Filosofia
La filosofia tra ellenismo e cristianesimo

 

Vita e pensiero di Agostino


La filosofia di Agostino nasce da una esigenza esistenziale, secondo lui il cuore rimane preda dell'inquietudine sino a quando non trova pace in Dio. L'esperienza dell'uomo si attua nel continuo vacillare tra l'inquietudine e la beatitudine. Di questo stato Agostino ci rende consapevoli non solo nelle confessioni me in tutte le sue opere filosofiche che si articolano a diretto contatto con la realtà. La prima questione da risolvere per affrontare la ricerca della beatitudine riguarda se stessi: mente, cuore, intelligenza e volontà.

La formazione tra retorica e filosofia
Agostino nacque a Tagaste in Africa e, per scalare la gerarchia sociale alla ricerca di vette più alte, si affidò ad una cultura superiore che aprisse la via a impieghi sociali di alto livello. Prima con l'aiuto del padre, e in seguito con l'aiuto di un potente patrono, Agostino poté studiare prima a Tagaste, poi a Madaura e infine a Cartagine. La formazione di Agostino era essenzialmente letteraria, fondata sulla grammatica e sulla retorica. La prima comprendeva anche lo studio dei classici mentre la seconda si divideva in due momenti, quello teorico e quello pratico. Bisogna notare il fatto che la tradizione culturale di Agostino era quasi esclusivamente di stampo latino, studierà certamente il greco me non avrà mai una conoscenza tale da permettergli di leggere trattati in greco. Nei primi tre libri delle confessioni Agostino sarà implacabile nei confronti degli anni passati a studiare per eccellere in un campo, quello della retorica," dove la gloria è proporzionale all'abilità negli imbrogli". Questo giudizio fu pronunciato dopo la scelta di Agostino di dedicarsi completamente alla filosofia, scelta dettata dalla lettura dell'Hortensius di Cicerone. Questo libro mutò irreparabilmente la vita di Agostino e aprì la sua mente ad una visione della filosofia non come adesione all'una o all'altra setta, ma come ricerca della verità. Nel dialogo di Cicerone si dimostrava infatti che la felicità non può essere trovata con le ricchezze, con gli onori o con i piaceri, la felicità si può trovare solo nella sapienza, che è verità. Agostino si rivolge allora alla Bibbia, il testo in cui è contenuta tutta la sapienza umana, ma questo primo contatto è piuttosto deludente poiché, abituato ad un linguaggio classico, non riscontrò alcun piacere nella lettura del Libro sacro. Non è quindi la Bibbia che apre la via della verità ad Agostino.

Luce e tenebre: gli anni del manicheismo
A 19 anni, dopo la morte del padre, Agostino si trova in una situazione economica piuttosto difficile e si vede costretto a trovare una occupazione che gli assicuri un reddito e gli consenta allo stesso tempo d
i continuare gli studi: torna così a Tagaste per aprirvi una scuola. Negli ultimi mesi trascorsi a Cartagine, in seguito al deludente contatto con la Bibbia, si fece conquistare dai missionari manichei e dalla loro dottrina. Il manicheismo offriva ad Agostino una soluzione al problema del male e della colpa: essi pensano il male come qualcosa di estraneo da se stessi, in questo modo non si è mai colpevoli di niente. Questa risposta permise ad Agostino di affrontare la difficoltà di domare gli istinti e la sensualità: questi lati della sua personalità erano ora estranei ad essa. Agostino abbraccerà per nove anni il manicheismo: nove anni che, nella sua retrospettiva, appaiono segnati dal brancolare nell'oscurità: mentre si allontanava dalla verità, credeva di camminare verso di lei. Le certezze del manicheismo si fecero sempre più incerte con il passare del tempo, l'analisi razionale del mondo condotta dai fisici e dai medici sembrava ben più coerente e se sorgevano dubbi e conflitti, i seguaci di Mani non sapevano mai portare prove. Si infranse così la passione per il manicheismo che non era grado di soddisfare quella cupiditas veri di Agostino.
