CAPITOLO VI

ESEGESI DEL PENTATEUCO STORIA DELLA RICERCA DALL'ANTICHITÀ FINO AL 1970

 

Non è possibile, nel quadro di questa introduzione, presentare un resoconto completo dell'esegesi del Pentateuco dal momento della sua composizione fino ad oggi. Ho menzionato nella bibliografia alcune opere in cui si possono trovare tutte le informazioni in merito. Lo sco­po di questo capitolo sarà solo di mostrare come gli esegeti, dal tem­po dei Padri in poi, hanno letto il Pentateuco e risolto i vari problemi critici, elencati nei capitoli precedenti.

 

A. antichità E mediò evo

 

1. La lettura dei 'Padri della Chiesa (1)

Durante l'epoca patristica prevale l'opinione comune alla Sinago­ga e alla Chiesa secondo la quale Mosè scrisse il Pentateuco. I pro­blemi critici non ritengono l'attenzione, perché la grande preoccu­pazione era piuttosto di ordine teologico e apologetico.

Bisognava difendere il cristianesimo di fronte alla cultura classica e nelle polemiche con il giudaismo. E molto probabile che l'attribu­zione del Pentateuco a Mosè sia dovuta all'influsso dell'ellenismo per cui grandi opere non potevano essere anonime. Grandi opere e gran­di nomi andavano sempre di pari passo (2).

Vi sono almeno tre grandi scuole fra i Padri della Chiesa: gli Ales­sandrini, gli Antiocheni e i Siriaci. La scuola più conosciuta e quella che ha prevalso nella storia della Chiesa è la scuola alessandrina. An­che le due altre, però, hanno avuto grandi maestri e un influsso note­vole in certi periodi e in certe aree della cristianità.

La lettura alessandrina, sulla scia di’Origene, pratica soprattutto l'allegoria, mentre la scuola antiochena tiene maggiormente conto del contesto storico e preferisce un metodo più letterale che chiama «teo­ria» (3). I Padri siriaci, come Efrem e Afraate, sono vicini al mondo se­mitico e le loro opere sono in gran parte di tipo liturgico.

Tutti i Padri, occidentali e orientali, tuttavia, sono influenzati dal­la filosofia greca di Fiatone. L'allegoria dei Padri alessandrini era pra­ticata dai filosofi platonici nella loro lettura degli autori classici greci. Nel mondo giudaico, le letture allegoriche dell'Antico Testamento pro­poste da Filone d’Alessandria hanno avuto un influsso considerevo­le su Origene e, tramite quest'ultimo, sugli altri Padri della scuola ales­sandrina.

1 principi della lettura allegorica sono spiegati con grande chia­rezza in un'opera di sant'Agostino, De doctrina christiana (4). Alla base dell'esegesi agostiniana sta la distinzione, di origine platonica, fra signum - «segno» e res - «realtà». Ogni «segno» rinvia a una «realtà». Siccome la Scrittura è fatta di «parole», pertanto di «segni», essi rin­viano alla sola vera realtà, la Trinità. Il lavoro dell'esegesi è di indica­re come si può passare dai «segni», ovvero dalle parole (racconti, preghiere, oracoli ecc.), alla realtà che è il Dio uno e trino.

In un'altra opera, più popolare, De catechiwndis rudibus, Agosti­no definisce la res («realtà») della Bibbia in un modo alquanto diver­so: la Bibbia ci rivela l'amore di Dio per il mondo. Questa rivelazione trova il suo culmine nell'incarnazione di Gesù Cristo. La visione più «pastorale» del De catechizandis rudibus è anche più dinamica, perché introduce l'idea di sviluppo e di storia.

Per quanto riguarda l'esegesi dell'Antico Testamento, i Padri cer­cano soprattutto nei testi veterotestamentari le «figure» di Cristo.

Vedono nei personaggi e negli eventi degli elementi che annun­ciano o prefigurano la persona e la vita di Cristo. In termini più tecnici, si passa dal «tipo» all’«antitipo», dal signum alla res, dalla «lettera» allo «spirito» (5).

