COMMENTO AL SIMBOLO
DEGLI APOSTOLI.
Il
mio animo, o fedelissimo papa Lorenzo, non tanto è riluttante a scrivere quanto
neppure capace, ed io so che non è senza pericolo presentare al giudizio di
molti un ingegno di modesta capacità. Ma, per dirla col tuo permesso,
temerariamente tu mi forzi, in nome dei sacramenti di Cristo che noi riceviamo
con la massima reverenza, a scrivere per te qualcosa sulla fede secondo la
tradizione e l’interpretazione del Simbolo: perciò, anche se il peso della tua
imposizione è al di sopra delle nostre capacità (non ignoro infatti le parole
dei sapienti che molto giustamente affermano esser pericoloso dire di Dio anche
cose vere), tuttavia se tu aiuterai con la preghiera l’obbligo derivante dalla
richiesta che imponi, cercheremo di dire qualcosa più per rispetto di
obbedienza che per presunzione d’ingegno; e questa esposizione non tanto sarà
degna delle meditazioni dei perfetti quanto sarà adattata all’ascolto di coloro
che sono piccoli in Cristo e si iniziano alla fede.
So
che alcuni illustri scrittori hanno scritto su questo argomento brevemente e in
modo ortodosso. Invece l’eretico Fotino ha scritto in proposito non per
chiarire agli ascoltatori il significato delle parole (del Simbolo) ma per
trarre a sostegno della sua dottrina ciò ch’era stato detto in forma semplice e
conforme alla fede, dato che lo Spirito Santo aveva provveduto che in queste
parole non vi fosse alcunché di ambiguo, di oscuro, di discordante col resto
del discorso.
Infatti
proprio a proposito di questo testo si realizza la profezia che dice: "È
parola infatti che conclude con brevità ed equità, poiché il Signore parlerà
con poche parole sulla terra" (Is. 10, 23; Rom. 9, 28). Perciò noi
cercheremo sia di conservare la semplicità propria delle parole degli apostoli
sia di completare ciò che è stato tralasciato dai precedenti interpreti. Ma
perché diventi più chiaro il significato di questo testo che è – come abbiamo
detto – di poche parole, esporrò dall’origine il motivo per cui questa
tradizione è stata data alle Chiese.
2.
Come tramandano i nostri predecessori (At 2, 14), dopo l’ascensione del
Signore, quando per la venuta dello Spirito Santo sopra ad ognuno degli
apostoli si posarono lingue di fuoco perché essi parlassero con diversi e
svariati linguaggi sì che nessuna gente straniera, nessuna lingua barbara
sembrasse loro inaccessibile e preclusa, fu loro comandato di partire alla
volta di ogni singola nazione per predicare la parola di Dio (At 1, 5).
Sul punto di partire e di separarsi gli uni dagli altri, stabiliscono in comune
la norma della loro futura predicazione, perché non avvenisse che,
allontanandosi gli uni dagli altri, comunicassero qualcosa di diverso a coloro
che invitavano ad abbracciare la fede di Cristo. Perciò stando tutti insieme e
ripieni di Spirito Santo, mettendo insieme ciò che ognuno sentiva, compongono –
come abbiamo detto – questa breve traccia della loro futura predicazione, e
stabiliscono di dare tale norma a quanti avrebbero creduto.
La
vollero chiamare simbolo per molte e motivate ragioni. Infatti in greco la
parola simbolo significa indizio e apporto collettivo, cioè ciò che più persone
mettono insieme: infatti proprio questo fecero gli apostoli in quei loro
discorsi, mettendo insieme ciò che ognuno sentiva. È detto poi indizio e segno
perché in quel tempo, come dice l’apostolo Paolo ed è riferito negli Atti degli
apostoli (2Cor 11, 13; At 15, 1; Rom 16, 18). molti dei
Giudei circoncisi fingevano di essere apostoli di Cristo e per guadagno e
ingordigia partivano a predicare, nominando, sì, Cristo ma annunziandolo non
secondo le schiette linee della tradizione. Perciò essi stabilirono questo
segno, al fine che si riconoscesse colui che annunziava Cristo veramente
secondo le norme apostoliche. Dicono infine che anche nelle guerre civili viene
osservata tale usanza: poiché uguale è la foggia delle armi e medesimo il suono
della voce e uno solo il modo di vivere e uguali le norme del combattere,
ognuno dei generali dà ai suoi soldati simboli che sono tenuti segreti, che in
latino sono definiti segni (signa) e indizi (indicia): in tal
modo, se per caso ci si imbatte in qualcuno di cui non si è sicuri, questi
interrogato sul simbolo, rivela se sia nemico o amico.
Stabilirono
infine che tali norme non fossero trascritte su fogli di qualsiasi genere bensì
fossero ritenute a memoria, perché fosse certo che nessuno le avrebbe apprese
da un testo scritto, che talvolta può anche venire nelle mani di chi non è
credente, e che invece tutti le avrebbero apprese dalla tradizione degli
apostoli. Perciò, come abbiamo detto, al momento di allontanarsi per andare a
predicare, gli apostoli stabilirono questa norma della loro concordia e della
loro fede: non come i figli di Noè, al momento di allontanarsi gli uni dagli
altri costruirono con mattoni cotti e catrame una torre la cui cima toccasse il
cielo (Gen 11, 1-9); ma con pietre vive e perle del Signore edificarono
una difesa della fede che potesse stare salda di fronte al nemico: né i venti
l’avrebbero spinta giù né i fiumi in piena l’avrebbero travolta né i turbini
delle tempeste l’avrebbero scossa (1Pt 2, 5; Mt 13, 45; 7, 27).
Perciò bene a ragione i figli di Noè, che sul punto di separarsi fra loro
costruirono la torre della superbia, furono condannati a confondere le loro
lingue, perché nessuno potesse comprendere le parole del suo vicino; invece
agli apostoli, che costruivano la torre della fede, è stata donata la
conoscenza di tutte le lingue: così è stato dimostrato che quello era segno di
peccato, questo invece segno di fede.
3.
Ma ormai è tempo che noi diciamo qualcosa anche proprio riguardo a questo
tesoro, in cui in primo luogo è presentata la fonte e origine di tutte le cose,
con le parole: Credo in Dio Padre onnipotente. Ma prima di cominciare a
trattare proprio del significato delle parole, ritengo che non sia fuor di
luogo rammentare che in diverse Chiese troviamo che qualcosa è stato aggiunto a
queste parole. Invece non consta che ciò sia avvenuto nella Chiesa di Roma,
ritengo perché di lì non ha tratto origine alcuna eresia e vi si conserva l’antica
usanza che coloro i quali stanno per ricevere la grazia del battesimo ripetano
il Simbolo pubblicamente, cioè mentre ascolta il popolo dei fedeli; e per certo
quelli che li hanno preceduti nella fede e stanno ad ascoltare non
tollererebbero l’aggiunta di una sola parola. Invece in altri luoghi, per
quanto è possibile comprendere, a causa di alcuni eretici è stata aggiunta
qualche parola, per mezzo della quale si pensava di respingere il significato
della nuova dottrina. Noi poi seguiamo la norma che abbiamo ricevuto nella
Chiesa di Aquileia con la grazia del battesimo.
Innanzitutto
è posta la parola Credo, come dice anche l’apostolo Paolo scrivendo agli
Ebrei: "È necessario infatti che prima di tutto colui che si accosta a Dio
creda che quello esiste e ricompensa quanti credono in lui" (Eb 11,
6). E il profeta afferma: "Se non avrete creduto, neppure
comprenderete" (Is 7, 9). Al fine perciò che ti si apra l’accesso
alla comprensione, giustamente tu prima di tutto affermi di credere, perché
nessuno sale sulla nave e affida la propria vita al mare profondo se prima non
crede di potersi salvare; né il contadino seppellisce i semi nei solchi e
sparge in terra la biada, se non avrà creduto che verranno le piogge e ci sarà
anche il calore del sole, sì che la terra nutrita e riscaldata produrrà
abbondante messe e la farà crescere con lo spirare dei venti. Non c’è insomma
alcuna azione che si possa compiere in vita se non avrà preceduto il credere. E
allora che c’è da meravigliarsi se accostandoci a Dio innanzitutto noi
affermiamo di credere, là dove senza di questo non si può vivere neppure la
vita di tutti i giorni? Abbiamo premesso all’inizio queste considerazioni,
perché i pagani son soliti obiettarci che la nostra religione, in quanto priva
di fondamento razionale, si fonda soltanto sulla forza di persuasione che
deriva dal credere. Perciò abbiamo dimostrato che nulla può esser fatto o può
sussistere se non avrà preceduto la forza del credere. Infatti anche i
matrimoni vengono fatti perché si crede che nasceranno i figli; e i giovani
sono mandati a scuola ad apprendere le varie discipline perché si crede che la
scienza del maestro si trasfonderà nei discepoli; e uno prende le insegne del
potere perché crede che gli ubbidiranno città e popoli e anche l’esercito in
armi. Che, se nessuno intraprende tutte queste azioni se prima non avrà creduto
che esse potranno realizzarsi, perché mai ben più a ragione non si dovrebbe
giungere alla conoscenza di Dio per mezzo del credere? Ma vediamo ormai che
cosa ci proponga il Simbolo col suo testo abbreviato.
4.
Credo in Dio Padre onnipotente. Quasi tutte le Chiese d’Oriente
tramandano così: Credo in un solo Dio Padre onnipotente. E ancora, nella
frase che segue, dove noi diciamo: e in Gesù Cristo, unico Figlio suo,
nostro Signore, gli orientali tramandano: e in un solo Signore nostro
Gesù Cristo, unico Figlio suo, cioè professano un solo Dio e un solo
Signore, secondo l’autorità dell’apostolo Paolo (1Cor 8, 6). Ma questo
punto lo riprenderemo appresso; ora invece esaminiamo l’espressione in Dio
Padre onnipotente. Dio, secondo quanto può pensare la mente dell’uomo, è
definizione di quella natura o sostanza che è al di sopra di tutto. Padre è
parola che racchiude un mistero profondo e indicibile. Quando senti nominare
Dio, intendi una sostanza senza inizio e senza fine, semplice e senza alcuna
mescolanza, invisibile incorporea indicibile incomprensibile, nella quale nulla
c’è di aggiunto, nulla di creato. Non ha infatti creatore colui che è il
creatore di tutte le cose. Quando senti nominare il Padre, intendi il Padre del
Figlio, il quale Figlio è immagine della suddetta sostanza (Eb 1, 3; Col
1, 15). Come infatti nessuno è detto signore se non ha un possedimento o un
servo su cui esercita il dominio, e come nessuno è detto maestro se non ha un
discepolo, così anche un padre in nessun modo può essere definito tale se non
ha un figlio. Perciò con lo stesso nome con cui Dio è definito Padre si
dimostra che anche il Figlio deve parimenti sussistere col Padre.
In
che modo poi Dio Padre abbia generato il Figlio, non voglio che tu lo esamini
né che con troppa curiosità ti introduca nel mistero di questa profondità: c’è
infatti pericolo che, mentre scruti con troppa insistenza lo splendore della
luce inaccessibile, tu venga a perdere anche quella modesta capacità visiva che
per dono divino è stata data ai mortali (Prov 25, 27). Che se poi tu
credi che su questo argomento bisogna sforzarsi in ogni modo di comprendere,
proponiti prima alla mente le realtà che sono alla nostra portata: se riuscirai
a spiegarle coerentemente, allora spingiti dalle realtà terrestri a quelle
celesti, dalle visibili alle invisibili (Rom 1, 20). Dapprima spiega, se
ne sei capace, ed esponi in che modo la mente, ch’è dentro di te, generi la
parola e quale sia in essa lo spirare della memoria. Come mai queste facoltà,
pur diverse di fatto e per operazione, tuttavia sono una cosa sola per sostanza
e natura? e come mai, pur procedendo dalla mente, non si distaccano mai da
questa? Se poi queste facoltà, benché si trovino in noi e nella sostanza della
nostra anima, tuttavia ci sembrano tanto più nascoste quanto più sono
invisibili all’occhio corporeo, esaminiamo realtà più accessibili. In che modo
la fonte genera da sé il fiume? da quale forza è trasportata la rapida corrente?
perché mai, pur costituendo il fiume e la fonte una sola e inseparabile realtà,
tuttavia né la fonte può essere intesa o chiamata come il fiume né il fiume
come la fonte? E tuttavia chi avrà visto il fiume vede anche la fonte.
Esercitati prima nella spiegazione di queste cose ed esamina, se sei capace,
ciò che hai tra le mani: e allora passeremo a realtà più sublimi. E non credere
che io ti voglia convincere a salire subito dalla terra al di sopra dei cieli;
ma prima, se sei d’accordo, ti condurrò a questo firmamento che si vede con gli
occhi, e qui, se sei capace, spiega la natura di questa luce visibile: in che
modo questo fuoco celeste generi da sé lo splendore della luce; in che modo
produce anche il vapore; e pur essendo tre di fatto, tuttavia nella sostanza
sono una cosa sola.
Se
sarai riuscito a indagare tutte queste realtà, sappi che il mistero della
generazione divina è tanto più eccelso e trascendente quanto il creatore è più
potente delle creature, quanto l’artefice è superiore alla sua opera, quanto
colui che sempre è, è più nobile di colui che ha cominciato ad essere dal
nulla. Perciò bisogna credere che Dio è Padre del suo unico Figlio e nostro
Signore, non bisogna sottoporlo ad esame. Infatti non è permesso allo schiavo
discutere circa la nascita del padrone. Lo ha affermato il Padre dal cielo
dicendo: "Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto:
ascoltatelo" (Mt 17, 5): il Padre afferma che quello è suo Figlio e
comanda di ascoltarlo. Il Figlio dice: "Chi ha visto me ha visto anche il
Padre", e: "Io e il Padre siamo una cosa sola", e: "Io sono
uscito da Dio e sono venuto in questo mondo" Gv 14, 9; 10, 30; 16,
28). Ma allora chi oserà mettersi in mezzo, per discutere, fra queste parole
del Padre e del Figlio, e dividere la divinità, distinguere la loro volontà,
spezzare la sostanza, tagliare a mezzo lo Spirito, dire che non è vero ciò che
afferma la verità?. Perciò Dio è vero Padre, in quanto Padre della verità, e
non crea dall’esterno ma da ciò ch’egli stesso è genera il Figlio: in quanto
sapiente genera la sapienza, in quanto giusto la giustizia, in quanto eterno
l’eternità, in quanto immortale l’immortalità, in quanto invisibile
l’invisibile, in quanto luce lo splendore, in quanto mente la parola.
