Concilio di
Efeso
SECONDA LETTERA DI CIRILLO A
NESTORIO
Cirillo saluta nel Signore il
piissimo e sommamente amato da Dio Nestorio, suo collega.
Sono venuto a sapere che alcuni
tentano con vane ciance di detrarre al mio buon nome presso la tua Riverenza -
e ciò frequentemente - soprattutto in occasione di riunioni di persone assai in
vista. Forse pensando addirittura di accarezzare le tue orecchie, essi spargono
voci incontrollate.
Sono persone che non ho offeso in
nessun modo, li ho invece ripresi con le debite maniere: l'uno perché trattava
ingiustamente ciechi e bisognosi; l'altro, perché aveva impugnato la spada
centro la propria madre; un altro ancora, perché aveva rubato con la sua serva
l'oro degli altri, ed aveva sempre avuto una fama, quale nessuno augurerebbe
neppure al suo peggior nemico. Del resto, non intendo interessarmi troppo di
costoro, perché non sembri che io estenda la misura della mia pochezza al di
sopra del mio signore e maestro, e al di sopra dei padri: non è possibile,
infatti, evitare le stoltezze dei malvagi, in qualsiasi modo si viva. Costoro,
però, che hanno la bocca piena di maledizione e di amarezza, dovranno rendere
conto al giudice di tutti. lo, invece, tornando a ciò che credo più importante,
ti ammonisce anche ora, come fratello in Cristo, perché tu esponga la dottrina
e il pensiero sulla fede al popolo con ogni cautela e prudenza perché tu
rifletta che lo scandalizzare anche uno piccoli che credono in Cristo, suscita
la insopportabile, indignazione (di Dio). Se poi coloro che sono stati fossero
una moltitudine, non dobbiamo forse usa arte per evitare, con prudenza, gli
scandali e presentare rettamente una sana esposizione della fede a chi cerca la
verità? Ciò avverrà nel modo migliore se leggendo le opere dei santi padri,
cercheremo di apprezzarle molto, ed esaminando noi stessi, se siamo nella vera
fede conforme della Scrittura conformiamo perfettamente il nostro modo di
vedere il loro pensiero retto e irreprensibile.
Dice, dunque, il santo e grande
concilio (di Nicea) che lo stesso Figlio unigenito, generato secondo natura da
Dio Padre, Dio vero nato dal vero Dio, luce dalla luce, colui per mezzo del
quale il Padre ha fatto tutte le cose, è disceso si è fatto carne, si è fatto
uomo, ha sofferto, è risuscitato il terzo giorno, è salito al cielo. Dobbiamo
attenerci anche noi a queste parole e a questi insegnamenti, riflettendo bene
cosa significhi che il Verbo di Dio si è incarnato e fatto uomo. Non diciamo,
infatti, che la natura dal Verbo si sia incarnata mutandosi, né che fu
trasformata in un uomo, composto di anima e di corpo. Diciamo, piuttosto, che il
Verbo, unendosi ipostaticamente una carne animata da un'anima razionale si fece
uomo in modo ineffabile e incomprensibile e si è chiamato figlio dell'uomo, non
assumendo solo la volontà e neppure la sola persona. Sono diverse, cioè, le
nature che si uniscono, ma uno solo è il Cristo e Figlio che risulta non che
questa unità annulli la differenza delle nature ma piuttosto la divinità e
l'umanità formano un solo e Cristo, e Figlio, che risulta da esse; con la loro
unione arcana ed i nell'unità. Così si può affermare che, pur sussistendo prima
dei secoli, ed essendo stato generato dal Padre, Egli è stato generato anche
secondo la carne da una donna; ma ciò non significa che la sua divina natura
abbia avuto inizio nella santa Vergine, né che essa avesse bisogno di una
seconda nascita dopo quella del padre (sarebbe infatti senza motivo, Oltre che
sciocco, dire che colui che esisteva prima di tutti i secoli, e che è coeterno
al Padre, abbia bisogno di una seconda generazione per esistere); ma poiché per
noi e per la nostra salvezza, ha assunto l'umana natura in unità di persona, ed
è nato da una donna così si dice che è nato secondo la carne. (Non dobbiamo
pensare), infatti, che prima sia stato generato un uomo qualsiasi dalla santa
Vergine, e che poi sia disceso in lui il Verbo: ma che, invece, unica realtà
fin dal seno della madre, sia nato secondo la carne, accettando la nascita
della propria carne.
