DIZIONARIO DI MISTICA

L. BORRIELLO - E. CARUANA M.R. DEL GENIO - N. SUFFI

C

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CRISI SPIRITUALE. (inizio)

Premessa. La c. è sempre una tappa evolutiva dello sviluppo della vita. La reazione del soggetto in crisi può fare in modo che essa si risolva o in una condizione più ricca della precedente oppure in uno scacco carico di conseguenze nefaste. Le condizioni di una crisi comportano dei fattori endogeni, innati o legati all'età o al vissuto del soggetto, e fattori esogeni del tutto fortuiti, il clima di vita, un ambiente deleterio, degli choc affettivi o degli incontri imprevisti.1

L'inizio di una vita spirituale consiste sempre nella presa di coscienza della responsabilità personale di tutta la vita da parte di una persona posta dinanzi a Dio. Un tale impatto può provocare una crisi anche profonda da non confondersi con una crisi mistica, essendo la prima legata a fattori esistenziali diversi dalla seconda. E necessario conoscere la vita nello Spirito o secondo lo Spirito (cf Rm 8,4ss.; Gal 5,16-17) se si vuol sapere cosa sia la vita spirituale e la c. che può investirla. Si tratta essenzialmente di un problema di fede.

I. Due forme di vita. Dal punto di vista pratico possono esistere due forme di vita, una " religiosa " o del credente onesto e un'altra " interiore " o dei pensatori, dei filosofi, degli artisti. La differenza consiste nell'implicare, la prima, una relazione di dipendenza verso un Assoluto trascendente e personale, nell'approfondirsi autonomamente, la seconda, nell'immanenza della propria vita psichica. La vita spirituale è l'integrazione di queste due dimensioni intese come complementari: essenzialmente interiore la vita spirituale è anche vita dell'uomo di fronte al suo Dio, partecipe della vita di Dio, spirito dell'uomo posto in ascolto dello Spirito di Dio.2

La capacità di opposizione, insita nella natura dell'uomo, lo conduce anche all'esperienza del peccato, della sua opposizione a Dio. Questa esperienza non ha mutato l'essenza dell'essere umano: ha solo alterato la sua santità e la sua relazione soprannaturale con Dio. L'esperienza del peccato può bloccare la realizzazione del sentimento religioso e favorire la caduta nel dubbio, nella sfiducia critica, nell'abbandono. Ciò avviene particolarmente in soggetti dotati di emotività non attiva. Due fenomeni entrano in opera nella c.: uno culturale legato all'ambiente di vita, l'altro della libertà della persona. Quest'ultimo, in una situazione di crisi, può condurre ad un atteggiamento vitale di tipo individualistico che pone il soggetto in opposizione a Dio e al prossimo.

Dio non può mai costringere l'uomo ad amarlo e l'uomo può rifiutare Dio e costruire la propria vita nel rifiuto di lui accompagnato da una volontà di affermazione piena di se stesso. Per quanto questa possa sembrare positiva, essa implica sempre la non accettazione della dipendenza dall'Assoluto trascendente e personale. E in concreto il venir meno di quella sintesi cristiana che è creatrice di un elemento del tutto nuovo: l'Io divino ha parlato al tu umano; la sua parola l'ha creato, l'ha reso cosciente a sua immagine e continua a crearlo e a plenificarlo custodendolo nella comunione vivente con la sua Parola fatta carne.

La situazione storico-culturale, spesso, appare come quella di una " crisi " radicale. Si dà una distorsione culturale tra un immenso, esplosivo appetito di libertà e un così immenso condizionamento sollecitato dalle competenze tecniche indispensabili alla vita moderna. Sotto questo aspetto, poiché ogni libertà si realizza in situazione, la crisi attuale sembra avvenire per dissociazione tra l'esigenza culturale dell'individuo e la sua preparazione tecnico-scientifica indispensabile all'affermazione professionale di sé. Il contrasto avviene tra il " custodire " e il " dominare " la creazione (cf Gn 1). La crisi, pertanto, non è solo psicologica: si tratta di un sovvertimento culturale, né va considerata solo in chiave negativa o distruttiva perché essa può contenere una sua indubbia " produttività ".

II. Crisi culturale e c. spirituale. Una crisi culturale trascina con sé una c. dello spirito. Quest'ultima può aggravarsi quando la spiritualità viene intesa come un ascensus (ascensione) verso Dio invece che come un descensus (discesa) dello Spirito.3 Solo in quest'ultima accezione è possibile l'esperienza di Dio inabitante nella persona umana. Questa inabitazione divina per il dono dello Spirito permette l'esperienza interiore e spirituale del passaggio dallo stato di morte allo stato di vita. Non è sufficiente una catarsi morale o " purificazione " (l'aridità, la notte dei sensi, la notte dello spirito), s'impone una catarsi ontologica, ossia un mutamento dell'intero essere umano: corpo, anima e spirito. E la metanoia evangelica, il mutamento completo di mentalità e di tutto l'essere umano. Tale conversione di vita realizza l'insegnamento che nessuno può conoscere Dio se non ha prima conosciuto se stesso.

Il superamento della c. avviene mediante un rovesciamento, improvviso o lento, traumatico o sereno, per cui la tensione dell'anima alla perfezione per farsi accogliere da Dio lascia il posto alla fede per essere perdonati e accolti così come si è.

Note: 1 Cf J. Mac Avoy, Crises affectives et vie spirituelle, in DSAM II, 2537-2538; 2 Cf P. Evdokimov, Le età della vita spirituale, Bologna 19812, 51; 3 Cf A. Rizzi, Essere uomo spirituale oggi, in T. Goffi - B. Secondin (edd.), Problemi e prospettive di spiritualità, Brescia 1983, 172, 185.

Bibl. Aa.Vv., Initiation à la pratique de la théologie, Paris 1983; Aa.Vv., L'esistenza cristiana, Roma 1990; Ch.-A. Bernard, Teologia spirituale, Cinisello Balsamo (MI) 19893; P. Evdokimov, La novità dello Spirito, Milano 1980; Id., Le età della vita spirituale, Bologna 1981; T. Goffi - B. Secondin (edd.) Problemi e prospettive di spiritualità, Brescia 1983; J. Mac Avoy, Crises affectives et vie spirituelle, in DSAM II, 2537-2538; J. Mouroux, Senso cristiano dell'uomo, Brescia 1948.

C. Morandin

CRISOSTOMO GIOVANNI (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Nasce 1 fra il 344 e il 354 ad Antiochia. Frequenta Melezio ( 381), vescovo di Antiochia, è battezzato nel 372 e ordinato lettore. Studia la Scrittura sotto la direzione di Diodoro di Tarso ( 392 ca.) insieme a Teodoro ( 428), futuro vescovo di Mopsuestia. Dalla scuola antiochena prende il suo indirizzo dottrinale, il metodo scritturistico e l'atteggiamento nell'intepretazione della Scrittura: pensiero greco, morale stoica e rigorismo siriano, senso comunitario e pratico dell'ascetica. La sua evoluzione spirituale lo porta a considerare la superiorità del servizio e della carità su tutti gli altri suoi desideri ascetico-monastici. Senza dubbio esiste un'influenza dell'asceterion di Diodoro di Tarso ( 394) in tutta la sua concezione della vita cristiana: ascetismo e servizio alla Chiesa.

Inizia una vita ascetica prima in Antiochia e dopo sulle montagne circostanti, per quattro anni, sotto la direzione di un monaco siriano, e nel 378-379 vive come solitario nei dintorni di Antiochia, dove si dedica ad una vita ascetica dura che gli provoca una malattia, perciò ritorna in città.

Ordinato diacono da Melezio nel 381 e sacerdote da Flaviano ( 404) nel 386, durante i dodici anni seguenti si dedica alla predicazione alla Chiesa di Antiochia con un profitto straordinario per il popolo perciò sarà chiamato Crisostomo, cioè Bocca d'oro.

Il 27 settembre del 397 muore Nettario, vescovo della capitale, e G. viene scelto a succedergli. Il 26 febbraio del 398 è consacrato vescovo da Teofilo Alessandrino ( 412), che diventerà poi suo acerrimo nemico per tutta la vita.

Riformatore rigoroso e predicatore, in qualche modo estremista, contro i vizi della corte e della città, si rende nemico dell'imperatrice Eudossia ( 404), il che lo porta davanti al Sinodo della Quercia del 403, presieduto da Teofilo. G. viene deposto e condannato all'esilio. Tornato dopo poco, continua a predicare contro i vizi che lo avevano fatto condannare.

Il ritorno, perciò, è breve. Dopo diversi incidenti, nella Pasqua del 404, Arcadio ( 408) lo condanna di nuovo all'esilio, prima a Cucuso, nell'Armenia, e dopo a Pitio, sul Mar Nero. Durante il viaggio, muore a Comano il 14 settembre del 407.

Il catalogo completo delle sue opere è riportato nella Clavis Patrum graecorum, II, nn. 4305-5197, pp. 491-672 (PG 47-64). Le principali sono: 1. Opere autentiche (4305-4472); 1.2: Frammenti (4495,1-34); 2. Opere dubbie e spurie (4500-4724); 3. Opere attribuite a C. e omesse dal Migne (4726-4762); 4. Opere di C. ancora inedite (4840-5079); 5. Versioni (5130-5197). Le lacune presenti nell'enumerazione degli scritti lasciano presumere ulteriori ritrovamenti.

II. Dottrina spirituale. Gli apporti del C. alla storia della teologia non pare abbiano carattere di originalità né che abbiano favorito il progresso della speculazione teologica. Bardy dice al riguardo che la sua teologia può considerarsi " come quella dei semplici cristiani che non cercano altro che vivere bene ".2 Il C., come del resto tutti i Padri, non intende esporre una dottrina spirituale nel senso moderno del termine, ma solo formare spiritualmente i suoi ascoltatori. Per questo motivo, la sistematizzazione della sua dottrina è quasi impossibile: non sempre parla degli stessi argomenti nello stesso senso: difende la solitudine, ma non sempre loda i solitari. Egli è piuttosto un uomo pratico: gli esercizi spirituali intendono sempre aiutare gli altri, anche coloro che si ritirano nel deserto. C. è prima di tutto un pastore, e per questo un predicatore e moralista.

Sulla scia della scuola antiochena, egli fa largo uso della Sacra Scrittura, assumendone, di solito, il senso più immediato; di qui la grande chiarezza dei suoi commenti, a volte duri. L'esperienza iniziale della sua vita ascetica e monastica ha un notevole influsso su tutta la sua dottrina, specialmente sui trattati cosiddetti ascetici. Per C. la compunzione nasce dalla coscienza del nostro male paragonato alla purezza e alla perfezione di Dio, che ha un progetto sull'uomo chiamandolo alla perfezione (Sulla compunzione, 1,4: PG 47,395). E questa coscienza provoca la penitenza. Questo tema, insieme alla verginità e alla povertà, fa da trama a tutta la sua predicazione. Anche se usa uno stesso tono esaltante nei riguardi del matrimonio, la verginità resta uno stato speciale riservato a pochi. Il suo ideale di vita rimane il monachesimo, il suo impegno l'aiuto agli altri e da ciò derivano il suo zelo ed il suo entusiasmo sacerdotale. Il suo modello, dopo Cristo, è Paolo che continuamente è additato come esempio (cf soprattutto Panegirici su san Paolo). Lo stato più perfetto dell'uomo è quello della verginità (cf La verginità XI, 2: PG 48,540-541), esaltata non tanto nella sua realtà fisica, ma come possibilità di servizio agli altri, senza altre preoccupazioni (cf Ibid. LXXVII: PG 48-589-590). Ma lo scopo ultimo della vita del cristiano è la comunione con Dio attraverso Cristo.

Parlando della vita spirituale, egli, spesso, si sofferma sull'aspetto negativo che consiste nell'evitare il peccato, ma l'inizio e la conclusione di molte delle sue omelie sono costituiti dalle parole che, secondo Palladio ( 439 ca.), sono state le sue ultime parole: " Gloria a Dio per ogni cosa ".

L'elemento fondamentale della vita cristiana si ritrova nel battesimo. Le catechesi battesimali contengono il suo pensiero ascetico: i catecumeni vengono continuamente esortati a tenersi lontani dalla vita mondana di Antiochia per diventare figli di Dio. La quinta catechesi considera il battesimo come un " matrimonio spirituale ". Il matrimonio rende due persone che prima non si conoscevano una dipendente dall'altra; esse abbandonano tutto per unirsi per sempre. Il battezzato è unito, come Cristo fa con la Chiesa, in un matrimonio spirituale: non avendo niente di divino, l'anima viene resa da Dio divina e monda da tutte le bruttezze (cf Catechesi V, 1-18). La persona diventa simile al Cristo con una vita santa, gli esercizi ascetici nonché i doni dello Spirito (Ibid. 30-33). Il cristiano è l'uomo straniero nel mondo, perché cittadino del cielo.

La perfezione consiste, per lui, nell'" avvicinarsi a Dio per quanto è possibile all'uomo " (cf Sul sacerdozio VI, 2: PG 48,679a): andare verso Dio esercitando le virtù. Il volontarismo di C. si può cogliere bene in questo testo: " Chiama anche te se hai l'anima ben disposta, mentre se sei insensibile e ti lasci fuorviare, non basterà alla tua salvezza neppure che ti arrivi una voce dall'alto " (Panegirici su san Paolo IV, 40: PG 50,488). Ma senza essere chiamati, non c'è possibilità di conversione. La sua insistenza sulla perfezione della vita monastica, non deve indurre a pensare che per C. l'unica forma di perfezione si trovi nel monachesimo. Per lui il monachesimo è un ideale proposto a tutti i cristiani, ugualmente chiamati alla perfezione.

