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Valore. (inizio)

In generale, valore indica ciò che in una cosa è desiderabile o utile, ciò che rende una persona degna di stima, ciò che costituisce il suo merito. Il termine è correntemente usato in morale, in economia, in sociologia, in estetica.

Chiarimento del concetto. L'evoluzione storica del concetto di valore permette di comprenderne l'utilità per lo studio delle culture. Un uso antico identificava valore con coraggio. Lo storico scozzese Thomas Carlyle (1795-1881) fa il raffronto tra i termini inglesi valour e value, notando il passaggio dal senso militare al senso economico: Gli eroi, I. I seguaci di Saint-Simon sostennero che questo passaggio è una legge generale. Non ci soffermiamo sulla discussione in merito, ma è utile vedere come il concetto di valore si sia evoluto dal campo economico a quello culturale.

Gli economisti, abituati a far uso del concetto di valore, diedero un notevole contributo alla sua chiarificazione. Verso la metà del secolo XIX, gli economisti inglesi svilupparono un concetto di valore che fu ridefinito da Karl Marx nella celebre teoria del plus-valore. Più ampiamente, l'economia politica, dopo aver inizialmente distinto il valore lavoro dal valore capitale ha approfondito in seguito le dimensioni più complesse del concetto di valore: accanto al valore di scambio e al valore d'uso di un bene economico, si scoperse, poco a poco, che la valorizzazione dei beni comporta gradi soggettivi di preferenze. La vita economica, lungi dall'obbedire a leggi predeterminate, è fortemente condizionata dai sistemi morali, dalle scelte soggettive dei consumatori, dalle mode e gusti cangianti, in altri termini, dai valori culturali. Questo approccio amplia considerevolmente la concezione tradizionale di economia politica facendola uscire dal campo delle interpretazioni positivistiche.

Nelle scienze umane - la storia, la sociologia, l'antropologia - la scoperta dei valori, come ispiratori dei comportamenti sociali, ha apportato un netto progresso a queste discipline, permettendo loro di superare lo storicismo, l'evoluzionismo, lo scientismo che avevano dominato una parte degli studi sociali nel secolo XIX. Si vide svilupparsi in Germania la Geisteswissenschaft o la scienza dello spirito, della coscienza. Ricordiamo, per esempio, i lavori di J. G. Droysen (circa 1858), come anche quelli di F. R. Ratzel (1844-1904), che ebbero un'influenza determinante su Franz Boas (1858-1942), d'origine germanica, il fondatore dell'antropologia americana. Ratzel gli insegnò l'importanza dei fatti culturali e dei valori, quali la lingua, i miti, le rappresentazioni, come fattori esplicativi della vita sociale. D'altra parte, tutta una scuola di scienze sociali, ispirate da Immanuel Kant, abbandonava il positivismo evoluzionistico per riaffermare il ruolo delle realtà culturali, delle religioni, delle credenze, delle ideologie. Questa corrente fu più tardi brillantemente illustrata da Max Weber, che si fece critico del positivismo e avvocato dei fatti intenzionali, dimostrando la necessità di comprendere dall'interno i fatti sociali piuttosto che spiegarli dall'esterno. Per Weber e i suoi numerosi discepoli, i fatti sociali appaiono come fatti di coscienza. Occorre ricercarne i moventi nelle motivazioni nascoste degli attori sociali, nelle finalità dei comportamenti, nei sistemi di credenze, nella dimensione morale delle scelte collettive. Questo orientamento ha permesso un superamento delle spiegazioni unilaterali che fanno appello ad una causalità sociale, concepita con determinismi analoghi a quelle delle scienze della natura. Questo nuovo approccio scientifico, che lascia alla dimensione morale dei comportamenti quanto le compete, è stato arricchito e continuato da Lucien Febvre e da Marcel Mauss in Francia, da Clifford Geertz negli Stati Uniti.

Valori culturali. Dal punto di vista culturale, il valore appare dunque come un dato fondamentale, poiché è attorno ad un sistema di valori che una cultura si caratterizza e attinge il proprio dinamismo. I valori culturali possono essere descritti come beni che sono degni di scelta, di selezione, di preferenza. L'idea di valore connota ciò che è desiderabile e augurabile riguardo ad un giudizio collettivo. Ogni cultura suppone un processo di valutazione dei beni preferibili e la selezione si opera sia a livello intellettuale che affettivo e operativo, cioè sul piano dell'azione. I valori di una cultura assumono il ruolo di norme pratiche per i desideri, i comportamenti, gli atteggiamenti, i giudizi.

