CAPITOLO II

 

I CINQUE LIBRI DEL PENTATEUCO CONTENUTO E STRUTTURA

 

Come e perché il Pentateuco è stato diviso in cinque libri? Que­sta divisione è meramente materiale o ha qualche significato? E la pri­ma domanda che vorremmo affrontare in questo capitolo. Poi cercheremo di vedere come sono strutturati questi «cinque quinti del­la legge» (hamisa humsé tòro).

 

A. la DIVISIONE IN CINQUE LIBRI

 

1. Le ragioni materiale (1)

I cinque libri del Pentateuco sono di diversa lunghezza. Il più bre­ve è il Levitico (25 capitoli; 859 versetti; 11.950 parole; 51 pagine nel­la BHS). Il più lungo è il libro della Genesi (50 capitoli; 1.534 versetti; 85 pagine nella BHS).

Il libro dell'Esodo e il libro dei Numeri sono di simile lunghez­za: per Es: 40 capitoli, 1209 versetti e 16.713 parole; 71 pagine nella BHS. Per Nm: 36 capitoli; 1.288 versetti (ma molti versetti sono bre­vissimi, per esempio in Nm 1-2.7.26.29.33); 16.413 parole; 74 pagine nella BHS.

Il Deuteronomio è un po' più lungo del Levitico (34 capitoli; 955 versetti; 71 pagine nella BHS, ma l'apparato critico è più voluminoso che per gli altri libri).

In tutto, il Pentateuco conta 5845 versetti (353 pagine della BHS). In una edizione senza note i dati sono i seguenti: 88 pagine per Gn; 73 pagine per Es; 52 pagine per Lv; 73 pagine per Nm (come per Es); 64 pagine per Dt.

Alcuni studiosi ritengono che fosse materialmente diffìcile scrive­re tutto il Pentateuco su un solo rotolo. Si calcola che un tale rotolo avrebbe dovuto misurare più o meno 33 metri. Non era del tutto im­possibile, perché si parla di un rotolo che conteneva tutta l'opera di Omero (Iliade e Odissea) e che misurava più o meno 50 metri.

Però un lungo rotolo non era molto pratico per la lettura sinagogale o personale. A Qumran, i rotoli più lunghi sono il Rotolo del Tempio: 8,75 metri e quello di IQIsa: 7,35 metri. In media, i cinque rotoli del Pentateuco dovevano misurare fra 6 e 7 metri.

La divisione fra i vari libri sembra essere alquanto arbitraria e ar­tificiale. Per esempio, la famiglia di Giacobbe si stabilisce in Egitto in Gn 46, ma il libro dell'Esodo inizia più tardi. La pericope del Sinai inizia in Es 19 e finisce in Nm 10,10. Si estende pertanto su tré libri, ma non corrisponde ad alcuna divisione particolare. Israele arriva nel­le steppe di Moab in Nm 21,20 dove rimane fino alla morte di Mosè. Ma la divisione fra Nm e Dt non coincide con questo momento.

2.1 ente fi teologici (2)

Quali sono allora i criteri della divisione in cinque libri?

- Genesi

II libro della Genesi inizia con la creazione del mondo e la famosa espressione b're'sìt bara' 'eldhìm - «all'inizio Dio creò...» o «quando Dio iniziò a creare...», e finisce con la morte di Giacobbe e di Giu­seppe (3). Così si conclude l'era patriarcale, cioè la storia di famiglia de­gli antenati d'Israele. Dopo, Israele non sarà più una famiglia, ma un popolo.

Inoltre, prima della sua morte, Giuseppe annunzia il ritorno dei suoi discendenti nella terra promessa ad Abramo, Isacco e Giacobbe (Gn 50,24). La conclusione di Gn apre pertanto verso il futuro e col­lega Gn con Es-Dt. Nel linguaggio dell'analisi narrativa, Gn 50,24 con­tiene un «sommario prolettico» del racconto ulteriore.

- Esodo

II libro dell'Esodo inizia con un riassunto della storia di Giusep­pe che funge da cerniera fra la «storia dei patriarchi» o «storia degli antenati d'Israele» e la «storia del popolo d'Israele» (Es 1,1-7). Es 1,8:

«Allora sorse un rè che non aveva conosciuto Giuseppe», segnala an­ch'esso il passaggio da un periodo all'altro della storia d'Israele.

La conclusione del libro dell'Esodo (40,34-38), descrive il mo­mento in cui, dopo molte vicende, la «gloria di JHWH» viene a riem­pire la dimora o «tenda dell'incontro». Questo momento è importante, perché JHWH ormai abita in mezzo al suo popolo (40,34-35) e può accompagnarlo e guidarlo (40,36-38).

— Levitico

L'inizio del libro del Levitico si riferisce a questo evento: «E JHWH chiamò Mosè e gli parlò dalla tenda dell'incontro dicendo...». A partire da questo momento, JHWH si rivolge a Mosè dalla tenda dell'incontro e non più dalla cima del monte Sinai (cf. Es 19,3).

La conclusione originale del libro del Levitico si trova in Lv 26,46:

«Quelli sono i decreti, i giudizi e le leggi che JHWH stabilì fra sé e gli Israeliti, sul monte Sinai, per mano di Mosè». Si tratta senza dub­bio di un «sommario conclusivo», che segue un capitolo di benedi­zioni e maledizioni (Lv 26,3.14). Il capitolo 27 del Lv è un'aggiunta tardiva. L'ultimo versetto riprende la conclusione di 26,46: «Quelli so­no gli ordini che JHWH diede a Mosè per gli Israeliti sul monte Si­nai» (27,34).

Queste due conclusioni menzionano il monte Sinai come il luogo della rivelazione. Per la tradizione d'Israele, le leggi promulgate da JHWH sul monte Sinai e trasmesse da Mosè hanno una qualità nor­mativa unica. Queste affermazioni hanno dunque grande importanza perché distinguono fra le leggi che fanno parte del «canone mosaico» e le altre.

- Numeri

II libro dei Numeri ha anch'esso la propria introduzione e la pro­pria conclusione. L'introduzione è simile a quella del Levitico (Nm 1,1; cf. Lv 1,1): «JHWH parlò a Mosè nel deserto del Sinai nella ten­da dell'incontro nel primo giorno del secondo mese, il secondo anno dopo la loro uscita dalla terra d'Egitto, dicendo...». Siamo ancora nel deserto del Sinai, e JHWH continua a parlare dalla tenda dell'incon­tro (cf. Es 40,34-35; Lv 1,1).

La conclusione del libro dei Numeri riecheggia Lv 26,46 e 27,34:

«Quelli sono gli ordini e i giudizi che JHWH diede per mano di Mosè ai figli d'Israele nelle steppe di Moab, di fronte al Giordano di Ge-rico» (Nm 36,13).

Fra l'introduzione e la conclusione, il popolo si è spostato dal Sinai alle steppe di Moab, dove si prepara ad entrare nella terra pro­messa. Le leggi promulgate nelle steppe di Moab hanno anch'esse un valore particolare dal punto di vista canonico. Dt 28,69 parla persino di un'ulteriore alleanza che JHWH conclude lì con Israele (oltre al­l'alleanza conclusa all'Oreb). Queste affermazioni equiparano le leggi di Moab a quelle dell'Oreb/Sinai (4).

— Deuteronomio

II Deuteronomio ha la propria cornice. Come il libro dei Nume­ri, inizia con una formula che indica il posto e il luogo dove Mosè par­la (Dt 1,1-3): «Queste sono le parole che Mosè pronunciò davanti a Israele al di là del Giordano, nel deserto... L'anno quaranta, il mese undicesimo, il primo del mese». Tutti i discorsi di Mosè saranno pro­nunciati in quel giorno e, nello stesso giorno, Mosè muore (Dt 32,48; 34,5). Con la morte di Mosè si conclude il libro del Deuteronomio e tutto il Pentateuco (Dt 34,1-12).

3. Conclusione

I cinque libri del Pentateuco sono chiaramente divisi da segnali linguistici e strutturali. Tuttavia, vi è una cesura maggiore fra il primo libro (Genesi) e i quattro seguenti (Es - Dt). Il primo descrive le ori­gini di Israele e gli altri l'organizzazione del popolo sotto la guida di Mosè. Formano una specie di «vita di Mosè» al servizio di JHWH e di Israele (5).

Strutturalmente, la fine del Dt corrisponde alla fine di Gn. La morte di Giuseppe conclude il periodo dei patriarchi (Gn 50,26) e la morte di Mosè conclude un altro periodo, quello della permanenza d'Israele nel deserto e della costituzione del popolo d'Israele come popolo di JHWH. Alle benedizioni di Giacobbe in Gn 49 corrispondo­no le benedizioni di Mosè in Dt 33. Introduzioni e conclusioni dei li­bri del Levitico, Numeri e l'introduzione del libro del Deuteronomio pongono in risalto il carattere legislativo di questi libri, la figura di Mosè, mediatore fra JHWH e il popolo, e l'importanza del Sinai e del­le steppe di Moab come «luoghi teologici» della legge.

 

B. la STRUTTURA DEL LIBRO DELLA genesi (6)

 

1; La formula delle «tòt dot» («generazioni»)

La gran maggioranza degli esegeti riconosce nella formule di tòt dot l'elemento che struttura il libro della Genesi (7). La formula si tro­va dieci volte nel libro (o undici se si conta 36,9, che ripete 36,1): 2,4; 5,1; 6,9; 10,1; 11,10; 11,27; 25,12; 25,19; 36,1(9); 37,2 (8).