Così, diciamo che egli ha sofferto
ed è risuscitato, non che il Verbo di Dio ha sofferto nella propria natura le percosse,
i fori dei chiodi, e le altre ferite (la divinità, infatti non può soffrire,
perché senza corpo); ma poiché queste cose le ha sopportate il corpo che era
divenuto suo, si dice che egli abbia sofferto per noi: colui, infatti, che non
poteva soffrire, era nel corpo che soffriva. Allo stesso modo spieghiamo la sua
morte. Certo, il Verbo di Dio, secondo la sua natura, è immortale,
incorruttibile, vita, datore di vita; ma, di nuovo, poiché il corpo da lui
assunto, per grazia di Dio, come dice Paolo, ha gustato la morte per ciascuno
di noi, si dice che egli abbia sofferto la morte per noi. Non che egli abbia
provato la morte per quanto riguarda la sua natura (sarebbe stoltezza dire o
pensare ciò), ma perché, come ho detto poco fa, la sua carne ha gustato la
morte. Così pure, risorto il suo corpo, parliamo di resurrezione del Verbo; non
perché sia stato soggetto alla corruzione - non sia mai detto - ma perché è
risuscitato il suo corpo.
Allo stesso modo, confesseremo un
solo Cristo un solo Signore; non adoreremo l'uomo e il Verbo insieme, col
pericolo di introdurre una parvenza di divisione dicendo insieme, ma
adoriamo un unico e medesimo (Cristo), perché il suo corpo non è estraneo al
Verbo, quel corpo con cui siede vicino al Padre; e non sono certo due Figli a
sedere col Padre ma uno, con la propria carne, nella sua unità. Se noi
rigettiamo l'unità di persona, perché impossibile o indegna (del Verbo)
arriviamo a dire che vi sono due Figli: è necessario, infatti definire bene
ogni cosa, e dire da una parte che l'uomo è stato onorato col titolo di figlio
(di Dio), e che, d'altra parte il Verbo di Dio ha il nome e la realtà della
filiazione. Non dobbiamo perciò dividere in due figli l'unico Signore Gesù
Cristo. E ciò non gioverebbe in alcun modo alla fede ancorché alcuni parlino di
unione delle persone: poiché non dice la Scrittura che il Verbo di Dio sì è
unita la persona di un uomo ma che si fece carne. Ora che il Verbo si sia fatto
carne non è altro se non che è divenuto partecipe, come noi, della carne e del
sangue: fece proprio il nostro corpo, e fu generato come un uomo da una donna,
senza perdere la sua divinità o l'essere nato dal Padre, ma rimanendo, anche
nell'assunzione della carne, quello che era.
Questo afferma dovunque la fede
ortodossa, questo troviamo presso i santi padri. Perciò essi non dubitarono di
chiamare la santa Vergine madre di Dio, non certo, perché la natura del Verbo o
la sua divinità avesse avuto l’origine del suo essere dalla santa Vergine, ma
perché nacque da essa il santo corpo dotato di anima razionale, a cui è unito
sostanzialmente, si dice che il verbo è nato secondo la carne.
Scrivo queste cose anche ora spinto
dall'amore di Cristo esortandoti come un fratello, scongiurandoti, al cospetto
di Dio e dei suoi angeli eletti, di voler credere e insegnare con noi queste
verità, perché sia salva la pace delle chiese, e rimanga indissolubile il
vincolo della concordia e dell’amore tra i sacerdoti di Dio.
TERZA LETTERA DI CIRILLO A NESTORIO
Seguendo in tutto le confessioni che
i santi Padri hanno formulato sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, e le
orme dei loro pensieri, battendo la via regia, noi diciamo che il Verbo
unigenito di Dio, nato dalla stessa sostanza del Padre, Dio vero da Dio vero,
luce da luce, mediante il quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in
terra, è lo stesso che è disceso (dal cielo) per la nostra salvezza, si è
umiliato sino all'annientamento, si è incarnato e si è fatto uomo, ossia,
prendendo la carne dalla santa Vergine e facendola propria, è nato come noi dal
seno materno, ed è diventato uomo dalla donna, senza rinunziare a quello che
era; ma, pur assumendo la carne e il sangue, rimase anche così ciò che era:
Dio, per natura e secondo verità. Né diciamo con ciò che la carne sia passata
nella natura della divinità, né che la ineffabile natura del Verbo di Dio si
sia trasformata nella natura della carne: infatti, è assolutamente immutabile,
sempre identico a sé stesso, secondo le Scritture. Apparso fanciullo, e in
fasce, e ancor nel seno della Vergine Madre, riempiva (di sé) tutta la
creazione, essendo Dio, e sedeva alla destra del suo genitore; poiché la
divinità non ha quantità, né grandezza, e non conosce limiti.