Il libero arbitrio conduce l'uomo alla vita eterna o al castigo eterno (cf Su I Colossesi, 8: PG 62, 352-353), ma la salvezza non proviene dalla virtù, bensì dalla grazia di Dio. L'uomo è libero e nessuno può condurlo alla fede o alla virtù contro il proprio volere (cf Il sacerdozio II, 3: PG 48, 634bc).

La compunzione è un altro elemento ascetico nel C. che egli considera basilare nella conversione perché provoca nel soggetto il desiderio di rendersi accetto a Dio. Questo è il cammino per la penitenza che viene espressa con la confessione, la contrizione, l'umiltà, l'elemosina, la preghiera e il digiuno. A ognuno di questi esercizi dedica una delle sei omelie Sulla Penitenza (PG 47,393-424; 49,277-324). Egli suggerisce di ricordarsi spesso dell'inferno per essere più virtuosi. L'elemosina, regina delle virtù, (cf Omelia III sulla penitenza, I: PG 49,293) non serve solo ai poveri, ma anche ai ricchi: " Non dico tanto per i poveri, ma per la vostra salvezza, perché periranno quelli che non hanno nutrito il Cristo " (Su i Colossesi 8: PG 62,351c). L'uso comune dei beni della terra è una verità evidente per C., e chi possiede questi beni non deve discriminare il povero, lo straniero, ecc.

La preghiera è il mezzo principale per comunicare con Dio e dovrebbe essere lo stato normale del cristiano. Chi prega arriva ad essere istruito direttamente da Dio, " perché sarà Dio stesso che chiarirà il tuo spirito senza intermediario " (Sull'incomprensibilità di Dio, 3: SC 28bis, 212). Il ritorno a Dio avviene attraverso la preghiera umile e contrita (cf Omelia IV sulla conversione e sull'orazione, 4: PG 49,304). La preghiera costituisce uno dei temi più frequenti in tutta l'opera di C. Essa viene insegnata in forma pratica con esercizi generalmente assunti dall'ambiente monastico. La preghiera eucaristica ha un valore e un potere superiori. Nelle sue opere si trovano esempi di preghiere che, in seguito, passarono alla liturgia denominata di " san Giovanni Crisostomo " (cf Su I Colossesi, 10: PG 62,368d-369a).

La gerarchia delle virtù deriva dal suo rapporto al bene generale: la vera virtù ha un carattere comunitario, perciò la carità è la base e il criterio di tutte le altre virtù.

L'amore di Dio e del prossimo formano una sola cosa e quando le nostre opere sono a beneficio degli altri hanno un vero valore cristiano (Habentes eumdem spiritum: PG 51,277cd). Gradi dell'amore sono: paura del peccato, desiderio del cielo, desiderio di stare con Cristo.

La verginità, che per il C. ha un valore molto forte, non viene considerata nemmeno virtù, se non ha una valenza sociale. Essa è intimamente unita al monachesimo. Il monaco è il cristiano che vive con sicurezza il suo itinerario di salvezza, che, comunque, è un cammino valido per ogni cristiano, anche se questa forma di vita non può essere consigliata a tutti. Tutti, però, secondo C. sono chiamati ai supremi gradi dell'amore di Dio (cf In Gen. hom. 5,1: PG 53,259c; In Matt. hom. 7,4: PG 57,185d).

Note: 1 Fonte principale per la conoscenza della sua vita è il Dialogo di Palladio (PG 47, 5-82), scritto come reazione contro il panfleto di Teofilo Alessandrino. Insiste fortemente sulla vita spirituale di Crisostomo: ascesi continuata e abbandono nelle mani di Dio, che per altro sarà un tema principale della sua dottrina; 2 DTC VIII, 672.

Bibl. Opere in PG 47-64. Per la bibliografia cf J. Quasten, Patrologia, II, Torino 1969, 427-485. In tempi recenti sono state pubblicate nuove edizioni parziali delle opere del Crisostomo in Corona Patrum Salesiana, SC nella collana Testi Patristici di Città Nuova. Di tutte le opere del Crisostomo si possono leggere in italiano: Le catechesi battesimali, Roma 1989; La verginità, Roma 1990; La vera conversione, Roma 1990; L'unità delle nozze, Roma 1984; Panegirici su san Paolo, Roma 1988; Commento alla lettera ai Galati, Roma 1982; Vanità. Educazione dei figli. Matrimonio, Roma 1985; Il Sacerdozio, Roma 1989; Le Omelie su S. Giovanni evangelista, 4 voll., Torino 1944-1948; Discorso esortatorio per l'inizio della Santa Quaresima del Nostro Padre Giovanni Crisostomo, Arcivescovo di Costantinopoli, Torino 1953; Omelie sulla Lettera di S. Paolo ai Colossesi, Torino 1939. Studi: F. Asensio, Encuentro de la oración del salmista con la oración cristiana en la visión del Crisostomo, in EBiB 39 (1981), 201-221; Ch. Baur, Das Ideal der christlichen Vollcommenheit nach dem hl. Johannes Chrysoistomus, in Theologie und Glaube, 6 (1914), 26-41; Id., Der hl. Johannes Chrysostomus und seine Zeit, 2 voll., Münich 1920-1930, 342; E. Boularand, La venue de l'homme à la foi d'après saint Jean Chrysostome, Rome 1939; J. Dumortier, L'Auteur prèsumé du corpus asceticum de Saint Jean Chrysostome, in JThS 6 (1965), 99-102; A.G. Festugière, Antioche païenne et chrétienne, Paris 1959; M.T. Hautier, Un Père de l'Eglise nous dit la nouvauté du Christi. Approche d'une catéchèse baptismale de Jean Chrysostome, in Liturgie, 76 (1991), 11-34; F. Leduc, Penthos et larmes dans l'oeuvre de saint Jean Chrysostome, in Proche Orient Chrét., 41 (1991), 220-257; J.M. Leroux, Monachisme et communauté chrétienne d'après Saint Jean Chrysostome, in Théologie de la Vie Monastique, 49 (1961), 143-190; L. Meyer, Saint Jean Chrysostome maître de perfection chrétienne, Paris 1934; L. Pottier, Sur quelques definitions de pneumatikos chez Saint Jean Chrysostome, in Revue des Études Augustiniennes, 38 (1992), 19-28; J. Roldanus, Le chrétien etranger au monde dans les homélies bibliques de Jean Chrysostome, in Sacris Erudiri, 30 (1987-88), 231-251; C. Sorsoli - L. Dattrino, s.v., in DES I, 663-666; D. Stiernon, s.v., in BS VI, 669-701; J. Stigmayr, Zur Aszese des hl. Crysostomus, in ZAM 4 (1929), 29-49; Id., Luces crisostómica sobre la oración en los Salmos, in Burgense, 22 (1981), 331-355. A. Wenger, s.v., in DSAM VIII, 335-336.

A. Ruiz

CRISTINA DI MARKYATE (santa). (inizio)

I. Cenni biografici. C. nasce in Inghilterra intorno al 1096, trent'anni dopo l'invasione dei Normanni, da una famiglia anglosassone ricca e nobile. I suoi genitori, Auti e Beatrice, possiedono molte proprietà nella contea di Huntingdon.

Ancora bambina è condotta in visita alla grande abbazia benedettina di St. Albans (Hertfordshire), dove sono custodite le reliquie del primo martire britannico. Durante la visita C. decide di emettere in segreto il voto di castità perpetua. Nonostante ciò, qualche anno dopo, i suoi parenti la costringono al matrimonio. Il rifiuto da parte di C. a consumare il matrimonio la porta dinanzi ad un tribunale ecclesiastico che, in un primo momento, decide in suo favore. Ma, in seguito alla corruzione del vescovo di Lincoln, tale tribunale la condanna e C. viene crudelmente imprigionata dai suoi genitori. Grazie alla sua forte personalità, alla sua integrità e all'eroismo dimostrato, C. si assicura l'appoggio di alcuni ecclesiastici e diviene amica di un eremita locale che espone il suo caso all'arcivescovo di Canterbury. Rassicurata dall'appoggio dell'arcivescovo, C. tenta, con successo, di fuggire travestita da uomo e con un cavallo fornitole dall'eremita. Il suo primo rifugio è Flamstead, ad una cinquantina di chilometri dalla sua precedente prigione, dove si nasconde per due anni presso una reclusa. Da qui parte alla volta di Markyate dove si stabilisce in un romitorio sotto la direzione dell'eremita Ruggero. Per quattro anni C. si chiude in una celletta sbarrata da un grosso tronco d'albero che solo il suo padre spirituale può rimuovere. Quando questi muore, teme l'ostilità del vescovo di Lincoln e cerca protezione presso l'arcivescovo cistercense Thurstan di York che, precedentemente, ha annullato il suo matrimonio forzato.

Dopo la morte del vescovo di Lincoln, C. ritorna a Markyate, nel 1123, e, finalmente, nel 1130 viene riconosciuta per la sua santa vita e per il suo discernimento spirituale. Numerose comunità religiose femminili le offrono di diventare loro superiora e l'arcivescovo Thurstan la propone come abbadessa di Fontevrault e di Marcigny in Francia e del monastero di S. Clemente di York. L'abate Goffredo di St. Albans, uno dei più grandi prelati del regno, la stima molto e le chiede continuamente consiglio. E proprio l'abate Goffredo che la incoraggia ad abbracciare la vita monastica affidandola al nuovo vescovo di Lincol, nel 1131 circa.

II. Influsso sulla mistica. L'unico manoscritto anonimo su di lei, dal titolo Vita, si interrompe prima della sua morte, la cui data ci è sconosciuta. E, comunque, sicuro che viene costruito un monastero in suo onore a Markyate nel 1145. L'ultimo documento storico conosciuto riguardante C. è un ricamo che C. regala, nel 1155, ad Adriano IV ( 1159), l'inglese Nicola Brakespear, che è, molto probabilmente, il figlio di un chierico di St. Albans.

Non sono giunti fino a noi scritti di C. La reliquia più importante è probabilmente il cosiddetto Albani Psalter della chiesa di S. Godehardskirche, Hildesheim, che sembra le sia appartenuto.

C. di Markyate preannuncia l'età d'oro dei mistici inglesi del tardo sec. XIII e del XIV. Attraversando, comunque, il periodo di transizione da una Chiesa anglosassone ad una Chiesa anglo-normanna in Inghilterra, C. sottolinea un elemento di continuità nell'impegno di molti, all'interno della Chiesa anglosassone di quell'epoca, a realizzare una feconda vita eremitica e contemplativa di tipo mistico.

Bibl. L.M. Clay, The Hermits and Anachorites of England, London 1914, 21-23; P. Dinzelbacher, s.v., in Aa.Vv. Lexicon des Mittelalters, II, München-Zürich 1977, 1917; C.H. Talbot, The Life of Christina of Markgate, Oxford 1987; A.M. Zimmermann, s.v., in BS IV, 339.

A. Ward

CRISTO - CRISTOCENTRISMO. (inizio)

I. La cristologia nel luogo della mistica: problemi attuali. Con l'eclisse del sacro innescata dall'avvento della cultura scientifica e tecnico-industriale, ci si attendeva già dagli anni Sessanta l'avvento di un uomo totalmente secolarizzato, senza motivazioni religiose, serenamente ateo. " Questo pensavamo un po' tutti e ci siamo preparati ad affrontare un simile uomo, in Europa ed in America. Trent'anni dopo quest'uomo non è venuto. Naturalmente c'è tanta gente che continua a vivere in una tranquilla indifferenza verso ogni forma religiosa. Ma l'uomo europeo ed americano non può definirsi ateo o semplicemente agnostico. Non è cattolico e nemmeno cristiano, ma si caratterizza per un nuovo interesse "religioso" ".1 Anzi, l'afflato religioso va mostrandosi sempre più emergente tanto che si parla di un'era " caratterizzata da una più alta spirituale comprensione della Bibbia (...) e da una perfetta Chiesa dello Spirito ".2 La ricerca di esperienza del divino appare come un fenomeno di grandi proporzioni che testimonia " una nuova scoperta di Dio nella sua trascendente realtà di Spirito infinito... il bisogno di adorarlo ’in spirito e verità' (Gv 4,24); la speranza di trovare in lui il segreto dell'amore e della forza di una ’nuova creazione' (Rm 8,22; Gal 6,15): sì, proprio colui che dà la vita. Ad una tale missione di annunciare lo Spirito, la Chiesa si sente chiamata, mentre insieme con la famiglia umana si avvicina al termine del secondo millennio d.C. ".3 L'avvento di questa era dalle sempre più spiccate aspirazioni spirituali e mistiche non costituisce solo un fenomeno di rivincita del senso religioso dell'umanità, inestinguibile, dopo l'eclisse del sacro innescata da una massicia secolarizzazione: esso molto più costituisce un " segno " dell'apertura di una grande via, per una nuova venuta del C., anche se questo grande revival religioso porta con sé dei caratteri problematici. Se in un recente passato la riflessione cristologica aveva preso lo spunto dall'interesse dell'uomo contemporaneo per i valori storici, per presentare quell'immagine umana di Gesù Cristo, nella quale solamente potesse essere riconosciuta la possibilità di parlare in modo sensato di Dio, all'uomo secolare, oggi possiamo dire che un " nuovo punto di approccio " si pone per il mistero di " Gesù Cristo " e per il valore " cristocentrico " della fede. E la forte domanda mistico-esperienziale che apre una " nuova fase della storia dell'uomo sulla terra: l'anno duemila della nascita di C. ".4 Superata la crisi dell'ateismo che aveva costituito una delle principali sfide della fede del nostro tempo, la " questione cristologica " si pone, pertanto, oggi, in quel nuovo contesto che è il luogo della mistica come dimensione essenziale della vita spirituale dell'uomo e che potrebbe essere definita genericamente come " una esperienza di Dio presente e infinito, provocata nell'anima da una speciale mozione dello Spirito Santo ".5

