CAPITOLO IV
I PROBLEMI LETTERARI DEL PENTATEUCO II. I TESTI NARRATIVI.
Le
«Introduzioni» al Pentateuco trattano più spesso i testi narrativi che i testi
legislativi. Per il principiante, però, la molteplicità delle teorie proposte
dagli esegeti può stordire e creare confusione.
Facilmente,
si «caricatura» una certa analisi che riesce a distinguere varie fonti e
redazioni persino all'interno di un solo versetto. Sembra che i soli arnesi
dell'esegesi siano le «forbici e la colla». Non è del tutto vero (1).
Prima
di affrontare le varie teorie sulla composizione del Pentateuco, occorre
accorgersi della presenza di problemi reali. Nessun ese-geta ragionevole nega
la presenza di doppioni, tensioni e contraddizioni nei testi del Pentateuco.
Vi è disaccordo solo sul modo di spiegare questi fenomeni.
In
questo capitolo presenterò problemi di due tipi diversi: doppia o tripla
versione di un solo evento; presenza di doppioni all'interno di un racconto.
A.
VARIE VERSIONI DI UN SOLO EVENTO
1.
Il doppio racconto della creazione (Gn l,l-2,4a e 2,4b-3,24) (2)
Chi
legge il libro della Genesi sarà senz'altro sorpreso di vedere che Dio, dopo
aver creato l'universo in Gn l,l-2,4a sembra ricominciare da capo in Gn
2,4b-25. La seconda volta, inoltre, non crea lo stesso mondo. Vi sono parecchie
differenze evidenti fra i due racconti, specialmente nel modo di presentare la
creazione, ma anche nella loro teologia.
-
Il racconto
* In Gn 1, l'universo sorge dalle acque e dalle tenebre primordiali (Gn 1,2). L'immagine suggerita da questo racconto è quella di una terra sommersa dalle acque, per esempio dopo un'alluvione, come accade ogni primavera in Mesopotamia e in Egitto, ma non in Israele. Dopo l'alluvione, la terra emerge a poco a poco dalle acque, si ricopre di vegetazione, poi di esseri .viventi.
La
descrizione della creazione in Gn 1 segue in gran parte questo ordine. Prima
Dio crea la luce (1,3-5), poi il firmamento (il cielo; 1,6-8), fa sorgere la
terra dalle acque e fa crescere le piante (1,9-13). Il processo viene
interrotto perché Dio crea gli astri (1,14-19). In seguito Dio crea gli esseri
viventi: pesci, uccelli, animali e uomini (1,20-31). Il tutto si svolge in una
settimana.
In
Gn 2, invece, l'universo prima dell'intervento divino è un deserto senz'acqua.
In Gn 1, c'è soltanto acqua, mentre in Gn 2 manca l'acqua. Non è ancora piovuto
e solo un «fiume» innaffia la terra (2,6) (3). Dio forma il primo essere umano,
poi pianta un giardino che sorge come un'oasi in mezzo alla steppa desertica.
Questa immagine della creazione rispecchia la situazione climatica e
geografica della Palestina (4).
*
In Gn 1, Dio crea la prima coppia il sesto giorno (1,26-27), mentre in Gn 2,
crea prima 'adam («essere umano», «uomo»; 2,7), poi, alla fine del
racconto, la donna (2,22).
*
Gn 1 contiene un racconto completo della creazione dell'universo: cielo, mare
e terra. Gn 2, invece, non parla della creazione del cielo e del mare, come non
menziona gli astri. Il secondo racconto della creazione si occupa soltanto
della terra e degli esseri viventi che la popolano.
*
Secondo Gn 1,11, Dio fa sorgere piante su tutta la terra, senza fare
distinzioni. Secondo Gn 3,18, invece, vi è una grande differenza fra il
giardino dove crescono gli alberi che danno frutti buoni (2,9) e la terra fuori
dal giardino dove crescono solo «spine e cardi» (3,18).
*
Fra la piante e gli alberi, Gn 1 non menziona nessuna pianta in modo speciale.
Non è il caso in Gn 2 che evidenzia la presenza nel giardino dell'albero della
conoscenza del bene e del male e dell'albero della vita (2,llb).
*
Secondo Gn 1,29-30, tutti gli esseri viventi sono vegetariani e, perciò, è
proibito uccidere animali. Dopo il diluvio, in Gn 9,2-3, Dio cambia questa
norma e permette, a certe condizioni, di ammazzare animali per cibarsi della loro
carne. In Gn 3,21, Dio riveste l'uomo e la donna con «tuniche di pelle»: ha
dovuto quindi ammazzare animali (5).
-
Teologia
La
divinità che crea il mondo non porta lo stesso nome nei due racconti. Nel
primo, viene sistematicamente chiamato «Dio» {'elohìm; 3.5x in 1,1 -
2,4a); nel secondo, ha un doppio nome: JHWH DIO (jhwh 'elohìni}. Il Dio
di Gn 1 è trascendente: pianifica la creazione in tutti i suoi dettagli, parla
e tutto quello che dice accade, rimane invisibile e non si confonde con il
creato (6).
In
Gn 2-3, al contrario, la divinità è più «antropomorfica»: plasma il primo
essere umano con argilla e soffia nelle sue narici un alito di vita. In
seguito, pianta gli alberi e mette l'essere umano nel giardino. Si accorge
allora che manca qualche cosa. Cerca di risolvere il problema della solitudine
del primo essere umano creando prima gli animali, poi la donna.
In
Gn 3, egli viene a passeggiare nel giardino alla sera: nota qualche cosa di
strano e scopre la colpa dell'uomo e della donna dopo una inchiesta. Questo Dio
non sembra ne «onnisciente», ne «onnipotente», ed è molto differente dal Dio
di Gn 1.
-
Prospettiva
*
Gn 1 descrive la creazione dell'universo. Prima, Dio crea gli elementi
essenziali dell'universo: luce,tenebre, cielo, terra, mare, astri.
La
vegetazione servirà da cibo agli esseri viventi che popoleranno le tre parti
del mondo: gli uccelli nel cielo, i pesci nel mare, gli animali e gli uomini
sulla terra. Gn 2, invece, tratta principalmente della creazione dell'umanità
e delle condizioni della vita sulla terra. La terra ha bisogno di un essere
umano per essere coltivata. La fertilità della terra dipende dall'acqua. Gli
alberi devono fornire cibo all'essere umano che non può neanche vivere senza
compagnia. Perciò Dio crea prima gli animali, poi la donna.
* L'universo di Gn 1 è totalmente positivo. Il testo di Gn l,l-2,4a non contiene una sola negazione. Sette volte, si ripete la frase: «E Dio vide che era buono» (Gn 1,4.10.12.18.21.25.31). In Gn 2-3 appare per la prima volta un elemento negativo con «l'albero della conoscenza del bene e del male» (Gn 2,11.17; cf."3,3).
Conclusione. Queste differenze impediscono di attribuire i due testi
allo stesso autore o di leggerli solo in modo sincronico (7).
2.
Il triplice racconto della moglie/sorella (Gn
12,10-20; 20,1-18; 26,1-H) (8)
Tre
volte, nel libro della Genesi, si può leggere un racconto che coinvolge un
patriarca, sua moglie e un sovrano straniero. I tre racconti seguono lo stesso
schema:
1.
Il patriarca entra in una terra straniera.
2.
Il patriarca teme per la sua vita e fa passare sua moglie per sua sorella.
3.
L'inganno viene scoperto dal sovrano del paese.
4.
Il sovrano convoca il patriarca e lo rimprovera per l'inganno. Nonostante
questa struttura comune, le tre versioni contengono numerose divergenze.
Il
primo racconto (Gn 12,10-20) si svolge in tre fasi concatenate che
trattano ciascuna un problema. Il primo problema è la carestia e la soluzione è
l'emigrazione verso l'Egitto (12,10). L'emigrazione pone un altro problema:
Abramo teme per la sua vita perché Sarà è bella (12,11). La soluzione è
l'inganno (12,13) che riesce in parte, perché Abramo viene trattato bene dal
faraone, ma crea un ulteriore problema: Sarà si trova nell'harem del faraone
(12,14-16). JHWH interviene, colpisce il faraone (12,17) che scopre la verità
— senza che si sappia esattamente come —, convoca Abramo, lo rimprovera, gli
rende sua moglie e lo fa accompagnare alla frontiera (12,18-20).
La
seconda versione si svolge non più in Egitto, ma a Gerar, il paese di
Abimelek, re dei Filistei. La prima parte del racconto è molto breve, quasi
lacunosa (20,1). Non si dice per esempio perché Abramo va a vivere a Gerar, nel
Negeb. Non si spiega neanche perché Abramo dice di sua moglie che è sua
sorella e perché Abimelek prende Sarà (20,2). Il Dio che interviene in questo
racconto si chiama 'elohìm, salvo nel v. 18 dove interviene J'hwh.