5.
Quando poi abbiamo detto che la Chiesa d’Oriente tramandano un solo Dio Padre
onnipotente e un solo Signore, bisogna intenderlo in questo modo: uno è detto
non riguardo al numero ma riguardo alla totalità. P. es., se uno dice: un uomo,
o: un cavallo, qui egli ha introdotto uno in senso numerico; infatti ci può
essere un secondo uomo e un terzo, e così per il cavallo. Ma là dove non si può
aggiungere un secondo e un terzo, se si dice uno, questo nome non ha valore
numerico ma indica la totalità. Così, se, p. es., diciamo: un sole, qui uno è
detto in modo tale che non si può aggiungere un secondo e un terzo: infatti il
sole è uno solo. Perciò ben più a ragione quando si dice un solo Dio, uno è
detto con valore non di numero ma di totalità: cioè, egli è detto uno solo
perché non ce n’è altri. Analogamente anche riguardo al Signore bisogna
intendere che uno solo è il Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale Dio Padre
esercita la dominazione su tutte le cose. Di conseguenza la parola che segue
definisce Dio onnipotente.
Dio
pertanto è detto onnipotente perché esercita il dominio su tutte le cose. Ma
tale dominio il Padre esercita per mezzo del Figlio, secondo quanto dice anche
l’Apostolo: "Perché per suo mezzo sono state create tutte le cose,
visibili e invisibili: sia i troni sia le dominazioni sia i principati sia le
potenze" (Col 1, 16). E di nuovo, scrivendo agli Ebrei, dice:
"Per suo mezzo stabilì i secoli, e lui ha costituito erede di tutte le
cose" (Eb 1, 2). Che se per mezzo del Figlio il Padre ha stabilito
i secoli e per suo mezzo sono state create tutte le cose ed egli è l’erede di
tutte le cose, è anche per suo mezzo che il Padre esercita il dominio su tutte
le cose. Infatti, come la luce deriva dalla luce e la verità dalla verità, così
dall’onnipotente è nato l’onnipotente, secondo quanto anche nell’Apocalisse di
Giovanni è detto dei Serafini: "E non si fermavano mai notte e giorno
dicendo: Santo santo santo il Signore Dio, che era e che è e che verrà
onnipotente" (Ap 4, 8). È definito onnipotente colui che verrà: e
chi altro è colui che verrà se non Gesù Cristo il Figlio di Dio?
Qui
è aggiunto nel Simbolo: invisibile e impassibile. È bene sapere che
queste due parole non si trovano nel Simbolo della Chiesa di Roma. Ma sappiamo
che presso di noi sono state aggiunte a causa dell’eresia di Sabellio, cioè
quella che i Latini definiscono Patripassiana, in quanto afferma che proprio il
Padre è nato dalla Vergine e sostiene che egli si è fatto visibile e ha patito
nella carne. Pertanto, al fine di respingere tale empietà riguardo al Padre, i
nostri predecessori hanno aggiunto tali parole ed hanno definito il Padre
invisibile e impassibile. Sappiamo infatti che il Figlio, non il Padre, è nato
nella carne e in forza della nascita carnale il Figlio è diventato visibile e
passibile. Ma per quanto attiene alla sostanza immortale della divinità che per
lui è una sola e la stessa del Padre, in tal senso non crediamo visibile e
passibile né il Padre né il Figlio né lo Spirito Santo. In quanto poi il Figlio
si è degnato di assumere la carne, egli nella carne è stato visto ed ha patito.
Tutto ciò anche il profeta aveva predetto con queste parole: "Questo è il
nostro Dio: e nessun altro sarà ritenuto tale a confronto con lui. Ha trovato
ogni via di conoscenza e l’ha data a Giacobbe suo figlio e ad Israele suo
diletto. Dopo è apparso in terra e si è trattenuto fra gli uomini" (Bar
3, 36-38).
6.
Il Simbolo continua così: e in Gesù Cristo unico Figlio suo nostro Signore. Gesù
è parola di lingua ebraica, che presso di noi significa salvatore. Cristo prende
nome dal crisma, cioè dall’unzione. Leggiamo nei libri di Mosè che Ause figlio
di Nave, allorché fu eletto capo del popolo, mutato nome da Ause fu chiamato
Gesù (Num 13, 16), e ciò fu al fine di dimostrare che questo è il nome
che si addice ai principi e ai capi, almeno a quelli che traggono a salvezza i
popoli che li seguono. Perciò fu chiamato Gesù quello che introdusse nella
terra promessa il popolo che era stato tratto fuori dalla terra d’Egitto ed era
stato liberato dalle peregrinazioni nel deserto: ed è chiamato Gesù questi che,
tratto fuori il popolo dalle tenebre dell’ignoranza e richiamatolo dagli errori
del mondo, lo introduce nel regno dei cieli. Cristo poi è nome che è proprio
del pontefice e dei re: infatti anticamente i pontefici e i re venivano
consacrati con l’atto dell’unzione. Ma quelli, in quanto mortali e
corruttibili, venivano unti con l’unzione di materia corruttibile; invece
questo, unto dallo Spirito Santo, diventa Cristo, come di lui dice la
Scrittura: "Il Padre lo ha unto con lo Spirito Santo inviato dal
Cielo" (At 10, 38); ed Isaia aveva prefigurato, parlando in persona
del Figlio: "Lo Spirito del Signore è sopra di me: perciò mi ha unto e mi
ha mandato a predicare la buona novella ai poveri" (Is 61, 1).
Poiché
abbiamo spiegato che cosa significhi Gesù, cioè colui che salva il popolo, e
che cosa significhi Cristo, cioè colui ch’è stato fatto pontefice in eterno, (Eb
6, 20), da ciò che segue vediamo riguardo a chi sono detti questi nomi: Unico
Figlio suo nostro Signore. In questo modo apprendiamo che questo Gesù, del
quale abbiamo parlato, e Cristo, del quale abbiamo trattato, è l’unico Figlio
di Dio e nostro Signore. Cioè, perché tu non creda che quei vocaboli umani ti
propongano un insegnamento terreno, perciò è stato aggiunto che questo è
l’unico Figlio di Dio e nostro Signore. Infatti uno nasce da uno, perché uno
solo è lo splendore della luce e una sola la parola del cuore: la generazione
incorporea non degenera in un numero plurale né c’è divisione là dove colui che
nasce mai viene separato da colui che lo genera. È unico, come l’intelligenza
alla mente, come la parola al cuore, come la potenza al forte, come la sapienza
al sapiente. Come infatti il Padre è definito dall’apostolo il solo sapiente,
così anche solo il Figlio è definito Sapienza (Rom 16, 27; 1Cor
1, 24). Perciò il Figlio è unico: e poiché per gloria eternità forza regno
potenza egli è ciò che è il Padre, tuttavia tutte queste prerogative non le ha
senza principio, come il Padre, ma le deriva dal Padre, in quanto Figlio; e
mentre egli è il capo di tutto, tuttavia suo capo è il Padre. Infatti è
scritto: "Capo di Cristo è Dio" (1Cor 11, 3).
7.
Ma quando senti definire: Figlio, non voglio che tu pensi ad una generazione
carnale, ma ricorda che ciò si dice di una sostanza incorporea e di una natura
semplice. Se infatti, come già sopra abbiamo detto, nella generazione della
parola dal cuore, dell’idea dalla mente, dello splendore dalla luce, non si
ricerca alcunché di tal genere né in tale generazione si pensa ad alcunché di fragile,
quanto più puramente e santamente dobbiamo pensare del creatore di tutte queste
cose? Ma forse tu mi dirai che questa che ho portato come esempio è una
generazione non sostanziale: infatti la luce non produce uno splendore
sostanziale né il cuore genera una parola sostanziale: invece affermiamo che il
Figlio di Dio è stato generato sostanzialmente. A questa obiezione in primo
luogo risponderemo che anche riguardo ad altre cose, quando si portano degli
esempi, questi non possono avere completa somiglianza con la cosa per la quale
sono stati assunti, ma presentano somiglianza soltanto parziale, in forza della
quale sono stati presi come esempi. P. es., dato che nel vangelo è detto:
"Il regno dei cieli è simile al lievito che la donna mette in tre misure
di farina" (Mt 13, 33), crederemo forse che il regno dei cieli sia
così completamente simile al lievito che anche la sua sostanza sia altrettanto
palpabile e fragile al punto da potersi inacidire e corrompere? o non piuttosto
l’esempio è stato assunto soltanto per dimostrare che grazie alla predicazione
del Verbo di Dio le menti umane possono crescere e svilupparsi insieme, grazie
al lievito della fede? Analogamente, quando diciamo: "Il regno dei cieli è
simile ad una rete calata in mare, che prende ogni genere di pesci" (Mt
13, 47), crederemo forse che la sostanza del regno dei cieli sia paragonata in
tutto alla natura del lino, con cui si fa la rete, o ai nodi, con cui si
intrecciano le maglie? e invece il paragone non è stato prodotto soltanto al
fine di dimostrare che, come la rete trae sulla spiaggia i pesci dal profondo
del mare, così grazie alla predicazione del regno dei cieli le anime umane sono
liberate dal profondo errore di questo mondo? Di qui è chiaro che gli esempi
non sono in tutto simili alle cose di cui sono esempi: altrimenti, se fossero
in tutto uguali, non sarebbero più detti esempi, ma sarebbero piuttosto proprio
quelle cose di cui ci si sta occupando.
Dobbiamo
poi osservare che nessuna creatura può essere tale quale il suo creatore: perciò,
come è senza esempio la sostanza divina, così è anche senza esempio la nascita
divina. Aggiungeremo ancora che tutte le creature derivano dal nulla. Se
pertanto, in quanto creata dal nulla, non è sostanziale quella creatura che
genera da sé (un’altra creatura), in questo essa conserva la condizione della
sua origine: invece la sostanza di quella luce eterna, che è sempre esistita,
poiché in sé non ha nulla di non sostanziale, non ha potuto produrre da sé uno
splendore non sostanziale. Perciò ben a ragione diciamo che il Figlio è unico.
Infatti è unico e solo colui ch’è nato in questo modo, e ciò ch’è unico non può
avere alcun termine di confronto, né colui ch’è il creatore di tutte le cose
può esser simile alle sue creature quanto alla sostanza.
Pertanto
questo è Gesù Cristo unico Figlio di Dio, ch’è anche nostro Signore. Unico si
può riferire sia a Figlio sia a Signore: infatti Gesù Cristo è il solo
veramente Figlio e il solo veramente Signore. Gli altri, anche se son detti
figli, son detti tali per grazia di adozione, non per realtà di natura. E se
altri son definiti signori, son detti tali in forza di un potere ch’è stato
loro concesso, non senza origine. Ma questo solo è unico Figlio e unico Signore
come dice anche l’Apostolo: "E un solo Signore Gesù Cristo, per mezzo del
quale tutte le cose" (1Cor 8, 6). Così la norma di fede che ci è
stata proposta, dopo aver presentato l’indicibile mistero della nascita del
Figlio dal Padre, ora scende alla condiscendenza e all’economia della umana
salvezza e colui che sopra aveva definito unico Figlio di Dio, ora lo definisce
anche nostro Signore.
8.
Che è nato per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine. Questa fra
gli uomini è nascita dovuta all’economia della salvezza, mentre quella è della
sostanza divina: questa è di condiscendenza, quella di natura. Nasce per opera
dello Spirito Santo da Maria Vergine: e certo a questo punto si richiedono più
puri le orecchie e l’intelletto. Infatti a questi, che poco fa hai appreso nato
indicibilmente dal Padre, ora apprendi che dallo Spirito Santo è stato
preparato un tempio nel segreto del ventre verginale; e come nella
santificazione dello Spirito Santo non si deve intendere nessuna fragilità,
così anche nel parto della Vergine non si deve intendere alcuna corruzione. Ora
infatti al mondo è stato dato un nuovo parto e non senza ragione. Chi infatti
in cielo è unico Figlio, conseguentemente anche in terra è unico e nasce in
modo unico. Su questo argomento sono a tutti note e riecheggiate nei vangeli le
parole dei profeti, i quali affermano che "Una vergine concepirà e
partorirà un figlio" (Is 7, 14). E anche il meraviglioso modo del
parto il profeta Ezechiele aveva anticipatamente indicato, definendo
simbolicamente Maria porta del Signore, cioè attraverso la quale il Signore è
entrato nel mondo. Dice pertanto così: "La porta che guarda ad oriente
sarà chiusa e non verrà aperta e nessuno vi passerà attraverso, perché proprio
il Signore Dio d’Israele passerà attraverso questa porta, e sarà chiusa" (Ez
44, 2). Che cosa di altrettanto evidente si sarebbe potuto dire della
consacrazione della Vergine? Rimase in lei chiusa la porta della verginità;
attraverso di essa il Signore Dio d’Israele è entrato in questo mondo, e
attraverso di essa è venuto dal ventre della Vergine, e in eterno la porta
della Vergine è rimasta chiusa, poiché la verginità è stata preservata. Per tal
motivo lo Spirito Santo è detto creatore della carne del Signore e del suo
tempio.
