CAPITOLO II
I CINQUE LIBRI DEL PENTATEUCO CONTENUTO E STRUTTURA
Come
e perché il Pentateuco è stato diviso in cinque libri? Questa divisione è
meramente materiale o ha qualche significato? E la prima domanda che vorremmo
affrontare in questo capitolo. Poi cercheremo di vedere come sono strutturati
questi «cinque quinti della legge» (hamisa humsé tòro).
A.
la DIVISIONE IN CINQUE LIBRI
1. Le ragioni
materiale (1)
I
cinque libri del Pentateuco sono di diversa lunghezza. Il più breve è il
Levitico (25 capitoli; 859 versetti; 11.950 parole; 51 pagine nella BHS).
Il più lungo è il libro della Genesi (50 capitoli; 1.534 versetti; 85 pagine
nella BHS).
Il
libro dell'Esodo e il libro dei Numeri sono di simile lunghezza: per Es: 40
capitoli, 1209 versetti e 16.713 parole; 71 pagine nella BHS. Per Nm: 36
capitoli; 1.288 versetti (ma molti versetti sono brevissimi, per esempio in Nm
1-2.7.26.29.33); 16.413 parole; 74 pagine nella BHS.
Il
Deuteronomio è un po' più lungo del Levitico (34 capitoli; 955 versetti; 71
pagine nella BHS, ma l'apparato critico è più voluminoso che per gli
altri libri).
In
tutto, il Pentateuco conta 5845 versetti (353 pagine della BHS). In una
edizione senza note i dati sono i seguenti: 88 pagine per Gn; 73 pagine per Es;
52 pagine per Lv; 73 pagine per Nm (come per Es); 64 pagine per Dt.
Alcuni
studiosi ritengono che fosse materialmente diffìcile scrivere tutto il
Pentateuco su un solo rotolo. Si calcola che un tale rotolo avrebbe dovuto
misurare più o meno 33 metri. Non era del tutto impossibile, perché si parla
di un rotolo che conteneva tutta l'opera di Omero (Iliade e Odissea)
e che misurava più o meno 50 metri.
Però
un lungo rotolo non era molto pratico per la lettura sinagogale o personale. A
Qumran, i rotoli più lunghi sono il Rotolo del Tempio: 8,75 metri e
quello di IQIsa: 7,35 metri. In media, i cinque rotoli del Pentateuco
dovevano misurare fra 6 e 7 metri.
La
divisione fra i vari libri sembra essere alquanto arbitraria e artificiale.
Per esempio, la famiglia di Giacobbe si stabilisce in Egitto in Gn 46, ma il
libro dell'Esodo inizia più tardi. La pericope del Sinai inizia in Es 19 e
finisce in Nm 10,10. Si estende pertanto su tré libri, ma non corrisponde ad
alcuna divisione particolare. Israele arriva nelle steppe di Moab in Nm 21,20
dove rimane fino alla morte di Mosè. Ma la divisione fra Nm e Dt non coincide
con questo momento.
2.1 ente fi teologici
(2)
Quali
sono allora i criteri della divisione in cinque libri?
-
Genesi
II
libro della Genesi inizia con la creazione del mondo e la famosa espressione b're'sìt
bara' 'eldhìm - «all'inizio Dio creò...» o «quando Dio iniziò a creare...»,
e finisce con la morte di Giacobbe e di Giuseppe (3). Così si conclude l'era
patriarcale, cioè la storia di famiglia degli antenati d'Israele. Dopo,
Israele non sarà più una famiglia, ma un popolo.
Inoltre,
prima della sua morte, Giuseppe annunzia il ritorno dei suoi discendenti nella
terra promessa ad Abramo, Isacco e Giacobbe (Gn 50,24). La conclusione di Gn
apre pertanto verso il futuro e collega Gn con Es-Dt. Nel linguaggio
dell'analisi narrativa, Gn 50,24 contiene un «sommario prolettico» del
racconto ulteriore.
-
Esodo
II
libro dell'Esodo inizia con un riassunto della storia di Giuseppe che funge da
cerniera fra la «storia dei patriarchi» o «storia degli antenati d'Israele» e
la «storia del popolo d'Israele» (Es 1,1-7). Es 1,8:
«Allora
sorse un rè che non aveva conosciuto Giuseppe», segnala anch'esso il passaggio
da un periodo all'altro della storia d'Israele.
La
conclusione del libro dell'Esodo (40,34-38), descrive il momento in cui, dopo
molte vicende, la «gloria di JHWH» viene a riempire la dimora o «tenda
dell'incontro». Questo momento è importante, perché JHWH ormai abita in mezzo
al suo popolo (40,34-35) e può accompagnarlo e guidarlo (40,36-38).
—
Levitico
L'inizio
del libro del Levitico si riferisce a questo evento: «E JHWH chiamò Mosè e gli
parlò dalla tenda dell'incontro dicendo...». A partire da questo momento, JHWH
si rivolge a Mosè dalla tenda dell'incontro e non più dalla cima del monte
Sinai (cf. Es 19,3).
La
conclusione originale del libro del Levitico si trova in Lv 26,46:
«Quelli
sono i decreti, i giudizi e le leggi che JHWH stabilì fra sé e gli Israeliti,
sul monte Sinai, per mano di Mosè». Si tratta senza dubbio di un «sommario
conclusivo», che segue un capitolo di benedizioni e maledizioni (Lv 26,3.14).
Il capitolo 27 del Lv è un'aggiunta tardiva. L'ultimo versetto riprende la
conclusione di 26,46: «Quelli sono gli ordini che JHWH diede a Mosè per gli
Israeliti sul monte Sinai» (27,34).
Queste
due conclusioni menzionano il monte Sinai come il luogo della rivelazione. Per
la tradizione d'Israele, le leggi promulgate da JHWH sul monte Sinai e
trasmesse da Mosè hanno una qualità normativa unica. Queste affermazioni hanno
dunque grande importanza perché distinguono fra le leggi che fanno parte del
«canone mosaico» e le altre.
-
Numeri
II
libro dei Numeri ha anch'esso la propria introduzione e la propria
conclusione. L'introduzione è simile a quella del Levitico (Nm 1,1; cf. Lv
1,1): «JHWH parlò a Mosè nel deserto del Sinai nella tenda dell'incontro nel
primo giorno del secondo mese, il secondo anno dopo la loro uscita dalla terra
d'Egitto, dicendo...». Siamo ancora nel deserto del Sinai, e JHWH continua a
parlare dalla tenda dell'incontro (cf. Es 40,34-35; Lv 1,1).
La
conclusione del libro dei Numeri riecheggia Lv 26,46 e 27,34:
«Quelli
sono gli ordini e i giudizi che JHWH diede per mano di Mosè ai figli d'Israele
nelle steppe di Moab, di fronte al Giordano di Ge-rico» (Nm 36,13).
Fra
l'introduzione e la conclusione, il popolo si è spostato dal Sinai alle steppe
di Moab, dove si prepara ad entrare nella terra promessa. Le leggi promulgate
nelle steppe di Moab hanno anch'esse un valore particolare dal punto di vista canonico.
Dt 28,69 parla persino di un'ulteriore alleanza che JHWH conclude lì con
Israele (oltre all'alleanza conclusa all'Oreb). Queste affermazioni equiparano
le leggi di Moab a quelle dell'Oreb/Sinai (4).
—
Deuteronomio
II
Deuteronomio ha la propria cornice. Come il libro dei Numeri, inizia con una
formula che indica il posto e il luogo dove Mosè parla (Dt 1,1-3): «Queste
sono le parole che Mosè pronunciò davanti a Israele al di là del Giordano, nel
deserto... L'anno quaranta, il mese undicesimo, il primo del mese». Tutti i
discorsi di Mosè saranno pronunciati in quel giorno e, nello stesso giorno,
Mosè muore (Dt 32,48; 34,5). Con la morte di Mosè si conclude il libro del
Deuteronomio e tutto il Pentateuco (Dt 34,1-12).
3. Conclusione
I
cinque libri del Pentateuco sono chiaramente divisi da segnali linguistici e
strutturali. Tuttavia, vi è una cesura maggiore fra il primo libro (Genesi) e i
quattro seguenti (Es - Dt). Il primo descrive le origini di Israele e gli
altri l'organizzazione del popolo sotto la guida di Mosè. Formano una specie di
«vita di Mosè» al servizio di JHWH e di Israele (5).
Strutturalmente,
la fine del Dt corrisponde alla fine di Gn. La morte di Giuseppe conclude il
periodo dei patriarchi (Gn 50,26) e la morte di Mosè conclude un altro periodo,
quello della permanenza d'Israele nel deserto e della costituzione del popolo
d'Israele come popolo di JHWH. Alle benedizioni di Giacobbe in Gn 49
corrispondono le benedizioni di Mosè in Dt 33. Introduzioni e conclusioni dei
libri del Levitico, Numeri e l'introduzione del libro del Deuteronomio pongono
in risalto il carattere legislativo di questi libri, la figura di Mosè,
mediatore fra JHWH e il popolo, e l'importanza del Sinai e delle steppe di
Moab come «luoghi teologici» della legge.
B.
la STRUTTURA DEL LIBRO DELLA genesi (6)
1;
La formula delle «tòt dot» («generazioni»)
La
gran maggioranza degli esegeti riconosce nella formule di tòt dot
l'elemento che struttura il libro della Genesi (7). La formula si trova dieci
volte nel libro (o undici se si conta 36,9, che ripete 36,1): 2,4; 5,1; 6,9;
10,1; 11,10; 11,27; 25,12; 25,19; 36,1(9); 37,2 (8).
