ISTRUZIONE
su alcune questioni circa
la collaborazione dei fedeli laici
al ministero dei sacerdoti
PREMESSA
Dal mistero della Chiesa scaturisce la
chiamata rivolta a tutte le membra del Corpo mistico affinché partecipino
attivamente alla missione e all'edificazione del Popolo di Dio in una
comunione organica, secondo i diversi ministeri e carismi. L'eco di tale
chiamata è risuonata ripetutamente nei documenti del Magistero,
particolarmente dal Concilio Ecumenico Vaticano II[1]
in poi. Soprattutto nelle ultime tre Assemblee generali ordinarie del Sinodo
dei Vescovi, si è riaffermata l'identità, nella comune dignità e diversità di
funzioni, propria dei fedeli laici, dei sacri ministri e dei consacrati, e si
sono incoraggiati tutti i fedeli ad edificare la Chiesa collaborando in
comunione per la salvezza del mondo.
Occorre tener presente l’urgenza e
l’importanza dell’azione apostolica dei fedeli laici nel presente e nel futuro
dell’evangelizzazione. La Chiesa non può prescindere da quest’opera, perché è
connaturale ad essa, in quanto Popolo di Dio, e perché ne ha bisogno per
realizzare la propria missione evangelizzatrice.
La chiamata alla partecipazione attiva
di tutti i fedeli alla missione della Chiesa non è rimasta inascoltata. Il
Sinodo dei Vescovi del 1987 ha constatato “ come lo Spirito abbia
continuato a ringiovanire la Chiesa suscitando nuove energie di santità e di
partecipazione in tanti fedeli laici. Ciò è testimoniato, tra l'altro, dal
nuovo stile di collaborazione tra sacerdoti, religiosi e fedeli laici; dalla
partecipazione attiva nella liturgia, nell'annuncio della Parola di Dio e nella
catechesi; dai molteplici servizi e compiti affidati ai fedeli laici e da essi
assunti; dal rigoglioso fiorire di gruppi, associazioni e movimenti di
spiritualità e di impegno laicali; dalla partecipazione più ampia e
significativa delle donne nella vita della Chiesa e nello sviluppo della società ”[2].
Parimenti nella preparazione del Sinodo dei Vescovi del 1994 sulla vita
consacrata si è riscontrato “ dappertutto un desiderio sincero di
instaurare autentici rapporti di comunione e di collaborazione tra Vescovi,
Istituti di vita consacrata, clero secolare e laici ”[3].
Nella successiva Esortazione apostolica post-sinodale il Sommo Pontefice
conferma l'apporto specifico della vita consacrata alla missione e alla
edificazione della Chiesa[4].
Si ha, in effetti, una collaborazione
di tutti i fedeli in entrambi gli ambiti della missione della Chiesa, sia in
quello spirituale di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli
uomini, sia in quello temporale di permeare e perfezionare l'ordine delle
realtà secolari con lo spirito evangelico.[5]
Specialmente nel primo ambito - evangelizzazione e santificazione -
“ l'apostolato dei laici e il ministero pastorale si completano a
vicenda ”[6]. In esso, i
fedeli laici, di entrambi i sessi, hanno innumerevoli occasioni di rendersi
attivi, con la coerente testimonianza di vita personale, familiare e sociale,
con l’annunzio e la condivisione del vangelo di Cristo in ogni ambiente e con
l'impegno di enucleare, difendere e rettamente applicare i principi cristiani
ai problemi attuali[7]. In
particolare, i Pastori sono esortati a “ riconoscere e promuovere i
ministeri, gli uffici e le funzioni dei fedeli laici, che hanno il loro
fondamento sacramentale nel Battesimo e nella Cresima, nonché per molti di
loro, nel Matrimonio ”[8].
In realtà, la vita della Chiesa in
questo campo ha conosciuto, soprattutto dopo il notevole impulso dato dal
Concilio Vaticano II e dal Magistero Pontificio, una sorprendente fioritura di
iniziative pastorali.
Oggi, in particolare, il prioritario
compito della nuova evangelizzazione, che investe l'intero popolo di Dio,
richiede, insieme allo “ speciale protagonismo ” dei sacerdoti, anche
il pieno ricupero della coscienza dell'indole secolare della missione del laico[9].
Questa impresa spalanca ai fedeli
laici gli orizzonti immensi, alcuni dei quali ancora da esplorare, dell'impegno
nel secolo, nel mondo della cultura, dell’arte e dello spettacolo, della
ricerca scientifica, del lavoro, dei mezzi di comunicazione, della politica,
dell'economia, ecc. e chiede loro la genialità di creare sempre più efficaci
modalità affinché questi ambiti trovino in Gesù Cristo la pienezza del loro
significato[10].
Entro questa vasta area di concorde
operosità, sia specificamente spirituale o religiosa, sia nella consecratio mundi, esiste un campo
speciale, quello che riguarda il sacro ministero del clero, nell’esercizio del
quale possono essere chiamati a coadiuvare i fedeli laici, uomini e donne, e,
naturalmente, anche i membri non ordinati degli Istituti di vita consacrata e
delle Società di vita apostolica. A tale ambito particolare si riferisce il
Concilio Ecumenico Vaticano II, laddove insegna: “ Infine la gerarchia
affida ai laici alcuni compiti, che sono più intimamente collegati con i doveri
dei pastori, come nell'esposizione della dottrina cristiana, in alcuni atti
liturgici, nella cura delle anime ”[11].
Proprio perché si tratta di compiti
più intimamente collegati con i doveri dei pastori - che per essere tali devono
essere insigniti del sacramento dell'Ordine - si richiede, da parte di tutti
coloro che in qualche modo vi sono coinvolti, una particolare diligenza perché
siano ben salvaguardate, sia la natura e la missione del sacro ministero, sia
la vocazione e l'indole secolare dei fedeli laici. Collaborare non significa
infatti sostituire.
Dobbiamo constatare con viva
soddisfazione che in molte Chiese particolari la collaborazione dei fedeli non
ordinati al ministero pastorale del clero si svolge in maniera assai positiva,
con abbondanti frutti di bene, nel rispetto dei limiti fissati dalla natura dei
sacramenti e dalla diversità dei carismi e delle funzioni ecclesiali, con
soluzioni generose e intelligenti per far fronte a situazioni di mancanza o
scarsità di sacri ministri[12].
In questo modo si è reso perspicuo quell'aspetto della comunione, per cui
alcuni membri della Chiesa si adoperano sollecitamente a rimediare, nella
misura in cui è loro possibile, non essendo insigniti del carattere del
sacramento dell'Ordine, a situazioni di emergenza e di croniche necessità in
alcune comunità[13]. Tali
fedeli sono chiamati e deputati ad assumere precisi compiti, tanto importanti
quanto delicati, sostenuti dalla grazia del Signore, accompagnati dai sacri
ministri e bene accolti dalle comunità in favore delle quali prestano il
proprio servizio. I sacri pastori sono profondamente riconoscenti per la
generosità con la quale numerosi consacrati e fedeli laici si offrono per
questo specifico servizio, svolto con fedele sensus Ecclesiae ed edificante dedizione. Particolare gratitudine
ed incoraggiamento va a quanti svolgono questi compiti in situazioni di
persecuzione della comunità cristiana, negli ambiti di missione, siano essi
territoriali o culturali, laddove la Chiesa è ancora scarsamente impiantata, o
la presenza del sacerdote è solo sporadica[14].
Non è questo il luogo per approfondire
tutta la ricchezza teologica e pastorale del ruolo dei fedeli laici nella
Chiesa. Essa è già stata ampiamente illustrata dall’Esortazione apostolica Christifideles laici.
Lo scopo del presente documento,
invece, è semplicemente quello di fornire una risposta chiara ed autorevole
alle pressanti e numerose richieste pervenute ai nostri Dicasteri da parte di
Vescovi, presbiteri e laici i quali, di fronte a nuove forme di attività
“ pastorale ” dei fedeli non ordinati nell'ambito delle parrocchie e
delle diocesi, hanno chiesto di essere illuminati.
Spesso, infatti, si tratta di prassi
che, seppur nate in situazioni di emergenza e precarietà, e sovente
sviluppatesi nella volontà di prestare un generoso aiuto nell’attività
pastorale, possono avere conseguenze gravemente negative a scapito della retta
comprensione della vera comunione ecclesiale. Tali prassi in realtà sono
maggiormente presenti in alcune regioni e, talvolta, variano di molto
all'interno della medesima regione.