Dopo l'abbandono del manicheismo Agostino si accostò allo scetticismo, deluso da dogmatismo manicheo lo affascinavano infatti la sospensione del giudizio, la negazione della conoscibilità della verità, il dubbio e le altre istanze antidogmatiche. Naturalmente questa scelta di adesione allo scetticismo non durò molto: la posizione filosofica che assume l'inconoscibilità della verità e infatti in forte contrapposizione con l'esigenza di verità che anima la ricerca agostiniana. Dal confronto con lo scetticismo Agostino ricaverà un'esigenza ancora più forte di una soluzione al problema della verità. In seguito Agostino fece un viaggio in Italia e più precisamente a Roma dove ottenne la cattedra di retore. Aiutato da alcuni amici riuscì ad ottenere la cattedra di retore anche a Milano.

L'incontro con Ambrogio, il neoplatonismo e la conversione
Durante il soggiorno a Milano Agostino poté conoscere il vescovo Ambrogio, uomo di alta statura morale e di grande abilità politica. In questo modo entrò in contatto con l'ambiente cattolico milanese: si fece catecumeno della chiesa di Milano. Il giovane retore era ora scosso dalla faticosa ricerca della verità: non più manicheo e scettico ma non ancora cattolico, Agostino non possiede le basi per risolvere definitivamente il problema della verità. Possiamo scorgere due temi principali attorno ai quali ruotano le riflessioni di Agostino in quegli anni: il problema delle Sacre scritture e quello di una metafisica non materialista. In entrambe le questioni sarà decisivo l'incontro con Ambrogio e con il neoplatonismo, nei sermoni del vescovo Agostino trova la giusta integrazione di religione cattolica e di neoplatonismo, del resto tutto l'ambiente milanese era permeato di neoplatonismo cristiano. L'antimaterialismo di Plotino, la concezione dell'Uno trascendente e il tema della conversione , erano tutti elementi che facevano del neoplatonismo la filosofia più facilmente assimilabile al cristianesimo. L'incontro con il neoplatonismo prepara Agostino alla conversione del 386 e gli apre un nuovo orizzonte di pensiero nel quale cercare le risposte alle proprie domande. In primo luogo il neoplatonismo servì come guida per risolvere il problema del materialismo e del male, inteso come non-essere. In secondo luogo rivelò un percorso di ricerca della verità che si rivolge non all'esterno, ma all'interno, in cui l'anima, nella luce di Dio, ritrova in se stessa sé e Dio. Dopo la conversione del 386 Agostino decise di proseguire con un rigore di vita ascetico studiando e riproponendosi vecchie domande per trovare nuove risposte.

Gli anni della ricerca e della meditazione: la conoscenza e il problema del male
In seguito alla conversione Agostino si ritira in Brianza dove trascorre giornate di discussione filosofica, studio e preghiera: un periodo di ozio, visto alla luce della conversione. Qui compone alcuni trattati contro lo scetticismo, sulla natura della ragione e della felicità. Ritornato a Milano nel 387 ed ottenuto il battesimo da Ambrogio, Agostino decide di ritornare a Tagaste per condurvi una vita riparata, non riesce tuttavia a ritornare a Tagaste prima del 389 a cause della guerra tra Massimo e Teodosio. A Tagaste fonda una comunità laica di ritiro ascetico, impegnata al servizio di dio con lo studio. Nel periodo di due anni in cui vive in comunità Agostino studia meglio il neoplatonismo e rilegge con occhio più attento l'Antico testamento e le opere di Paolo. Tutta questa prima fase dell'elaborazione filosofica di Agostino è fortemente influenzata dal neoplatonismo, vediamone i temi principali:
- solo rivolgendosi alla propria interiorità l'uomo può giungere alla verità e a Dio: La verità dimora quindi nell'uomo interiore e non è da ricercare all'infuori della nostra persona. Dal mondo esterno all'interiorità dell'anima alla verità trascendente: è questo l'itinerario da seguire per raggiungere la conoscenza di Dio. L'uomo è spinto a fare questo viaggio dal desiderio di essere felice.