Il mondo dei Padri latini e greci rimane per lo più dominato dal­la rappresentazione gerarchica della realtà che proviene da Fiatone. Secondo il «mito della caverna» del grande filosofo, il mondo sensi­bile contiene solo le «ombre» della vera realtà, quella delle «idee eter­ne». Inoltre, nella filosofìa platonica, il linguaggio non ha alcuna

consistenza propria: è solo «imitazione della realtà», mimesis (6). Il suo unico valore è di poter «segnalare» la vera realtà.

2. Da Plotone ad Aristotele: il Medio  Evo (7)

Durante il Medio Evo, la società e la cultura passano lentamente da un'economia basata sull'agricoltura e la proprietà terriera a un'e­conomia ove l'artigianato, specialmente l'industria tessile, e il com­mercio occupano una posizione sempre più importante. Le città prendono il sopravvento sulle campagne e la borghesia urbana conte­sta il potere all'aristocrazia rurale. Accanto ai Benedettini che co­struirono le loro grandi abbazie nelle campagne, nascono dei nuovi ordini religiosi, specialmente i Domenicani e i Francescani (gli Ordi­ni mendicanti), che preferiscono stabilirsi nelle città.

A questi cambiamenti politici, sociali e culturali corrispondono cambiamenti nel mondo fìlosofìco e teologico. Il più importante è il passaggio progressivo dalla filosofìa «idealistica» e «gerarchica» di Fia­tone a quelle più «realistica» di Aristotele. L'Areopagita entra nelle grandi università europee tramite i filosofi musulmani della Spagna, specialmente Averroè. L'evoluzione è manifesta negli scritti di un Al­berto Magno o di un Tommaso d'Aquino.

Il mondo dell'esegesi conosce un'evoluzione simile. La lettura del­la Bibbia si separa a poco a poco dalla dogmatica. Cresce l'attenzio­ne al senso «letterale» che viene meno spesso opposto al senso «spirituale», come nell'epoca precedente. Per la prima volta qualcuno mette in dubbio l'origine mosaica del Pentateuco.

Questa voce si alza in Spagna, che era all'epoca un vero crogiolo culturale perché vi coabitavano pacificamente musulmani, ebrei e cri­stiani. Si tratta del grande rabbino Abraham Ibn Ezra (Toledo 1092 circa - Calahorra 1167) che, nel suo commentario al Deuteronomio, si rende conto che alcuni testi del Pentateuco possono difficilmente essere attribuiti alla mano di Mosè (8).

Ibn Ezra teme la censura e addirittura la persecuzione. Si espri­me pertanto in modo enigmatico e con la massima cautela (9). Per esem­pio, trova strano che Mosè abbia detto: «I Cananei [erano] allora ('az) nel paese» (Gn 12,6). Mosè avrebbe detto: «I Cananei sono ora nel paese», perché erano lì quando egli arrivò dall'Egitto con il popolo d'Israele.

In Gn 22,14, dopo la «prova», Abramo da un nome al luogo del sacrificio: «JHWH vedrà/provvederà». Il narratore, che, secondo la tradizione, dovrebbe essere Mosè, aggiunge: «Perciò si dice oggi: Sul­la montagna JHWH appare». Per Ibn Ezra, questa montagna è il mon­te Sion su cui è stato costruito il tempio e dove «JHWH appare». Perciò Mosè non può dire: «Oggi si dice...», perché il tempio è stato costruito molto tempo dopo di lui, sotto Salomone.

Nel libro del Deuteronomio vi sono parecchie difficoltà. Quando si dice in Dt 1,1: «Queste sono le parole che Mosè disse a tutto Israe­le al di là del Giordano», l'autore di queste parole deve trovarsi nel­la terra promessa, cioè nella Cisgiordania attuale. Mosè, tuttavia, è sempre rimasto nella Transgiordania.

Dt 3,11 contiene una nota sul letto di Og, rè di Bashan, un di­scendente dei Refaim, giganti di una volta. Questo letto di ferro era lungo nove cubiti e largo quattro. Infine, il testo precisa: «Non si tro­va a Rabba degli Ammoniti?». Se Mosè è un contemporaneo di Og, perché si esprime così? Questa frase viene da qualcuno che si riferi­sce a una tradizione conosciuta da molto tempo.

