Filosofia
Il Rinascimento e le premesse della filosofia moderna

 

Cartesio


In Cartesio si riconosce il fondatore della fisica moderna, egli è il primo ad affermare, dopo la crisi della scolastica e della teologia medievale, il principio dell'unità tra pensiero ed essere. Sia Cartesio che Galilei concordano nel criticare la fisica aristotelica e nell'assumere la matematica come lo strumento più idoneo a penetrare la struttura del mondo. Cartesio si propone di dare un fondamento alla nuova visione della natura, dimostrando come si debba concepire la realtà, perché a essa sia applicabile la matematica, elevata al rango di strumento universale del sapere.

Il dubbio e la sospensione del giudizio
Cartesio scrive una serie di sei trattati (le Meditazioni) riguardanti la Metafisica, nel primo espone le ragioni per le quali possiamo dubitare di tutte le cose, e particolarmente delle cose materiali: si avverte qui la necessità di un dubbio generale come unica via per acquistare una certezza nel campo della scienza e della filosofia, si parla quindi di uno scetticismo abbastanza imponente. Cartesio è molto fiducioso nel buon senso e nella ragione (ripartita in maniera uguale in tutti gli uomini) e dice che la diversità delle opinioni non è causata dal fatto che gli uni siano più ragionevoli egli altri, ma solamente dal condurre i nostri pensieri per vie diverse. Il dubbio cartesiano è visto come dubbio metodico, mediante cui il filosofo elimina dal sapere tutte le opinioni non sufficientemente chiare e controllate allo scopo di fornire un fondamento razionale incontrovertibile, si deve quindi ritenere falsa qualunque opinione su cui sia possibile sollevare anche il minimo dubbio. E' possibile distinguere due stadi fondamentali del dubbio: il primo si rivolge agli oggetti dei sensi, considerati come la sorgente più comune e più certa del nostro sapere, il secondo si rivolge invece agli oggetti dell'intelletto, come per esempio le cognizioni matematiche, che sembrano conservare il loro valore, sia che io sogni o che io sia desto. Cartesio introduce l'ipotesi di un Dio ingannatore, il quale potrebbe volere che io mi inganni ogni volta che compio un determinato procedimento matematico. Tuttavia questa concezione contrasta con quella del Dio infinitamente buono e, così, Cartesio decide di modificarla in quella dell'esistenza di un genio maligno, il dubbio sembra così invincibile e noi possiamo solo confidare nella sospensione del giudizio.
Nella seconda Meditazione Cartesio giunge a un primo fondamento sicuro: il principio del cogito. Egli dice che io posso dubitare di tutto, tranne che del fatto stesso di dubitare, cioè di pensare, quindi d'esistere. Si raggiunge la stessa conclusione anche partendo dalla concezione del genio ingannatore poiché, se esso inganna, il soggetto esiste in quanto pensa: non vi è dubbio che io esista, poiché sono il soggetto dei suoi inganni. Molti contemporanei di Cartesio obiettarono che tale ragionamento era un banale sillogismo (tutto ciò che pensa esiste: io penso, quindi esisto) ma egli rispose che il cogito è una semplice intuizione della mente e che nella ricerca della verità non si deve partire dalle nozioni generali, ma risalire al generale dal particolare (ð deduzione). Una delle conseguenza più sconvolgenti della teoria di Cartesio è l'identificazione dell'io o soggetto pensante con una sostanza (res cogitans) e la conseguente separazione reale dell'anima dal corpo. Cartesio si chiede che cosa sia l'uomo, certo di esistere nell'atto stesso di pensarsi, e che cosa sia in grado di conoscere con certezza di se stesso. Arriva alla conclusione che dobbiamo rinunciare ad attribuirci quelle caratteristiche che rientrano nella cognizione naturale di noi stessi e che ricadono sotto la scure del dubbio. L'unica cosa che non posso dubitare di essere è il pensiero, esso solo non può essere distaccato da me, dunque io sono una cosa che pensa (res cogitans).
Del resto, che cosa è possibile sapere con certezza riguardo la natura dei corpi? Anche in questo caso, per non lasciarmi ingannare da semplici apparenze, mi devo affidare al pensiero. Le qualità sensibili sono infatti mutevoli e posso, di conseguenza, dubitare della loro appartenenza all'essenza dei corpi. Ciò che rientra nella loro natura è ciò che posso concepire in essi a priori col pensiero: cioè che sono estesi, che occupano spazio, che si muovono e via così. Mentre la natura del mio io è di essere una cosa che pensa (res cogitans), quella del corpo è di essere una cosa estesa (res extensa). In questo modo si allarga il dualismo tra cosa che pensa e cosa estesa: io sono certo di essere una cosa pensante, ma posso solo dubitare di avere un corpo.