Dall'Hortensius Agostino ha imparato che la felicità non consiste nell'appagamento dei propri desideri, consiste certamente nell'appagamento di un desiderio, ma questo desiderio deve coincidere con il bene. Agostino pone molta attenzione sulla volontà. Quest'ultima è quella forza che non solo produce le azioni, ma interviene in modo determinante nella conoscenza: infatti per conoscere qualsiasi cosa bisogna prima volerlo. Siccome si vuole solo ciò che si ama, l'amore è dunque il motore fondamentale e l'amore per la verità è ciò che muove ogni forma di conoscenza.
- l'itinerario verso la felicità presuppone la confutazione della scepsi: poiché la felicità coincide con il processo della verità, lo scetticismo, negando la possibilità della verità, preclude all'uomo tutte le vie per giungere alla felicità. Inoltre proprio perché si ha la certezza che niente sia vero e quindi ci si riconosce come esseri che dubitano, si ha una certezza: quella del proprio esistere. Gli scettici dubitano di ogni cosa ma, in questo modo, riconoscono di essere viventi e questa è una certezza.
- l'indagine agostiniana è strutturata su due concetti principali: il primo è che la verità è scoperta dall'uomo nell'esercizio della ragione; il secondo afferma l'esistenza nel mondo di un ordine gerarchico. Nell'esperienza che l'uno fa di se stesso, egli scopre anche di esistere e vivere: essere, vita e conoscenza sono quindi le caratteristiche dell'uomo. Detto ciò, egli può definire la sua collocazione all'interno dell'ordine gerarchico delle cose: anche una pietra è e vive, ma solo l'uomo è, vive e conosce. Nella conoscenza si manifesta quindi la superiorità umana. La conoscenza è attività dell'anima e non del corpo, anche per il primo livello della conoscenza: la sensazione. La sensazione è infatti un'esperienza che l'anima compie attraverso il corpo, utilizzandolo come suo strumento. Quindi l'anima dà vita al corpo. Tuttavia la facoltà suprema dell'anima non è quella con cui sente la realtà sensibile ma q
uella con cui la giudica. Tale giudizio implica la classificazione e l'ordinamento degli oggetti sensibili. I parametri del giudizio non possono essere trovati nel mondo esterno ma all'interno dell'anima, in se stessa. Servono dunque dei modelli eterni posti all'interno dell'anima in base ai quali lei può conoscere. Tali modelli o forme sono posti all'interno dell'anima da Dio e sono verità superiori alla ragione, indipendenti da essa. L'esistenza di verità intelligibili, che l'anima trova dentro di sé senza averle create, rinvia alla Verità come sorgente di tutte le verità, all'Uno (Dio) come principio di unificazione. E' la luce divina che permetta all'anima l'ascesa nella ricerca di Dio (l'irradiazione dall'Uno di Plotino), essa però deve in primo luogo strappare il velo delle apparenze in cui è avvolta. C'è una differenza tra la filosofia di Plotino e la teoria agostiniana: mentre per Plotino vi è continuità tra le diverse ipostasi (Uno, Intelletto, Anima), garantita dal concetto di emanazione (tutte le ipostasi hanno uguale natura proprio perché generate da una cosa comune: l'Uno), per Agostino l'uomo è stato creato dal nulla (sabbia), e non generato, a somiglianza di Dio. La sua natura è quindi diversa da quella del Padre. Inoltra l'anima plotiniana conta solo su se stessa per scoprire in sé la luce che possiede; l'anima agostiniana deve fare affidamento su Dio per ricevere da lui la luce che da sé non può possedere. Ecco allora che la filosofia coincide con la religione e la conoscenza della verità è tutt'uno con la salvezza dell'anima.