II. La struttura di un discorso teologico cristocentrico in chiave mistica. L'aspetto più importante del fenomeno dell'odierno revival mistico religioso sta nell'autentica ricerca di incontro con il divino, come appello all'esperienza del " Dio vivente ", appello che viene sempre più sentito come quella ricerca di Dio che non è derivante dall'iniziativa dell'uomo, quanto come il correlato, sul piano della coscienza, della sua venuta della grazia nello Spirito: " Il problema di Dio è già un modo in cui Dio stesso, che è presente nell'uomo che interroga, si rivela nella modalità della coscienza. Così, la domanda senza fine che l'uomo pone su Dio, si trova da sempre, da parte di Dio, in quella risposta infinita che è egli stesso ".6 Ora, proprio per questo suo carattere, una " riflessione cristologica spirituale " richiama un discorso teologico che si elabora fondamentalmente in " forma dossologica ". Non si tratta di venire meno al compito critico di una ragione che opera per la sua propria efficacia a servizio della fede: si tratta piuttosto di coltivare quella virtù della intelligenza che, ispirata dalla forza dello Spirito, sia in grado di " scendere nel cuore " della persona del teologo diventando una " intelligenza della fede nella carità ". La struttura del discorso teologico è allora non solo una messa insieme, in maniera organica, di un complesso di " notizie intorno a Dio " o a " Gesù Cristo ", raggiunte attraverso una ragione puramente analitica e deduttiva, quanto quella conoscenza nell'amore, che è partecipazione vitale al mistero trinitario di Dio, raggiunta nella comunione " in C. " e " con C. ", attuata nella forza dello Spirito. E la forma di conoscenza che Gregorio di Nissa (PG 120,525) chiama metousia (intima unione con Dio) e che prolunga epistemologicamente, nei credenti, il mistero della Sapienza incarnata, attraverso le energie vivificanti dello Spirito Santo. E, quindi, un sapere trinitario, perchè è opera di quello Spirito che apre la porta del Figlio e dona l'intelligenza del Padre; ma è nello stesso tempo un sapere di natura essenzialmente " cristocentrica " perchè l'essere " nel C. " ed il comunicare " con lui " è essenziale per l'accesso sapienziale al Padre. Una conoscenza di Gesù Cristo, in contesto mistico, deve pertanto evidenziare lo stile proprio di un discorso condotto secondo il principio di una intelligenza del cuore ispirata dallo Spirito Santo, quale struttura di un pensare cristiano che appartiene ad un uomo impegnato nel cammino della santità. In quanto " pensiero interno allo stesso movimento della fede " questo modello di pensiero teologico può riflessivamente esplicitarsi nel movimento di una intelligenza riconoscente che si evolve lasciandosi guidare da Dio attraverso la sua Parola di verità:7 esso potrebbe definirsi anche come " contemplazione intellettuale interna al mistero salvifico ", oppure come " via mistica dell'anima verso la luce della verità che redime e rende beati ". Il vincolo profondo di questa forma del discorso teologico di stile sapienziale con la vita vissuta nella fede si alimenta nel contatto con la Sapienza del Logos divino incarnato, per cui esso è penetrato da quella " gloria " (doxa) che è " la forza di Dio che rende il suo amore attivo e comunicabile in C.; è la manifestazione di questo stesso amore nel Figlio... partecipato a noi dallo Spirito ".8 Si può dire, allora, che un discorso su Gesù come C., evoluto nel quadro di una " teologia mistica " assume un particolare valore pneumatico.

III. a. I Contenuti del discorso su Gesù Cristo in prospettiva mistica. Poiché la teologia mistica si definisce in un contesto di incontro vissuto, nello Spirito, con Gesù Cristo, il quale appare come " forma vitale dell'esistenza e dell'esperienza cristiana ",9 i contenuti di una " cristologia " evoluta nel quadro della dinamica spirituale mistica devono rispondere non ad un complesso di verità dottrinali cristologiche puramente oggettive, quanto ad una loro presentazione in rapporto all'esistenza vissuta del credente. Il che vuol dire: il parlare di Gesù Cristo come fondamento e norma della prassi di vita cristiana comporta non solo un discorso su " Gesù Cristo " come " oggetto " o sul " C. in sé ", quanto sul C. nella sua presenza nella vita del credente o sul " C. in noi ", dando risonanza alla " Persona di C. " contemplata e penetrata " nei suoi misteri ". Questi coinvolgono l'esistenza credente anzitutto per la loro " virtù spirituale " o " pneumatica ", che essi possiedono, e che è sola in grado di poter realizzare quella " unità vitale " tra C. ed il credente che si definisce come " comunione ", in un quadro di rapporti interpersonali secondo il modello dell'alleanza (nuova). Il " mistero di C. ", nel quadro di una teologia mistica, deve offrire, attraverso i contenuti misterici, quella forza evocativa, che ha la sua efficacia nella potenza dello Spirito Santo, per cui il cristiano, nella sua vita di fede, viene portato progressivamente a trasformarsi in quella medesima " immagine di Dio " che è C. (Col 1,15; 2 Cor 4,4), " di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore " (2 Cor 3,18). Questo vuol dire parlare di Gesù Cristo rispettando con il valore " narrativo " dei misteri terreni della sua vita la " struttura kerigmatica " propria delle stesse narrazioni evangeliche per cui esse sono " annunci in forma di narrazione ", annunci che, come tali, evidenziano un riferimento alla " prassi " della fede, attraverso l'invito alla sequela.

III. b. La cristologia mistica nel tema della Persona e dei misteri della vita di Gesù Cristo. Nell'ambito della tradizione di fede, a partire dalla riflessione dei Padri, e dalla stessa teologia monastica medievale, non c'è mai stata separazione tra teologia e pietà. Tutto era congiunto: predicazione, teologia, vita di culto, pietà, misticismo. Un aspetto caratteristico della riflessione cristologica spirituale, dominante per oltre un millennio di storia cristiana, era l'accento sull'umanità di Gesù veduto nei misteri della sua vita terrena, culminante nell'evento della croce e della risurrezione.10 La passione per l'umanità di Gesù era notevole e dava una particolare impronta all'ispirazione cristocentrica della spiritualità.11 Le radici storiche di questo fatto vanno ricercate anzitutto in quella profonda unità che fin dagli inizi congiungeva, insieme, conoscenza biblica, culto, predicazione, ascesi, cammino esperienziale mistico. Per quanto riguarda poi l'accento proprio della pietà medievale verso il C., considerato nei suoi mysteria carnis va notato, inoltre, l'influsso del monachesimo che ha sviluppato ed alimentato una spiritualità sempre più cristocentrica, la quale ha fatto dell'umanità di Gesù " lo strumento primario dell'ascesa spirituale " verso Dio. In questa visione la sua vita terrestre veniva considerata nel motivo di una infinita condiscendenza verso l'infermità umana, la quale per il contatto con l'umanità di Gesù trovava la manuductio verso la contemplazione della divinità. Di qui l'importanza della imitatio Christi, della contemplazione dei misteri della sua vita tra i quali particolarmente quelli dell'infanzia e della passione. Essi conducono, infatti, a trattare il Salvatore con semplice e terrestre familiarità. La pietà qui si fa tenera ed affettiva, in espressioni che incarnano e celebrano un sentimento di grande tenerezza: " Dominus Jesus ",12 " Dominus humanissimus, Christus piissimus ",13 " tesaurus vester, amor, desiderium, dulcedo, salus et vita ". Particolarmente il nome di Gesù è indicativo di questo orientamento devozionale: " Jesu, Jesu... nomen dulce, nomen delectabile, nomen confortans peccatorem et beatae spei ". Questa devozione indugia presso la greppia di Betlemme ove i vagiti e le lacrime sono segno di tenerezza più che di forza,14 sono motivo di fiducia per la nostra conversione,15 per spostarsi via via verso le altre vicende della vita terrena fino a giungere alla sofferenza della passione per rafforzare in sé l'affectus dilectionis. Non si deve pensare con ciò che questa spiritualità pecchi di sentimentalismo e di vana ricerca di emozioni sensibili: essa è ben nutrita di conoscenza biblica, come si può notare in Ruperto di Deutz ( 1129), testimone della tradizione benedettina, come esempio di unità tra dottrina e devozione. Essa, sotto l'influsso di Cluny, ove veniva particolarmente rilevato il mistero del Natale, conduceva la spiritualità tradizionale ad arricchirsi di una nota particolare di intimità mistica. Non meno importante è l'apporto della pietà cistercense con s. Bernardo e Guglielmo di s. Thierry con le sue accentuazioni mistiche rilevanti la componente trinitaria.16

Questo orientamento verso la santa umanità di Gesù trovava un posto particolarmente rappresentativo anche nella spiritualità e teologia francescana, che nella sequela del C., considerato nei suoi misteri contemplati con concretezza, divisione e larghezza di affetto, si presentava con atteggiamenti propri. La devozione francescana, al seguito del poverello di Assisi, trovò un'espressione caratteristica nella contemplazione affettiva di quei misteri che più parlano al cuore: la " nascita " (Greccio: 1223), la " passione " (le stimmate: 17 settembre 1224), la " morte di C. ". S. Bonaventura ebbe un ruolo notevole nella promozione della contemplazione di quei misteri, specie nell'ambito di una riflessione teologica nutrita di pietà affettiva. Nella riflessione teologica il cristocentrismo, come pure la difesa dell'integrità umana del Salvatore sono punti ben sottolineati nel pensiero francescano. Importante rappresentante di questa corrente è Duns Scoto ( 1308) che, in stretto rapporto con l'indirizzo della spiritualità del suo tempo, tende a sottolineare l'aspetto storico ed umano della figura del Salvatore. Questo lo portava a vedere nell'incarnazione come " l'assunzione di un uomo " (assumptus homo) da parte del Verbo. La sua attenzione per l'essere umano concreto e storico di Gesù (non menomato dall'unione ipostatica) fa emergere in piena luce il Gesù storico, come lo presenta il Vangelo, nato da Maria Vergine che soffre e muore in una autentica esperienza umana di vita. Così, questa teologia può costituire un solido fondamento ad una spiritualità che promuove l'ascesa dell'uomo verso il mistero di Dio.

Se la tradizione francescana nella sua pietà e teologia ha notevolmente sottolineato quella spiritualità che dà particolare risalto all'affettività verso l'umanità del Salvatore, la teologia e la spiritualità domenicana non è stata davvero estranea a queste caratteristiche della devotio medioevalis, anche se ebbe una sua propria maniera di incarnare l'ideale evangelico.17 Basti pensare alla devozione al C. in Alberto Magno e soprattutto in Caterina di Siena per la quale, come per Francesco, il centro della pietà è il Crocifisso.18 In essa, esperienza mistica e riflessione teologica s'intrecciavano fittamente nella sua vita e nei suoi scritti sì da formare un tutto indivisibile: per salire la grande via spirituale dell'amore si devono salire i tre " scaloni " che portano al " ponte " C. e che sono i piedi, il cuore, la bocca del Crocifisso.19 Finchè l'anima è pellegrina sulla terra, la sua via rimane C. Crocifisso con il suo " ansietato desiderio " della gloria di Dio e della salvezza delle anime. Al termine dei tre scaloni, essa viene irrorata dal sangue di C. che " inebbria l'anima e vestela del fuoco della divina carità ".20 A questa spiritualità dei misteri della vita terrestre di Gesù, Tommaso d'Aquino dava un particolare sostegno con la sua riflessione teologica, che al seguito di Giovanni Damasceno vedeva l'umanità di Gesù strumento del Verbo per cui essa, per l'unione ipostatica, esiste in una condizione di permanente sopraelevazione consistente in quella pienezza spirituale che le permette di conferire lo Spirito agli uomini, quindi di possedere un potere vivificante. Così si opera una synergia che porta all'idea della perenne attualità dei misteri stessi del Gesù terreno nella loro virtù strumentale per cui le azioni che furono compiute dall'umanità di Gesù " non furono compiute solo in virtù dell'umanità, ma in virtù della divinità a sé unita ", pertanto " l'operazione umana partecipa della virtù della divina operazione ".21 Questo vuol dire che " tutte le cose che furono compiute nella carne del C., furono salutari per noi in virtù della divinità unita " 22 e tutti i misteri hanno una virtù salvifica in grado di attingere " ogni luogo ed ogni tempo ";23 particolarmente la sua passione " non ha avuto virtù temporale e transitoria, ma sempiterna... e così appare che la passione di C. non ha avuto allora maggiore efficacia di quella che ha adesso ".24