Le prove dell'esistenza di Dio
Nella terza Meditazione Cartesio enuncia per la prima volta il suo criterio di verità. Egli si chiede perché è certo di essere una cosa che pensa e giunge alla conclusione che la sua certezza è dovuta al fatto che percepisce in maniera chiara e distinta quello che afferma. Quindi si può considerare come generale tale regola: tutte le cose che noi concepiamo molto chiaramente e molto distintamente sono in effetti vere. Tuttavia questo criterio di verità si scontra con l'ipotesi del Dio ingannatore: questa sostiene infatti che anche i procedimenti matematici, così chiari e distinti, dovrebbero essere oggetto di dubbio da parte dell'uomo. Quindi solo se saprò dimostrare che Dio esiste ed è infinitamente buono (ð non vuole ingannarmi), avrò sconfitto definitivamente il dubbio iperbolico e avrò trovato una nuova conferma metafisica del criterio di verità. L'esistenza di Dio avrebbe allora per effetto di fondare metafisicamente il criterio di verità, ma per dimostrare l'esistenza di Dio dobbiamo presupporre tale criterio di verità: infatti non possiamo essere sicuri dell'esistenza di Dio, se non perché lo concepiamo con chiarezza e distinzione. Cartesio risponde a tale critica introducendo il concetto di memoria, egli dice che Dio garantisce l'evidenza nel senso che assiste la memoria, ma non nel senso che fondi la verità delle proposizioni immediatamente evidenti, che non hanno come tali bisogno di verifica. Per dimostrare l'esistenza di Dio, Cartesio muove dall'idea innata di Dio, presente nella mente. Il punto di partenza è infatti offerto dal cogito, con l'insieme delle sue cogitationes. Bisogna ora fare una distinzione tra le idee: tra esse, alcune sono innate: come le idee di cosa, di verità, di pensiero, infatti la facoltà di concepire una cosa, una verità, o un pensiero sembra non venirmi altro che dalla mia natura. Alcune sono avventizie: quelle che mi vengono da cose fuori di me come l'idea del calore. Altre ancora sono fattizie: ossia finzioni prodotte da me, come l'idea delle sirene o degli ippogrifi. Tutte le idee si possono inoltre considerare sotto un duplice aspetto: in quanto sono modi del pensiero, cioè dal punto di vista della loro realtà formale, o in quanto mi rappresentano qualcosa, cioè dal punto di vista della loro realtà oggettiva. Dal punto di vista della realtà oggettiva le idee sono molto diverse tra di loro, e quella di Dio -ossia di un essere sovrano, eterno, infinito, immutabile, onnisciente e creatore universale di tutte le cose- ha senza dubbio più realtà oggettiva dell'idea di una sostanza finita. Ora Cartesio applica alle idee un principio evidente, quello secondo cui la causa deve contenere in sé almeno tanta realtà formale quanta ne contiene l'effetto. Ora, io che sono una cosa pensante, potrei essere la causa di tutte le idee che sono in me perché non vi riconosco nulla di così grande che non mi sembri di poter venire da me stesso. Solo dell'idea di Dio, sostanza infinita, non posso essere la causa io, che sono una sostanza finita. Quindi io non potrei avere l'idea di sostanza infinita, in quanto sono sostanza finita, se essa non fosse stata messa in me da qualche sostanza veramente infinita, ð Dio esiste.


Il problema della verità e dell'errore
Nella quarta meditazione Cartesio prova che le cose che noi concepiamo con chiarezza e distintamente sono tutte vere. L'esperienza mi costringe, tuttavia, ad ammettere che sono soggetto ad una infinità di errori. Ma che cosa è l'errore? L'uomo può essere pensato come un termine medio tra Dio e il nulla, ossia è posto tra il sovrano essere e il non essere. In lui non si trova niente che possa indurlo in errore, in quanto un sovrano essere lo ha prodotto; ma se lo si considera partecipe del nulla e del non essere, si trova esposto ad una infinità di mancamenti. L'errore quindi non è qualcosa di reale, ma è soltanto un difetto: io mi inganno perché la facoltà che Dio mi ha dato per discernere il vero dal falso non è infinita. La mia ignoranza può essere spiegata dal mio essere limitato. Cartesio arriva alla conclusione che l'errore dipende da due cause: dalla facoltà di conoscere e dalla facoltà di scegliere, ossia dall'intelletto e dalla volontà. Con l'intelletto non si afferma e non si nega nulla, ma si concepiscono solo le idee delle cose, che si possono solo affermare o negare. Nell'intelletto non sussiste quindi la possibilità dell'errore: non si può considerare errore il fatto che la realtà sia infinitamente più ampia delle mie idee. La mia libertà, invece, non ha limiti: essa consiste nel poter fare o non fare una cosa in modo da non sentirci obbligati da nessuna forza esterna. Quindi la libertà è assenza di coazione esterna. Se il soggetto si astiene dall'esprimere un giudizio riguardo una cosa che non concepisce con evidente chiarezza e distinzione, fa un ottimo uso del suo giudizio e non è ingannato. Viceversa, se si ostina ad affermarla o negarla, si serve male del proprio arbitrio e si inganna.