Esse, tuttavia, richiamano la grave
responsabilità pastorale di quanti, soprattutto Vescovi[15],
sono preposti alla promozione e alla tutela della disciplina universale della
Chiesa sulla base di alcuni principi dottrinali già chiaramente enunciati dal
Concilio Ecumenico Vaticano II[16]
e dal successivo Magistero Pontificio[17].
Si è svolto un lavoro di riflessione
all’interno dei nostri Dicasteri, si è riunito un Simposio al quale hanno
partecipato rappresentanti degli Episcopati maggiormente interessati al
problema e, infine, è stata condotta un’ampia consultazione tra numerosi
Presidenti di Conferenze Episcopali ed altri Presuli ed esperti di diverse
discipline ecclesiastiche ed aree geografiche. Ne è risultata una chiara
convergenza nel senso preciso della presente Istruzione che, tuttavia, non
pretende di essere esauriente, sia perché si limita a considerare i casi
attualmente più conosciuti, sia per l’estrema varietà di circostanze
particolari nelle quali tali casi si verificano.
Il testo, redatto sulla sicura base
del magistero straordinario ed ordinario della Chiesa, viene affidato, per la
sua fedele applicazione, ai Vescovi interessati, ma è portato a conoscenza
anche dei Presuli di quelle circoscrizioni ecclesiastiche che, pur non
registrando al momento prassi abusive, potrebbero esserne interessate in breve
tempo, attesa l'attuale rapidità di diffusione dei fenomeni.
Prima di rispondere ai casi concreti a
noi pervenuti, si ritiene necessario premettere, in merito al significato
dell’Ordine sacro nella costituzione della Chiesa, alcuni brevi ed essenziali
elementi teologici atti a favorire una motivata comprensione della stessa
disciplina ecclesiastica la quale, nel rispetto della verità e della comunione
ecclesiale, intende promuovere i diritti e i doveri di tutti, per quella
“ salvezza delle anime che deve sempre essere nella Chiesa la legge
suprema ”[18].
PRINCIPI TEOLOGICI
1. Il sacerdozio comune e il sacerdozio
ministeriale
Cristo Gesù, Sommo ed Eterno
Sacerdote, ha voluto che il suo unico e indivisibile sacerdozio fosse
partecipato alla sua Chiesa. Questa è il popolo della nuova alleanza, nel
quale, “ per la rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo, i
battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio
santo, per offrire, mediante tutte le attività del cristiano, sacrifici
spirituali e far conoscere i prodigi di Colui che dalle tenebre li chiamò
all'ammirabile sua luce (Cfr. 1 Pt.
2, 4-10) ”[19]. “ Non
c'è quindi che un popolo di Dio scelto da Lui: un solo Signore, una sola fede,
un solo Battesimo (Ef. 4,5); comune è
la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia di
adozione filiale, comune la vocazione alla perfezione ”[20].
Vigendo tra tutti “ una vera uguaglianza riguardo alla dignità e
all'azione comune a tutti i fedeli nell'edificare il Corpo di Cristo ”,
alcuni sono costituiti, per volontà di Cristo, “ dottori, dispensatori dei
misteri e pastori per gli altri ”[21].
Sia il sacerdozio comune dei fedeli, sia il sacerdozio ministeriale o
gerarchico, “ quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado,
sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio
modo, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo ”[22].
Tra di essi si ha una efficace unità perché lo Spirito Santo unifica la Chiesa
nella comunione e nel servizio e la provvede di diversi doni gerarchici e
carismatici[23].
La differenza essenziale tra il
sacerdozio comune ed il sacerdozio ministeriale non si trova, dunque, nel
sacerdozio di Cristo, il quale resta sempre unico e indivisibile, e neanche
nella santità alla quale tutti i fedeli sono chiamati: “ Il sacerdozio
ministeriale, infatti, non significa di per sé un maggior grado di santità
rispetto al sacerdozio comune dei fedeli; ma, attraverso di esso, ai presbiteri
è dato da Cristo nello Spirito un particolare dono, perché possano aiutare il
popolo di Dio ad esercitare con fedeltà e pienezza il sacerdozio comune che gli
è conferito ”[24].
Nell'edificazione della Chiesa, Corpo di Cristo, vige la diversità di membra e
di funzioni, ma uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa
distribuisce i suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza
e alle necessità dei servizi (Cfr. 1
Cor 12, 1-11).[25]
La diversità riguarda il modo della partecipazione al sacerdozio
di Cristo ed è essenziale nel senso che “ mentre il sacerdozio comune dei
fedeli si realizza nello sviluppo della grazia battesimale ‑ vita di
fede, di speranza e di carità, vita secondo lo Spirito ‑ il sacerdozio
ministeriale è al servizio del sacerdozio comune, è relativo allo sviluppo
della grazia battesimale di tutti i cristiani ”[26].
Di conseguenza, il sacerdozio ministeriale “ differisce essenzialmente dal
sacerdozio comune dei fedeli poiché conferisce un potere sacro per il servizio
dei fedeli ”[27]. A questo
scopo il sacerdote è esortato a “ crescere nella consapevolezza della
profonda comunione che lo lega al Popolo di Dio ” per “ suscitare e
sviluppare la corresponsabilità nella comune e unica missione di salvezza, con
la pronta e cordiale valorizzazione di tutti i carismi e i compiti che lo
Spirito offre ai credenti per l'edificazione della Chiesa ”[28].
Le caratteristiche che differenziano
il sacerdozio ministeriale dei Vescovi e dei presbiteri da quello comune dei
fedeli, e delineano in conseguenza anche i confini della collaborazione di
questi al sacro ministero, si possono così sintetizzare:
a) il sacerdozio ministeriale ha la
sua radice nella successione apostolica, ed è dotato di una potestà sacra[29],
la quale consiste nella facoltà e nella responsabilità di agire in persona di
Cristo Capo e Pastore[30];
b) esso rende i sacri ministri
servitori di Cristo e della Chiesa, per mezzo della proclamazione autorevole
della parola di Dio, della celebrazione dei sacramenti e della guida pastorale
dei fedeli[31].
Porre le fondamenta del ministero
ordinato nella successione apostolica, in quanto tale ministero continua la
missione ricevuta dagli Apostoli da parte di Cristo, è punto essenziale della
dottrina ecclesiologica cattolica[32].
Il ministero ordinato, pertanto, viene
costituito sul fondamento degli Apostoli per l'edificazione della Chiesa[33]:
“ è totalmente al servizio della Chiesa stessa ”[34].
“ Alla natura sacramentale del ministero ecclesiale è intrinsecamente
legato il carattere di servizio. I ministri, infatti, in quanto dipendono
interamente da Cristo, il quale conferisce missione e autorità, sono veramente
‘servi di Cristo’ (Rom 1, 1), ad
immagine di lui che ha assunto liberamente per noi ‘la condizione di servo’ (Fil 2, 7). Poiché la parola e la grazia
di cui sono ministri non sono le loro, ma quelle di Cristo che le ha loro
affidate per gli altri, essi si faranno liberamente servi di tutti ”[35].
2. Unità
e diversificazione dei compiti ministeriali
Le funzioni del ministero ordinato,
prese nel loro insieme, costituiscono, in ragione del loro unico fondamento[36],
una indivisibile unità. Una e unica, in effetti, come in Cristo[37],
è la radice dell'azione salvifica, significata e realizzata dal ministro nello
svolgimento delle funzioni di insegnare, santificare e reggere gli altri
fedeli. Questa unità qualifica essenzialmente l'esercizio delle funzioni del
sacro ministero, che sono sempre esercizio, sotto diverse prospettive, del
ruolo di Cristo, Capo della Chiesa.
Se, dunque, l'esercizio da parte del
ministro ordinato del munus docendi,
sanctificandi et regendi costituisce la sostanza del ministero pastorale,
le diverse funzioni dei ministri sacri, formando una indivisibile unità, non
possono essere capìte separatamente le une dalle altre, anzi devono essere
considerate nella loro mutua corrispondenza e complementarietà. Solo per alcune
di esse, e in certa misura, possono cooperare con i pastori altri fedeli non
ordinati, se sono chiamati a svolgere detta collaborazione dalla legittima
Autorità e nei debiti modi. “ Infatti Gesù Cristo, nel suo corpo che è la
Chiesa, continuamente dispensa i doni dei servizi, grazie ai quali, per sua virtù,
noi ci prestiamo aiuto vicendevolmente in ordine alla salvezza ”.[38] “ L'esercizio di questi
compiti non fa del fedele laico un pastore : in realtà non è il
compito a costituire il ministero, bensì l'ordinazione sacramentale. Solo il
Sacramento dell'Ordine attribuisce al ministero ordinato dei Vescovi e dei
presbiteri una peculiare partecipazione all'ufficio di Cristo Capo e Pastore e
al suo sacerdozio eterno. Il compito esercitato in veste di supplenza, invece,
deriva la sua legittimazione, immediatamente e formalmente, dalla deputazione
ufficiale data dai pastori, e nella sua concreta attuazione è diretto
dall'autorità ecclesiastica ”[39].