-
Un problema di interpretazione
Whybray
rifiuta di vedere in questa formula l'elemento strutturante del libro della
Genesi (9). Le sue obiezioni sono due:
*
La parola tòtdòt non ha sempre lo stesso significato. In alcuni casi, la
voce significa «elenco dei discendenti», «discendenti di...» (5,1;10,1;
11,10...). In altri, invece, significa «storia di...» e si riferisce ad eventi
(2,4).
*
In 2,4, la formula funge da conclusione di un racconto (1,1-2,4a), mentre in
altri funge da introduzione, come per esempio in 37,2. A queste due obiezioni
si può ribattere:
*
La parola tòl'dòt ha lo stesso significato in tutti i contesti. Significa:
«quello che è stato generato da...». Ogni tanto, questa formula è seguita da un
semplice elenco di nomi, cioè da una genealogia (5,1;10,1; 11,10; 25,12;
36,1.9). In altri, è seguita da una narrazione (2,4; 6,9; 11,27; 25,19; 37,2).
Però,
questa narrazione tratta sempre dei discendenti del personaggio menzionato
nella formula. Per esempio, la formula di 6,9 introduce la storia di Noè e
della sua famiglia; quella di 11,27, la storia dei discendenti di Terach, cioè
soprattutto Abramo; 25,19, la storia di Giacobbe ed Esaù, i figli d'Isacco;
37,2, la storia di Giuseppe e dei suoi fratelli, i figli di Giacobbe.
Occorre
distinguere fra «significato» di una parola ed il suo «uso» in vari contesti.
La parola tòt dot ha i suoi «significati» lessicali che si trovano
elencati nei lessici, distinti dagli «usi» concreti della parola nei testi dove
appare. Ricordiamo la famosa distinzione introdotta dal linguista svizzero F.
de Saussure fra «lingua» e «parola», fra il livello astratto delle possibilità
del linguaggio e quello concreto dei discorsi e dei testi, cioè dell'uso (10).
Nel
caso concreto della formula di tòl'dòt, il «significato» della parola
rimane lo stesso, cioè «generazioni di...». Vi sono però due «usi» della stessa
parola: in certi casi, essa introduce una genealogia, in altri invece un
racconto. Se l'uso è diverso, il «significato» rimane lo stesso.
*
Tutte le formule sono introduttive, persino quella di Gn 2,4 a, perché la voce tòt
dot è sempre seguita dal nome del generatore e mai da quello del generato
(11). Quindi la formula di Gn 2,4 non significa:
«storia
dell'origine del cielo e della terra» («come furono generati o creati il cielo
e la terra»), ma «storia di quello che è stato generato dal cielo e dalla
terra». Ora, quello che generano il cielo e la terra è il mondo descritto in Gn
2,4-25: dalla terra, cioè dal suolo, JHWH forma il primo essere umano (2,7),
fa germogliare gli alberi (2,9), poi forma gli animali (2,19) (12).
E
meno probabile, invece, che la formula di Gn 2,4 possa essere la conclusione
del primo racconto della creazione e significhi: «Generazioni del cielo e della
terra». Oltre alla difficoltà menzionata prima, occorre aggiungere che Gn 1
non parla di «generazione» dell'universo, ma di creazione (13).
-
Suddivisioni
*
Gli eventi più importanti. Come accennato prima, alcune formule introducono
una genealogia (5,1; 10,1; 11,10; 25,12; 36,1.9). A1, invece, introducono una
narrazione (2,4; 6,9; 11,27; 25,19; 37,2). :
Quest'ultime corrispondono ai momenti più importanti della Genesi: creazione
dell'uomo e della donna (2,4); diluvio (6,9); storia di Abramo (11,27), di
Giacobbe (25,19) e di Giuseppe e dei suoi fratelli (37,2).
*
Prima e dopo il diluvio. La formula copre tutto il libro della Genesi e non
sembra, di primo acchito, segnalare alcuna differenza fra storia delle origini
(Gn 1-11) e storia degli antenati d'Israele (i patriarchi: Gn 12-50), divisione
diventata tradizionale in quasi tutti i commentar! e nelle introduzioni. Il
libro della Genesi invece sembra sottolineare un'altra divisione: prima del
diluvio e dopo il diluvio.
Vedi
la formula 'ahar hammabbul in 10,1; 11,10 («dopo il diluvio»). Secondo
questo criterio, le due parti della Genesi sarebbero Gn 1-9 e Gn 10-50 (14).
Fra
il diluvio e Abramo, il libro della Genesi contiene poche narrazioni. Le varie
componenti di questi capitolo hanno un solo scopo:
mostrare
come si arriva da Noè ad Abramo. Anche storie come quella della sbornia di Noè
(9,18-29) o della torre di Babele (11,1-9) preparano la venuta di Abramo.
Gn
9,18-29 spiega perché Canaan, figlio di Cam, viene maledetto e perde quindi i
suoi privilegi, mentre Sem, antenato di Abramo, viene benedetto e occuperà una
posizione di spicco nella storia della salvezza (Gn 9,26; cf. 10,21-31;
11,10-26).
Gn
11,1-9 (la torre di Babele) prepara la migrazione di Terach e di Abramo. A
partire da Gn 9,20-29, i testi non si interessano più alla storia
dell'universo come tale, ma introducono un principio di selezione che culmina
nella chiamata di Abramo (Gn 12,1-3). Per esempio, la «tavola delle nazioni»
inizia con la genealogia di lafet, poi di Cam, infine di Sem, benché Sem sia il
primogenito.
In
seguito, Gn 11,10-26 contiene la genealogia del solo Sem perché è l'antenato
di Terach e di Abramo. Queste scelte sono volute per porre in risalto la figura
di Sem e preparare l'arrivo di Abramo.
Pertanto
vi sono buone ragioni per introdurre una cesura fra Gn 1,1 - 9,19 e 9,20 -
50,26. I testi antichi sono meno disposti a dividere e strutturare che ad
unire: coltivano «l'arte della transizione». Nel caso concreto di Gn, si passa
progressivamente dalla storia dell'universo (Gn 1-9) a quella di Abramo e dei
suoi discendenti (Gn 12-50) con la «transizione» di Gn 9,20-11,26 (15).
2. Altri elementi di
strutturazione nella storia patriarcale (Gn 12-50)
Nel
quadro generale delle tòl'dòt, occorre introdurre alcune suddivisioni
più importanti. La prima, come visto prima, distingue fra l'universo
antediluviano e quello postdiluviano. In questa seconda parte, la storia
patriarcale o storia degli antenati d'Israele (Gn 12-50) occupa un posto
particolare. In questo caso, gli elementi strutturanti sono
diversi.
Si
tratta di alcuni discorsi divini che hanno come orizzonte la storia d'Israele
o di uno dei patriarchi. Nel linguaggio tecnico dell'analisi narrativa, sono
dei «programmi narrativi»(16). I più importanti sono Gn 12,1-3; 26,2-5;
28,13-15; 46,l-5a; cf. 50,24.
Gn
12,1-3, la «chiamata di Abramo», introduce una prima grande cesura nelle
genealogie [tòl'dòt) della Genesi:
«'Va,
lascia la tua terra, la tua parentela e la casa di tuo padre verso la terra
che io ti mostrerò, Tosi che faccia di tè una grande nazione, ti benedica,
faccia grande il tuo nome e tu possa essere una benedizione. 'Benedirò chi ti
benedirà e chi ti disprezzerà maledirò e tutte le famiglie della terra useranno
il tuo nome per benedirsi».
Finora,
Dio si occupava dell'universo e di tutta l'umanità. D'ora in poi, il racconto
si preoccuperà solo di un popolo e di una terra. Se si parlerà ancora di altri
popoli o di altri paesi, sarà in funzione dei rapporti con questo popolo e
questa terra. Questo drastico cambiamento nella trama significa certamente che
qualche cosa di nuovo inizia con Gn 12,1-3.
Il
problema non è più la sorte dell'umanità sulla terra, ma quella degli antenati
d'Israele. Gn 12,1-3 contiene il «programma» divino per i discendenti di Abramo
senza nessun limite e perciò va ben oltre il libro della Genesi. Questo
programma vale per sempre. Un secondo discorso divino rivolto allo stesso
Abramo un po' più avanti nel racconto precisa i confini della terra (Gn
13,14-17). Dopo la separazione di Abramo e Lot, Dio «fa vedere» all'antenato
d'Israele il paese che gli da.
Per
Isacco, il programma si trova in Gn 26,2-5. Per lo più, Dio ripete ad Isacco le
promesse fatte ad Abramo: promessa della terra e promessa di una numerosa
discendenza. Il discorso stabilisce anche la continuità fra Abramo e Isacco,
fra il Dio di Abramo e il Dio di Isacco.
Quando
si passa a Giacobbe, il discorso chiave appartiene alla «visione di Betel» (Gn
28,10-22). Dio si rivela come il Dio di Abramo e di Isacco e sottolinea così
la continuità fra i vari patriarchi. Accanto alle promesse della terra e di
una numerosa discendenza, il discorso di 28,13-15 contiene un elemento nuovo:
la promessa di «far tornare» Giacobbe sulla terra dei suoi padri (28,15).
Questo ritorno inizia in 31,3, quando Giacobbe riceve l'ordine esplicito di
«tornare nella terra della sua parentela». Gn 31,13 e 33,10 rimandano alla stessa
tematica.
Gn
46,l-5a si colloca all'inizio del viaggio di Giacobbe verso l'Egitto, ove
ritroverà Giuseppe. Con lui, tutta la sua famiglia si trasferisce in Egitto.