Questo intervento divino, assai breve in 12,10-20, è invece molto sviluppato in
Gn 20. Dio appare in sogno e discute a lungo con Abimelek (20,3-7). Segue la
convocazione dei servi (20,8), poi di Abramo (20,9-13), anch'essa abbastanza
lunga.
Nell'epilogo
(20,14-18), tutti i problemi trovano la loro soluzione: Abimelek restituisce
Sarà ad Abramo, lo copre di regali e gli offre di vivere nel suo paese
(20,14-15); inoltre, il re offre un risarcimento per l'offesa nei confronti di
Sarà (20,16); infine Abramo intercede per Abimelek e la sua famiglia, cosicché
tutti guariscono (20,17-18).
La
terza versione è la più breve. Questa volta, i personaggi principali
sono Isacco, Rebecca e di nuovo Abimelek, re di Gerar (cf. 20,1-2). La ragione
del soggiorno di Isacco e Rebecca nella regione è una carestia, come in 12,10
(cf. 26,1). Come Abramo, Isacco dice che sua moglie è sua sorella (26,7). Ma niente
accade. Per puro caso, il re, indiscreto, scopre la verità: guarda dalla
finestra mentre Isacco «gioca» con Rebecca (26,8). Il re rimprovera Isacco per
non esser stato sincero e proibisce sotto pena di morte di «toccare» Rebecca
(26,10-11).
Il
primo racconto ha come scopo di mostrare come Dio protegge e salva Sarà,
moglie di Abramo, rivelando la sua vera identità: Sarà non è solo una «donna»,
una «bella donna», o la «sorella» di Abramo, ma «la moglie di Abramo». Essa è
il punto focale di tutto il racconto, sebbene non apra mai bocca.
Il
secondo racconto suppone probabilmente la conoscenza del primo, o almeno della
tematica generale (9). I due primi versetti (20,1-2) corrispondono a sei
versetti nel primo racconto (12,10-16) e non dicono niente sulle circostanze
del viaggio o dell'entrata di Sarà nell'harem di Abimelek. La parte principale
del racconto tratta del problema giuridico della colpevolezza. Ciascuno tenta
di giustificare la propria condotta: Dio, Abimelek ed Abramo. Poi,
nell'epilogo, tutti si preoccupano di «ristabilire la giustizia».
Il
terzo racconto mostra come JHWH protegge Rebecca da un pericolo che esiste solo
nell'immaginazione del marito. Rebecca non sarà presa da Abimelek che, appena
scopre la verità, stabilisce con un decreto l'inviolabilità del matrimonio. Nei
tre racconti, il «re straniero» appare molto diverso dall'immagine che i
patriarchi hanno di lui. Il faraone e Abimelek hanno grande senso della
giustizia e del loro dovere di proteggere gli stranieri. Nei paesi stranieri
esiste il «timore di Dio» - benché Abramo pensi il contrario (20,11) - egli
uomini non obbediscono necessariamente ai loro più bassi istinti.
Dal
punto di vista critico e letterario risulta difficile attribuire queste tre
storie alla penna di un solo autore. Perché ripetersi in modo così palese?
Perché utilizzare due appellativi divini diversi? Perché Abramo ripete lo
stesso errore due volte? La seconda volta, ne Sarà ne Dio sembrano ricordarsi
del primo episodio. Isacco, in Gn 26, non ha imparato niente dall'esperienza
del padre. Anche Abimelek reagisce come se non avesse avuto nessuna esperienza
previa dello stesso tipo.
3.
Il doppio racconto dell'episodio di Meriba (Es 17,1-7; Nm 20,1-13) (10).
I
due episodi di Meriba sono costruiti sullo stesso schema e contengono molti
elementi comuni:
1.
Manca l'acqua.
2.
Il popolo si lagna con Mosè (11).
3.
Mosè si rivolge a JHWH.
4.
JHWH indica la soluzione: far scaturire l'acqua dalla roccia.
5.
L'ordine viene eseguito.
Le
differenze sono anch'esse numerose.
-
Scopo del racconto
La
differenza più vistosa si trova nell'esito dell'episodio. In Es 17,1-7 non vi è
nessuna traccia di castigo per un qualsiasi peccato commesso dal popolo o dai
suoi capi. In Nm 20, invece, Mosè e Aronne vengono puniti per non aver creduto
e santificato JHWH (20,12). Es 17,1-7 racconta come JHWH salva il suo popolo
dalla sete. Al bisogno del popolo e alla preghiera di Mosè, JHWH risponde e
offre la soluzione al problema. Nm 20 è più complesso. Al problema della sete
e alla sua soluzione si sovrappone un racconto di peccato/castigo (12).
—
Trama del racconto
* Lagnanza
del popolo. All'inizio, la lagnanza del popolo è più sviluppata in Nm
20,3-5 che in Es 17,2a. Alla mancanza d'acqua, unico rimprovero in Es 17,2a, il
popolo aggiunge un'accusa: dice che i suoi capi hanno voluto ucciderlo e
contesta l'esodo come tale (Nm 20,3-5).
* Reazione
di Mosè. In Es 17,2b-3, Mosè risponde che il popolo se la prende non con il
suo capo, ma con il proprio Dio. Poi si rivolge direttamente a JHWH. In Nm 20,
egli si accontenta di prostrarsi davanti alla tenda dell'incontro con Aronne.
* Risposta
dz JHWH. In Es 17,5-6a JHWH risponde a Mosè e gli da ordini per far
scaturire acqua dalla roccia colpendola con il bastone. Devono essere presenti
gli anziani. In Nm 20,6b appare la «gloria di JHWH». Gli ordini di JHWH
(20,7-8) menzionano il bastone come in Es 17,5-6, però, Mosè deve soltanto
parlare alla roccia.
* Soluzione
del problema. In Es 17,6b, tutto finisce molto presto con una «formula di
esecuzione», mentre Nm 20 contiene un racconto elaborato: dopo la «formula di
esecuzione» (20,9), segue un discorso di rimprovero da parte di Mosè al popolo
(20,10), poi il gesto di colpire due volte la roccia da cui scaturisce l'acqua
(20,11). In Nm 20 mancano gli anziani.
* Conclusione.
I due racconti finiscono con un'eziologia (Es 17,7; Nm 20,13). Tuttavia, prima
dell'eziologia, Nm 20,12 contiene un'ulteriore discorso divino in cui JHWH
accusa Mosè e Aronne di non aver creduto in lui e di non averlo santificato
davanti al popolo («sanzione») (13).
—
Personaggi e altri dettagli
*
Gli anziani appaiono solo in Es 17 e Aronne solo in Nm 20.
*
Es 17,7 conclude l'episodio con l'eziologia di Massa e Meriba, mentre Nm
20,13 menziona soltanto Meriba e allude a Qadesh (20, 1.13b).
*
II bastone appare nei due racconti. La sua funzione, tuttavia, non è la
stessa. Sembra quasi superfluo in Nm 20.
Conclusione. Il secondo episodio (Nm 20,1-13) si capisce meglio
come una seconda versione, rielaborata, dello stesso episodio, non come un
altro episodio simile. Se fosse un altro episodio, posteriore al primo, non si
capirebbe perché nessuno sa come risolvere il problema dell'acqua. Ne il
popolo, ne Mosè, ne Aronne, ne JHWH ricordano l'episodio precedente.
B.
DOPPIONI ALL'INTERNO DI UN SOLO
RACCONTO
Accanto
alle varie versioni di un episodio, vi sono altri problemi ancora più
complessi, perché vi sono delle tensioni e delle contraddizioni all'interno di
un solo racconto.
Vi
sono molti esempi di testi in cui si intrecciano due o più fili narrativi. Fra
gli esempi classici figurano Gn 6-9 (il diluvio); Gn 37 (l'inizio della storia
di Giuseppe); Es 14 (il miracolo del mare) e Nm 13-14 (l'esplorazione della
terra promessa).
Presenterò
brevemente i problemi di Gn 6-9; Gn 37; Es 14.
1.
Il racconto del diluvio (Gn 6-9) (14)
Chi
legge il testo per la prima volta forse non si accorgerà dei problemi inerenti
alla sua composizione, perché il racconto nasconde la sua dualità dietro
un'unità di composizione. Unità e dualità sono entrambi presenti nel testo
(15).
-
Unità del racconto (16)
II
racconto del diluvio segue un filo abbastanza chiaro. Di primo acchito, non vi
sono difficoltà nella lettura del testo. Possiamo riassumere nel modo seguente
gli avvenimenti:
1.
Dio scopre la perversità dell'umanità.
2.
Dio decide di distruggere l'universo.
3.
Viene presentato Noè, l'unico giusto del tempo.
4.
Dio chiede a Noè di costruire un'arca.
5.
In questa arca entrano Noè, la sua famiglia, ed. esemplari di tutti gli animali
dell'universo.