Comincia
già da qui a comprendere anche la maestà dello Spirito Santo. Infatti riguardo
a questo anche la parola del vangelo afferma che, quando l’angelo parlò alla
Vergine e le disse: "Partorirai un figlio e gli darai nome Gesù: infatti
salverà il suo popolo dai suoi peccati", ed ella rispose: "In che
modo avverrà questo, dal momento che non conosco uomo", allora l’angelo di
Dio le disse: "Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo
ti adombrerà: perciò ciò che da te nascerà santo sarà chiamato Figlio di
Dio" (Lc 1, 31. 34. 35; Mt 1, 21). Osserva dunque la Trinità
che coopera scambievolmente. È detto che lo Spirito Santo viene sulla Vergine e
la potenza dell’Altissimo l’adombra. Ma qual è la potenza dell’Altissimo, se
non proprio Cristo, che è potenza di Dio e sapienza di Dio? (1Cor 1,
24). Ma questa potenza di chi è? Dell’Altissimo, è detto. Perciò è presente
l’Altissimo, è presente anche la potenza dell’Altissimo, è presente anche lo
Spirito Santo. Questa è la Trinità, che dovunque è nascosta e dovunque appare,
distinta nei nomi e nelle persone, sostanza inseparabile della divinità. E
benché soltanto il Figlio nasca dalla Vergine, tuttavia è presente anche
l’Altissimo, è presente anche lo Spirito Santo, perché venga santificato il
concepimento della Vergine e il suo parto.
9.
Queste verità, in quanto sono affermate sulla base dei libri dei profeti,
possono forse confutare i Giudei, per quanto essi siano infedeli e increduli.
Ma i pagani sono soliti prenderci in giro, quando sentono che noi affermiamo il
parto di una vergine. Perciò in poche parole bisogna rispondere anche alle loro
calunnie. Ogni parto esige – come credo – tre condizioni: che la donna sia di
età adulta, che ci sia l’uomo, che la donna non sia impedita dalla sterilità.
Di queste tre condizioni, in questo parto che noi affermiamo ne è mancata
soltanto una, l’uomo; e la sua funzione, poiché colui che nasceva non era un
uomo terreno ma celeste (1Cor 15, 47), affermiamo ch’è stata assunta
dallo Spirito celeste, restando così preservata l’incorruttibilità della
Vergine. E d’altra parte, perché mai sembra strano che una vergine abbia
concepito, dal momento che l’uccello d’Oriente, che chiamano Fenice, si sa che
nasce e rinasce senza coniuge a punto tale che è sempre uno solo e nascendo e
rinascendo succede sempre a se stesso? E certo tutti sanno che le api ignorano
l’accoppiamento e senza congiungimento producono la prole. Si sa inoltre che
anche alcune altre creature nascono in tal modo. Sembrerà allora incredibile
che per la restaurazione dell’intero universo sia avvenuto per potenza divina
ciò di cui l’esempio osserviamo anche nella nascita degli animali?
E
d’altra parte ci si deve meravigliare che ciò sembri impossibile proprio ai
pagani, i quali credono che la loro Minerva sia nata dal cervello di Giove. Che
cosa è più difficile a credere e che cosa è più contro l’ordine di natura? Qui
c’è una donna, qui è preservato l’ordine di natura, qui a suo tempo ci sono
stati concepimento e parto. Invece lì non c’è neppure sesso femminile, ma
soltanto l’uomo e il parto. Chi crede una tale cosa perché si deve meravigliare
di quell’altra?. Ma anche Bacco affermano nato dalla coscia di Giove. Ecco un
portento d’altro genere, e pure viene creduto. Anche Venere, che chiamano
Afrodite, credono che sia stata generata dalla spuma del mare, come dimostra
anche la composizione del suo nome. Affermano che Castore e Polluce sono nati
da un uovo, i Mirmidoni dalla formica. E mille altri portenti, che
contravvengono all’ordine di natura, eppure a loro sono sembrati degni di esser
creduti, come le pietre scagliate da Deucalione e da Pirra e la messe di uomini
nata di lì. E mentre prestano fede a tali e tante invenzioni, soltanto questo
sembra loro impossibile; che una donna in età adulta abbia concepito un frutto
divino non per contaminazione di uomo ma per ispirazione di Dio? Che se sono
così difficili a credere, mai avrebbero dovuto prestar fede a quelle tante e
tanto turpi mostruosità. Se invece sono facili a credere, molto più prontamente
avrebbero dovuto accogliere queste nostre verità così pure e così sante,
piuttosto che quelle loro storie tanto indegne e turpi.
10.
Ma forse obietteranno che certo Dio avrebbe potuto far sì che una vergine
concepisse e anche partorisse: ma sembra indegno che quella così grande maestà
sia passata attraverso gli organi genitali di una donna: dove, anche se non ci
fosse stata contaminazione derivante da unione con un uomo, tuttavia ci sarebbe
stata l’offesa del vergognoso contatto prodotto dal puerperio. A costoro
rispondiamo brevemente secondo il loro modo di vedere. Se uno vede un bambino
che viene ucciso in mezzo al fango profondo e, pur essendo uomo importante e
potente, entra nel fango, per così dire, in punta di piedi per liberare il
bambino che sta morendo, tu accuserai quest’uomo di essersi contaminato per
aver calpestato un po’ di fango ovvero lo loderai per la sua pietà, dato che ha
salvato la vita a uno che stava per morire? E questa considerazione può esser
fatta anche a proposito di un uomo comune. Torniamo invece ora alla natura di
colui ch’è nato. Quanto pensi che gli sia inferiore la natura del sole?
Certamente quanto la creatura è inferiore al creatore. Ora osserva: se un
raggio di sole giunge al fondo di una fossa fangosa, forse ne risulta di qui
per qualche parte contaminato? o riterremo offesa per il sole anche solo l’aver
illuminato quella sozzura? Di quanto la natura del sole è inferiore alle realtà
di cui stiamo parlando? Eppure non crederemo che una qualche materia sozza e
turpe messa sul fuoco possa contaminarlo.
Dato
che evidentemente così è riguardo alle cose materiali, pensi tu forse che
quella trascendente e incorporea natura, che è al di sopra di ogni fuoco e di
ogni luce, possa in qualche modo essere insozzata e contaminata? Osserva infine
anche questo. Noi diciamo che Dio ha creato l’uomo dal fango della terra (Gen
2, 6). Che se consideriamo vergognoso per Dio riscattare la sua opera, molto
più vergognoso riterremo averla creata così dall’inizio. Ed è superfluo
chiedere perché mai egli sarebbe passato attraverso membra vergognose, dato che
potresti chiedere perché mai avrebbe creato tali membra. Del resto non la
natura ma la consuetudine ci ha insegnato che tali parti del corpo sono
vergognose. Infatti tutte le parti del corpo sono state fatte da un solo e
stesso fango e si distinguono soltanto per gli usi e le funzioni naturali.
11.
Ma per risolvere completamente questa difficoltà non tralascerò neppure di
rilevare che la sostanza di Dio, ch’è del tutto incorporea, non può inserirsi
nei corpi né essere accolta da questi in modo primario, se non tramite la
mediazione di una sostanza spirituale che possa essere capace di accogliere lo
spirito divino. Per fare un esempio, la luce può illuminare tutte le membra del
corpo, ma non può essere percepita da nessuna tranne che dal solo occhio:
infatti soltanto l’occhio è capace di percepire la luce. Così nasce il Figlio
di Dio dalla Vergine non unito in modo primario soltanto con la carne, ma
generato essendo l’anima mediatrice fra la carne e Dio. Pertanto, dato che
l’anima è un’entità intermedia ed è capace di accogliere il Verbo divino nell’intimo
recesso dello spirito razionale, Dio è nato dalla Vergine senza contrarre
quell’offesa che tu pensi. E così non dobbiamo immaginare niente di vergognoso
là dove era presente la santificazione dello Spirito Santo, e l’anima, che era
capace di accogliere Dio, diventava capace anche di accogliere la carne. Nulla
devi ritenere impossibile là dove era presente la potenza dell’Altissimo; nulla
devi pensare di umana fragilità là dove era presente la pienezza della
divinità.
12.
Crocifisso sotto Ponzio Pilato e sepolto, discese nell’inferno. L’apostolo
Paolo insegna che gli occhi del nostro cuore debbono essere illuminati per
comprendere quale sia l’altezza e la larghezza e la profondità (Ef 1,
18; 3, 18). Altezza larghezza profondità sono descrizione della croce. Infatti
Paolo ha chiamato profondità quella parte ch’è conficcata in terra; altezza
quella parte che protesa nell’aria si erge in alto; larghezza infine quella
parte che distesa si allarga a destra e a sinistra. Poiché dunque ci sono tante
specie di morte, con le quali gli uomini sono soliti uscire da questa vita,
l’Apostolo vuole che noi con cuore illuminato conosciamo il motivo per cui di
tutte queste specie è stata scelta proprio quella della croce per la morte del
Salvatore.
A
tale proposito bisogna sapere che la croce era segno di trionfo: infatti il
trofeo è il segno del trionfo, in quanto è segno della vittoria sul nemico.
Poiché dunque Cristo col suo avvento ha sottomesso parimenti a sé i tre regni
(questo infatti indica Paolo là dove dice: "In nome di Gesù si piegherà
ogni ginocchio, delle creature celesti e terrestri e infernali" [Fil
2, 10]) e tutti e tre li ha vinti con la sua morte, è stata prescelta una
specie di morte che fosse adatta ad indicare il mistero: infatti sollevato in
alto e sottomettendo le potenze dell’aria, riportava vittoria su queste potenze
eccelse e celesti; teneva poi le mani distese tutto il giorno, come dice il
profeta (Is 65, 2), rivolto al popolo ch’è in terra, per accusare
gl’increduli e invitare i credenti; con quella parte poi della croce che è
immersa sotto terra sottometteva a sé i regni infernali.
13.
Infatti – per dire in breve qualcosa anche sugli argomenti più segreti – quando
Dio all’inizio fece il mondo vi mise a capo alcune gerarchie di potenze celesti
da cui fosse retto e amministrato il genere umano. Che così sia stato fatto
indica Mosè nel cantico del Deuteronomio, dove dice: "Quando
l’Eccelso divideva i popoli, stabilì i confini delle genti secondo il numero
degli angeli di Dio" (Deut 32, 8). Ma alcuni di costoro, come anche
colui ch’è chiamato principe del mondo (Gv 12, 31), usarono del potere
ch’era stato dato loro da Dio non secondo le norme con le quali l’avevano
ricevuto; e così insegnarono agli uomini a ubbidire non ai precetti divini
bensì alle loro prevaricazioni: perciò è stata scritta a nostro danno
l’obbligazione derivante dai peccati, perché, come dice il profeta, siamo stati
venduti a causa dei nostri peccati (Is 50, 1). Infatti ognuno riceve un
prezzo per la propria anima quando abbia soddisfatto i suoi cattivi desideri.
Ma
questa obbligazione di noi tutti, ch’era in mano di quei pessimi reggitori,
Cristo col suo avvento l’ha strappata via ed ha privato quelli di tale potere.
Proprio a questo allude Paolo con parole piene di mistero, là dove dice di
Cristo: "Distruggendo l’obbligazione che era contro di noi e inchiodandola
sulla croce, espose alla pubblica derisione i principati e le potenze,
trionfando su di loro in se stesso" (Col 2, 14-15). Perciò quei
reggitori, che Dio aveva messo a capo del genere umano, voltisi alla tirannia
con spirito di ribellione, intrapresero ad aggredire gli uomini ch’erano stati
loro affidati e a debellarli con l’arma del peccato, secondo quanto accenna con
parole coperte il profeta Ezechiele dicendo: "In quel giorno avanzeranno
gli angeli affrettandosi a distruggere l’Etiopia, e ci sarà tra quelli gran
turbamento nel giorno dell’Egitto, perché quel giorno verrà" (Ez
30, 9). Perciò a ragione è scritto che Cristo, dopo averli privati di tutto il
loro potere, ha trionfato su di loro e ha trasferito il potere da loro agli
uomini come egli stesso dice nel Vangelo ai suoi discepoli: "Ecco, vi ho
dato il potere di calpestare i serpenti e gli scorpioni, e tutta la forza del
nemico" (Lc 10, 19). Così la croce di Cristo ha assoggettato
costoro, che male avevano usato del potere loro concesso, a quelli che una
volta erano stati loro soggetti.
A
noi poi, cioè al genere umano, insegna per prima cosa a resistere fino alla
morte contro il peccato ed ad accettare volentieri la morte per la fede. Infine
con questa sua croce propone a noi anche esempio di ubbidienza, come a quelli,
che una volta erano stati nostri reggitori, ha stabilito pene per la loro
protervia. Senti infatti come l’apostolo vuole insegnarci l’ubbidienza per mezzo
della croce di Cristo: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti ch’erano in
Cristo Gesù: egli, essendo nella natura di Dio, non tenne gelosamente per sé
l’essere uguale a Dio, ma annientò se stesso assumendo la forma di schiavo;
fatto a somiglianza degli uomini e reso nell’aspetto come un uomo, fu
ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce" (Fil 2, 5-8).
Poiché infatti è grande maestro colui che opera in conformità del suo
insegnamento, egli ha insegnato che le persone pie debbono osservare
l’ubbidienza anche a costo della morte, morendo egli stesso il primo per essa.
14.
Ma forse qualcuno si potrebbe spaventare ad ascoltare una tale dottrina:
infatti trattiamo ora della morte di colui che poco fa abbiamo detto essere
sempiterno insieme con Dio Padre e generato dalla sua sostanza, e che abbiamo
insegnato essere una cosa sola col Padre per regno eternità maestà. Ma non
voglio che ti spaventi, o fedele ascoltatore: colui che ora senti dire morto,
fra poco di nuovo lo vedrai immortale. Infatti egli accoglie la morte per
depredare la morte.
Infatti
il mistero dell’incarnazione, che or ora abbiamo esposto, è stato determinato
da questo motivo: che il Figlio di Dio nella sua divina potenza, come un amo,
rivestito di aspetto umano e, secondo quanto ha detto or ora l’apostolo, reso
nell’aspetto come un uomo (Fil 2, 7), potesse invitare alla lotta il
principe del mondo. Consegnando a questo la sua carne come esca, egli lo ha
afferrato grazie all’amo della divinità che gli si era profondamente conficcato
dentro, e con l’effusione del sangue immacolato – infatti solo lui non conosce
macchia di peccato – ha distrutto i peccati di tutti: di quelli almeno che
avevano segnato col suo sangue la porta della loro fede (Es 12, 7). Se
un pesce afferra l’amo ch’è nascosto dall’esca, non soltanto porta via l’esca
insieme con l’amo ma egli stesso è strappato via dall’acqua, per essere poi
esca per gli altri pesci: così anche colui che esercitava l’impero della morte
ha portato via il corpo di Gesù per darlo alla morte, senza accorgersi che
dentro quel corpo era nascosto l’amo della divinità; così quando l’ha divorata,
egli stesso subito è rimasto attaccato e, rotti i cancelli dell’inferno, è
tirato via quasi che fosse tratto fuori dal profondo del mare, al fine di
essere esca per altri.