In un senso ampio, gli interessi materiali e immateriali possono anche essere considerati come valori, in quanto oggetto di preferenza e valutazione. I valori culturali dominanti non coincidono necessariamente con i valori morali. Una data cultura, in una data epoca, per esempio, sarà segnata da una tendenza all'individualismo materialistico, alla segregazione raziale, all'edonismo, all'intolleranza religiosa. Dal punto di vista etico, si parla sempre di contro-valori.

In seno ad una cultura, i valori si ordinano in " sistemi " che condizionano, ispirano ed orientano i comportamenti; per esempio: il rispetto dell'uomo, come valore fondamentale, richiama come valore connesso, l'osservanza della giustizia, un regime di leggi; il valore della patria richiama quello del servizio al bene comune, del civismo, della partecipazione politica. Occorre notare che i valori sono sia di natura materiale che di natura immateriale o spirituale. Una cultura che privilegia i valori materiali avrà una configurazione diversa da quella di una società che dà il primato ai valori non materiali. Nelle società di tradizioni giudeo-cristiane, i valori spirituali e morali tendono ad esercitare un ruolo prioritario nella vita culturale.

Ogni gruppo, in pratica, procede ad una gerarchizzazione dei beni culturali con tutte le conseguenze che ne derivano per le proprie scelte collettive. Ci si chiederà, per esempio, quale importanza una società riservi al valore dell'educazione morale, alla stima del bene comune, a questo o quel modello familiare, al rispetto della vita, al ruolo della donna, alla disciplina del lavoro, all'accoglienza degli stranieri, al rispetto delle credenze, ecc. Coscientemente o inconsciamente, gli ordini di preferenza che concernono i valori danno una fisionomia propria ad ogni cultura.

Posto questo, noi potremmo descrivere i valori culturali come: tutto ciò che è comunemente stimato e apprezzato in una collettività, tutto ciò che dà un orientamento distintivo agli atteggiamenti e alle istituzioni, e tutto ciò che è trasmesso culturalmente alle nuove generazioni.

Come si possono osservare i valori caratteristici di una società? Essi si rivelano da più indizi, formali o non formali; essi appaiono nei codici di legge, nelle abitudini sociali di un gruppo, nello stile di vita della gente, nelle tradizioni popolari, nelle regole pratiche di azione, nell'esercizio delle professioni e dei mestieri, nelle arti e nella letteratura.

Valori comuni a tutti i popoli? Se i valori servono a identificare i tratti caratteristici di una particolare società, è legittimo chiedersi se esistano valori universali, comuni a tutti i popoli. Molti antropologi lo sostengono ed affermano che questi valori comuni costituiscono la base di un consensus gentium. C. S. Lewis, nel suo studio su numerose civiltà antiche, è giunto a far emergere una " dottrina del valore assoluto ", che fonda otto valori oggettivi comuni a tutti questi popoli. Eccone alcune espressioni tipiche: la legge della benevolenza generale; la legge della benevolenza particolare per i prossimi; i doveri verso i genitori, i primogeniti e gli antenati; la legge della giustizia; la legge della buona fede e della veracità; la legge della misericordia; la legge della magnanimità: The Abolition of Man London, 1947.

Il dibattito sull'esistenza di valori universali trova, a livello di ricerca antropologica e storica, solide conferme, per esempio in autori quali C. Kluckhohn e C. Lévi-Strauss. Inoltre, l'analisi attenta dei grandi testi dell'umanità dimostra chiaramente che un valore comune si è imposto ovunque con lo sviluppo della vita in società: è la dignità dell'uomo e il suo diritto originario e costitutivo d'essere uomo. Jeanne Hersch, nella sua raccolta Le droit d'être un homme (1968), ha dimostrato l'universalità di questa aspirazione primordiale, raggruppando testi provenienti da tutti i continenti e di tutte le epoche. Le narrazioni, i proverbi, i miti, i racconti sacri, i testi religiosi esprimono le speranze, i lamenti e il desiderio indelebile dell'uomo che incessantemente difende la propria umanità e la propria dignità costitutiva. Tutte le religioni e tutte le civiltà proclamano, a loro modo, questo principio etico universale, nella famosa regola d'oro: " Non fare ad altri ciò che non vuoi che altri facciano a te " o, positivamente: " Fai ad altri ciò che vuoi che sia fatto a te ". Partendo da questo " consenso etico " si può concludere che un valore universale fonda radicalmente l'unità della famiglia umana. La fraternità originaria s'impone alla coscienza dei popoli e a tutte le generazioni, costituendo il fondamento primo di una cultura propria di ciascun uomo e di tutti gli uomini, in ragione stessa del riconoscimento della propria umanità. E il principio primo d'ogni cultura.