Noi confessiamo, quindi, che il
Verbo di Dio si è unito personalmente alla carne umana, ma adoriamo un solo
Figlio e Signore Gesù Cristo, non separando né dividendo l'uomo e Dio, come se
fossero uniti l'uno all'altro dalla dignità e dalla autorità (ciò, infatti,
sarebbe puro suono e niente altro), e neppure chiamando, separatamente, Cristo Verbo
di Dio, e separatamente l'altro Cristo quello nato dalla donna; ma ammettendo
un solo Cristo, e cioè il Verbo di Dio Padre, con la sua propria carne. Allora
egli, come noi, è stato unto, anche se è lui stesso a dare lo Spirito a coloro
che sono degni di riceverlo, e ciò non secondo misura, come dice il beato
Giovanni evangelista. Ma non affermiamo neppure che il Verbo di Dio ha abitato,
come in un uomo qualsiasi, in colui che è nato dalla Vergine santa, perché non
si creda che Cristo sia un semplice uomo portatore di Dio. Se, infatti il
Verbo di Dio abita fra noi ed è detto che in Cristo abitò corporalmente
la pienezza della divinità crediamo però che egli si fece carne non allo
stesso modo che si dice che abita nei santi, e distinguiamo nello stesso modo
l'abitazione che si è fatta in lui: unito secondo natura, e non mutato affatto
in carne, ebbe in essa una tale abitazione, quale si potrebbe poi dire che
abbia l'anima dell'uomo nei riguardi del suo corpo. Non vi è, dunque, che un
solo Cristo, Figlio e Signore; non secondo una semplice unione di un uomo,
nell'unità della dignità e dell'autorità, con Dio perché una uguale dignità
infatti, non può unire le nature. Così Pietro e Giovanni sono uguali in
dignità, come gli altri apostoli e discepoli; ma i due non erano uno. Infatti
non concepiamo il modo dell’unione come una giustapposizione (ciò, del resto,
non sarebbe neppure sufficiente ad una unità naturale), o come una unione per
relazione, come quando noi, aderendo a Dio, secondo la Scrittura, siamo uno spirito
solo con lui; evitiamo piuttosto il termine stesso di "congiunzione"
in quanto inadeguato ad esprimere il mistero dell'unità.
E non chiamiamo il Verbo di Dio
Padre neppure "Dio" o "Signore" di Cristo, per non dividere
di nuovo, apertamente in due l'unico Cristo e Figlio e Signore, cadendo nel di
bestemmia, facendo di lui il Dio o il Signore di se stesso. Unito, infatti,
sostanzialmente, alla carne, come abbiamo detto, il Verbo di Dio è Dio di ogni
cosa e domina su ogni creatura, ma non è né servo, né Signore di se stesso. Il
solo pensare o dire ciò sarebbe sciocco o addirittura empio. E’ vero che ha
detto che suo padre era il suo Dio, pur essendo Dio per natura e della sostanza
di Dio; ma non ignoriamo che, essendo Dio, egli è diventato anche uomo, soggetto
a Dio secondo la legge propria della natura dell'umanità. Come avrebbe potuto
essere, d'altra parte, egli, Dio o Signore di se stesso? Quindi, in quanto
uomo, e in quanto si può accordare con la misura del suo annientamento, egli
afferma di essere con noi sottoposto a Dio: così egli si assoggettò alla legge,
pur avendo espresso egli la legge, ed essendo legislatore, in quanto Dio.
Evitiamo assolutamente di dire: "Venero ciò che è stato assunto, per la
dignità di colui che l'assume; adoro il visibile a causa dell'invisibile".
E’ addirittura orrendo, inoltre, dire: "Colui che è stato assunto è
chiamato Dio, insieme con colui che l'ha assunto". Chi usa questo
linguaggio, divide di nuovo il Cristo in due Cristi e colloca da una parte l'uomo,
e dall'altra Dio; nega, infatti, evidentemente l'unità: quell'unità per cui uno
non può essere coadorato o connominato Dio con un altro: uno, invece, è creduto
Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio, da onorarsi con un unica adorazione con
la sua carne. Confessiamo anche che lo stesso Figlio unigenito di Dio, anche se
impossibile secondo la propria natura, ha sofferto nella sua carne per noi,
secondo le Scritture, ed era nel corpo crocifisso, facendo sue, senza soffrire,
le sofferenze della sua carne. Per la grazia di Dio gustò la morte per
la salvezza di tutti; ed offri ad essa il proprio corpo, quantunque egli sia
per natura la vita ed egli stesso la resurrezione.
Egli, sconfiggendo la morte con la
sua ineffabile potenza, fu nella sua propria carne il primogenito tra i morti e
la primizia di coloro che si erano addormentati (nel Signore) ed aprì all'umana
natura la via del ritorno all'incorruzione. Per la grazia di Dio, come abbiamo
accennato, egli gustò la morte per ciascuno di noi, e risorgendo il terzo
giorno, spogliò l'Ade. Quindi, anche se si dice che la resurrezione dei morti è
avvenuta attraverso un uomo, per uomo, però, intendiamo quello che era nello
stesso tempo il Verbi di Dio, per mezzo del quale è stato distrutto l'impero
della morte. Questi verrà, a suo tempo, come unico Figlio e Signore nella
gloria del Padre, per giudicare il mondo, nella giustizia, come affermano le
Scritture.