Una tale riflessione cristologica evoluta secondo la prospettiva dei misteri di C., può ben essere veduta il centro di una cristologia mistico-spirituale che si propone con lo sviluppo della mente e del cuore del credente, sotto l'illuminazione dello Spirito, di promuovere un incontro di vita e di comunione con C., sì che " il curriculum del cristiano, come tale, dall'inizio della sua vita soprannaturale fino alla cessazione della sua vita mortale, ed oltre, nasce, è sorretto ed accompagnato da quello del C., a cui si modella ad ogni istante ".25 La imitatio Christi non è allora solo un fatto morale, ma una vera e propria comunione reale con gli atti salvifici storici del C., in una simultaneità di vita con il Salvatore. Essa stabilisce una relazione vitale tra Gesù Cristo ed i misteri della sua vita, aprendo l'accesso al mistero della sua singolarissima Persona, nella sua " identità filiale ", che non può essere conosciuta che nella fede, passando attraverso i misteri della sua vita. Sono essi che nelle narrazioni ci trasmettono con il comportamento, con i gesti della vita di Gesù, il significato autentico delle sue parole, il senso della sua persona, l'efficacia della sua proposta di vita filiale. Se questa cristologia mistica, incentrata nei " misteri della vita di Gesù " ha avuto ampia risonanza sia nell'epoca patristica, sia in particolare nell'era medievale, nella quale è stata sostenuta dal " modello spirituale cristocentrico-monastico " incentrato nell'attualità di tali misteri " presenti " ed " operanti " nella lettura evangelica, nella celebrazione liturgica per una loro riattualizzazione nella vita vissuta, è pur vero che una riflessione cristologico-spirituale, non deve ignorare l'aspetto anche " ascetico-morale " dell'imitazione della vita di C. che ha pure i suoi brillanti esempi anche nella Devotio moderna, sia nella spiritualità ignaziana sia, più tardivamente, nella pietà oratoriana, le quali si proponevano di sviluppare la " vita cristiana " nel " modello " della vita storica di C., considerata, nella sua narrazione evangelica, come suo esempio archetipo. Qui si evidenzia il " momento morale " della sequela cristiana come vita spirituale che si " conforma " alla vita di C., alla sua biografia evangelica che diviene " legge " o " regola " del comportamento del discepolo. Qualche difficoltà o limite viene mosso a questa " via imitativa ", nella misura in cui essa assume troppo alla " lettera " un " evangelismo radicale ", quasi un positivismo evangelico che non rispetti il valore di storicità della vita del cristiano. La normatività della Scrittura non va intesa come predominio di una " lettera ", ma come una norma interpretata ed attuata nello Spirito. E " nello Spirito ", principio vitale di ogni forma di spiritualità cristiana, che trova la sua realizzazione quella " sequela " che implica una costante " interpretazione " o rilettura della storicità dei misteri della vita di Gesù nel contesto delle nuove situazioni di vita del cristiano ed è " nello Spirito " che gli stessi misteri storici possiedono quella potenza universale per cui operano nella vita di ogni discepolo vivente nel tempo.

III. c. Se una " cristologia mistica " ha come suo particolare oggetto il tema dei misteri della vita di C., è soprattutto nell'evento pasquale della sua morte e risurrezione che deve vedere il momento culminante del processo di comunione mistica con la vita di C. e del cristiano impegnato in un cammino di sequela. Notevole è, infatti, la " spiritualità della croce ", che ha avuto risonanza in tutta la tradizione cristiana, a partire dallo stesso NT, con il richiamo alla sequela della croce nella vita del discepolo (cf Mc 8,34; Mt 10,38; 16,24; Lc 9,23; 14,27; Gal 2,19; 5,24; Rm 6,1-11; Col 2,11ss.), per tramandarsi poi nell'era patristica, nel periodo medievale e per trovare una sua singolare espressione nei mistici renani (Taulero, Suso) e fiamminghi (Ruusbroec),26 nelle esperienze di Teresa d'Avila e Giovanni della Croce. In essi il mistero della passione e della croce costituisce un momento necessario nella via della santità cristiana: esso riassume, infatti, in sé ogni aspetto del mistero redentivo particolarmente mettendo in luce l'aspetto formale dell'amore che trova la sua più alta espressione nel cammino della notte, come via di purificazione e di avvicinamento al mistero divino.

L'importanza della via mistica della croce, lungi dal diminuire è andata crescendo negli ultimi secoli, come testimonia Paolo della Croce che fece del tema della croce il motivo dominante dei suoi sermoni mostrando come il cammino della fede si concretizza nella totale disponibilità alla volontà di Dio, per cui il vertice dell'esperienza spirituale si riassume nell'essere " soli " sulla croce con C. Così, egli riprende la tematica ignaziana dell'indifferenza e quella salesiana dell'amore puro, vivendo l'esperienza spirituale come una sorta di " presenza nell'assenza ". La spiritualità della croce si sviluppa ulteriormente nella devozione al " Cuore trafitto " del C. che a partire dal sec. XVII (G. Eudes, Margherita M. Alacoque) perviene nella prima metà del sec. XX attraverso i documenti pontifici di Pio XI, Miserentissimus Redemptor (1928) e di Pio XII, Haurietis Aquas (1956) a modulare due importanti temi della passione: quello dell'amore misericordioso che richiama alla confidenza e quello dell'amore trafitto che invita alla conversione ed alla riparazione attraverso il " con-soffrire " con il Salvatore.

Intorno alla metà del nostro secolo sembrava svilupparsi un certo raffreddamento verso la spiritualità della croce a vantaggio del mistero della risurrezione come mistero di salvezza e come propulsore della fede nel suo proiettarsi, nella speranza verso il futuro della storia. L'attenzione rivolta verso la liberazione degli oppressi dalle loro sofferenze, generava una certa disaffezione verso il valore della pietà e della mistica della croce, ritenuta incentivo alle forme di assuefazione passiva alle ingiustizie, e abbandono di ogni lotta per una loro rimozione. Ma oggi possiamo ritenere che la riscoperta del misticismo 27 va riproponendo in maniera nuova l'importanza dell'esperienza della " notte giovannea " come " esperienza tipicamente umana e cristiana. La nostra epoca ha vissuto momenti drammatici nei quali il silenzio o assenza di Dio, l'esperienza di calamità e sofferenze, le guerre o lo stesso olocausto di tanti esseri innocenti, hanno fatto comprendere meglio questa espressione dandole inoltre un carattere di esperienza collettiva, applicata alla stessa realtà della vita e non solo ad una fase del cammino spirituale... a questa esperienza Giovanni della Croce ha dato il nome simbolico ed evocatore di notte oscura, con un riferimento esplicito alla luce ed oscurità del mistero della fede ".28

La mistica odierna va superando, veramente, ogni dicotomia tra il mistero della croce e della risurrezione di C. che costituiscono un'unica ora di salvezza e come la sintesi di tutta la sua vita terrena. Soprattutto la considerazione che se la croce rivela tutta la sua luce di sapienza e di rivelazione del mistero trinitario di Dio a partire dall'esperienza della risurrezione, è pur vero che la luce della gloria di pasqua è sempre rivelazione dell'amore eterno della croce. Una spiritualità della croce non sarà possibile, pertanto, che vivendone il mistero nella fede nel Risorto il quale proprio per la potenza del suo Spirito è in grado di operare la trasformazione dei credenti nella piena conformazione al C. Pertanto, " qualunque forma la spiritualità della croce possa assumere ", ogni cristiano deve continuare a guardare a C. Crocifisso, per arrivare a condividere la fedeltà e la carità del Figlio Incarnato di Dio, il quale ’ci ha amato ed ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore' (Ef 5,2) ".29

Note: 1 G. Danneels, Le Christ ou le Verseau, Lettre pastorale de Noël, in DocCat 23 (1991) 2021, 117-129; 2 G. Schiwy, Lo spirito dell'età nuova. New Age e cristianesimo, Brescia 1991, 123-124; 3 Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem. Lettera Enciclica sullo Spirito Santo nella vita della Chiesa e del mondo, 2; 4 Ibid., 51; 5 E. Ancilli, Premessa, in La Mistica I, 12; 6 H. Vörgrimler, Dottrina teologica su Dio, Brescia 1989, 40; 7 M. Sekler, Teologia, Scienza, Chiesa. Saggi di teologia fondamentale, Brescia 1988, 34; 8 N. Nissiotis, La théologie en tant que science et en tant que doxologie, in Irénikon, 33 (1966), 303; 9 S. De Fiores, Gesù Cristo, in NDS, 696; 10 A. Grillmeier, I misteri di Cristo nella pietà del Medioevo latino e dell'epoca moderna, in I. Feiner e M. Löhrer (cura di) Mysterium salutis, VI, Brescia 1971, 27ss.; 11 Ilarino da Milano, La spiritualità cristologica dei Padri apostolici agli inizi del monachesimo, in Aa.Vv., Problemi di storia della Chiesa, Milano 1970, 359-507; 12 Isacco della Stella, Sermo 2: PL 194, 1694; 13 Heliandus, Ep. ad Galterum: PL 212, 757A; 14 S. Bernardo, Sermo 1 in Nativitate, 3: PL 183, 116; 15 Id., Sermo 2 in quadragesima: PL 183, 172; 16 J. Leclercq - F. Vandenbroucke - L. Bouyer, La spiritualité du Moyen Age, in L. Bouyer (cura di) Histoire de la spiritualité chrétienne, II, Paris 1961, 213-215; 17 Ibid., 382-413; 18 F. Valli, Il sangue di Cristo nell'opera di Santa Caterina da Siena, in Studi cateriniani, IX, Siena 1982; 19 Caterina da Siena, Il Libro, (Dialogo della Divina Provvidenza), Alba (CN) 1975, 87s.; 20 Ibid., 181; 21 STh III, q. 19, a. 1, ad 1; 22 Comp. Theol., 239; 23 STh III, q. 56, a. 1, ad 3; 24 Ibid. III, q. 52, a. 8c.; 25 M. Sciarretta, La Croce e la Chiesa nella teologia di San Paolo, Roma 1953, 168; 26 L. Cognet, Introduzione ai mistici renano-fiamminghi, Cinisello Balsamo (MI) 1991; 27 B. Secondin, La mistica del XX secolo: teorie ed esperienze. La presenza di San Giovanni della Croce, in Ricerche Teologiche, 1 (1992), 59-86; 28 Giovanni Paolo II, Maestro en la fe, 141290, n. 14; 29 B.M. Ahern, Croce, in NDS, 375.

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M. Bordoni

CROCE. (inizio)

Premessa. La mistica della c. di Cristo include, pur andandovi oltre, la mistica della sua passione. La c. è " mistero ", e tale resta nel suo senso più pieno, come evento nel quale realmente opera Dio per la salvezza dell'uomo, e come enigma che provocatoriamente obbliga ad un assenso di fede pura e semplice. In ambedue i sensi, essa tocca il centro stesso dell'esistenza del credente; questi la può sperimentare in infinite gradazioni d'intensità, fino ai fenomeni mistici.

L'autentica mistica della c. è quella in cui si vive, per un dono d'amore infuso, l'esperienza stessa interiore di Gesù crocifisso (" i sentimenti che furono in lui ", cf Fil 2,5), provandone assieme tutta l'amarezza e tutta la divina profondità, che è la stessa eterna volontà di salvare ad ogni costo il mondo.

I. Mistica neotestamentaria della c. Originariamente il kerigma, quindi, il vissuto cristiano, s'incentra anzitutto sul Risorto, ma nei Vangeli, specie in Luca, Gesù stesso ripetutamente afferma la " necessità " della c. per entrare nella gloria (cf Lc 24,46). Poiché Cristo, e solo lui (cf Lc 10,22), introduce nel mistero del Padre, questa rivelazione, accolta con fede, opera il " contatto " mistico con Dio.

Paolo, basandosi sulla propria esperienza straordinaria, che si può rettamente dire mistica, proclama addirittura la c. sapienza (cf 1 Cor 1,24ss.), principio architettonico ed ermeneutico della sua teologia, che si muove anzitutto sul piano soteriologico, in connessione con la vita sacramentale. Chi è crocifisso è morto al peccato (cf Rm 6,11), specie in quanto lo è alla legge. Dio solo salva, anche e proprio dando il suo Figlio al mondo (cf Rm 8,32); storicamente, infatti, è il peccato che, valendosi arbitrariamente della legge, dà morte al Giusto, per noi divenuto " peccato " per farci parte della sua giustizia (cf 2 Cor 5,21). Unendosi alla morte di Cristo, se ne condivide la vittoria sulla morte.

Giovanni evangelista sviluppa al massimo la sapienza della c.: infatti, nella sua dottrina domina la dimensione epifanica. La c. è esaltazione e rivelazione di Dio in quanto amore preveniente e fedele fino alla fine, che si " consuma " sulla c. (cf Gv 13,1; 19,30), ove Cristo, morendo, " consegna " il suo Spirito.

II. Mistica ecclesiale della c. Già secondo il kerigma primitivo, Gesù chiama i cristiani a seguirlo " prendendo la propria croce " (cf Mt 16,24). Se l'iniziale spasmodica attesa dell'imminente parusia potè far pensare ad una condizione contingente, limitata a breve tempo, il realismo costrinse i cristiani a fare i conti con essa. Il martire, come già attesta l'Apocalisse, ne scopre la forza di trasformazione spirituale e di assimilazione massima a Gesù. Ignazio di Antiochia, e con lui molti altri martiri, è testimone di esperienze mistiche specifiche legate al martirio.

Nella mistica del monachesimo la c. è arma di vittoria sul demonio (esorcismo), come nella vita di Antonio Abate. E poi anche detta " martirio bianco ", come offerta di sé a Dio, mediante la preghiera continua, la castità e la penitenza. Qui si può però insinuare l'ambiguità dell'apatheia, che talvolta confonde c. cristiana e annullamento stoico della sfera delle " passioni ". In Oriente, specie in Russia, non sono poi mai mancati i " Folli in Cristo ", con la loro singolare traduzione vissuta della follia della c.