- Un problema di interpretazione

Whybray rifiuta di vedere in questa formula l'elemento struttu­rante del libro della Genesi (9). Le sue obiezioni sono due:

* La parola tòtdòt non ha sempre lo stesso significato. In alcuni casi, la voce significa «elenco dei discendenti», «discendenti di...» (5,1;10,1; 11,10...). In altri, invece, significa «storia di...» e si riferisce ad eventi (2,4).

* In 2,4, la formula funge da conclusione di un racconto (1,1-2,4a), mentre in altri funge da introduzione, come per esempio in 37,2. A queste due obiezioni si può ribattere:

* La parola tòl'dòt ha lo stesso significato in tutti i contesti. Si­gnifica: «quello che è stato generato da...». Ogni tanto, questa formula è seguita da un semplice elenco di nomi, cioè da una genealogia (5,1;10,1; 11,10; 25,12; 36,1.9). In altri, è seguita da una narrazione (2,4; 6,9; 11,27; 25,19; 37,2).

Però, questa narrazione tratta sempre dei discendenti del perso­naggio menzionato nella formula. Per esempio, la formula di 6,9 in­troduce la storia di Noè e della sua famiglia; quella di 11,27, la storia dei discendenti di Terach, cioè soprattutto Abramo; 25,19, la storia di Giacobbe ed Esaù, i figli d'Isacco; 37,2, la storia di Giuseppe e dei suoi fratelli, i figli di Giacobbe.

Occorre distinguere fra «significato» di una parola ed il suo «uso» in vari contesti. La parola tòt dot ha i suoi «significati» lessicali che si trovano elencati nei lessici, distinti dagli «usi» concreti della parola nei testi dove appare. Ricordiamo la famosa distinzione introdotta dal lin­guista svizzero F. de Saussure fra «lingua» e «parola», fra il livello astratto delle possibilità del linguaggio e quello concreto dei discorsi e dei testi, cioè dell'uso (10).

Nel caso concreto della formula di tòl'dòt, il «significato» della parola rimane lo stesso, cioè «generazioni di...». Vi sono però due «usi» della stessa parola: in certi casi, essa introduce una genealogia, in al­tri invece un racconto. Se l'uso è diverso, il «significato» rimane lo stesso.

* Tutte le formule sono introduttive, persino quella di Gn 2,4 a, perché la voce tòt dot è sempre seguita dal nome del generatore e mai da quello del generato (11). Quindi la formula di Gn 2,4 non significa:

«storia dell'origine del cielo e della terra» («come furono generati o creati il cielo e la terra»), ma «storia di quello che è stato generato dal cielo e dalla terra». Ora, quello che generano il cielo e la terra è il mondo descritto in Gn 2,4-25: dalla terra, cioè dal suolo, JHWH for­ma il primo essere umano (2,7), fa germogliare gli alberi (2,9), poi for­ma gli animali (2,19) (12).

E meno probabile, invece, che la formula di Gn 2,4 possa essere la conclusione del primo racconto della creazione e significhi: «Generazioni del cielo e della terra». Oltre alla difficoltà menzionata pri­ma, occorre aggiungere che Gn 1 non parla di «generazione» dell'u­niverso, ma di creazione (13).

- Suddivisioni

* Gli eventi più importanti. Come accennato prima, alcune for­mule introducono una genealogia (5,1; 10,1; 11,10; 25,12; 36,1.9). A1, invece, introducono una narrazione (2,4; 6,9; 11,27; 25,19; 37,2). :    Quest'ultime corrispondono ai momenti più importanti della Genesi: creazione dell'uomo e della donna (2,4); diluvio (6,9); storia di Abra­mo (11,27), di Giacobbe (25,19) e di Giuseppe e dei suoi fratelli (37,2).

* Prima e dopo il diluvio. La formula copre tutto il libro della Genesi e non sembra, di primo acchito, segnalare alcuna differenza fra storia delle origini (Gn 1-11) e storia degli antenati d'Israele (i patriarchi: Gn 12-50), divisione diventata tradizionale in quasi tutti i com­mentar! e nelle introduzioni. Il libro della Genesi invece sembra sottolineare un'altra divisione: prima del diluvio e dopo il diluvio.

Vedi la formula 'ahar hammabbul in 10,1; 11,10 («dopo il dilu­vio»). Secondo questo criterio, le due parti della Genesi sarebbero Gn 1-9 e Gn 10-50 (14).

Fra il diluvio e Abramo, il libro della Genesi contiene poche nar­razioni. Le varie componenti di questi capitolo hanno un solo scopo:

mostrare come si arriva da Noè ad Abramo. Anche storie come quel­la della sbornia di Noè (9,18-29) o della torre di Babele (11,1-9) pre­parano la venuta di Abramo.

Gn 9,18-29 spiega perché Canaan, figlio di Cam, viene maledet­to e perde quindi i suoi privilegi, mentre Sem, antenato di Abramo, viene benedetto e occuperà una posizione di spicco nella storia della salvezza (Gn 9,26; cf. 10,21-31; 11,10-26).

Gn 11,1-9 (la torre di Babele) prepara la migrazione di Terach e di Abramo. A partire da Gn 9,20-29, i testi non si interessano più al­la storia dell'universo come tale, ma introducono un principio di se­lezione che culmina nella chiamata di Abramo (Gn 12,1-3). Per esempio, la «tavola delle nazioni» inizia con la genealogia di lafet, poi di Cam, infine di Sem, benché Sem sia il primogenito.

In seguito, Gn 11,10-26 contiene la genealogia del solo Sem per­ché è l'antenato di Terach e di Abramo. Queste scelte sono volute per porre in risalto la figura di Sem e preparare l'arrivo di Abramo.

Pertanto vi sono buone ragioni per introdurre una cesura fra Gn 1,1 - 9,19 e 9,20 - 50,26. I testi antichi sono meno disposti a dividere e strutturare che ad unire: coltivano «l'arte della transizione». Nel ca­so concreto di Gn, si passa progressivamente dalla storia dell'univer­so (Gn 1-9) a quella di Abramo e dei suoi discendenti (Gn 12-50) con la «transizione» di Gn 9,20-11,26 (15).

2. Altri elementi di strutturazione nella storia patriarcale (Gn 12-50)

Nel quadro generale delle tòl'dòt, occorre introdurre alcune sud­divisioni più importanti. La prima, come visto prima, distingue fra l'u­niverso antediluviano e quello postdiluviano. In questa seconda parte, la storia patriarcale o storia degli antenati d'Israele (Gn 12-50) occu­pa un posto particolare. In questo caso, gli elementi strutturanti sono

diversi.

Si tratta di alcuni discorsi divini che hanno come orizzonte la sto­ria d'Israele o di uno dei patriarchi. Nel linguaggio tecnico dell'analisi narrativa, sono dei «programmi narrativi»(16). I più importanti sono Gn 12,1-3; 26,2-5; 28,13-15; 46,l-5a; cf. 50,24.

Gn 12,1-3, la «chiamata di Abramo», introduce una prima gran­de cesura nelle genealogie [tòl'dòt) della Genesi:

«'Va, lascia la tua terra, la tua parentela e la casa di tuo padre verso la ter­ra che io ti mostrerò, Tosi che faccia di tè una grande nazione, ti benedi­ca, faccia grande il tuo nome e tu possa essere una benedizione. 'Benedirò chi ti benedirà e chi ti disprezzerà maledirò e tutte le famiglie della terra useranno il tuo nome per benedirsi».

Finora, Dio si occupava dell'universo e di tutta l'umanità. D'ora in poi, il racconto si preoccuperà solo di un popolo e di una terra. Se si parlerà ancora di altri popoli o di altri paesi, sarà in funzione dei rapporti con questo popolo e questa terra. Questo drastico cambia­mento nella trama significa certamente che qualche cosa di nuovo ini­zia con Gn 12,1-3.

Il problema non è più la sorte dell'umanità sulla terra, ma quel­la degli antenati d'Israele. Gn 12,1-3 contiene il «programma» divino per i discendenti di Abramo senza nessun limite e perciò va ben oltre il libro della Genesi. Questo programma vale per sempre. Un secon­do discorso divino rivolto allo stesso Abramo un po' più avanti nel racconto precisa i confini della terra (Gn 13,14-17). Dopo la separazione di Abramo e Lot, Dio «fa vedere» all'antenato d'Israele il pae­se che gli da.

Per Isacco, il programma si trova in Gn 26,2-5. Per lo più, Dio ripete ad Isacco le promesse fatte ad Abramo: promessa della terra e promessa di una numerosa discendenza. Il discorso stabilisce anche la continuità fra Abramo e Isacco, fra il Dio di Abramo e il Dio di Isacco.

Quando si passa a Giacobbe, il discorso chiave appartiene alla «visione di Betel» (Gn 28,10-22). Dio si rivela come il Dio di Abra­mo e di Isacco e sottolinea così la continuità fra i vari patriarchi. Ac­canto alle promesse della terra e di una numerosa discendenza, il discorso di 28,13-15 contiene un elemento nuovo: la promessa di «far tornare» Giacobbe sulla terra dei suoi padri (28,15). Questo ritorno inizia in 31,3, quando Giacobbe riceve l'ordine esplicito di «tornare nella terra della sua parentela». Gn 31,13 e 33,10 rimandano alla stes­sa tematica.

