Filosofia
Filosofia antica

Platone: la vita e le opere

 

Il problema della giustizia, ovvero la genesi dell'idealismo
Platone si avvicina alla filosofia in seguito all'ingiusta condanna a morte del suo maestro Socrate. Egli infatti non capisce come, in una società che si ritiene giusta, possa essere condannato il più giusto degli uomini e vede la giustizia come l'utile del più forte. La filosofia Platonica nasce quindi dalla riflessione della politica, fine del sapere è quello di ben dirigere il comportamento umano. Per questo egli vuole arrivare alla vera idea di giustizia, giusto non è ciò che è giusto per noi ma ciò che è giusto in sé, ossia assolutamente. Tuttavia, prima di ciò, si presenta a Platone il problema della conoscenza, la stessa conoscenza che Socrate aveva chiamato "scienza del bene", e la risoluzione di questo lo portò alla teoria delle idee, ossia degli enti puramente intelligibili. Tramite questa Platone contrappone il piano ideale dei valori, quello vero e reale, a quello della realtà dei fatti tangibili, mutevole e illusorio. Anche Socrate si era mosso in questa direzione con la teoria delle definizioni, solo tramite le quali noi possiamo conoscere la realtà delle cose e non l'apparenza. La teoria delle idee si divide in gnoseologia (teoria della conoscenza) e ontologia (teoria dell'essere).

La dottrina della conoscenza
Il problema della conoscenza (epistème) si presenta in Platone come uno sviluppo dell'inchiesta Socratica sulla virtù (arète), egli infatti si chiedeva se quel valore fossa insegnabile. In questo senso Platone compie un duplice passo avanti, innanzitutto non si limita ad indagare la virtù etico-politica del buon cittadino, ma estende l'ambito dei suoi interessi all'insieme dei valori delle diverse tecniche e, in secondo luogo, arriva ad affermare che la virtù è insegnabile solo se coincide con il sapere. Inoltre il bravo filosofo separa nettamente per la prima volta il "saper fare", tecnico pratico, dal "sapere", teorico astratto, riferendo il primo alle tèchne e il secondo all'epistème. Mentre la tecnica è sempre particolare, la scienza è conoscenza universale. Analizzando il detto di Protagora " l'uomo è misura di tutte le cose", e provando la sua stretta relazione con la teoria di Eraclito, secondo il quale tutto è mutevole e in movimento, Platone conclude che le sensazioni non sono in grado di darci l'essere delle cose, ma solo l'apparenza mutevole. Impropriamente diciamo che una cosa "è", riferendoci alla sensazione corrispondente, più coerentemente dovremmo dire che "diviene" tale a contatto con il soggetto. Se, inoltre, tutta la conoscenza fosse basata sulle sensazioni, non esisterebbe la scienza, che è certa e stabile: si distingue così l'opinione (doxa) dalla scienza (epistème). L'errore consiste dunque nel basare la conoscenza sulla sensazione. Platone afferma che per penetrare nella vera natura del conoscere, ci si deve rivolgere all'anima: indagando nella propria anima, costringendola a guardare dentro di sé con il logos, e non fuori di sé con le sensazioni, possiamo così giungere alla realtà vera, a scoprire l'aspetto dimenticato delle cose, la vera forma (eidos) delle cose. E' la teoria platonica della reminiscenza: stimolati, si può ricercare la verità, abbandonando l'apparenza, conoscere non è altro che ricordare. Noi, tramite l'esperienza, permettiamo di ricordare all'anima ciò che essa ha già vissuto(metempsicosi). Una volta arrivata alla conoscenza l'anima non deve focalizzare la sua attenzione su ciò che è percepito dai sensi, ma sulla vera idea dell'oggetto. Come si è già detto prima, Platone divide la conoscenza in due parti, l'opinione (doxa) e la scienza (epistème). La prima affidata ai sensi e divisa in immaginazione e credenza, la seconda affidata all'intelletto e divisa in pensiero discorsivo e intellezione, che assicurano conoscenza vera e universale. Affidarsi ad immaginazione e credenza significa confondere la verità con la sua immagine distorta. Il pensiero discorsivo conosce gli enti puramente intelligibili e prepara alla visione intuitiva delle idee. L'idea di un oggetto è il proprio essere in sé, le idee sono quindi enti universali che l'anima conosce con l'abbandono delle cose sensibili.