Qui inizia la lunga permanenza d'Israele in Egitto che finisce con l'esodo (Es
12-15). A questo punto, l'oracolo divino a Giacobbe promette al patriarca di
accompagnarlo in questo secondo importante viaggio della sua vita e poi di
farlo «salire» dall'Egitto. Israele, quindi, non si stabilisce permanentemente
in Egitto.
Infine,
prima di morire, Giuseppe riprende questa idea e annun-zia che un giorno Dio
condurrà il popolo nella terra promessa ad Abramo, Isacco e Giacobbe (50,24).
Una
linea importante di questa «trama» è l'interesse per la «terra». JHWH la fa
vedere ad Abramo, la promette di nuovo ad Isacco, vi fa ritornare Giacobbe dopo
il suo «esilio» dal suo zio Labano e promette di farvi tornare i suoi
discendenti quando scende in Egitto.
Giuseppe
ripete questo pensiero proprio nella conclusione del libro della Genesi. In
questo modo, la storia patriarcale è, in gran parte, ma non esclusivamente, un
racconto centrato sull'itinerario dei patriarchi e questo aspetto è uno degli
elementi che più fortemente lega fra di loro questi capitoli in una unità
narrativa all'interno del libro della Genesi.
Sebbene
sia più evidente nel caso di Giacobbe che per Abramo o Isacco, il messaggio di
questi discorsi è palese: la terra promessa a Israele è la terra di Canaan.
Perciò questi discorsi interpretano la vita di Abramo come una partenza e
un'esplorazione della terra promessa. La vita di Giacobbe è un itinerario
circolare, poiché lascia il paese per tornarvi con tutta la famiglia. La storia
di Giuseppe, in questo contesto, spiega perché provvisoriamente Israele è
andato a vive-
rè
in Egitto. I discorsi di 46,l-5a e 50,24 mettono l'accento sull'aspetto provvisorio
di questa permanenza in terra straniera (17).
3. La funzione della
formula di tól'dót nella storia patriarcale
Alla
preoccupazione per la terra, la storia patriarcale unisce la preoccupazione per
la discendenza. In questo caso, il problema è di sapere chi è l'erede della
promessa. Questo problema è legato di nuovo alla formula di tòl'dòt e
alla sua funzione. In questo caso, si intrecciano le questioni di genealogia e
di territorio. Si potrebbe parlare, addirittura, di geopolitica teologica. Qual
è dunque il loro scopo?
Uno
degli scopi di una genealogia è, ovviamente, di definire l'appartenenza a una
famiglia, a una etnia o a un popolo (18). Nel caso della Genesi, lo scopo
della formula di tòl'dòt è di delimitare i confini del popolo d'Israele
e di situare Israele nell'universo, cioè nella creazione. Le varie formule
corrispondono ai momenti più importanti di questa «storia della definizione
d'Israele» (19). Infatti, nell'antichità, la «genealogia» ha spesso come scopo
di «legittimare» le prerogative degli individui, dei gruppi o dei popoli.
Le
formule introducono genealogie o racconti, i due mezzi utilizzati dal libro
della Genesi per determinare chi appartiene o meno al popolo eletto.
*
Gn 1-9 descrive l'origine dell'universo e dell'umanità. Il peccato e la
violenza sono la causa del diluvio (Gn 6-9). Israele fa quindi parte delle
nazioni postdiluviane. Dopo il diluvio, genealogie e storie in Gn 9-11 mettono
in risalto la figura di Sem, antenato remoto del popolo d'Israele.
*
La storia di Abramo (Gn 12-25) s'impernia su una domanda principale: chi sarà
l'erede della promessa? Vi sono parecchi candidati successivi: Lot (Gn 13),
Eliezer (Gn 15), Ismaele (Gn 16 e 21). Tutti saranno scartati a favore di
Isacco (Gn 21,1-7; cf. Gn 15,1-6; 17; 18,1-15) (20).
Ismaele
avrà la sua genealogia (le tòt dot di Gn 25,12-18), però si tratta di
una linea laterale, non della linea principale. La genealogia e la stona
permettono di capire e di definire meglio la posizione dei popoli vicini, come
Moabiti e Ammoniti (discendenti di Lot), Ismaeliti e Israeliti (discendenti di
Ismaele e di Isacco).
Inoltre,
Gn 12-25 dimostra che la terra promessa è la terra' di Ca-naan. Isacco sarà
dunque erede della terra di Canaan, mentre i discendenti di Lot si
stabiliranno in Moab e Ammon (Gn 19) e quelli di Ismaele nel deserto, a sud di
Beersheba, presso l'Egitto (Gn 25,18; cf. 16,14; 21,14.21).
*
La storia di Giacobbe (Gn 25-35) definisce Israele nei confronti di Esaù e
degli Edomiti, suoi discendenti, e di Labano l'Arameo. Nuovamente, si tratta
di popoli «apparentati» che occupano territori contigui. Esaù è il gemello di
Giacobbe e Labano lo zio. Ma solo Giacobbe sarà l'erede della promessa, sebbene
ottenga la benedizione in un modo poco onesto (Gn 25 e 27),
La
storia permette di fissare con precisione i confini dei territori occupati da
ciascuno. Il giuramento di Labano e di Giacobbe in 31,51-54 che conclude tutte
le vicende di Gn 28-31 ha proprio come scopo di tracciare la frontiera fra i
rispettivi territori. Gn 36,6-8 asserisce con tutta chiarezza che Esaù non si è
stabilito nella terra di Canaan, bensì nella montagna di Seir. La terra di
Canaan, invece, appartiene a Giacobbe (28,13-14; 31,3.13; 32,10).
*
La storia di Giuseppe risponde ad un'ultima domanda: Perché vi sono dodici
tribù? In Gn 37 sorge un ulteriore conflitto tra «fratelli». Giuseppe sarà
l'unico erede, come Isacco e Giacobbe? Il racconto spiega perché tutti i
fratelli saranno benedetti in Gn 49 e saranno dunque tutti quanti gli antenati
del popolo d'Israele.
Dopo
la riconciliazione tra i fratelli, tutta la famiglia scende in Egitto. Gli
ultimi versetti della storia contengono però la promessa di un ritorno nella
terra di Canaan (50,24) (21). La storia di Giuseppe funge quindi da
transizione fra il libro della Genesi e quello dell'Esodo (22).
4. Importanza della
storia patriarcale
La
storia patriarcale (Gn 12-50) è di gran lunga la parte più importante del libro
della Genesi. Secondo la cronologia della Genesi, j; Abramo è nato nelì'annus mundi 1946. Lascia la sua patria
per migrare verso la terra di Canaan neìl'annus mundi 2021 (cf. Gn
12,4b). Giacobbe e la sua famiglia scendono in Egitto neQ.'annus mundi.
2236 (Gn 47,9) (23). Quindi, i capitoli 1-11 della Genesi coprono 2021 anni e i
capitoli dedicati ai patriarchi, 215, senza contare gli anni che separano
l'arrivo in Egitto dalla morte di Giacobbe e di Giuseppe. Se aggiungiamo a
questa cifra più o meno 80 anni per arrivare alla morte di Giuseppe, arriviamo
a 295/300 anni (24).
Proporzionalmente,
il «tempo del racconto» è molto più lungo in Gn 12-50 che in Gn 1-11. In parole
più semplici, il racconto di Gn 12-50 è molto più ricco e particolareggiato che
il racconto di Gn 1-11. Nel primo caso la proporzione è più o meno di un
capitolo per 200 anni, mentre, nel secondo, è di un capitolo per 7 anni e
mezzo.
C.
la. STRUTTURA DEL LIBRO
DELL'ESODO
1.
Le suddivisioni (25)
La
struttura di Esodo è molto diversa da quella di Genesi. Non ,vi sono segnali
linguistici simili alla «formula di tòt dot», per aiutare a capire la
composizione del libro (26). Vi sono alcune formule di origine sacerdotale (P)
che scandiscono le varie tappe dell'itinerario d'Israele nel deserto
(12,37a.40-42; 13,20; 14,2; 15,22a; 16,1; 17,1; 19,2).
Questa
formula riappare nel libro dei Numeri (10,11-12; 12,16; 20,1; 20,22; 21,4;
21,10-13; 22,1) (27). Nm 33 ne contiene una lista completa. Però la formula
non si ritrova in tutte le sezioni del libro - è assente da Es 19-40 - e non
corrisponde alle sue maggiori divisioni. Inoltre, l'itinerario continua in Nm
strutturando un insieme più vasto del solo libro dell'Esodo.
In
genere, gli esegeti distinguono almeno tré parti in Es: l'uscita dall'Egitto
(Es 1,1 - 15,21); la marcia dall'Egitto al Sinai (15,22 -18,27); Israele al
Sinai: l'alleanza e le leggi (19-40). In quest'ultima sezione, è abituale
distinguere fra l'alleanza (Es 19-24), la rottura dell'alleanza e il suo
rinnovamento (32-34), e infine le istruzioni sulla costruzione del santuario e
la loro esecuzione (25-31; 35-40) (28). Però mancano segnali linguistici chiari
per suffragare questo modo di strutturare il libro. Occorre quindi cercare
altrove.
2. Tentativo di
soluzione
II
libro dell'Esodo si conclude con la consacrazione della tenda dell'incontro (Es
40,34-38), Questo testo può fornire la chiave di in-terpretazione del libro
nella sua forma canonica.
- Contesto
letterario e storico. Che cosa accade in Es 40,34-38? JHWH prende possesso
della tenda dell'incontro, cioè viene ad abitare in mezzo al suo popolo
(40,35; cf. 29,43-46). I grandi simboli della presenza sono la «gloria» e la
«nube». Questo momento annuncia 1 Rè 8,10-13, quando JHWH verrà ad abitare nel
tempio di Salomo-ne (cf.2 Cr 5,11-6,2).