In 31,9, il testo recita: «Mosè scrisse tutta questa legge...». Per­ché Mosè non dice: «Quando io scrissi...»? Infine, sempre secondo Ibn Ezra, sembra difficile immaginare che Mosè abbia potuto scrive­re tutto il Deuteronomio su delle pietre intonacate, come chiede JHWH in Dt 27,2-3 (cf. Dt 27,1-8).

Ibn Ezra, tuttavia, rimane per molto tempo isolato e, prima di Spinoza, non avrà molto seguito (10).

 

B. L'UMANESIMO E GLI INIZI DELL'ESEGESI MODERNA (11)

 

1. il ritorno alle lingue originali

Quando si parla dell'epoca moderna, si pensa subito al Prote­stantesimo e al suo principio della «sola Scriptura». Non si può ne­gare il loro influsso sull'esegesi biblica, specialmente su quella del Pentateuco. Però, l'esegesi delle varie confessioni è tributaria di un al­tro movimento culturale, più vasto, che ha segnato questa epoca: il ri­nascimento. La riscoperta dell'antichità classica, l'umanesimo e il gusto per la filologia e le lingue originali hanno avuto un profondo influsso sul modo di leggere la Bibbia.

Dopo aver letto e interpretato per secoli la Bibbia nella versione latina, i cristiani occidentali ritornano alle lingue originali. Il movi­mento parte dalla Spagna, dove il cardinale Francisco Jiménez de Cisneros fonda l'università di Alcalà per favorire, fra l'altro, l'insegna­mento del greco e dell'ebraico, e ordina l'edizione della «Bibbia di Al­calà» {Biblia complutensis), stampata nel 1514-1.517 e pubblicata nel 1520-1522.

La Biblia complutensis è una Bibbia poliglotta nella quale l'Antico Testamento viene stampato in ebraico, greco e latino, con il Targum aramaico del Pentateuco, e il Nuovo Testamento in greco - per la pri­ma volta dopo i manoscritti antichi - e in latino.

Cinquant'anni dopo, Christophe Plantin pubblica a sua volta ad Anversa, nei Paesi Bassi, un'altra celebre Bibbia poliglotta, la Biblia regia (1569-1572). L'invenzione della stampa, opera di Gutenberg (Magonza, 1400 circa - 1468) nel 1434, e la pubblicazione della prima Bib­bia stampata dallo slesso Gutenberg (1454-1456), hanno reso possibili queste nuove edizioni del testo sacro nelle lingue originali (12).

Nel 1530, in Francia, Guillaume Bude ottiene dal rè Francesco I il permesso di fondare il College des trois langues a Parigi, dove si in­segnano greco, ebraico e latino classico, mentre la Sorbona continua ad insegnare in un latino medioevale meno curato. Questo collegio si chiamò College de Vrance, a partire dalla Restaurazione.

Erasmo (Rotterdam, 1469 circa - Basilea, 1536), uno dei padri del­l'esegesi moderna, pubblica il suo Nuovo Testamento greco, a Basilea nel 1516, poco tempo prima della pubblicazione dalla Bibita complutensis (1521) (13). Il testo di Erasmo, pieno di errori, poi in parte cor­retto, servirà di base all'edizione di Robert Estienne e diventerà il textus receptus fino al diciannovesimo secolo.

Quando Luterò preferisce la «sola Scriptura» alla «Tradizione» più recente, si mostra un fedele discepolo degli umanisti del suo tem­po perché condivide il loro gusto per le «origini», per l'antiquità, e una certa avversione nei confronti del Medio Evo. La distinzione, nel­le Bibbie protestanti, fra libri originali e «libri aprocrifi» è un'altra ma­nifestazione della stessa tendenza.

2. Baruch Spinosa e Richard Simon (14)

Due personalità spiccano in questo periodo: Baruch Spinoza (Pae­si Bassi) e Richard Simon (Francia).

Baruch Spinoza (Amsterdam, 1632 - La Aia, 1677) è un ebreo di origine portoghese (15). Conosceva molto bene la Bibbia Ebraica, poi sco­prì la filosofia di Cartesio e la scienza di Galileo Galilei.