L'ontologia platonica
Nell'allegoria della caverna, le idee sono rappresentate come esseri in sé sussistenti, la caverna è simbolo del corpo, che imprigiona l'anima, impedendole di accedere al vero mondo, quello delle idee. La situazione dello schiavo, finché si trova nella caverna, è quella dell'uomo immerso nella doxa, egli ignora l'essere vero delle cose, poiché ne percepisce solo l'apparenza, lo schiavo che si libera e fugge dalla caverna rappresenta l'anima, che si libera dai vincoli corporei mediante la conoscenza, le cose che stanno al di fuori della caverna sono le idee, quelle all'interno le loro imitazioni imperfette. Il sole è infine il simbolo del bene, l'idea suprema in vista di cui l'intero mondo delle idee è costituito e al quale essa conferisce la sua caratteristica unità (ricordiamo che il bene coincide col bello, l'utile, la giustizia, ecc.ecc.). Lo stesso aspetto ontologico si mostra nella favola del Fedro, dove il mondo delle idee è situato al di sopra del cielo (nell'iperuriano), a cui l'anima accede attraverso la conoscenza. Un tempo l'anima era dotata di ali e poteva godere della visione diretta del mondo delle idee, ora è invece imprigionata nel corpo è può recuperare in parte la capacità di volare solo quando, attraverso la conoscenza, si eleva al piano della pura intellezione, risale allora dall'imitazione all'originale e scopre l'essere vero delle cose. Tramite queste immagini Platone allude al dualismo che c'è tra idee e cose, un salto ontologico incolmabile le separa. Oltre al dualismo bisogna postulare anche una perfetta simmetria tra questi due mondi poiché ogni realtà sensibile, per umile che sia, ha sempre il suo modello collocato nel mondo intelligibile. Per questo l'anima, insoddisfatta dei tratti delle cose che le rivelano i sensi, si rivolge all'originale, all'idea. Da un particolare aspetto di bellezza si eleva alla bellezza in sé, da una particolare matita alla matita in sé (calza l'esempio?).

Riflessione sulla dialettica
Computato il fatto del dualismo tra mondo sensibile e mondo delle idee e dalla loro perfetta simmetria ci si deve chiedere ora in che rapporto stanno l'uno con l'altro. La soluzione di questo problema è demandata alla dialettica, la scienza filosofica per eccellenza, nella concezione platonica di dialettica essa è sinonimo di metodo filosofico, come tale fondato sulla teoria delle idee. La dialettica è definita nella repubblica come la sinossi (visione d'insieme) compiuta dal filosofo nei riguardi della realtà molteplice al fine di trasceglierne gli elementi semplici che soli si possono ridurre all'unità dell'idea. Platone colpisce duramente i sofisti dicendo che solo il dialettico può discriminare il vero dal falso, cosa che invece non possono fare gli retori, basandosi sulla retorica. Platone cerca di dimostrare e chiarire l'esistenza delle idee solo da Parmenide in poi, in questo periodo infatti si aprono grandi dibattiti che nascono dal concepire in modo statico le idee, dotandole di quelle stesse caratteristiche: unità, identità, assoluta opposizione al non essere, immobilità, che Parmenide aveva riservato all'essere in opposizione al non essere.
Ora, se i due mondi si contrappongono come l'essere e il non essere, che senso ha porre l'idea come causa o spiegazione della realtà apparente? Platone cerca di rispondere al rapporto tra idee e cose approdando a due conclusioni diverse: la prima dice che il sensibile partecipa alle idee (metessi), mentre la seconda dice che la realtà empirica è imitazione dei modelli ideali (mimesi). Tuttavia entrambe le tesi di Platone vengono confutate dalle obiezioni di Parmenide e il problema del dualismo tra idee e cose rimane ancora aperto. Il caparbio filosofo non si arrende e, nei dialoghi posteriori, ritorna sulla nozione di partecipazione, non più riferita tra cose particolari e idee, ma tra idee tra loro, tale rapporto è concepito come una reciproca comunanza, che consente di conciliare unità e molteplicità, staticità e movimento tra idee.
Il mondo delle idee assume ora l'aspetto di un organismo articolato che consente di dare ragione -mediante la ricostruzione dei nessi di gerarchia tra le idee- degli stessi aspetti di molteplicità che ci sono nel mondi reale. L'attenzione si sposta ora sul momento della divisione (diaeresis), ciascuna idea si articola con quelle ad essa subordinate (più particolari) e con quelle ad essa sovraordinate (più universali) e tali nessi gerarchici si stabiliscono tramite la divisione. L'idea di uomo può essere trovata da quella di essere vivente con successive divisioni binarie. Ogni idea va distinta da quella ad essa opposta ed è grazie alla teoria delle divisioni che noi possiamo essere sicuri della veridicità dei nostri giudizi, basta infatti ripercorre, mediante il logos, l'intera membratura del mondo delle idee partendo dalla tua. L'errore si ha quando si accomunano ad un'idea caratteristiche false, ciò che è viene così scambiato con ciò che non è: l'errore fa quindi confonde l'essere con il non essere. Al vertice della struttura ramificata del mondo delle idee stanno cinque generi sommi: essere, identico, diverso, stasi, movimento, questi generi si possono attribuire ad ogni idea, infatti a partire dall'essere ogni cosa è identica a se stessa, in quanto diversa rispetto a quella opposta, inoltre può essere in movimento o in stasi. Secondo questa definizione, il non essere non è il nulla parmenideo, ma semplicemente un essere diverso, è in questo senso che Platone compie un parmenicidio (non so se esiste) andando contro l'idea di quest'ultimo secondo cui il non essere non esiste. Seguendo la teoria della divisibilità, però, non si potrà mai arrivare alla singola idea, poiché la realtà empirica pone un limite invalicabile al pensiero (il dislivello ontologico di cui si parlava prima). La dialettica serve quindi ad individuare l'idea somma (dialettica ascendente) o a derivare quella più particolare (dialettica discendente).