Che
così sarebbe stato già lo aveva prefigurato il profeta Ezechiele con la stessa
immagine dicendo: "Ti tirerò fuori con il mio amo e ti distenderò sulla
terra. I campi saranno ripieni di te e radunerò su di te tutti gli uccelli del
cielo e sazierò di te tutte le bestie della terra" (Ez 32, 3-4).
Anche David dice: "Lo ha dato come esca ai popoli d’Etiopia" (Sal
73, 14). E Giobbe parla in modo analogo sullo stesso mistero: afferma infatti
in persona di Dio che gli parla: "O condurrai il dragone con un amo o
porrai una cavezza intorno alle sue narici" (Giob 40, 20).
15.
Perciò Cristo ha patito nella carne senza danno o offesa per la sua divinità ma
al fine di operare la salvezza per mezzo della debolezza della carne, la natura
divina è discesa nella morte, non per essere trattenuta dalla morte secondo la
legge delle creature mortali, ma per aprire le porte della morte a quelli che
grazie a lui sarebbero risorti. È come se un re si rechi ad una prigione ed
entrato dentro apra le porte, sciolga catene e ceppi, infranga cancelli e
chiavistelli, conduca fuori alla libertà quelli che erano incatenati e
restituisca alla luce e alla vita quelli che sedevano nell’oscurità e all’ombra
della morte (Sal 106, 10). Diremo allora che il re, certo, è stato in
prigione, ma tuttavia non nella condizione che era stata di quelli che venivano
tenuti in prigione: ma quelli vi erano tenuti per scontare le pene, egli invece
c’è venuto per rimettere le pene.
16.
Quelli che hanno tramandato il Simbolo hanno anche indicato nel modo più
preciso il tempo in cui tutto ciò è avvenuto: sotto Ponzio Pilato, per evitare
che la tradizione dei fatti, incerta e generica in qualche parte, riuscisse
meno probante. Bisogna poi sapere che nel Simbolo della Chiesa di Roma non è
aggiunta l’espressione discese nell’inferno, ed essa non è in uso
neppure nelle Chiese d’Oriente: ma lo stesso concetto di queste parole è
espresso là dove è detto che egli è stato sepolto.
Ma
poiché tu sei molto attaccato e interessato alle Sacre Scritture, certamente mi
dirai che tutte queste verità debbono essere confortate da più perentorie
testimonianze tratte appunto di lì. Quanto più infatti è importante ciò che si
deve credere, tanto più necessita di testimonianze idonee e al di sopra di ogni
dubbio. Ciò che tu chiedi è giusto e ragionevole: ma noi, in quanto ci
rivolgiamo a chi conosce la Legge, per esigenza di brevità tralasciamo una gran
massa di testimonianze. Presenteremo tuttavia poche cose fra le tante, se ci si
accontenta anche di queste, sapendo che a quanti si dedicano allo studio delle
Sacre Scritture si spalanca a tal proposito un immenso mare di testimonianze.
17.
Innanzitutto bisogna sapere che il valore della croce non è uno solo e lo
stesso per tutti: ma essa ha un significato per i pagani, un altro per i
Giudei, un altro per i credenti, come anche l’apostolo dice: "Noi poi
predichiamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, ma
per quanti sono stati chiamati sia Giudei sia Greci potenza di Dio e sapienza
di Dio" (1Cor 1, 23-24). E in un altro luogo: "Infatti la
parola della croce è pazzia per quanti periscono, ma per coloro che si salvano
è potenza di Dio" (1Cor 1, 18). Infatti i Giudei, che dalla Legge
avevano appreso che il Cristo sarebbe rimasto in eterno (Gv 12, 34),
traevano motivo di scandalo dalla sua croce, perché non vollero credere nella
sua resurrezione. Ai pagani poi sembrava pazzia credere che Dio era morto,
perché essi ignoravano il mistero della incarnazione. I fedeli invece, che
avevano creduto che Cristo era nato, aveva patito ed era risorto dai morti,
giustamente credevano che era potenza di Dio quella che aveva vinto la morte.
Per
prima cosa dunque ascolta come dalla parola profetica di Isaia è indicato che i
Giudei, cui i profeti avevano predetto queste verità, non avrebbero creduto, e
invece avrebbero creduto quelli che mai avevano ascoltato ciò dai profeti:
"Coloro – egli dice – cui questo non è stato annunziato, vedranno, e
coloro che non hanno ascoltato, comprenderanno" (Is 52, 15). Lo
stesso Isaia in questo modo predice che, mentre non credettero quelli che
meditavano la legge di Dio dalla fanciullezza alla vecchiaia, tutto il mistero
della salvezza sarebbe stato trasferito ai pagani: "Ecco – egli dice –, il
Signore degli eserciti preparerà a tutte le genti un banchetto su questo monte:
berranno la gioia, berranno vino, si ungeranno di profumi su questo monte: dà
ai pagani tutti questi beni. Questa è la volontà del Signore onnipotente
riguardo a tutti i pagani" (Is 25, 6-7).
Ma
forse quelli che si vantano della conoscenza della Legge ci obietteranno:
Bestemmiate voi che affermate che il Signore è stato soggetto alla corruzione
della morte e alla passione della croce. Ma allora leggete quanto trovate
scritto nelle Lamentazioni di Geremia, là dove egli dice: "Lo spirito
del nostro volto, Cristo Signore, fu preso a causa dei nostri peccati, riguardo
al quale abbiamo detto: Sotto la sua ombra vivremo fra i pagani" (Lam
4, 20). Ascolta come quello profetizza che Cristo Signore è stato preso e per
noi, cioè a causa dei nostri peccati, è stato dato in preda alla corruzione; e
poiché il popolo ch’è rimasto incredulo è stato rigettato via, dice che
all’ombra del Signore vivremo non in Israele ma fra i pagani.
18.
Che se poi non sembra troppo laborioso, voglio indicare come nei profeti siano
stati predetti tutti i particolari che riferiscono i vangeli: in tal modo
quelli che ricevono i primi rudimenti della fede possono tenere scritte nel
loro cuore queste testimonianze, perché non si insinui in loro alcuna funesta
incertezza riguardo al contenuto di questa loro fede.
Il
vangelo ci insegna che Giuda, uno degli amici e dei commensali di Cristo, lo
tradì (Mt 26, 14-16): ascolta come ciò venga predetto nei Salmi: "Uno
che ha mangiato il mio pane, ha teso l’insidia contro di me" (Sal
40, 10). E in un altro luogo: "I miei amici e i miei congiunti si sono
avvicinati e stettero contro di me" (Sal 37, 12). E ancora:
"Si sono ammorbidite le loro parole più dell’olio, ed esse erano
dardi" (Sal 54, 22). Vuoi vedere in che modo si sono ammorbidite?
"Venne – è detto – Giuda da Gesù e gli disse: Salve, Maestro, e lo
baciò" (Mt 26, 49). Con l’allettamento dolce di un bacio infisse il
dardo esecrando del tradimento. Per cui il Signore gli dice: "Giuda, con
un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?" (Lc 22, 48).
Senti
dire che egli è stato valutato trenta monete d’argento dalla cupidigia del
traditore (Mt 26, 15). Ascolta anche su questo particolare la parola del
profeta: "Dissi loro: Se vi par bene, datemi la ricompensa oppure dite di
no". E subito dopo: "E ricevetti trenta monete d’argento e le gettai
nella casa del Signore per essere fuse" (Zac 11, 12-13). Non è
proprio questo ciò che si legge nel vangelo, che Giuda preso da penitenza
riportò indietro il danaro, lo gettò nel tempio e si allontanò? (Mt 27,
3-5). Bene anche il profeta ha parlato di ricompensa di Giuda, col sentimento
di chi accusa e rimprovera. Infatti tante opere buone Gesù aveva fatto presso
di loro: aveva dato la vista ai loro ciechi, l’uso dei piedi agli zoppi, la
possibilità di muoversi ai paralitici; aveva restituito anche la vita ai morti
(Gv 10, 32; Mt 11, 5). In contraccambio di tutti questi benefici
gli danno la morte, valutata al prezzo di trenta monete d’argento. Nel vangelo
è detto anche ch’egli fu legato. Lo aveva predetto la parola del profeta,
dicendo così per bocca di Isaia: "Guai alle loro anime, perché hanno fatto
un pessimo pensiero contro sé stessi, dicendo: Incateniamo il giusto, perché ci
è molesto" (Is 3, 9; Ez 38, 10; Sap 2, 12).
19.
Ma qualcuno obietterà: Ma dobbiamo intendere tutto ciò del Signore? Che forse
il Signore poteva essere preso dagli uomini e tratto in giudizio? Proprio di
questo ti convincerà il medesimo profeta con queste parole: "Il Signore
verrà in giudizio con gli anziani e con i capi del popolo" (Is 3,
14). Proprio il Signore viene giudicato secondo la testimonianza del profeta:
non solo giudicato ma flagellato, percosso nel volto con le mani e sputacchiato
(Gv 19, 1-3); e per noi sopporta ogni offesa e indegnità. E poiché tutti
si sarebbero stupiti ad udire tali cose dagli apostoli, ecco che ancora il
profeta in loro persona esclama e dice: "Signore, chi ha creduto alla
nostra parola?" (Is 53, 1). Infatti era incredibile che si dicesse
che Dio Figlio di Dio avesse patito tali tormenti; perciò questi vengono
predetti dai profeti affinché non avessero a dubitare coloro che avrebbero
creduto. Ecco pertanto che lo stesso Cristo Signore dice in sua persona:
"Ho presentato la mia schiena ai flagelli e le mie guance alle percosse, e
non ho distolto la mia faccia dalla vergogna degli sputi" (Is 50,
6).
Fra
gli altri patimenti è scritto anche che legatolo lo condussero al cospetto di
Pilato (Mt 27, 2). Anche questo ha predetto il profeta, là dove dice:
"E legatolo lo condussero in dono al re Iarim" (Os 10, 6). A
meno che uno non faccia questa obiezione: Ma Pilato non era re. Ma sta a
sentire che cosa dice il vangelo subito dopo: "Pilato, ad udire ch’egli
era della Galilea, lo mandò ad Erode, che allora era re in Israele" (Lc
23, 6-7). Ed a ragione il profeta ha aggiunto il nome Iarim, che significa
selvatico. Infatti Erode non era della casa d’Israele né di quella vigna
israelitica, che il Signore aveva portato fuori dall’Egitto e aveva piantato in
cima ad un fertile colle (Is 5, 1); ma era selvatico, cioè apparteneva
alla selva degli stranieri: per questo è chiamato selvatico, come quello che
mai era cresciuto dai tralci della vite d’Israele. E anche ciò che ha detto il
profeta: "in dono", si adatta benissimo. Allora infatti – come
afferma il vangelo (Lc 23, 12) – Erode e Pilato, che prima erano nemici,
fecero pace e come dono per la loro riconciliazione mandavano legato Gesù l’uno
dall’altro. Ma che cosa importa questo, purché Gesù dovunque riconcilii quelli
che sono in discordia, ristabilisca la pace e la concordia? Anche di questo è
scritto in Giobbe: "Il Signore riconcilia i cuori dei principi
della terra" (Giob 12, 24).
20.
È anche raccontato che, volendolo Pilato lasciar libero, tutto il popolo gridò:
"Crocifiggilo, crocifiggilo" (Gv 19, 12; Lc 23, 21). Lo
aveva predetto il profeta Geremia, dicendo in persona proprio del Signore:
"La mia eredità è diventata per me come un leone nella selva: ha lanciato
contro di me la sua voce; per questo l’ho avuta in odio, e per questo ho
abbandonato – egli dice – la mia casa" (Ger 12, 8. 7). E ancora in
un altro passo: "Su chi avete aperto la vostra bocca e contro chi avete
sciolto le vostre lingue?" (Is 57, 4). È scritto che, mentre veniva
giudicato, Gesù taceva (Mt 26, 63). Molti passi della Scrittura ne son
testimoni. Nei Salmi è scritto: "Sono diventato come uno che non
sente e che non ha nella sua bocca parole per rimproverare" (Sal
37, 15). E ancora: "Ma io come un sordo non ascoltavo, ed ero come muto
che non apre la sua bocca" (Sal 37, 14). E ancora un altro profeta:
"Come un agnello di fronte al tosatore, così non ha aperto la sua bocca;
nell’umiliazione fu portato il giudizio contro di lui" (Is 53,
7-8).
È
scritto che gli fu imposta una corona di spine (Mc 15, 17). Riguardo a
questo ascolta nel Cantico dei cantici, sull’iniquità di Gerusalemme, la
voce del Padre che si meraviglia dell’ingiuria fatta al Figlio e dice:
"Uscite e osservate, figlie di Gerusalemme, la corona con la quale lo ha
coronato sua madre" (Ct 3, 11). E così un altro profeta ricorda le
spine: "Ho aspettato che (la vigna) producesse uva; invece ha prodotto
spine; non giustizia ma iniquità" (Is 5, 2. 7). Tuttavia, perché tu
conosca anche le verità più segrete, era necessario che colui che era venuto a
portar via i peccati del mondo, purificasse anche la maledizione della terra;
essa infatti, a causa del peccato del primo creato, aveva ricevuto la sentenza
per la prevaricazione, con queste parole del Signore: "La terra sarà
maledetta per la tua azione, e produrrà per te spine e triboli" (Gen
3, 17-18). Perciò Gesù vien coronato di spine, affinché quella prima sentenza
di condanna fosse abolita. È condotto alla croce, e al legno viene sospesa la
vita di tutto il mondo (Mt 27, 35). Vuoi avere anche su questo la
conferma delle parole del profeta? Ascolta Geremia che dice: "Venite e
gettiamo il legno nel suo pane e spazziamolo via dalla terra dei vivi" (Ger
11, 19). E ancora Mosè, quasi compiangendoli, dice: "E la tua vita sarà
sospesa davanti ai tuoi occhi, e temerai giorno e notte e non crederai alla tua
vita" (Deut 28, 66). Ma dobbiamo passare oltre: infatti abbiamo già
oltrepassato il limite della brevità che ci eravamo proposti e abbiamo
protratto con lunga argomentazione il discorso abbreviato. Tuttavia
aggiungeremo ancora qualcosa, per non trascurare completamente ciò che abbiamo
incominciato.