6.
Arriva il diluvio. Tutti gli esseri viventi dell'universo periscono nelle
acque, salvo Noè e tutti coloro che stanno con lui nell'arca.
7.
Dopo il diluvio si prosciuga la terra. Noè esce con la sua famiglia e tutti i
passeggeri dell'arca.
8.
Dio da delle garanzie per l'esistenza dell'universo dopo il diluvio.
-
Dualità del racconto (17)
* Le
tensioni più importanti. Chi legge attentamente il testo, non può non
notare alcune tensioni sorprendenti. Normalmente, gli esegeti elencano sei
contraddizioni più importanti (18):
a)
La ragione del diluvio: la malvagità del cuore umano (6,5) o la corruzione
della terra e di «ogni carne» (ogni essere vivente) e la presenza della
violenza (6,11-12.13).
b)
Gli ordini divini: Dio chiede a Noè di prendere con sé un paio di ogni specie
animale (6,19-20) o sette paia di animali puri e un paio di animali impuri
(7,2).
c)
La durata del diluvio: quaranta giorni e quaranta notti (7,4.12) o un anno
intero (7,6.11; 8,13.14).
d)
La natura del diluvio: una forte pioggia (7,12; 8,2b) o un cataclisma cosmico
perché si aprono le sorgenti dell'abisso e le cateratte del cielo (7,11;
8,l-2a).
e)
L'uscita dall'arca: dopo l'invio di vari uccelli (8,6-12) o dopo un ordine
divino (8,15-17).
f)
Gli appellativi divini: JHWH (jhwh) o Dio Celohìm).
* I
due racconti paralleli. Per molti esegeti è possibile ricostruire due
racconti paralleli del diluvio. Ciascuno è completo - almeno a prima vista - e
tutti gli elementi sono presenti nei due racconti (19).
1.
La malvagità degli uomini:
6,5 6,11-12
2.
Decisione divina di distruggere l'universo:
6,7 6,13
3.
Annuncio del diluvio:
7,4 6,17
4.
Ordine di entrare nell'arca:
7,1 6,18
5.
Ordine a proposito degli animali:
7,2 6,19-20
6.
Scopo; salvarli dal diluvio:
7,3 6,19
7.
Entrata nell'arca:
7,7-9 7,13-16
8.
Inizio del diluvio:
7,10 7,11
9.
Salita delle acque:
7,17 7,18
10.
Distruzione degli esseri viventi:
7,22-23 7,20-21
11.
Fine del diluvio:
8,2b 8,2a
12.
Recesso delle acque: 8,3a 8,3b.5
13.
Preparativi per l'uscita:
8,6-12 8,15-17
14.
Promessa divina di non mandare più un
diluvio:
8,20-22 9,8-17
Vi
sono alcuni elementi che permettono di individuare i due fili narrativi.
Nel
primo racconto (A), Dio si chiama JHWH. La causa del diluvio è la
malvagità del cuore umano. JHWH chiede a Noè di prendere con sé sette paia di
animali puri e un paio di animali impuri. Il diluvio dura quaranta giorni e
quaranta notti ed è causato da una violenta pioggia. Il diluvio finisce quando
smette la pioggia. Noè esce dall'arca e offre un sacrificio, ovviamente di
animali puri. Questo fatto permette di capire perché ha dovuto prendere con sé sette
paia di animali puri. JHWH sente l'odore del sacrificio, si rassegna davanti
alla malvagità umana e promette di non più sconvolgere l'ordine dell'universo
con un diluvio.
Nel
secondo racconto (B), Dio si chiama ('elohìm), come in Gn 1. La
causa del diluvio è più generica: la terra è corrotta ed è piena di violenza.
Dio chiede a Noè di costruire un'arca e di farvi entrare una coppia di ogni
specie animale che vive sulla terra. La cronologia di questo secondo racconto
spicca per la sua precisione: vi troviamo un vero «calendario» del diluvio e
date corrispondenti della vita di Noè (7,6.11; 8,13) (20). Il diluvio viene
causato dall'apertura delle cateratte del cielo e delle sorgenti dell'abisso.
La cosmologia è nuovamente quella di Gn 1 (cf. Gn 1,2). Alla fine del diluvio,
dopo il prosciugamento delle acque, Dio benedice Noè e la sua famiglia, cambia
le istruzioni sul cibo - permette sotto certe condizioni di mangiare carne (cf.
1,29-30) - e conclude un'alleanza con Noè in cui promette di non mandare un
altro diluvio. Il segno dell'alleanza è l'arcobaleno.
* Alcuni
problemi. Malgrado le numerose corrispondenze, i due racconto paralleli non
sono completi. Nel racconto A mancano due elementi fondamentali: la costruzione
dell'arca e l'uscita dall'arca. Si potrebbe capire perché la costruzione
dell'arca viene raccontata una sola volta. Forse il «compilatore» o «redattore»
non ha voluto ripetersi e ha scelto il racconto più adatto al suo scopo.
Il
secondo problema è più serio: perché non descrivere due volte l'uscita dall'arca
se si descrive due volte l'entrata? Questa domanda ha condotto alcuni autori a
contestare la lettura precedente e a rivedere alcuni dei «paralleli» proposti
dall'analisi. Per esempio, la doppia entrata nell'arca forse non è un vero
«doppione», ma un modo di evidenziare un momento decisivo della storia
dell'universo, ripetendo due volte la descrizione delle fasi decisive
dell'avvenimento.
Altri
«doppioni» sono sospetti, come l'inizio del diluvio, la salita delle acque e il
recesso delle acque. Ogni tanto, gli esegeti hanno voluto trovare paralleli
per ricostruire due racconti completi, mentre il testo non offriva segnali
chiari o mancavano addirittura gli indizi per favorire una tale operazione
(21).
Nonostante
queste obiezioni, rimangono alcuni casi in cui non è possibile armonizzare
completamente le due versioni del diluvio: si tratta delle due serie di ordini
divini a proposito degli animali da imbarcare prima del diluvio, della natura
del diluvio, della sua durata e della doppia promessa divina di non distruggere
più l'universo (22).
-
Le varie soluzioni
Per
la maggioranza degli esegeti, il racconto del diluvio è il frutto di una
lavoro redazionale che ha combinato due racconti paralleli e completi dello
stesso evento. Tranne in pochissimi casi (vedi sopra), il lavoro redazionale ha
conservato questi testi precedenti nella loro integrità.
Una
piccola minoranza propone un'altra soluzione (23). Vi sarebbe un solo racconto
completo, il racconto B, e il racconto A sarebbe soltanto una serie di aggiunte
tardive. Molto probabilmente, lo scopo di queste aggiunte era di completare il
racconto precedente a partire dai racconti mesopotamici, per rispondere meglio
a delle preoccupazioni nuove. In questo secondo racconto, l'elemento chiave è
il sacrificio di Noè dopo il diluvio. Questo elemento si trova anche nelle
versioni parallele dell'epopea di Gilgamesh (xi,159-161) e quella di Atrahasis
(3, 5,34-35) (24). Dopo aver «sentito» l'odore gradevole del sacrificio offerto
da Noè, JHWH decide di non annientare più gli esseri viventi e di non
sconvolgere più l'ordine dell'universo (Gn 8,20-22).
Il
fatto sottolinea l'importanza del culto: l'universo attuale esiste grazie al
sacrificio di Noè dopo il diluvio. In vista di questo sacrificio, JHWH chiede a
Noè di imbarcare sette paia di animali puri (7,2), perché sono i soli animali
idonei ai sacrifici. Siccome per gli antichi un'istituzione è più venerabile
perché più antica, il redattore di queste aggiunte ha voluto far risalire il
culto fino al tempo di Noè e, in questo modo, dargli una «lettera di
raccomandazione». Altri elementi, come la pioggia violenta e l'invio degli
uccelli, hanno un loro parallelo nei racconti mesopotamici (25).
L'intenzione
del racconto completo, attribuito alla fonte sacerdotale (P), è più
cosmologica. Il diluvio è un ritorno parziale al caos che precedeva la
creazione (cf. Gn 1,2). L'evento è cosmico e coinvolge tutto l'universo come è
descritto in Gn 1. Per esempio, le acque che ricoprono la terra sono quelle che
stanno sopra il cielo e quelle dell'abisso primordiale (Gn 7,11; 8,2; cf. Gn
1,2.6-7.9).
Il
diluvio ha come scopo di eliminare la «violenza» (6,11.13) che distrugge
l'universo. In altre parole, le acque purificano il mondo. Dopo il diluvio
sorge un nuovo mondo: la terra si prosciuga nuovamente (8,14; cf. 1,9); Dio
benedice una seconda volta l'umanità nella persona di Noè, nuovo Adamo, e della
sua famiglia (9,1; cf. 1,28); infine, cambia le istruzioni sul cibo (9,2-3;
cf. 1,29-30).