Un
altro testo da collegare con Es 40 è Ez 43,1-7, ove la «gloria di JHWH» rientra
nel tempio, che aveva abbandonato in Ez 10,18-22. Il tempio distrutto dai
Babilonesi sarà ricostruito dopo l'esilio (Esd 5-6). Questo secondo tempio sarà
purificato da Giuda Maccabeo in 1 Mac 4,36-61.
Per
la comunità postesilica, la consacrazione della tenda doveva essere un momento
chiave della storia d'Israele. Molto probabilmente è da mettere in relazione
con la ricostruzione del tempio di Gerusalemme e la restaurazione del culto
all'epoca persiana (29).
- Significato
della costruzione del tempio (30). Nel Medio Oriente antico, la
consacrazione del tempio è il momento in cui una divinità afferma la sua
sovranità. I racconti di creazione finiscono spesso con la costruzione di un
tempio per il dio demiurgo. Per esempio, Marduk si fa costruire un santuario
alla fine del poema Enuma Elish. Ad Ugarit esiste un lungo poema sulla
costruzione del tempio di Baal. Allo stesso modo, JHWH venendo ad abitare in
mezzo a Israele afferma la sua sovranità sul popolo d'Israele (e
sull'universo). Israele è il popolo di JHWH e di nessun'altra divinità o
potenza. La consacrazione della tenda corrisponde all'affermazione categorica
del primo comandamento:
«Io
sono JHWH, il tuo Dio che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla casa
di servitù. Non avrai altri dèi accanto a me» (Es 20,2-3 ) (31).
Es
40 completa il racconto della creazione (Gn 1). Gn 1 finisce con la
consacrazione di un tempo sacro (il settimo giorno, il sabato). Solo in Es 40,
JHWH può avere una dimora in mezzo al mondo creato, perché ora Israele è
diventato il suo popolo (Es 6,7) ed egli è diventato il suo Dio (29,45-46)
(32).
- Struttura
del libro dell'Esodo. La questione della sovranità di JHWH su Israele
percorre tutto il libro dell'Esodo.
In
Es 1-15, il problema fondamentale è di sapere chi è il vero sovrano
d'Israele e chi Israele deve «servire»: faraone o JHWH. La domanda appare più
chiaramente nel racconto delle piaghe (Es 7-11) e in quello del passaggio del
mare (Es 14). In questi capitoli, JHWH rivela la sua sovranità.
Le
piaghe dell'Egitto e il passaggio del mare sono delle prove che «egli è JHWH»,
mentre il faraone aveva detto: «Non conosco JHWH» (Es 5,2). Per questa ragione
la «formula di riconoscimento» è frequente in questa parte dell'Esodo (vedi
7,5.17; 8,6.18; 9,14.29; 10,2; 11,7; 14,4.18): «affinchè sappiate/sappiano che
io sono JHWH». Cf. 14,18: «così che gli Egiziani sappiano che io sono JHWH»
(33).
Es
15,18, l'ultimo versetto del «cantico
di Mosè» afferma, dopo la vittoria definitiva di Es 14: «JHWH regnerà in eterno
e per sempre». Il versetto precedente parlava del futuro santuario, ultima
meta dell'esodo: «Li condurrai e pianterai nel monte della tua eredità, luogo
della tua dimora, quella che tu hai costruito, JHWH, il santuario del Signore
che le tue mani hanno consolidato». JHWH regna, sarà rè, e avrà la dimora in
mezzo al suo popolo.
I
due temi della sovranità e della dimora (santuario) sono già uniti in questi
versetti finali del «cantico di Mosè» (34).
Es
15,22 - 18,27 è una transizione che
conduce Israele dall'Egitto al monte Sinai. JHWH è ormai il «sovrano»
d'Israele e deve risolvere i problemi del suo popolo: la sete (Es 15,22-27;
17,1-7); la fame (16); l'attacco da parte dei nemici (17,8-16). Inoltre, questi
capitoli accennano alla legge (15,25b; 16,4-5.28) e all'organizzazione
giuridica del popolo (18).
Il
solo elemento stilistico che unisce questi capitoli compositi è la «formula di
itinerario» (15,22.27; 16,1; 17,1; cf. 19,1-2), che contiene spesso i verbi ns'
(«muoversi», «viaggiare», «spostarsi»), bw' («arrivare») e nhh («accampare»),
e vari nomi di luoghi, specialmente il luogo di partenza e il luogo di arrivo.
Es
19,1-24,11 è uno dei momenti più
forti del libro dell'Esodo (35).
a)
Stile. Le corrispondenze fra 19,7-8 e 24,3.7 incorniciano tutta la sezione
(36):
19,7-8:
«'Mosè venne e convocò gli anziani del popolo ed espose davanti a loro
tutte queste parole che JHWH gli aveva ordinato. 'Tutto il popolo, insieme,
rispose dicendo: Tutto quello che JHWH ha detto, noi lo faremo...».
24,3:
«Mosè venne e raccontò al popolo tutte le parole di JHWH e tutti i giudizi, e
tutto il popolo rispose, a una voce, dicendo: Tutte le parole che JHWH ci ha
detto, noi le faremo».
24,7:
«[Mosè] prese il libro dell'alleanza e lo lesse agli orecchi del popolo e
dissero: «Tutto quello che ha detto JHWH, noi lo faremo e lo ascolteremo».
b)
Per quanto riguarda JHWH, l'affermazione centrale si trova in Es 20,2-3: «Io
sono JHWH che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla casa di servitù.
Non avrai altri dei accanto a me». L'esodo è l'evento fondamentale della
storia d'Israele, l'evento su cui JHWH fonda tutte le sue prerogative.
La
prima conseguenza di questo fatto - il «primo comandamento» - è che per
Israele non vi possono essere altri dèi: solo JHWH ha liberato Israele, solo
JHWH ha dei diritti su Israele.
c)
Lo statuto d'Israele. Il primo testo (Es 19,3-8) contiene il «programma» di
tutta la sezione. In questo oracolo che apre la pericope del Sinai, JHWH
ricorda l'esodo (19,4) e propone a Israele di diventare il suo «appannaggio» {s'gullo)
fra tutti i popoli della terra, un «regno sacerdotale» (mamleket kohanìm)
e una «nazione santa» (gòy qadòs) (37). Dopo la proclamazione del
decalogo (20,1-17) e del «codice dell'alleanza» (20,22 - 23,19), i vari rituali
di Es 24,1-11, specialmente l'alleanza di Es 24,3-8, suggellano i nuovi
rapporti fra JHWH e il suo popolo.
Ormai,
Israele è l'appannaggio di JHWH, una «nazione santa» e un «regno sacerdotale».
I rituali di Es 24,3-8, soprattutto l'aspersione di sangue, «consacrano»
Israele. Lo stesso rito di aspersione consacra i sacerdoti in Es 29; Lv 8. La
visione e il pasto di Es 24,9-11 hanno come scopo di sancire l'autorità dei
sacerdoti e degli anziani, i legittimi rappresentanti di JHWH in mezzo alla
«nazione santa» (38).
Però
manca ancora il «santuario», con i suoi indispensabili complementi, il
sacerdozio e l'altare (cf. 29,43-46). Sarà l'argomento della sezione seguente.
Es
24,12-31,18, in particolare 24,15-31,17,
sono i capitoli in cui JHWH rivela a Mosè il piano del santuario da costruire
(25,8-9): «Mi farete un santuario così che abiterò in mezzo a loro». JHWH sarà
davvero il «sovrano» d'Israele quando avrà un santuario in cui potrà dimorare
in mezzo al suo popolo.
Questa
sezione è incorniciata, a mo' di inclusione, da due menzioni delle «tavole di
pietra» che contengono la legge (24,12; 31,18). Queste tavole assolveranno un
ruolo importante nei capitoli seguenti perché contengono le condizioni
fondamentali della relazione fra JHWH e il suo popolo. JHWH potrà abitare in
mezzo al suo popolo solo se Israele rispetta questa «legge» (39).
Es
32-34. Ora, Israele non rispetta la
«legge fondamentale» contenuta sulle «tavole di pietra». L'episodio del
«vitello d'oro» provoca una grave crisi che mette in pericolo l'esistenza
d'Israele come popolo di JHWH. Il «vitello d'oro» viene considerato come una
divinità rivale (cf. Es 20,3; 32,1.8). Una domanda domina i capitoli 32-34:
dopo l'episodio del vitello d'oro, JHWH continuerà ad abitare in mezzo al suo
popolo e a guidarlo nel deserto? Vedi 33,3.5.14. Mosè intercede e, finalmente,
JHWH cede (33,14.17). Il Dio che ormai accompagnerà Israele sarà un Dio di
perdono e di misericordia (Es 34,6-7).
Il
rinnovamento dell'alleanza (Es 34) è simboleggiato dal dono di due nuove tavole
della legge. Mosè le aveva distrutte in 32,15-16.19. Due nuove tavole vengono
scritte in 34,1.27-28 (40).