E’ necessario aggiungere anche
questo. Annunziando la, morte, secondo la carne, dell'Unigenito Figlio di Dio,
cioè di Gesù Cristo, e la sua resurrezione dai morti, e confessando la sua
assunzione al cielo, noi celebriamo nelle chiese il sacrificio incruento, ci
avviciniamo così alle mistiche benedizioni, e ci santifichiamo, divenendo
partecipi della santa carne e del prezioso sangue del Salvatore di noi tutti,
Cristo. Noi non riceviamo, allora, una comune carne (Dio ci guardi dal
pensarlo!), o la carne di un uomo santificato e unito al Verbo mediante
un'unione di dignità, o di uno che abbia in sé l'abitazione di Dio, ma una
carne che dà veramente la vita ed è la carne propria del Verbo stesso. Essendo
infatti, vita per natura in quanto Dio, poiché è divenuto una cosa sola con la
propria carne, l'ha resa vivificante sicché quando ci dice: In verità vi
dico, se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il sito
sangue, non dobbiamo comprendere che essa sia la carne di un qualunque uomo
come noi (e come potrebbe essere vivificante la carne di un uomo, considerata
secondo la propria natura?); ma, invece, come la carne di Colui che per noi si
fece e si fece chiamare figlio dell'Uomo.
Quanto alle espressioni del nostro
Salvatore contenute nei Vangeli, noi non le attribuiamo a due diverse
sussistenze o persone. Non è infatti duplice l'unico e solo Cristo, anche se si
debba ammettere che egli è pervenuto all'unità indivisibile da due differenti
realtà; come del resto avviene dell'uomo, che, pur essendo composto di anima e
di corpo, non per questo è duplice, ma una sola realtà composta di due
elementi. Diciamo piuttosto che sia le espressioni umane, sia quelle divine,
sono state dette da un solo (Cristo). Quando egli, infatti, con linguaggio
divino, afferma di sé: Chi vede me, vede il Padre, e: Io e il Padre siamo
una sola cosa, noi pensiamo alla sua divina ed ineffabile natura, per cui
egli è uno col Padre in forza dell'identità della sostanza, egli, immagine e
figura e splendore della. sua gloria. Quando, invece, non reputando indegna la
condizione umana, dice ai Giudei: ora voi volete uccidermi, perché vi ho
detto la verità di nuovo dobbiamo riconoscere in lui, uguale e simile al
Padre, il Dio Verbo anche nei limiti della sua umanità. Se, infatti, dobbiamo
credere che, essendo Dio per natura, si è fatto carne, ossia uomo con anima
razionale, che motivo vi è, poi, che uno si vergogni che le sue espressioni
siano state dette in modo umano? Poiché, se egli avesse rifiutato le
espressioni proprie dell'uomo, chi mai lo spinse a farsi uomo come noi? Colui
che si è abbassato, per noi, volontariamente, fino all'annientamento, perché
mai dovrebbe poi rifiutare le espressioni proprie di chi si è annientato? Le
espressioni dei Vangeli, quindi, sono da attribuirsi tutte ad una sola persona,
ossia all'unica sussistenza incarnata del Verbo: uno è, infatti, il Signore
Gesù Cristo, secondo le Scritture.
Se, infatti, viene chiamato apostolo
e pontefice della nostra confessione inquantoché ha offerto in sacrificio a
Dio Padre la confessione della fede che noi facciamo a lui, e per mezzo suo a
Dio Padre, e anche allo Spirito santo, diciamo ancora che egli è per natura il
Figlio unigenito di Dio, e non attribuiamo certamente ad un altro uomo diverso
da lui il nome e la sostanza del sacerdozio. Egli infatti è divenuto mediatore
fra Dio e gli uomini li ha riconciliati per la pace, offrendosi vittima di
soavità a Dio padre. Perciò ha detto: Non hai voluto né sacrificio né
oblazione, ma mi hai dato un corpo. Non hai gradito gli olocausti in espiazione
del peccato. Allora ho detto: Ecco, vengo. All'inizio del libro è scritto di me
che io debba fare, o Dio, la tua volontà. Egli ha offerto in odore di
soavità il proprio corpo per noi, non certo per se stesso. Di quale sacrificio
ed offerta, infatti, avrebbe bisogno per sé, egli che è superiore a qualsiasi
peccato essendo Dio? Se è vero, infatti, che tutti sono peccatori e sono
privati della gloria di Dio inquantoché siamo inclinati ad ogni vento di
peccato e la natura dell'uomo divenne inferma per il peccato - per lui, però,
non fu così, e siamo vinti dalla sua gloria - come può essere ancora dubbio che
l'agnello vero sia stato immolato a causa nostra e per noi? Sicché dire che
egli si è offerto per sé e per noi non potrebbe in nessun modo essere esente
dall'accusa di empietà. Egli, infatti, non ha mancato in nessun modo e non ha
commesso peccato. E di quale oblazione avrebbe dovuto aver bisogno, non
essendovi alcun peccato, per cui avrebbe dovuto offrirla?
Quando poi afferma dello Spirito: Egli
mi glorificherà rettamente noi non diciamo che l'unico Cristo e Figlio,
quasi avesse bisogno di essere glorificato da un altro, ha avuto la sua gloria
dallo Spirito Santo: perché lo Spirito non è migliore di lui o superiore a lui.