L'esistenza dei corpi
Nella quinta e nella sesta Meditazione Cartesio si indaga riguardo l'essenza e l'esistenza dei corpi materiali. Ciò che l'animo distingue chiaramente dell'essenza delle cose materiali corrisponde alla cognizione geometrica dei corpi, che sono estesi in lunghezza, larghezza, profondità, che constano di parti e ai quali posso assegnare un movimento. Tutto ciò che è oggetto della mia cognizione appare come un'idea innata del mio spirito. Poiché dal fatto che posso trarre dal mio pensiero l'idea di qualcosa, segue che tutto ciò che io riconosco chiaramente e distintamente appartenerle, le appartiene in effetti, Cartesio ne ricava la possibilità dell'esistenza delle cose materiali. Ma per passare alla certezza dell'esistenza delle cose materiali, occorre un'ulteriore prova, che posso ricavare dal confronto tra pura intellezione e immaginazione. Essa è una certa applicazione della facoltà conoscente al corpo che le è presente. Infatti la facoltà d'immaginare non sembra appartenere in maniera essenziale alla mia natura di res cogitans, anche se non fossi dotato di immaginazione la mia natura non cambierebbe, se ne conclude che l'immaginazione dipende da qualcosa che differisce dallo spirito. Se esistono i corpi, si può spiegare l'immaginazione facendola dipendere dall'unione dello spirito con il corpo: quando lo spirito concepisce, si volge verso se stesso e considera le idee che ha in sé, quando immagina, invece, si volge al corpo e considera qualcosa di conforme all'idea che ha formato.

Io ho la certezza di essere una cosa pensante, anche se sono unito ad un corpo, questo corpo è da me distinto, poiché l'idea della sostanza corporea (pura estensione) è distinta da quella di sostanza pensante. Trovo in me la facoltà di sentire e di immaginare, esse sono dunque due miei modi di essere, come la facoltà di mutare luogo è un modo della sostanza estesa. Tuttavia non sono io la causa di ciò che ho sentito o immaginato, né può essere Dio la loro causa, poiché altrimenti mi ingannerebbe, facendomi credere che le sensazioni sono prodotte da corpi esterni al mio. Pertanto bisogna concludere che le cose materiali e corporee esistono.

Meccanicismo e spiritualismo
La metafisica cartesiana, fondando la distinzione tra sostanza estesa e sostanza pensante, ha posto le basi della scienza. L'ideale scientifico di Cartesio è contraddistinto dalla solidarietà tra una conoscenza meccanicistica del mondo naturale e una concezione spiritualistica dell'uomo. La demarcazione tra anima e corpi permette di distruggere ogni riferimento alle forme sostanziali e alle cause finali: la spiegazione finalistica che, riferita al mondo dei corpi, sembra obbedire ad uno schiacciante antropomorfismo, trova posto all'interno del modo psicologico e morale di cui l'uomo è l'unico incontrastato signore. Mentre le qualità sensibili hanno una realtà solo soggettiva, non è così per le proprietà dell'estensione corporea che hanno validità oggettiva, poiché sono oggetto di idee chiare e distinte, innate nella nostra anima. Cartesio conclude dicendo che le proprietà matematizzabili, oggetto della cognizione geometrica, ineriscono realmente ai corpi, mentre le qualità sensibili non si trovano né nei corpi esterni al mio, né nella realtà fisiologica del mio corpo, ma solo nell'anima. Una volta identificata con l'estensione la realtà sostanziale dei corpi, Cartesio procede alla costituzione di una fisica matematica, i cui principi derivano da quelli geometrici dello spazio, si ha: l'identità tra corpo e spazio, la negazione del vuoto, l'infinità divisibilità della materia, l'indefinita estensione del mondo corporeo, l'identità tra sostanza celeste e sostanza terrestre. L'unico tipo di mutamento risulta essere il moto locale, la causa prima di quest'ultimo è Dio, che ha dato alla materia una certa quantità di movimento, che si mantiene sempre uguale. Il mondo si può considerare come una macchina, la cui perfetta costruzione riflette la sapienza del suo artefice. Ogni finalismo e aspetto qualitativo del reale sono assorbiti nella res cogitans, la visione meccanicistica di Cartesio si estende, oltre che alle leggi fisiche dei corpi,, anche alle leggi fisiologiche del mondo vivente. Non ha senso parlare di sentimenti, né di moti intenzionali, là dove regnano solamente movimenti automatici e riflessi. Anche il corpo umano è una macchina, ma ha una particolarità: l'uomo è l'unico essere vivente a possedere un'anima: è ad essa che vanno riferite non solo le funzioni intellettuali superiori, accompagnate dalla coscienza, ma i movimenti volontari, le percezioni e i sentimenti.