Es
35-40. Adesso, è ormai possibile
costruire il santuario in cui JHWH viene ad abitare in 40,34-35. A questo
punto, JHWH ha dimostrato di essere il «sovrano d'Israele», dopo aver
eliminato la potenza umana del faraone e le «altre divinità» simboleggiate dal
vitello d'oro.
a)
Dal punto di vista stilistico, l'ultima sezione di questi capitoli (40,34-38)
si riallaccia alla prima (35,1-3) grazie alla parola «lavoro», «opera» (m''la'ka)
che appare in 35,2 e 40,33. In entrambi i casi vi sono anche accenni a Gn 1,1
- 2,4a, specialmente a Gn 2,1-3. Es 35,1-3 parla della settimana e del riposo
del settimo giorno (cf. Gn 2,1-3), e Es 40,33 dice che Mosè concluse il suo
lavoro, esattamente come Dio fece in Gn 2,2:
Gn
2,2: «Dio finì nel settimo giorno l'opera che aveva fatto». Es 40,33: «Mosè
finì l'opera».
b)
Due elementi sono fondamentali in quest'ultimo capitolo di Es.: JHWH abita in
mezzo al suo popolo (40,34-35) e occorre organizzare il popolo in funzione
della presenza divina. Sarà lo scopo del libro del Levitico. Dalla tenda, JHWH
guida il suo popolo (Es 40,37-38). Il libro dei Numeri descriverà l'andamento
di questa marcia d'Israele sotto la guida di JHWH presente nella nube.
e)
Occorre aggiungere un'ultima osservazione a proposito di questi capitoli.
L'inizio del libro dell'Esodo descrive la servitù d'Israele in Egitto (Es 1).
Alla fine del libro, Israele «serve» JHWH. Però, il «servizio di JHWH» non è
un'altra servitù. La «liturgia» - in ebraico, la stessa parola, 'abódd -
significa «servitù», «lavoro» o «liturgia» - è un «servizio» spontaneo e
libero, non un «lavoro forzato». Vedi Es 35,4-29, ove la gente agisce
«volontariamente» («ogni cuore ben disposto»; 35,5.22; «ognuno, portato dal suo
cuore, e chi era spinto dal proprio spirito»; 35,21) (41).
Inoltre,
il riposo del sabato (Es 35,1-3) distingue il «lavoro libero» dalla schiavitù.
Lo schiavo non ha diritto al riposo. Il libro del Le-vitico descriverà
anch'esso il «servizio libero» del popolo d'Israele per JHWH, suo Dio.
D.
la STRUTTURA DEL LIBRO DEL
LEVITICO (42)
1.
Il problema
La
presenza di JHWH in mezzo al suo popolo richiede una riorganizzazione di tutta
la vita in funzione di una fondamentale esigenza di «purezza» e di «santità».
Questo è lo scopo primario del libro del Levitico.
2. Struttura
Gli
esegeti si accordano per distinguere, in Lv, quattro sezioni importanti e
un'appendice. Lv 1-7 tratta dei sacrifici; 8-10, dell'inaugurazione del culto;
11-16, delle leggi di purezza e impurità; 17-26, della «legge di santità»; il
capitolo 27 è un'appendice su varie offerte per il santuario.
-
Criteri di strutturazione
Lv
1-7 si conclude con un «sommario
conclusivo» caratteristico (7,37-38):
«Questo
è il rituale dell'olocausto, dell'oblazione, del sacrificio espiatorio e del
sacrificio di riparazione e d'investitura e del sacrificio di comunione,
"rituale che ha comandato JHWH a Mosè sul monte Sinai, il giorno in cui
egli ha comandato ai figli d'Israele di offrire le loro offerte a JHWH, nel
deserto del Sinai».
Le
altre parti del Lv sono sprovviste di queste introduzioni o conclusioni. Le
formule di Lv 26,46 e 27,34 concludono tutto il libro. La divisione si appoggia
quindi su vari criteri.
Lv
8-10 descrive la consacrazione dei
sacerdoti, cioè di Aronne e dei suoi figli, e l'inaugurazione del culto. Mosè,
Aronne e i suoi figli sono i personaggi principali di questi capitoli (8,2;
9,1; 10,1).
Lv
11-16. In questi capitoli prevale il
vocabolario della purezza e dell'impurità: fame' («impuro»); tahor
(«puro»); seqes («abominio»); e i verbi corrispondenti. Il capitolo 11
ha la propria conclusione ( 11,46-47). Vi sono altre conclusioni di questo tipo
in 12,7 (legge per la puerpera); 13,59 (legge per la macchia di lebbra);
14,54-57 (legge per la lebbra); 15,32-33 (legge sull'impurità sessuale).
Lv
16 non appartiene esattamente alle
leggi sull'impurità. Tratta in realtà del rituale da osservare per il «giorno
dell'espiazione» (yòm hakkippurìm), uno dei perni della teologia del
Levitico. Vi sono due conclusioni in questo capitolo (16,29a e 16,34).
Lv
17-26 contiene la cosiddetta «legge
di santità». Purtroppo, i segnali linguistici che permetterebbero di
individuare questa sezione non sono chiari. Per esempio, il nome «legge di
santità» deriva dalla famosa espressione: «Siate santi perché io, JHWH, il Dio
vostro, sono santo» (Lv 19,2). Però questa espressione non si trova all'inizio
della legge, in Lv 17,1, e inoltre appare già in Lv 11,44.
Per
molti esegeti, Lv 17 fa parte della «legge di santità» perché questo capitolo
parla del sangue, elemento sacro (17,11) presente in molti rituali di
consacrazione.
Alcuni
capitoli hanno la loro conclusione, cioè un'esortazione all'osservanza della
legge. Vedi 18,30; 19,37; 20,22-26; 22,31-33; 26,2. In altri casi, la
conclusione asserisce soltanto che Mosè comunicò a Israele (o ad Aronne) le
prescrizioni promulgate da JHWH (Lv21,24; 23,44). Vedi anche 24,23 (conclusione
di un intermezzo storico).
Come
detto prima, Lv 26,46 e 27,34 concludono tutto il libro.
3. Significato del
libro (43)
Per
capire il libro del Levitico, occorre ricordare il suo contesto. Israele è
appena uscito dall'Egitto e si trova ai piedi del monte Sinai. Il popolo vive
nel deserto e non è ancora entrato nella terra promessa. Quali sono i
fondamenti giuridici del popolo d'Israele? Non può essere il possesso di un
territorio e pertanto la legge non può appoggiarsi sul diritto di proprietà.
Il
solo fondamento dell'esistenza d'Israele in questo momento è l'esperienza
dell'esodo: JHWH ha fatto uscire Israele dall'Egitto, cioè ha liberato Israele
dalla schiavitù. Israele è quindi un popolo libero, sebbene non possieda ancora
alcun territorio.
Ora,
nel libro del Levitico, questa esperienza esodale riceve una itìterpretazione
nuova: quando JHWH ha fatto uscire Israele dall'Egitto, l'ha «separato» dalle
altre nazioni, specialmente dall'Egitto, e «santificato».
Questo
«fondamento teologico» dell'esistenza d'Israele ha delle conseguenze sul suo
statuto giuridico. Le più importanti sono:
-
L'esodo non è una prodezza umana, l'azione di un grande eroe o di un gruppo ben
organizzato; non è neanche l'opera di una divinità qualsiasi, ma del solo
JHWH. Siccome Israele come popolo deve la sua esistenza a JHWH, esso
«appartiene» a JHWH. Vedi per esempio Lv 25,55:
«Perché
di me gli Israeliti sono servi, sono i miei servi, quelli che ho fatti uscire
dalla terra d'Egitto. Io sono JHWH, il loro Dio».
-
Questo fatto definisce i rapporti fra i vari mèmbri del popolo. La libertà di
tutti i mèmbri del popolo d'Israele è «sacra», poiché appartiene al solo JHWH.
Cf. Lv 25,42 (legge sul riscatto degli schiavi):
«Poiché
sono i miei servitori che ho fatti uscire dalla terra d'Egitto. Non saranno
venduti come si vendono gli schiavi».
-
Poiché Israele è un popolo «santo», tutti gli aspetti della sua esistenza sono
caratterizzati dalla «santità» (Lv 19,2; 22,31-33). Perciò il Lv insiste sul
culto e sull'osservanza di regole «religiose», per esempio sulla distinzione
fra «puro» e «impuro». Vedi Lv 11,44-47 (legge sui cibi leciti e i cibi non
leciti):
«Poiché
io, JHWH, sono il vostro Dio, vi santificherete e sarete santi perché sono
santo. Non vi contaminerete con qualsiasi animale che striscia sulla terra, "lo
sono JHWH che vi ha fatto salire dalla terra d'Egitto per essere vostro Dio.
Siate santi perché sono santo. ""Questa è la legge relativa al
bestiame, agli uccelli e a ogni essere vivente che si muove nell'acqua e a ogni
essere vivente che striscia sulla terra. ""[Questa legge ha lo scopo]
di separare l'impuro dal puro, gli animali che si possono mangiare da quelli
che non è lecito mangiare».
Israele
è stato «santificato» da JHWH quando l'ha fatto salire dall'Egitto. Perciò,
afferma lo stesso testo di Lv 11, Israele deve «distinguere fra il puro e
l'impuro», cioè deve rimanere «santo» e «puro» (cf. 18,1-4; 20,24-25).
-
La «terra» che sarà data al popolo appartiene solo a JHWH che ne sarà l'unico
proprietario (44). Non vi sarà pertanto in Israele «diritto di proprietà». Gli
Israeliti possono usufruire della terra, non pos» sederla. Lv 20,24; 25,23.38.
Lv 25,23 è particolarmente significativo (legge sul riscatto della terra):
«La
terra non sarà venduta perdendone ogni diritto, perché mia è la terra e voi
siete residenti e ospiti presso di me».