21.
È scritto che Gesù, colpito al fianco, emise insieme acqua e sangue (Gv
19, 34). Certo questo particolare ha significato occulto: infatti proprio lui
aveva detto: "Scaturiranno dal suo ventre fiumi di acqua viva" (Gv
7, 38). E ha emesso anche quel sangue che i Giudei avevano chiesto che
ricadesse su di loro e sui loro figli (Mc 27, 25). Perciò ha emesso
l’acqua che purificasse i credenti, ed ha emesso il sangue che condannasse
gl’increduli. Ma si può anche intendere che in questo particolare è
simboleggiata la duplice grazia del battesimo: una è quella che viene data per
mezzo dell’acqua battesimale; l’altra è quella che viene cercata per mezzo del
martirio con l’effusione di sangue: infatti l’uno e l’altro sono chiamati
battesimo. Che se ricerchi anche perché è detto che egli emise acqua e sangue
non da altro membro ma proprio dal fianco, mi sembra che qui nel fianco sia
indicata, per tramite della costola, la donna. Infatti poiché la fonte del
peccato e della morte derivò dalla prima donna, che fu la costola del primo
Adamo (Gen 2, 22), per questo anche la fonte della redenzione e della
vita scaturisce dalla costola del secondo Adamo.
22.
È scritto che durante la sua passione discesero le tenebre dall’ora sesta
all’ora nona (Mt 27, 45). Sta a sentire anche su questo punto la
testimonianza del profeta che dice: "Il sole tramonterà per te a
mezzogiorno" (Am 8, 9). E ancora il profeta Zaccaria: "In quel
giorno – dice – non ci sarà luce. Ci sarà freddo e gelo in un giorno, e quel
giorno è noto al Signore, e non ci sarà giorno né notte, e ci sarà luce al
tramonto" (Zac 14, 6-7). Che cosa di altrettanto evidente avrebbe
potuto dire il profeta, sì che sembrasse non tanto predire cose future quanto
raccontare cose già passate? Ha predetto anche il freddo, anche il gelo: per
questo infatti Pietro si riscaldava al fuoco (Gv 18, 18), perché era
freddo; ed egli soffriva il freddo non soltanto del tempo ma anche della fede.
Il profeta ha aggiunto ancora: "E quel giorno è noto al Signore, e non ci
sarà né notte né giorno". Che significa: Non ci sarà notte né giorno?. Che
forse non ha parlato chiaramente delle tenebre che sono sopraggiunte durante il
giorno, e della luce che è stata richiamata indietro? Quello non fu un giorno:
infatti non cominciò col sorgere del sole. Né fu vera e propria notte: infatti
non intraprese dall’inizio il cammino che le è assegnato, dopo ch’era stato
completato il corso del giorno, né lo condusse fino al termine stabilito: ma la
luce, allontanata dal delitto degli empi, tornò al tramonto. Infatti dopo l’ora
nona, scacciate le tenebre, il sole è restituito al mondo. E di questo stesso
fatto un’altra testimonianza dice: "E di giorno si oscurerà la luce sopra
la terra" (Am 8, 9).
23.
La predicazione del vangelo c’insegna anche che i soldati si divisero le vesti
di Gesù e trassero a sorte la sua tunica (Mt 27, 35). Anche questo lo
Spirito Santo ha avuto cura che fosse annunziato dalla parola del profeta, che
dice: "Si sono divise le mie vesti e hanno gettato la sorte sul mio
vestito" (Sal 21, 19). Ma i profeti non hanno neppure taciuto di
quella veste che – com’è scritto – i soldati gli fecero indossare per
schernirlo, cioè la veste purpurea (Mt 27, 28). Ascolta infatti che cosa
dice Isaia: "Chi è costui che viene da Edom? e le sue rosse vesti da
Bosra? Perché è rosso il tuo vestito, e le tue vesti come quelle che vengon
fuori da un torchio pigiato?" (Is 63, 1-2). Sì che egli stesso
risponde: "Da solo ho pigiato il torchio, figlie di Sion" (Is
63, 3). Uno solo è infatti colui che non ha commesso peccato ed ha portato via
il peccato del mondo (1Pt 2, 22; Gv 1, 29). Se infatti la morte è
potuta entrare a causa del peccato di uno solo, quanto più ha potuto essere
restituita la vita per opera di un solo uomo, ch’era anche Dio? (Rom 5,
12).
24.
È scritto anche che Gesù è stato dissetato con aceto o con vino mirrato, ch’è
più amaro del fiele (Mt 27, 34.48). Ascolta che cosa su questo aveva
predetto il profeta: "Per cibo mi hanno dato fiele e nella sete mi hanno
dato da bere aceto" (Sal 68, 22). E riferendosi a questo fatto già
a suo tempo Mosè diceva di quel popolo: "Delle vigne di Sodoma è la loro
vite, e i loro tralci sono di Gomorra; la loro uva è di fiele e il loro
grappolo è amaro" (Dt 32, 32). E rimproverandoli dice ancora:
"Popolo sciocco e non saggio, hai contraccambiato così il Signore?" (Dt
32, 6). Anche nel Cantico sono prefigurati gli stessi fatti, dove è
ricordato anche il giardino nel quale fu crocifisso. Infatti il Signore dice
così: "Sono entrato nel mio giardino, sorella mia sposa, e ho vendemmiato
la mia mirra" (Ct 5, 1), dove chiaramente ha indicato il vino
mirrato col quale fu dissetato.
25.
È scritto che subito dopo rese lo spirito (Mt 27, 50). Anche questo era
stato preannunziato dal profeta, che in persona del Figlio diceva al Padre:
"Nelle tue mani affido il mio spirito" (Sal 30, 6). È
raccontato che fu sepolto e che all’entrata della tomba fu apposta una grande
pietra (Mt. 27, 60). Ascolta che cosa su questo abbia predetto la parola
profetica di Geremia: "Hanno messo a morte in una fossa la mia vita e
hanno posto una pietra su di me" (Lam 3, 53). È questo un accenno
chiarissimo fatto dalla parola del profeta alla sua sepoltura. Ma stanne a
sentire anche altri: "Il giusto – è scritto – fu tratto via dal cospetto
dell’iniquità e il suo posto sarà in pace" (Is 57, 1). E altrove:
"E darò i cattivi per sua sepoltura" (Is 53, 9). E ancora un
altro passo: "Giacendo hai dormito come un leone e come un leoncello: chi
lo risveglierà? (Gen 49, 9).
26.
Anche la sua discesa all’inferno (Rom 10, 7; 1Pt 3, 18-20) è
prefigurata con chiarezza nei Salmi, dove egli dice: "Mi hai tratto
nella polvere della morte" (Sal 21, 16). E ancora: "Che
giovamento c’è nel mio sangue, mentre discendo nella corruzione?" (Sal
29, 10). E ancora: "Son disceso nel fango profondo e non c’è sostegno per
me" (Sal 68, 3). Anche Giovanni dice: "Sei tu che verrai? –
senza dubbio nell’inferno – o aspettiamo un altro?" (Lc 7, 20). Sì
che anche Pietro dice: "Cristo messo a morte quanto alla carne, ma
riportato in vita quanto allo spirito, con questo spirito va anche a predicare
a quegli spiriti che erano stati chiusi in carcere, che erano stati increduli
nei giorni di Noè" (1Pt 3, 18-20). Qui è anche spiegato che cosa
egli abbia operato nell’inferno. Ma proprio il Signore, quasi riferendosi al
futuro, dice per mezzo del profeta: "Non abbandonerai l’anima mia
nell’inferno e non permetterai che il tuo santo provi la corruzione" (Sal
15, 10). E nondimeno, con parola profetica egli dimostra ancora che questo si è
verificato, quando dice: "Signore, hai condotto fuori dall’inferno la mia
anima e mi hai salvato da quelli che discendevano nella fossa" (Sal
29, 4).
27.
Poi il Simbolo continua: Il terzo giorno è risorto. La gloria della
resurrezione ha dissolto in Cristo tutto ciò che appariva debole e fragile. Se
poco fa non ti sembrava possibile che l’immortale venisse a morte, osserva ora
come non possa essere mortale colui che, vinta la morte, è detto essere
risorto. E comprendi in questo la bontà del creatore, perché egli avendo pietà
di te è disceso fin là dove tu eri stato precipitato a causa del peccato. Né
accuserai d’impotenza Dio creatore di tutte le cose, sì da credere che la sua
creatura a causa della caduta sia stata imprigionata là dove egli non poteva
arrivare per liberarla. Parliamo di livelli inferiori e superiori in relazione
a noi, che chiusi in una ben delimitata forma corporea, siamo ristretti entro i
limiti della norma che ci è stata assegnata. Ma per Dio, ch’è dovunque e non
manca da nessuna parte, che cosa è inferiore e che cosa superiore? E tuttavia
nell’incarnazione si realizza anche questa delimitazione.
È
risorta la carne che era stata deposta nel sepolcro, perché si adempisse ciò
ch’era stato predetto dal profeta: "Non permetterai che il tuo santo provi
la corruzione" (Sal 15, 10). Perciò torna vincitore dai morti,
traendo con sé le spoglie dell’inferno: infatti ha condotto fuori coloro
ch’erano trattenuti dalla morte, come egli stesso aveva predetto con queste
parole: "Quando sarò innalzato, trarrò tutto a me" (Gv 12,
32). E di ciò è testimone anche il vangelo, là dove dice: "Si aprirono i
sepolcri, e molti corpi di santi che vi riposavano risorsero e apparvero a
molti, ed entrarono nella città santa" (Mt 27, 52-53): per certo
entrarono in quella città santa della quale l’apostolo dice: "Ma la
Gerusalemme di lassù è libera, essa ch’è la madre di tutti noi" (Gal
4, 26). Come dice in altro passo anche agli Ebrei: "Era giusto che colui,
per il quale e dal quale sono state create tutte le cose, volendo condurre alla
gloria molti figli, elevasse a perfezione, per mezzo dei patimenti, l’autore
della loro salvezza" (Eb 2, 10). Perciò (Cristo) ha collocato nel
più alto dei cieli alla destra del trono di Dio la carne elevata a perfezione
dai patimenti, per mezzo della quale con la potenza della resurrezione aveva
riparato il peccato del primo creato; sì che anche l’apostolo dice:
"Insieme con lui ci ha resuscitato e insieme ci ha fatto sedere nei
cieli" (Ef 2, 6). Infatti egli era il vasaio che, come c’insegna il
profeta Geremia, "il vaso che gli era sfuggito di mano e si era rotto, di
nuovo lo tirò su con le sue mani e lo plasmò di nuovo, come volle" (Ger
18, 4). Così il corpo, che aveva assunto mortale e corruttibile, innalzato
dalla pietra del sepolcro e fatto immortale e incorruttibile, egli ha voluto
collocare non già in terra ma in cielo e alla destra del Padre. Di questi
misteri sono piene le Scritture del Vecchio Testamento: non ne ha taciuto
nessun profeta, nessuno scrittore di leggi, nessuno scrittore di salmi; ma ne
parla quasi ogni pagina sacra. Mi sembra perciò superfluo indugiare a radunare
testimonianze. Addurremo tuttavia pochi passi, proprio pochi, rinviando alle
stesse fonti dei libri divini quanti vogliono abbeverarsi più copiosamente.
28.
È detto subito nei Salmi: "Mi ero assopito e immerso nel sonno, e
mi svegliai perché il Signore mi difenderà" (Sal 3, 6); e in un
altro passo: "Per lo strazio dei miseri e il gemito dei poveri subito mi
leverò, dice il Signore" (Sal 11, 6); e in un altro passo, come
sopra abbiamo detto: "Signore, hai condotto fuori dell’inferno la mia
anima, mi hai salvato da quelli che discendevano nella fossa" (Sal
29, 4); e ancora: "Perché rivolto a me mi hai ridato la vita e mi hai
tratto fuori di nuovo dalla profondità della terra" (Sal 70, 20). E
nel modo più chiaro nel Salmo 87 è detto di lui: "E diventò come un
uomo senza aiuto, libero fra i morti" (Sal 87, 5-6). Il salmista
non ha detto "uomo", ma "come un uomo". Infatti era come un
uomo, perché era disceso nell’inferno; ma era libero tra i morti, perché la
morte non lo poteva trattenere: perciò una parola presenta la natura dell’umana
fragilità, e l’altra la natura della maestà divina. Il profeta Osea ha predetto
con evidenza anche il terzo giorno in questo modo: "Ci risanerà dopo due
giorni; e il terzo giorno risorgeremo e vivremo al suo cospetto" (Os
6, 3). Osea qui parla nella persona di quelli che, risorgendo con lui il terzo
giorno, sono richiamati dalla morte alla vita; e son questi che dicono:
"Il terzo giorno risorgeremo e vivremo al suo cospetto". Invece Isaia
dice apertamente: "Colui che trasse fuori dalla terra il grande pastore
delle pecore" (Is 63, 11).
Quanto
poi al fatto che le donne avrebbero visto la sua resurrezione, mentre gli
scribi, i farisei e il popolo non avrebbero creduto, anche questo Isaia predice
con tali parole: "Donne, che venite dallo spettacolo, accorrete: infatti
non è un popolo che abbia raziocinio" (Is 27, 11). Quanto poi a
quelle donne di cui si dice che vennero al sepolcro, lo cercarono e non lo
trovarono, come di Maria si dice che venne prima dell’alba e, non avendolo
trovato, disse piangendo all’angelo che stava là: "Hanno portato via il
Signore e non so dove l’hanno messo" (Lc 24, 1-3; Gv 20, 1.