Occorre riaffermare questa dottrina
perché alcune prassi miranti a supplire alle carenze numeriche di ministri
ordinati nel seno della comunità, in taluni casi, hanno potuto far leva su una
concezione di sacerdozio comune dei fedeli che ne confonde l'indole e il
significato specifico, favorendo, tra l'altro, la diminuzione dei candidati al
sacerdozio ed oscurando la specificità del seminario come luogo tipico per la
formazione del ministro ordinato. Si tratta di fenomeni intimamente connessi,
sulla cui interdipendenza si dovrà opportunamente riflettere per trarre
sapienti conclusioni operative.
3. Insostituibilità
del ministero ordinato
Una comunità di fedeli, per essere
chiamata Chiesa e per esserlo veramente, non può derivare la sua guida da
criteri organizzativi di natura associativa o politica. Ogni Chiesa particolare
deve a Cristo la sua guida, perché è
Lui fondamentalmente ad aver concesso alla stessa Chiesa il ministero
apostolico, per cui nessuna comunità ha il potere di darla a se stessa[40]
o di stabilirla per mezzo di una delega. L'esercizio del munus di magistero e di governo richiede, in effetti, la canonica o
giuridica determinazione da parte dell'Autorità gerarchica[41].
Il sacerdozio ministeriale, dunque, è
necessario all'esistenza stessa della comunità come Chiesa: “ Non si deve
pensare al sacerdozio ordinato (...) come se fosse posteriore alla comunità
ecclesiale quasi che questa possa essere concepita come già costituita senza
tale sacerdozio ”[42].
Infatti, se nella comunità viene a mancare il sacerdote, essa si trova priva
dell’esercizio e della funzione sacramentale di Cristo Capo e Pastore,
essenziale per la vita stessa della comunità ecclesiale.
Il sacerdozio ministeriale è pertanto
assolutamente insostituibile. Se ne deduce immediatamente la necessità di una
pastorale vocazionale che sia zelante, bene ordinata e continua per dare alla
Chiesa i necessari ministri, come pure la necessità di riservare una accurata formazione a quanti,
nei seminari, si preparano a ricevere il presbiterato. Ogni altra soluzione per
far fronte ai problemi derivanti dalla carenza di sacri ministri non può che
risultare precaria.
“ Il dovere di dare incremento
alle vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comunità cristiana, che è tenuta
ad assolvere questo compito anzitutto con una vita perfettamente
cristiana ”[43]. Tutti i
fedeli sono corresponsabili nel contribuire ad incoraggiare le risposte
positive alla vocazione sacerdotale, con una sempre più fedele sequela di Gesù
Cristo, superando l'indifferenza dell'ambiente, soprattutto nelle società
fortemente segnate dal materialismo.
4. La
collaborazione di fedeli non ordinati al ministero pastorale
Nei documenti conciliari, tra i vari
aspetti della partecipazione dei fedeli non insigniti del carattere dell'Ordine
alla missione della Chiesa, viene considerata la loro diretta collaborazione
con i compiti specifici dei pastori.[44]
Infatti, “ quando la necessità o l'utilità della Chiesa lo esige, i
pastori possono affidare ai fedeli non ordinati, secondo le norme stabilite dal
diritto universale, alcuni compiti che sono connessi con il loro proprio
ministero di pastori ma che non esigono il carattere dell'Ordine ”.[45]
Tale collaborazione è stata successivamente regolata dalla legislazione
postconciliare e, in modo particolare, dal nuovo Codice di Diritto Canonico.
Questo, dopo essersi riferito agli
obblighi e diritti di tutti i fedeli,[46]
nel titolo successivo, dedicato agli obblighi e diritti dei fedeli laici,
tratta non solo di quelli specifici della loro condizione secolare,[47]
ma anche di altri compiti o funzioni a loro non pertinenti in modo esclusivo.
Di questi, alcuni spettano a qualsiasi fedele sia ordinato che non ordinato[48],
altri invece si collocano sulla linea di diretto servizio al sacro ministero
dei fedeli ordinati[49].
Rispetto a questi ultimi compiti o funzioni, i fedeli non ordinati non
detengono un diritto ad esercitarli, ma sono “ abili ad essere assunti dai
sacri Pastori in quegli uffici ecclesiastici e in quegli incarichi che sono in
grado di esercitare secondo le disposizioni del diritto ”,[50]
oppure “ in mancanza di ministri (...) possono supplire alcuni dei loro
uffici (...) secondo le disposizioni del diritto ”[51].
Affinché una tale collaborazione sia
armonicamente inserita nella pastorale ministeriale, è necessario che, ad
evitare deviazioni pastorali ed abusi disciplinari, i principi dottrinali siano
chiari e che, conseguentemente, con coerente determinazione, si promuova in
tutta la Chiesa un'attenta e leale applicazione delle disposizioni vigenti, non
allargando, abusivamente, i termini di eccezionalità ai casi che non possono
essere giudicati come “ eccezionali ”.
Qualora, in qualche luogo, si
verifichino abusi e prassi trasgressive, i Pastori mettano in atto i mezzi
necessari ed opportuni per impedire tempestivamente la loro diffusione e per
evitare che venga danneggiata la corretta comprensione della natura stessa
della Chiesa. In particolare, vorranno applicare quelle norme disciplinari già
stabilite, le quali insegnano a conoscere e rispettare fattivamente la
distinzione e la complementarietà di funzioni che sono vitali per la comunione
ecclesiale. Dove poi tali prassi trasgressive sono già diffuse, diventa
assolutamente indilazionabile che intervenga responsabilmente l'autorità che
deve farlo, rendendosi così vera artefice di comunione, la quale può essere
costituita esclusivamente attorno alla verità. Comunione, verità, giustizia,
pace e carità sono termini interdipendenti[52].
Alla luce dei principi ora ricordati,
si indicano qui appresso gli opportuni rimedi per far fronte agli abusi
segnalati ai nostri Dicasteri. Le disposizioni che seguono sono desunte dalla
normativa della Chiesa.
DISPOSIZIONI PRATICHE
Articolo 1. Necessità di una terminologia appropriata
Il Santo Padre, nel discorso rivolto
ai partecipanti al Simposio sulla “ Collaborazione dei fedeli laici al
ministero presbiterale ”, ha sottolineato la necessità di chiarire e
distinguere le varie accezioni che il termine “ ministero ” ha
assunto nel linguaggio teologico e canonico[53].
§ 1. “ Da
un certo tempo è invalso l'uso di chiamare ministeri
non solo gli officia (uffici) e i munera (funzioni) esercitati dai Pastori
in virtù del sacramento dell'Ordine, ma anche quelli esercitati dai fedeli non
ordinati, in virtù del sacerdozio battesimale. La questione lessicale diviene
ancor più complessa e delicata quando si riconosce a tutti i fedeli la
possibilità di esercitare - in veste di supplenti, per deputazione ufficiale
elargita dai Pastori - alcune funzioni più proprie dei chierici, le quali,
tuttavia, non esigono il carattere dell'Ordine. Bisogna riconoscere che il
linguaggio si fa incerto, confuso, e quindi non utile per esprimere la dottrina
della fede, tutte le volte che, in qualsiasi maniera, si offusca la differenza
‘di essenza e non solo di grado’ che intercorre tra il sacerdozio battesimale e
il sacerdozio ordinato ”[54].
§ 2. “ Ciò
che ha permesso, in alcuni casi l'estensione del termine ministero ai munera
propri dei fedeli laici è il fatto che anche questi, nella loro misura, sono
partecipazione all'unico sacerdozio di Cristo. Gli officia, loro affidati temporaneamente, sono invece esclusivamente
frutto di una deputazione della Chiesa. Solo il costante riferimento all'unico
e fontale ‘ministero di Cristo’ (...) permette, in una certa misura, di
applicare anche ai fedeli non ordinati, senza ambiguità, il termine ministero: senza, cioè, che esso venga
percepito e vissuto come indebita aspirazione al ministero ordinato, o come progressiva erosione della sua
specificità.
In questo senso originario, il termine
ministero (servitium) esprime soltanto l'opera con cui membri della Chiesa
prolungano, al suo interno e per il mondo, la missione e il ministero di
Cristo. Quando, invece, il termine viene differenziato nel rapporto e nel
confronto tra i diversi munera e officia, allora occorre avvertire con
chiarezza che solo in forza della
sacra Ordinazione esso ottiene quella pienezza e univocità di significato che
la tradizione gli ha sempre attribuito ”[55].