Ma poiché a dimostrazione della sua divinità, si serviva del proprio spirito
per compiere le sue meraviglie, perciò egli dice di essere glorificato da lui
come se un uomo, riferendosi alla forza che è in lui o alla sua scienza
dicesse: "mi glorificano". Poiché, se anche lo Spirito ha una
sussistenza propria, e viene considerato in sé ossia secondo quella proprietà
per cui è Spirito e non Figlio non è, però, estraneo a lui. E’ detto, infatti, Spirito
di verità e Cristo è appunto la verità, e procede da lui come da Dio Padre.
Di conseguenza, questo Spirito, operando meraviglie anche per mezzo degli
apostoli, dopo l'ascensione del Signore nostro Gesù Cristo al cielo, lo
glorificò; fu creduto, infatti, che egli, Dio per natura, operasse ancora per
mezzo del proprio Spirito. Per questo diceva ancora: Prenderà del mio e ve
lo annunzierà. E in nessun modo noi diciamo che lo Spirito è sapiente e
potente per partecipazione: egli è assolutamente perfetto e non ha bisogno di
nessun bene. Proprio, infatti, perché è Spirito della potenza e della sapienza
del Padre, che è il Figlio, per questo è realmente sapienza e potenza.
E poiché la Vergine santa ha dato
alla luce corporalmente Dio unito ipostaticamente alla carne, per questo noi
diciamo che essa è madre di Dio, non certo nel senso che la natura del Verbo
abbia avuto l'inizio della sua esistenza dalla carne, infatti esisteva già
all'inizio, ed era Dio, il Verbo, ed era Presso Dio. Egli è il creatore dei
secoli, coeterno al Padre e autore di tutte le cose; ma perché, come abbiamo
già detto, avendo unito a sé, ipostaticamente, l'umana natura in realtà sortì
dal seno della madre in una nascita secondo la carne; non che avesse bisogno
necessariamente o per propria natura anche della nascita temporale, avvenuta in
questi ultimi tempi, ma perché benedicesse il principio stesso della nostra
esistenza, e perché, avendo una donna partorito (il Figlio di Dio) che si è unito
l'umana carne, cessasse la maledizione contro tutto il genere umano, che manda
a morte questi nostri corpi terrestri, e rendesse vana questa parola: darai
alla luce i figli nella sofferenza, e realizzasse la parola del profeta: la
morte è stata assorbita nella vittoria e l'altra: Dio asciugò ogni
lacrima da ogni volto. Per questo motivo diciamo che egli, da buon
amministratore, ha benedetto le stesse nozze, quando fu invitato, con i santi
apostoli, a Cana di Galilea.
Ci hanno insegnato a pensare così
sia i santi apostoli ed evangelisti, sia tutta la Scrittura divinamente
ispirata sia le veraci professioni di fede dei beati padri. Con la dottrina di
tutti questi bisogna che concordi e si armonizzi anche tua pietà. Ciò che la
tua pietà deve anatematizzare è aggiunto in fondo a questa nostra lettera.
I dodici anatematismi
1.
Se
qualcuno non confessa che l'Emmanuele è Dio nel vero senso della parola, e che
perciò la santa Vergine è di Dio perché ha generato secondo la carne, il Verbo
fatto carne, sia anatema.
2.
Se
qualcuno non confessa che il Verbo del Padre assunto in unità di sostanza
l'umana carne, che egli è un solo Cristo con la propria carne, cioè lo stesso
che è Dio e uomo insieme, sia anatema.
3.
Se
qualcuno divide nell'unico Cristo, dopo l'unione le due sostanze congiungendole
con un semplice rapporto di dignità, cioè d'autorità, o di potenza, e non,
piuttosto con un'unione naturale, sia anatema.
4.
Se
qualcuno attribuisce a due persone o a due sostanze le espressioni dei Vangeli
e degli scritti degli apostoli, o dette dai santi sul Cristo, o da lui di se
stesso, ed alcune le attribuisce a lui come uomo, considerato distinto dal
Verbo di Dio, altre, invece, come convenienti a Dio, al solo Verbo di Dio
Padre, sia anatema.
5.
Se
qualcuno osa dire che il Cristo è un uomo portatore di Dio, e non piuttosto Dio
secondo verità, come Figlio unico per natura, inquantoché il verbo si fece
carne e partecipò a nostra somiglianza della carne e del sangue, sia
anatema.
6.
Se
qualcuno dirà che il Verbo, nato da Dio Padre è Dio e Signore del Cristo, e non
confessa, piuttosto, che esso è Dio e uomo insieme, inquantoché il Verbo si
è fatto carne secondo le Scritture, sia anatema.
7.
Se
qualcuno afferma che Gesù, come uomo, è stato mosso nel Suo agire dal Verbo di
Dio, e che gli è stata attribuita la dignità di unigenito, come ad uno diverso
da lui, sia anatema.
8.
Se
qualcuno osa dire che l'uomo assunto dev'essere con-adorato col Verbo di Dio,
con-glorificato e con-chiamato Dio come si fa di uno con un altro (infatti la
particella con che accompagna sempre queste espressioni, fa pensare
ciò), e non onora, piuttosto, con un'unica adorazione l'Emmanuele, e non gli
attribuisce una unica lode, in quanto il Verbo si è fatto carne, sia
anatema.