13), anche tutto ciò è predetto nel Cantico dei cantici così: "Nel
mio letto ho cercato quello che la mia anima ha amato; di notte l’ho cercato e
non l’ho trovato" (Ct 3, 1. 2). Anche riguardo alle donne che lo
trovarono e abbracciarono i suoi piedi, ecco la predizione nel Cantico dei
cantici: "Lo abbraccerò e non lo lascerò andar via, lui che l’anima
mia ha amato" (Ct 3, 4). Ecco per ora poche testimonianze fra le
tante: infatti cerchiamo di essere brevi e perciò non ne possiamo mettere
insieme di più.
29.
È asceso in cielo, siede alla destra del Padre: di li verrà a giudicare i
vivi e i morti. Questo contiene la continuazione del discorso abbreviato
sulla fede, dove è chiaro ciò che vien detto ma bisogna ricercare in che senso
tutto ciò debba essere inteso: infatti una volta che non intendiamo secondo la
dignità della divinità l’essere asceso e l’essere seduto e l’essere in procinto
di venire, con tali espressioni sarà indicato l’agire dell’umana fragilità. E
infatti, realizzato completamente ciò che aveva operato in terra e richiamate
dall’inferno le anime prigioniere, si dice che Gesù ascende in cielo, come
aveva predetto il profeta: "Ascendendo in alto, ha condotto prigioniera la
prigionia, ha dato doni agli uomini" (Sal 67, 19 Ef 4, 8).
Quei doni, cioè, che Pietro, negli Atti degli apostoli, indicava nello
Spirito Santo: "Perciò esaltato dalla destra di Dio, ha effuso questo
dono, che voi vedete e ascoltate" (At 2, 33). Perciò Cristo ha dato
agli uomini il dono dello Spirito Santo, perché i prigionieri, che prima il
diavolo aveva condotto giù nell’inferno a causa del peccato, egli grazie alla
resurrezione dalla sua morte li ha richiamati in cielo.
È
asceso in cielo, non dove prima il Verbo Dio non era stato (infatti egli era
sempre in cielo e rimaneva presso il Padre), ma dove il Verbo fatto carne prima
non aveva seduto. Poiché infatti tale ingresso appariva nuovo ai custodi e
principi delle porte del cielo, al vedere la natura della carne che entrava nel
recesso più intimo del cielo, essi dicono l’un l’altro, come riferisce David
pieno di Spirito Santo: "Alzate, principi, le vostre porte e innalzatevi,
porte eterne, ed entrerà il re della gloria. Chi è questo re della gloria? Il
Signore forte e potente, il Signore potente in battaglia" (Sal 23,
7-8). Certo queste parole vengono pronunziate non a causa della potenza della
divinità, ma per la novità rappresentata dalla carne che ascendeva alla destra
di Dio. E dice altrove lo stesso David: "È asceso Dio fra il giubilo, il
Signore al suono della tromba" (Sal 46, 6). È costume infatti che
il vincitore ritorni dalla battaglia al suono della tromba. Di lui è detto
anche: "Egli stabilisce in cielo il suo trono" (Am 9, 6). E
ancora altrove: "Egli è salito sui Cherubini ed ha volato, ha volato sulle
ali dei venti" (Sal 17, 11).
30.
Anche sedere alla destra del Padre è mistero della carne assunta. Infatti ciò
non si adatta convenientemente alla incorporea natura di Cristo senza
l’assunzione della carne; ed è non la natura divina bensì quella umana che
progredisce fino alla sede celeste. Per cui è detto: "Da allora, Signore,
è preparata la tua sede: da ogni tempo tu sei" (Sal 92, 2). Perciò
è preparata già da ogni tempo la sede in cui si sarebbe seduto colui nel cui
nome "si piegherà ogni ginocchio: delle creature celesti e terrestri e
infernali, e ogni lingua proclamerà che il Signore Gesù Cristo è nella gloria
di Dio Padre" (Fil 2, 10-11). Di questo David dice così: "Ha
detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi
nemici sgabello dei tuoi piedi" (Sal 109, 1). Infatti proprio
spiegando nel vangelo queste parole, il Signore diceva ai Farisei: "Ma se
David, ispirato dallo Spirito, lo chiama Signore, come può essere suo
figlio?" (Mt 22, 45). Con ciò dimostra che secondo lo spirito egli
è Signore, e secondo la carne è figlio di David. Sì che proprio il Signore dice
ancora: "Anzi vi dico: D’ora in avanti vedrete il Figlio dell’uomo sedere
alla destra della potenza" (Mt 26, 64). E l’apostolo Pietro dice di
Cristo: "Egli, che siede in cielo alla destra di Dio" (1Pt 3,
22). E anche Paolo, scrivendo agli Efesini: "Secondo l’operazione – dice –
della sua smisurata potenza, che egli ha realizzato in Cristo, risuscitandolo
dai morti e facendolo sedere alla sua destra" (Ef 1, 19-20).
31.
Che verrà a giudicare i vivi e i morti, ce lo insegnano molte testimonianze
delle Sacre Scritture. Ma prima di riferire queste predizioni dei profeti,
ritengo opportuno richiamare alla mente che questa tradizione di fede vuole che
noi giorno per giorno stiamo attenti e preparati all’arrivo del giudice, sì da
predisporre le nostre azioni come se siamo sul punto di render conto al giudice
che sta per arrivare (1Pt 4, 5). Era proprio questo ciò che diceva il
profeta dell’uomo felice, che "dispone con giustizia le sue parole" (Sal
111, 5). Quanto poi al fatto che è detto che egli giudica i vivi e i morti, ciò
non significa che verranno al giudizio alcuni vivi e altri morti, bensì che
egli giudicherà insieme le anime e i corpi, dove come anime sono indicati i
vivi e come corpi i morti. Proprio il Signore dice così nel vangelo: "Non
temete quelli che possono uccidere il corpo ma non possono far nulla all’anima;
ma temete piuttosto colui che può mandare a perdizione nella Gehenna e l’anima
e il corpo" (Mt 10, 28).
32.
Ma ora, se sembra opportuno, dimostriamo brevemente che anche queste verità
sono state predette dai profeti. Se poi vorrai maggior numero di testimonianze,
tu stesso le metterai insieme da tutta l’ampiezza delle Scritture. Ecco quel
che dice il profeta Malachia: "Ecco, viene il Signore onnipotente; e chi
sosterrà il giorno del suo arrivo, o chi sosterrà la sua vista? Poiché egli al
suo arrivo sarà come il fuoco dei fonditori e come la liscivia dei lavandai. E
siederà per fonderli e purificarli come l’argento e come l’oro" (Mal
3, 1-3). Ma perché tu apprenda con maggiore chiarezza chi sia questo Signore,
di cui si parla in tal modo, sta a sentire cosa dice anche il profeta Daniele:
"Io contemplavo nella visione notturna: ed ecco che sulle nubi del cielo
veniva come un Figlio di uomo, e arrivò fino all’Antico dei giorni e fu
presentato al suo cospetto; e a lui fu dato principato onore e regno; e tutti i
popoli tribù lingue gli serviranno; e il suo potere è potere eterno, che non
passerà, e il suo regno non vedrà la corruzione" (Dan 7, 13-14). Di
qui perciò impariamo a conoscere non soltanto la venuta e il giudizio, ma anche
il suo potere e il suo regno: cioè, che il suo potere è eterno, e che il suo
regno non vedrà né termine né corruzione. Come anche nel vangelo si dice:
"E del suo regno non ci sarà fine" (Lc 1, 33). Per cui è del
tutto estraneo alla fede chi sostiene che un giorno il regno di Cristo avrà
fine.
Dobbiamo
tuttavia sapere che questa venuta di Cristo apportatrice di salvezza il nemico
cercherà di simulare con astuta frode, per trarre in inganno tutti i fedeli; e
in luogo del Figlio dell’uomo, di cui aspettiamo la venuta nella maestà di suo
Padre, presenterà il figlio della perdizione con prodigi e miracoli menzogneri,
sì da introdurre in questo mondo, invece di Cristo, l’Anticristo del quale
proprio il Signore ha fatto ai Giudei questa predizione nel vangelo: "Io
sono venuto in nome del Padre mio e non mi avete accolto; verrà un altro in
proprio nome, e questo lo accoglierete" (Gv 5, 43). E dice ancora:
"Allora vedrete l’abominazione della desolazione nel luogo santo, come
dice il profeta Daniele. Chi legge comprenda" (Mt 24, 15). Infatti
Daniele nelle sue visioni ci dà molti esaurienti insegnamenti circa l’insorgere
di questo errore; ma sarebbe troppo difficoltoso addurre qui tali esempi,
perché si tratta di racconti molto estesi: perciò rinviamo chi vuole conoscere
questo argomento in modo più esauriente, a rileggersi piuttosto proprio le
visioni. Ma di questo parla anche l’apostolo: "Nessuno v’inganni in alcun
modo, perché prima dovrà venire l’apostasia e si rivelerà l’uomo del peccato,
il figlio della perdizione, che avversa e si erige contro tutto ciò che viene
definito e venerato come Dio, sì da sedere nel tempio di Dio, manifestando se
stesso come se fosse Dio" (2Tess 2, 3-4). E poco dopo: "E
allora si rivelerà l’empio, che il Signore Gesù ucciderà col soffio della sua
bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta. L’avvento di costui
sarà accompagnato dalle opere di Satana, con ogni potenza miracoli e prodigi
menzogneri" (2Tess 2, 8-9). E ancora poco dopo: "Perciò Dio
permetterà che essi cadano nell’errore, perché credano alla menzogna, e siano
giudicati tutti quelli che non hanno creduto alla verità" (2Tess 2,
11-12).
Perciò
questo errore ci viene predetto dalle parole dei profeti, del vangelo e degli
apostoli, al fine che nessuno in luogo della venuta di Cristo creda alla venuta
dell’Anticristo. Ma, come ha detto proprio il Signore, "quando vi diranno:
Ecco, Cristo è qui, oppure: È lì, non credete. Infatti verranno molti falsi
cristi e molti falsi profeti e trarranno in inganno molti" (Mt 24,
23-24). Ma vediamo come egli abbia presentato il segno del vero Cristo:
"Come il lampo – dice – risplende da Oriente fino a Occidente, così sarà
la venuta del Figlio dell’uomo" (Mt 24, 27). Quando poi il vero
Signore Gesù Cristo sarà venuto, siederà e giudicherà, come è detto nel
vangelo: "Separerà le pecore dai capretti" (Mt 25, 32), cioè,
separerà i giusti dagli ingiusti. Come anche l’apostolo scrive: "Tutti noi
dobbiamo presentarci davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ognuno ciò
che gli spetta secondo quanto ha operato quando era nel corpo, sia bene sia
male" (2Cor 5, 10). Infatti saremo giudicati non soltanto per ciò
che avremo fatto ma anche per ciò che avremo pensato, secondo quanto dice
ancora l’apostolo: "Reciprocamente tra di loro con pensieri che li
accusano e anche li difendono, nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli
uomini" (Rom 2, 15-16). E con ciò basta su questo argomento.
33.
Appresso, nell’esposizione di fede è scritto: E nello Spirito Santo. Le
verità che qui sopra sono state tramandate in forma un po’ più
particolareggiata su Cristo, riguardano il mistero della sua incarnazione e
della sua passione. Poiché esse riguardano la stessa persona (del Figlio), sono
inserite nella parte intermedia del Simbolo e così hanno ritardato un po’ la
menzione dello Spirito Santo. Se invece si fosse tenuto conto soltanto della
divinità, allo stesso modo con cui all’inizio è detto: "Credo in Dio Padre
onnipotente" e subito dopo: "In Gesù Cristo unico suo Figlio nostro
Signore", così subito dopo seguirebbe: "E nello Spirito Santo".
Infatti tutte le altre verità che sono tramandate su Cristo, si riferiscono –
come abbiamo detto – all’economia della carne. Perciò nella menzione dello
Spirito Santo si completa il mistero della Trinità.
Infatti
come diciamo un solo Dio e non c’è altro Padre, e come diciamo un solo Figlio
unigenito e non c’è altro unigenito, così anche lo Spirito Santo è uno solo e
non ci può essere un altro Spirito Santo. Pertanto a fine di distinguere le
persone sono distinti i termini che indicano le relazioni, con i quali
intendiamo come Padre colui dal quale derivano tutte le altre realtà e che non
ha padre egli stesso; questo è il Figlio, in quanto è nato dal Padre; questo è
lo Spirito Santo, in quanto procede dalla bocca di Dio e santifica ogni cosa. E
per dimostrare che una sola e la stessa è la divinità della Trinità, come
diciamo di credere in Dio Padre, aggiungendo, cioè, la preposizione in,
così diciamo di credere anche in Cristo suo Figlio e così anche nello
Spirito Santo. Ma perché risulti più chiaro ciò che diciamo, comproviamolo
con ciò che segue.
34.
Infatti subito appresso il Simbolo continua: La santa Chiesa, la remissione
dei peccati, la resurrezione di questa carne. Non è detto: "Nella
santa Chiesa" né "nella remissione dei peccati" né "nella
resurrezione della carne". Se infatti fosse stata aggiunta la preposizione
in, uno solo e il medesimo sarebbe stato il valore insieme con le
espressioni che precedono. Invece in queste espressioni in cui si definisce la
fede intorno alla divinità, si dice: "in Dio Padre" e "in Gesù
Cristo suo Figlio" e "nello Spirito Santo". Invece nelle altre
espressioni, che trattano non della divinità ma delle creature e dei misteri
della salvezza, non si aggiunge la preposizione in sì che si dica:
"nella santa Chiesa", ma si deve credere soltanto "la santa
Chiesa", cioè, non come se fosse Dio, ma come Chiesa riunita insieme per
Dio. Così si deve credere "la remissione dei peccati" e non
"nella remissione dei peccati"; e "la resurrezione della
carne" e non "nella resurrezione della carne". Così grazie a
questa preposizione di una sola sillaba si distingue il Creatore dalle creature
e le realtà divine sono separate da quelle umane.