Nell'ottavo capitolo del suo Tractatus teologico-politicus (1670), ri­prende le domande di Abraham Ibn Ezra a proposito di alcuni ver­setti del Pentateuco e dice in parole chiare quello che Ibn Ezra diceva in un linguaggio cifrato.

Spinoza aggiunge alcuni argomenti propri per arrivare alla con­clusione che il Pentateuco non è stato scritto da Mosè, ma forse dal­lo scriba Esdra, molto tempo dopo di lui. Spinoza fu espulso dalla sinagoga a causa del suo razionalismo e le sue opere furono messe al­l'Indice dalla Chiesa cattolica.

In Inghilterra, il filosofo Thomas Hobbes (Westport, Malmesbury, 1588 - Hardwick, 1679) giunge alla stessa conclusione nel suo famo­so Leviathan, capitolo 33 (1651).

Richard Simon (Dieppe, 1638-1722) è uno dei pionieri della cri­tica biblica (16). Era un sacerdote oratoriano, giurista e specialista delle lingue semitiche. Nella sua Histoire critique du Vieux Testament (1678), ammette l'origine mosaica del Pentateuco, ma suggerisce che la sua forma finale è dovuta all'attività continua di scribi e giuristi dal tem­po delle origini fino al tempo di Esdra.

Per le sue idee fu violentemente attaccato dai cattolici, soprattut­to da Bossuet, espulso dall'Oratorio e mandato in esilio in una picco­la parrocchia in Normandia.

I suoi libri furono messi all'Indice e gran parte delle 1.300 copie furono distrutte (17). Qualche copia fu salvata e tradotta in tedesco da Johann Salomo Semler e in inglese. Il suo influsso fu più importante in Germania che in Inghilterra.

 

C. L'IPOTESI DOCUMENTARIA CLASSICA

 

1. I primi lavori critici: Witter, Astruc e Eichhorn (18)

Nel 1711, un giovane pastore protestante di Hildesheim, Henning Bernhard Witter (1683-1715), pubblica uno studio su Gn 1-3 in cui fa notare la differenza fra gli appellativi divini Elohim (l,l-2,4a) e JHWH Elohim (2,4b-3,24). Witter pensa che Mosè abbia utilizzato varie «fonti» per comporre il Pentateuco. Il suo libro sarà dimentica­to fino al 1925 (19).

Per molti esegeti, il padre dell'ipotesi documentaria è invece Jean Astruc, un medico di Luigi XV, protestante convcrtito al cattolicesi­mo, e biblista dilettante (1684-1766). Sulla base dei diversi appellati­vi divini, Elohim e JHWH, costruisce come Witter una teoria sull'ori­gine del Pentateuco.

Mosè avrebbe utilizzato tre «fonti» o «documenti» - in realtà, Astruc parla di Mémoires -, che chiama semplicemente A, B e C. Le due prime si caratterizzano per l'uso di un appellativo divino, e la ter­za contiene i testi indipendenti dalle altre due. Mosè dispose le tre fonti come in una sinossi, ma, durante la trasmissione, l'ordine delle pagine fu perturbato. Questo spiegherebbe i problemi attuali della let­tura del Pentateuco.

Astruc limita il suo lavoro al libro della Genesi e a Es 1-2 per una ragione semplice: dopo la rivelazione del nome divino JHWH, in Es 3,14 (cf. Es 6,3), diventa più difficile usare il criterio degli appellativi divini (20).

In Germania, Johann Gottfried Eichhorn riprende il lavoro di Astruc e lo affina. Sarà il primo autore di una Introduzione all'Antico Testamento (1780-1783), in cui continua a difendere l'origine mosaica del Pentateuco (21). Cambierà idea dopo le scoperte di de Wette.

A questo punto, gli specialisti si dividono in tre gruppi e pro­pongono tre teorie principali sull'origine del Pentateuco: l'ipotesi dei documenti, l'ipotesi dei frammenti e l'ipotesi dei supplementi.

Secondo l'ipotesi dei documenti, che riprende le idee di Astruc ed Eichhorn, all'origine del Pentateuco attuale vi sono vari documen­ti paralleli, completi e indipendenti.