L'esistenza
di questo nuovo universo, purificato dal diluvio, dipende interamente dalla
«grazia divina», poiché Dio conclude un'alleanza unilaterale con Noè, la sua
famiglia e tutti gli esseri viventi che erano nell'arca (9,8-17). Dio si
ricorderà di questa alleanza quando ne vedrà il segno, l'arcobaleno (9,13-15).
Questo messaggio è particolar-mente significativo per l'Israele che ha vissuto
l'esilio.
Conclusione. Il testo finale riesce a creare l'impressione di un
racconto armonioso. Tuttavia, rimangono delle tensioni nel testo che non
possono essere eliminate se si vogliono rispettare tutti i dati. Per esempio,
è difficile conciliare l'ordine divino di 6,19-20, ove Dio ordina a Noè di
prendere con sé nell'arca una sola coppia di animali, e 7,2, ove parla di sette
coppie di animali puri e di una coppia di animali impuri.
In
7,9 riappare la stessa difficoltà, poiché si dice che Noè fece entrare gli
animali nell'arca «a due a due». Noè non ha sentito l'ordine di 7,2? Oppure
occorre capire che Noè abbia fatto entrare «coppie» di animali, sette coppie in
certi casi e solo due in altri casi? Questa interpretazione è possibile, però è
difficile provarla. Infine, perché Dio si corregge (26)? Perché non dire subito
a Noè cosa egli voleva? Questi fenomeni richiedono una spiegazione e non sono
facilmente compatibili con l'idea di un solo autore (27).
Il
racconto attuale del diluvio è come una cantata a due o più voci. L'universo,
poteva essere distrutto una sola volta ed era quindi diffìcile raccontare
l'evento due volte (28). Il messaggio, tuttavia, è «polifonico». Una lettura
che voglia sopprimere le varie voci per difendere l'unità di composizione
rischia non soltanto di eliminare alcuni dati del testo, ma di cancellare una
parte importante del suo messaggio (29).
2. L inizio della storia di
Giuseppe (Gn 37) (30)
Gn
37 è un altro esempio classico proposto dalle introduzioni per mostrare che
varie mani sono all'opera nella composizione del Pentateuco (31). In genere,
gli autori evidenziano la presenza di doppioni o di fili paralleli: vi sono due
nomi per il patriarca, Giacobbe in 37,1-2.34 e Israele in 37,3.13; due fratelli
tentano di salvare Giuseppe, Ruben in 37,21-24.29-30 e Giuda in 37,26-27; per
la vendita di Giuseppe, il testo menziona gli Ismaeliti (37,2.5.28; cf. 39,1) e
i Madianiti (37,28.36).
-
La difficoltà
La
difficoltà principale del racconto di Gn 37 si trova nei w. 28.36 (cf. 39,1).
Non si sa esattamente chi ha venduto Giuseppe. Vi sono parecchie letture
possibili del passo; Giuseppe può essere stato venduto dai fratelli agli
Ismaeliti, o rapito (rubato) dai Madianiti che lo vendono agli Ismaeliti, o
rapito dai Madianiti che lo vendono in Egitto a Potifar, o rapito dai
Madianiti e venduto dagli stessi Madianiti in Egitto. La sequenza degli
avvenimenti non è chiara.
Secondo
Gn 37,17-20, i fratelli vedono da lontano Giuseppe avvicinarsi e decidono di
ucciderlo (37,20). Ruben interviene per salvare il fratello e propone di
gettare Giuseppe in una cisterna vuota (37,21-22). Il piano di Ruben viene
accettato e Giuseppe si ritrova nella cisterna, spogliato dalla sua tunica
(37,23-24).
A
questo punto, i fratelli si siedono per mangiare (37,25). Sopravviene una
carovana di Ismaeliti e Giuda propone di vendere Giuseppe a questi mercanti
(37,26-27). Di nuovo, i fratelli sono d'accordo (37,27b). A questo punto, il
racconto si complica. Secondo il testo nella sua stesura finale, arriva un
altro gruppo di mercanti - sono Madianiti -: prendono Giuseppe, che si trova
nella cisterna, e lo vendono agli Ismaeliti che lo portano in Egitto (37,28).
Il
racconto insinua che tutto questo sia accaduto all'insaputa dei fratelli che
stanno mangiando e discutendo. In seguito, Ruben torna alla cisterna e scopre
che Giuseppe è sparito (37,29). Va ad annunciare la notizia ai fratelli
(37,30). Tutti assieme decidono di ingannare il padre e di convincerlo che il
figlio è stato ammazzato da una fiera (37,31-35).
Insomma,
secondo il racconto nella sua stesura finale, nessuno tra i fratelli sa
esattamente quello che è accaduto a Giuseppe. Ruben ha voluto salvarlo e Giuda
ha proposto di venderlo. Mentre i fratelli mangiavano e discutevano, i
Madianiti sono passati, hanno «preso» Giuseppe e l'hanno venduto agli
Ismaeliti che Giuda e i fratelli avevano visto arrivare un po' prima. Questa
sequenza non pone molti problemi.
Forse,
un lettore critico potrebbe chiedersi come mai i fratelli non hanno visto
arrivare i Madianiti e non si sono accorti di quello che succedeva quando i
Madianiti hanno venduto il loro fratello agli Ismaeliti. Tuttavia, il lettore
è davvero sbigottito quando legge il v. 36, secondo cui i Madianiti - e non
gli Ismaeliti - hanno venduto Giuseppe in Egitto. Gn 39,1 riprende
37,28b e attribuisce nuovamente l'azione agli Ismaeliti. E impossibile
riconciliare completamente queste varie versioni.
-
Le soluzioni
Gli
esegeti hanno proposto varie soluzioni.
Secondo
una prima soluzione abbastanza ragionevole, il raccónto attuale avrebbe
combinato due versioni parallele. Nella prima, Ruben è l'attore principale e
decide di salvare Giuseppe (37,21-22). Convince i fratelli a non ammazzare il
«sognatore», ma a buttarlo in una cisterna (37,22), il che viene fatto
(37,23-24). Mentre i fratelli sono lontani, si avvicina un gruppo di Madianiti
che, di nascosto, traggono Giuseppe dalla cisterna, e lo portano in Egitto
(37,28a). Ruben torna alla cisterna per prendere Giuseppe e riportarlo al padre
(cf. 37,22b): trova la cisterna vuota e, tutto sbalordito, va ad annunciare la
notizia ai fratelli (37,29-30). In Gn 40,15, Giuseppe sembra confermare questa
versione dei fatti quando dice che è stato «rapito», «rubato», «portato via
furtivamente» dal paese degli Ebrei.
Nella
seconda versione, solo Giuda interviene. Mentre i fratelli mangiano, avvertono
una carovana di Ismaeliti che si dirige verso l'Egitto (37,25). Giuda propone
allora di vendere a loro Giuseppe (37,26-27). I fratelli sono d'accordo e lo
vendono agli Ismaeliti (37,28aBb). In questo caso, il soggetto del verbo
«vendere» in 37,28aB, sarebbe «i fratelli» e non «i Madianiti». In Gn 45,4-5,
Giuseppe suffraga questa versione: i suoi fratelli l'hanno venduto («mi avete
venduto»).
Gn
37,36 conclude la «versione Ruben», secondo la quale i Madianiti vendono
Giuseppe in Egitto, mentre 39,1 si riallaccia alla «versione Giuda».
Su questi fatti, quasi tutti gli esegeti sono d'accordo. Su ulteriori domande, non vi è più accordo. Due problemi sono più importanti e più difficili da risolvere: le due versioni - la versione Ruben e la versione Giuda - sono complete o meno? In altre parole, il testo attuale è il risultato di una combinazione di due fonti che sono esistite separatamente in uno stadio anteriore? Oppure esisteva solo una versione completa e un redattore vi ha aggiunto alcuni elementi di un'altra versione?
La
seconda domanda è legata alla prima: E possibile datare le due versioni e
sapere qual è la più antica (32)?
—
Coerenza o incoerenza del testo finale?
Anche
qui non mancano le letture sincroniche che cercano di ridurre la difficoltà
(33). Però, di rado le spiegazioni sono soddisfacenti. Non basta affermare, per
esempio, che Ismaeliti e Madianiti sono un solo popolo (cf. Gdc 8,24).
Rimangono delle difficoltà insormontabili.
Due
sono più importanti: Perché utilizzare due nomi diversi nello stesso versetto
(37,28) e altrove (37,36; 39,1)? Per risolvere il problema, alcuni esegeti
affermano che, nel testo attuale, «i fratelli» vendono Giuseppe agli
Ismaeliti/Madianiti (34). In questo caso, però, occorre chiedersi dove era
Ruben in quel momento. Se non era con i fratelli, perché il testo non dice
niente in proposito? Se era con i fratelli quando Giuseppe fu venduto, perché
va a cercarlo in 37,29 (35)?