9.
Se
qualcuno dice che l'unico Signore Gesù Cristo è stato glorificato dallo
Spirito, nel senso che egli si sarebbe servito della sua potenza come di una
forza estranea, e che avrebbe ricevuto da lui di potere agire contro gli
spiriti immondi, e di potere compiere le sue divine meraviglie in mezzo agli
uomini, sia anatema.
10. La divina Scrittura dice che il
Cristo è divenuto pontefice e apostolo della nostra confessione e che si
è offerto per noi in odore di soavità a Dio Padre. Perciò se qualcuno dice che
è divenuto pontefice e apostolo nostro non lo stesso Verbo di Dio, quando si
fece carne e uomo come noi, ma, quasi altro da lui, l'uomo nato dalla donna
preso a sé; o anche se qualcuno dice che ha offerto il sacrificio anche per sé,
e non, invece, solamente per noi (e, infatti, non poteva aver bisogno di sacrificio
chi noia conobbe peccato), sia anatema.
11. Se qualcuno non confessa che la
carne del Signore è vivificante e (che essa è la carne) propria dello stesso
Verbo del Padre, (e sostiene, invece, che sia) di un altro, diverso da lui, e
unito a lui solo per la sua dignità; o anche di uno che abbia ricevuto solo la
divina abitazione; se, dunque, non confessa che sia vivificante, come abbiamo
detto inquantoché divenne propria del Verbo, che può vivificare ogni cosa, sia
anatema.
12. Se qualcuno non confessa che il Verbo
di Dio ha sofferto nella carne, è stato crocifisso nella carne, ha assaporato
la morte nella carne, ed è divenuto il primogenito dei morti inquantoché,
essendo Dio, è vita e dà la vita, sia anatema.
SENTENZA PRONUNCIATA CONTRO NESTORIO
A SUA CONDANNA
Il santo sinodo disse: oltre al
resto, poiché l'illustrissimo Nestorio non ha voluto né ascoltare il nostro
invito né accogliere i santissimi e piissimi vescovi da noi mandati abbiamo
dovuto necessariamente procedere all'esame delle sue empie espressioni. Avendo
costatato dall'esame delle sue lettere, dagli scritti che sono stati letti,
dalle sue recenti affermazioni fatte in questa metropoli e confermate da
testimoni, che egli pensa e predica empiamente, spinti dai canoni dalla lettera
del nostro santissimo padre e collega nel ministero Celestino, vescovo della
chiesa di Roma, siamo dovuti giungere, spesso con le lacrime agli occhi, a
questa dolorosa condanna contro di lui.
Gesù Cristo stesso, nostro signore,
da lui bestemmiato ha definito per bocca di questo santissimo concilio che lo
stesso Nestorio è escluso dalla dignità vescovile e da qualsiasi collegio
sacerdotale.
LETTERA SINODALE GENERALE
[………………]
[I. Di quei metropoliti che
parteggiano per Nestorio e Celestio]
Poiché è necessario che anche quelli
che non hanno partecipato a questo santo sinodo e sono rimasti nella propria
provincia, non debbano ignorare quanto è stato decretato, informiamo la santità
tua che:
Se il metropolita di una provincia,
staccandosi da questo santo e universale Concilio, avesse aderito a quel
consesso di apostasia, o dopo ciò, aderisse ancora ad esso, o abbia condiviso
le idee di Celestio, o le condividerà in futuro, questi non potrà prendere
alcuna decisione contro i vescovi della sua provincia, né aver parte, in
seguito, ad alcuna comunione ecclesiastica: già fin d'ora, infatti, è scacciato
da questo sacro sinodo e privo di ogni autorità; al contrario, sarà soggetto ai
vescovi della provincia e ai metropoliti delle province confinanti di retta
ortodossia, e sarà privato del grado di vescovo.
[II. Dei vescovi che aderiscono a
Nestorio].
Se qualcuno dei vescovi provinciali,
allontanandosi da questo santo sinodo, ha abbracciato l'apostasia o tenta di
abbracciarla; e, dopo aver sottoscritto la condanna di Nestorio, è poi
ritornato al concilio della apostasia, questi, secondo quanto ha stabilito il
santo Concilio, è da considerarsi del tutto estraneo al sacerdozio, e decaduto
dal suo grado.
[III. Dei chierici che per la
loro retta fede sono stati deposti da Nestorio]
Se vi fossero dei chierici in
qualsiasi città, che siano stati sospesi dal loro ufficio da Nestorio o dai
suoi partigiani per il loro retto sentire, è bene che anche questi riprendano
il loro posto. In genere, poi, comandiamo che quei chierici che aderiscono a
questo ecumenico e ortodosso Concilio, o che aderiranno ad esso, sia ora che in
seguito, in qualsiasi tempo, non debbano essere assolutamente e in nessun modo
e tempo soggetti ai vescovi che hanno abbandonato, o sono diventati avversi, o
hanno trasgredito i sacri canoni e la retta fede.