§ 3. Il
fedele non ordinato può assumere la denominazione generica di “ ministro
straordinario ”, solo se e quando è chiamato dall'Autorità competente a
compiere, unicamente in funzione di supplenza, gli incarichi, di cui al can.
230 § 3[56],
nonché ai cann. 943 e 1112. Naturalmente può essere utilizzato il termine
concreto con cui viene canonicamente determinata la funzione affidata, ad es.
catechista, accolito, lettore, ecc.
La deputazione temporanea nelle azioni
liturgiche, di cui al can. 230 § 2, non conferisce alcuna denominazione
speciale al fedele non ordinato[57].
Non è lecito, pertanto, che i fedeli
non ordinati assumano, per esempio, la denominazione di “ pastore ”,
di “ cappellano ”, di “ coordinatore ”,
“ moderatore ” o altre denominazioni che potrebbero, comunque,
confondere il loro ruolo con quello del pastore, che è unicamente il Vescovo e
il presbitero[58].
Articolo 2. Il ministero della parola[59]
§ 1. Il
contenuto di tale ministero consiste “ nella predicazione pastorale, nella
catechesi e in tutta l'istruzione cristiana, nella quale l'omelia liturgica
deve avere un posto privilegiato ”[60].
L'esercizio originario delle relative
funzioni è proprio del Vescovo diocesano, come moderatore, nella sua Chiesa, di
tutto il ministero della parola[61],
ed è anche proprio dei presbiteri suoi cooperatori[62].
Questo ministero spetta anche ai diaconi, in comunione con il Vescovo ed il suo
presbiterio[63].
§ 2. I
fedeli non ordinati partecipano, secondo la loro indole, alla funzione
profetica di Cristo, sono costituiti suoi testimoni e provveduti del senso
della fede e della grazia della parola. Tutti sono chiamati a diventare, sempre
di più, “ araldi efficaci della fede in ciò che si spera (cfr. Eb. 11, 1) ”[64].
Oggi, l’opera della catechesi, in particolare, molto dipende dal loro impegno e
dalla loro generosità al servizio della Chiesa.
Pertanto, i fedeli e particolarmente i
membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica
possono essere chiamati a collaborare, nei modi legittimi, nell'esercizio del
ministero della parola[65].
§ 3. Affinché
l’aiuto di cui al § 2 sia efficace, è necessario richiamare alcune condizioni
relative alle modalità di essa.
Il CIC, can. 766, stabilisce le
condizioni per le quali la competente Autorità può ammettere i fedeli non
ordinati a predicare in ecclesia vel
oratorio. La stessa espressione utilizzata, admitti possunt, pone in risalto come in nessun caso si tratta di
un diritto proprio quale quello specifico dei Vescovi[66]
o di una facoltà come quella dei presbiteri o dei diaconi[67].
Le condizioni a cui è sottoposta tale ammissione – “ se in
determinate circostanze c'è necessità di
ciò ”, “ se, in casi particolari, lo consiglia l'utilità ” - evidenziano l'eccezionalità del fatto. Il can.
766, inoltre, precisa che si deve sempre agire iuxta Episcoporum conferentiae praescripta. In questa ultima
clausola il canone citato stabilisce la fonte primaria per discernere
rettamente riguardo alla necessità o utilità, nei casi concreti, giacché in
dette prescrizioni della Conferenza Episcopale, che abbisognano della
“ recognitio ” della Sede Apostolica, devono essere segnalati gli
opportuni criteri che possano aiutare il Vescovo diocesano nel prendere le
appropriate decisioni pastorali, che gli sono proprie per la natura stessa
dell’ufficio episcopale.
§ 4. Nelle
circostanze di scarsità di ministri sacri in determinate zone, possono
presentarsi situazioni permanenti ed oggettive di necessità o di utilità, tali
da suggerire l'ammissione di fedeli non ordinati alla predicazione.
La predicazione nelle chiese e
oratori, da parte dei fedeli non ordinati, può essere concessa in supplenza dei ministri sacri o per
speciali ragioni di utilità nei casi particolari previsti dalla legislazione
universale della Chiesa o dalle Conferenze Episcopali e, pertanto, non può
diventare un fatto ordinario, né può essere intesa come autentica promozione
del laicato.
§ 5. Soprattutto nella preparazione ai
sacramenti, i catechisti curino di indirizzare l’interesse dei catechizzandi al
ruolo e alla figura del sacerdote come solo dispensatore dei divini misteri cui
si vanno preparando.
Articolo 3. L'omelia
§ 1. L'omelia,
forma eminente di predicazione “ qua per anni liturgici cursum ex textu
sacro fidei mysteria et normae vitae christianae exponuntur ”[68],
è parte della stessa liturgia.
Pertanto, l'omelia durante la
celebrazione dell'Eucaristia deve essere riservata al ministro sacro, sacerdote
o diacono[69]. Sono
esclusi i fedeli non ordinati, anche se svolgono il compito detto di
“ assistenti pastorali ” o di catechisti, presso qualsiasi tipo di
comunità o aggregazione. Non si tratta, infatti, di eventuale maggiore capacità
espositiva o preparazione teologica, ma di funzione riservata a colui che è
consacrato con il sacramento dell'Ordine sacro, per cui neppure il Vescovo
diocesano è autorizzato a dispensare dalla norma del canone[70],
dal momento che non si tratta di legge meramente disciplinare, bensì di legge
che riguarda le funzioni di insegnamento e di santificazione strettamente
collegate tra di loro.
Non si può ammettere, perciò, la
prassi, in talune occasioni praticata, per la quale si affida la predicazione
omiletica a seminaristi studenti di teologia, non ancora ordinati[71].
L'omelia non può, infatti, essere considerata come un allenamento per il futuro
ministero.
Si deve ritenere abrogata dal can. 767
§ 1 qualsiasi norma anteriore che abbia ammesso fedeli non ordinati a
pronunciare l'omelia durante la celebrazione della S. Messa[72].
§ 2. È
lecita la proposta di una breve didascalia per favorire la maggior comprensione
della liturgia che viene celebrata ed anche, eccezionalmente, qualche eventuale
testimonianza, sempre adeguata alle norme liturgiche ed offerta in occasione di
liturgie eucaristiche celebrate in particolari giornate (giornata del seminario
o del malato, ecc.), se ritenuta oggettivamente conveniente, come illustrativa
dell’omelia regolarmente pronunciata dal sacerdote celebrante. Queste
didascalie e testimonianze non devono assumere caratteristiche tali da poter
essere confuse con l’omelia.
§ 3. La
possibilità del “ dialogo ” nell'omelia[73]
può essere, talvolta, prudentemente usata dal ministro celebrante come mezzo
espositivo con il quale non si delega ad altri il dovere della predicazione.
§ 4. L'omelia
al di fuori della S. Messa può essere pronunciata da fedeli non ordinati in
conformità al diritto o alle norme liturgiche e nell'osservanza delle clausole
in essi contenute.
§ 5. L'omelia
non può essere affidata, in alcun caso, a sacerdoti o diaconi che abbiano perso
lo stato clericale o che, comunque, abbiano abbandonato l’esercizio del sacro
ministero[74].
Articolo 4. Il parroco e la parrocchia
I fedeli non ordinati possono
svolgere, come di fatto in numerosi casi lodevolmente avviene, nelle
parrocchie, negli ambiti dei luoghi di cura, di assistenza, di istruzione, nei
penitenziari, presso gli Ordinariati militari, ecc., compiti di effettiva
collaborazione al ministero pastorale dei chierici. Una forma straordinaria di
collaborazione, nelle condizioni previste, è quella regolata dal can. 517, § 2.
§ 1. La
retta comprensione ed applicazione di tale canone, secondo il quale “ si
ob sacerdotum penuriam Episcopus dioecesanus aestimaverit participationem in
exercitio curae pastoralis paroeciae concredendam esse diacono aliive personae
sacerdotali charactere non insignitae aut personarum communitati, sacerdotem
constituat aliquem qui, potestatibus et facultatibus parochi instructus, curam
pastoralem moderetur ”, richiede che tale provvedimento eccezionale
avvenga nell'accurato rispetto delle clausole in esso contenute, ovvero:
a) ob
sacerdotum penuriam, e non per ragioni di comodità o di una equivoca
“ promozione del laicato ”, ecc.
b) fermo restando che si tratta di participatio in exercitio curae pastoralis
e non di dirigere, coordinare, moderare, governare la parrocchia; cosa che,
secondo il testo del canone, compete solo ad un sacerdote.