L'ipotesi
delle «due versioni», da attribuire a due mani diverse, è più semplice e più
«economica», poiché permette di capire il testo attuale senza porre ulteriori
problemi. In esegesi, la soluzione da preferire è quella che spiega più dati
con maggiore semplicità.
Conclusione. Nel caso di Gn 37, due versioni contraddittorie e incompatibili
coesistono nel testo finale e, perciò, possono difficilmente risalire a un
unico autore (36).
3.
Il passaggio del mare (Es 14 ) (37)
Con
Gn 6-9, Es 14 è uno dei pochi casi in cui esistono due versioni parallele
dello stesso evento (38). La ragione è semplice: gli Egiziani potevano
annegare una sola volta nel mare, come la generazione del diluvio poteva
sparire una sola volta nelle acque. Era quindi difficile raccontare due volte
la stessa vicenda.
-
Le difficoltà
Nel
testo vi sono quattro momenti in cui il testo attuale presenta delle grosse
difficoltà che impediscono di leggere il testo come un racconto unitario e
coerente. Si tratta dell'atteggiamento di Mosè in 14,13-14 e del discorso
divino in 14,15; della posizione degli Israeliti e degli Egiziani prima del
«miracolo»; della natura del «miracolo»; della morte degli Egiziani.
*
Fiducia o grido? Stare tranquillo o muoversi? .:(Es 14,13-14 e 14,15)
(39)
a)
Fiducia o grido? In Es 14,13-14, Mosè si rivolge agli Israeliti sconvolti dalla
presenza dell'esercito egiziano che li ha appena raggiunti sulla sponda del
mare (14,8-10). L'uomo di Dio chiede al popolo di non temere, perché JHWH
salverà i suoi. Poi annunzia che lo stesso JHWH interverrà contro l'esercito
egiziano, che Israele non vedrà più gli Egiziani e che deve soltanto rimanere
tranquillo (14,14).
In
14,1.5, invece, JHWH si rivolge a Mosè e sembra rimproverarlo dicendo: «Perché
gridi verso di me?». Nel testo precedente, Mosè non ha gridato verso JHWH, ma
lo ha esortato alla calma e alla fiducia.
b)
Guardare, stare tranquillo o muoversi? Nella sua esortazione agli Israeliti,
Mosè dice: «State pronti e vedrete la salvezza che JHWH sta per compiere per
voi» (14,13a) e aggiunge in 14,14: «JHWH combatterà per voi e voi sarete
tranquilli». Sebbene alcuni verbi lascino spazio all'interpretazione, il senso
più ovvio della frase è che Israele deve rimanere tranquillo sul posto, senza
muoversi, e guardare JHWH che sta per agire.
Il
verbo ysb/nsb significa di per sé «prendere posizione», «essere pronto»,
il che non esclude la possibilità di un movimento, per esempio, in contesti
militari, per attaccare il nemico (40). Tuttavia, il testo di Es 14,13 dice
piuttosto che Israele deve prepararsi a «guardare» (r'h), non ad agire.
Il verbo hrs significa solo «essere zitto», «essere tranquillo». Non
accenna a un movimento qualsiasi, anche se non lo si deve escludere a
priori. In questo contesto, si capisce difficilmente perché in 14,15, JHWH
chiede improvvisamente a Mosè di far muovere Israele: «che si muovano».
*
Cronologia e topografia del racconto (Es 14,15-20.22-28) (41)
a)
Cronologia: Quando avviene il «miracolo»? Secondo 14,20, i due accampamenti
sono separati dalla nube «tutta la notte». Di per sé, questo versetto lascia
supporre che non si sono spostati. Era notte e la nube non poteva più guidare
Israele (cf. 13,21-22).
D'altra
parte 14,23 parla di un inseguimento d'Israele da parte degli Egiziani. Però,
in questo contesto, non si parla mai di notte.
b)
Topografia: Dove sono gli Israeliti e gli Egiziani? In 14,19-20, la nube si
sposta: invece di stare dinanzi al popolo per guidarlo (cf. 13,21-22), prende
posizione fra l'accampamento degli Israeliti e quello degli Egiziani, così che
saranno separati per tutta la notte e non potranno avvicinarsi l'uno
all'altro. In questo modo, la colonna di nube forma un ostacolo invalicabile che
impedisce agli Egiziani di raggiungere gli Israeliti (cf. 14,10).
Secondo
questa descrizione, Egiziani e Israeliti stanno fermi per tutta la notte.
Siccome la nube impedisce a tutti quanti di muoversi, i due accampamenti sono
rimasti dove si sono incontrati prima della notte, cioè sulla sponda del mare
(14,9-10). Niente nel testo accenna a un qualsiasi movimento della nube dopo
questo spostamento (cf. 14,19b e 14,24).
Questi
versetti non parlano di un passaggio del mare durante la notte. La manovra sarebbe
difficile da immaginare: la nube non è più di fronte agli Israeliti per
illuminare la via (cf. 13,21-22) e gli Egiziani stanno dietro alla nube che
impedisce loro di avvicinarsi a Israele. Solo il testo finale suggerisce
un'immagine diversa.
* Natura del miracolo (42)
Es
14,21 contiene la difficoltà più grande di tutto il testo. Per molti esegeti è
il punto di partenza della teoria secondo cui il testo deve essere il prodotto
di un lavoro redazionale che ha unito in un solo racconto due versioni diverse.
Il versetto dice: «Mosè stese la sua mano sul mare e JHWH mosse il mare con un
forte vento dell'est tutta la notte e mise il mare a secco e si separarono le
acquen (43)».
Questo
testo pone qualche difficoltà. Come immaginare il fenomeno? Mosè stende la
mano, JHWH fa soffiare un grande vento dell'est che separa le acque in due per
aprire un varco in mezzo al mare? Il vento dovrebbe quindi soffiare in un modo
molto particolare per arrivare a questo risultato: dovrebbe soffiare sempre
nella stessa dirczione, in linea dritta, in una sola zona molto ben
circoscritta e non su tutto il mare.
Il
testo però non dice che «JHWH fece soffiare un forte vento dell'est e aprì un
varco in mezzo alle acque». Esso dice solo che il vento mise a secco il mare,
non una via in mezzo al mare.
Il
v. 16a permette di fare un passo avanti. Nel suo ordine a Mosè, JHWH dice tre
cose: Mosè deve alzare il bastone; stendere la mano sul mare e dividerlo. Il
primo elemento non riappare nel testo del v. 21. Forse è secondario, o si tratta
di una «piccola variazione», molto frequente nei testi biblici, specialmente
quelli della fonte sacerdotale (P) (44). I due altri elementi sono presenti
all'inizio e alla fine del versetto: v. 16a: «Stendi la tua mano sul mare e
dividilo». v. 21: «Mosè stese la mano sul mare... e le acque si divisero».
Questa
immagine è chiara: Mosè stende la mano e le acque obbediscono al suo gesto: si
separano in due. Così appare la «terra asciutta» in mezzo al mare, si apre un
varco e gli Israeliti possono attraversare il mare, inseguiti poi dagli
Egiziani (cf. 14,22-23). Le acque formano una muraglia a destra e a sinistra
(14,22a e 14,29).
Il
resto del v. 21 descrive un altro fenomeno: JHWH fa soffiare durante la notte
un violento vento dell'est che prosciuga il mare come tale, dunque una zona
assai estesa e non uno stretto «varco» in mezzo alle acque (45).
* La morte degli Egiziani (46)
a)
Le acque o il mare? Anche qui le immagmi proposte dal testo sono diffìcilmente
conciliabili. Secondo il v. 26, gli Israeliti sono arrivati sull'altra sponda
del mare. In questo momento JHWH chiede a Mosè di stendere una seconda volta la
mano sul mare e di far tornare le acque sugli Egiziani. Mosè esegue questo
ordine in 14,27-28. Tuttavia, nuovamente, i versetti contengono elementi
non menzionati nell'ordine divino. Solo l'inizio del v. 27 e il v. 28
corrispondono al v. 26, Le corrispondenze verbali sono strette: v, 26: «stendi
la tua mano sul mare e che le acque tornino...». v. 27: «Mosè stese la sua mano
sul mare... v. 28... e le acque tornarono...».
Il
v. 27 non parla del ritorno delle «acque» (w. 26 e 28), ma del «mare» (v. 27).
Questa piccola differenza di vocabolario si aggiunge ad altre più
significative. Per esempio, l'ordine divino menziona «i carri e gli aurighi
(47)», che riappaiono nel v. 28.
b)
L'alba. Il v. 27 contiene l'ultima notazione di tempo; «sul far del mattino»,
in una serie che inizia nei w. 20-21 con: «tutta la notte», e continua nel v.