—
L'esodo come «separazione» e «santificazione» definisce anche i rapporti
d'Israele con le altre nazioni (45). Il popolo che è stato «santificato» non
può vivere come le nazioni dalle quali è stata «separato». Vedi Lv 11,47;
18,3-5; 20,22-26; 22,32-33; specialmente Lv 22,32-33 (conclusione di una legge
sui sacrifìci):
«"Non
profanate il mio santo nome, affinchè io sia proclamato santo in mezzo ai figli
d'Israele. Io sono JHWH che vi santifica, "che vi ha fatto uscire dalla
terra d'Egitto per essere il vostro Dio. Io sono JHWH».
Questo
testo stabilisce una corrispondenza esatta fra due azioni divine: la
santificazione d'Israele e l'uscita dall'Egitto. Il participio nf-qaddifkem
(«che vi santifica») è seguito dal participio hammòsì' («che ha fatto
uscire»). I due participi hanno lo stesso valore e perciò, l'uscita
dall'Egitto è la santificazione d'Israele.
Vedi
anche Lv 18,3-4 che introduce le leggi sulla sessualità:
«'Non
agite secondo il costume della terra d'Egitto dove abitavate e [non agite]
secondo il costume della terra di Canaan dove sto per portarvi,: [non agite]
secondo i loro decreti. Le mie decisioni applicherete e i miei decreti
osserverete per condurvi secondo essi. Io sono JHWH, il vostro Dio».
Se
Israele è stato «separato» e «santificato», non può vivere secondo i costumi e
le leggi dei popoli da cui è stato «separato» e «santificato».
Conclusione. Questa introduzione non è il luogo per cercare di
valutare a fondo la teologia del Lv che ha senza dubbio i suoi limiti.
L'insistenza sul culto, sulla «separazione» e il carattere distintivo di
Israele non è privo di pericoli.
L'Antico
Testamento, per esempio, in Rut e Giona e in alcuni passi profetici, si
mostrerà critico nei confronti di questa mentalità.
Il
Nuovo Testamento la giudicherà con severità. Però occorre anche evidenziare i
suoi meriti. Senza questa teologia, Israele non sarebbe stato in grado di
sopravvivere e di trasmettere la sua fede quando, persa la sua autonomia
politica, non disponeva più di un territorio proprio. Questo vale a
fortiori per gli Ebrei della diaspora.
E.
la STRUTTURA DEL LIBRO DEI NUMERI
(46)
1.
Il problema (47)
Come
hanno notato molti autori, il libro dei Numeri è molto diffìcile da
strutturare (48). In genere prevale la divisione in tré parti, però con grande
varietà di opinioni. Queste tré parti sono: Israele al Sinai; la marcia dal
Sinai alle pianure di Moab; Israele nelle pianure di Moab.
Per
molti, la prima sezione finisce in 10,10. Ma per Noth e Coats, finisce in 10,36
e per Budd in 9,14. La conclusione della seconda parte si trova, a seconda
degli autori, in 20,13; 21,9; 22,1 o 25,18.
Non
vi è accordo nemmeno per la conclusione del libro. Quasi tutti gli autori
pensano che la terza sezione coincida con la fine del libro, cioè in 36,13. Ma
Budd considera il cap. 36 come un'aggiunta.
Sono
pochi gli studiosi che non dividono il libro in tré parti. Uno, tuttavia,
preferisce dividerlo in due parti: D.T. Olson (49). Queste due parti sono
1-2.5 e 26-36. La prima parte parla soprattutto della generazione che ha
conosciuto l'esodo e il Sinai, mentre la seconda parla della nuova generazione
che prese il posto della prima quarant'anni dopo. I due censimenti dei cap. 1 e
26 segnalano l'inizio delle due parti.
2.
La struttura in due parti (50)
il libro dei Numeri contiene alcune indicazioni che
potrebbero servire alla sua strutturazione. Per esempio, vi sono indicazioni
cronologiche in 1,1; 7,1; 10,11; 33,38; indicazioni topografiche che permettono
di distinguere le varie tappe della permanenza d'Israele nel deserto: il Sinai
(1,1-10,10); Paran (10,12-12,16); Edom (20,23-21,4); il Negeb (21,1); Moab
(21,11.13.20; 22,1); il paese degli Amorriti (21,13.21.31); infine, le steppe
di Moab (22-36).
Però,
queste indicazioni non sono decisive perché non convergono. Per ottenere un
risultato più soddisfacente, occorre studiare allo stesso tempo forma e
contenuto.
Knierim
perciò propone di partire dalla divisione in tré parti. Nota però che non vi è
alcuna ragione di distinguere la seconda dalla terza parte dal punto di vista
formale e contenutistico. Da 10,10 in poi, Israele cammina nel deserto. Moab è
un'altra «tappa d'Israele nel deserto», anche se è più lunga. Quindi, è più
ragionevole distinguere due parti nel libro: Nm 1,1-10,10 e 10,11-36,13.
Qual
è il fattore che unisce e distingue queste due parti al più alto livello di
strutturazione (51)? In 1,1-10,10, Israele si prepara a camminare nel deserto.
Questa preparazione è cultuale e militare, ed è diversa da quella dei capitoli
seguenti, perché ha in vista tutta la marcia nel deserto, e non solo una
tappa particolare. La seconda parte del libro (10,11-36,13) descrive
l'esecuzione del piano contenuto nei primi capitoli. La struttura fondamentale
del libro dei Numeri è quindi: piano/esecuzione del piano. Il libro intero
appartiene al genere letterario della campagna militare (52).
Tuttavia,
vi sono buone ragioni per introdurre un'ulteriore suddivisione senza
modificare la struttura proposta da Knierim. La seconda parte di Nm
(10,11-36,13) descrive una marcia nel deserto sul modello di una campagna
militare. In questa campagna, vi sono due tappe ben distinte. Nella prima,
Israele cammina dal Sinai verso la terra promessa. Nella seconda, invece,
inizia a conquistare un territorio.
La
«campagna» non è più esattamente la stessa, poiché, per la t prima volta, il testo dice che Israele ha
«preso un territorio» e che vi si è «stabilito». Questi verbi appaiono in Nm
21,21-26, il racconto del-I la
campagna contro Sihon, rè degli Amorriti. Vedi 21,25: «Israele prese tutte
queste città e si stabilì in tutte le città degli Amorriti, in Heshbon e in
tutte le sue dipendenze». Cf. 21,31: «e Israele si stabilì nella terra degli
Amorriti». Inoltre, appare in 21,24 un verbo chiave per la conquista, il verbo yrs
(«conquistare»): «Israele lo [Sihon] colpì a fil di spada e conquistò (wayyìras)
la sua terra dall'Amen sino allo labboq...».
A
partire da questo momento, il racconto è orientato verso la conquista. Per
esempio, Nm 32 contiene istruzioni per la ripartizione del territorio della
Transgiordania e Nm 34 per quello della Cisgiordania. Nm 21,10-20 funge da
transizione fra queste due tappe della marcia nel deserto. Gli oracoli di
Balaam (Nm 22-24) occupano un posto chiave in questa struttura, all'inizio
della conquista. In essi, viene dimostrato in vari modi che nessuno potrà
opporsi al piano divino.
In
conclusione, proponiamo la struttura seguente per il libro dei Numeri:
1.
Preparazione della campagna: 1,1 - 10,10
2.
Esecuzione della campagna: 10,11— 36,13 a. La marcia nel deserto: 10,11 - 21,20
b. L'inizio della conquista: 21,21 - 36,13.
3.
Il significato del libro dei Numeri
(53)
II
problema del libro dei Numeri è di sapere come «camminare con JHWH», con JHWH
presente nella tenda, in mezzo all'accampamento d'Israele. La prima parte del
libro (1,1-10,10) è dedicata anzitutto all'organizzazione delle tribù attorno
alla tenda (Nm 2) e ai vari compiti dei leviti che stanno al servizio di questa
tenda (Nm 3-4). Nm 7-8 contiene altre prescrizioni cultuali legate anch'esse al
santuario. Nm 10 tratta della preparazione immediata della partenza.
La
seconda parte del libro (10,11-36,13) contiene vari episodi che mostrano che
cosa significa concretamente «camminare con JHWH». JHWH è pronto ad aiutare il
suo popolo, però è soprattutto un Dio che castiga ogni ribellione (11; 12;
13-14; 16-17; 20,1-13; 21,4-9; 25).
Nella
maggioranza dei casi, tutto il popolo si ribella contro JHWH e contro Mosè ed
Aronne. In alcuni casi, tuttavia, JHWH castiga individui: Aronne e Miriam in
Nm 12; Datan, Abiram e i figli di Qorah in Nm 16; Mosè e Aronne in Nm 20,1-13.
L'episodio
più importante è Nm 13-14 ove tutta la generazione dell'esodo viene condannata
a morire nel deserto perché rifiutò di conquistare la terra promessa.
Il
messaggio è chiaro: se vi sono stati dei fallimenti, ciò non dipende dalla
preparazione della campagna. JHWH aveva previsto tutto. I fallimenti sono
dovuti ai peccati d'Israele. Al contrario, quando Israele segue le istruzioni
date da JHWH a Mosè, il popolo riesce nelle sue imprese.
Sarà
il caso, per esempio, nelle prime guerre di conquista (21,21-32; 21,33-35; 31).
Se il Pentateuco è stato composto per l'Israele po-stesilico, il libro dei
Numeri spiega a quali condizioni il popolo potrà ritrovare la terra promessa.
E
struttura DEL LIBRO DEL deuteronomio
La
struttura del libro del Deuteronomio ruota attorno a quattro «titoli» simili
nella loro costruzione e nel loro contenuto:
1,1:
«Queste sono le parole che Mosè rivolse a tutti gli Israeliti al di là del
Girdano [...]».
4,44:
«Questa è la legge che Mosè propose agli Israeliti [...]».