L'ipotesi dei frammenti è stata proposta prima da un sacerdote cat­tolico d’origine scozzese, Alexander Geddes (1737-1802), che studiò il tedesco per poter seguire gli sviluppi dell'esegesi in Germania (22). La sua ipotesi suppone che esistesse all'origine una pluralità di fonti, di picco­le unità narrative e di testi separati e incompleti, che furono riuniti mol­to tempo dopo la morte di Mosè per formare il Pentateuco attuale (23).

Anche lui ebbe molte difficoltà con la censura ecclesiastica e le sue idee non ebbero molto successo in Gran Bretagna. In Germania, invece, due eminenti esegeti difesero posizioni analoghe: Johann Severin Vater (24) e, con importanti modifiche, Wilhelm de Wette (25).

La terza ipotesi, quella dei complementi, nacque un po' più tar­di. La menzioniamo qui per più chiarezza. Spesso, la teoria viene at­tribuita a Heinrich Ewald. Si dovrebbe dire, con più esattezza che egli ha suggerito l'idea senza mai difenderla come tale (26). Ewald ipotizza l'e­sistenza di un documento basilare {Grundschrift}, l'Elohista - l'attua­le documento sacerdotale, con, in più, alcuni documenti più antichi, come il decalogo (Es 20,2-17) e il codice dell'alleanza (Es 21-23) - che un editore avrebbe «completato» con brani di un documento jehovista (lo Jahwista) durante l'ultimo periodo della monarchia di Giuda (27).

L'opera finale, frutto di un lavoro editoriale di parecchi secoli, co­pre gli attuali primi sei libri della Bibbia e, perciò, Ewald parla di un Esateuco (28). La teoria dei complementi, come sarà sviluppata in segui­to, suppone un «documento basilare» al quale furono aggiunti dei bra­ni in diverse epoche.

2. Il movimento delle idee nel XIX secolo: l'illuminismo, la teologia liberale, il romanticismo e l'interesse per la storia (29)

Prima di parlare degli sviluppi nella lettura critica del Pentateu­co, occorre situare l'esegesi nei movimenti culturali del tempo per ca­pire meglio le nuove problematiche e le nuove risposte. Gli esegeti del secolo passato vivono in un mondo intellettuale influenzato dalla «fi­losofia dei lumi» o «illuminismo» {Aufkiàrung, Philosophie des Lu-mières, llluminism} che rivendica l'autonomia della ragione davanti ad ogni forma di autorità.

Il mondo cristiano risponde a questa nuova sfida cercando di con­ciliare ragione e fede, lettura critica della Bibbia e interpretazione re­ligiosa del suo messaggio. Questo vale per il mondo protestante come.

A poco a poco si fa strada l'idea che l'ispirazione divina dei testi non escluda l'origine umana e storica dei libri. In Germania domina a quest’epoca la «teologia liberale» che tende, nelle sue forme più ra­dicali, a ridurre al minimo l'elemento soprannaturale della religione per esaltarne gli aspetti umanistici, universali e razionali.

Un altro movimento avrà un influsso notevole sugli esegeti du­rante il diciannovesimo secolo, specialmente in Germania: il romanti­cismo. Il suo portavoce nel mondo dell'esegesi è Johann Gottfried Herder, famoso per il suo libro Vom Geist der hebraischen Poesie (1783). Herder darà a molti esegeti un forte gusto per le manifesta­zioni originarie, spontanee e naturali della cultura biblica.

Per questa ragione nasce il desiderio di ritrovare nel passato i mo­menti in cui il pensiero è ancora «genuino» e non contaminato da nes­suna perversione posteriore. Per la stessa ragione, si sviluppa un atteggiamento negativo verso i periodi più recenti della storia biblica, specialmente l'epoca postesilica, contrassegnata dal legalismo e da un fariseismo esacerbato. Si poteva solo aspettare una «nuova creazione», una nuova gioventù, che venne con il Nuovo Testamento (30).

Infine, nel mondo universitario tedesco, il più influente per quan­to riguarda l'esegesi biblica in questa epoca, prevalgono le categorie della «storia». Sulla scia dei grandi storici (31), anche i filosofi come Fichte, Schelling e Hegel, cercano di integrare le categorie della storia nel loro pensiero.