- un altro quesito che si pone Agostino è: "Se Dio -assolutamente buono- ha creato tutte le cose, qual è l'origine del male?" L'unica soluzione accettabile per Agostino è che il male non esiste. Tale privazione di esser va intesa tuttavia in senso metafisico e ontologico, non in senso fattuale: del male, infatti, si fa continua esperienza. Tuttavia il male non può essere sostanza, poiché altrimenti sarebbe un bene. Mentre Plotino concepisce la materia come male, poiché grado di massima distanza dall'Uno-bene, Agostino riafferma la bontà di tutto il creato e quindi anche dell'anima e del corpo. E questa bontà si esprime nell'ordine e nella bellezza che Dio ha conferito al mondo: i processi di corruzione e di distruzione dei corpi e degli esseri viventi assumono il loro pieno significato nell'armonia dell'insieme. Quindi il male volontario, il peccato, non è altro che la violazione della legge naturale inscritta da Dio in ogni essere, quindi è rottura dell'ordine, disordine. L'uomo fa del male non quando si indirizza verso un oggetto cattivo (in realtà non esistono oggetti cattivi), ma quando sceglie un bene inferiore al posto di uno superiore: in questo modo va contro la propria natura e crea disordine. La volontà dell'uomo, creato da Dio a sua immagine, ma non identico a lui, può essere buona o cattiva: non in sé, ma in quanto si rivolge a oggetti migliori o peggiori. Se l'uomo potesse solo fare il bene sarebbe uguale a Dio, la possibilità di potere fare anche il male lo inscrive nella sua finitezza: in questo spazio si muove la libertà della scelta, il libero arbitrio. La responsabilità del male è quindi posta da Agostino tutta a carico dell'uomo.

L'interpretazione con le scritture e il rapporto fede ragione
Recatosi in viaggio a Ippona nel 391, Agostino viene ordinato sacerdote nello stesso anno e vescovo l'anno seguente. Gli vengono affidati immediatamente compiti di predicazione e, nel 397, è già l'unico vescovo di Ippona, carica che conserverà fino alla morte. Questa nuova collocazione segnò una svolta decisiva nella formazione di Agostino, tutto il patrimonio culturale degli anni precedenti dovette interagire con le nuove esigenze dell'attività pastorale. Agostino divide così il suo tempo tra pratica pastorale e lavoro intellettuale, la sua ricerca non si è infatti conclusa con la conversione del 386, si amplia ora in direzioni nuove. Appena ordinato sacerdote, Agostino chiede ai suoi superiori del tempo, tempo per rileggere e capire le Sacre scritture. Egli pensa infatti che per difendere la fede cristiana dagli attacchi pagani, manichei scettici, ecc., bisogna prima di tutto approfondire la conoscenza delle scritture, problema intorno al quale ruota tutto il resto. Interpretare il testo significa orientarsi in un sistema di segni o significati. Tali significati sono fondamentalmente di due tipi: quelli che sono usati per significare le cose per le quali sono stati istituiti (significati letterari) e quelli che, pur indicando con parole proprie una cosa, passano a significarne un'altra (significati allegorici). Si danno così due tipi di studio: uno che chiarisce il senso letterale del testo e l'altro che chiarisce quello figurato. Non è possibile studiare e capire un testo se si pone la propria attenzione solo su uno dei due, è necessario operare in entrambi i campi. Tuttavia, mentre l'interpretazione letterale presuppone l'opera affidata al grammatico, quella figurata mobilita competenze di ordine storico, geografico, naturalistico, ecc., si fa uso di arti liberali nella formazione della cultura dell'intellettuale cristiano. Si viene così a creare un rapporto tra la cultura cristiana e quella profana, tra la sapienza, conoscenza delle cose divine, e la scienza, conoscenza delle cose umane. Più in particolare, la scienza concepita autonomamente è solo una vana curiosità, non solo non è sapienza ma allontana da questa. Chi vuole conoscere il mondo per se stesso crea con le cose esterne un legame e si allontana quindi da Dio. La scienza è accettabile e di importanza solo nel momento in cui è rivolta a fortificare la fede, finalizzata integralmente all'analisi della rivelazione e delle Scritture. In questo modo Agostino ha da un lato proclamato la subordinazione della conoscenza scientifica fine a se stessa, dall'altro recuperata la cultura pagana, interessante e sicuramente importante nella formazione intellettuale. Agostino non rinnega la filosofia e in particolare modo quella platonica la sente molto vicina, resta chiaro tuttavia che la vera filosofia è quella cristiana: mentre la filosofia pagana ha fallito nell'intento di portare l'uomo alla felicità, ha indicato l'obiettivo ma non ha dato i mezzi per raggiungerlo poiché il suo pensiero peccava di superbia nella presunzione che l'uomo potesse arrivare alla felicità da solo, la filosofia cristiana muoveva le sue basi dall'umiltà, dalla consapevolezza che il vero bene, non può venire dall'uomo, ma è un dono di Dio. Anche la ragione, senza la fede, è esperienza di sconfitta che uccide la speranza di verità. Abbandonata a se stessa, la ragione si avvolge in una rete di contraddizioni che non può che portare allo scetticismo. Bisogna credere, per sapere. La ragione ha bisogno del soccorso della fede.