Gn 46,l-5a si colloca all'inizio del viaggio di Giacobbe verso l'E­gitto, ove ritroverà Giuseppe. Con lui, tutta la sua famiglia si trasferi­sce in Egitto. Qui inizia la lunga permanenza d'Israele in Egitto che finisce con l'esodo (Es 12-15). A questo punto, l'oracolo divino a Gia­cobbe promette al patriarca di accompagnarlo in questo secondo im­portante viaggio della sua vita e poi di farlo «salire» dall'Egitto. Israele, quindi, non si stabilisce permanentemente in Egitto.

Infine, prima di morire, Giuseppe riprende questa idea e annun-zia che un giorno Dio condurrà il popolo nella terra promessa ad Abra­mo, Isacco e Giacobbe (50,24).

Una linea importante di questa «trama» è l'interesse per la «ter­ra». JHWH la fa vedere ad Abramo, la promette di nuovo ad Isacco, vi fa ritornare Giacobbe dopo il suo «esilio» dal suo zio Labano e pro­mette di farvi tornare i suoi discendenti quando scende in Egitto.

Giuseppe ripete questo pensiero proprio nella conclusione del li­bro della Genesi. In questo modo, la storia patriarcale è, in gran par­te, ma non esclusivamente, un racconto centrato sull'itinerario dei patriarchi e questo aspetto è uno degli elementi che più fortemente lega fra di loro questi capitoli in una unità narrativa all'interno del li­bro della Genesi.

Sebbene sia più evidente nel caso di Giacobbe che per Abramo o Isacco, il messaggio di questi discorsi è palese: la terra promessa a Israele è la terra di Canaan. Perciò questi discorsi interpretano la vi­ta di Abramo come una partenza e un'esplorazione della terra pro­messa. La vita di Giacobbe è un itinerario circolare, poiché lascia il paese per tornarvi con tutta la famiglia. La storia di Giuseppe, in que­sto contesto, spiega perché provvisoriamente Israele è andato a vive-

rè in Egitto. I discorsi di 46,l-5a e 50,24 mettono l'accento sull'aspetto provvisorio di questa permanenza in terra straniera (17).

3. La funzione della formula di tól'dót nella storia patriarcale

Alla preoccupazione per la terra, la storia patriarcale unisce la preoccupazione per la discendenza. In questo caso, il problema è di sapere chi è l'erede della promessa. Questo problema è legato di nuo­vo alla formula di tòl'dòt e alla sua funzione. In questo caso, si in­trecciano le questioni di genealogia e di territorio. Si potrebbe parlare, addirittura, di geopolitica teologica. Qual è dunque il loro scopo?

Uno degli scopi di una genealogia è, ovviamente, di definire l'ap­partenenza a una famiglia, a una etnia o a un popolo (18). Nel caso del­la Genesi, lo scopo della formula di tòl'dòt è di delimitare i confini del popolo d'Israele e di situare Israele nell'universo, cioè nella crea­zione. Le varie formule corrispondono ai momenti più importanti di questa «storia della definizione d'Israele» (19). Infatti, nell'antichità, la «genealogia» ha spesso come scopo di «legittimare» le prerogative de­gli individui, dei gruppi o dei popoli.

Le formule introducono genealogie o racconti, i due mezzi uti­lizzati dal libro della Genesi per determinare chi appartiene o meno al popolo eletto.

* Gn 1-9 descrive l'origine dell'universo e dell'umanità. Il pecca­to e la violenza sono la causa del diluvio (Gn 6-9). Israele fa quindi parte delle nazioni postdiluviane. Dopo il diluvio, genealogie e storie in Gn 9-11 mettono in risalto la figura di Sem, antenato remoto del popolo d'Israele.

* La storia di Abramo (Gn 12-25) s'impernia su una domanda principale: chi sarà l'erede della promessa? Vi sono parecchi candi­dati successivi: Lot (Gn 13), Eliezer (Gn 15), Ismaele (Gn 16 e 21). Tutti saranno scartati a favore di Isacco (Gn 21,1-7; cf. Gn 15,1-6; 17; 18,1-15) (20).

Ismaele avrà la sua genealogia (le tòt dot di Gn 25,12-18), però si tratta di una linea laterale, non della linea principale. La genealogia e la stona permettono di capire e di definire meglio la posizione dei popoli vicini, come Moabiti e Ammoniti (discendenti di Lot), Ismaeliti e Israeliti (discendenti di Ismaele e di Isacco).

Inoltre, Gn 12-25 dimostra che la terra promessa è la terra' di Ca-naan. Isacco sarà dunque erede della terra di Canaan, mentre i di­scendenti di Lot si stabiliranno in Moab e Ammon (Gn 19) e quelli di Ismaele nel deserto, a sud di Beersheba, presso l'Egitto (Gn 25,18; cf. 16,14; 21,14.21).

* La storia di Giacobbe (Gn 25-35) definisce Israele nei confronti di Esaù e degli Edomiti, suoi discendenti, e di Labano l'Arameo. Nuo­vamente, si tratta di popoli «apparentati» che occupano territori con­tigui. Esaù è il gemello di Giacobbe e Labano lo zio. Ma solo Giacobbe sarà l'erede della promessa, sebbene ottenga la benedizione in un mo­do poco onesto (Gn 25 e 27),

La storia permette di fissare con precisione i confini dei territori occupati da ciascuno. Il giuramento di Labano e di Giacobbe in 31,51-54 che conclude tutte le vicende di Gn 28-31 ha proprio come scopo di tracciare la frontiera fra i rispettivi territori. Gn 36,6-8 asserisce con tutta chiarezza che Esaù non si è stabilito nella terra di Canaan, ben­sì nella montagna di Seir. La terra di Canaan, invece, appartiene a Gia­cobbe (28,13-14; 31,3.13; 32,10).

* La storia di Giuseppe risponde ad un'ultima domanda: Perché vi sono dodici tribù? In Gn 37 sorge un ulteriore conflitto tra «fra­telli». Giuseppe sarà l'unico erede, come Isacco e Giacobbe? Il rac­conto spiega perché tutti i fratelli saranno benedetti in Gn 49 e saranno dunque tutti quanti gli antenati del popolo d'Israele.

Dopo la riconciliazione tra i fratelli, tutta la famiglia scende in Egitto. Gli ultimi versetti della storia contengono però la promessa di un ritorno nella terra di Canaan (50,24) (21). La storia di Giuseppe fun­ge quindi da transizione fra il libro della Genesi e quello dell'Esodo (22).

4. Importanza della storia patriarcale

La storia patriarcale (Gn 12-50) è di gran lunga la parte più importante del libro della Genesi. Secondo la cronologia della Genesi, j;  Abramo è nato nelì'annus mundi 1946. Lascia la sua patria per mi­grare verso la terra di Canaan neìl'annus mundi 2021 (cf. Gn 12,4b). Giacobbe e la sua famiglia scendono in Egitto neQ.'annus mundi. 2236 (Gn 47,9) (23). Quindi, i capitoli 1-11 della Genesi coprono 2021 anni e i capitoli dedicati ai patriarchi, 215, senza contare gli anni che separano l'arrivo in Egitto dalla morte di Giacobbe e di Giuseppe. Se aggiungiamo a questa cifra più o meno 80 anni per arrivare alla mor­te di Giuseppe, arriviamo a 295/300 anni (24).

Proporzionalmente, il «tempo del racconto» è molto più lungo in Gn 12-50 che in Gn 1-11. In parole più semplici, il racconto di Gn 12-50 è molto più ricco e particolareggiato che il racconto di Gn 1-11. Nel primo caso la proporzione è più o meno di un capitolo per 200 anni, mentre, nel secondo, è di un capitolo per 7 anni e mezzo.

 

C. la. STRUTTURA DEL LIBRO DELL'ESODO

 

1. Le suddivisioni (25)

La struttura di Esodo è molto diversa da quella di Genesi. Non ,vi sono segnali linguistici simili alla «formula di tòt dot», per aiutare a capire la composizione del libro (26). Vi sono alcune formule di origine sacerdotale (P) che scandiscono le varie tappe dell'itinerario d'Israele nel deserto (12,37a.40-42; 13,20; 14,2; 15,22a; 16,1; 17,1; 19,2).

Questa formula riappare nel libro dei Numeri (10,11-12; 12,16; 20,1; 20,22; 21,4; 21,10-13; 22,1) (27). Nm 33 ne contiene una lista com­pleta. Però la formula non si ritrova in tutte le sezioni del libro - è assente da Es 19-40 - e non corrisponde alle sue maggiori divisioni. Inoltre, l'itinerario continua in Nm strutturando un insieme più vasto del solo libro dell'Esodo.

In genere, gli esegeti distinguono almeno tré parti in Es: l'uscita dall'Egitto (Es 1,1 - 15,21); la marcia dall'Egitto al Sinai (15,22 -18,27); Israele al Sinai: l'alleanza e le leggi (19-40). In quest'ultima sezione, è abituale distinguere fra l'alleanza (Es 19-24), la rottura dell'alleanza e il suo rinnovamento (32-34), e infine le istruzioni sulla costruzione del santuario e la loro esecuzione (25-31; 35-40) (28). Però mancano segnali linguistici chiari per suffragare questo modo di strutturare il libro. Oc­corre quindi cercare altrove.

2. Tentativo di soluzione

II libro dell'Esodo si conclude con la consacrazione della tenda dell'incontro (Es 40,34-38), Questo testo può fornire la chiave di in-terpretazione del libro nella sua forma canonica.

- Contesto letterario e storico. Che cosa accade in Es 40,34-38? JHWH prende possesso della tenda dell'incontro, cioè viene ad abi­tare in mezzo al suo popolo (40,35; cf. 29,43-46). I grandi simboli del­la presenza sono la «gloria» e la «nube». Questo momento annuncia 1 Rè 8,10-13, quando JHWH verrà ad abitare nel tempio di Salomo-ne (cf.2 Cr 5,11-6,2).