Proprio perché si tratta di casi
eccezionali, bisogna anzitutto considerare la possibilità di avvalersi, ad
esempio, di sacerdoti anziani ancora validi, o di affidare diverse parrocchie
ad un solo sacerdote o ad un coetus
sacerdotum[75].
Non va disattesa, in ogni caso, la
preferenza che il medesimo canone stabilisce per il diacono.
Resta comunque affermato, nella stessa
normativa canonica, che queste forme di partecipazione nella cura delle
parrocchie non possono surrogare, in alcun modo, l'ufficio di parroco. La
normativa sancisce infatti che anche in quei casi eccezionali “ Episcopus
dioecesanus [...] sacerdotem constituat aliquem qui, potestatibus et
facultatibus parochi instructus, curam pastoralem moderetur ”. L'ufficio
di parroco, infatti, può essere validamente affidato soltanto ad un sacerdote
(cfr. can. 521, § 1), anche nei casi di oggettiva penuria di clero[76].
§ 2. Al
riguardo si deve anche tener conto che il parroco è il pastore proprio della
parrocchia a lui affidata[77]
e rimane tale fino a quando non abbia cessato dal suo ufficio pastorale[78].
La presentazione delle dimissioni del
parroco per aver compiuto 75 anni di età non lo fa cessare ipso iure dal suo ufficio pastorale. La cessazione si verifica solo
quando il Vescovo diocesano - dopo prudente considerazione di ogni circostanza
- abbia accettato definitivamente le sue dimissioni, a norma del can. 538 § 3,
e glielo abbia comunicato per iscritto[79].
Anzi, alla luce di situazioni di penuria di sacerdoti esistente in alcuni
luoghi, sarà saggio usare, al riguardo, particolare prudenza.
Anche in considerazione del diritto
che ogni sacerdote ha di esercitare le funzioni inerenti all’ordine ricevuto, a
meno che non ricorrano gravi motivi di salute o di disciplina, si ricorda che
il 75° anno di età non costituisce un motivo obbligante
per il Vescovo diocesano ad accettare le dimissioni. Ciò anche per evitare una
concezione funzionalistica del sacro ministero[80].
Articolo 5. Gli organismi di collaborazione nella Chiesa
particolare
Questi organismi, richiesti e
sperimentati positivamente nel cammino del rinnovamento della Chiesa secondo il
Concilio Vaticano II e codificati dalla legislazione canonica, rappresentano
una forma di partecipazione attiva alla vita e alla missione della Chiesa come
comunione.
§ 1. La
normativa codiciale sul consiglio
presbiterale stabilisce quali sacerdoti ne possano essere membri[81].
Esso è infatti riservato ai sacerdoti, perché trova il suo fondamento nella
comune partecipazione del Vescovo e dei presbiteri nel medesimo sacerdozio e
ministero[82].
Non possono pertanto godere del
diritto di voce attiva e passiva, né i diaconi, né i fedeli non ordinati, anche
se collaboratori dei sacri ministri, così come i presbiteri che abbiano perso
lo stato clericale o che, comunque, abbiano abbandonato l’esercizio del sacro
ministero.
§ 2. Il
consiglio pastorale, diocesano e
parrocchiale[83]e il consiglio parrocchiale per
gli affari economici,[84]
dei quali fanno parte anche fedeli non ordinati,
godono unicamente di voto consultivo e non possono, in alcun modo, diventare
organismi deliberativi. Possono essere eletti a tali incarichi soltanto quei
fedeli che possiedono le qualità richieste dalla normativa canonica[85].
§ 3. È proprio del parroco presiedere
i consigli parrocchiali. Sono pertanto invalide, quindi nulle, le decisioni
deliberate da un consiglio parrocchiale riunitosi senza la presidenza del
parroco o contro di lui.[86]
§ 4. Tutti i consigli diocesani
possono esprimere validamente il proprio consenso ad un atto del Vescovo soltanto
quando tale consenso è richiesto espressamente dal diritto.
§ 5. Attese
le realtà locali, gli Ordinari possono avvalersi di speciali gruppi di studio o
di esperti in questioni particolari. Tuttavia essi non possono costituire
organismi paralleli o di esautorazione dei consigli diocesani presbiterale e
pastorale, come pure dei consigli parrocchiali, regolati dal diritto universale
della Chiesa nei cann. 536 § 1 e 537[87]. Se tali organismi sono sorti in passato in base
a consuetudini locali o a circostanze particolari, si pongano in atto i mezzi
necessari per renderli conformi alla vigente legislazione della Chiesa.
§ 6. I Vicari foranei, chiamati anche decani,
arcipreti o con altro nome, e coloro i quali ne tengono le veci,
“ pro-vicari ”, “ pro-decani ”, ecc. devono essere sempre
sacerdoti[88]. Pertanto,
chi non è sacerdote non può essere validamente nominato a tali incarichi.
Articolo 6. Le celebrazioni liturgiche
§ 1. Le
azioni liturgiche devono manifestare con chiarezza l'unità ordinata del Popolo
di Dio nella sua condizione di comunione organica[89]
e quindi l'intima connessione intercorrente tra l’azione liturgica e la natura
organicamente strutturata della Chiesa.
Ciò avviene quando tutti i
partecipanti svolgono con fede e devozione il ruolo che è proprio di ciascuno.
§ 2. Affinché,
anche in questo campo, sia salvaguardata l'identità ecclesiale di ciascuno,
vanno rimossi gli abusi di vario genere che sono contrari al dettato del can.
907, secondo cui nella celebrazione eucaristica, ai diaconi e ai fedeli non
ordinati non è consentito proferire le orazioni e qualsiasi altra parte
riservata al sacerdote celebrante - soprattutto la preghiera eucaristica con la
dossologia conclusiva - o eseguire azioni e gesti che sono propri dello stesso
celebrante. È altresì grave abuso che un fedele non ordinato eserciti, di
fatto, una quasi “ presidenza ” dell'Eucaristia lasciando al
sacerdote soltanto il minimo per garantirne la validità.
Nella stessa linea risulta evidente
l'illiceità di usare, nelle azioni liturgiche, da parte di chi non è ordinato,
paramenti riservati ai sacerdoti o ai diaconi (stola, pianeta o casula,
dalmatica).
Si deve cercare di evitare
accuratamente perfino l'apparenza di confusione che può sorgere da
comportamenti liturgicamente anomali. Come i ministri ordinati sono richiamati
all'obbligo di indossare tutti i paramenti sacri prescritti, così i fedeli non
ordinati non possono assumere quanto non è loro proprio.
Ad evitare confusioni fra la liturgia
sacramentale presieduta da un sacerdote o diacono con altri atti animati o
guidati da fedeli non ordinati, è necessario che per questi ultimi si adoperino
formulazioni chiaramente distinte.
Articolo 7. Le celebrazioni domenicali in assenza del
presbitero
§ 1. In
alcuni luoghi le celebrazioni domenicali[90] sono guidate, per mancanza di presbiteri o diaconi, da fedeli non
ordinati. Questo servizio, valido quanto delicato, viene svolto secondo lo
spirito e le norme specifiche emanate in merito dalla competente Autorità
ecclesiastica[91].
Per guidare le suddette celebrazioni il fedele non ordinato dovrà avere uno
speciale mandato dal Vescovo, il quale avrà cura di dare le opportune
indicazioni circa la durata, il luogo, le condizioni e il presbitero
responsabile.
§ 2. Tali
celebrazioni, i cui testi devono essere quelli approvati dalla competente
Autorità ecclesiastica, si configurano sempre come soluzioni temporanee[92].
E’ proibito inserire nella loro struttura elementi propri della liturgia
sacrificale, soprattutto la “ preghiera eucaristica ” anche se in
forma narrativa, per non ingenerare errori nella mente dei fedeli[93].
A tale scopo deve essere sempre ribadito ai partecipanti a queste celebrazioni
che esse non sostituiscono il Sacrificio eucaristico e che il precetto festivo
lo si soddisfa soltanto partecipando alla S. Messa[94]. In tali casi, laddove le distanze e le condizioni fisiche lo
permettano, i fedeli devono essere stimolati e aiutati a fare il possibile per
adempiere al precetto.
Articolo
8. Il ministro straordinario della sacra Comunione
I fedeli non ordinati già da tempo
collaborano in diversi ambiti della pastorale con i sacri ministri perché
“ il dono ineffabile dell'Eucaristia sia sempre più profondamente
conosciuto e perché si partecipi alla sua efficacia salvifica con sempre maggiore
intensità ”[95].