[IV. Dei chierici che seguono le
opinioni di Nestorio].
I chierici che allontanatisi (da
questo santo sinodo) sia in pubblico che in privato; mostrino di avere le idee
di Nestorio, anche questi sono deposti dal sacro sinodo.
[V. Dei chierici puniti e accolti
da Nestorio].
Quanti, per azioni indegne siano
stati condannati da questo santo Concilio, o dai propri vescovi, e contro ogni
norma ecclesiastica siano restituiti nella comunione o nel grado da Nestorio o
dai suoi seguaci, abbiamo stabilito non ne abbiano tuttavia alcun giovamento e
rimangano deposti
[VI. Di chi volesse sconvolgere i
decreti del Sinodo].
Ugualmente, se vi fosse chi volesse
metter sotto sopra in qualsiasi modo, le singole decisioni del santo sinodo
questo stabilisce che, se si tratta di vescovi o di chierici siano senz'altro
privati del loro grado, se di laici, che siano privati della comunione.
DEFINIZIONE SULLA FEDE DI NICEA
Il concilio di Nicea espose questa
fede: Crediamo...
[segue il simbolo niceno].
E’ bene, quindi, che tutti
convengano in questa fede: è, infatti, piamente e sufficientemente utile a
tutta la terra.
Ma poiché alcuni, pur simulando di
confessarla e di convenirne, ne interpretano male il vero senso secondo il loro
modo di vedere ed alterano la verità, figli dell'errore e della perdizione, è
stato assolutamente necessario aggiungere le testimonianze dei santi ed
ortodossi padri, adatte a dimostrare in qual modo essi compresero e predicarono
con coraggio questa fede, perché sia anche chiaro che tutti quelli che hanno
una fede retta ed irreprensibile la comprendono, l'interpretano e la predicano
in questo modo.
[Segue un florilegio di passi
degli scritti dei padri].
Letti questi documenti il santo
sinodo stabilisce che non è lecito ad alcuno proporre, redigere o comporre una
nuova fede diversa da quella che è stata definita dai santi padri raccolti a
Nicea con lo Spirito Santo. Quelli che osassero comporre una diversa fede o
presentarla o proporla a chi vuole convertirsi alla conoscenza della verità o
dall'Ellenismo o dal Giudaismo, o da qualsiasi eresia, se sono vescovi o
chierici siano considerati decaduti, i vescovi dall'episcopato, i chierici
dalla loro dignità ecclesiastica; se poi costoro fossero laici, siano anatema.
Similmente se fossero scoperti dei vescovi, dei chierici o dei laici, che
ritengano o insegnino le dottrine contenute nella esposizione già presentata
del presbitero Carisio circa l'incarnazione dell'unigenito Figlio di Dio, o
anche le empie e perverse dottrine di Nestorio, che ci sono state sottoposte,
siano colpiti dai decreti di questo santo Concilio ecumenico, essendo chiaro
che chi è vescovo sarà eliminato dall'episcopato e deposto, chi è chierico sarà
ugualmente decaduto da chierico; se poi si tratta di un laico, sia condannato,
conforme a quanto è stato detto.
DEFINIZIONE CONTRO GLI EMPI
MESSALIANI 0 EUCHITI
Radunatisi presso di noi i piissimi
e religiosissimi vescovi Valeriano e Anfilochio, fu proposto alla comune
discussione il caso di quelli che in Panfilia sono chiamati Messaliani, ossia
Euchiti o entusiasti, o in qualsiasi modo debba chiamarsi questa setta, la più
empia di quante se ne possano ricordare. Mentre, dunque, si discuteva, il
piissirno e religiosissimo vescovo Valeriano ci mostra un voto sinodale,
scritto sul conto di questi stessi nella grande Costantinopoli, sotto Sisinnio,
di beata memoria. Letta dinanzi a tutti, sembrò fatta bene e secondo la retta
dottrina. E piacque a tutti noi, compresi i santi vescovi Valeriano e Anfilochio
e tutti i piissimi vescovi delle diocesi della Panfilia e della Licaonia, che
tutto ciò che era esposto nello scritto sinodale dovesse aver forza di legge e
che in nessun modo dovesse esser trasgredito, e che fosse valido anche quanto
era stato fatto in Alessandria e, cioè, che tutti quelli che per tutta la
diocesi appartenessero alla setta dei Messaliani o degli entusiasti, o fossero
sospetti di essere infetti di questa malattia, sia chierici che laici vengano
istruiti con prudenza. Se abiureranno per iscritto i loro errori, secondo
quanto viene esposto nello scritto sinodale già ricordato, i chierici rimangano
chierici, i laici siano ammessi nella comunione della chiesa. Se rifiutassero
ciò e non volessero abiurare, allora i sacerdoti, i diaconi, e quelli che hanno
un qualsiasi grado nella chiesa, siano considerati decaduti dal clero, dal
grado e dalla comunione ecclesiastica; i laici siano anatematizzati. Non sia
permesso a coloro che sono stati convinti di errore, di continuare ad avere i
monasteri, perché la zizzania non si estenda e non si rafforzi. Perché queste
disposizioni vengano eseguite con energia usino la loro diligenza sia gli
stessi santi vescovi Valeriano e Anfilochio, che i reverendissimi vescovi di
tutta la provincia. E’ sembrato bene, inoltre, anatematizzare il libro di
quella infame eresia, che essi chiamano Ascetico, portato dal pio e
santo vescovo Valeriano, perché composto dagli eretici; e se presso qualcuno si
trovasse qualche altra raccolta delle loro empie dottrine, anche questa venga
anatematizzata.