24 con: «alla veglia del mattino». Nel v 26, invece, JHWH non ha detto a Mosè
di stendere la mano o di far tornare U mare all'alba (48).
e)
II vento. Il v. 21 menzionava il vento. Nel suo ordine del v. 26, invece, JHWH
non dice a Mosè di far smettere il vento. Si può supporre che il vento dopo
aver soffiato tutta la notte cadde da sé al mattino (49).
.
d)
Gli Egiziani fuggono incontro al mare o vengono ricoperti dalle acque (50)?
Secondo il v. 27, al mattino il mare torna al suo posto abituale. Questo
versetto è da mettere in relazione con il v. 21, secondo cui JHWH mosse il mare
con un forte vento dell'est e lo mise a secco. Nel v. 27, il vento cade e il
mare torna al posto che occupava prima della notte. Lo stesso v 27 dice che
gli Egiziani sono fuggiti «incontro al mare». Il significato del versetto non
richiede una lunga spiegazione: il mare torna al suo posto e gli Egiziani, nel
panico provocato da JHWH nel v. 24, fuggono verso il mare che si muove verso
di loro.
In
altre parole, gli Egiziani, nella confusione, si mettono a fuggire in quella
zona occupata in tempo normale dal mare e scoperta dal vento durante la notte.
Poi, incontrano il mare e sono travolti dalle onde (v. 27b). Gli Israeliti
potranno così contemplare i loro cadaveri rigettati dalle acque sulla sponda
del mare (v. 30).
E
difficile conciliare questa prima immagine con la seconda che appare nei w.
26.28-29. Secondo questi versetti, gli Israeliti hanno attraversato il mare
sulla «terra asciutta», in un varco aperto da Mosè in 14,21
*
Le acque formavano una muraglia alla loro destra e alla loro sinistra (w.
22.29) e gli Egiziani li hanno inseguiti (w. 23.28).
Quando
Israele arriva dall'altra parte del mare, JHWH comanda a Mosè di stendere la
mano una seconda volta sul mare per far tornare le acque sull'esercito
egiziano (v. 26). Ciò accade all'inizio del v. 27
*
E nei w. 28-29. In questo caso, le acque che formavano due muraglie «crollano»
sugli Egiziani che vengono ricoperti dalle acque.
Da
una parte, dunque, il mare torna al suo posto in un movimento «orizzontale».
Dall'altra, le acque crollano, in un movimento «verticale». Da una parte, gli
Egiziani fuggono (w. 25.27) lontano da Israele: «fuggiamo da davanti a
Israele»; dall'altra, gli Egiziani inseguono Israele (w. 23.28), anche nel
momento in cui le acque li ricoprono: «[le acque] ricoprirono i carri e gli
aurighi, tutto l'esercito del faraone, che li [gli Israeliti] avevano inseguiti
nel mare».
Se,
a questo momento, inseguono gli Israeliti, come possono fuggire di fronte a
loro? E come le acque possono fare due movimenti assieme? Tornano indietro e
nello stesso tempo cadono sugli Egiziani?
Per
conciliare le due descrizioni, occorre fare un certo sforzo di immaginazione.
Nel momento del panico, gli Egiziani che inseguivano gli Israeliti hanno dovuto
fare voltafaccia per tornare indietro verso la sponda del mare che avevano
lasciato. In questo momento, JHWH da a Mosè l'ordine di stendere la mano sul
mare. Le acque, da una parte, cadono sugli Egiziani dalla destra e dalla
sinistra, e, dall'altra, tornano in questo «varco», venendo dall'altra sponda,
verso gli Egiziani che fuggono incontro a loro. Sebbene la cosa non sia impossibile,
da nessuna parte il testo dice esattamente questo e, inoltre, non è il modo più
semplice di interpretare il fenomeno.
Conclusione. Vi sono due descrizioni del «miracolo del mare» che
il testo finale ha conservato l'una accanto all'altra. I mezzi semplici che
permettono di ricostruire i due racconti sono i seguenti:
—
Le corrispondenze nel vocabolario, specialmente le corrispondenze fra discorsi
divini e narrazione (esecuzione degli ordini da parte di Mosè).
-
La logica propria di ciascun racconto. Questa regola della coerenza interna di
un racconto deve essere utilizzata con prudenza, perché i racconti antichi non
obbediscono alla stessa «logica» dei racconti moderni.
-
I due racconti (51)
Per
la maggioranza degli esegeti, il testo combina due versioni parallele e
complete del «miracolo» del mare. Nella prima (52), che possiamo
chiamare la «versione del prosciugamento delle acque», gli Egiziani raggiungono
gli Israeliti alla sera sulla sponda del mare. La nube interviene, si sposta e
impedisce agli Egiziani di avvicinarsi di più.
Questa
situazione di «stallo» dura tutta la notte. Nella stessa notte, JHWH fa soffiare
un forte vento dell'est che prosciuga il mare (o almeno una parte importante).
Verso
il mattino - la veglia del mattino va dalle due alle sei del mattino (v. 24) -,
JHWH getta il panico fra gli Egiziani. La causa di questo panico non è
descritta con più precisione. Forse è caduto il vento e gli Egiziani che sono
ancora di fronte alla nube (la nebbia fitta), sentono il mare tornare al suo
posto. Vogliono fuggire, fanno fatica a far muovere i loro carri.
Anche
qui, si deve supporre qualche cosa, per esempio che gli Egiziani si trovano su
un terreno molto umido. Finalmente, fuggono, molto probabilmente a loro
insaputa, verso il mare che al mattino torna al suo posto. Sono travolti dalle
acque, affogano e il mare rigetta i loro cadaveri sulla sponda dove sono
rimasti gli Israeliti.
Per
la seconda descrizione (53), che chiamiamo «racconto della divisione
delle acque» - il miracolo accade di giorno, perché non vi sono notazioni di
tempo. Dopo che gli Egiziani ebbero raggiunto gli Israeliti presso il mare -
più probabilmente un grande lago - JHWH chiede a Mosè di stendere la mano sul
mare per dividere le acque.
Così
fa Mosè. Gli Israeliti entrano in questo passaggio fra le acque, inseguiti
dagli Egiziani.
Quando
gli Israeliti arrivano dall'altra parte del mare, o del lago, JHWH chiede una
seconda volta a Mosè di stendere la mano sulle acque per farle «tornare»
sull'esercito egiziano. Mosè esegue questo ordine come la prima volta e le
acque ricoprono gli Egiziani che stanno ancora nel mare. In questo secondo
racconto, gli Israeliti servono da esca per attirare gli Egiziani in una
trappola.
Gli
esegeti attribuiscono generalmente il primo racconto allò Jahwista e il secondo
al «racconto sacerdotale» (P).
Il
primo racconto («il prosciugamento del mare») s'impernia su una triplice
menzione della «paura»: 14,10.13.31. Quando gli Israeliti vedono gli Egiziani,
«hanno molta paura» (14,10). Mosè reagisce ed esorta alla calma dicendo: «non
temete» (14,13). Poi, JHWH getta il panico e la confusione nell'accampamento degli
Egiziani (14,24), salva gli Israeliti (14,13.30) e il popolo «teme JHWH e
crede in JHWH e in Mosè suo servo». Il racconto descrive quindi - grosso
modo — un passaggio dalla paura davanti agli Egiziani al timore di JHWH e
alla fède (54).
Il
secondo racconto («la divisione delle acque») descrive piuttosto la
prima manifestazione della «gloria» di JHWH (14,4.17-18) e il riconoscimento
della sovranità dello stesso JHWH da parte degli Egiziani (14,4.18) (55). JHWH
manifesta la sua «gloria» in due modi correlati: come Signore della creazione e
Signore della storia.
Come
Signore della creazione, perché fa apparire la «terra asciutta», come in Gn
1,9-10; cf. 8,14.
Come
Signore della storia, perché si rivela come giudice delle nazioni quando fa
perire nelle acque gli Egiziani, come fece per la generazione perversa del
diluvio (56).
-
Il racconto finale (57)
* Stilisticamente,
il racconto finale viene strutturato dai tre discorsi divini di Es 14,1-4;
14,15-18 e 14,25 e dal discorso di Mosè a Israele in 14,13-14. Quest'ultimo
discorso trova la sua realizzazione in 14,25 (cf. 14,14) e in 14,30-31 (cf.
14,13). Vi sono pertanto tre parti: 14,1-14; 14,15-25 e 14,26-31.
La
prima descrive la crisi e le due ultime la sua risoluzione. Ognuna delle tre
parti corrisponde a un momento e a un luogo preciso. Es 14,1-14 si svolge prima
della notte, nel deserto fra l'Egitto e il mare. La scena di Es 14,15-25 ha
come quadro il mare e la notte. Es 14,26-31 descrive gli avvenimenti dell'alba,
dall'altra parte del mare.