Si tratta di un servizio liturgico che
risponde ad oggettive necessità dei fedeli, destinato soprattutto agli infermi
e alle assemblee liturgiche nelle quali sono particolarmente numerosi i fedeli
che desiderano ricevere la sacra Comunione.
§ 1.
La disciplina canonica sul ministro
straordinario della sacra Comunione
deve, però, essere rettamente applicata per non ingenerare confusione. Essa
stabilisce che ministro ordinario della sacra Comunione è il Vescovo, il
presbitero e il diacono[96],
mentre sono ministri straordinari sia l'accolito istituito, sia il fedele a ciò
deputato a norma del can. 230 § 3[97].
Un fedele non ordinato, se lo
suggeriscono motivi di vera necessità, può essere deputato dal Vescovo
diocesano, in qualità di ministro straordinario, a distribuire la sacra
Comunione anche fuori della celebrazione eucaristica, ad actum vel ad tempus, o in modo stabile, adoperando per questo
l’apposita forma liturgica di benedizione. In casi eccezionali ed imprevisti
l’autorizzazione può essere concessa ad
actum dal sacerdote che presiede la celebrazione eucaristica [98].
§ 2. Perché
il ministro straordinario, durante la celebrazione eucaristica, possa
distribuire la sacra Comunione, è necessario o che non siano presenti ministri
ordinari o che questi, pur presenti, siano veramente impediti[99]. Può svolgere altresì il medesimo incarico anche
quando, a causa della particolarmente numerosa partecipazione di fedeli che
desiderano ricevere la sacra Comunione, la celebrazione eucaristica si
prolungherebbe eccessivamente per l'insufficienza di ministri ordinari[100].
Tale incarico è suppletivo e straordinario[101]
e deve essere esercitato a norma del diritto. A tale scopo è opportuno che il
Vescovo diocesano emani norme particolari che, in stretta armonia con la legislazione
universale della Chiesa, regolino l'esercizio di tale incarico. Si deve
prevedere, tra l'altro, che il fedele a ciò deputato venga debitamente istruito
sulla dottrina eucaristica, sull'indole del suo servizio, sulle rubriche da
osservare per la dovuta riverenza a così augusto Sacramento e sulla disciplina
circa l'ammissione alla Comunione.
Per non ingenerare confusioni sono da
evitare e rimuovere talune prassi, invalse da qualche tempo in alcune Chiese
particolari, come ad esempio:
- il comunicarsi da se stessi come se
si trattasse di concelebranti;
- associare alla rinnovazione delle
promesse dei sacerdoti, nella S. Messa crismale del Giovedì Santo, anche altre
categorie di fedeli che rinnovano i voti religiosi o ricevono il mandato di
ministri straordinari della Comunione.
- l’uso abituale dei ministri
straordinari nelle SS. Messe, estendendo arbitrariamente il concetto di
“ numerosa partecipazione ”.
Articolo 9. L’apostolato per gli infermi
§ 1. In
questo campo, i fedeli non ordinati possono apportare una preziosa
collaborazione[102]. Sono
innumerevoli le testimonianze di opere e gesti di carità che persone non
ordinate, sia singolarmente che in forme di apostolato comunitario, compiono
verso gli infermi. Ciò costituisce una presenza cristiana di prima linea nel
mondo della sofferenza e della malattia. Laddove i fedeli non ordinati
accompagnano gli infermi nei momenti più gravi è loro precipuo compito
suscitare il desiderio dei sacramenti della Penitenza e dell’Unzione,
favorendone le disposizioni e aiutandoli nel preparare una buona confessione
sacramentale e individuale come altresì per ricevere la Santa Unzione. Nel
ricorrere all'uso dei sacramentali i fedeli non ordinati avranno cura che tale
gesto non induca a ravvisare in esso quei sacramenti la cui amministrazione è
propria ed esclusiva del Vescovo e del presbitero. In nessun caso possono fare
unzioni quanti non sono sacerdoti, né con olio benedetto per l’Unzione degli
infermi, né con olio non benedetto.
§ 2. Per
l'amministrazione di questo sacramento, la legislazione canonica recepisce la
dottrina teologicamente certa e la prassi multisecolare della Chiesa[103],
secondo le quali l'unico ministro valido è il sacerdote[104].
Detta normativa è pienamente coerente con il mistero teologico significato e
realizzato per mezzo dell'esercizio del servizio sacerdotale.
Deve affermarsi che l'esclusiva
riserva del ministero dell'Unzione al sacerdote è in rapporto con la relazione
di detto sacramento con il perdono dei peccati e la degna ricezione dell'Eucaristia.
Nessun altro può svolgere il ruolo di ministro ordinario o straordinario del
sacramento, e qualsiasi azione in questo senso costituisce simulazione del
sacramento[105].
Articolo 10. L'assistenza ai Matrimoni
§ 1. La
possibilità di delegare fedeli non ordinati ad assistere ai Matrimoni può
rivelarsi necessaria, in circostanze molto particolari di grave mancanza di
ministri sacri.
Essa, però, è condizionata al
verificarsi di tre requisiti. Il Vescovo diocesano, infatti, può concedere tale
delega unicamente nei casi in cui mancano sacerdoti o diaconi e soltanto dopo
aver ottenuto, per la propria diocesi, il voto favorevole della Conferenza
Episcopale e la necessaria licenza della Santa Sede[106].
§ 2. Anche
in questi casi deve essere osservata la normativa canonica sulla validità della
delega[107] e sulla
idoneità, capacità ed attitudine del fedele non ordinato[108].
§ 3. Eccetto
il caso straordinario previsto dal can. 1112 del CIC, per assoluta mancanza di
sacerdoti o di diaconi che possano assistere alla celebrazione del Matrimonio,
nessun ministro ordinato può autorizzare un fedele non ordinato per tale
assistenza e la relativa petizione e ricezione del consenso matrimoniale a
norma del can. 1108 § 2.
Articolo 11. Il ministro del Battesimo
È particolarmente lodevole la fede con
la quale non pochi cristiani, in dolorose situazioni di persecuzione, ma anche
nei territori di missione e in casi di speciale necessità, hanno assicurato - e
assicurano tuttora - il sacramento del Battesimo alle nuove generazioni, stante
l'assenza dei ministri ordinati.
Oltre al caso di necessità, la
normativa canonica prevede che, qualora il ministro ordinario mancasse o fosse
impedito[109], il fedele
non ordinato possa essere designato ministro straordinario del Battesimo[110]. Tuttavia si deve fare attenzione ad interpretazioni troppo
estensive ed evitare di concedere tale facoltà in forma abituale.
Così, per esempio, l'assenza o
l'impedimento, che rendono lecita la deputazione di fedeli non ordinati ad
amministrare il Battesimo, non possono configurarsi con l'eccessivo lavoro del
ministro ordinario o con la sua non residenza nel territorio della parrocchia,
come neanche con la sua non disponibilità per il giorno previsto dalla
famiglia. Tali motivazioni non costituiscono altrettante ragioni sufficienti.
Articolo
12. La guida
della celebrazione delle esequie ecclesiastiche
Nelle attuali circostanze di crescente
scristianizzazione e di allontanamento dalla pratica religiosa, il momento
della morte e delle esequie può, talvolta, costituire una fra le più opportune
occasioni pastorali per un incontro diretto dei ministri ordinati con quei
fedeli che, abitualmente, non frequentano.
Pertanto è auspicabile che, anche con
sacrificio, i sacerdoti o i diaconi presiedano personalmente i riti funebri
secondo i più lodevoli usi locali, per pregare convenientemente per i defunti,
avvicinandosi altresì alle famiglie e profittandone per una opportuna
evangelizzazione.
I fedeli non ordinati possono guidare
le esequie ecclesiastiche solo nel caso di vera mancanza di un ministro
ordinato ed osservando le norme liturgiche in merito[111]. A tale compito dovranno essere ben preparati,
sia sotto il profilo dottrinale che liturgico.
Articolo 13. Necessaria selezione ed adeguata formazione
E’ dovere dell'Autorità competente,
quando ricorresse l'oggettiva necessità di una “ supplenza ”, nei
casi elencati negli articoli precedenti, di scegliere il fedele che sia di sana
dottrina ed esemplare condotta di vita. Non possono pertanto essere ammessi
all’esercizio di questi compiti quei cattolici che non conducano una vita
degna, non godano di buona fama, o si trovino in situazioni familiari non
coerenti con l’insegnamento morale della Chiesa. Inoltre, essi devono possedere
la formazione dovuta per l'adeguato adempimento della funzione loro affidata.
