Filosofia
La filosofia medievale

La vita di Abelardo


Abelardo abbandona giovanissimo la famiglia e la carriera delle armi per dedicarsi agli studi di logica. Tra i suoi maestri vi furono Roscellino, Guglielmo di Champeaux e Anselmo di Laon. Per Roscellino gli universali non avevano nessuna realtà ontologica ma erano solamente pure emissioni vocali, flatus vocis. Questo suo rigido nominalismo lo portò a sostenere che le uniche sostanze esistenti in natura sono gli individui, in questo modo Roscellino non distingue l'aspetto materiale del nome dalla funzione significativa, cadendo in una forma di realismo grammaticale opposta a quella dei platonici. Per questo sarà anche ritenuto eretico: infatti se per ogni "emissione vocale" corrisponde una singola e determinata cosa esistente, allora nel momento in cui noi nominiamo le tre persone della trinità, le intendiamo come esseri indipendenti e staccati l'uno dall'altro. Roscellino tentò di salvarsi in corner dicendo che queste tre persone avevano un'unica volontà e un'uguale potenza ma venne lo stesso condannato. Per quanto riguarda gli altri due maestri di Abelardo, da Guglielmo egli apprenderà la dialettica, mentre da Anselmo apprenderà la teologia. La fama di Abelardo divenne imponente quando questi riuscì a sconfiggere dialetticamente il suo maestro e fondò una propria scuola, in seguito gli venne offerta la cattedra all'università di Notre Dame, dopo aver ridicolizzato il realismo di Guglielmo nella questione degli universali.

Le discussioni sul problema degli universali
Abelardo deve la propria fama soprattutto alle opere di logica, essa è per lui una scienza razionale e la sua autonomia la salvaguarda dalle accuse rivoltele dai teologi e dai mistici. La logica svolge un ruolo imponente come strumento essenziale nella ricerca della verità filosofica. La logica è anche l'unico mezzo grazie al quale è possibile risolvere il problema degli universali. Rifiutando l'opinione dei realisti che identificavano l'universale, ossia ciò che si può predicare di molti, con una res, Abelardo sostiene che l'universale sia una vox: esiste cioè non nelle cose, ma nel nostro discorso, mediante cui le cose sono nominate. Bisogna tuttavia porre attenzione per non cadere nel nominalismo di Roscellino: l'universale non è una semplice emissione vocale, ha al contrario una ben determinata funzione significativa, non puramente appellativa dei nomi. I nomi servono quindi non a nominare le cose ma ad esprimere il concetto che quella cosa incita nella mente e quindi nell'intelletto di chi l'ascolta. Gli universali non hanno dunque realtà sostanziale al di fuori dell'intelletto. questo è dunque il pensiero che sta alla base del rigido concettualismo di Abelardo.


Il tardo incontro con la riflessione teologica
Abelardo si avvicina alla teologia in età ormai avanzata, quando era già un acclamato maestro di dialettica. Diviene discepolo di Anselmo di Laon, del quale tuttavia rimane insoddisfatto per lo spazio troppo ristretto lasciato alla discussione delle obiezioni dei discepoli. La prima opera teologica di Abelardo è il trattato De unitate et trinitate Dei. Il metodo teologico di Abelardo parte dall'esame delle questioni fondamentali della fede e le illustra col metodo dei ragionamenti per analogia. Si delinea quindi una fiducia sconfinata di Abelardo nella ragione che può e deve essere usata anche per spiegare ed illustrare questioni riguardanti la fede: non si può credere a ciò che prima non si è capito (l'opposto del "credo per capire" di Agostino). La fede di conseguenza può essere difesa solo tramite il ricorso ad argomenti puramente umani, ossia allo strumento dialettico applicato all'analisi della materia di fede. Per questo modo di pensare Abelardo attirò l'attenzione della potenza ecclesiastica che ordinò di bruciare al rogo il trattato di Abelardo senza la possibilità di aprire un dibattito riguardo la decisione. L'opera più rivoluzionaria di Abelardo è tuttavia il Sic et non: una raccolta di nozioni teologiche in cui le opposte sententie dei padri della chiesa sono presentate nel loro apparente contrasto e conciliate dialetticamente in base ad argomenti razionali. Secondo Abelardo quando un uomo affronta problemi riguardanti la fede, il vero è al di fuori della portata della ragione umana, che si deve così accontentare del verosimile, ossia di una conoscenza per analogia. Secondo Abelardo esiste una naturale convergenza di "ragione greca" e Rivelazione: celebre è l'accostamento tra l'anima del mondo di Platone e lo spirito santo. a posizione dell'anima tra una mondo e l'altro sta ad indicare che la grazia aleggia su tutti gli uomini.

L'etica dell'intenzione di Abelardo
Nell'opera intitolata Ethica Abelardo parla del problema del peccato, di come riuscire a far incontrare morale cristiana e morale naturale. Lo strumento con cui viene trattato tale problema è ancora una volta la logica. Fondamentale è la distinzione tra vizio, ossia la cattiva inclinazione della volontà, e il peccato, ossia il consenso a tale cattiva inclinazione, che è disprezzo di Dio. Come pure è fondamentale quella tra azione peccaminosa, che è moralmente indifferente, e l'intenzione, in cui risiede la colpevolezza. Non è peccato bramare una donna d'altri, ma è peccato lasciare che la propria volontà dia il consenso alla concupiscenza. Ne risulta quindi un'etica dell'intenzione che porterà Abelardo a conclusioni eretiche. Infatti, se l'azione oggettivamente peccaminosa non aggiunge niente alla colpa, che è solo nell'intenzione (l'unico peccato è quello fatto contro la propria coscienza) ci si chiede se, per esempio, peccarono gli uomini che, in buona fede, fecero crocifiggere Gesù o se avrebbero peccato di più andando contro la propria coscienza e non facendolo crocifiggere. Abelardo per non cadere nell'eresia dovette ammettere che ci si può dannare anche senza colpa.