Primo
Concilio di Costantinopoli
IL SIMBOLO DEI CENTOCINQUANTA PADRI
Crediamo in un solo Dio, Padre
onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e di
quelle invisibili: e in un solo signore Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio,
generato dal Padre prima di tutti i secoli, luce da luce, Dio vero da Dio vero;
generato, non creato, della stessa sostanza del Padre, per mezzo del quale sono
state fatte tutte le cose. Per noi uomini e per la nostra salvezza egli discese
dal cielo, prese carne dallo Spirito Santo e da Maria vergine, e divenne uomo.
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, fu sepolto e risuscitò il terzo
giorno secondo le Scritture, salì al cielo, si sedette alla destra del Padre:
verrà nuovamente nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno
non avrà fine. Crediamo anche nello Spirito Santo, che è signore e dà vita, che
procede dal Padre; che col Padre e col Figlio deve essere adorato e
glorificato, ed ha parlato per mezzo dei Profeti. Crediamo la Chiesa una,
santa, cattolica e apostolica. Crediamo un solo battesimo per la remissione dei
peccati e aspettiamo la resurrezione dei morti, e la vita del secolo futuro.
Amen.
LETTERA DEI VESCOVI RADUNATI A
COSTANTINOPOLI A PAPA DAMASO E AI VESCOVI OCCIDENTALI (382)
Ai signori illustrissimi e
reverendissirni fratelli e colleGhi Damaso, Ambrogio, Brittone, Valeriano,
Acolio, Anemio, Basilio, e agli altri santi vescovi raccolti nella grande Roma,
il santo sinodo dei vescovi che professano la vera fede, riuniti nella grande
Costantinopoli, salute nel Signore.
E’ forse superfluo informare la Reverenza
vostra, quasi che possa esserne all'oscuro, e narrare le innumerevoli
sofferenze inflitteci dalla prepotenza ariana. Non crediamo, infatti, che la
santità vostra giudichi così poco importante quanto ci riguarda, da esserne
ancora all'oscuro, metterebbe anzi conto che se ne piangesse insieme. D'altra
parte, le tempeste che si sono abbattute su di noi sono state tali, che non
hanno certo potuto rimanervi nascoste; il tempo delle persecuzioni è recente,
ne è ancora vivo il ricordo non solo in coloro che hanno sofferto, ma anche in
chi per l'amore che li legava ad essi ha fatto proprie le loro sofferenze.
Infatti solo ieri, per così dire, e l'altro ieri, alcuni sciolti dai vincoli
dell'esilio, sono tornati alle loro chiese in mezzo a mille tribolazioni; di
altri, morti in esilio, sono tornati solo i resti: alcuni, anche dopo il
ritorno dall'esilio, fatti segno all'odio acre degli eretici, dovettero
sopportare più amarezze nella propria terra che in terra straniera, raggiunti,
come il beato Stefano, dalle loro pietre; altri lacerati da vari supplizi,
portano ancora le stigmate di Cristo e le ferite nel proprio corpo. Le perdite
di ricchezze, le multe delle città, le confische dei beni dei singoli, gli
intrighi, le prepotenze, le carceri, chi potrebbe contarle? Davvero che tutte
le tribolazioni si sono moltiplicate contro di noi oltre ogni dire, forse
perché scontassimo la pena dei nostri peccati, o forse perché Dio, clemente,
voleva provarci con tante sofferenze.
Di ciò siano rese grazie a Dio, il
quale volle istruire i suoi servi attraverso prove cosa grandi, e secondo la
sua grande misericordia ci ha condotto nuovamente al refrigerio. Certo sarebbe
stato necessario per noi una lunga pace, e molto tempo, e molto lavoro per il
miglioramento delle chiese, perché, cioè, finalmente potessimo ricondurre
all'originario splendore della pietà il corpo della chiesa, oppresso come da
lunga malattia, ricreandolo a poco a poco con ogni sorta di cure. In questo
modo riteniamo di esserci liberati dalla violenza delle persecuzioni, e di aver
ripristinato le chiese così a lungo dominate dagli eretici, dei lupi, tuttavia,
ci danno molta molestia: scacciati dai loro recinti, rapiscono le pecore negli
stessi pascoli boscosi, e tentano di tenere riunioni, e di suscitare sommosse popolari,
senza nulla risparmiare pur di arrecare danno alle chiese. Come dicevamo,
sarebbe stato necessario che potessimo occuparci di questi problemi per un
tempo più lungo.