28,69:
«Queste sono le parole dell'alleanza che JHWH ordinò a Mosè di concludere con
gli Israeliti [...]».
33,1:
«Questa è la benedizione con cui Mosè, uomo di Dio, benedisse gli Israeliti
prima di morire [...]» (54).
Questo
libro, però, richiede un trattamento a parte (55).
Conclusione. Non tutti i libri del Pentateuco sono strutturati nello
stesso modo e non tutti presentano una chiara struttura. Nondimeno, è
possibile, individuare una strutturazione del testo canonico di ciascun libro.
Occorre adesso studiare più da vicino il testo canonico per vedere se è
completamente unificato o se nasconde le tracce di un lavoro di composizione, a
partire da elementi più antichi (56).
RIFERIMENTI
(1)
Seguiamo J. blenkinsopp, Pentateuch,
45-47.
(2)
Vedi, fra gli altri, B.S. childs, Introduction,
128-130; E. zenger, Einleitung,
34-36.
(3)
La traduzione di Gn 1,1 è discussa. Vedi, per esempio, G.J. wenham, Genesis 1-15 (WBC 1;
Waco, Tx 1987) 11-13.
(4)
Sull'alleanza nelle steppe di Moab, vedi N. lohfink,
«Der Bundesschiufi im Lande Moab. Redaktipnsgeschichtiiches zu Dt 28,69 - 32,47», BZ
NF 6 (1962) 32-56 = Studien wm Deuteronomium una wr deuteronomistischen
Literatur I (SBAAT 8;
Stuttgart 1990) 53-82; id., «Bund als Vertrag im Deuteronomium», ZAW 107
(1995) 215-239.
(5) Vedi R.P. knierim, «Thè Composition of thè
Pentateuch», Thè Task of Oid Tes-tament Theology. Subitanee, Method una Cases (Grand Rapids, MI - Cambridge, UK 1995) 351-379.
(6)
Vedi soprattutto J. blenkinsopp, 'Pentateuch,
57-59; 98-100.
(7)
Vedi B.S. childs, Introduction,
145; J. blenkinsopp, Pentateuch,
58-59; 99-100; cf. R.B. robinson, «Thè
Literary Function of thè Genealogies of Genesis», CBQ 48 (1986) 595-608.
R.N. whybray, Introduction,
31-32, è contrario, però i suoi argomenti sono piuttosto deboli.
(8)
La bibliografia su questa formula è molto abbondante. Vedi, fra gli altri, N. loh-FINK, «Die Priesterschrift und die
Geschichte», Congress Volume Góttingen 1977 (ed. W. zimmerli) (VTS 29; Leiden 1978)
189-255, spec. 205 = Studien wm 'Pentateuch (SBAAT 4; Stuttgart 1988)
213-254, spec. 230; S. tengstróm, Die
Toledotformel und die literarische Struktur der priesterlichen
Erweiterungsschicht im Pentateuch (Lund 1982); M.D. johnson, Thè Purpose of thè Biblica! Genealogies (SNTSMS 8; Cambridge 21988);
B. renaud, «Les généalogies et la
structure de l'histoire sacerdotale dans le livre de la Genèse», RB 97
(1990) 5-30.
(9) R.N. whybray, Introduction, 31-32.
(10) F. DE saussure, Cours de linguistice
generale (Genève 1915; Paris 1969) 112 = Corso di linguistica generale
(Bari '1970); cf. la distinzione fra «rneaning» and «sig-nificance», in E.D. hirsch, Validity in Interpretation
(New Haven - London 1967);
id., Thè Aims of
Interpretation (Chicago 1976).
(11) J. skinner,
Genesis (ICC; Edinburgh 1910) 41; cf. B. jacob, Dos erste Buch der Torà. Genesis (Berlin 1934) 71;
B.S. childs, Introduction,
145.
(12) Per più particolari, vedi
T. stordalen, «Genesis 2,4 -
Restudying a locus clas-sicus», ZAW 104 (1992) 163-171 (con bibliografia);
E. blum, Die Komposition der
Va-tergeschichte (WMANT 57; Neukirchen-VIuyn 1984) 451-452; id., Studien wr Komposition des
Pentateuch (BZAW 189; Berlin - New York 1990) 280; D. cakk, Read-ing thè Fractures of
Genesis. Historical and Literary Approaches (Louisville, KY 1996) 74-75
(con bibliografia); F.M. cross, Canaanite
Myth and Hebrew Epic (Cambridge, MA 1973) 302.
(13)
È molto probabile che la formula sia di origine redazionale e abbia come scopo
di integrare Gn 2-4 nelle «genealogie» della Genesi.
(14) Vedi R. rendtorff,
«Gen 8,21 und die Urgeschichte des Jahwisten», .KD 7 (1961) 69-78.
(15)
Comunque, occorre insistere sul fatto che le formule di tòl'dòt fanno
del libro della Genesi una unità letteraria. Vedi le riflessioni di B.S. childs, Introduction, 146.
(16)
Vedi J.L. ska, «Sincronia», 157,
230.
(17)
Su questo aspetto, vedi, fra gli altri, E. blum,
Vatergeschichte, 297-300.
(18)
Sulle varie funzioni delle genealogie, vedi fra gli altri R.R. wilson, «Thè Oid Testament Genealogies
in Recent Research», JBL 94 (1975) 169-189; id., Genealogy and tìistory in thè Biblica! Worid (New Haven, CN
1977); M.D. johnson, Thè
Pur-pose ofBtblical Genealogies; B.S. childs,
Introduction, 152-153.
(19)
Vedi E. blum, Komposition,
479-491, 505-506.
(20) Vedi L.R. helyer, «Thè Separation of Abraham and
Lot: Its Significance in thè Patriarchai Narratives», JSOT 26 (1983)
77-88.
(21)
partire da Gn 12,1-3, la «terra» diventa un tema centrale della storia
patriarcale.
(22)
Per altre presentazioni, vedi J. blenkinsopp,
Pentateuch, 57-59; 98-100; R.N. whybray,
Introduction, 29-40; 49-62.
(23)
Vedi J. blenkinsopp, Pentateuch,
48.
(24)
Giuseppe aveva 17 anni quando inizia la storia (Gn 37,2). Occorre aggiungere
almeno i sette anni di abbondanza (41,53) e due anni di carestia (45,6). Quando
Giacobbe e la sua famiglia arrivano in Egitto, Giuseppe aveva almeno 26 anni.
Muore a 110 anni (50,26). La differenza è più o meno di 80 anni.
(25) Vedi B.S. childs, ìntroduction, 170-171. Altri esegeti rinunciano a studiare la «forma
canonica» di Es per analizzare il blocco Es-Nm. Cf. J. blenkinsopp, «Proni Egypt to Canaan», Pentateuch,
134-182. Blenkinsopp divide l'insieme
Es-Nm in tré sezioni: 1) «Israele in Egitto» (Es 1,1 - 15,21); 2) «Israele nel
deserto» (Es 15,22 - 18,27 + Nm 10,11 - 36,13); 3) «Israele al Sinai» (Es 19,1
- Nm 10,10); R.N. whybray, ìntroduction,
63-64, adotta una posizione simile.
(26)
B.S. childs, ìntroduction,
170; J. blenkinsopp, Pentateuch,
135.
(27)
Vedi N. lohfink, «Priesterschrift»,
206 = Studien wm Pentateuci], 231; J. blenkinsopp,
Pentateuch, 135-136.
(28) B.S. childs, ìntroduction, 170-171.
(29) J. blenkinsopp, Pentateuch, 218.
(30) Vedi soprattutto M. weinfeld, «Sabbath, Temple, and thè
Enthronement of thè Lord - Thè Problem of thè Sitz im Leben of Gen 1:1 - 2:3», Mélanges
bibliques et orientaux en l'honneur de M. Henri Cazelles (éds. A. caquot - M. delcor) (AOAT 212; Neukirchen-VIuyn - Keveiaer 1981) 501-512.
(31)
La traduzione dell'espressione 'al-pSnaya è discussa. Vedi i commentari.
(32)
Sulle corrispondenze fra Gn 1 e Es 25-40, vedi, fra gli altri, J. blenkinsopp, Pen-tateuch,
217-218; P. weimar, «Struktur und
Komposition der priesterschriftlichen Ge-schichtsdarstellung», BN 24 (1984)
151, n. 179; id., «Sinai und
Schópfung. Komposition
und Theologie der priesterschriftlichen Sinaigeschichte», KB 95 (1988)
138-162.
(33) Vedi M. gkeenberg,
Understanding Exodus (New York 1969) 164-167, 169-170, 181; D.J.
McCARTHY, «Moses' Dealings with Pharaoh: Exod 7:8 - 12:27», CBQ 27
(1965) 336-347; J.L. ska, Le
passage de la mer. Étude de la construction, du style et de la symbolique d'Ex
14,1-31 (AnBib 109; Rome 1986) 57-60, 75.
(34)
Su Es 1-15, vedi anche G. fischer, «Exodus
1-15. Eine
Erzàhiung», Studies in thè Book of Exodus. Redaction - Reception -
Interpretation (ed. M. vervenne) (BETL 126;
Leuven 1996) 149-178.
(35)
Su questi capitoli molto difficili, vedi E. blum,
Studien, 88-99 (con bibliografia). Vedi anche th.b. dozeman, God on thè Mountain.
A Study of Redaction, Theo-logy and Canon in Exodus 19-24 (SBLMS 37;
Atlanta, GA 1989); B. renaud, La
théophanie du Sinai. Ex 19-24. Exégèse et théologie (CRB 30; Paris 1991).