Agostino è tuttavia bel lontano dal negare la funzione della ragione, o di confinarla in un ruolo accessorio: il pensiero è proprio ciò che accomuna maggiormente l'uomo a Dio. Quindi l'ascesa a Dio, la conquista della verità e della beatitudine, è un processo in cui la fede e la ragione interagiscono continuamente, perché e un processo in cui ogni conquista implica una domanda. Così, di fronte alle Scritture, si può comprenderne il significato solo se già vi si crede, ma la comprensione piena della parola di Dio richiede anche il lavoro dell'intelletto, il quale deve compiere l'esplorazione r
azionale dei contenuti della fede.

Coercizione ed autorità: la battaglia contro donatisti e pelagiani
A partire dagli ultimi anni del 1300 ha inizio la battaglia di Agostino contro lo scisma donatista, esso era nato subito dopo l'ultima persecuzione anticristiana di Diocleziano e ruotava attorno al problema dei lapsi, di coloro che avevano per paura abbandonato la chiesa e consegnato all'autorità imperiale le Sacre scritture. Per gli intransigenti, che non avevano abiurato, i lapsi dovevano essere chiamati traditori. L'editto di Costantino aggravò le cose e la battaglia si fece ancora più cruenta con il vescovo di Cartagine favorevole alla reintegrazione dei lapsi e Donato delle case nere in qualità di vescovo della vera chiesa. Più che divergenze teologiche, i due movimenti concepivano in modo diverso la cristallizzazione della compagine imperiale avviata da Costantino. Il movimento donatista si legava con le rivendicazioni nazionali antiromane mai sopite nella popolazione africana e definiva il cattolicesimo come la falsa religione di uno stato usurpatore. La repressione dei donatisti si fece più dura dopo l'editto di Teodosio e, nel 405, l'editto di Onorio qualificava i donatisti come eretici. Naturalmente l'azione autoritaria dello stato sarebbe stata inutile se la chiesa cattolica non avesse provveduto alla sua zelante applicazione. Era dunque in questa guerra il vescovo cattolico in primo piano. Quando Donato chiede ad Agostino "cosa centra l'impero, persecutore di cristiani fino a pochi anni prima, nelle questioni tra i cristiano stessi?", Agostino risponde che non è sotto costrizione che si può compiere il tragitto che porta a Dio ed è convinto che i donatisti vadano persuasi a parole e che la forza deva venire usata solo in casi estremi. Le vicende posteriori fanno però cambiare idea ad Agostino che produce una nuova fondazione teorica: ciò (la battaglia) riguarda sia la legittimità dell'intervento dello stato sia la chiesa stessa. Ciò che importa non è più allora la costrizione in se stessa, ma il fine per cui essa è usata: il bene o il male. Non è possibile costringere qualcuno a diventare buono, se non lo vuole, ma si debbono creare le condizioni perché la sua salvezza sia possibile anche contro la sua volontà. Non è possibile salvarsi nell'errore. Di conseguenza è legittimo e necessario l'uso delle leggi dello stato: se l'impero è ora cristiano, se quindi lo stato viene impiegato a servizio della fede, è giusto che i donatisti per levarsi dalla situazione dell'errore rispettino le leggi emanate. Inoltre solo all'interno della chiesa è possibile raggiungere la salvezza, la chiesa è strumento di grazia. I donatisti sbagliano quando fanno dipendere la validità dei sacramenti da chi gli amministra, i sacramenti hanno validità per se stessi poiché amministrati all'interno della chiesa. é inoltre sbagliato