I Padri sviluppano principalmente la mistica sacramentale, specie circa l'Eucaristia. La prassi e la religiosità popolare uniscono alla dossologia l'" adorazione " della c. e delle sue " reliquie ". Le forti emozioni religiose provate, già in quei tempi, dai pellegrini che, giungendo a Gerusalemme, vanno al Calvario e ripercorrono la " via dolorosa ", sono all'origine della " via crucis ", tanto diffusa in seguito.

La mistica medievale affettiva trova la sua fisicità in pratiche penitenziali anche cruente (la flagellazione) e, specialmente a partire da Francesco d'Assisi, nella straordinaria esperienza delle " stimmate ", che si verificheranno in seguito in tante altre persone appassionatamente unite alla c. di Gesù. Emerge, così, un'altra attestazione mistica di ardente fede nell'unità divino-umana del Signore Gesù e di tutti gli eventi della sua vita, riassunti e sintetizzati nella passione e morte di c. Dal Medioevo nasce anche, sotto il segno della passione, la mistica del Cuore trafitto di Cristo.

La sapienza della c. è sottesa all'esperienza che Ignazio di Loyola propone nei suoi esercizi, i quali hanno un vero punto di svolta nel terzo grado di umiltà, scelta risoluta di " obbrobri con Cristo pieno di essi ", desiderando " più di essere stimato vano e stolto per Cristo che primo fu tenuto per tale, che per savio e prudente in questo mondo " (n. 167).

Nei secc. XVI-XVIII si sviluppa una linea mistica che interpreta l'intera esperienza spirituale in termini di c. L'interiore e totale " spogliamento ", richiesto dalla fede è base e sostanza d'ogni c. Il " nulla ", collegato alla kenosi di Gesù, è tematizzato con sfumature diverse sia da s. Giovanni della Croce che da s. Paolo della Croce.

Si va poi verso la mistica della vittima, che ha buone basi teologico-spirituali nella polemica antiprotestante: infatti, secondo la spiritualità cattolica, il fedele partecipa effettivamente all'opera di Cristo, unendo a lui tutte le proprie sofferenze, senza alcuna esclusione. Attualmente, si tende a identificare la c. di Cristo e quella dei cristiani, anzi di tutti gli uomini " crocifissi " dal potere del peccato, della morte, dell'ingiustizia. Ne nasce la mistica di chi ne vuole la liberazione. Legittima l'enfasi sulla dimensione socio-politica della c., anche se sempre da relativizzare.

III. C. come mistica del fallimento? La c. cristiana si identifica tanto poco con la sofferenza, che suppone al contrario la lotta di Gesù contro di essa, condotta mediante guarigioni ed esorcismi. In ogni ipotesi, anche oggi, nessuna mistica della c. può confondersi con forme di dolorismo e di passività di fronte a situazioni sataniche.

Più che alla sofferenza, la c. può piuttosto riferirsi correttamente all'eventuale fallimento di imprese assunte per il bene degli uomini. C'è, è vero, pericolo di vederla, alla maniera protestante, come un " no " totale detto da Dio agli sforzi umani. Invece, l'unione alla c. del Risorto è la risposta adeguata, nella fede, all'esigenza di riscattare dal non-senso ogni esistenza umana, per quanto frustrata e fallita possa essere.

Si tratta, quindi, di affrontare la c.-fallimento nel presente, senza evasioni, ma capovolgendone il senso, riferendola alla verità e alla bontà delle mire evangeliche perseguite, che nessuno potrà mai vanificare. Contemplando la c. di Gesù, si ribadisce la certezza che la storia, in ultima analisi, non è scritta dai vincitori, ma piuttosto dai cosiddetti " vinti ", che non hanno consentito ai vincitori di impadronirsi della propria coscienza.

La relativizzazione della storia contingente è necessaria proprio per mantenere la profondità prospettica, entro cui si colloca ogni piccolo contributo alla costruzione del regno. C. e utopia concreta sono compatibili, anzi fanno una cosa sola, contro ogni utopia indolore, puramente platonica, e contro ogni illusione di accelerare, con l'impiego della violenza, il compimento della storia.

IV. Ultima parola della c. è l'Amore La sintesi finale d'ogni mistica della c. si ritrova necessariamente nella carità divina, che si dona totalmente, e nella risposta d'amore di chi è stato " afferrato " da Cristo. " Mi ha amato e ha dato se stesso per me " (Gal 2,20). " Per me vivere è Cristo e morire un guadagno " (Fil 1,21). C. e amore essenziale si identificano tanto, anche in Dio, che in questi ultimi tempi si è sviluppata tutta una teologia del " dolore di Dio ". La c. è l'autorivelazione massima di Dio Amore.

In questo senso, anche se continua ad avere valore una mistica dell'espiazione e della riparazione, la mistica della c. confluisce senza residui in quella del mistero pasquale di Gesù, ed ha, quindi, in sé quella carica di ottimismo cristiano che il Risorto ha infuso fin dagli inizi nei discepoli, mostrandosi loro con i segni della passione.

Bibl. Aa.Vv., La sapienza della croce oggi, 3 voll., Torino 1976ss.; F. Di Bernardo, s.v., in DSAM XII, 312-338; M. Flick - Z. Alszeghy, Il mistero della croce, Brescia 1978; G. Greshake, Il prezzo dell'amore, Brescia 1983; G. Moioli, La parola della croce, S. Giuliano Milanese (MI) 1985; J.H. Nicolas, La souffrance de Dieu?, in Nova et Vetera, 53 (1978), 56-64.

C. Brovetto

CULTO. (inizio)

I. Il termine. C. (cultus, colere: onorare, venerare), è l'espressione concreta della virtù di religione, in quanto manifestazione della relazione fondamentale che unisce l'uomo a Dio,1 o anche come manifestazione tipica e universale della religione, che esprime il riconoscimento della relazione radicale che unisce l'uomo a Dio.2

Il c. che si rende al Signore ha le sue radici nel sentimento che l'essere umano pone della sua indipendenza rispetto all'essere supremo. In lui si esprimono differenti aspetti di questo sentimento religioso con atti di adorazione, offerta, intercessione, ecc. Per la natura corporale e spirituale dell'uomo, anche quando il c. si vive nello spirito, si manifesta mediante gesti di orazione, di benedizione e di sacrificio.3 Tali espressioni cultuali sono costituite da riti che esigono tempi e luoghi sacri perché si svolgono nel tempo e nello spazio. Il c. è il momento espressivo di ciò che fondamentalmente è la religione ed implica tanto l'atteggiamento interiore quanto quello esteriore dell'uomo, che insieme constituscono ed esprimono la relazione con Dio.4

II. Il c. nella Scrittura. Nell'AT, il c. cristiano si rifà al c. di Israele. Il popolo ebreo ricevette dal suo contesto culturale un insieme di credenze, di riti e di pratiche religiose che lo avvicinavano ai popoli del Medio Oriente e, allo stesso tempo, incontrò Dio nella sua storia attraverso avvenimenti che sono all'origine della sua costituzione come popolo. E per questo motivo che il suo c., pur conservando forme identiche a quelle dei popoli di quell'epoca, ha un significato totalmente diverso.5

Nel NT, l'oggetto del c. sono Dio e Gesù, il Cristo (cf Gv 5,23; 17,3; Fil 2,10; Rm 14,10-12).6 All'inizio, gli apostoli frequentavano il tempio (cf At 2,46-47; 5,21.42) e le sinagoghe (cf At 3,1), ma presto il c. cristiano si libererà delle forme ebraiche per convertirsi in una creazione originale. I cristiani si radunano (cf At 1,4ss.; 4,23-31) per pregare e celebrare il " c. del Signore " (At 13,2). Negli scritti di Paolo appaiono quattro elementi del c. cristiano primitivo: discorsi in lingue che necessitano di un interprete (cf 1 Cor 14,22-27); profezia o predicazione (cf 1 Cor 14,22); preghiere e cantici (cf 1 Cor 14,15), dei quali si incontrano reminiscenze sparse (cf Ef 5,14; Col 1,6-11; Fil 2,15-20); la frazione del pane (cf At 2,41; 20,7) e la Cena del Signore (cf 1 Cor 11,20ss.).7

III. I luoghi di c. Le case private servono in genere da luogo di incontro (cf Rm 16,5; At 20,7), ma non esiste un luogo consacrato specifico per il c. Di solito, l'incontro avviene di domenica, " giorno del Signore " (Ap 1,10), scelto a motivo della risurrezione di Gesù. Anche se non appare nessun sacerdote con il ministero per animare il c., la lista di funzioni di Rm 12,6-8; Ef 4,11-13; 1 Cor 12,28 (anziani, diaconi, vescovo, presbitero) dedica grande spazio all'insegnamento e all'annuncio della Parola tra gli altri carismi della Chiesa primitiva. Quest'atteggiamento rispetto alle pratiche religiose ebraiche caratterizza gli inizi del c. cristiano.8

IV. C. in spirito e verità. Con Cristo abbiamo un salto qualitativo: egli stesso, con tutta la sua vita, personifica ed esemplifica il c. dovuto al Padre. Cristo non condanna il c. del suo popolo anzi vi partecipa, però esige, da una parte, la purezza del cuore, senza la quale i riti sono vani (cf Mt 23,16-25) e, dall'altra, dichiara il suo scopo, perché nella sua persona si realizzano un nuovo tempio e un nuovo c. (cf Gv 2,14-19).9 Con Gesù si conclude l'epoca profetica della figura e dell'annuncio; termina il c. legato a luoghi particolari e s'inaugura il c. " in spirito e verità " (Gv 4,24).10 Si tratta di un c. che ha come principio vitale lo stesso Spirito Santo. Il c. in spirito e verità è il c. offerto con tutta la propria vita, come lo visse ed esemplificò Cristo stesso. Il c. antico, rituale, esterno, convenzionale è sostituito dal Cristo con un c. reale, personale, offerto con la vita.11

V. Relazione tra c. e mistica. " I fedeli, incorporati nella Chiesa con il battesimo, sono destinati al c. della religione cristiana " (LG 11); " sono in modo mirabile chiamati ed istruiti per produrre in sé sempre più copiosi frutti dello Spirito " (Ibid. 34). Ogni cristiano, singolarmente preso, consacrato con il battesimo, offre quotidianamente a Dio con la santità della sua vita un atto di c., per mezzo del quale entra nella realtà intima della Chiesa, come una pietra in un edificio che è il tempio del Signore, fondato sulla pietra angolare che è Cristo (cf Ef 2,20-22; 1 Pt 2,5).12 Vive la sua incorporazione al Signore, la sua natura ecclesiale e di popolo di Dio, come pure il suo carattere sacerdotale, quando, attraverso la propria santificazione e la ricerca continua della gloria di Dio, consacra se stesso, le proprie cose e il mondo in cui vive a Dio. Allora, il cristiano vive nella invisibile unione con Cristo, capo visibile del suo Corpo sacerdotale, che è la Chiesa-Popolo di Dio.13 Difatti, " il c. cristiano non consiste nel compimento esatto di certe cerimonie, ma nella trasformazione dell'esistenza stessa per mezzo della carità divina ".14

Secondo s. Agostino la santità consiste in ogni opera buona fatta per unirsi santamente a Dio, pertanto nello sviluppo delle virtù, nell'adesione a Dio, realizzata attraverso il sacrificio di se stessi, il quale riveste un aspetto fondamentalmente cultuale, giacché nasce dalla consacrazione iniziale attraverso cui si è offerto a Dio.15 È un atto di c. (cf Rm 12,1), o per meglio dire, un sacrificio (cf Rm 15,16; 1 Pt 2,5), perfino una liturgia sacrificale (cf Fil 2,17).16 Il sacrificio dei cristiani consiste, quindi, in una reale, anche se interiore, unione a Cristo fino a formare con lui un solo corpo.17

Il NT si riserva i termini cultuali per indicare la comunità cristiana e la vita della carità, sia dei fedeli che degli apostoli. S. Paolo identifica il c. cristiano con la vita cristiana: " Vi esorto, dunque, fratelli per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio: è questo il vostro c. spirituale " (Rm 12,1). L'unico sacrificio gradito a Dio è l'offerta della vita nello Spirito Santo (cf Rm 15,15-16).18

Se la vita mistica del cristiano consiste nell'esperienza dell'" unità-comunione-presenza ", cioè dell'intimità ineffabile con Dio unita alla pratica della carità, possiamo affermare che questo sarebbe il modo eccellente di offrire a Dio il c. in spirito e verità, cioè il c. vero; ma, nel cristiano dobbiamo tener presente non solo la sua individualità di figlio di Dio, bensì la sua appartenenza al corpo di Cristo che è la Chiesa. Sia l'aspetto cultuale come quello ecclesiale, che sono connaturali alla santità cristiana, non permangono nello stato di intenzione latente e di realtà interiore, ma sfociano inevitabilmente nella liturgia,19 concretamente nella celebrazione dell'Eucaristia.

In virtù della santità oggettiva (sacramentale) e della conseguente santità morale della sua vita, il cristiano è " sacrificio spirituale " a Dio per mezzo di Cristo e a somiglianza di Cristo, giacché il sacrificio di Cristo fu unico e spirituale, e l'Eucaristia è il sacramento del sacrificio spirituale di Cristo. È nell'Eucaristia che si realizza pienamente il c. spiritule offerto a Dio dai fedeli, giacché in essa si sacramentalizzano quei sentimenti di obbedienza al Padre che, ad imitazione di Cristo, ogni cristiano deve alimentare in se stesso.