In ogni modo, poiché, mostrando la
vostra fraterna carità verso di noi, con lettere dell'imperatore, da Dio amato,
avete invitato anche noi come veri membri al sinodo che per volontà di Dio
avete convocato a Roma perché, essendo stati noi sottoposti allora da soli alle
tribolazioni, ora in questa pia concordia degli Imperatori voi non regnaste
senza di noi, ma anche noi, secondo la parola dell'apostolo, potessimo regnare
insieme con voi, sarebbe stato nostro desiderio, se possibile, lasciare tutti
insieme le nostre chiese, e venire incontro ai vostri desideri e alla (comune)
utilità. Chi ci darà, infatti, le ali come quelle di una colomba per volare e
posarci presso di voi? Ma poiché questo avrebbe spogliato le nostre chiese,
appena cominciato il rinnovamento, e la cosa sarebbe stata per moltissimi
impossibile, ci eravamo radunati insieme a Costantinopoli, secondo l'invito
delle lettere, mandate l'anno scorso dalla vostra carità, dopo il sinodo di
Aquileia, all'imperatore Teodosio, caro a Dio. Eravamo preparati per questo
solo viaggio fino a Costantinopoli, ed avevamo il consenso dei vescovi rimasti
nelle diocesi solo per questo sinodo. Di un più lungo viaggio né prevedevamo la
necessità, né avevamo avuto alcun indizio prima di venire a Costantinopoli.
Inoltre l'imminenza della data fissata non lascia il tempo di prepararsi per
una assenza più lunga, né di avvertire i vescovi della nostra stessa comunione
rimasti nelle diocesi, e di chiedere il loro benestare. Poiché, dunque, questi
ed altri simili motivi impedivano la partenza della maggior parte di noi,
abbiamo preso l'unico partito che restava per il miglioramento delle cose e per
corrispondere alla carità che ci avete dimostrato: e abbiamo pregato
istantemente i venerabilissimi e onorabilissimi fratelli e colleghi nostri, i
vescovi Ciriaco, Eusebio e Prisciano di affrontare la fatica di venir fino a
voi; e così, per mezzo loro, vi abbiamo fatto conoscere i nostri propositi di
pace e di unità, e vi abbiamo manifestato il nostro zelo per la retta fede.
Noi, infatti, abbiamo sopportato da parte degli eretici le persecuzioni, le
tribolazioni, le minacce degli imperatori, le crudeltà dei magistrati e ogni
altra prova, per la fede evangelica confermata dai trecentodiciotto Padri di
Nicea di Bitinia. Questa fede, infatti, dev'essere approvata da voi, da noi e
da quanti non distorcono il senso della vera fede essendo essa antichissima e
conforme al battesimo; essa ci insegna a credere nel nome del Padre, del Figlio
e dello Spirito Santo, cioè in una sola divinità, potenza, sostanza del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo, in una uguale dignità, e in un potere
coeterno, in tre perfettissime ipostasi, cioè in tre perfette persone, ossia
tali, che non abbia luogo in esse né la follia di Sabellio con la confusione
delle persone, con la soppressione delle proprietà personali, né prevalga la
bestemmia degli Eunomiani, degli Ariani, dei Pneumatomachi, per cui, divisa la
sostanza, o la natura, o la divinità, si aggiunga all'increata, consostanziale
e coeterna Trinità una natura posteriore, creata, o di diversa sostanza.
Riteniamo anche, intatta, la dottrina dell'incarnazione del Signore; non
accettiamo, cioè l'assunzione di una carne senz'anima, senza intelligenza,
imperfetta, ben sapendo che il verbo di Dio, perfetto prima dei secoli, è
divenuto perfetto uomo negli ultimi tempi per la nostra salvezza.
Queste sono, in sintesi, le
principali verità della fede, che senza ambagi predichiamo. Esse vi
procureranno anche una maggior soddisfazione, se vi degnerete di leggere il
tomo composto dal sinodo di Antiochia, e quello pubblicato dal concilio
ecumenico, a Costantinopoli, lo scorso anno. In essi abbiamo esposto la nostra
fede assai ampiamente, ed abbiamo sottoscritto i nostri anatemi contro le
recenti novità delle eresie.
Quanto all'amministrazione delle
singole chiese ha forza di legge l'antica norma, come sapete, e la disposizione
dei santi padri di Nicea: che, cioè, in ciascuna provincia, e, se essi vorranno
anche i vescovi confinanti con loro, si facciano le ordinazioni come richiede
l'utilità delle chiese. Sappiate che, conforme a queste disposizioni, vengono
amministrate le nostre chiese, e sono stati nominati i sacerdoti delle chiese
più insigni. Della chiesa novella, per cosi dire, di Costantinopoli, che da
poco, per misericordia di Dio, abbiamo strappato alle bestemmie degli eretici,
come dalla bocca di un leone, abbiamo ordinato vescovo il reverendissimo e
amabilissimo in Dio Nettario. Ciò è stato fatto al cospetto del concilio
universale, col consenso di tutti, sotto gli occhi dell'imperatore Teodosio,
carissimo a Dio, di tutto il clero, e con l'approvazione di tutta la città.