concepire la chiesa come una comunità di "santi", all'interno della chiesa ci sono sia i buoni che i cattivi, solo a Dio ne giudizio universale toccherà di dividere gli uni dagli altri. Un'altra dura battaglia coinvolse la cristianità, quella contro Pelagio. Egli sosteneva un cristianesimo rigorista e ascetico, diceva che la perfezione rientra nelle possibilità di ciascuno e che l'uomo, se vuole, può liberarsi dal peccato da solo. Il peccato originale non ha compromesso la natura umana: essa può fare il bene come il male, solo che lo voglia. Su queste basi Pelagio predicava una moralizzazione della chiesa, riproponeva una chiesa intesa come comunità di perfetti. Agostino mobilitò tutte le sue conoscenze contro il pericolo del pelagianesimo, ottenne che Pelagio fosse bandito da Roma ma la lotta si protrasse per altri anni ancora contro i nuovi vescovi pelagiani. In questi anni Agostino riprese in mano le sue riflessioni riguardanti il male, il peccato, la grazia e il libero arbitrio. Secondo Agostino la volontà dell'uomo, senza l'intervento divino, non può che fare il male poiché è incline ad esso. Adamo poteva scegliere il bene, ma la sua stirpe non può più farlo: il peccato originale ha degradato la natura umana portandola in una situazione di errore e peccato. Il peccato originale ha infranto l'ordine di Dio e l'uomo, da solo, non può restaurare quell'ordine: solo la grazia di Dio può mettere l'uomo nella condizione di compiere il bene. Tuttavia, se l'uomo non può meritare la salvezza da solo, perché Dio salva gli e non gli altri? Questo, dice Agostino, è un mistero insondabile, della giustizia divina possiamo solo essere certi che è tale, ma non possiamo conoscerne le ragioni (definizioni di matematica). A questo punto anche la felicità -ideale alto, altissimo, ma accessibile al sapiente- non è più a disposizione delle sole forze dell'uomo ma necessità di un aiuto divino come la sapienza.

Storia dell'uomo e storia del mondo
L'ultima fase della vita di Agostino vede l'assedio di Ippona da parte dei vandali e la composizione di uno dei suoi più illustri capolavori: il De civitate Dei. Secondo Agostino un unico disegno provvidenziale governa la storia degli uomini, esso è dettato da Dio e dice che vi è nella comunità umana un legame spirituale più forte di qualsiasi legame materiale. La città è nei cittadini, non nelle mura. La storia dell'umanità non è altro che la storia di due città costruite da due diversi amori: l'amore per sé spinto fino al disprezzo di Dio ha costruito la città terrena, l'amore per Dio spinto fino al disprezzo della propria persona ha costruito la città celeste. L'amore è definito come il motore grazie al quale ci muoviamo verso un determinato oggetto, di conseguenza l'amore di più persone per uno stesso oggetto forma una comunità. Mentre la città terrena è la comunità di tutti quelli che hanno scelto di vivere per se stessi, la città di Dio è la comunità delle persone che vivono nella grazia di Dio. Si badi però che la città celeste non deve essere intesa come la chiesa ne la città terrena deve essere intesa come lo stato: i due amori si intrecciano nella storia del mondo e così le due città sono confuse: la città terrena ospita entrambi i due tipi di cittadini, sarà il giudizio universale a separare i buoni dai cattivi. Di conseguenza la storia non è altro che il dispiegarsi temporale del disegno che porta al trionfo della città di Dio: infatti solo i buoni si salveranno.