Un altro testo da collegare con Es 40 è Ez 43,1-7, ove la «gloria di JHWH» rientra nel tempio, che aveva abbandonato in Ez 10,18-22. Il tempio distrutto dai Babilonesi sarà ricostruito dopo l'esilio (Esd 5-6). Questo secondo tempio sarà purificato da Giuda Maccabeo in 1 Mac 4,36-61.

Per la comunità postesilica, la consacrazione della tenda doveva essere un momento chiave della storia d'Israele. Molto probabilmen­te è da mettere in relazione con la ricostruzione del tempio di Geru­salemme e la restaurazione del culto all'epoca persiana (29).

- Significato della costruzione del tempio (30). Nel Medio Oriente an­tico, la consacrazione del tempio è il momento in cui una divinità af­ferma la sua sovranità. I racconti di creazione finiscono spesso con la costruzione di un tempio per il dio demiurgo. Per esempio, Marduk si fa costruire un santuario alla fine del poema Enuma Elish. Ad Ugarit esiste un lungo poema sulla costruzione del tempio di Baal. Allo stes­so modo, JHWH venendo ad abitare in mezzo a Israele afferma la sua sovranità sul popolo d'Israele (e sull'universo). Israele è il popolo di JHWH e di nessun'altra divinità o potenza. La consacrazione della ten­da corrisponde all'affermazione categorica del primo comandamento:

«Io sono JHWH, il tuo Dio che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla casa di servitù. Non avrai altri dèi accanto a me» (Es 20,2-3 ) (31).

Es 40 completa il racconto della creazione (Gn 1). Gn 1 finisce con la consacrazione di un tempo sacro (il settimo giorno, il sabato). Solo in Es 40, JHWH può avere una dimora in mezzo al mondo crea­to, perché ora Israele è diventato il suo popolo (Es 6,7) ed egli è di­ventato il suo Dio (29,45-46) (32).

- Struttura del libro dell'Esodo. La questione della sovranità di JHWH su Israele percorre tutto il libro dell'Esodo.

In Es 1-15, il problema fondamentale è di sapere chi è il vero so­vrano d'Israele e chi Israele deve «servire»: faraone o JHWH. La do­manda appare più chiaramente nel racconto delle piaghe (Es 7-11) e in quello del passaggio del mare (Es 14). In questi capitoli, JHWH ri­vela la sua sovranità.

Le piaghe dell'Egitto e il passaggio del mare sono delle prove che «egli è JHWH», mentre il faraone aveva detto: «Non conosco JHWH» (Es 5,2). Per questa ragione la «formula di riconoscimento» è frequente in questa parte dell'Esodo (vedi 7,5.17; 8,6.18; 9,14.29; 10,2; 11,7; 14,4.18): «affinchè sappiate/sappiano che io sono JHWH». Cf. 14,18: «così che gli Egiziani sappiano che io sono JHWH» (33).

Es 15,18, l'ultimo versetto del «cantico di Mosè» afferma, dopo la vittoria definitiva di Es 14: «JHWH regnerà in eterno e per sem­pre». Il versetto precedente parlava del futuro santuario, ultima meta dell'esodo: «Li condurrai e pianterai nel monte della tua eredità, luo­go della tua dimora, quella che tu hai costruito, JHWH, il santuario del Signore che le tue mani hanno consolidato». JHWH regna, sarà rè, e avrà la dimora in mezzo al suo popolo.

I due temi della sovranità e della dimora (santuario) sono già uni­ti in questi versetti finali del «cantico di Mosè» (34).

Es 15,22 - 18,27 è una transizione che conduce Israele dall'Egit­to al monte Sinai. JHWH è ormai il «sovrano» d'Israele e deve risol­vere i problemi del suo popolo: la sete (Es 15,22-27; 17,1-7); la fame (16); l'attacco da parte dei nemici (17,8-16). Inoltre, questi capitoli ac­cennano alla legge (15,25b; 16,4-5.28) e all'organizzazione giuridica del popolo (18).

Il solo elemento stilistico che unisce questi capitoli compositi è la «formula di itinerario» (15,22.27; 16,1; 17,1; cf. 19,1-2), che contiene spesso i verbi ns' («muoversi», «viaggiare», «spostarsi»), bw' («arriva­re») e nhh («accampare»), e vari nomi di luoghi, specialmente il luo­go di partenza e il luogo di arrivo.

Es 19,1-24,11 è uno dei momenti più forti del libro dell'Esodo (35).

a) Stile. Le corrispondenze fra 19,7-8 e 24,3.7 incorniciano tutta la sezione (36):

19,7-8: «'Mosè venne e convocò gli anziani del popolo ed espose davanti a loro tutte queste parole che JHWH gli aveva ordinato. 'Tutto il popolo, insieme, rispose dicendo: Tutto quello che JHWH ha detto, noi lo fare­mo...».

24,3: «Mosè venne e raccontò al popolo tutte le parole di JHWH e tutti i giudizi, e tutto il popolo rispose, a una voce, dicendo: Tutte le parole che JHWH ci ha detto, noi le faremo».

24,7: «[Mosè] prese il libro dell'alleanza e lo lesse agli orecchi del popolo e dissero: «Tutto quello che ha detto JHWH, noi lo faremo e lo ascoltere­mo».

b) Per quanto riguarda JHWH, l'affermazione centrale si trova in Es 20,2-3: «Io sono JHWH che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla casa di servitù. Non avrai altri dei accanto a me». L'esodo è l'e­vento fondamentale della storia d'Israele, l'evento su cui JHWH fon­da tutte le sue prerogative.

La prima conseguenza di questo fatto - il «primo comandamen­to» - è che per Israele non vi possono essere altri dèi: solo JHWH ha liberato Israele, solo JHWH ha dei diritti su Israele.

c) Lo statuto d'Israele. Il primo testo (Es 19,3-8) contiene il «pro­gramma» di tutta la sezione. In questo oracolo che apre la pericope del Sinai, JHWH ricorda l'esodo (19,4) e propone a Israele di diven­tare il suo «appannaggio» {s'gullo) fra tutti i popoli della terra, un «re­gno sacerdotale» (mamleket kohanìm) e una «nazione santa» (gòy qadòs) (37). Dopo la proclamazione del decalogo (20,1-17) e del «codice dell'alleanza» (20,22 - 23,19), i vari rituali di Es 24,1-11, specialmen­te l'alleanza di Es 24,3-8, suggellano i nuovi rapporti fra JHWH e il suo popolo.

Ormai, Israele è l'appannaggio di JHWH, una «nazione santa» e un «regno sacerdotale». I rituali di Es 24,3-8, soprattutto l'aspersione di sangue, «consacrano» Israele. Lo stesso rito di aspersione consacra i sacerdoti in Es 29; Lv 8. La visione e il pasto di Es 24,9-11 hanno come scopo di sancire l'autorità dei sacerdoti e degli anziani, i legitti­mi rappresentanti di JHWH in mezzo alla «nazione santa» (38).

Però manca ancora il «santuario», con i suoi indispensabili com­plementi, il sacerdozio e l'altare (cf. 29,43-46). Sarà l'argomento del­la sezione seguente.

Es 24,12-31,18, in particolare 24,15-31,17, sono i capitoli in cui JHWH rivela a Mosè il piano del santuario da costruire (25,8-9): «Mi farete un santuario così che abiterò in mezzo a loro». JHWH sarà dav­vero il «sovrano» d'Israele quando avrà un santuario in cui potrà di­morare in mezzo al suo popolo.

Questa sezione è incorniciata, a mo' di inclusione, da due men­zioni delle «tavole di pietra» che contengono la legge (24,12; 31,18). Queste tavole assolveranno un ruolo importante nei capitoli seguenti perché contengono le condizioni fondamentali della relazione fra JHWH e il suo popolo. JHWH potrà abitare in mezzo al suo popolo solo se Israele rispetta questa «legge» (39).

Es 32-34. Ora, Israele non rispetta la «legge fondamentale» con­tenuta sulle «tavole di pietra». L'episodio del «vitello d'oro» provoca una grave crisi che mette in pericolo l'esistenza d'Israele come popolo di JHWH. Il «vitello d'oro» viene considerato come una divinità riva­le (cf. Es 20,3; 32,1.8). Una domanda domina i capitoli 32-34: dopo l'episodio del vitello d'oro, JHWH continuerà ad abitare in mezzo al suo popolo e a guidarlo nel deserto? Vedi 33,3.5.14. Mosè intercede e, finalmente, JHWH cede (33,14.17). Il Dio che ormai accompagnerà Israele sarà un Dio di perdono e di misericordia (Es 34,6-7).

Il rinnovamento dell'alleanza (Es 34) è simboleggiato dal dono di due nuove tavole della legge. Mosè le aveva distrutte in 32,15-16.19. Due nuove tavole vengono scritte in 34,1.27-28 (40).