A norma del diritto particolare
perfezionino le loro conoscenze frequentando, per quanto è possibile, i corsi
di formazione, che l'Autorità competente organizzerà nell'ambito della Chiesa
particolare[112], in
ambienti differenziati dai seminari, che vanno riservati ai soli candidati al
sacerdozio,[113] avendo grande cura affinché la dottrina insegnata sia assolutamente
conforme al magistero ecclesiale e il clima sia veramente spirituale.
CONCLUSIONE
La Santa Sede affida il presente
documento allo zelo pastorale dei Vescovi diocesani delle varie Chiese
particolari e agli altri Ordinari, nella fiducia che la sua applicazione
produca frutti abbondanti per la crescita, nella comunione, dei sacri ministri
e dei fedeli non ordinati.
Infatti, come ha ricordato il Santo
Padre, “ occorre riconoscere, difendere, promuovere, discernere e
coordinare con saggezza e determinatezza il dono peculiare di ogni membro della
Chiesa, senza confusioni di ruoli, di funzioni o di condizioni teologiche e canoniche ”[114].
Se, da una parte, la scarsità numerica
dei sacerdoti è specialmente avvertita in alcune zone, in altre si verifica una
promettente fioritura di vocazioni che lascia intravedere positive prospettive
per l'avvenire. Le soluzioni proposte per la scarsità dei ministri ordinati,
pertanto, non possono essere che transitorie e sincrone ad una prioritaria
pastorale specifica per la promozione delle vocazioni al sacramento dell'Ordine[115].
A tale proposito ricorda il Santo
Padre che “ in alcune situazioni locali si sono cercate soluzioni generose
ed intelligenti. La stessa normativa del Codice di Diritto canonico ha offerto
possibilità nuove che però vanno applicate rettamente, per non cadere
nell'equivoco di considerare ordinarie e normali soluzioni normative che sono
state previste per situazioni straordinarie di mancanza o di scarsità di sacri
ministri ”[116].
Questo documento intende tracciare
precise direttive per assicurare l'efficace collaborazione dei fedeli non
ordinati in tali contingenze e nel rispetto dell'integralità del ministero
pastorale dei sacerdoti. “ Occorre far comprendere che queste precisazioni
e distinzioni non nascono dalla preoccupazione di difendere dei privilegi
clericali, ma dalla necessità di essere obbedienti alla volontà di Cristo,
rispettando la forma costitutiva che Egli ha indelebilmente impresso alla Sua
Chiesa ”[117].
La loro retta applicazione, nel quadro
della vitale communio gerarchica,
gioverà agli stessi fedeli laici, invitati a sviluppare tutte le ricche
potenzialità delle rispettive identità e la “ disponibilità sempre più
grande a viverla nel compimento della propria missione ”[118].
L’appassionata raccomandazione che
l’Apostolo delle genti rivolge a Timoteo, “ Ti scongiuro davanti a Dio e a
Cristo Gesù (...) annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non
opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta (...) vigila attentamente (...) adempi
il tuo ministero ” (2 Tim 4,
1-5), interpella in modo speciale i sacri Pastori chiamati a svolgere il
compito loro proprio di “ promuovere la disciplina comune a tutta la
Chiesa (...) urgere l’osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche ”.[119]
Tale
gravoso dovere costituisce lo strumento necessario affinché le ricche energie
insite in ogni stato di vita ecclesiale vengano correttamente indirizzate
secondo i mirabili disegni dello Spirito e la communio sia realtà effettiva nel quotidiano cammino dell’intera
comunità.
La
Vergine Maria, Madre della Chiesa, alla cui intercessione affidiamo questo
documento, aiuti tutti a comprenderne gli intendimenti e a compiere ogni sforzo
per la sua fedele applicazione ai fini di una più ampia fecondità apostolica.
Sono
revocate le leggi particolari e le consuetudini vigenti, che siano contrarie a
queste norme, come altresì eventuali facoltà concesse ad experimentum dalla Santa Sede o da qualsiasi altra Autorità
ad essa sottoposta.
Il Sommo Pontefice, in data 13 Agosto
1997,
ha approvato in forma specifica la presente Istruzione ordinandone la
promulgazione.
Dal Vaticano, 15 agosto 1997
Solennità
dell’Assunzione della B. V. Maria.
Congregazione per il Clero
X Darío Castrillón Hoyos X Crescenzio Sepe
Pro- Prefetto Segretario
Pontificio Consiglio per i Laici
X James Francis
Stafford X Stanislaw Rylko
Presidente Segretario
Congregazione per la Dottrina della
Fede
X Joseph Card. Ratzinger X Tarcisio Bertone sdb Prefetto Segretario
Congregazione per il Culto Divino
e la Disciplina dei Sacramenti
X Jorge Arturo Medina Estévez
X Geraldo Majella Agnelo
Pro-Prefetto Segretario
Congregazione per i Vescovi
X Bernardin Card. Gantin X Jorge María Mejía
Prefetto Segretario
Congregazione per
l’Evangelizzazione dei Popoli
X Jozef Card. Tomko X Giuseppe Uhac
Prefetto Segretario
Congregazione per gli Istituti di
Vita Consacrata
e le Società di Vita Apostolica
X Eduardo Card. Martínez Somalo X Piergiorgio Silvano Nesti
Prefetto Segretario
Pontificio Consiglio per
l’interpretazione dei Testi Legislativi
X Julián Herranz X Bruno Bertagna
Presidente Segretario
[1] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 33; Decr. Apostolicam actuositatem, n. 24.
[2] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), n. 2: AAS 81 (1989), p. 396.
[3] Sinodo dei Vescovi, IXa Assemblea generale ordinaria, Instrumentum laboris, n. 73.
[4] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), n. 47: AAS 88 (1996), p. 420.
[5] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 5.
[6] Ibid., n. 6.
[7] Cf. ibid..
[8] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), n. 23: AAS 81 (1989), p. 429.
[9] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 31; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici, n. 15: l.c. pp. 413-416.
[10] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 43.
[11] Conc.
Ecum. Vat. II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 24.
[12] Cf. Giovanni Paolo II, Allocuzione al Simposio sulla “ Collaborazione dei laici al ministero pastorale di presbiteri ” (22 aprile 1994), n. 2: L'Osservatore Romano, 23 aprile 1994.
[13] Cf. C.I.C., cann. 230, § 3; 517, § 2; 861, § 2; 910, § 2; 943; 1112; Giovanni Paolo II, Esort. Ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), n. 23 e nota 72: AAS 81 (1989), p. 430.
[14] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), n. 37: AAS 83 (1991), pp. 282-286.
[15] Cf. C.I.C., can. 392.
[16] Cf. soprattutto: Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, Cost. Sacrosanctum Concilium; Decr. Presbyterorum Ordinis e Decr. Apostolicam actuositatem.
[17] Cf. soprattutto le Esortazioni apostoliche Christifideles laici e Pastores dabo vobis.
[18] C.I.C., can. 1752.
[19] Conc.
Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen
gentium, n. 10.
[20] Ibid., n. 32.
[21] Ibid.
[22] Ibid., n. 10.
[23] Cf. ibid., n. 4.
[24] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), n. 17: AAS 84 (1992), p. 684.
[25] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 7.
[26] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1547.
[27] Ibid., n. 1592.
[28] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), n. 74: AAS 84 (1992), p. 788.
[29] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, nn. 10; 18; 27; 28; Decr. Presbyterorum Ordinis, nn. 2; 6; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1538; 1576.
[30] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), n. 15: AAS 84 (1992), p. 680; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 875.
[31] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, n. 16: l.c. pp. 681-684; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1592.
[32] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, nn. 14-16: l.c. pp. 678-684; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Sacerdotium ministeriale (6 agosto 1983), III, 2-3: AAS 75 (1983), pp. 1004-1005.
[33] Cf. Ef. 2, 20; Ap. 21, 14.
[34] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), n. 16: AAS 84 (1992), p. 681.
[35] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 876.
[36] Cf. ibid., n. 1581.
[37] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Novo incipiente (8 aprile 1979), n. 3: AAS 71 (1979), p. 397.
[38] Conc.
Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen
gentium, n. 7.
[39] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), n. 23: AAS 81 (1989), p. 430.
[40] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Sacerdotium ministeriale n. III, 2: l.c., p. 1004.
[41] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, Nota explicativa praevia, n. 2.
[42] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, n. 16: l.c. p. 682.
[43] Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Optatam totius, n. 2.
[44] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 24.
[45] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), n. 23: AAS 81 (1989), p. 429.
[46] Cf. C.I.C., cann. 208-223.
[47] Cf. ibid., cann. 225 § 2; 226; 227; 231 § 2.
