vita di penitenza, in alcuni luoghi esse venivano costrette a vestire abiti secolari. Ciò nonostante il loro numero cresceva a dismisura e non mancarono autori come Taulero o Ruusbroec che difesero la loro ortodossia, mentre dall'altra parte andavano diminuendo le b. carismatiche. I beghinaggi continuarono ad espandersi sino all'età del barocco, epoca in cui furono arricchiti di ampie chiese e vissero ancora b. mistiche (Maria di Oisterwijk, ( 1547).

Bibl. D. Appelo-van Paasen, Het ontstaan van de Begijnen bewegung, Amsterdam 1978; P. Dinzelbacher - D.R. Bauer, Movimento religioso e mistica femminile nel Medioevo, Cinisello Balsamo (MI) 1993; P. Dinzelbacher, s.v., in WMy, 48-49; H. Grundmann, Le beghine del XIII secolo, in Id., Movimenti religiosi nel Medioevo, Bologna 1974, 295-324; E.W. McDonnell, The Beguines and Beghards in Medieval Culture, New Brunswick 1954; J. van Mierlo, s.v., in DSAM I, 1341-1352; O. Nübel, Mittelalterliche Beginenund Sozialsiedlungen in den Niederlanden, Tübingen 1970; J.Ch. Schmitt, Mort d'une hérésie. L'Église et les clercs face aux béguines et aux bégards du Rhin superieur du XIVe et XVe siècle, Paris 1978.

Giovanna della Croce

 

BELLARMINO ROBERTO (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Nato a Montepulciano (SI) il 4 ottobre 1542, entra nella Compagnia di Gesù nel 1560 e viene ordinato sacerdote a Gand nel 1570. Occupa la cattedra di controversia al Collegio Romano (1576-1587) fondata da s. Ignazio. Insegnante, predicatore, apologeta della sede di Pietro, nominato cardinale nel 1599, per tre anni regge la diocesi di Capua (1602-1605). Teologo personale del papa, si occupa in prima persona delle più spinose questioni dell'epoca: l'interdetto veneziano (1606-1607), la controversia anglicana (1607-1609) e quella gallicana (1610-1612) sul potere temporale del papa. Come membro dell'Inquisizione interviene nel primo processo (1615-1616) a G. Galilei ( 1642), al quale è legato da sentimenti di stima e di ammirazione. Trascorre gli ultimi anni in ritiro a Roma (1614-1620), dedicandosi allo studio ed alla redazione di opere ascetiche. Muore il 17 settembre 1621.

B. ha lasciato una cospicua produzione di opere dogmatico-polemiche, storiche, esegetiche, ascetiche.

L'opera principale è costituita dalle Disputationes de controversiis christianae fidei adversus huius temporis haereticos, comunemente detta Controversie (3 voll., 1583-1593), opera nella quale B. propone una summa delle questioni dottrinali sorte tra cattolici e protestanti, mettendo per iscritto il testo dei corsi tenuti al Collegio Romano dal 1576 al 1588. L'influenza esercitata da questo scritto, nella cultura protestante e non, fu notevole, tanto che nel 1600 fu fondato ad Heidelberg il Collegium Antibellarminianum e per mezzo secolo l'opera di B. fu al centro dell'attenzione dei teologi non-cattolici.

Contrariamente all'opera dogmatico-polemica, compatta e saldamente organizzata nelle Controversie, l'opera ascetica di B. si ritrova in molteplici trattati ed opuscoli risalenti agli anni della maturità, scaturiti dalla riflessione biblica, dagli studi patristici ed infine dall'esperienza di tutta una vita al servizio della Chiesa.

Fanno parte di questo gruppo, tra le altre: De ascensione mentis in Deum per scalas rerum creaturam (Roma 1615); De aeterna felicitate sanctorum (Roma 1616); De septem verbis a Christo in Cruce prolatis (Anversa 1618); De cognitione Dei (postuma, Lovanio 1861).

II. Dottrina spirituale. Il pensiero di B. affonda le radici nella spiritualità ignaziana, sia per il contenuto che per la forma, poiché egli adotta quale modello il linguaggio sobrio e concreto degli Esercizi di s. Ignazio.