Dell'antica e veramente apostolica chiesa di Antiochia di Siria, nella quale
per prima fu usato il venerando nome di cristiani, i vescovi della provincia e
della diocesi dell'oriente, radunatisi, consacrarono vescovo, canonicamente, il
reverendissimo e da Dio amatissimo Flaviano, con l'approvazione di tutta la
chiesa, che, unanime onorava quest'uomo. L'ordinazione è stata riconosciuta
conforme alla legge ecclesiastica anche dalle autorità del concilio. Vi
informiamo, inoltre, che il reverendissimo e carissimo a Dio Cirillo è vescovo
della madre di tutte le chiese, la chiesa di Gerusalemme. A suo tempo egli è
stato consacrato, conforme alle norme ecclesiastiche, dai vescovi della
provincia, e spesso, in diverse circostanze, ha lottato strenuamente contro gli
Ariani.
Poiché, dunque, queste cose sono
state compiute da noi legalmente e canonicamente, preghiamo la reverenza vostra
di volersi rallegrare con noi, uniti scambievolmente dal vincolo dell'amore che
viene dallo Spirito e dal timore di Dio che vince ogni umana passione, e
antepone l'edificazione delle chiese all'amicizia ed alla benevolenza verso i
singoli. In tal modo, in pieno accordo nelle verità della fede, e fortificata
in noi la carità cristiana, cesseremo di ripetere l'espressione già biasimata
dagli apostoli: Io sono di Paolo, io sono di Apollo; e io sono di Cefa, ma
saremo tutti di Cristo, che non può esser diviso in noi; e, se Dio ce ne farà
degni, conserveremo indiviso il corpo della chiesa e compariremo tranquilli dinanzi
al tribunale di Dio.
CANONI
I. Che le decisioni di Nicea restino
immutate; della scomunica degli eretici.
La professione di fede dei
trecentodiciotto santi Padri, raccolti a Nicea di Bitinia non deve essere
abrogata, ma deve rimanere salda; si deve anatematizzare ogni eresia,
specialmente quella degli Eunomiani o Anomei, degli Ariani o Eudossiani, dei
Serniariani e Pneumatomachi, dei Sabelliani, dei Marcelliani, dei Fotiniani e
degli Apollinaristi.
II. Del buon ordinamento delle
diocesi, e dei privilegi dovuti alle grandi città dell'Egitto, di Antiochia, di
Costantinopoli; e del non dover un vescovo metter piede nella chiesa di un
altro.
I vescovi preposti ad una diocesi
non si occupino delle chiese che sono fuori dei confini loro assegnati né le
gettino nel disordine; ma, conforme ai canoni, il vescovo di Alessandria
amministri solo ciò che riguarda l'Egitto, i vescovi dell'Oriente, solo
l'oriente, salvi i privilegi della chiesa di Antiochia, contenuti nei canoni di
Nicea; i vescovi della diocesi dell'Asia, amministrino solo l'Asia, quelli del
Ponto, solo il Ponto, e quelli della Tracia, la Tracia.
A meno che vengano chiamati, i
vescovi non si rechino oltre i confini della propria diocesi, per qualche
ordinazione e per qualche altro atto del loro ministero. Secondo le norme
relative all'amministrazione delle diocesi, è chiaro che questioni riguardanti
una provincia dovrà regolarle il sinodo della stessa provincia, secondo le
direttive di Nicea. Quanto poi alle chiese di Dio fondate nelle regioni dei
barbari, sarà bene che vengano governate secondo le consuetudini introdotte ai
tempi dei nostri padri.
III. Che dopo il vescovo di Roma,
sia secondo quello di Costantinopoli.
Il vescovo di Costantinopoli avrà il
primato d'onore dopo il vescovo di Roma, perché tale città è la nuova Roma.
IV. Della illecita ordinazione di
Massimo.
Quanto a Massimo il Cinico e ai
disordini avvenuti a Costantinopoli per causa sua intorno a lui, questo grande
sinodo giudica che Massimo non è mai stato né è vescovo, e non lo sono quelli
che egli ha ordinato in qualsiasi grado del clero: tutto quello, infatti, che è
stato compiuto a suo riguardo o da lui è da considerarsi nullo.
V. Il tomo degli Occidentali è bene
accetto.
Per quanto riguarda il tomo
(=documento) degli Occidentali, anche noi riconosciamo quelli di Antiochia che
professano la medesima divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
VI. Chi può essere ammesso ad
accusare un vescovo o un chierico.