In ultima analisi, questa questione impegna una concezione dell'uomo. La tradizione umanistica non esita a riconoscere i valori comuni che fanno la grandezza dell'uomo. Cicerone, per esempio, ha esaltato l'amore del genere umano, " caritas generi humani ": De finibus bonorum, V, 23, 65. E onore della civiltà greco-romana aver affermato il valore universale dell'uomo, e i grandi autori di Atene e di Roma appartengono ormai alla cultura umana in quanto tale. Poi venne il cristianesimo che chiama l'uomo alla sua più alta perfezione, predicandogli la carità come virtù suprema, fondamento della fraternità universale.

E nel campo religioso soprattutto che si osservano i valori assoluti di una società: per esempio, il senso della vita e della morte, il senso della responsabilità, della dipendenza da Dio. I valori religiosi si esprimono nella dottrina e nella fede della gente, nel loro credo e nel codice della moralità in vigore in una data società.

E attraverso i valori dominanti e, particolarmente, attraverso i valori assoluti, nella scala delle proprie preferenze, che un gruppo umano manifesta i tratti della propria cultura.

Vedi: Ethos. Cultura. Analisi culturale. Religione e cultura. Antropologia.

Bibl.: R. Boudon e F. Bourricaud 1982. J. Hersch 1968, 1985. Cl. Kluckhohn 1957. F.R. Kluckhohn and F. L. Strodtbeeck 1961. A. H. Maslow 1954. G. McLean et al. 1989. A. Naud 1985.

 

Vaticano II (e la cultura). (inizio)

Per comprendere l'atteggiamento nuovo dei cattolici di fronte alla cultura, il Concilio Vaticano II (1962-1965) costituisce un punto di riferimento obbligato. La situazione culturale del Concilio emerge con chiarezza quando si considera, a distanza di anni, un certo numero di sue caratteristiche: l'originalità dei suoi obbiettivi dichiarati; l'approccio intellettuale che vi si afferma progressivamente; la qualità e la provenienza dei partecipanti; e soprattutto la visione teologico-storica che, a poco a poco, ha preso forma ed espressione.

Un'intuizione antropologica e pastorale. Già l'annuncio del Vaticano II dato da Giovanni XXIII aveva fatto presentire il tono antropologico del Concilio che si sarebbe aperto, la cui ottica, affermava il pontefice, sarebbe stata soprattutto pastorale, ciò che esigeva uno sforzo nuovo e coraggioso per comprendere e per incontrare il mondo attuale. Giovanni XXIII prendeva atto della drammatica distanza tra la Chiesa e il mondo. La Chiesa era chiamata a partecipare alla costruzione di questo mondo nuovo: " In questo momento della storia, la Provvidenza ci porta ad un nuovo ordine di rapporti umani che, per opera degli uomini e al di là delle loro attese, contribuisce al compimento di disegni superiori e inattesi. Tutte le cose, anche le avversità umane, servono ad un maggiore bene della Chiesa ". Per farsi comprendere da questo mondo nuovo, è necessario, prima di tutto, scoprirlo e dare un rivestimento intelligibile all'insegnamento integrale e permanente della Chiesa: " Una cosa è la sostanza dell'antica dottrina del depositum fidei e un'altra cosa è la sua formulazione e il suo rivestimento: ed è di questo che occorre tenere conto con la necessaria pazienza misurando bene le forme e le proposizioni di un insegnamento di carattere soprattutto pastorale ". In queste parole c'è il germe, l'intuizione antropologica e pastorale di tutto il Concilio.

La parola aggiornamento, che ha fatto fortuna, descrive bene il cammino del Concilio voluto da Giovanni XXIII. Si tratta di un duplice aggiornamento: la Chiesa anzitutto si purifica ridefinendo se stessa, quindi si sforza di rinnovare la sua comprensione del mondo attuale. Questa duplice intuizione, teologica ed antropologica insieme, diventerà il filo conduttore e il principio d'ispirazione di tutto il Concilio.

All'inizio dei lavori, un certo tentennamento era inevitabile e l'intuizione guida del Vaticano II, fatta di discernimento socio-pastorale, non prese veramente forma che verso la fine della prima Sessione, come confidava Giovanni XXIII poco tempo prima della sua morte. E in quel momento, infatti, che sotto l'influenza di cardinali come Montini, Suenens, Lercaro, König e di vescovi come Wojtyla e Garrone, il Concilio decise di porsi risolutamente davanti al mondo, con le sue angosce, i suoi problemi della fame e della povertà, le sue aspirazioni verso la pace e lo sviluppo. E identificandosi con questa umanità storica, nello spirito del Cristo, che il Concilio prese chiara coscienza della posta in gioco che l'attendeva e, a poco a poco, si orientò verso il famoso Schema XIII che doveva diventare, dopo difficili dibattiti, uno dei principali testi del Vaticano II: Gaudium et Spes.