Per questo motivo, S. Marsili affermerà: " Nel momento in cui gli uomini, hanno preso coscienza del proprio inserimento in Cristo, realizzano in sé, secondo forme propriamente cultuali (adorazione, lode, rendimento di grazie) esternamente manifestate, quella stessa totalità di servizio a Dio che Cristo rese al Padre, accettando pienamente la sua volontà nell'ascolto costante della sua voce e nella perenne fedeltà alla sua alleanza ".20

Così, possiamo affermare che non esiste mistica cristiana che non sia espressione del c. a Dio Padre in Gesù Cristo per lo Spirito Santo, " in spirito e verità " realizzato in e per la stessa vita di ogni giorno.

Note: 1 Cf J. Chatillon, Devotio, in DSAM III, 702-716; 2 Cf X. Basuorko, El culto en la época del Nuevo Testamento, in Aa.Vv., La celebración en la Iglesia, I, Salamanca 1985, 53; 3 Cf D. Bach, s.v., in Aa.Vv., Diccionario Enciclopédico de la Biblia, Barcelona 1993, 390; 4 Cf A. Bergamini, s.v., in NDL, 333ss.; 5 Cf Ibid.; 6 Cf D. Bach, a.c., 390-392; 7 Cf Ibid., 391.; 8 Ibid., 390; 9 Cf A. Bergamini, a.c., 333ss.; 10 Ibid.; 11 Ibid.; 12 Cf S. Marsili, La Liturgia, momento storico della salvezza, in Aa. Vv., Anámnesis I, Torino 1984, 125; 13 Cf Ibid., 123; 14 A. Vanhoye, Culto antico e culto nuovo nell'Epistola agli Ebrei, in RL 5 (1978), 661; 15 Cf S. Agostino, De Civitate Dei, 10, 6: PL 41, 283ss.; 16 Cf S. Marsili, o.c., 123; 17 Cf Ibid., 124; 18 Cf A. Bergamini, a.c., 333ss.; 19 Cf S. Marsili, o.c., 124; 20 Cf Id., Culto, in DTI I, 651ss.

Bibl. Aa.Vv., Anàmnesis I, Torino 1984; G. Barbaglio, s.v. in NDT, 285-298; A. Carideo, Il culto nuovo di Cristo e dei cristiani come azione sacerdotale. Linee di riflessione dal Nuovo Testamento, in RL 3 (1982), 311-336; L. Cerfaux, Il cristiano nella teologia paolina, Roma 1969; Y. Congar, Il mistero del tempio, Torino 1963; O. Cullmann, La fe y el culto en la Iglesia primitiva, Madrid 1971; E.J. De Smedt, Il sacerdozio dei fedeli, in G. Barauna (cura di), La Chiesa del Vaticano II, Firenze 1965, 453-464; L. Maldonado, Secolarizzazione della liturgia, Roma 1972; S. Marsili, s.v., in DTI I, 651-666; F. Ruiz Salvador, Caminos del Espíritu, Madrid 1978; C. Vagaggini, Il senso teologico della liturgia, Roma 1965.

F.M. Amenós

CULTURA. (inizio)

I. Il termine c. viene generalmente letto secondo due accezioni.1 La prima (accezione umanistico-illuministica) fa riferimento alla preparazione intellettuale che si ottiene attraverso la formazione, lo studio e l'approfondimento. La persona di c., secondo questa accezione, è quella che ha sviluppato la propria capacità di apprendimento acquisendo una erudizione più o meno vasta. La seconda (accezione antropologica) fa riferimento alla forma e alla struttura primaria di una società, frutto della sua genialità e creatività. La c. sarebbe data dai valori fondamentali che costituiscono l'identità di un gruppo, quali la lingua, i modelli di comportamento, i costumi, le tecniche, i valori, i simboli, le istituzioni... La religione è una componente intrinseca della c. Si colloca al suo interno come fattore di intima coesione di tutte le altre componenti. Penetra il linguaggio con i suoi simboli e miti, i costumi con i suoi comandamenti, le tecniche con i suoi riti, i valori con i suoi apprezzamenti della realtà, le istituzioni con le sue gerarchie.

II. Cristianesimo e c. È a partire da questa seconda accezione che si parla del rapporto tra fede cristiana, esperienza mistica e c.2 Il cristianesimo, lungo la sua storia millenaria, ha assunto modi diversi di rapportarsi alle differenti culture con cui è venuto in contatto. Ha avuto atteggiamenti di diffidenza fino al rifiuto, e atteggiamenti di accoglienza e di condivisione. Si è sempre posto in un atteggiamento critico, che ha saputo valorizzare il meglio della cultura greco-romana (alle sue origini), di quella celtica e germanica (nell'alto Medioevo), di quella aristotelica (nel basso Medioevo), fino alle successive culture umanistiche, tecnico-scientifiche e a quelle che gradualmente ha incontrato nella sua espansione geografica fuori dell'Europa.

Ciò che rende peculiare il rapporto della Chiesa con le altre culture è che essa possiede una propria c., che come ogni c. comprende simboli, riti, leggi, istituzioni, valori. Tuttavia, a differenza delle altre culture, quella del popolo di Dio si contraddistingue per il fatto che i suoi elementi non sono creazione dell'uomo, ma dono di Dio: dono di Dio sono le verità (simboli), i riti (sacramenti), le norme (il comandamento nuovo), le istituzioni (i ministeri), i valori evangelici insegnati da Cristo. Una c. quindi, ossia un insieme di valori e uno " stile di vita ", che Dio ha consegnato al suo popolo e che deve innestarsi nelle varie culture dell'umanità. È il mistero dell'Incarnazione: il Verbo è venuto tra gli uomini portando le realtà della Trinità. Ha scelto una c. particolare, quella ebraica, assumendone lingua, costumi, simboli... ma attraverso gli elementi di questa c. particolare ha espresso nuovi valori, nuove realtà, nuove leggi comportamentali: il " novum " del cristianesimo, che trascende la c. ebraica, nella quale Cristo lo ha espresso. Questo " novum ", che è la specificità e l'integrità della fede cristiana, sarà sempre vissuto ed espresso in e attraverso una c., ma sempre la trascenderà e la aprirà.

Partendo da questi presupposti possiamo guardare in modo più specifico al rapporto tra mistica e c., che qualifichiamo come dialettico.

III. La c. informa la mistica. La molteplicità delle spiritualità e delle esperienze mistiche è un dato di fatto ed è anche un chiaro indice della dimensione storico-culturale della mistica. Possiamo cogliere due serie di motivazioni, tra loro strettamente interdipendenti, all'origine della molteplicità delle spiritualità e di conseguenza delle esperienze mistiche: una di ordine evangelico-ecclesiale, una storico-culturale.3

La prima serie di motivazioni della varietà e diversità delle esperienze mistiche è nella linea della mai compiuta comprensione del Vangelo. Lo Spirito di verità introduce gradatamente la Chiesa nella verità tutta intera, con una comprensione che progredisce " sia con la riflessione e lo studio dei credenti... sia con l'esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali " (cf DV 8). In quanto frutto della presenza e dell'azione dello Spirito Santo, la mistica è una. Eppure, " come Gesù stesso è il Logos incarnato in una certa circostanza di luoghi e di tempi, come figlio di una determinata nazione, così anche lo Spirito Santo s'incarna nel corso dei tempi nella vita dei diversi popoli e ivi si rivela. È sempre lui, identico, ma sotto forme umane concrete e, a prima vista, assai diverse ".4 Lo Spirito apre uomini e donne all'intelligenza delle Scritture (cf Lc 24,25), li introduce nella comprensione di determinate verità evangeliche facendogliele sperimentare con una profondità e modalità nuova, forse mai raggiunta prima di allora nella Chiesa. Sotto la guida dello Spirito, il Verbo incarnato si manifesta nei mistici e si dice attraverso di loro, che diventano quasi " parole " dell'unica Parola, aspetti particolari della totalità del Vangelo.

La seconda serie di motivazioni della molteplicità delle spiritualità e delle esperienze mistiche è data dal supporto culturale nel quale esse sono vissute. La Parola di Dio opera concretamente nella vita dell'uomo e dei popoli. Per questo le spiritualità, che tutte nascono dalla Parola di Dio e sono a servizio di essa, non rimangono astratte e infeconde, ma interpretano le esigenze dell'uomo storico, permeano il tessuto sociale, rispondono ai suoi bisogni. I carismi spirituali appaiono allora come interventi dello Spirito volti a guidare la storia. Egli, che scruta e conosce i segreti di Dio (cf 1 Cor 2,11), legge anche i segreti del cuore dell'uomo e i bisogni dei tempi. Così egli fa brillare, in modo nuovo, quelle dimensioni evangeliche che maggiormente rispondono ai tempi, venendo incontro alle situazioni e ai problemi della Chiesa e del mondo. In ogni momento storico di crisi, di difficoltà, di trasformazioni lo Spirito ripropone, con la propria creatività, la vitalità feconda del Vangelo e Cristo continua, attraverso le persone configurate a lui e penetrate dal suo mistero, ad essere la luce che illumina ogni uomo che viene nel mondo. La diversità delle urgenze origina, mediante l'azione provvidenziale dello Spirito, una diversità di risposte. Le spiritualità e le esperienze mistiche appaiono Vangelo inculturato, ossia Vangelo che si fa storia, risposta ad un tempo determinato, che s'incarna in una c. determinata, in un determinato popolo.

È quindi evidente un nesso inscindibile tra spiritualità e c., tra mistica, come momento culmine della spiritualità, e c.

IV. La mistica informa la c. Se è vero che l'esperienza mistica avviene sempre nell'ambito di una c. e di essa porta il segno, è altrettanto vero che il cristianesimo ha trovato nei mistici e nell'esperienza di uomini e donne spirituali strumenti particolarmente efficaci per l'opera di inculturazione del messaggio evangelico e di crescita delle dimensioni umane della vita.

Il monachesimo benedettino, nelle sue molteplici forme storiche, ha contribuito notevolmente a forgiare la c. medievale, esprimendosi in architettura, pittura, poesia, musica, letteratura. Lo stesso possiamo dire dei Movimenti mendicanti, dei Chierici Regolari. Francesco d'Assisi ha un posto privilegiato nella nascita della lingua italiana. L'intero movimento francescano ha lasciato la sua impronta nell'architettura come nella pittura. Si conoscono anche un'architettura cistercense e un'arte gesuitica. Teresa dAvila e Giovanni della Croce sono da collocarsi tra i massimi esponenti della poesia spagnola, così come gli autori della scuola francese tra quelli della cultura del Grand siècle. Cirillo ( 869) e Metodio ( 885) con la traduzione della Bibbia hanno dato forma alla lingua slava, così come Lutero ( 1546) a quella tedesca.

Dal punto di vista economico potremmo ricordare come il sistema curtense del Medioevo sia legato al modello dell'abbazia. I mendicanti hanno dato vita all'istituzione dei Monti di pietà. Gli ospedali pubblici, le scuole, gli istituti di assistenza sono il più delle volte creazioni se non " invenzioni " degli ordini religiosi o meglio di uomini e donne di eccezionale esperienza religiosa e santità.

Anche l'influsso nella politica è ugualmente considerevole e spesso determinante. " Un secolo prima della Magna Charta d'Inghilterra - ha scritto ad esempio Leo Moulin - esisteva il Capitolo Generale di Citeaux. Sono stati i monaci, insomma, ad averlo inventato, gettando le basi dello spirito democratico ".5 Potremmo pensare, in questo campo, all'incidenza di un Bernardo, di una Caterina da Siena, di un Lutero, di un Tommaso Moro ( 1535). Quanto Giovanni Paolo II ha scritto dei santi Cirillo e Metodio può essere ripetuto in certo modo per tutti i mistici: " Desiderarono diventare simili sotto ogni aspetto a coloro ai quali recavano il Vangelo; vollero diventare parte di quei popoli e condividerne in tutto la sorte ",6 ma comunicando loro le ricchezze attinte dall'esperienza con Dio e ricevute dallo Spirito.

Una simile incidenza culturale è da addebitarsi anche al fatto che i membri sia degli Ordini monastici, come dei successivi movimenti religiosi, erano generalmente persone colte. Tra loro troviamo, infatti, storici, letterati, geografi, antropologi, matematici, astronomi, scienziati... Tuttavia, la loro incidenza culturale è legata soprattutto al carisma e alla spiritualità di cui erano portatori e che li spingeva, a seconda della diversa grazia, ad operare in favore dell'uomo visto nella sua interezza e concretezza, in un'attitudine di autentico servizio, che li ha portati ad occuparsi di ogni espressione autenticamente umana. La vita " interiore " dei mistici ha saputo esprimersi in opere " esteriori " ad essa adeguate. Si potrebbe agevolmente leggere la storia della spiritualità a partire dalle opere di carattere sociale e culturale che da essa sono sorte. Apparirebbe evidente l'assenza dell'apparente dicotomia tra la spiritualità e l'impegno per l'uomo.

Con l'avvento dell'Umanesimo e del Rinascimento (fenomeni culturali), e il sorgere degli stati nazionali (fenomeno politico), assistiamo al nascere di " scuole di spiritualità " - come frutto di particolari e significative esperienze mistiche -, con caratteristiche nazionali, che esprimono e, nello stesso tempo, contribuiscono a creare la cultura di un determinato popolo. Accenni a questa tendenza sono già riscontrabili alla fine del secondo Medioevo, quando ad esempio vediamo sorgere una mistica " renana ", che trova la sua massima espressione in quel gioiello letterario che non a caso si intitola Teologia tedesca, o la Devotio moderna, legata alla scuola fiamminga. Contemporaneo al movimento spirituale in Germania e nei Paesi Bassi sorge un movimento inglese, che possiamo vedere simboleggiato in una famosa opera del XIV secolo: La nube della non-conoscenza.