Lo
Spirito Santo è colui che nel Vecchio Testamento ha ispirato la legge e i
profeti, e nel Nuovo i vangeli e gli apostoli. Sì che anche l’apostolo dice:
"Ogni Scrittura ispirata da Dio è utile ad insegnarsi" (2Tim
3, 16). Perciò a questo punto sembra conveniente enumerare uno per uno, come ho
appreso dalle testimonianze dei padri, quali siano i libri del Vecchio e del
Nuovo Testamento, che secondo la tradizione dei nostri predecessori noi
crediamo ispirati proprio dallo Spirito Santo.
35.
Del Vecchio Testamento ci sono stati tramandati all’inizio i cinque libri di
Mosè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio. Dopo di questi Giosuè,
figlio di Nave, e il libro dei Giudici insieme con Ruth. Dopo
di questi i quattro libri dei Re, che gli Ebrei contano come due; quello
dei Paralipomeni, che è detto libro dei Giorni, e due libri di Esdra,
che presso gli Ebrei sono contati come uno solo; e il libro di Esther. I
libri dei profeti sono: Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele; e inoltre un
solo libro dei Dodici profeti. Libri isolati sono anche quello di Giobbe e
i Salmi di David. Di Salomone tre libri sono stati tramandati alle
Chiese: Proverbi, Ecclesiaste, Cantico dei cantici. Con questi libri è
concluso il numero dei libri del Vecchio Testamento.
Fanno
parte del Nuovo Testamento i quattro vangeli: di Matteo, Marco, Luca,
Giovanni; gli Atti degli apostoli, che scrisse Luca; quattordici
lettere dell’apostolo Paolo; due lettere dell’apostolo Pietro; una di Giacomo,
fratello del Signore e apostolo; una di Giuda; tre di Giovanni, l’Apocalisse
di Giovanni. Questi sono i libri che i nostri padri hanno riunito nel
canone e sui quali hanno voluto che fossero fondate le verità della nostra
fede.
36.
È opportuno però sapere che ci sono anche altri libri, che i nostri predecessori
hanno chiamato non canonici bensì ecclesiastici: la Sapienza, ch’è detta
di Salomone; e un’altra Sapienza, ch’è detta del figlio di Sirach;
questo libro presso i latini con termine generico è chiamato Ecclesiastico, col
quale nome non si indica l’autore del libro bensì la qualità del contenuto.
Della stessa categoria fanno parte il libro di Tobia, quello di Giuditta
e i libri dei Maccabei. Relativi al Nuovo Testamento sono il libro
ch’è detto del Pastore ovvero di Erma, e quello ch’è intitolato Due
vie o Giudizio di Pietro.
Tutti
questi libri i nostri padri vollero che fossero letti nelle Chiese ma non che
fossero addotti per confermare l’autorità della fede. Tutti gli altri scritti
li hanno chiamati apocrifi e hanno proibito che fossero letti nelle Chiese.
Queste norme, che – come ho detto – ci sono state tramandate dai nostri padri,
mi è sembrato opportuno riportare in questo punto del libro per istruzione di
quelli che imparano i primi rudimenti della fede, perché sappiano da quali
fonti essi debbano attingere la bevanda della parola di Dio.
37.
Poi la tradizione di fede afferma: la santa Chiesa. Già sopra abbiamo
spiegato il motivo perché non sia detto anche qui: "nella santa
Chiesa", ma "la santa Chiesa". Perciò coloro che sopra hanno
appreso a credere in un solo Dio nel mistero della Trinità, debbono credere
anche questo: che una soltanto è la santa Chiesa, nella quale una sola è la
fede, uno solo il battesimo, nella quale si crede in un solo Dio Padre e in un
solo Signore Gesù Cristo Figlio suo e in un solo Spirito Santo. Questa perciò è
la santa Chiesa, che non ha macchia né ruga (Ef 5, 27). Infatti anche
molti altri hanno riunito chiese intorno a sé, come Marcione Valentino Ebione
Mani e tutti gli altri eretici. Ma quelle chiese non sono senza macchia e ruga
di perfidia; perciò di loro diceva il profeta: "Ho odiato la chiesa dei
malvagi e non siederò insieme con gli empi" (Sal 25, 5). Invece di
questa Chiesa, che conserva integra la fede di Cristo, ascolta che cosa dice lo
Spirito Santo nel Cantico dei cantici: "Una sola è la mia colomba,
una sola la perfetta per sua madre" (Ct 6, 8). Perciò chi riceve
questa fede nella Chiesa, non si volga ai concili di vanità e non si metta con
quelli che fanno il male (Sal 25, 4).
Infatti
concilio di vanità è quello che fa Marcione, il quale nega che il Padre di
Cristo sia il Dio creatore, che per mezzo di suo Figlio ha creato il mondo.
Concilio di vanità è ciò che insegna Ebione, che bisogna credere in Cristo in
modo tale da praticare la circoncisione della carne, l’osservanza del sabato,
la solennità dei sacrifici e tutte le altre osservanze secondo la lettera della
Legge. Concilio di vanità è ciò che insegna Mani, che per prima cosa ha
affermato di essere proprio lui il paracleto; poi dice che il mondo è stato
fatto dal male, nega che Dio sia il creatore, respinge il Vecchio Testamento;
afferma che ci sono una natura buona e una cattiva, reciprocamente coeterne;
sostiene secondo la dottrina dei Pitagorici che le anime degli uomini secondo
diversi cicli di generazione passano nelle pecore, nelle bestie feroci e in
altri animali; nega la resurrezione della nostra carne, sostiene che la nascita
e la passione di Cristo sono avvenute non nella realtà della carne ma in
apparenza.
Concilio
di vanità è anche ciò che ha sostenuto Paolo di Samosata e poi il suo
successore Fotino: che Cristo non è nato prima dei tempi dal Padre ma ha avuto
inizio da Maria; e ritiene non che egli Dio sia nato come uomo ma che da uomo
sia diventato Dio. Concilio di vanità è anche ciò che hanno insegnato Ario ed
Eunomio, i quali sostengono che il Figlio di Dio non sia nato dalla stessa
sostanza del Padre, ma sia stato creato dal nulla. Concilio di vanità è anche
quello che fanno coloro i quali affermano, sì, che il Figlio deriva dalla sostanza
del Padre, ma separano e distaccano lo Spirito Santo, mentre invece il
Salvatore nel vangelo ha dimostrato che una sola e la stessa è la potenza e la
divinità della Trinità, dicendo: "Battezzate tutte le genti nel nome del
Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28, 19). Ed è
evidentemente empio che l’uomo separi ciò che è unito in forza della divinità.
Concilio di vanità è anche quello che non molto tempo fa ha riunito una
ostinazione tenace e perversa, affermando che Cristo certo ha assunto carne
umana, ma non anche un’anima razionale, mentre invece una sola e la stessa
salvezza è stata apportata da Cristo alla carne e all’anima e alla sensibilità
e alla mente. È concilio di vanità anche quello che Donato ha riunito in Africa
accusando falsamente la Chiesa di aver consegnato i libri sacri; e quello che
ha messo su Novaziano rifiutando la penitenza ai peccatori e condannando le
seconde nozze, anche se talvolta la necessità abbia costretto a contrarle.
Perciò
tutte queste fuggile quali riunioni di malvagi. E anche quelli, se ce ne sono,
di cui si dice che affermino che il Figlio di Dio non vede e conosce il Padre
allo stesso modo con cui è conosciuto e visto dal Padre, che il regno di Cristo
dovrà finire e che la carne non risorgerà conservando intatta la sostanza della
sua natura, che non ci sarà il giusto giudizio di Dio nei riguardi di tutti gli
uomini e che il diavolo sarà assolto dalla meritata punizione: tutti costoro –
lo ripeto – i fedeli rifiutino di ascoltarli. Tieniti invece ben saldo alla santa
Chiesa, che afferma Dio Padre onnipotente e l’unigenito suo Figlio Gesù Cristo
nostro Signore e lo Spirito Santo nell’unità di una medesima sostanza; che
crede che il Figlio di Dio è nato dalla Vergine e ha patito per la salvezza
degli uomini ed è risuscitato dai morti con la medesima carne con la quale è
nato; che spera che egli stesso verrà giudice di tutti; e in lui predica la
remissione dei peccati e la resurrezione della carne.
38.
Quanto alla remissione dei peccati, dovrebbe bastare il solo credere. A che
infatti ricercare cause e motivazioni là dove è fondamentale il perdono? E
invece, mentre non è soggetta a critiche la generosità del re terreno, la
liberalità divina è messa in discussione dalla temerarietà degli uomini.
Infatti i pagani sono soliti irriderci dicendo che noi inganniamo noi stessi
ritenendo che possano essere espiati con parole delitti che sono stati commessi
con l’azione. E dicono: Che forse può non essere omicida colui che ha commesso
un omicidio o non essere adultero chi ha fatto adulterio? In che modo uno che
sia reo di tali crimini vi sembra diventare d’un tratto santo e puro? Ma a tali
obiezioni, come ho detto, rispondo meglio con la fede che con la ragione.
Infatti colui che ci ha fatto questa promessa è re di tutti, signore del cielo
e della terra. E a colui che mi ha creato uomo dalla terra non vuoi che io
creda che da peccatore mi può rendere innocente? E colui che, quando ero cieco,
mi ha fatto vedere e, quando ero sordo, mi ha fatto sentire e che mi ha fatto
camminare quando ero zoppo, egli non potrà ridarmi l’innocenza che ho perduto?
E
tuttavia veniamo anche alla testimonianza della stessa natura. Non sempre è
criminoso uccidere un uomo: ma è criminoso ucciderlo per malvagità e non
secondo le leggi. Perciò, dato che talvolta questa azione è giusta, se io mi
trovo in tale situazione, non è l’azione che mi condanna ma l’anima che mi ha
mal consigliato. Ma allora, se in me viene corretta l’anima che è diventata
peccatrice e nella quale c’è stata l’origine del crimine, perché tu non credi
che io possa diventare innocente, così come prima sono stato peccatore?
Infatti, come sopra abbiamo detto, tutti sanno che il peccato sta non
nell’azione ma nella intenzione. E allora, come la cattiva volontà, per
malvagia istigazione del demonio, mi ha assoggettato al peccato e alla morte,
così la stessa volontà, volta al bene per il buon volere di Dio, mi restituisce
all’innocenza e alla vita. Simile ragionamento vale anche per tutti gli altri
peccati; e così vediamo che la nostra fede non è in contrasto con la ragione
naturale, in quanto la remissione dei peccati è accordata non alle azioni, che
non possono essere cambiate, bensì all’anima, che certamente può passare dal
male al bene.
39.
Le ultime parole del Simbolo, che affermano la resurrezione dei morti, nella
loro stringata brevità, portano a compimento la somma di tutta la perfezione,
benché anche a tal proposito la fede della Chiesa sia impugnata non solo dai
pagani ma anche dagli eretici. Infatti Valentino nega nel modo più assoluto la
resurrezione della carne, e anche Mani, come sopra abbiamo dimostrato. Ma
costoro non hanno voluto ascoltare il profeta Isaia che dice:
"Risorgeranno i morti e si sveglieranno quelli che sono nei sepolcri"
(Is 26, 19), e neppure Daniele, il più sapiente di tutti, che afferma:
"Allora risorgeranno quelli che sono nella polvere della terra: questi
alla vita eterna, questi altri invece alla vergogna e alla confusione
eterna" (Dan 12, 2). D’altra parte, anche dai vangeli, ch’essi
sembrano accettare, avrebbero dovuto imparare dal Signore Salvatore nostro che,
insegnando ai Sadducei, dice: "Quanto poi al fatto che i morti non
risorgerebbero, non avete letto come venga detto a Mosè nel rovo: il Dio di
Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Non è Dio dei morti ma dei
vivi" (Mt 22, 31-32; Mc 12, 26-27). E in un passo precedente
di questo stesso contesto ha anche ricordato quale e quanta sia la gloria della
resurrezione, dicendo: "Nella resurrezione dei morti né gli uomini avranno
moglie né le donne avranno marito, ma saranno come gli angeli di Dio" (Mt
22, 30).
Perciò
la potenza della resurrezione conferisce agli uomini la condizione angelica,
perché coloro che sono risorti dalla terra vivano non più di nuovo in terra con
gli animali, bensì in cielo con gli angeli. Ma ciò vale per quelli che saranno
ammessi a tale condizione in forza di un modo di vita sufficientemente puro:
cioè, coloro che già ora custodendo la carne come compagna dell’anima nel
servizio di Dio, l’avranno assoggettata con il freno della pudicizia
all’obbedienza dello Spirito Santo; in tal modo, purificatala da ogni sozzura
di peccato e trasformatala in gloria spirituale per virtù della santificazione,
meriteranno di introdurla anche nel consorzio degli angeli.
40.
Ma gl’infedeli obiettano e dicono: Ma la carne, che si dissolve putrefatta o si
muta in polvere e talvolta anche viene inghiottita dal profondo del mare e
viene dispersa dai flutti, in che modo può ricomporsi di nuovo e reintegrarsi
insieme, sì che da essa venga di nuovo formato il corpo dell’uomo? A costoro
indirizziamo subito una prima risposta con le parole di Paolo: "Sciocco
tu! Ciò che semini non prende vita se prima non muore; e quello che tu semini
non è il corpo che dovrà nascere, ma semini un nudo chicco di grano o di qualche
altra semente. Dio poi gli dà corpo come vuole" (1Cor 15, 36-38). E
perciò quel che vedi annualmente accadere per i semi che getti in terra, non
credi che possa verificarsi per la tua carne, che per legge divina viene
seminata in terra? Perché – ti prego – valuti tanto poco la potenza di Dio da
non ritenere possibile che la polvere dispersa di una qualsiasi carne possa
riunirsi e ricomporsi secondo la sua forma originaria, mentre vedi che la
capacità dell’uomo riesce a scorgere anche le vene dei metalli immerse nel
profondo della terra? Infatti l’occhio del competente scorge l’oro là dove
l’inesperto vede soltanto terra. E a colui che ha creato l’uomo non concediamo
neppure tanto quanto può riuscire a fare l’uomo ch’è stato creato da lui? Così,
mentre la capacità dell’uomo mortale scopre che c’è una vena propria dell’oro,
un’altra propria dell’argento e una molto diversa del bronzo, e che sotto la
superficie della terra sono nascoste vene diverse di piombo e di ferro, non
crederemo che la potenza divina sia in grado di individuare e ritrovare le
componenti naturali proprie di ogni corpo carnale, anche se esse sono disperse?