Il nuovo papa, Paolo VI, eletto nel giugno 1963, si fece interprete della chiarificazione che si andava operando e cercò di precisare l'orientamento del Concilio all'apertura della seconda Sessione. La Chiesa è chiamata a raccogliersi spiritualmente in se stessa, ma per meglio diventare ad extra un fermento rinnovatore del mondo: " E fenomeno singolare: mentre la Chiesa cerca di rianimare la propria vita interiore nello spirito del Signore, essa si distingue e si distacca dalla società profana in cui è immersa; ma, nel medesimo tempo, essa si qualifica come fermento vivificante e strumento di salvezza per questo mondo, scoprendo e rinforzando la sua vocazione missionaria, cioè la sua missione essenziale che è di fare dell'umanità, in qualunque condizione essa si trovi, l'oggetto appassionato della sua missione evangelizzatrice ". Tali sono gli elementi di riflessione del nuovo Papa, che troveranno la loro prima espressione nella sua enciclica Ecclesiam Suam (1964), pubblicata durante il Concilio e tutta dedicata al dialogo con il mondo attuale.

Apertura al pluralismo delle culture. La scoperta del mondo nella diversità delle mentalità e delle culture è stata fortemente stimolata dalla presenza nel Concilio di Vescovi venuti da tutte le regioni del mondo. Era la prima volta che un Concilio accoglieva una delegazione consistente di vescovi del terzo mondo. Il punto di vista delle Chiese dell'Asia, dell'Africa, dell'America Latina produsse un impatto importante sui vescovi dei paesi europei e nord-americani. I rappresentanti dei paesi dell'Est europeo vi apportavano una cruda illuminazione sulla situazione del mondo comunista.

Anche se è sembrato che i principali attori del Vaticano II fossero da principio gli occidentali e se i lavori antepreparatori erano stati soprattutto opera loro, il loro modo di vedere non dominò affatto nei dibattiti e si produsse, durante il Concilio, una maturazione degli spiriti e una nuova coscienza dell'universalità. Al Concilio si produsse una presa di coscienza dell'internazionalizzazione storica della Chiesa che era chiamata a svilupparla, in seguito, con tutte le sue conseguenze e di cui gradualmente se ne sarebbe misurata l'importanza.

Accanto ai vescovi, altri partecipanti contribuiranno attivamente a dare al Vaticano II la sua particolare configurazione: gli specialisti, i rappresentanti dei religiosi, del laicato, gli osservatori ecumenici. Molti, tra gli specialisti, erano teologi, esperti del rinnovamento biblico, liturgico, patristico. C'erano anche alcuni sociologi abituati a praticare ricerche in prospettiva pastorale. Questi esperti apportarono al Concilio una ricca esperienza di investigazione teologica e storica, tratta dalla riflessione sul rinnovamento biblico, liturgico-pastorale, dall'esercizio delle scienze umane, della sociologia religiosa, della pratica dell'Azione Cattolica, il cui metodo del " vedere, giudicare, agire " aveva sensibilizzato i cattolici, da venti anni, all'analisi culturale a servizio dell'evangelizzazione.

La riflessione interdisciplinare, che segnò la collaborazione dei vescovi con gli esperti, fu spesso improvvisata e disorientante. Ma, dopo un certo tempo, portò i suoi frutti: se ne trovano le tracce in tutti i grandi documenti preparati dalle Commissioni del Concilio.

Gli argomenti più tradizionali, come pure i temi nuovi, vi sono trattati in una prospettiva insieme dottrinale ed incarnata nel tempo. Un indice rivelatore è nella terminologia utilizzata dai testi: la parola storia ritorna sessantatré volte; il termine cultura è usato novantuno volte; il termine culturale, trentaquattro volte; le parole mondo, società, dialogo, servizio, novità, mutamento, laico, vi sono impiegate molto frequentemente. L'attenzione è rivolta verso l'oggi del mondo e della Chiesa. I termini hodie o hodiernus ritornano centoquarantacinque volte.

Studi lessicografici hanno notato quanto la terminologia del Vaticano II sia nuova rispetto a quella del Vaticano I, in cui la parola cultura, per esempio, non appare che una volta.

La presenza di osservatori, provenienti da altre confessioni cristiane, ha gradualmente fornito un elemento caratteristico alla fisionomia del Concilio. Essi hanno, per così dire, apportato il loro punto di vista e prestato il loro sguardo all'intera Assemblea. Oltre ad aver pubblicato un documento particolare sull'unità dei cristiani, Unitatis Redintegratio, il Concilio ha tenuto in considerazione il punto di vista ecumenico in tutti i suoi lavori.