Poiché molti volendo turbare e
sconvolgere l'ordine ecclesiastico, da veri nemici e sicofanti, inventano
accuse contro i vescovi ortodossi incaricati del governo della Chiesa,
nient'altro cercando che di contaminare la buona fama dei sacerdoti e di
eccitare tumulti tra i popoli che vivono in pace, è sembrato bene al santo
concilio dei vescovi radunati a Costantinopoli di non ammettere gli accusatori
senza previo esame, né di permettere a chiunque di poter formulare accuse
contro gli amministratori delle diocesi, né, d'altra parte, di respingere
tutti. Se, quindi, uno ha dei motivi privati, personali, contro il vescovo,
perché sia stato defraudato, o perché abbia dovuto sopportare da parte sua
qualche altra ingiustizia, in questo genere di accuse non si guardi né alla
persona dell'accusatore, né alla sua religione. E’ necessario, infatti,
assolutamente, che la coscienza del vescovo si conservi libera dalla colpa e
che quegli che afferma di essere trattato ingiustamente, quali che possano
essere i suoi sentimenti religiosi, ottenga giustizia. Se, però, l'accusa che
si fa al vescovo ha attinenza con la religione in sé e per sé, allora bisogna
tener conto della persona degli accusatori. In questo caso, primo, non si
permetta agli eretici di formulare accuse contro i vescovi ortodossi in cose
riguardanti la chiesa (per eretici intendiamo sia quelli che già da tempo sono
stati pubblicamente banditi dalla Chiesa, sia quelli che poi noi stessi abbiamo
condannato; sia quelli che mostrano di professare una fede autentica, ma in
realtà sono separati e si riuniscono contro i vescovi legittimi). Inoltre,
quelli che sono stati condannati, scacciati o scomunicati per vari motivi dalla
Chiesa, sia chierici che laici, non possono accusare un vescovo, prima di
essersi lavati della loro colpa. Analogamente non possono accusare un vescovo o
altri chierici, coloro che siano sotto una precedente accusa, se prima non
abbiano dimostrato di essere innocenti delle colpe loro imputate. Se, però, vi
è chi senza essere eretico, né scomunicato, né condannato o accusato di alcun
delitto, ha delle accuse in cose di chiesa contro il vescovo, questo santo
sinodo comanda che questi presenti la sua accusa ai vescovi della provincia e
dimostri davanti a loro la fondatezza delle accuse. Se poi i vescovi della
provincia non sono in grado di correggere le mancanze di cui viene accusato il
vescovo, allora gli accusatori possono adire anche il più vasto sinodo dei
vescovi di quella diocesi (cioè il sinodo patriarcale), che saranno convocati
proprio per questo. Non può però, essere ammesso a provare l'accusa, chi non
abbia prima accettato per iscritto di subire una pena uguale a quella che
toccherebbe al vescovo se nell'esame della causa si constatasse che le accuse
contro il vescovo erano calunnie. Se qualcuno, disprezzando ciò che è stato
decretato, osasse importunare l'imperatore, o disturbare i tribunali civili, o
il concilio ecumenico, con disprezzo di tutti i vescovi della diocesi, la sua
accusa non deve essere ammessa, perché egli ha disprezzato i canoni, ed ha
tentato di sconvolgere l'ordine ecclesiastico.
VII. Come bisogna accogliere coloro
che si avvicinano all'ortodossia.
Coloro che dall'eresia passano alla
retta fede nel novero dei salvati, devono essere ammessi come segue: gli
Ariani, i Macedoniani, i Sabaziani, i Novaziani, quelli che si definiscono i
Puri (Catari), i Sinistri, i Quattuordecimani o Tetraditi e gli Apollinaristi,
con l'abiura scritta di ogni eresia, che non s'accorda con la santa chiesa di
Dio, cattolica e apostolica. Essi siano segnati, ossia unti, col sacro crisma,
sulla fronte, sugli occhi, sulle narici, sulla bocca, sulle orecchie e
segnandoli, diciamo: Segno del dono dello Spirito Santo. Gli Eunomiani,
battezzati con una sola immersione, i Montanisti, qui detti Frigi, i
Sabelliani, che insegnano l'identità del Padre col Figlio e fanno altre cose
gravi, e tutti gli altri eretici (qui ve ne sono molti, specie quelli che
vengono dalle parti dei Galati); tutti quelli, dunque, che dall'eresia vogliono
passare alla ortodossia, li riceviamo come dei gentili. E il primo giorno li
facciamo cristiani, il secondo, catecumeni; poi il terzo, li esorcizziamo,
soffiando per tre volte ad essi sul volto e nelle orecchie. E così li
istruiamo, e facciamo che passino il loro tempo nella chiesa, e che ascoltino
le Scritture; e allora li battezziamo.