41.
Ma cerchiamo ancora di aiutare con ragionamenti naturali le anime che vengono
meno nella fede. Immaginiamo che uno mescoli insieme semi diversi e
indiscriminatamente li dissemini e li sparga qua e là in terra. Che forse il
principio formale di ogni seme, dovunque questo sarà capitato, non farà nascere
a tempo opportuno il germe secondo la natura della sua specie e non riprodurrà
lo stelo secondo la sua forma e il suo corpo? Analogamente, ammettiamo anche
che la sostanza di una qualsiasi carne sia stata variamente dispersa in diversi
luoghi: tuttavia, allorché per volontà di Dio arriderà la primavera per i corpi
seminati in terra, il principio formale che c’è in ogni carne ed è immortale –
infatti è carne dell’anima immortale – raccoglierà da terra e riunirà insieme
le parti componenti della sua sostanza e li restituirà a quella forma che una
volta la morte aveva dissolto. Così avviene che a ogni anima non viene
restituito un corpo estraneo o variamente mescolato, ma proprio quello suo, che
aveva già avuto: in tal modo, in ragione delle prove della vita presente, la
carne insieme con la sua anima o sarà premiata, se si sarà ben comportata, o
sarà punita, se si sarà comportata male. Perciò la nostra Chiesa ha qui fatto
al Simbolo una prudente e provvidenziale aggiunta, sì che, mentre le altre
Chiese tramandano: "la resurrezione della carne", essa tramanda, con
l’aggiunta di un solo aggettivo: "la resurrezione di questa carne":
di questa, cioè, che colui che fa la professione tocca con la mano, mentre fa
sulla fronte il segno della croce. Così ognuno dei fedeli sa che, se avrà
custodito pura dal peccato la sua carne, questa sarà vaso per uso onorevole,
utile al Signore, adatto per ogni opera buona; se invece la sua carne si sarà
contaminata nel peccato, essa sarà vaso d’ira per la morte (2Tim 2, 21; Rom
9, 22).
Se
poi uno a questo punto desidera saperne di più sulla gloria della resurrezione e
sulla grandezza delle promesse, troverà che questi argomenti sono esposti quasi
in ogni libro della Sacra Scrittura. Di tutte queste testimonianze noi ora qui
ne ricorderemo solo poche, che servono di richiamo, e così termineremo l’opera
che tu ci hai richiesto. L’apostolo Paolo afferma che i morti risorgeranno
portando questi argomenti: "Se poi non c’è la resurrezione dei morti,
allora neppure Cristo è risorto. Ma se Cristo non è risorto, è vana la nostra
predicazione e priva di senso la nostra fede" (1Cor 15, 13-14). E
poco dopo: "Ma ecco che Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che
sono morti. Come infatti per causa di un uomo è venuta la morte, così per causa
di un uomo ci sarà la resurrezione dei morti. Come infatti tutti sono morti in Adamo,
così tutti avranno vita in Cristo; ma ognuno secondo il suo posto: prima di
tutti Cristo, poi quelli che sono di Cristo al momento della sua venuta; quindi
ci sarà la fine" (1Cor 15, 20-24). E dopo aggiunge anche queste
parole: "Ecco che vi svelo un mistero: tutti certo risorgeremo, ma non
tutti saremo trasformati (o, come troviamo in altri codici: "non tutti
saremo morti, ma tutti saremo trasformati"): in un attimo, in un batter
d’occhio, al suono dell’ultima tromba: i morti risorgeranno incorruttibili e
noi saremo trasformati" (1Cor 15, 51-52). E scrivendo ai
Tessalonicesi dice così: "Non voglio, fratelli, che voi siate
nell’ignoranza riguardo a coloro che sono morti, perché non abbiate a
rattristarvi come quegli altri che non hanno la speranza. Infatti se crediamo
che Gesù è morto ed è risorto, così anche quelli che sono morti Dio trarrà a sé
per mezzo di Gesù e insieme con lui. Ecco infatti che cosa vi diciamo sulla
parola del Signore: noi che viviamo, che siamo superstiti, all’arrivo del
Signore non precederemo coloro che sono morti. Infatti il Signore stesso al
comando dato dalla voce dell’arcangelo e dalla tromba di Dio scenderà dal cielo
e i morti che sono in Cristo risorgeranno per primi. Poi noi che viviamo, che
siamo superstiti, insieme con quelli saremo tratti sulle nubi incontro a Cristo
in aria: e così staremo sempre col Signore" (1Tess 4, 13-17).
42.
Perché poi tu non creda che la resurrezione dei morti sia annunziata soltanto
dalla nuova predicazione di Paolo, ascolta che cosa abbia predetto già tanto
tempo fa il profeta Ezechiele ispirato dallo Spirito Santo: "Ecco, io
aprirò i vostri sepolcri e vi trarrò fuori dai vostri sepolcri" (Ez
37, 12). E sta a sentire con quanta chiarezza predica la resurrezione dei morti
anche Giobbe, tutto traboccante di parole misteriose: "C’è speranza per
l’albero – egli dice –: infatti se sarà stato tagliato, potrà ancora
germogliare, e il suo virgulto non viene mai meno. Se sarà invecchiato, la sua
radice è piantata nella terra; e se il suo tronco sarà morto sulla roccia,
rifiorirà al sentore dell’acqua e farà nascere il ramo quasi fosse una pianta
novella; e se l’uomo sarà morto, se n’è andato, e se il mortale sarà caduto,
ormai non esisterà più?" (Giob 14, 7-10). Non ti sembra che con
queste parole Giobbe ammonisca gli uomini in modo un po’ coperto e dica così: A
tal punto sono sciocchi gli uomini che, mentre vedono germogliare di nuovo da
terra il tronco di un albero tagliato e il legno morto ricevere di nuovo la
vita, essi ritengono che per sé non ci sarà nulla di simile al legno e
all’albero? Perché poi tu sappia che si deve leggere in forma interrogativa la
frase: "e se il mortale sarà caduto, non risorgerà?" (Giob 14,
12), abbine prova da ciò segue. Infatti Giobbe subito aggiunge: "Se
infatti l’uomo sarà morto, vivrà" (Giob 14, 14). E poco dopo dice:
"Aspetterò fino a esistere di nuovo" (Giob 14, 14). E dice
ancora: "Egli risusciterà sulla terra la mia pelle, questa che ora è
secca" (Giob 19, 25-26).
43.
Questi passi siano stati addotti a comprovare la nostra professione di fede,
con la quale nel Simbolo affermiamo la resurrezione di questa carne. Infatti
l’aggiunta di "questa" osserva quanto sia in armonia con tutti questi
concetti che abbiamo ricordato dalle testimonianza delle Sacre Scritture. Che
cos’altro infatti è indicato nelle parole di Giobbe che abbiamo riportato
sopra, quando dice: "risusciterà la mia pelle, questa che ora è
secca" (Giob 19, 26), cioè, quella che patisce questi tormenti? non
dice forse apertamente che avverrà la resurrezione di questa carne, di questa –
dico – che ora sopporta i patimenti delle tribolazioni e delle tentazioni? E
quando l’apostolo dice: "Bisogna che questo corpo corruttibile rivesta
l’incorruttibilità e questo corpo mortale rivesta l’immortalità" (1Cor
15, 53), che forse la sua non è parola di chi in certo modo tocca col dito il
suo corpo? Perciò questo corpo, che ora è corruttibile, sarà incorruttibile per
la grazia della resurrezione, e questo corpo, che ora è mortale, sarà rivestito
dalle prerogative della immortalità. In tal modo, come Cristo, risorgendo dai
morti, ormai non muore più e la morte non dominerà più su di lui (Rom 6,
9), così anche quelli che risorgono in Cristo, non saranno più soggetti alla
corruzione e alla morte, non perché venga abolita la natura della carne, ma
perché sarà trasformata la sua condizione e la sua qualità. Perciò il corpo che
risorgerà dai morti sarà incorruttibile e immortale, non solo il corpo dei
giusti ma anche dei peccatori: dei giusti, perché possano rimanere sempre con
Cristo; dei peccatori, perché paghino le pene dovute, senza mai essere
distrutti e annientati.
44.
Che i giusti rimarranno sempre con Cristo Signore, già sopra lo abbiamo
spiegato, dove abbiamo addotto le parole dell’apostolo: "Poi noi che
viviamo, che siamo superstiti, insieme con quelli saremo tratti sulle nubi
incontro a Cristo in aria: e così staremo sempre col Signore" (1Tess
4, 17). Non meravigliarti se la carne dei santi sarà trasformata dalla
resurrezione in tanta gloria da essere tratta al cospetto del Signore sospesa
sulle nubi e trasportata in aria, dal momento che lo stesso apostolo,
descrivendo quanta dignità Dio conferirà a quelli che lo amano, dice:
"Egli che trasformerà il corpo della nostra umiliazione in conformità del
corpo del Figlio della sua gloria" (Fil 3, 21). Perciò non c’è
niente di assurdo nel dire che i corpi dei santi saranno innalzati in aria
sulle nubi, dato che vien detto che essi saranno trasformati in conformità
dell’aspetto del corpo di Cristo, che siede alla destra di Dio. E il santo
apostolo aggiunge ancora riguardo a sé e a quanti gli son pari per meriti e
sede: "Ci ha risuscitato insieme con Cristo e insieme ci ha fatto sedere
in cielo" (Ef 2, 6).
Dal
momento che la resurrezione dei morti comporterà, secondo le promesse, tali
magnificenze e molte altre a queste simili, non sarà certo difficile credere
anche a questo che i profeti hanno predetto: "I giusti risplenderanno come
il sole e come il fulgore del firmamento nel regno di Dio" (Dan 12,
3). Infatti che difficoltà ci sarà a credere che essi avranno lo splendore del
sole e saranno adornati dal fulgore delle stelle e di questo nostro firmamento,
dal momento che è preparata loro in cielo la vita e la compagnia degli angeli
di Dio e di loro si dice che saranno resi conformi alla gloria del corpo di
Cristo (Fil 3, 20-21)? Proprio guardando a questa gloria promessa dalla
parola del Salvatore (Mt 13, 43), il santo apostolo ha detto:
"Viene seminato un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale" (1Cor
15, 44). Se infatti è vero, come certamente è vero, che la divina bontà
assocerà tutti i giusti e i santi al consorzio degli angeli, è certo che
trasformerà anche i loro corpi nella gloria del corpo spirituale.
45.
Né tale promessa ti sembri essere in contrasto con i principi naturali del corpo.
Noi infatti crediamo, secondo quanto è scritto, che Dio, prendendo fango dalla
terra, plasmò l’uomo (Gen 2, 7); e questo è il principio naturale del
nostro corpo, che per volontà di Dio la terra si trasformi in carne: ma allora
perché ti sembra assurdo e contraddittorio se, per il medesimo principio per
cui diciamo che la terra ha progredito fino a formare il corpo animale,
crediamo che a sua volta il corpo animale progredisca fino a diventare corpo
spirituale?.
Tali
affermazioni e molte altre simili a queste troverai nelle Sacre Scritture
riguardo alla resurrezione dei giusti. D’altra parte, come sopra abbiamo detto,
anche ai peccatori sarà dato in forza della resurrezione uno stato di
incorruttibilità e immortalità che, come ai giusti serve alla perennità della
gloria, così ai peccatori serve al prolungamento della tristezza e della pena.
Così attesta anche la parola del profeta che abbiamo ricordato poco fa, là dove
dice: "E molti risorgeranno dalla polvere della terra: questi alla vita
eterna, questi altri alla confusione e alla vergogna eterna" (Dan
12, 2).
46.
A questo punto abbiamo compreso con quanta venerazione Dio onnipotente sia
detto Padre, per quale mistero il Signore nostro Gesù Cristo sia ritenuto suo
unico Figlio, con quale perfezione sia nominato il suo Spirito Santo, e come la
santa Trinità sia una cosa sola quanto alla sostanza, ma distinta per relazione
e persone. Abbiamo anche compreso il significato del parto della Vergine, della
nascita del Verbo nella carne, del mistero della croce; quale sia l’utilità
della discesa di Dio nell’inferno, quale il significato della gloria della
resurrezione e del richiamo delle anime dalla prigionia dell’inferno,
dell’ascensione al cielo e dell’attesa del giudice venturo. Infine abbiamo
compreso quale conoscenza si debba avere della santa Chiesa contro i concili di
vanità, quale sia il numero dei libri della Sacra Scrittura e quali le sètte
eretiche da evitare; come nella remissione dei peccati la ragione naturale non
contrasti affatto con la liberalità divina, e come la resurrezione della nostra
carne sia confermata non solo dalle parole della Scrittura ma anche dallo
stesso esempio del nostro Signore e Salvatore e dalla logica coerenza della
ragione naturale. Se professiamo queste verità in modo organico e completo
secondo la norma della tradizione presentata sopra, allora preghiamo che a noi
e ai nostri ascoltatori il Signore conceda che, custodita la fede che abbiamo
ricevuto e terminata la corsa, noi aspettiamo la corona di giustizia che ci è
riservata (2Tim 4, 7-8) e siamo annoverati fra coloro che risorgono alla
vita eterna, liberi dalla confusione e dalla vergogna eterna, per Cristo nostro
Signore, per mezzo del quale è a Dio Padre onnipotente con lo Spirito Santo
gloria e impero nei secoli dei secoli. Amen.