Nuova percezione culturale ed ecclesiale. Il contesto intellettuale e spirituale che abbiano ricordato permette di comprendere l'esperienza culturale vissuta da tutti quelli che hanno partecipato al Concilio. Essi hanno sperimentato insieme un'immersione profonda negli affari della Chiesa e del mondo e si sono reciprocamente iniziati a percepire, con occhi nuovi, l'umanità storica in attesa di Gesù Cristo.

Questa sensibilizzazione collettiva li ha predisposti ad un approfondimento del senso ecclesiale. La loro intuizione dinamica si è concretata nella nozione di " Popolo di Dio in cammino nella storia ", immagine della Chiesa peregrinante che si costruisce nel tempo. Questo concetto, nello stesso tempo biblico e storico, ha dato all'ecclesiologia del Vaticano II la sua portata esistenziale e pastorale.

Si può dunque dire che la visione teologica del Vaticano II non è dissociabile dalla sua percezione culturale del mondo contemporaneo. La Chiesa non è concepibile fuori delle culture vive. Le culture dell'uomo, d'altra parte, non trovano una vera salvezza che in Gesù Cristo. Questo conduce molti degli osservatori esperti del Concilio ad affermare che il documento capitale, la Lumen Gentium, sulla Chiesa, non ha il suo significato completo che alla luce della Gaudium et Spes, sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Nessun Concilio nella storia aveva posto così l'uomo e il mondo al centro dei suoi dibattiti. E questo l'umanesimo del Vaticano II, di cui Paolo VI parlerà con indimenticabili accenti alla chiusura del Concilio.

L'insegnamento del concilio sulla cultura. Quanto abbiano precedentemente ricordato è indispensabile per misurare l'importanza degli insegnamenti formali del Vaticano II sulla cultura. Non è senza significato, che la costituzione Gaudium et Spes non sia stata approvata che alla fine del Concilio. Non era forse necessario che i Padri vivessero prima questa esperienza complessa di discernimento che abbiamo ritracciato a grandi tratti? Questo suggerisce un'approfondita comprensione sia dell'esperienza da loro vissuta sia del loro insegnamento formale.

Partiamo dall'esposto che concerne la cultura nella Gaudium et Spes ai numeri 53-62 per estendere in seguito la nostra osservazione all'insieme dei documenti conciliari.

Una definizione moderna della cultura. Ciò che c'è di notevole nella definizione di cultura proposta dalla Gaudium et Spes è il suo carattere moderno, tratto dalle scienze umane. Le due dimensioni della cultura vi sono perfettamente armonizzate e collegate tra loro. In una prima accezione la cultura è riferita al progresso dell'individuo che sviluppa tutte le proprie potenzialità con l'applicazione della sua intelligenza e dei suoi talenti: è la cultura intesa nel senso classico ed umanistico tradizionale. Una seconda accezione, più moderna, della cultura indica il vissuto antropologico, le mentalità tipiche di ogni gruppo umano. Questa duplice dimensione della cultura, indicata dalla Gaudium et Spes, permette di comprendere le relazioni tra la cultura dell'individuo e le culture delle collettività, tra la cultura degli studiosi e la cultura viva, perché è l'uomo ad essere soggetto e beneficiario di ogni progresso culturale.

Abbiamo esaminato nell'articolo Cultura, la definizione proposta dalla Gaudium et Spes. La rileggiamo qui tenendo presente tutta l'esperienza culturale che ha vissuto l'Assemblea Conciliare: " Con il termine generico di cultura si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l'uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di anima e di corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l'andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano. Di conseguenza la cultura presenta necessariamente un aspetto storico, e sociale, e la voce cultura assume spesso un significato sociologico ed etnologico. In questo senso si parla di pluralità delle culture. Infatti dal diverso modo di far uso delle cose, di lavorare, di esprimere, di praticare la religione e di formare i costumi, di fare le leggi e creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello, hanno origine le diverse condizioni comuni di vita e le diverse maniere di organizzare i beni della vita ", GS 53.

Nella lettura di questo testo si nota soprattutto una visione dinamica, storica e concreta dell'umanità che si costruisce. Esso fornisce una griglia di lettura della storia contemporanea, una considerazione antropologica del progresso offerta all'uomo individuale e collettivo. La Chiesa si è data, in questo modo, uno strumento moderno di analisi per comprendere meglio il mondo ed esercitare in esso il proprio ruolo. E stata una lenta ma decisiva conquista intellettuale, poiché la Chiesa, abituata, da Leone XIII in poi, a parlare preferibilmente di civiltà, è venuta soltanto gradualmente ad adottare il concetto antropologico di cultura. Ancora al tempo di Pio XII, la cultura era intesa quasi esclusivamente nel senso umanistico.