Es 35-40. Adesso, è ormai possibile costruire il santuario in cui JHWH viene ad abitare in 40,34-35. A questo punto, JHWH ha di­mostrato di essere il «sovrano d'Israele», dopo aver eliminato la po­tenza umana del faraone e le «altre divinità» simboleggiate dal vitello d'oro.

a) Dal punto di vista stilistico, l'ultima sezione di questi capitoli (40,34-38) si riallaccia alla prima (35,1-3) grazie alla parola «lavoro», «opera» (m''la'ka) che appare in 35,2 e 40,33. In entrambi i casi vi so­no anche accenni a Gn 1,1 - 2,4a, specialmente a Gn 2,1-3. Es 35,1-3 parla della settimana e del riposo del settimo giorno (cf. Gn 2,1-3), e Es 40,33 dice che Mosè concluse il suo lavoro, esattamente come Dio fece in Gn 2,2:

Gn 2,2: «Dio finì nel settimo giorno l'opera che aveva fatto». Es 40,33: «Mosè finì l'opera».

b) Due elementi sono fondamentali in quest'ultimo capitolo di Es.: JHWH abita in mezzo al suo popolo (40,34-35) e occorre orga­nizzare il popolo in funzione della presenza divina. Sarà lo scopo del libro del Levitico. Dalla tenda, JHWH guida il suo popolo (Es 40,37-38). Il libro dei Numeri descriverà l'andamento di questa marcia d'I­sraele sotto la guida di JHWH presente nella nube.

e) Occorre aggiungere un'ultima osservazione a proposito di que­sti capitoli. L'inizio del libro dell'Esodo descrive la servitù d'Israele in Egitto (Es 1). Alla fine del libro, Israele «serve» JHWH. Però, il «ser­vizio di JHWH» non è un'altra servitù. La «liturgia» - in ebraico, la stessa parola, 'abódd - significa «servitù», «lavoro» o «liturgia» - è un «servizio» spontaneo e libero, non un «lavoro forzato». Vedi Es 35,4-29, ove la gente agisce «volontariamente» («ogni cuore ben disposto»; 35,5.22; «ognuno, portato dal suo cuore, e chi era spinto dal proprio spirito»; 35,21) (41).

Inoltre, il riposo del sabato (Es 35,1-3) distingue il «lavoro libe­ro» dalla schiavitù. Lo schiavo non ha diritto al riposo. Il libro del Le-vitico descriverà anch'esso il «servizio libero» del popolo d'Israele per JHWH, suo Dio.

 

D. la STRUTTURA DEL LIBRO DEL LEVITICO (42)

 

1. Il problema

La presenza di JHWH in mezzo al suo popolo richiede una rior­ganizzazione di tutta la vita in funzione di una fondamentale esigenza di «purezza» e di «santità». Questo è lo scopo primario del libro del Levitico.

2. Struttura

Gli esegeti si accordano per distinguere, in Lv, quattro sezioni im­portanti e un'appendice. Lv 1-7 tratta dei sacrifici; 8-10, dell'inaugu­razione del culto; 11-16, delle leggi di purezza e impurità; 17-26, della «legge di santità»; il capitolo 27 è un'appendice su varie offerte per il santuario.

- Criteri di strutturazione

Lv 1-7 si conclude con un «sommario conclusivo» caratteristico (7,37-38):

«Questo è il rituale dell'olocausto, dell'oblazione, del sacrificio espiatorio e del sacrificio di riparazione e d'investitura e del sacrificio di comunione, "rituale che ha comandato JHWH a Mosè sul monte Sinai, il giorno in cui egli ha comandato ai figli d'Israele di offrire le loro offerte a JHWH, nel deserto del Sinai».

Le altre parti del Lv sono sprovviste di queste introduzioni o con­clusioni. Le formule di Lv 26,46 e 27,34 concludono tutto il libro. La divisione si appoggia quindi su vari criteri.

Lv 8-10 descrive la consacrazione dei sacerdoti, cioè di Aronne e dei suoi figli, e l'inaugurazione del culto. Mosè, Aronne e i suoi figli sono i personaggi principali di questi capitoli (8,2; 9,1; 10,1).

Lv 11-16. In questi capitoli prevale il vocabolario della purezza e dell'impurità: fame' («impuro»); tahor («puro»); seqes («abominio»); e i verbi corrispondenti. Il capitolo 11 ha la propria conclusione ( 11,46-47). Vi sono altre conclusioni di questo tipo in 12,7 (legge per la puer­pera); 13,59 (legge per la macchia di lebbra); 14,54-57 (legge per la lebbra); 15,32-33 (legge sull'impurità sessuale).

Lv 16 non appartiene esattamente alle leggi sull'impurità. Tratta in realtà del rituale da osservare per il «giorno dell'espiazione» (yòm hakkippurìm), uno dei perni della teologia del Levitico. Vi sono due conclusioni in questo capitolo (16,29a e 16,34).

Lv 17-26 contiene la cosiddetta «legge di santità». Purtroppo, i segnali linguistici che permetterebbero di individuare questa sezione non sono chiari. Per esempio, il nome «legge di santità» deriva dalla famosa espressione: «Siate santi perché io, JHWH, il Dio vostro, so­no santo» (Lv 19,2). Però questa espressione non si trova all'inizio del­la legge, in Lv 17,1, e inoltre appare già in Lv 11,44.

Per molti esegeti, Lv 17 fa parte della «legge di santità» perché questo capitolo parla del sangue, elemento sacro (17,11) presente in molti rituali di consacrazione.

Alcuni capitoli hanno la loro conclusione, cioè un'esortazione al­l'osservanza della legge. Vedi 18,30; 19,37; 20,22-26; 22,31-33; 26,2. In altri casi, la conclusione asserisce soltanto che Mosè comunicò a Israele (o ad Aronne) le prescrizioni promulgate da JHWH (Lv21,24; 23,44). Vedi anche 24,23 (conclusione di un intermezzo storico).

Come detto prima, Lv 26,46 e 27,34 concludono tutto il libro.

3. Significato del libro (43)

Per capire il libro del Levitico, occorre ricordare il suo contesto. Israele è appena uscito dall'Egitto e si trova ai piedi del monte Sinai. Il popolo vive nel deserto e non è ancora entrato nella terra promes­sa. Quali sono i fondamenti giuridici del popolo d'Israele? Non può essere il possesso di un territorio e pertanto la legge non può appog­giarsi sul diritto di proprietà.

Il solo fondamento dell'esistenza d'Israele in questo momento è l'esperienza dell'esodo: JHWH ha fatto uscire Israele dall'Egitto, cioè ha liberato Israele dalla schiavitù. Israele è quindi un popolo libero, sebbene non possieda ancora alcun territorio.

Ora, nel libro del Levitico, questa esperienza esodale riceve una itìterpretazione nuova: quando JHWH ha fatto uscire Israele dall'E­gitto, l'ha «separato» dalle altre nazioni, specialmente dall'Egitto, e «santificato».

Questo «fondamento teologico» dell'esistenza d'Israele ha delle conseguenze sul suo statuto giuridico. Le più importanti sono:

- L'esodo non è una prodezza umana, l'azione di un grande eroe o di un gruppo ben organizzato; non è neanche l'opera di una divi­nità qualsiasi, ma del solo JHWH. Siccome Israele come popolo de­ve la sua esistenza a JHWH, esso «appartiene» a JHWH. Vedi per esempio Lv 25,55:

«Perché di me gli Israeliti sono servi, sono i miei servi, quelli che ho fatti uscire dalla terra d'Egitto. Io sono JHWH, il loro Dio».

- Questo fatto definisce i rapporti fra i vari mèmbri del popolo. La libertà di tutti i mèmbri del popolo d'Israele è «sacra», poiché ap­partiene al solo JHWH. Cf. Lv 25,42 (legge sul riscatto degli schiavi):

«Poiché sono i miei servitori che ho fatti uscire dalla terra d'Egitto. Non saranno venduti come si vendono gli schiavi».

- Poiché Israele è un popolo «santo», tutti gli aspetti della sua esistenza sono caratterizzati dalla «santità» (Lv 19,2; 22,31-33). Perciò il Lv insiste sul culto e sull'osservanza di regole «religiose», per esem­pio sulla distinzione fra «puro» e «impuro». Vedi Lv 11,44-47 (legge sui cibi leciti e i cibi non leciti):

«Poiché io, JHWH, sono il vostro Dio, vi santificherete e sarete santi per­ché sono santo. Non vi contaminerete con qualsiasi animale che striscia sul­la terra, "lo sono JHWH che vi ha fatto salire dalla terra d'Egitto per essere vostro Dio. Siate santi perché sono santo. ""Questa è la legge relativa al bestiame, agli uccelli e a ogni essere vivente che si muove nell'acqua e a ogni essere vivente che striscia sulla terra. ""[Questa legge ha lo scopo] di separare l'impuro dal puro, gli animali che si possono mangiare da quelli che non è lecito mangiare».

Israele è stato «santificato» da JHWH quando l'ha fatto salire dal­l'Egitto. Perciò, afferma lo stesso testo di Lv 11, Israele deve «distin­guere fra il puro e l'impuro», cioè deve rimanere «santo» e «puro» (cf. 18,1-4; 20,24-25).

- La «terra» che sarà data al popolo appartiene solo a JHWH che ne sarà l'unico proprietario (44). Non vi sarà pertanto in Israele «diritto di proprietà». Gli Israeliti possono usufruire della terra, non pos» sederla. Lv 20,24; 25,23.38. Lv 25,23 è particolarmente significativo (legge sul riscatto della terra):

«La terra non sarà venduta perdendone ogni diritto, perché mia è la terra e voi siete residenti e ospiti presso di me».

— L'esodo come «separazione» e «santificazione» definisce anche i rapporti d'Israele con le altre nazioni (45). Il popolo che è stato «santi­ficato» non può vivere come le nazioni dalle quali è stata «separato». Vedi Lv 11,47; 18,3-5; 20,22-26; 22,32-33; specialmente Lv 22,32-33 (conclusione di una legge sui sacrifìci):

«"Non profanate il mio santo nome, affinchè io sia proclamato santo in mezzo ai figli d'Israele. Io sono JHWH che vi santifica, "che vi ha fatto uscire dalla terra d'Egitto per essere il vostro Dio. Io sono JHWH».