* Teologicamente,
il racconto unisce due voci principali in un canto polifonico, alla stregua di
Gn 6-9 o di Gn 37: la «gloria» diJHWH (14,4.17-18) e la «salvezza d'Israele»
(14,13.30-31), poiché JHWH rivela la sua «gloria» quando si fa riconoscere
dagli Egiziani e «salva» Israele. La risposta d'Israele dopo il miracolo è la
fede in JHWH e in Mosè, il suo servo (14,31).
* Conclusione.
Una lettura sincronica che non rispettasse la diversità polifonica del testo
non può che impoverire il messaggio del racconto (58).
(1)
Per una buona presentazione del metodo storico-critico, vedi H. SlMIAN-YOFRE,
«Diacronia: i metodi storico-critici», Metodologia dell'Antico Testamento
(a cura di H. SlMIAN-YdFKE) (Bologna 1994) 79-119; P. guillemette - M. brisbois,
ìntroduction aux méthodes historico-critiques (Héritages et
Projets 35; Montreal 1987); trad. italiana di C. valentino: introduzione ai metodi storico-critici
(Roma 1990).
(2) Vedi soprattutto E. zenger, Einleitung, 49; vedi anche K. koch, «P - kein Re-daktor! Erinnerung
an zwei Eckdaten der Quellenscheidung», VT37 (1987) 446-467;
J. blenkinsopp, Pentateuci-!, 60-67; A.E campbell - M. O'BRIEN, Sources,
22-23; 92-94; D. carr, Fractures
of Genesis, 62-68.
(3)
La traduzione di questo versetto, soprattutto del termine 'ed, è molto
discussa.
(4) Vedi O. keel
- M. kuchler, Synoptische
Texte aus der Genesis (BB 8; Freiburg Schweiz 1971) 49-103.
(5)
Questo problema ha molto preoccupato i rabbini e i Padri della Chiesa.
(6)
La distinzione fra i due appellativi divini JHWH e Dio Celohim} deve
essere usato con prudenza. In seguito a Rendtorff, E. blum, Komposition, 471-477, ha severamente criticato
l'uso indiscriminato di questo criterio.
(7)
Anche i tentativi in questa dirczione devono riconoscere le differenze fra i
due racconti. Vedi per esempio T.C. eskenazi,
«Torah as Narrative and Narrative as To-rah», Olì Testament
Interpretation. Pasf, Presenf, Future (eds. J.L. mays - D.L. pe-TERSEN
- K.H. richards) (Edinburgh 1995)
13-30, che rinvia, fra gli altri, a R. alter,
Thè Art ofBiblical Narrative (New York 1991)
141-147.
(8)
La bibliografia su questo argomento è molto abbondante. Per un'opera recente,
vedi I. fischek, Die Eneltern
Israels. Feministisch-theologische Studien w Genesis 12-36 (BZAW 222; Berlin
- New York 1994); vedi anche S. niditch,
Vnderdogs and Trick-sters. A Prelude to Biblica! Folklore (San
Francisco, CA 1987) 23-69; cf. H. SlMIAN-yofke,
«I metodi storico-critici», 99-100; per la struttura, vedi R.C. culley, Studies in thè Structure of
Hebrew Narrative (Semeia Supplements; Philadelphia, PA - Mis-soula, MT
1976) 33-41. Per una breve presentazione
dei testi, vedi A.F. campbell -M.
o'brien, Sources, 99,
108-109, 167.
(9)
II più importante sostenitore di questa teoria è J. van seters, Abraham in His-tory and Tradition (New
Haven, CN - London 1975) 167-191.
(10)
Per i testi, vedi A.F. campbell -
M. O'BKIEN, 86-87; 144. Per un'analisi dei testi, vedi N. lohfink, «Die Ursunden in der
priesterlichen Geschichtserzàhiung», Die ZeitJesu (FS. H. Schlier;
[Hrsg. G. bornkamm - K. rahner] Freiburg 1970) 38-57 = Studien
wm Pentateuch, 169-189, spec. 187-189; E. blum,
Studien, 271-278.
(11)
In Nm 20, Mosè è accompagnato da Aronne.
(12)
Su Nm 20, vedi, fra gli altri, F. kohata,
«Die priesterschriftliche Ùberliefe-rungsgeschichte von Numeri xx,l-31»,
AJBI 3 (1977) 3-34; L. schmidt, Studien
wr Priesterschrift (BZAW 214; Berlin - New York 1993) 45-72; H. SEEBAfi,
«Biblisch-theo-logischer Versuch zu Num 20,1-13 und 21,4-9», Altes Testament
Porschung und Wirkung (FS. H. Graf Reventlow; [Hrsg. P. mommer - W. thiel] Frankfurt 1994) 219-229.
(13)
Sul concetto di «sanzione», vediJ.L. ska,
«Sincronia», 158, 231.
(14)
Per una presentazione, vedi A.F. campbell
- M. O'BRIEN, Sources, 211-223; E. zengek, Einleitung, 51; per un'analisi recente, vedi
J.L. ska, «El relato del diluvio.
Un relato
sacerdotal y algunos fragmentos redaccionales posteriores», EstBz'b 52
(1994) 37-62; P.J. hakland, Thè
Value of Human Life. A Study of thè Story of thè Flood (Genesis 6-9) (VTS
64; Leiden 1996); D. carr, Fractures,
48-62; vedi anche J.L. ska, «Nel
segno dell'arcobaleno. Il racconto
biblico del diluvio (Gen 6-9)», La natura e l'ambiente nella Bibbia (a
cura di M. lorenzani) (Studio
biblico teologico aquilano;
L'Aquila
1996) 41-66.
(15)
Questa presentazione segue per lo più quella di A.P. campbell - M. O'BKIEN,
Sources, 211-223.
(16) A.F. campbell - M. o'brien, Sources, 214-215.
(17) A.F. campbell - M. O'BRIEN, Sources,
215-216. Vedi anche l'eccellente analisi
di S.E. McEvENUE, Thè Narrative Style of thè Priestly Writer (AnBib 50;
Rome 1971) 22-36.
(18) Vedi E. zenger,
Einleitung, 51; cf. C. westermann,
Genesis 1-11 (BK 1,1; Neukirchen-VIuyn '1984) 532-533; G.J. wenham, Genesis 1, 163-164.
(19)
Vedi, fra gli altri, E. zenger, Einleitung,
51.
(20)
La cronologia del diluvio pone parecchi problemi. Vedi, per esempio, L.M.
BAKKÉ, «Thè Riddle of thè Flood Chronology», JSOT 41 (1988) 3-20; EH. cryer, «Thè Interrelationships of Gen 5,32; 11,10-11, and thè Chronology of thè
Flood (Gen 6-9)», Bib 66 (1985) 241-261; N.P. lemche, «Thè Chronology in thè Story of thè Flood», JSOT
18 (1980) 52-62. Per i dati, vediJ. skinner, Genesis, .167-169; S.E. Mc-evenue, Narrative
Style, 54-59.
(21) Vedi già B.D. eekdmans, Alttestamentliche Studien
I: Die Komposition der Ge-i nesis
(Giefien 1908) 81-82; più recentemente, vedi G.J. wenham, Genesis 1, 167-169; J. blenkinsopp, Pentateuch, 77'-78; E. blum, Studien, 282, n. 206; J.L.
ska, «Diluvio», 1 40-51; B. gosse, «La tradition yahviste en Gn 6,5-9,17», Henoch
15 (1993) 139-154; J. blenkinsopp, «P
and in Genesis 1-11. An Alternative Hypothesis», fortunate thè Eyes l that See (FS. D.N. Freedman; [eds.
A.B. beck e.a.] Grand Rapids, MI
1995) 1-15. 11
(22)
Si può aggiungere la causa del diluvio. Però, in questo caso, le due versioni
soli no piuttosto complementari. Ciascuna ha la propria visione e il proprio
vocabolario, ma non vi sono contraddizioni fra di esse.
(23)
Vedi gli autori citati nella a. 21.
(24)
Vedi G.J. wenham, Genesis 1,
159-164. Per una traduzione italiana, vedi J. bottéro
- S.N. kramer, Vomini e
dèi della Mesopotamia. Alle origini della mitologia (Torino 1992); G. pettinato, La saga ài Gilgamesh
(Milano 1992).
(25)
Per la pioggia violenta, vedi Gilgamesh (xi, 96-109) e Atrahasis (3,2,53 -
4,27); per l'invio degli uccelli, vedi Gilgamesh (xi, 145-154).
(26)
La teoria dei complementi permette di capire meglio questo fatto. Solo JHWH può
correggere se stesso. Perciò, Gn 7,1-5 si colloca dopo 6,13-22.