Il metodo dell'analisi culturale, ispirato dalle scienze umane, ha permesso di comprendere meglio i comportamenti collettivi, le mentalità, i valori dominanti, le aspirazioni, le contraddizioni della nostra epoca. Questo passo in senso antropo-logico si rivelerà nel Concilio, non soltanto come una premessa per formulare un giudizio morale sul nostro tempo, ma anche come un indispensabile presupposto per scoprire le nuove culture in attesa del Vangelo. La Chiesa si fa più metodicamente sensibile ai segni dei tempi, alle evoluzioni significative, ai valori e ai controvalori che interpellano la coscienza cristiana.

Un'analisi culturale del mondo moderno. All'inizio della Gaudium et Spes (n. 4-10) troviamo un'analisi culturale del mondo moderno che appare, ancora oggi, di una notevole penetrazione. Il mondo contemporaneo è descritto con le sue speranze e le sue angosce, con i cambiamenti profondi che lo toccano nel campo sociale, psicologico, morale e religioso.

Un'osservazione centrale emerge nettamente: la cultura non è trattata per se stessa, in modo astratto; la cultura dell'uomo contemporaneo appare sempre come il contesto della riflessione teologica, della proiezione pastorale. Ciò pone in evidenza una delle molle più dinamiche del Concilio, cioè quell'approccio socio-teologico che ha guidato tutti i suoi lavori. Si minimizzerebbe dunque indebitamente il suo contributo alla cultura, se non si considerassero che i passi della Gaudium et Spes che ne trattano esplicitamente. La cultura non ha costituito soltanto un capitolo, aggiunto agli altri. Tutto, nel Concilio, ha avuto carattere culturale, come tutto ha avuto carattere teologico. L'uomo contemporaneo e storico non è mai assente dalle preoccupazioni e dalle riflessioni. Il quadro dell'analisi è costantemente ecclesiale e culturale insieme. E in quest'ottica che bisogna rileggere ed interpretare i principali documenti sui vescovi, sui preti, sui religiosi, sui laici, sulla liturgia, sull'unità dei cristiani, sulle religioni non-cristiane, sulla libertà religiosa, sui mezzi di comunicazione sociale. Ricordiamo alcuni esempi tipici.

L'impegno culturale di tutta la Chiesa. I vescovi, i preti, i responsabili della pastorale sono vivamente invitati ad utilizzare i mezzi moderni delle scienze umane, soprattutto la psicologia e la sociologia, per chiarire le situazioni culturali in cui devono annunciare il Vangelo: GS 62. La ricerca seria vi è fortemente incoraggiata: GS 36.

I religiosi devono ritrovare il dinamismo della loro prima vocazione e vivere il loro carisma in contesti culturali nuovi: PC 3.

I laici devono impegnarsi direttamente negli affari della vita pubblica e nella promozione delle culture per testimoniare la loro fede ovunque siano in causa i valori umani: AA 17.

Nel dialogo ecumenico, occorre scoprire i fattori culturali della disunione e stimolare, fin da ora, tutti i cristiani ad una collaborazione efficace sul piano sociale, economico, culturale: UR 12.

Occorre saper discernere, nell'intimo delle religioni non-cristiane, i semi del Verbo che vi si nascondono e cercare di integrare, in una sintesi cristiana, ogni valore culturale che non contraddica la fede cattolica: AG 11. E altresì importante che si intraprendano approfondite riflessioni su questo punto in tutti i grandi territori socioculturali: AG 22.

Lo stesso approccio vale per l'adattamento della liturgia alle diverse culture, tenendo conto delle norme della Chiesa universale in materia. Si raccomanda di esaminare con cura i doni e i tratti di ogni cultura e vedere ciò che può essere accolto in una pratica liturgica autenticamente cristiana: SC 27.

I mezzi di comunicazione sociale sono oggetto di particolare attenzione per l'importanza enorme ch'essi hanno riguardo alla cultura e alla morale pubblica: IM 12.

Nei confronti del grave problema dell'ateismo contemporaneo la Chiesa s'interrogherà sulle condizioni culturali dei credenti e dei non credenti: GS 19-21.

Tutto il campo dell'educazione è abbordato in una prospettiva di sviluppo culturale, orientato alla formazione completa, intellettuale e spirituale, dei giovani ispirata ai progressi della psicologia e della pedagogia: GE 1.