Questo testo stabilisce una corrispondenza esatta fra due azioni divine: la santificazione d'Israele e l'uscita dall'Egitto. Il participio nf-qaddifkem («che vi santifica») è seguito dal participio hammòsì' («che ha fatto uscire»). I due participi hanno lo stesso valore e perciò, l'u­scita dall'Egitto è la santificazione d'Israele.

Vedi anche Lv 18,3-4 che introduce le leggi sulla sessualità:

«'Non agite secondo il costume della terra d'Egitto dove abitavate e [non agite] secondo il costume della terra di Canaan dove sto per portarvi,: [non agite] secondo i loro decreti. Le mie decisioni applicherete e i miei decre­ti osserverete per condurvi secondo essi. Io sono JHWH, il vostro Dio».

Se Israele è stato «separato» e «santificato», non può vivere se­condo i costumi e le leggi dei popoli da cui è stato «separato» e «san­tificato».

Conclusione. Questa introduzione non è il luogo per cercare di valutare a fondo la teologia del Lv che ha senza dubbio i suoi limiti. L'insistenza sul culto, sulla «separazione» e il carattere distintivo di Israele non è privo di pericoli.

L'Antico Testamento, per esempio, in Rut e Giona e in alcuni pas­si profetici, si mostrerà critico nei confronti di questa mentalità.

Il Nuovo Testamento la giudicherà con severità. Però occorre an­che evidenziare i suoi meriti. Senza questa teologia, Israele non sa­rebbe stato in grado di sopravvivere e di trasmettere la sua fede quando, persa la sua autonomia politica, non disponeva più di un ter­ritorio proprio. Questo vale a fortiori per gli Ebrei della diaspora.

 

E. la STRUTTURA DEL LIBRO DEI NUMERI (46)

 

1. Il problema (47)

Come hanno notato molti autori, il libro dei Numeri è molto dif­fìcile da strutturare (48). In genere prevale la divisione in tré parti, però con grande varietà di opinioni. Queste tré parti sono: Israele al Sinai; la marcia dal Sinai alle pianure di Moab; Israele nelle pianure di Moab.

Per molti, la prima sezione finisce in 10,10. Ma per Noth e Coats, finisce in 10,36 e per Budd in 9,14. La conclusione della seconda par­te si trova, a seconda degli autori, in 20,13; 21,9; 22,1 o 25,18.

Non vi è accordo nemmeno per la conclusione del libro. Quasi tutti gli autori pensano che la terza sezione coincida con la fine del li­bro, cioè in 36,13. Ma Budd considera il cap. 36 come un'aggiunta.

Sono pochi gli studiosi che non dividono il libro in tré parti. Uno, tuttavia, preferisce dividerlo in due parti: D.T. Olson (49). Queste due par­ti sono 1-2.5 e 26-36. La prima parte parla soprattutto della genera­zione che ha conosciuto l'esodo e il Sinai, mentre la seconda parla della nuova generazione che prese il posto della prima quarant'anni dopo. I due censimenti dei cap. 1 e 26 segnalano l'inizio delle due parti.

2. La struttura in due parti (50)

il libro dei Numeri contiene alcune indicazioni che potrebbero servire alla sua strutturazione. Per esempio, vi sono indicazioni cronologiche in 1,1; 7,1; 10,11; 33,38; indicazioni topografiche che per­mettono di distinguere le varie tappe della permanenza d'Israele nel deserto: il Sinai (1,1-10,10); Paran (10,12-12,16); Edom (20,23-21,4); il Negeb (21,1); Moab (21,11.13.20; 22,1); il paese degli Amorriti (21,13.21.31); infine, le steppe di Moab (22-36).

Però, queste indicazioni non sono decisive perché non convergo­no. Per ottenere un risultato più soddisfacente, occorre studiare allo stesso tempo forma e contenuto.

Knierim perciò propone di partire dalla divisione in tré parti. No­ta però che non vi è alcuna ragione di distinguere la seconda dalla ter­za parte dal punto di vista formale e contenutistico. Da 10,10 in poi, Israele cammina nel deserto. Moab è un'altra «tappa d'Israele nel de­serto», anche se è più lunga. Quindi, è più ragionevole distinguere due parti nel libro: Nm 1,1-10,10 e 10,11-36,13.

Qual è il fattore che unisce e distingue queste due parti al più al­to livello di strutturazione (51)? In 1,1-10,10, Israele si prepara a cammi­nare nel deserto. Questa preparazione è cultuale e militare, ed è diversa da quella dei capitoli seguenti, perché ha in vista tutta la marcia nel deserto, e non solo una tappa particolare. La seconda parte del libro (10,11-36,13) descrive l'esecuzione del piano contenuto nei primi ca­pitoli. La struttura fondamentale del libro dei Numeri è quindi: pia­no/esecuzione del piano. Il libro intero appartiene al genere letterario della campagna militare (52).

Tuttavia, vi sono buone ragioni per introdurre un'ulteriore sud­divisione senza modificare la struttura proposta da Knierim. La se­conda parte di Nm (10,11-36,13) descrive una marcia nel deserto sul modello di una campagna militare. In questa campagna, vi sono due tappe ben distinte. Nella prima, Israele cammina dal Sinai verso la ter­ra promessa. Nella seconda, invece, inizia a conquistare un territorio.

La «campagna» non è più esattamente la stessa, poiché, per la t   prima volta, il testo dice che Israele ha «preso un territorio» e che vi si è «stabilito». Questi verbi appaiono in Nm 21,21-26, il racconto del-I   la campagna contro Sihon, rè degli Amorriti. Vedi 21,25: «Israele prese tutte queste città e si stabilì in tutte le città degli Amorriti, in Heshbon e in tutte le sue dipendenze». Cf. 21,31: «e Israele si stabilì nella terra degli Amorriti». Inoltre, appare in 21,24 un verbo chiave per la conquista, il verbo yrs («conquistare»): «Israele lo [Sihon] colpì a fil di spada e conquistò (wayyìras) la sua terra dall'Amen sino allo labboq...».

A partire da questo momento, il racconto è orientato verso la con­quista. Per esempio, Nm 32 contiene istruzioni per la ripartizione del territorio della Transgiordania e Nm 34 per quello della Cisgiordania. Nm 21,10-20 funge da transizione fra queste due tappe della marcia nel deserto. Gli oracoli di Balaam (Nm 22-24) occupano un posto chia­ve in questa struttura, all'inizio della conquista. In essi, viene dimo­strato in vari modi che nessuno potrà opporsi al piano divino.

In conclusione, proponiamo la struttura seguente per il libro dei Numeri:

1. Preparazione della campagna: 1,1 - 10,10

2. Esecuzione della campagna: 10,11— 36,13 a. La marcia nel deserto: 10,11 - 21,20 b. L'inizio della conquista: 21,21 - 36,13.

3. Il significato del libro dei Numeri (53)

II problema del libro dei Numeri è di sapere come «camminare con JHWH», con JHWH presente nella tenda, in mezzo all'accam­pamento d'Israele. La prima parte del libro (1,1-10,10) è dedicata an­zitutto all'organizzazione delle tribù attorno alla tenda (Nm 2) e ai vari compiti dei leviti che stanno al servizio di questa tenda (Nm 3-4). Nm 7-8 contiene altre prescrizioni cultuali legate anch'esse al santuario. Nm 10 tratta della preparazione immediata della partenza.

La seconda parte del libro (10,11-36,13) contiene vari episodi che mostrano che cosa significa concretamente «camminare con JHWH». JHWH è pronto ad aiutare il suo popolo, però è soprattutto un Dio che castiga ogni ribellione (11; 12; 13-14; 16-17; 20,1-13; 21,4-9; 25).

Nella maggioranza dei casi, tutto il popolo si ribella contro JHWH e contro Mosè ed Aronne. In alcuni casi, tuttavia, JHWH castiga in­dividui: Aronne e Miriam in Nm 12; Datan, Abiram e i figli di Qorah in Nm 16; Mosè e Aronne in Nm 20,1-13.

L'episodio più importante è Nm 13-14 ove tutta la generazione dell'esodo viene condannata a morire nel deserto perché rifiutò di con­quistare la terra promessa.

Il messaggio è chiaro: se vi sono stati dei fallimenti, ciò non di­pende dalla preparazione della campagna. JHWH aveva previsto tut­to. I fallimenti sono dovuti ai peccati d'Israele. Al contrario, quando Israele segue le istruzioni date da JHWH a Mosè, il popolo riesce nel­le sue imprese.

Sarà il caso, per esempio, nelle prime guerre di conquista (21,21-32; 21,33-35; 31). Se il Pentateuco è stato composto per l'Israele po-stesilico, il libro dei Numeri spiega a quali condizioni il popolo potrà ritrovare la terra promessa.

 

E struttura DEL LIBRO DEL deuteronomio

 

La struttura del libro del Deuteronomio ruota attorno a quattro «titoli» simili nella loro costruzione e nel loro contenuto:

1,1: «Queste sono le parole che Mosè rivolse a tutti gli Israeliti al di là del Girdano [...]».

4,44: «Questa è la legge che Mosè propose agli Israeliti [...]».

28,69: «Queste sono le parole dell'alleanza che JHWH ordinò a Mosè di concludere con gli Israeliti [...]».

33,1: «Questa è la benedizione con cui Mosè, uomo di Dio, benedisse gli Israeliti prima di morire [...]» (54).