Il fenomeno del legame tra nazione, spiritualità e mistica s'intensifica con il sorgere di Stati ben delineati, che presentano una propria fisionomia all'interno dell'Europa. Si formano allora una spiritualità fiamminga, italiana, spagnola, francese..., nelle quali è dato d'individuare una costante nel rapporto tra c. e mistica. A mano a mano che le culture si diversificano, si diversificano anche le spiritualità e le modalità dell'esperienza mistica. L'espressione massima della produzione spirituale e mistica dei Paesi Bassi coincide con il periodo aureo di questa regione dal punto di vista economico, artistico, culturale. La mistica carmelitana di Teresa d'Avila e di Giovanni della Croce si sviluppano all'interno di una scuola spagnola e la portano al suo massimo splendore. Conosciamo, alla fine del '500, una scuola italiana: Antonio M. Zaccaria ( 1539), Gaetano da Thiene ( 1547), Filippo Neri, ecc. Il '600 offre un'altra scuola nazionale, quella francese: Francesco di Sales, Lallemant, Bérulle, Olier, ecc. Anche in questi casi è superfluo notare come i secoli d'oro dell'Italia, della Spagna, della Francia, coincidano con le espressioni più felici della produzione spirituale e mistica. Sempre in questo periodo vediamo svilupparsi una spiritualità russa, che acquisterà piena coscienza di sé nell'Ottocento. Accanto alle spiritualità cattoliche la Riforma, accelerando il fenomeno dell'identità nazionale, dà il via alla nascita di una spiritualità (e anche di una mistica) protestante e anglicana.

V. Acculturazione delle esperienze spirituali. Dopo aver accennato alla reciprocità del rapporto tra mistica e c. occorre affrontare il problema della possibilità e modalità di " decodificare " le esperienze dei mistici e di esprimere nuovamente in una differente c. i valori dell'esperienza mistica. Se l'esperienza è stata comunicata in determinate categorie culturali e a sua volta ha forzato la c. portandola ad esprimersi in modi nuovi, sarà possibile coglierne i valori permanenti, al di là del rivestimento culturale, e tradurli in un'altra c. Questa traduzione è urgente specialmente per quei mistici e quelle mistiche che hanno dato origine a correnti e movimenti spirituali o a vere e proprie istituzioni religiose e i cui discepoli e discepole appartengono a differenti mondi culturali. È possibile un dialogo di comunione tra culture diverse anche a questo livello?

Una prima risposta positiva viene dalla storia. Infatti, già si è sperimentata una reciproca influenza tra le spiritualità. I Canonici regolari, ad esempio, non si comprendono senza il monachesimo e questo, a sua volta, ha ricevuto da quelli una spinta nuova verso la cura d'anime. Ugualmente l'eremitismo ha influenzato il francescanesimo. Alcune esperienze sembrano addirittura continuare a trascendere concezioni nazionaliste. Abitualmente si colloca Ignazio nella scuola di spiritualità spagnola, ma come ignorare l'esperienza francese, fiamminga, italiana di questo santo e il carattere marcatamente internazionale del primo gruppo di gesuiti? Anche altre esperienze sembrano trascendere lo spazio di un popolo per un respiro più universale: ad esempio, Newman, don Bosco, Teresa di Gesù Bambino... Rimane vero tuttavia che le spiritualità restano segnate anche da caratteri locali. Fénelon e Bossuet sono la tipica espressione della c. francese, come Bona e Scaramelli di quella italiana e Alfonso de' Liguori di quella napoletana. Ma anche quando si accentua il carattere nazionale è ugualmente evidente la reciproca influenza tra le differenti spiritualità. Quella francese, ad esempio, è fortemente debitrice all'esperienza nordica, spagnola e italiana. Il circolo di M.me Acarie ( 1618), con in testa Benedetto Canfield, ha introdotto nell'ambiente parigino le opere dei mistici renano-fiamminghi, di Caterina da Genova, dello Scupoli, dei carmelitani spagnoli. Anche Francesco di Sales ha conosciuto gli scritti degli autori fiamminghi, italiani e spagnoli. Lo stesso va detto delle spiritualità protestanti ed anglicane. " I Riformatori del XVI secolo hanno sempre affermato la continuità della Chiesa nelle chiese che avevano cercato di attuare la loro riforma secondo la Parola di Dio. Nei loro scritti hanno citato innumerevoli volte i Padri greci e latini, i dottori della scolastica, i fondatori di Ordini monastici come s. Benedetto, s. Bernardo di Clairvaux, s. Francesco d'Assisi. Avevano un'unica e medesima tradizione con la parte della cristianità occidentale rimasta fedele al papato. Per questo motivo, l'esperienza spirituale dei protestanti e degli anglicani del XVI secolo e dei secoli successivi conserva numerosi elementi cattolici che non ha mai inteso rinnegare. Non è l'esperienza di un'altra religione o di un'altra chiesa, ma della Chiesa cristiana dell'Occidente la cui unità è stata frantumata ".7 Il dialogo e l'apporto reciproco tra le differenti spiritualità si risolve, già di per sé, in dialogo e rapporto di mutua influenza tra le culture stesse. Le spiritualità, quindi, non solo generano c., ma si rivelano anche fattore di rapporti tra culture. Una profonda e sostanziale unità pervade, infatti, le spiritualità e l'esperienza mistica. Per quanto differenti possano apparire, resta evidente che esse alimentano le differenti culture con i medesimi valori evangelici.

VI. Principi ermeneutici. Il lavoro che oggi si richiede è quello di individuare gli strumenti ermeneutici per cogliere, nel linguaggio culturale e al di là di esso, i contenuti dell'esperienza mistica, farli propri e riesprimerli in un vissuto che sarà necessariamente quello della propria cultura.8

Il primo passo è innanzitutto quello di individuare e vagliare criticamente e storicamente le fonti mediante un lavoro di tipo euristico ed esegetico. Si passa poi al lavoro ermeneutico vero e proprio, che consente di distinguere, nella globalità, i contenuti dell'esperienza carismatica del mistico così come gli sono stati comunicati dallo Spirito, dai tratti spirituali legati alla sua personalità psicologica ed affettiva e alla sua c.

Per l'avvio di questo lavoro occorre applicare un metodo storico-critico dirigendolo a precisi ambiti di indagine: la ricostruzione della personalità del mistico e del suo ambiente familiare, sociale, ecclesiale, culturale (studi, direttori spirituali, amicizie, letture, esperienze personali...). Il mistico ha una sua personalità, che va colta e rispettata nella sua individualità, riconoscendone i tratti legati alla nazionalità, alla cultura, all'educazione.

Accanto al metodo storico-critico la metodologia dell'interpretazione ci indica come necessario momento ermeneutico un'adeguazione dell'interprete nei confronti del mistico e della sua esperienza. Gli è necessaria una corrispondenza o " consonanza ermeneutica ", così descritta da E. Betti: " Un'apertura mentale che permetta all'interprete di collocarsi nella prospettiva giusta, più favorevole per scoprire e intendere. Si tratta di un atteggiamento, etico e riflessivo insieme, che sotto l'aspetto negativo si può caratterizzare come umiltà e abnegazione di sé, e ravvisare in un onesto e risoluto prescindere dai propri pregiudizi e abiti mentali ostacolanti un intendere non prevenuto, mentre sotto l'aspetto positivo è da caratterizzare come ampiezza e capacità d'orizzonte che genera una disposizione congeniale e fraterna verso ciò ch'è oggetto d'interpretazione ".9 " L'interpretazione, continua Betti, deve sforzarsi di mettere la propria vivente attualità nella più intima adesione e armonia con il messaggio che le proviene dall'oggetto, di modo che l'una e l'altro vibrino in armonia e in perfetto unisono. (...) Qui infatti il dato della individualità, quale si verifica nella personalità storica, deve vibrare anche nella personalità di chi è chiamato a riconoscerla, affinché il suo riconoscimento sia reso possibile. Se è vero che la personalità si manifesta come unità nel modo e nel grado in cui certi contenuti rappresentativi si unificano in una coscienza, allora proprio la congeniale affinità con tale modo e grado della sintesi è una delle condizioni che permettono allo storico di ricreare dall'interno quella personalità ".10 L'interprete deve, quindi, poter arrivare a rivivere la medesima esperienza del mistico, a ripercorrere dal di dentro la sua esperienza dello Spirito. Solo entrando in questa medesima dinamica si può riuscire a conoscere in profondità la sua anima e il dono che lo Spirito gli ha concesso, per ridirlo in un'altra cultura e in un altro contesto.

Un ulteriore canone ermeneutico è quello della " attualità dell'intendere ", come si esprime ancora Betti, della pre-comprensione, come direbbe Gadamer.11 Il dialogo ermeneutico tra la persona interpretante e il mistico è sempre un dialogo contestualizzato, che s'instaura a partire da un preciso ambito storico-culturale. È a partire dall'oggi, da questa situazione culturale, che si entra in dialogo con un'esperienza mistica del passato. Questo esige il pieno radicamento nel cammino della Chiesa di oggi. Siccome il ritorno al passato è sempre in funzione dell'adeguazione al presente, non potrà darsi ermeneutica senza partire dall'oggi della Chiesa. L'azione dello Spirito non si è fermata con i mistici del passato; essa continua anche oggi a vivificare la Chiesa, a guidarla verso la verità tutta intera. È, quindi, indispensabile mettersi in ascolto di quanto oggi lo Spirito dice alla Chiesa, vivere in piena sintonia con essa, per capire quanto ha già detto nel passato e perché lo ha comunicato.

Note: 1 Per un'introduzione alla problematica della cultura cf C. Kluckohn - A.L. Kloeber, Il concetto di cultura, Bologna 1982; B. Bernardi, Uomo cultura società, Milano 1985; 2 La letteratura su cristianesimo e culture è molto vasta. Ci limitiamo a segnalare: P. Poupard, Il Vangelo nel cuore delle culture, Roma 1988; H. Carrier, Vangelo e cultura, Roma 1990; B. Mondin, Cultura, in Aa.Vv., Dizionario di Missiologia, Bologna 1993, 167-175. Il discorso più specifico su mistica e cultura è invece appena agli inizi; cf D.J. Fasching, Culture, in Aa.Vv. The New Dictionary of Catholic Spirituality, Collegeville (Minnesota) 1993, 242-244; 3 Cf F. Ciardi, Tipologia dei carismi degli Istituti di vita consacrata nella Chiesa, in Aa.Vv., La teologia della vita consacrata, Roma 1990, 45-65; 4 T. Spidlík, La spiritualità russa, Roma 1981, 11; 5 Si veda l'opera ormai classica, Vita e governo degli Ordini religiosi, Milano 1965; 6 Slavorum apostoli, 2.6.1985, nn. 9-10; 7 V. Vinay, Protestanti e anglicani, in T. Goffi - B. Secondin, Problemi e prospettive di spiritualità, Brescia 1983, 127; 8 Cf F. Ciardi, Indicazioni metodologiche per l'ermeneutica del carisma dei fondatori, in Clar 30 (1990), 5-47; 9 L'ermeneutica come metodica generale delle scienze dello spirito, Roma 1987, 107; 10 Ibid., 99-100; 11 Cf Wahrheit und Methode. Grundzüge einer philosophfischen Hermeneutik, Tübingen 1965.

Bibl. Oltre alla consultazione delle voci Mistica e Cultura nei principali e recenti Dizionari di teologia e filosofia si rimanda alle seguenti pubblicazioni: Aa.Vv., Vita cristiana ed esperienza mistica, Roma 1982; Aa.Vv., Dialogo fra le culture, Roma 1988; A. Alessio, Esperienza religiosa e mediazioni culturali, in Sal 46 (1984) tutto il numero; A. Amato, Annuncio cristiano e cultura contemporanea, Roma 1978; A.F. Bednarski, La cultura. Riflessione teologica, Torino 1981; L. Borriello, Cultura e contemplazione, in Clar 29 (1989), 347-378; H. Carrier, Cultures notre avenir, Roma 1986, 102-120; Id., Vangelo e cultura, Roma 1990; M. de Certeau, Politica e mistica. Questioni di storia religiosa, Milano 1975; Id., Culture e spiritualità, in Con 6 (1966), 60-86; E. Chiavacci, s.v., in DTI I, 667-674; Commissione Teologica Internazionale, L'unità della fede e il pluralismo, Città del Vaticano 1972; Id., Popolo di Dio e inculturazione, Città del Vaticano 1985; Y. Congar, Teologia contemporanea. Situazioni e compiti, Torino 1969; Id., Christianisme comme foi et comme culture, in Aa.Vv., Evangelizzazione e culture, Roma 1976; G. Cremascoli, Vicende e linguaggio di scrittrici mistiche italiane, in Ben 36 (1989), 567-572; A. Giordano - F. Tomatis, Cristianesimo ed Europa, Roma 1993; J. Leclercq, Umanesimo e cultura, Milano 1981; I. Mancini, Cristianesimo e cultura, Milano 1975; I. Mancini - G. Ruggeri, Fede e cultura, Torino 1979; J. Maritain, Religion et culture, Paris 1946; V. Neckebronck, La terza Chiesa e il problema della cultura, Roma 1990; L. Negri, L'uomo e la cultura nel magistero di Giovanni Paolo II, Bologna 1983; Pontificia Commissione Biblica, Fede e cultura alla luce della Bibbia, Roma 1979; P. Poupard, Il Vangelo nel cuore delle culture, Roma 1988; P. Rossano, Vangelo e cultura, Roma 1985; P. Rossi, Il concetto di cultura, Torino 1972; B. Secondin, Messaggio evangelico e culture, Roma 1982.