La psicologia e l'antropologia
L'uomo è sintesi di due elementi: l'anima e il corpo; al dualismo ontologico corrisponde quindi un dualismo antropologico, tra corpo e anima. Platone cerca di dimostrare l'immortalità e quindi la superiorità dell'anima con diversi argomenti. La prima prova della sua tesi si basa sull'argomento dei contrari e quello della reminiscenza, che dimostrano come non solo l'anima sopravviva al corpo, ma conservi anche dopo la morte di esso un'intelligenza (infatti come potrebbe "ricordare" le nozioni nella nuova vita se non se le fosse portata con sé dopo la morte del corpo?). La seconda prova si basa sul concetto di somiglianza dell'anima con le idee cui essa spesso si eleva, Platone dice infatti che l'anima è sostanza semplice e, come tale, non può morire e corrompersi come ciò che è composto. La terza prova si basa sul concetto che non vi è possibilità di passaggio logico tra due idee opposte. Ora l'anima è ciò che dà vita al corpo e partecipa quindi all'idea di vita, ma la vita (come idea) è l'opposto della morte: non è dunque possibile che ciò che partecipa all'idea d vita, cioè l'anima, possa morire. L'anima è dunque immortale (iglander, w l'inglese).

L'anima è quindi principio di vita per se stessa e per il corpo, che, senza di essa sarebbe mero e inanimato. Se l'anima è il soggetto della conoscenza, il corpo, viceversa, è sorgente di illusione e di errore, a causa dei sensi, ed è come il carcere dell'anima poiché la richiude dentro sé fino alla morte. Nella repubblica l'anima non ha più una natura semplice ma una natura composta e tripartitica, appare per la prima volta in essa quella trinità di funzioni: conoscenza, volontà e sentimento, che diverrà classica. Esiste una parte dell'anima infatti, quella concupiscibile arazionle, che aspira a legarsi agli oggetti corporei e che lotta e si oppone alla parte razionale, che si sforza di dominarla e di volgerla verso scopi razionali. A fare da mediatrice poiché neutrale sta la parte irascibile che può allearsi con l'una o con l'altra parte. Su questa struttura dell'anima sarà impostato il modello della città ideale.