La cultura, intesa nel senso della vita dello spirito, è una dimensione particolarmente caratteristica di questo Concilio, che, a più riprese, tratta della scienza moderna, dei suoi rapporti con la fede e con lo sviluppo dell'uomo; della libertà della ricerca; dei progressi della pedagogia e delle scienze umane; della formazione umana e spirituale dei preti, dei religiosi, dei laici; del ruolo della scuola e dell'università; della creazione artistica. Sempre si ha di mira l'uomo nel suo sviluppo personale e collettivo. Dovremmo citare, su questo piano, tutti i documenti.

Incontro con la mentalità moderna. In maniera generale si può notare come il Concilio abbia prestato attenzione alla mentalità dell'uomo contemporaneo ed abbia cercato di valorizzare le aspirazioni culturali tipiche della nostra epoca, quali il desiderio di partecipazione, il senso di corresponsabilità, di solidarietà, di decisione personale, di interiorizzazione, di libertà religiosa, come anche la responsabilità dei laici, il ruolo delle donne, l'attenzione ai giovani, la richiesta universale di giustizia, di pace, di sviluppo per tutti gli uomini. Queste preoccupazioni socio-pastorali si ritrovano in tutti i documenti, come preoccupazione di evangelizzazione molto concreta. Ricordiamo alcuni passi che riguardano questi tratti caratteristici di mentalità.

Rivolgendosi all'uomo moderno, così cosciente della propria libertà e dei propri diritti personali, il Concilio insiste sulla libera scelta del credente. Questa norma è costantemente richiamata: l'adesione religiosa corrisponde ad un impegno libero dell'individuo. E il principio fondamentale della Dichiarazione sulla libertà religiosa: DH 3-10.

Lo spirito critico, tipico della cultura moderna, può, certo, porre in pericolo una fede superficiale, ma può ugualmente purificare lo spirito religioso: GS 7.

La partecipazione alla liturgia deve essere cosciente e personale: SC 14.

Le scienze umane devono essere utilizzate per meglio adattare l'azione pastorale alle condizioni sia spirituali che sociali, demografiche ed economiche delle popolazioni: CD 16, 17.

I laici sono incoraggiati ad esprimere liberamente la propria opinione nella Chiesa e a partecipare alla ricerca, per meglio servire: LG 37.

Più in generale, i cattolici si sforzeranno di comprendere la propria epoca: " I fedeli, dunque, vivano in strettissima unione con gli uomini del loro tempo, e si sforzino di penetrare perfettamente il loro modo di pensare e di sentire, di cui la cultura è espressione ". E una condizione del dialogo tra il Vangelo e la cultura che suppone una ricerca attenta: " Sappiano armonizzare la conoscenza delle nuove scienze, delle nuove dottrine e delle più recenti scoperte con la morale e il pensiero cristiano, affinché la pratica della religione e l'onestà procedano in essi di pari passo con la conoscenza scientifica e con il continuo progresso della tecnica, in modo che possano giudicare e interpretare tutte le cose con senso integralmente cristiano ": GS 62.

Il sorvolo che abbiamo fatto pone in evidenza una delle caratteristiche più nuove di questo Concilio: il suo punto di vista culturale, storico, antropologico. Paolo VI, nel suo discorso di chiusura, ha voluto affermare con grande vigore che questo Concilio è stato innanzitutto dedicato all'uomo: " Tutta la ricchezza dottrinale non mira che ad una cosa: servire l'uomo. Si tratta, bene inteso, di ogni uomo, qualunque siano la sua condizione, la sua miseria e i suoi bisogni ".

Gli sviluppi del dopo-Concilio. Per dare alla presente analisi un ulteriore ampliamento, proponiamo tre considerazioni che aiuteranno a situare l'apporto del Concilio in una prospettiva socio-storica:

1) L'avvenimento importante che si è prodotto nel Vaticano II è stato quello di sensibilizzare tutta la Chiesa ad una comprensione moderna dei cambiamenti culturali, quali sono vissuti dagli uomini d'oggi. Si tratta veramente di un progresso nell'atteggiamento di discernimento, che supera in importanza, senza dubbio, le descrizioni concrete e le considerazioni storiche che il Concilio ci ha lasciato a proposito delle attuali culture. Di fatto, l'analisi sociale dei Padri conciliari rimane perfettibile e, trent'anni dopo, vi si notano lacune che erano inevitabili, mentre ci si sente sollecitati dai nuovi problemi culturali che sollecitano l'attenzione della Chiesa d'oggi.

2) Dal 1965, infatti, molti problemi culturali sono emersi a proposito dei quali, forzatamente, il Vaticano II non poteva dire che poco. L'insegnamento che è seguito di Paolo VI e di Giovanni Paolo II e la riflessione dei Sinodi e della comunità ecclesiali hanno posto questi problemi all'ordine del giorno.