A. Cumer

CUORE. (inizio)

Premessa. " La tradizione spirituale della Chiesa - scrive il CCC - insiste (...) sul c., nel senso biblico di profondità dell'essere, dove la persona si decide o no per Dio " (n. 368). Prendendo lo spunto da questo testo, risponderemo alle seguenti domande. Perché chiamiamo c. la profondità dell'essere (e cos'è questa profondità)? In che senso questo c. è luogo della decisione? Come si riscontra questo uso di c. nella Scrittura e nella tradizione cristiana?

I. Il c. è la " profondità dell'essere ". Non si può dire che la parola c. sia presa soltanto in senso metaforico quando significa la profondità dell'essere, oppure l'amore, la mente, i sentimenti... 1. C. è una di quelle parole che esprimono l'unità profonda, sostanziale dell'uomo (la realtà totale dell'uomo), la quale è originaria per rispetto ai due distinti principi di cui l'uomo si compone (anima e corpo; spirito e materia); questi due principi, infatti, prima di essere uniti per costituire l'unità umana psico-somatica, non avevano un proprio essere e una propria intelligibilità: " L'unità dell'anima e del corpo è così profonda che si deve considerare l'anima come ’forma' del corpo; ciò significa che, grazie all'anima spirituale, il corpo, composto di materia, è un corpo umano e vivente; lo spirito e la materia, nell'uomo, non sono due nature congiunte, ma la loro unione forma un'unica natura " (CCC 365). 2. La parola c., tuttavia, non è una semplice metafora per esprimere questa realtà totale, questa unità profonda dell'anima e del corpo (la persona somatico-spirituale), ma ne è il " simbolo reale ", allo stesso modo in cui il corpo è " simbolo reale " dell'anima. Il corpo umano, infatti (e così il c. umano) è un " simbolo reale ", nel senso che esso è quella realtà nella quale lo " spirito " si esprime e, esprimendosi, è se stesso, senza ridursi tuttavia ad essere né la stessa cosa che è il corpo, né il semplice aspetto interno del corpo. Il corpo umano, infatti, proprio in quanto " umano ", non è un " puro " segno o strumento al quale ricorrerebbe l'anima (già esistente per suo conto) per indicare la sua presenza e la sua azione; esso, invece, è strumento (simbolo) forgiato dall'anima stessa (l'anima è " forma " del corpo), è uno strumento che l'anima ha fatto e che essa mantiene unito a se stessa sostanzialmente. Allo stesso modo, anche c. è " simbolo reale " dell'unità interna, profonda e originaria di corpo e di anima, di designante (corpo) e di designato (anima), di esprimente (corpo) e di espresso (anima). La persona umana (ossia, il composto psico-somatico; l'essere umano esistente) possiede veramente dentro di sé un fondo (la " profondità dell'essere ", come dice il CCC cit.) anteriore alla pluralità dei suoi elementi componenti. E da questa " profondità " che si irradiano le diverse realtà che compongono l'individuo umano, ed è questa profondità che le mantiene unite in esso. Tale profondità, in quanto sperimentata dall'uomo come " centro " originario della persona psicosomatica, è designata con la parola c. Non si tratta, però, di una semplice metafora: infatti, la medesima parola (c.) è usata sia per designare la suddetta profodità dell'essere come " centrale " in noi, sia per designare il c. anatomico, che sta al centro e che (come " simbolo reale ") reagisce (per es. accelera o diminuisce i battiti) a seconda dello stato psicosomatico del proprietario.

II. " Profondità dove la persona si decide o no per Dio ". Da tutto ciò si comprende perché e in che senso la parola c. serva ad indicare il luogo in cui si farà essenzialmente l'apertura dell'uomo a Dio e agli altri. Infatti, anteriormente ad ogni esperienza concreta, il c. (la profondità dell'essere) è, per se stesso e da sempre (per natura), inalienabile rapporto, apertura, orientamento a Dio e agli uomini. E l'evoluzione o sviluppo dell'essere umano è sempre una presa di posizione (più spesso soltanto implicita) di fronte a questo orientamento del c., è sempre una decisione con cui lo si accetta o si tenta (senza riuscirci) di distruggerlo. Questo orientamento del c. costituisce, dunque, una costante e ineludibile domanda rivolta alla nostra libertà, ossia, alla decisione suprema del c.: esso è come la pietra di paragone del c. Il tentativo di distruggerlo (il peccato) è come un cercare di " ricurvarsi su se stesso " (s. Bonaventura) al prezzo dell'eterna infelicità. Di quest'intimo fondo, originario centro della persona umana e del suo necessario orientamento a Dio parlano sia il noto testo delle Confessioni di s. Agostino (1,1,1), sia il citato CCC (n. 27) e sia la GS (19,1), ed esso è la base primaria della inalienabile dignità della persona umana.

III. S. Scrittura. Il c., anteriormente ad ogni decisione, per natura, ha come suo elemento una consapevolezza di questo suo orientamento a Dio, la quale si rivelerà sempre sotto forma di sì o di no della libertà. Per questa ragione, nella Scrittura il c. non s'identifica puramente e semplicemente con la bontà morale che c'è in una persona: il c., pur sempre orientato a Dio, può essere buono e cattivo. " Il c. è la dimora dove sto, dove abito (secondo l'espressione semitica o biblica: dove ’discendo'). E il nostro centro nascosto, irraggiungibile dalla nostra ragione e dagli altri: solo lo Spirito di Dio può scrutarlo e conoscerlo. E il luogo della decisione, che sta nel più profondo delle nostre facoltà psichiche. E il luogo della verità, là dove scegliamo la vita o la morte. E il luogo dell'incontro, poiché, ad immagine di Dio, viviamo in relazione: è il luogo dell'alleanza " (CCC 2563).

Il c. buono è quello che cerca Dio con amore basato sulla fiducia e la fede, perciò è felice (cf Sal 105,3). L'invito a questa ricerca, viene dal c. stesso, il quale è essenzialmente creato per essa: " Di te ha detto il mio cuore: Cercate il suo volto " (Sal 27,8). Ma l'uomo può " entrare in tentazione " quando non decide di accettare l'insopprimibile originaria apertura del c. verso Dio e gli altri, e cerca (senza riuscirvi) di servire a due padroni: " Là dove è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore... Nessuno può servire a due padroni " (Mt 6,21.24). Di fatto, sin dall'inizio, e poi in modo crescente, l'uomo, tentato dal diavolo, lascia sempre più spegnere la fiducia nel suo c. e dice no a questa " apertura del c. " verso Dio (cf Gn 3; Rm 8,20; 3,12.23...). E questo insegnamento biblico " concorda con la stessa esperienza: infatti, se l'uomo ora guarda dentro al suo c., si scopre anche inclinato al male " (CCC 401). Perciò Dio, rivolgendosi a Israele e, mediante Israele e i profeti, a tutti gli uomini, gli ordina: " Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore " (Dt 6,4): tutte le altre prescrizioni e proibizioni, precisa Gesù al momento di ribadire questo precetto, indicano i comportamenti che accettano o non accettano questa duplice apertura originaria della profondità della persona verso Dio e verso il prossimo (che, poi, sono un unico orientamento: cf Mt 22,36-40; Mc 12,29-30). Questo comandamento, ripetuto nell'AT e nel NT, rivela, assieme alla unicità, trascendenza assoluta e misteriosità di Dio, anche la sua misericordia, che rassicura il c. dei peccatori, perché Dio è più grande del c. umano: " Davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa " (1 Gv 3,19-20) e può creare nel peccatore un c. puro (cf Sal 50,12). Lo sforzo di conversione non è, dunque, soltanto un'opera umana: il dinamismo del " cuore contrito e affranto " (Sal 51,19), ossia il ritorno al sì della libertà che aveva cercato di distruggere la propria apertura a Dio, è anzitutto opera della grazia che attira e muove a decidere nuovamente di rispondere al Dio che per primo ci ha amato e ci ha creato capaci di amarlo.

Le prime manifestazioni misteriose del Figlio di Dio salvatore, accolte con fede da Maria e Giuseppe, sono " conservate " da Maria nel c. (cf Lc 2,51), ossia, in quella profondità della persona che è aperta a Dio. Egualmente, i poveri e i piccoli accolgono il Vangelo e, a causa del loro " c. puro ", della loro accettazione della chiamata di Dio, vedranno Dio (cf Mt 5,8). Secondo gli annunci, con Gesù, dunque, la Legge non appare più incisa su tavole di pietra, ma scritta nel c. del Servo di Dio (cf Ger 31,33), la cui dedizione a Dio e alla sua causa si spinse sino alla morte. E negli scontri con certi dottori della Legge, Gesù, dicendo che dal di dentro, " cioè dal c. dell'uomo " escono le cose che lo rendono impuro, vuole dire che l'uomo è impuro quando l'esercizio della libertà (ossia lo sviluppo della personalità morale), invece di accettare l'apertura della " profondità " originaria della persona verso Dio e il prossimo, al contrario, cerca di distruggerla con " le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza " (cf Mc 7,18-22; Mt 15, 19). Gesù risorto rimprovera ai discepoli la loro " durezza di c. " perché non hanno creduto all'annuncio della sua risurrezione, ma hanno cercato di rinchiudersi nel loro smarrimento e spavento, dimenticando le promesse. Inoltre il Risorto abita mediante la fede nel c. dei credenti (cf Ef 5,17), ossia, egli rinasce continuamente in coloro che vivono la loro apertura a Dio unendosi a Cristo mediante l'amore fondato sulla fiducia e sulla fede.

Concludendo, gli esempi addotti indicano chiaramente che l'uomo biblico, quando si sottrae alla dispersione per ritornare a quel punto originario e unico in cui conserva la propria unità ed esperimenta la sua vicinanza al mistero di Dio, parla del suo c. E quando vi sarà tornato, celebrerà l'azione gratuita di Dio come infusione del suo Spirito Santo nel c. Afflitto e calunniato, si consolerà perché Dio vede il suo c. La sua speranza non vacillerà, perché aspetta la luce mattutina, che verrà a splendere nel suo c. Sa che saranno sempre chiamati beati quelli che hanno il c. puro e " quelli che perdonano per lo tuo amore " (s. Francesco d'Assisi). Nel momento in cui cederà nuovamente al male, sentirà che il peccato viene dal suo c. E sa che Dio, al termine dell'itinerario terreno, gli chiederà unicamente se ha amato con tutto il c.

IV. Tradizione cristiana. Per spiegare il linguaggio biblico, a cui cercano di adeguarsi, i Padri, a partire dal sec. III, si aiutano con la tendenza ellenistica (stoica) che vede nel c. la sede della mente, intesa come intelligenza (soprattutto i Padri Alessandrini). Il platonismo porta Origene e il suo discepolo Gregorio Nisseno ad identificare il c. con l'intelligenza. Anche i Padri latini sono su questa linea; ma Agostino, accanto all'interpretazione del termine biblico c. come pensiero, pone quella che vede in esso la totalità dell'uomo, o meglio ancora, l'intimità più profonda, il centro originario fondamentale dell'essere umano. Queste due interpretazioni agostiniane si ritrovano separatamente nelle due tendenze della spiritualità orientale: quella platonizzante (ad es. Dionigi Areopagita, Evagrio Pontico), il cui intellettualismo non lascia quasi posto al c.; e la tendenza sviluppata tra il V e l'VIII secolo, prevalsa nella spiritualità bizantina (soprattutto in s. Nilo e s. Giovanni Climaco, nei Detti dei Savi, in Diadoco di Foticea...) e che trionfa nella dottrina esicasta, in cui il c., biblicamente inteso, assume una posizione centrale nella vita interiore. In Occidente, il termine c. viene comunemente usato per indicare o la volontà o l'amore. Nella letteratura spirituale s'incontrano quindi tendenze affettive come quella cistercense del sec. XII, soprattutto quella francescana, e quella carmelitana teresiana. Come abbiamo già notato, spesso nel recente CCC il termine c. assume (a volte esplicitamente) anche il significato di centro o profondità della persona umana. Secondo il magistero, nella devozione al Sacro Cuore di Gesù si fa riferimento al c. fisiologico, che K. Rahner considera come " simbolo reale " di tutto l'amore di Cristo per l'uomo.

Bibl. Aa. Vv., Cor et cordis affectus, in DSAM II, 2278-2307; Aa.Vv., Le coeur, in ÉtCarm 29 (1950), tutto il numero; J. Dupont, Les béatitudes, III, Paris 1973, 557-603; Id., Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5,8), in Parole di Vita, 15 (1970), 301-316; B. Marchetti - Salvatori, s.v., in DES I, 686-690; Id., La custodia del cuore, in DES I, 691-692; K. Rahner, Die Gottesgeburt im Herzen der Glaubigen, in ZKatTh 59 (1935), 333-418; Id., " Siehe dieses Herz ", Prolegomena zu einer Theologie des Herz-Jesu-Verehrung e Einige Thesen zur Theologie der Herz-Jesu-Verherung, in Id., Theologische Schriften, III, Einsiedeln-Zürich-Köln 1962, 379-390, 391-418; Id., Zur Theologie des Symbols, in Id., Theologische Schriften, IV, Einsiedeln-Zürich-Köln 1960, 275-311; I. Rodrìguez, Cambio del cuore, in DES I, 690-691; Id., Penetrazione dei cuori, in Ibid., 698-699; A. Tessarolo, Cuore di Gesù, in Ibid., 697-698.

A. Pompei