Obiettivi primari del suo insegnamento spirituale sono l'amore di Dio e del prossimo, concretamente espressi nel servizio ad entrambi, la virtù, conseguita mediante autocontrollo e sforzo individuale, per progredire in direzione del cielo.

La perfezione cristiana consiste - per B. come già per Ignazio - nella carità intesa nel senso più ampio del termine, poiché questa sola consente all'uomo di pervenire a Dio. La carità è, dunque, la perfezione dell'uomo. Quanto più questi è ricco di grazia, tanto più forte avverte e ricambia l'amore divino, avanzando sulla via della perfezione, con un sentimento che diviene sempre più profondo ed intenso e che si manifesta nella vita della Chiesa, come in ogni forma di servizio all'umanità.

A seconda della più o meno spiccata attività caritativa, la persona ascende ad un diverso grado di perfezione. A questo proposito, B. distingue quattro livelli: il primo è esclusivo delle Persone divine: Diligere Deum quantum est diligibilis, id est infinito amore.1 Il secondo è proprio dei beati: Diligere Deum quantum potest creatura diligere, ita ut semper actu de Deo cogitet et sine intermissione in eum per affectum feratur, et ne primus quidem motus cupiditatis sentiat contra Deum. Il terzo grado è degli uomini che si consacrano a Dio: Diligere Deum quantum potest creatura mortalis, quae a se removit omnia divini amoris impedimenta et totam se Dei obsequio consecravit. Tra questi B. distingue i vescovi, già detentori di una certa perfezione - impegnati a persistervi e ad accrescerla - dai religiosi, ancora tendenti al conseguimento. Infine, il quarto grado spetta a tutti coloro che collocano l'amore di Dio al primo posto e si sforzano di vivere coerentemente: Diligere Deum, ita ut nihil aeque, aut magis quam Deum diligat, id est nihil admittat contrarium divinae dilectioni. Tanto è definitiva l'appartenenza ai primi due livelli, quanto quella ai due gradi inferiori è soggetta ad evoluzione poiché l'uomo vivente su questa terra oscilla tra tensione verso Dio e distacco da lui, simile in ciò all'alternanza delle maree.

In conclusione, B. è un esempio di quella che si può definire la mistica del servizio di Dio. Il suo costante atteggiamento contemplativo, sostenuto da un senso profondo di figliolanza divina gli offre quella pace interiore e libertà spirituale, propria dei mistici, anche tra le occupazioni più assorbenti.

Note: 1 Le citazioni sono riprese da O. Marchetti, La perfezione cristiana secondo il s. cardinale Bellarmino, in Greg 11 (1930), 317-335.

Bibl. Opere: La prima edizione dell'Opera omnia di Bellarmino fu quella di Colonia (1617-1620), seguita da quelle di Parigi (1619), Venezia (1721-1728), Napoli (1856-1862) ed ancora Parigi (1870-1874). Per la nostra consultazione ci siamo avvalsi di quella in 6 volumi, a cura di G. Giuliano, Napoli 1856-1862.

La bibliografia bellarminiana è molto ampia; ci limitiamo a citare due repertori bibliografici che forniranno ampio e concreto orientamento in materia: A. Mancia, Bibliografia sistematica e commentata degli studi sull'opera bellarminiana dal 1900 al 1990, in Aa.Vv., Roberto Bellarmino arcivescovo di Capua, teologo e pastore della Riforma cattolica, Capua (CE) 1990, 805-872; L. Polgar, Bibliographie sur l'histoire de la Compagnie de Jésus, 1901-1980, III. Les Personnes, Dictionnaire AF, Institutum Historicum Societatis Jesus, Roma l990, 234-259. Studi: G. Galeota, s.v., in DSAM XIII, 713-720; I. Iparraguirre, s.v., in BS XI, 247-259; Id., s.v., in DES I, 336-337; E. Raitz von Frentz, Die aszetischen Schriften des R. Bellarmino, in ZAM 7 (1926), 113-150.

M.G. Fornaci