Citiamo, per esempio, il problema attuale dell'inculturazione, che è al centro di animate discussioni nelle Chiese d'Africa, d'Asia, dell'America Latina ed anche nelle Chiese di antico cristianesimo. Le questioni che soggiacciono all'inculturazione non sono estranee al Vaticano II, ma il problema vi era posto in termini ancora generali: cf GS 58. Il termine inculturazione non è neppure usato, anche se, tra i cattolici, correva da almeno trenta anni. E soltanto nel Sinodo del 1977 che questa parola farà la sua apparizione in un testo ufficiale della Chiesa: vedi Inculturazione.

Possiamo anche pensare alla problematica suscitata dall'evangelizzazione delle culture, che si affermerà come una delle priorità della Chiesa nel Sinodo del 1974. L'esortazione apostolica Evangeli nuntiandi (1975) di Paolo VI, che segue questo Sinodo, offrirà, dieci anni dopo il Vaticano II, quella che si è chiamata una vera Carta dell'evangelizzazione delle culture. Paolo VI s'ispira certamente al Vaticano II, ma ne precisa chiaramente l'analisi e le linee di azione. Vedi Evangelizzazione della cultura.

Un'altra delle attuali preoccupazioni è la questione delle politiche culturali che perseguono i governi moderni in nome di un umanesimo molto lodevole da parte di molti, ma che rischia, da parte di altri, di diventare una forma di manipolazione ideologica. A questo riguardo, è lanciata ai cristiani una sfida che il Concilio ha preso in considerazione soltanto indirettamente: GS 59; vedi Politica culturale.

Occorre citare anche le questioni legate allo sviluppo culturale, alla liberazione culturale, ai diritti culturali, altrettanti punti caldi che oggi sono al centro delle politiche e dell'azione sociale: vedi Sviluppo culturale.

Il Concilio non ha potuto prevedere tutto, né tutto trattare. Ma, rileggendo i suoi insegnamenti nell'ottica dei problemi attuali, vi si trovano i principi fondamentali che ancora oggi ci possono orientare utilmente nello studio delle soluzioni. Vi si può soprattutto riconoscere un approccio analitico che permette di abbordare i nuovi problemi con un realismo moderno, in uno spirito di ricerca oggettiva, che è la prima condizione di un sicuro discernimento.

3) Pur riconoscendo il contributo originale del Vaticano II alla cultura, bisogna, in tutta lealtà, situare il suo apporto nella lunga tradizione storica. Ma, come abbiamo precedentemente notato, fino al Vaticano II, la Chiesa ufficiale parlava preferibilmente di civiltà invece che di cultura, e soltanto nel Concilio è stato definitivamente adottato il linguaggio degli antropologi e dei sociologi della cultura.

In questa prospettiva storica, si deve ugualmente osservare che il movimento ha progredito e che continua dopo il Vaticano II. La ricerca sui nuovi problemi della cultura si è innegabilmente ampliata ed approfondita in questi anni. Lo sviluppo recente più notevole e più promettente è che la Chiesa ha saputo trasporre le intuizioni del Concilio in termini d'azione. Paolo VI e Giovanni Paolo II vi hanno contribuito con vigore. Possiamo sottolineare due dei punti più importanti. Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno, in un certo senso, dato vigore drammatico alla posta in gioco rappresentata dal dialogo della Chiesa con le culture attuali ed hanno cercato di rendere operativo l'impegno dei cattolici al servizio delle culture.

Paolo VI, da parte sua, ha voluto che il Sinodo sull'evangelizzazione (1974) studiasse la difficile ed urgente questione dell'Evangelizzazione delle culture perché, secondo lui, questo era il dramma della nostra epoca. Ricordiamo le sue espressioni piene d'ansia e insieme di speranza nella Evangelii nuntiandi (1975): " La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi tentare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture ". Si può dire che il messaggio di Paolo VI abbia progressivamente sensibilizzato l'insieme della Chiesa alla grande sfida che rappresenta l'evangelizzazione delle culture.

Giovanni Paolo II, come è noto, ha fatto un passo avanti proponendo, fin dall'inizio del suo pontificato, di creare a Roma un organismo della Santa Sede che deve occuparsi dei rapporti tra la Chiesa e le culture. Dopo studio e riflessione, egli decise, nel 1982, d'istituire il Pontificio Consiglio della Cultura, precisamente per porre in atto gli orientamenti del Vaticano II affinché la Gaudium et Spes si introduca in un programma concreto per tutta la Chiesa.

Vedi: Cultura. Inculturazione. Evangelizzazione della cultura. Pontificio Consiglio della Cultura.

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