Questo libro, però, richiede un trattamento a parte (55).

Conclusione. Non tutti i libri del Pentateuco sono strutturati nel­lo stesso modo e non tutti presentano una chiara struttura. Nondi­meno, è possibile, individuare una strutturazione del testo canonico di ciascun libro. Occorre adesso studiare più da vicino il testo canonico per vedere se è completamente unificato o se nasconde le tracce di un lavoro di composizione, a partire da elementi più antichi (56).

 

RIFERIMENTI

 

(1) Seguiamo J. blenkinsopp, Pentateuch, 45-47.

 

(2) Vedi, fra gli altri, B.S. childs, Introduction, 128-130; E. zenger, Einleitung, 34-36.

 

(3) La traduzione di Gn 1,1 è discussa. Vedi, per esempio, G.J. wenham, Genesis 1-15 (WBC 1; Waco, Tx 1987) 11-13.

 

(4) Sull'alleanza nelle steppe di Moab, vedi N. lohfink, «Der Bundesschiufi im Lande Moab. Redaktipnsgeschichtiiches zu Dt 28,69 - 32,47», BZ NF 6 (1962) 32-56 = Studien wm Deuteronomium una wr deuteronomistischen Literatur I (SBAAT 8;

Stuttgart 1990) 53-82; id., «Bund als Vertrag im Deuteronomium», ZAW 107 (1995) 215-239.

 

(5) Vedi R.P. knierim, «Thè Composition of thè Pentateuch», Thè Task of Oid Tes-tament Theology. Subitanee, Method una Cases (Grand Rapids, MI - Cambridge, UK 1995) 351-379.

 

(6) Vedi soprattutto J. blenkinsopp, 'Pentateuch, 57-59; 98-100.

 

(7) Vedi B.S. childs, Introduction, 145; J. blenkinsopp, Pentateuch, 58-59; 99-100; cf. R.B. robinson, «Thè Literary Function of thè Genealogies of Genesis», CBQ 48 (1986) 595-608. R.N. whybray, Introduction, 31-32, è contrario, però i suoi argomenti sono piuttosto deboli.

 

(8) La bibliografia su questa formula è molto abbondante. Vedi, fra gli altri, N. loh-FINK, «Die Priesterschrift und die Geschichte», Congress Volume Góttingen 1977 (ed. W. zimmerli) (VTS 29; Leiden 1978) 189-255, spec. 205 = Studien wm 'Pentateuch (SBAAT 4; Stuttgart 1988) 213-254, spec. 230; S. tengstróm, Die Toledotformel und die literarische Struktur der priesterlichen Erweiterungsschicht im Pentateuch (Lund 1982); M.D. johnson, Thè Purpose of thè Biblica! Genealogies (SNTSMS 8; Cam­bridge 21988); B. renaud, «Les généalogies et la structure de l'histoire sacerdotale dans le livre de la Genèse», RB 97 (1990) 5-30.

 

(9) R.N. whybray, Introduction, 31-32.

 

(10) F. DE saussure, Cours de linguistice generale (Genève 1915; Paris 1969) 112 = Corso di linguistica generale (Bari '1970); cf. la distinzione fra «rneaning» and «sig-nificance», in E.D. hirsch, Validity in Interpretation (New Haven - London 1967);

id., Thè Aims of Interpretation (Chicago 1976).

 

(11) J. skinner, Genesis (ICC; Edinburgh 1910) 41; cf. B. jacob, Dos erste Buch der Torà. Genesis (Berlin 1934) 71; B.S. childs, Introduction, 145.

 

(12) Per più particolari, vedi T. stordalen, «Genesis 2,4 - Restudying a locus clas-sicus», ZAW 104 (1992) 163-171 (con bibliografia); E. blum, Die Komposition der Va-tergeschichte (WMANT 57; Neukirchen-VIuyn 1984) 451-452; id., Studien wr Komposition des Pentateuch (BZAW 189; Berlin - New York 1990) 280; D. cakk, Read-ing thè Fractures of Genesis. Historical and Literary Approaches (Louisville, KY 1996) 74-75 (con bibliografia); F.M. cross, Canaanite Myth and Hebrew Epic (Cambridge, MA 1973) 302.

 

(13) È molto probabile che la formula sia di origine redazionale e abbia come sco­po di integrare Gn 2-4 nelle «genealogie» della Genesi.

 

(14) Vedi R. rendtorff, «Gen 8,21 und die Urgeschichte des Jahwisten», .KD 7 (1961) 69-78.

 

(15) Comunque, occorre insistere sul fatto che le formule di tòl'dòt fanno del libro della Genesi una unità letteraria. Vedi le riflessioni di B.S. childs, Introduction, 146.

 

(16) Vedi J.L. ska, «Sincronia», 157, 230.

 

(17) Su questo aspetto, vedi, fra gli altri, E. blum, Vatergeschichte, 297-300.

 

(18) Sulle varie funzioni delle genealogie, vedi fra gli altri R.R. wilson, «Thè Oid Testament Genealogies in Recent Research», JBL 94 (1975) 169-189; id., Genealogy and tìistory in thè Biblica! Worid (New Haven, CN 1977); M.D. johnson, Thè Pur-pose ofBtblical Genealogies; B.S. childs, Introduction, 152-153.

 

(19) Vedi E. blum, Komposition, 479-491, 505-506.

 

(20) Vedi L.R. helyer, «Thè Separation of Abraham and Lot: Its Significance in thè Patriarchai Narratives», JSOT 26 (1983) 77-88.

 

(21) partire da Gn 12,1-3, la «terra» diventa un tema centrale della storia patriarcale.

 

(22) Per altre presentazioni, vedi J. blenkinsopp, Pentateuch, 57-59; 98-100; R.N. whybray, Introduction, 29-40; 49-62.

 

(23) Vedi J. blenkinsopp, Pentateuch, 48.

 

(24) Giuseppe aveva 17 anni quando inizia la storia (Gn 37,2). Occorre aggiungere almeno i sette anni di abbondanza (41,53) e due anni di carestia (45,6). Quando Gia­cobbe e la sua famiglia arrivano in Egitto, Giuseppe aveva almeno 26 anni. Muore a 110 anni (50,26). La differenza è più o meno di 80 anni.

 

(25) Vedi B.S. childs, ìntroduction, 170-171. Altri esegeti rinunciano a studiare la «forma canonica» di Es per analizzare il blocco Es-Nm. Cf. J. blenkinsopp, «Proni Egypt to Canaan», Pentateuch, 134-182. Blenkinsopp divide l'insieme Es-Nm in tré se­zioni: 1) «Israele in Egitto» (Es 1,1 - 15,21); 2) «Israele nel deserto» (Es 15,22 - 18,27 + Nm 10,11 - 36,13); 3) «Israele al Sinai» (Es 19,1 - Nm 10,10); R.N. whybray, ìn­troduction, 63-64, adotta una posizione simile.

 

(26) B.S. childs, ìntroduction, 170; J. blenkinsopp, Pentateuch, 135.

 

(27) Vedi N. lohfink, «Priesterschrift», 206 = Studien wm Pentateuci], 231; J. blenkinsopp, Pentateuch, 135-136.

 

(28) B.S. childs, ìntroduction, 170-171.

 

(29) J. blenkinsopp, Pentateuch, 218.

 

(30) Vedi soprattutto M. weinfeld, «Sabbath, Temple, and thè Enthronement of thè Lord - Thè Problem of thè Sitz im Leben of Gen 1:1 - 2:3», Mélanges bibliques et orientaux en l'honneur de M. Henri Cazelles (éds. A. caquot - M. delcor) (AOAT 212; Neukirchen-VIuyn - Keveiaer 1981) 501-512.

 

(31) La traduzione dell'espressione 'al-pSnaya è discussa. Vedi i commentari.

 

(32) Sulle corrispondenze fra Gn 1 e Es 25-40, vedi, fra gli altri, J. blenkinsopp, Pen-tateuch, 217-218; P. weimar, «Struktur und Komposition der priesterschriftlichen Ge-schichtsdarstellung», BN 24 (1984) 151, n. 179; id., «Sinai und Schópfung. Komposition und Theologie der priesterschriftlichen Sinaigeschichte», KB 95 (1988) 138-162.

 

(33) Vedi M. gkeenberg, Understanding Exodus (New York 1969) 164-167, 169-170, 181; D.J. McCARTHY, «Moses' Dealings with Pharaoh: Exod 7:8 - 12:27», CBQ 27 (1965) 336-347; J.L. ska, Le passage de la mer. Étude de la construction, du style et de la symbolique d'Ex 14,1-31 (AnBib 109; Rome 1986) 57-60, 75.

 

(34) Su Es 1-15, vedi anche G. fischer, «Exodus 1-15. Eine Erzàhiung», Studies in thè Book of Exodus. Redaction - Reception - Interpretation (ed. M. vervenne) (BETL 126; Leuven 1996) 149-178.

 

(35) Su questi capitoli molto difficili, vedi E. blum, Studien, 88-99 (con bibliogra­fia). Vedi anche th.b. dozeman, God on thè Mountain. A Study of Redaction, Theo-logy and Canon in Exodus 19-24 (SBLMS 37; Atlanta, GA 1989); B. renaud, La théophanie du Sinai. Ex 19-24. Exégèse et théologie (CRB 30; Paris 1991).

 

(36) Vedi L. perlitt, Bundestheologie im Alten Testament (WMANT 36; Neukir-chen-VIuyn 1969) 192.