[48] Cf. ibid., cann. 225 § 1; 228 § 2; 229; 231 § 1.
[49] Cf. ibid., can. 230 §§ 2-3, per quanto riguarda l'ambito liturgico; can. 228 § 1, in relazione ad altri campi del sacro ministero; quest'ultimo paragrafo si estende anche ad altri ambiti fuori del ministero dei chierici.
[50] Ibid., can. 228 § 1.
[51] Ibid., can. 230 § 3; cf. 517, § 2; 776;
861, § 2; 910, § 2; 943; 1112.
[52] Cf. S. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istr. Inaestimabile donum (3 aprile 1980), premessa: AAS 72 (1980), pp. 331-333.
[53] Cf. Giovanni Paolo II, Allocuzione al Simposio sulla “ Collaborazione dei fedeli laici al Ministero presbiterale ” (22 aprile 1994), n. 3: l.c.
[54] Ibid.
[55] Ibid.
[56] Cf. Pontificia Commissione per l’interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico, Risposta (1 giugno 1988): AAS 80 (1988) p. 1373.
[57] Cf. Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei Testi Legislativi, Risposta (11 luglio 1992): AAS 86 (1994) pp. 541-542. Quando si prevede una funzione per l'inizio dell'affidamento di un compito di cooperazione degli assistenti pastorali al ministero dei chierici, si eviti di far coincidere o di unire detta funzione con una cerimonia di sacra ordinazione, come pure di celebrare un rito analogo a quello previsto per il conferimento dell'accolitato o del lettorato.
[58] In tali esemplificazioni si devono includere tutte quelle espressioni linguistiche che, negli idiomi dei diversi Paesi, possono essere analoghe o equivalenti ed indicanti un ruolo direttivo di guida o di vicarietà rispetto ad essa.
[59] Per le diverse forme di predicazione, cf. C.I.C., can. 761; Missale Romanum, Ordo lectionum Missae, Praenotanda: ed. Typica altera 1981.
[60] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, n. 24.
[61] Cf. C.I.C., can. 756 § 2.
[62] Cf. ibid., can. 757.
[63] Cf. ibid.
[64] Conc.
Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen
gentium, n. 35.
[65] Cf. C.I.C., cann. 758-759; 785, § 1.
[66] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 25; C.I.C.,
can. 763.
[67] Cf. C.I.C., can. 764.
[68] Conc.
Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 52; cf. C.I.C., can. 767, § 1.
[69] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae (16 oct. 1979), n. 48: AAS 71 (1979), pp. 1277-1340; Pontificia Commissione per l’interpretazione dei Decreti del Concilio Vaticano II, Risposta (11 gennaio 1971): AAS 63 (1971), p. 329; S. Congregazione per il culto divino, Istruzione Actio pastoralis (15 maggio 1969), n. 6d: AAS 61 (1969), p. 809; Institutio Generalis Missalis Romani (26 marzo 1970), nn. 41; 42; 165; Istruzione Liturgicae instaurationes (15 settembre 1970), n. 2a: AAS 62 (1970), p. 696; S. Congregazione per i sacramenti e il Culto Divino, Istruzione Inaestimabile donum (3 aprile 1980), n. 3 : AAS 72 (1980), p. 331.
[70] Pontificia Commissione per l’interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico, Risposta (20 giugno 1987): AAS 79 (1987), p. 1249.
[71] Cf. C.I.C., can. 266 § 1.
[72] Cf. ibid., can. 6, § 1, 2°.
[73] Cf. Sacra Congregazione per il Culto Divino, Direttorio Pueros baptizatos per le Messe dei fanciulli (1 novembre 1973), n. 48: AAS 66 (1974), p. 44.
[74] Per quanto riguarda i sacerdoti che abbiano ottenuto la dispensa dal celibato cf. Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Norme De dispensatione a sacerdotali coelibatu ad instantiam partis (14 ottobre 1980), “ Normae substantiales ” art. 5.
[75] Cf. C.I.C., can. 517 § 1.
[76] Si eviti, pertanto, di denominare con il titolo di “ Guida della Comunità ” - o con altre espressioni indicanti lo stesso concetto - il fedele non ordinato o un gruppo di essi ai quali viene affidata una partecipazione all'esercizio della cura pastorale.
[77] Cf. C.I.C., can. 519.
[78] Cf. ibid., can. 538 §§ 1-2.
[79] Cf. ibid., can. 186.
[80] Cf. Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri Tota Ecclesia (31 gennaio 1994), n. 44.
[81] Cf. C.I.C., cann. 497-498.
[82] Cf. Conc. Ecum. VAt. II, decr. Presbyterorum Ordinis, n. 7.
[83] Cf. C.I.C., cann. 514 e 536.
[84] Cf. ibid., can 537.
[85] Cf. ibid., can. 512, §§ 1 e 3; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1650.
[86] Cf. C.I.C., can. 536.
[87] Cf. ibid., can. 135 § 2.
[88] Cf. ibid., can. 553 § 1.
[89] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, nn. 26-28; C.I.C., can. 837.
[90] Cf. ibid., can. 1248 § 2.
[91] Cf. ibid., can. 1248, § 2; S. Congregazione dei Riti, Istruz. Inter oecumenici (26 settembre 1964), n. 37: AAS 66 (1964), p. 885; S. Congregazione per il Culto Divino, Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero Christi Ecclesia (10 giugno 1988): Notitiae 263 (1988).
[92] Cf. Giovanni Paolo II, Allocuzione ad quosdam Americae Septemtrionalis episcopos sacra limina visitantes (5 giugno 1993): AAS 86 (1994), p. 340.
[93] S. Congregazione per il Culto Divino, Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero Christi Ecclesia (10 giugno 1988), n. 35: l.c.; cf. anche C.I.C., can. 1378 § 2, n. 1 e § 3; can. 1384.
[94] Cf. C.I.C., can. 1248.
[95] Sacra Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Immensae caritatis (29 gennaio 1973), premessa: AAS 65 (1973), p. 264.
[96] Cf. C.I.C., can. 910 § 1; cf. pure Giovanni Paolo II, Lettera Dominicae Coenae (24 febbraio 1980), n. 11: AAS 72 (1980), p. 142.
[97] Cf. C.I.C., can. 910, § 2.
[98] Cf. Sacra Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Immensae caritatis (29 gennaio 1973), n. 1: AAS 65 (1973), p. 264; Missale Romanum, Appendix: Ritus ad deputandum ministrum S. Communionis ad actum distribuendae; Pontificale Romanum: De institutione lectorum et acolythorum.
[99] Pontificia Commissione per l’interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico, Risposta (1 giugno 1988): AAS 80 (1988) p. 1373.
[100] Cf. S. Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Immensae caritatis (29 gennaio 1973), n. 1: AAS 65 (1973), p. 264; S. Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino, Istr. Inaestimabile donum (3 aprile 1980), n. 10: AAS 72 (1980), p. 336.
[101] Il can. 230 § 2 e § 3 C.I.C., afferma che i servizi liturgici ivi recensiti possono essere svolti dai fedeli non ordinati solo “ ex temporanea deputatione ” o per supplenza.
[102] Cf. Rituale Romanum - Ordo Unctionis infirmorum, praenotanda, n. 17: Editio typica 1972.
[103] Cf. Giac. 5, 14-15; San Tommaso d'Aquino, In IV Sent., d. 4, q. un.; Conc. Ecum. di Firenze., bolla Exsultate Deo (DS 1325); Conc. Ecum. Trid., Doctrina de sacramento extremae unctionis, cap. 3 (DS 1697; 1700) e can. 4 de extrema unctione (DS 1719); Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1516.
[104] Cf. C.I.C., can. 1003 § 1.
[105] Cf. ibid., cann. 1379 e 392 § 2.
[106] Cf. ibid., can. 1112.
[107] Cf. ibid., can. 1111 § 2.
[108] Cf. ibid., can. 1112, § 2.
[109] Cf. ibid., can. 861 § 2; Ordo baptismi parvulorum, praenotanda generalia, nn. 16-17.
[110] Cf. ibid., can. 230.
[111] Cf. Ordo Exsequiarum, praenotanda n. 19.
[112] Cf. C.I.C., can. 231 § 1.
[113] Sono da escludersi i
cosidetti seminari “ integrati ”.
[114] Giovanni Paolo II, Allocuzione al Simposio sulla Collaborazione dei laici al ministero pastorale dei presbiteri (22 aprile 1994), n. 3: l.c.
[115] Cf. ibid., n. 6.
[116] Ibid., n. 2.
[117] Ibid., n.
5.
[118] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), n. 58: l.c., p. 507.
[119] C.I.C., can. 392.