(36) Vedi L. perlitt,
Bundestheologie im Alten Testament (WMANT 36; Neukir-chen-VIuyn
1969) 192.
(37)
Questo testo è stato molto studiato e discusso. Per la discussione e la
bibliografia, vedi L. perlitt, Bundestheologie,
167-181; B.S. childs, Exodus. A Commen-tary (OTL; London -
Philadelphia, PA 1974) 340, 360-361; J. durham,
Exodus (WBC
3; Waco, TX 1987) 256,
261-263; D.J, McCARTHY, Treaty and Covenant. A Study in Form in thè Ancient
Oriental Documenti and in thè Olà Testament (AnBib 21A; Rome 1978)
270-273; J.L. ska, «Ex 19,3b-6 et
l'idenfité de l'Israèl postexilique», Studies in thè Book of Exodus. Redaction - Reception -
Interpretation (ed. M. vervenne) (BETL 126;
Leuven 1996) 289-317.
(38)
Es 24,1-2.9-11 e 24,3-8 sono anch'essi molto discussi. Vedi L. perlitt, Bundes-theologie,
181-190, 190-203; D.J. McCARTHY, Treaty, 264-269; E. blum, Studien, 51-52 (con
bibliografia); J.L. ska, «Ex
19,3-8 et les parénèses deutéronomiques», Biblische Theologie und
gesellschaftlicher Wandel (FS. N. Lohfink; [Hrsg. G. braulik - W. grob - S. McEVENUE] Freiburg im Breisgau 1993) 307-314, spec.
311-312; id., «Le repas de Ex 24,11», Bib
74 (1993) 305-327.
(39) Su questi capitoli, vedi H. utzschneider, Dos Heiligtum und das
Gesetz: Studien wrBedeutung der sinaitischen Heiligtumstexte (Ex 25-40, Lev
8-9) (OBO 77; Freiburg Schweiz - Góttingen 1988); P. weimar, «Sinai und Schópfung», 138-162.
(40)
Sui problemi di questa sezione molto complessa, vedi E. blum, Studien, 73-75; R.W.L. moberly, At thè Mountain ofGod. Story and Theology
in Exodus 32-34 (JSOTS 22; Sheffield 1983); B. renaud,
«La formation de Ex 19-40. Quelques points de repè-re», Le Pentateuque. Débats et
recherches. XIVe Congrès de l'ACFEB, Angers (1991) (ed. P. haudebert) (LD 151; Paris 1992)
101-133.
(41)
Su questo punto, vedi, fra gli altri, N. lohfink,
«Freizeit. Arbeitswoche und Sabbat im Alten Testament, insbesondere in der
priesterlichen Geschichtsdarstellung». Unsere grossen Wórter. Dos Alte
Testament w Themen dieser Jahre (Freiburg im Breis-gau 1977) 190-208; J.L. ska, «II lavoro nella Bibbia», FirmanoS
(1995) 47-62.
(42)
Vedi soprattutto B.S. childs, Introduction,
182.
(43) Vedi soprattutto W. zimmekli, «"Heiligkeit" nach dem sogenannten
Hei-ligkeitsgesetz», VT30 (1980) 493-512; E crùsemann,
«DerExodus als Heiligung. Zur rechtsgeschichtiichen Bedeutung des
Heiligkeitsgesetzes», Die hebraische Bibel und ihrè weifache tiachgeschichte
(FS. R. Rendtorff [Hrsg. E. blum -
C. macholz - E.W. stegemann] Neukirchen-VIuyn 1990)
117-129.
(44) E CROSEMANN, «Exodus», 124-125.
(45) E crusemann,
«Exodus», 118-119.
(46) Seguiamo soprattutto R.P. knierim, «Thè Bóok of Numbers», Die
hebraische Bibel uni ihre iweifache Nachgeschichte (FS. R. Rendtorff;
[Hrsg. E. blum - C. ma-CHOLZ - E.W. stegemann] Neuldrchen-VIuyn 1990) 155-163.
(47) R.P. kniebim,
«Numbers», 155-156.
(48) Vedi R. rendtorff,
Einleitung, 156; vedi anche i commentari e studi di G.B. gray, Numbers (ICC; Edinburgh
1903); N.H. snaith, Leviticus
anil Numbers (Thè Century Bible; London 1967); M. noth, Dos vierte Buch Mose. Numeri (ATD 7; Gòt-tingen
1967); G.W. coats, Rebellion
in thè Wilderness. Thè Murmuring Moti/in thè Wilderness Traditions of thè Oid
Testament (Nashville, TN 1968); J. DE vaulx,
Les Nombres (Sources bibliques; Paris 1972); B.A. levine, Numbers 1-20 (AB 4A; New
York 1993); J. milgrom, Numbers
(Thè JPS Torah Commentary; Philadelphia, PA -New York, NY 1989); ph.j. budd, Numbers (WBC 5;
Waco, TX 1984); A. schart, Mose
und Israel in Konflikt. Eine redaktionsgeschichtiiche Studie w den
Wùstenerzah-lungen (OBO 98; Freiburg Schweiz - Góttingen 1990); T.R. ashley, Thè Book of Numbers
(NICOT; Grand Rapids, Mi 1993); R.K. harrison,
Numbers: An Exegetical Commentary (Grand Rapids, MI 1992); J. scharbert, Numeri (NEB 27;
Wiirzburg 1992); K.D. sakenfeld, Journeying
with God. A Commentary on thè Book o f Numbers (International Theological
Commentary; Grand Rapids, MI - Edinburgh 1995); cf. B.S. childs, Introduction, 194-199.
(49) D.T. olson, Thè Death of thè Olà and thè
Birth of thè New: Thè framework of thè Book of Numbers and thè Pentateuch
(Brown JudSt 71; Chico, CA 1985).
(50)
R.P. knierim, «Numbers», 156-160.
(51)
R.P. knierim, «Numbers», 159. Dal
punto di vista metodologico, questa osser-i
vazione di Knierim è molto importante. Il criterio di strutturazione è
un fattore che ; permette di capire
tutto il libro e l'articolazione delle sue parti.
(52) G.W. coats, «Thè Wilderness Itinerary», CBQ
34 (1972) 135-172; G.I. davies, «Thè
Wilderness Itineraries: A Comparative Study», Tyndale Bulletin 25 (1974)
46-81; id., Thè Way of thè
Wilderness: A Geographical Study of thè Wilderness Itineraries in thè Oid
Testament (SOTSMS 5; Cambridge 1979); J. van
seters, Thè Life of Moses. Thè Yahwist as Historian in Exodus-Numbers
(Louisville, KY - Kampen 1994) 153-164. Per
paralleli mesopotamici, vedi G.I. davies,
«Wilderness Itineraries», 52-78.
(53) R.P. knierim,
«Numbers», 160-163.
(54) Vedi P. kleinert,
Dos Deuteronomium una die Deuteronomiker. Untersuchun-gen wr
altfestamentlichen Kechts- una Literaturgeschichte (Bielefeld - Leipzig
1872) 167; N. lohfink, «Der
BundesschluB im Lande Moab. Redaktionsgeschichtiiches zu Dt 28,69 - 32,47», BZ
6 (1962) 32-56, spec. 32-33 = Studien wm Deuteronomium una wr
deutemnomistischen Literatur I (SBAAT 8; Stuttgart 1990) 53-82, spec.
53-54; id., «Bund als Vertrag im
Deuteronomium», 219; G. braulik, Deuteronomium
1 - 16,17 (NEB; Wurzburg 1986) 5-6. '
(55)
Vedi J.L. ska, Introduzione al
Deuteronomio. Stuttura, storia, teologia (Appunti, Roma 1995).
(56)
Bibliografia complementare sulla «lettura canonica» dell'AT: J. barton, Ora-cles of God. Perceptions of
Ancient Prophecy in Israel a/ter thè Exile (Oxford 1986); R.T. beckwith, Thè Oid Testament Canon of
thè New Testament Church and Its Background in Early Judaism (Grand
Rapids, MI 1985); J. blenkinsopp, Prophecy
and Canon. A Contribution to thè Study of ]ewish Origins (Notre Dame, IN
1977); W. brueggemann, Thè
Creative Worid. Canon as a Model for Biblical Education (Phila-delphia, PA
1982); R.E. clements, Prophecy
and Tradition (Atlanta, GA 1975); L.M. McDONALD, Thè Tormation of thè
Christian Biblical Canon (Peabody, MA 21995); D.F. morgan, Between Text and Community.
Thè «Writings» in Canonical Interpre-tation (Minneapolis, MN 1990); P.R. noble, Thè Canonical Approach. A
Criticai Re-construction of thè ÌTermeneutics of Brevard S. Chiids
(Biblical Interpretation Series 16; Leiden: Brill, 1995); J.H. sailhamer, Introduction to Olà
Testament Theology. A Canonical Approach (Grand Rapids, MI 1995); G.T. sheppard, «Canonical Critici-sm», ABD
1, 861-866. Opere di B.S. childs: B.S. childs, Exodus. A Commentary (OTL; London-Phila-delphia,
PA 1974); id., Introduction to
thè Olà Testament as Scripture (Philadelphia, PA 1979); id., Biblical Theology of thè Oid
and New Testaments: Theological Reflection on thè Christian Bible (London
1992). Opere diJ.A. sanders: Torah
and Canon (Philadelphia, PA 1972); id.,
Canon and Community: A Guide to Canonical Criticism (Philadephia,
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(Phildelphia, PA 1987); id., "Canon",
ABD 1, 837-852; id., «Thè
Integrity of Biblical Pluralism», «Not in Heaven»: Coherence and Complexity
in Biblical Narrative (eds. J.P. rosenblatt
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