 

(37) Questo testo è stato molto studiato e discusso. Per la discussione e la bibliografia, vedi L. perlitt, Bundestheologie, 167-181; B.S. childs, Exodus. A Commen-tary (OTL; London - Philadelphia, PA 1974) 340, 360-361; J. durham, Exodus (WBC

 

3; Waco, TX 1987) 256, 261-263; D.J, McCARTHY, Treaty and Covenant. A Study in Form in thè Ancient Oriental Documenti and in thè Olà Testament (AnBib 21A; Ro­me 1978) 270-273; J.L. ska, «Ex 19,3b-6 et l'idenfité de l'Israèl postexilique», Studies in thè Book of Exodus. Redaction - Reception - Interpretation (ed. M. vervenne) (BETL 126; Leuven 1996) 289-317.

 

(38) Es 24,1-2.9-11 e 24,3-8 sono anch'essi molto discussi. Vedi L. perlitt, Bundes-theologie, 181-190, 190-203; D.J. McCARTHY, Treaty, 264-269; E. blum, Studien, 51-52 (con bibliografia); J.L. ska, «Ex 19,3-8 et les parénèses deutéronomiques», Biblische Theologie und gesellschaftlicher Wandel (FS. N. Lohfink; [Hrsg. G. braulik - W. grob - S. McEVENUE] Freiburg im Breisgau 1993) 307-314, spec. 311-312; id., «Le repas de Ex 24,11», Bib 74 (1993) 305-327.

 

(39) Su questi capitoli, vedi H. utzschneider, Dos Heiligtum und das Gesetz: Stu­dien wrBedeutung der sinaitischen Heiligtumstexte (Ex 25-40, Lev 8-9) (OBO 77; Frei­burg Schweiz - Góttingen 1988); P. weimar, «Sinai und Schópfung», 138-162.

 

(40) Sui problemi di questa sezione molto complessa, vedi E. blum, Studien, 73-75; R.W.L. moberly, At thè Mountain ofGod. Story and Theology in Exodus 32-34 (JSOTS 22; Sheffield 1983); B. renaud, «La formation de Ex 19-40. Quelques points de repè-re», Le Pentateuque. Débats et recherches. XIVe Congrès de l'ACFEB, Angers (1991) (ed. P. haudebert) (LD 151; Paris 1992) 101-133.

 

(41) Su questo punto, vedi, fra gli altri, N. lohfink, «Freizeit. Arbeitswoche und Sabbat im Alten Testament, insbesondere in der priesterlichen Geschichtsdarstellung». Unsere grossen Wórter. Dos Alte Testament w Themen dieser Jahre (Freiburg im Breis-gau 1977) 190-208; J.L. ska, «II lavoro nella Bibbia», FirmanoS (1995) 47-62.

 

(42) Vedi soprattutto B.S. childs, Introduction, 182.

 

(43) Vedi soprattutto W. zimmekli, «"Heiligkeit" nach dem sogenannten Hei-ligkeitsgesetz», VT30 (1980) 493-512; E crùsemann, «DerExodus als Heiligung. Zur rechtsgeschichtiichen Bedeutung des Heiligkeitsgesetzes», Die hebraische Bibel und ihrè weifache tiachgeschichte (FS. R. Rendtorff [Hrsg. E. blum - C. macholz - E.W. stegemann] Neukirchen-VIuyn 1990) 117-129.

 

(44) E CROSEMANN, «Exodus», 124-125.

 

(45) E crusemann, «Exodus», 118-119.

 

(46) Seguiamo soprattutto R.P. knierim, «Thè Bóok of Numbers», Die hebraische Bibel uni ihre iweifache Nachgeschichte (FS. R. Rendtorff; [Hrsg. E. blum - C. ma-CHOLZ - E.W. stegemann] Neuldrchen-VIuyn 1990) 155-163.

 

(47) R.P. kniebim, «Numbers», 155-156.

 

(48) Vedi R. rendtorff, Einleitung, 156; vedi anche i commentari e studi di G.B. gray, Numbers (ICC; Edinburgh 1903); N.H. snaith, Leviticus anil Numbers (Thè Century Bible; London 1967); M. noth, Dos vierte Buch Mose. Numeri (ATD 7; Gòt-tingen 1967); G.W. coats, Rebellion in thè Wilderness. Thè Murmuring Moti/in thè Wilderness Traditions of thè Oid Testament (Nashville, TN 1968); J. DE vaulx, Les Nombres (Sources bibliques; Paris 1972); B.A. levine, Numbers 1-20 (AB 4A; New York 1993); J. milgrom, Numbers (Thè JPS Torah Commentary; Philadelphia, PA -New York, NY 1989); ph.j. budd, Numbers (WBC 5; Waco, TX 1984); A. schart, Mose und Israel in Konflikt. Eine redaktionsgeschichtiiche Studie w den Wùstenerzah-lungen (OBO 98; Freiburg Schweiz - Góttingen 1990); T.R. ashley, Thè Book of Num­bers (NICOT; Grand Rapids, Mi 1993); R.K. harrison, Numbers: An Exegetical Commentary (Grand Rapids, MI 1992); J. scharbert, Numeri (NEB 27; Wiirzburg 1992); K.D. sakenfeld, Journeying with God. A Commentary on thè Book o f Num­bers (International Theological Commentary; Grand Rapids, MI - Edinburgh 1995); cf. B.S. childs, Introduction, 194-199.

 

(49) D.T. olson, Thè Death of thè Olà and thè Birth of thè New: Thè framework of thè Book of Numbers and thè Pentateuch (Brown JudSt 71; Chico, CA 1985).

 

(50) R.P. knierim, «Numbers», 156-160.

 

(51) R.P. knierim, «Numbers», 159. Dal punto di vista metodologico, questa osser-i    vazione di Knierim è molto importante. Il criterio di strutturazione è un fattore che ;    permette di capire tutto il libro e l'articolazione delle sue parti.

 

(52) G.W. coats, «Thè Wilderness Itinerary», CBQ 34 (1972) 135-172; G.I. davies, «Thè Wilderness Itineraries: A Comparative Study», Tyndale Bulletin 25 (1974) 46-81; id., Thè Way of thè Wilderness: A Geographical Study of thè Wilderness Itineraries in thè Oid Testament (SOTSMS 5; Cambridge 1979); J. van seters, Thè Life of Moses. Thè Yahwist as Historian in Exodus-Numbers (Louisville, KY - Kampen 1994) 153-164. Per paralleli mesopotamici, vedi G.I. davies, «Wilderness Itineraries», 52-78.

 

(53) R.P. knierim, «Numbers», 160-163.

 

(54) Vedi P. kleinert, Dos Deuteronomium una die Deuteronomiker. Untersuchun-gen wr altfestamentlichen Kechts- una Literaturgeschichte (Bielefeld - Leipzig 1872) 167; N. lohfink, «Der BundesschluB im Lande Moab. Redaktionsgeschichtiiches zu Dt 28,69 - 32,47», BZ 6 (1962) 32-56, spec. 32-33 = Studien wm Deuteronomium una wr deutemnomistischen Literatur I (SBAAT 8; Stuttgart 1990) 53-82, spec. 53-54; id., «Bund als Vertrag im Deuteronomium», 219; G. braulik, Deuteronomium 1 - 16,17 (NEB; Wurzburg 1986) 5-6.                               '

 

(55) Vedi J.L. ska, Introduzione al Deuteronomio. Stuttura, storia, teologia (Appun­ti, Roma 1995).

 

(56) Bibliografia complementare sulla «lettura canonica» dell'AT: J. barton, Ora-cles of God. Perceptions of Ancient Prophecy in Israel a/ter thè Exile (Oxford 1986); R.T. beckwith, Thè Oid Testament Canon of thè New Testament Church and Its Back­ground in Early Judaism (Grand Rapids, MI 1985); J. blenkinsopp, Prophecy and Canon. A Contribution to thè Study of ]ewish Origins (Notre Dame, IN 1977); W. brueggemann, Thè Creative Worid. Canon as a Model for Biblical Education (Phila-delphia, PA 1982); R.E. clements, Prophecy and Tradition (Atlanta, GA 1975); L.M. McDONALD, Thè Tormation of thè Christian Biblical Canon (Peabody, MA 21995); D.F. morgan, Between Text and Community. Thè «Writings» in Canonical Interpre-tation (Minneapolis, MN 1990); P.R. noble, Thè Canonical Approach. A Criticai Re-construction of thè ÌTermeneutics of Brevard S. Chiids (Biblical Interpretation Series 16; Leiden: Brill, 1995); J.H. sailhamer, Introduction to Olà Testament Theology. A Canonical Approach (Grand Rapids, MI 1995); G.T. sheppard, «Canonical Critici-sm», ABD 1, 861-866. Opere di B.S. childs: B.S. childs, Exodus. A Commentary (OTL; London-Phila-delphia, PA 1974); id., Introduction to thè Olà Testament as Scripture (Philadelphia, PA 1979); id., Biblical Theology of thè Oid and New Testaments: Theological Reflection on thè Christian Bible (London 1992). Opere diJ.A. sanders: Torah and Canon (Philadelphia, PA 1972); id., Canon and Community: A Guide to Canonical Criticism (Philadephia, PA 1984); id., From Sacred Story to Sacred Text: Canon as Paradigm (Phildelphia, PA 1987); id., "Canon", ABD 1, 837-852; id., «Thè Integrity of Biblical Pluralism», «Not in Heaven»: Coherence and Complexity in Biblical Narrative (eds. J.P. rosenblatt - J.C. sitterson) (Indianapo-lis, IN 1991) 154-169.