Il problema del rapporto tra anima e corpo
Per dualismo cartesiano si intende la tesi che l'uomo è composto di due distinte sostanze: res cogitans e res extensa. Tuttavia noi non dobbiamo concepire il rapporto tra le due sostanze come una semplice coabitazione (se si trattasse di semplice coabitazione, quando il mio corpo è ferito io non dovrei sentire dolore) ma come un'intima unione e mescolanza. Ma come può l'anima essere influenzata dal corpo e viceversa? Cartesio risponde che l'interazione tra queste due sostanze è un fatto, più difficile è invece spiegare come avviene questa interazione. Essendo l'anima inestesa e indivisibile, non si può dire che essa si trovi in qualcuna delle parti del corpo a differenza di altre. D'altro lato c'è tuttavia in questo qualche parte in cui essa esercita le sue funzioni in modo più specifico che in tutte le altre. Questo localizzazione è posta da Cartesio nel centro del cervello, nella ghiandola pineale. Mentre negli animali il movimento corporeo avviene in modo automatico, nell'uomo tra la stimolazione nervosa dell'organo periferico e la risposta del cervello si inserisce, tramite appunto questa ghiandola, l'azione dell'anima. Quando questa fa pervenire le sue risposte al sistema nervoso, mettendo in moto gli spiriti animali, si hanno le volizioni (atti volontari). Gli atti volontari sono di due specie: quelli dell'anima che hanno il loro termine nell'anima stessa (l'amare), e quelli che hanno il termine nel nostro corpo (muovere le gambe per camminare). Quindi anche le percezioni sono di due tipi: quelle che hanno per causa l'anima e quelle che hanno per causa il nostro corpo. Cartesio è contrario all'antica tripartizione dell'anima, egli sostiene che in noi vi sia un'anima sola, che non ha in sé nessuna divisione e quella stessa che è sensitiva è anche razionale e tutti i suoi aspetti sono manifestazione di volontà. Tutto ciò che in noi è opposto alla ragione, deriva dal corpo. Ora dovrei parlare delle passioni ma non ho capito un accidente (e non sto parlando dell'accidente di Aristotele)!

La morale di Cartesio
Nel Discorso sul metodo Cartesio espone delle regole di morale provvisoria e delinea un programma scientifico vastamente permeato di idealità morali. Cartesio espone quindi tre massime da seguire. La prima massima consiglia un prudente conformismo in fatto di opinioni religiose, politiche e costumi; la seconda suggerisce la coerenza con le proprie opinioni e idee; la terza raccomanda l'autodominio in materia di desideri e la rinuncia a voler cambiare il mondo. La terza massima sembra, tuttavia, andare contro la speranza cui Cartesio affida tutti i suoi sforzi, di una scienza pratica, in grado di migliorare le condizioni di vita degli uomini e la loro stessa moralità.

La morale cartesiana ha un duplice radicamento nella scienza e nella metafisica, Cartesio sottolinea il fatto che la conoscenza della fisica può servire molto per stabilire fondamenti sicuri per la morale. Riporto qui di seguito i postulati metafisici sui quali si basa la morale di Cartesio: l'esistenza di un Dio da cui dipendono tutte le cose; la distinzione dell'anima dal corpo e la sua immortalità, il che ci impedisce di temere la morte e ci distacca dalle cose materiali, facendoci guardare con disprezzo i beni che dipendono esclusivamente dalla fortuna; una degna opinione delle opere di Dio e lo sforzo di liberarsi dall'antropomorfismo; la consapevolezza che l'individuo, benché dotato di assoluta dignità, non potrebbe sussistere da solo, ma è parte di un tutto che lo completa e ne determina il valore.

Il sommo bene, per Cartesio, coincide con il libero arbitrio usato nel giusto modo, ossia è la volontà di agire rettamente.