La città giusta
IL problema a cui si riconduce Platone è al fine quello della giustizia: la giustizia è la virtù per eccellenza, in quanto eminentemente politica. L'uomo si realizza compiutamente, infatti, solo nel suo agire politico, perché cittadino e non individuo privato; Platone, da parte sua, s'impegna a sfatare quel realismo politico che dominava il suo periodo, affermando falsa l'affermazione secondo cui la giustizia vera non esiste, ma giusto è ciò che è utile al più forte. per contrastare questo realismo, Platone concepisce l'idea di stato: uno stato non si basa su un potere individualistico, ma sulla divisione del lavoro. Il singolo non può basarsi su se stesso, ma deve, mediante il lavoro, cooperare con gli altri: Platone immagina uno stato diviso in lavoratori, guerrieri e governanti, una struttura tripartitica che rispecchia la divisione dell'anima. La giustizia sta nel fatto che ciascuno fa ciò che gli è proprio, e ciò permette il raggiungimento di un'armonia, come nell'anima, che porta alla felicità. A questo egli aggiunge che solo i filosofi, che conoscono la vera idea di bene e giustizia, guideranno rettamente lo stato. La giustizia è quindi un'idea. è possibile, allora, la sua realizzazione materiale? Platone ribadisce che il valore di un'idea non dipende dalla sua realizzabilità, ma esclusivamente dalla sua perfezione intrinseca. Il filosofo ha allora il dovere di mediare tra l'idea di bene e la sua realizzazione pratica.

Il tardo Platone
Nei tardi dialoghi di Platone, il filosofo si allontana dall'interesse etico-politici e si avvicina all'indagine naturalistica. Nell'ultima fase del pensiero platonico, si attenua infatti la rigida separazione tra il mondo delle idee e il mondo delle cose. Il mito, di cui si serve spesso Platone, è inteso da quest'ultimo come una narrazione con valore simbolico non strettamente scientifico. Non è (come la dialettica) un metodo per ricercare il vero ma piuttosto l'inverosimile, specialmente in quei campi che non si sottomettono immediatamente all'indagine razionale. Di questo tipo sono i miti escatologici, sul destino delle anime dopo la morte. Ad esempio la natura, ossia il mondo del divenire, di ciò che sempre nasce e mai non è, non può essere soggetto di una scienza definitiva. Ci dobbiamo accontentare, in questo campo, di una narrazione verosimile, ossia di un mito.


Il mito cosmologico del Timeo
Al centro del mito cosmologico del Timeo sta la figura del demiurgo, del divino artefice che ha dato origine e forma all'universo, esso è un'intelligenza ordinatrice: ha introdotto l'ordine nel caos iniziale, avendo di mira una perfezione ideale: l'idea di produrre il "migliore dei mondi". Il demiurgo dà ordine alla materia e le imprime un fine, uno scopo, in questo senso diventa simbolo del finalismo dell'universo contrapposto alla resistenza offerta dalla materia. La materia, in questo senso, si può definire come il ricettacolo da cui vengono plasmati i diversi corpi, alle origini essa non è costituita dai quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco, ma è lo spazio da cui solo lentamente fuoriescono gli elementi visibili che prima si agitavano in essa del tutto confusamente. il demiurgo si serve di forme geometriche per adattare gli elementi allo spazio e generare dalla loro ordinata mescolanza, tutti i corpi. Molto importante è poi l'anima, che non è più un elemento antropologico ma cosmologico, essa è vista infatti come l'anima del mondo. E' stata creata dal Demiurgo prima dei corpi, poiché solo da essa i corpi traggono la loro caratteristica peculiare, il movimento. L'anima è infatti ciò che si muove da sé. Il tempo è definito da Platone come "immagine mobile dell'eternità", credo che Platone intendi dire che il tempo, ritenuto circolare, sia per questo motivo eterno ma che durante il periodo di rivoluzione possano succedere più cose, verificando così il suo divenire, in pratica il tempo è eterno poiché circolare ma in movimento per la molteplicità delle cose che possono accadere.
Nel Timeo Platone distingue due tipi di temporaneità e di movimento: il tempo regolare e perfetto con cui si muove il cielo (esso è reversibile poiché circolare ed esprime l'ordine immobile del mondo delle idee) e il tempo irregolare che corrisponde ai movimenti casuali del mondo corporeo (irreversibile poiché lineare ed esprime il divenire del mondo reale).
L'unico modo, per l'intelligenza, di conoscere il mondo reale è quello di affidarsi all'opinione (doxa) e così viene rivalutata anche l'importanza di quest'ultima che non è più sinonimo di errore, ma si distinguono e si valorizzano in essa gli aspetti che l'avvicinano più o meno alla realtà.