(27)
Per una critica di alcuni tentativi di difendere l'unità di Gn 6-9, vedi J.A. emer-TON, «An Examination of Some
Attempts to Defend thè Unity of thè Flood Narrative in Genesis», VT27 (1987)
401-420; VT28 (1988) 1-21. Per i tentativi di una lettura unitaria e
strutturale del diluvio, vedi soprattutto B.W. anderson, «From Analysis to Synthesis: Thè Interpretation of
Gen l-ll», JBL 97 (1978) 23-39; M. kessler,
«Rhet-orical Criticism of Gen 7», Rhetorical Criticism: Essays in
Honor of]. Muilenburg (eds. J.J. jackson
- M. kessler) (Pittsburgh
1974) 1-17; G.J. wenham, «Thè
Coherence ofthe Flood Narrative», VT28 (1978) 336-348; id., Genesis 1, 156-157; id,, «Method in Pentateuchai Criticism», VT 41 (1991)
84-109; G. borgonovo, «Gen
6,5-9,19:
Struttura
e produzione simbolica», La scuola cattolica 115 (1987) 321-348.
(28)
Vedi A.F. campbell - M. O'BRIEN, Sources,
236; ch. levin, Der Jahwist (FRLANT
157; Góttingen 1993) 439-440.
(29) «In thè combination of
both [thè sources J and P], two voices bave joined in thè singing of one song,
and thè song is thè more powerfui for their harmony. Two witnesses give
testirnony to thè faith of Israel; in such a matter of lite and death, at least
two witnesses are required. Thè compiler of our composite final text has done
marvelously well» (A.F. campbell -
M. O'BRIEN, Sources, 223).
(30) Vedi A.F. cambpell - M, O'BKIEN, Sources,
223-237.
(31)
Oltre a A.F. campbell - M.
O'BRIEN, vedi J. blenkinsopp, Pentateuch,
107; R.N. whybray, Introduction,
57; N. marconi, «Contributi
per una lettura unitaria di Gen 37», RivBih 39 (1991) 277-303.
(32)
Per un'opinione recente sull'argomento, con bibliografia aggiornata, vedi C. paap, Die Josephsgeschschte Genesis
37-50. Bestsmmungen ihrer literarischen Gattung in der -weiten Halfte des 20.
Jahrhunderts (eurhs XXIII, 534; Prankfurt
1994).
(33) Vedi N. marconi, «Contributi», 277-303; R.E. longacke, Joseph: A Story of 'Divine
Providence (Wìnona Lake, IN 1989) 31; id.,
«Who Sold Joseph into Egypt?», Interpretation and History (FS.
A.A. MacRae; [ed. R.L. hakris e.a.]
Singapore-Hat-field, PA 1986) 75-91; W.L. humphkeys,
Joseph and His Pamily: A Literary Study (Co-lumbia, SC 1988) 36;
e le critiche di A.F. campbell -
M. O'BRIEN, Sources, 233, n. 59.
(34) Vedi R.E. longacre, Joseph, 31; id., «Who Sold Joseph...?», 75-92.
(35) Vedi A.F. campbell - M. O'BRIEN, Sources,
231-236.
(36)
A.F. campbell - M. O'BEIEN, Sources,
235-237, propongono una spiegazione interessante. Secondo loro, Gn 37 avrebbe
voluto conservare nello stesso testo due modi di raccontare la «vendita» di
Giuseppe. Nei manoscritti antichi non esistevano le note o le possibilità
tipografiche dell'età moderna, come i vari tipi di caratteri. Tutto si doveva
scrivere in un solo testo. Inoltre, Giuseppe poteva essere venduto una sola
volta ed era quindi difficile offrire due racconti successivi dello stesso
evento.
(37)
Vedi A.F. campbell'- M. O'BRIEN, Sources,
238-254; J. blenkinsopp, Penta-teuch,
157-160; E. zenger, Einleitung,
51-52; per alcune opere recenti su questo brano, vedi M. vervenne, «Thè Sea Narrative Revisited»,
Bib 75 (1994) 80-98.
(38)
Per ch. levin, Jahwist,
439-440, sono perfino i due soli veri esempi di questo I tipo. Penso personalmente che Gn 6-9 non
contenga due versioni complete del diluvio. Si potrebbe anche discutere di Nm
13-14. Per M. noth, Pentateuch,
269, questi casi sono piuttosto rari («ziemlich selten»); cf. A.F. campbell - M. O'BRIEN, Sources, 210,
n. 22.
(39) A.F. campbell - M. o'brien, Sources, 241.
(40) Cf. J. reindl, «nsb/jsb», TWAT V,
555-565, spec. 560-561.
(41) A.F. campbell - M. ò'brien, Sources, 243-244.
(42) A.F. campbell - M. o'bmen, Sources, 242.
(43)
La traduzione «II mare si separò», di B.G. boschi,
Esodo (Nuovissima versione della Bibbia; Roma 1978) 149, non
corrisponde esattamente al testo originale che porta alla fine del versetto hammayim
e non hayyam.
(44)
Vedi S.E. McEVENUE, Narrative Style, 51, che afferma a proposito dello
stile delle ripetizioni nel racconto sacerdotale: «Its essence is variety
within system».
(45)
Rimane un problema trattato dai vari commentari: dove sono esattamente gli
Israeliti e gli Egiziani a questo momento? Per alcuni autori, bisogna supporre
che gli Egiziani si siano spostati a questo momento per prendere posto sulla
parte del mare prosciugata dal vento. Questo è possibile, ma non è detto
esplicitamente dal testo. Vedi E kohata, ]ahwist
una Priesterschrift in Exodus 3-14 (BZAW 166; Berlin - New York 1986)
281-283. Per la discussione, vedi E. blum, Studien, 257, n. 96.
(46) A.F. campbell - M. o'brien, Sources, 244-245.
(47)
La traduzione abituale, «cavalieri», non è del tutto esatta. Il paraS è
un soldato armato su un carro, non un cavaliere. Vedi H. niehr, «paras», TWAT VI,
782-787, esp. 784-785.
(48) A.F. campbell - M. O'BEIEN, Sources,
243.
(49) A.F. campbell - M. o'brien, Sources, 246.
(50)
A.F. campbell - M. o'bbien, Sources, 244-245, 251.
(51)
Per uno studio più dettagliato, vedi i commentari, per esempio B.S. childs, Exodus. A Commentar/
(OTL; London - Philadelphia, PA 1974) 218-224 = trad. italiana: II libro
dell'Esodo. Commentano critico-teologico. Traduzione di A. ferkoni (Collezione Teologica; Casale
Monferrato 1995); e gli studi di K. VON rabenau,
Die heiden Enahiungen vom Schiifmeerwunder in Exod. 13,17-14,31
(Theologische Versuche 1;
Berlin 1966) 7-29; P. weimar - E. zenger, Exodus.
Geschichten una Geschichte der Befreiung Israels (SBS 75; Stuttgart
•'1975); P. weimar, Die
M.eerwunderen.àhiung. Ei-ne redaktionsgeschichtiiche Analyse von Ex 13,17 -
14,31 (Agypten und Altes Testa-ment 9; Bamberg 1985); F. kohata, ]ahwist und Priesterschrift,
278-295; id., «Die Endredaktion (W)
der Meerwundererzahiung», AJBI 14 (1988) 10-37; E. blum, Stu-dien, 256-262; L. schmidt, Studien wr Priesterschrift
(BZAW 214; Berlin - New York 1993) 19-34.
(52) A.F. campbell - M. o'brien, Sources, 246.
(53) A.F. campbell - M. O'BRIEN, Sources,
245-246.
(54) Vedi P. weimar
- E. zenger, Exodus,
56-58; J.L. ska, Passage,
136-145.
(55) Sulla «gloria», vedi C. westermann, «Die Herrlichkeit Gottes in
der Priester-schrif», Worf - Gebot - Glaube (FS, W. Eichrodt; [Hrsg.
H.J. stoebe] ATANT 59; Zfi-rich
1970) 227-249 = Forschung am Alten Testament. Gesammelte Studien II (TBù
55; Miinchen 1974) 115-137; U. struppe, Die
Herrlichkeit Yahwes in der Priesterschrift. Eine semantische Studie w k'bòdJHWH
(ÓBS 9; Klosterneuburg 1988). Vedi anche
la «formula di riconoscimento», in 14,4.18: «Gli Egiziani sapranno che io sono
JHWH».
(56) Vedi J.L. ska,
«Séparation des eaux et de la terre ferme dans le recit sacerdo-tal», NRT
103 (1981) 512-532; id., Passage,
96-97.
(57) Su questo punto, vedi J.L. ska, Passage, 24-37; vedi anche
U.F.W. bauer, kl hdbrym h'ih -
Ali diese Worte. Impulse zur Schriftauslegung aus Amsterdam. Expliziert an
der Schilfrneererwhiung in Exodus 13,17 - 14,31 (EurHS xxiii/442; Bern u.a. 1992);
M. vervenne, «Thè Sea Narrative
Revisited», 80-98.
(58) Vedi A.F. campbell - M, O'BRIEN, Sources,
251-254.