CHE I VESCOVI DI CIPRO PROVVEDANO ALLE LORO CONSACRAZIONI
Il santo vescovo Regino e i
reverendissimi vescovi della provincia di Cipro che sono con lui, Zenone ed
Evagrio, hanno fatto presente un fatto nuovo contrario alle costituzioni
ecclesiastiche e ai canoni dei santi padri che coinvolge la libertà di tutti. A
mali comuni si richiedono più efficaci rimedi, onde evitare maggiori danni. Se
non è uso antico che il vescovo di Antiochia faccia in Cipro le consacrazioni
come hanno dimostrato con i loro opuscoli e con la propria voce i
religiosissimi uomini che si sono presentati a questo santo sinodo, coloro che
sono preposti alle sante chiese di Cipro avranno tranquillità e sicurezza,
secondo i canoni dei santi e venerandi padri, facendo le consacrazioni dei
reverendissimi vescovi da se stessi, secondo l'antica consuetudine. Queste
stesse norme verranno osservate anche per le altre diocesi e ovunque, per ogni
provincia; cosicché nessuno dei venerabili vescovi possa appropriarsi di una provincia
che un tempo non fosse sotto la sua autorità o di coloro che governarono prima
di lui. In caso, poi, che uno se ne sia impadronito e l'abbia ridotta sotto la
sua giurisdizione con la violenza, deve senz'altro restituirla, perché non
siano trasgrediti i canoni dei padri e, sotto l'apparenza del servizio di Dio
non si introduca a poco a poco e di nascosto la vanità della umana potenza, né
avvenga che senza accorgerci, a poco a poco perdiamo la libertà, che ci ha
donato col suo sangue il Signore nostro Gesù Cristo, il liberatore di tutti gli
uomini. E’ sembrato bene dunque a questo sinodo santo e universale, di
conservare a ciascuna provincia puri e intatti i propri diritti, che ciascuna
ha avuti fin dal principio, secondo la consuetudine antica, e che il
metropolita abbia facoltà di addurre la documentazione necessaria per la
sicurezza della sua provincia. Che se qualcuno adducesse documenti in contrasto
con quanto è stato ora stabilito, questo santo e universale sinodo dichiara
nullo tutto ciò!
FORMULA DI UNIONE
Per quanto poi riguarda la Vergine
madre di Dio, come noi la concepiamo e ne parliamo e il modo dell'incarnazione
dell'unigenito Figlio di Dio, ne faremo necessariamente una breve esposizione,
non con l'intenzione di fare un'aggiunta, ma per assicurarvi, così come fin
dall'inizio l'abbiamo appresa dalle sacre scritture e dai santi padri, non
aggiungendo assolutamente nulla alla fede esposta da essi a Nicea.
Come infatti abbiamo premesso, essa
è sufficiente alla piena conoscenza della fede e a respingere ogni eresia. E
parleremo non con la presunzione di comprendere ciò che è inaccessibile, ma
riconoscendo la nostra insufficienza, ed opponendoci a coloro che ci assalgono
quando consideriamo le verità che sono al di sopra dell'uomo.
Noi quindi confessiamo che il nostro
signore Gesù figlio unigenito di Dio, è perfetto Dio e perfetto uomo,
(composto) di anima razionale e di corpo; generato dal Padre prima dei secoli
secondo la divinità, nato, per noi e per la nostra salvezza, alla fine dei
tempi dalla vergine Maria secondo l'umanità; che è consostanziale al Padre
secondo la divinità, e consostanziale a noi secondo l'umanità, essendo avvenuta
l'unione delle due nature. Perciò noi confessiamo un solo Cristo, un solo
Figlio, un solo Signore.
Conforme a questo concetto di unione
in confusa, noi confessiamo che la vergine santa è madre di Dio, essendosi il
Verbo di Dio incarnato e fatto uomo, ed avendo unito a sé fin dallo stesso
concepimento, il tempio assunto da essa.
Quanto alle affermazioni evangeliche
ed apostoliche che riguardano il Signore, sappiamo che i teologi alcune le
hanno considerate comuni, e cioè relative alla stessa, unica persona, altre le
hanno distinte come appartenenti alle due nature; e cioè: quelle degne di Dio
le hanno riferite alla divinità del Cristo, quelle più umili, alla sua umanità.