Per gli esegeti dell'epoca, le culture conoscono fasi di sviluppo analoghe a quelle del mondo biologico: dopo la nascita, viene l'epoca creativa della gioventù, poi la maturità che coincide con un primo de­clino delle energie vitali, e infine la decadenza della vecchiaia che pre­cede la morte.

Come per il romanticismo, l'evoluzione non è vista come positi­va, perché non conduce a poco a poco verso un apice. Al contrario, l'evoluzione è la causa della sclerosi, del declino e del deperimento di ogni forma di vita intellettuale e religiosa. Le scoperte di de Wette, il sistema di Welihausen e le ricerche di Gunkel si collocano in questo contesto culturale (32).

3. De Wette

Per poter progredire nello studio del Pentateuco mancava un «ag­gancio» storico che permettesse di datare le varie fonti, frammenti o supplementi. Occorreva dunque datare almeno un testo significativo o collegare un testo con un evento storico. Fu il merito di Wilhelm Martin Leberecht de Wette (1780-1849) (33).

Il punto di partenza della sua ricerca è uno studio del libro del­le Cronache. De Wette paragona l'opera del Cronista con gli altri li­bri che descrivono il periodo monarchico, i libri di Samuele e dei Rè, e si trova di fronte a due quadri molto dissimili della religione d'I­sraele. Come spiegare questa differenza?

De Wette risolve il problema in chiave storica, dicendo che il li­bro delle Cronache deve essere molto posteriore agli avvenimenti e ri­salire all'epoca persiana o forse addirittura ellenistica. Questa conclu­sione ha una conseguenza importante per il Pentateuco. In effetti, le Cronache affermano che le istituzioni del tempio sono state stabilite da Mosè. Secondo de Wette, invece, le Cronache hanno retroproiettato nel passato mosaico le istituzioni di un'epoca molto più tardiva per dare ad esse il sigillo dell'antichità.

In seguito, de Wette applica la stessa teoria al Pentateuco: i testi legislativi e narrativi dei primi cinque libri della Bibbia non fornisco­no un quadro fedele del passato. Rappresentano piuttosto le preoc­cupazioni d’epoche posteriori che volevano spiegare, a partire dal passato, l'origine e il destino d'Israele nel mondo.

La problematica è ormai chiara, poiché per de Wette e gli esege­ti del suo tempo, si è aperto un divario fra «il mondo del testo», gli eventi raccontati nel Pentateuco, e «il mondo reale», il mondo in cui e per cui questi testi sono stati scritti. Bisognava ancora trovare un le­game fra «il mondo del testo» e «il mondo reale». Sarà il prossimo passo nello studio di de Wette.

Nella sua tesi del 1805, de Wette identifica il libro del Deutero­nomio, almeno nella sua versione più antica, con il «libro» trovato nel tempio durante il regno di Giosia (34). L'esegeta giunge a questa conclu­sione dopo aver osservato che le riforme di Giosia (2 Rè 23) corrispondono in gran parte con le esigenze delle leggi deuteronomiche in campo cultuale. I punti principali sono la centralizzazione e la purifi­cazione del culto.

De Wette non è il primo ad aver avuto questa idea, che si trova già in alcuni Padri della Chiesa. È però il primo a trame un criterio solido per la datazione dei testi. Le leggi o i racconti che non sup­pongono la centralizzazione del culto a Gerusalemme devono essere anteriori alla riforma di Giosia, nel 622 avanti Cristo, e i testi legisla­tivi o narrativi che ne tengono conto sono logicamente posteriori.

Per quanto riguarda l'esegesi recente del Pentateuco, la scoperta di de Wette è il momento chiave per due ragioni principali. Il punto di partenza non è più l'analisi delle narrazioni, come per Witter, Astruc, Eichhorn e i loro discepoli. Alla stregua di Richard Simon, de Wette preferisce imperniare il suo studio sulle leggi e le istituzioni dell'An­tico Testamento. Dal tempo di de Wette, non si è trovato «un punto d'appoggio» più solido, sebbene non siano mancate le discussioni in merito (35).

D'altronde, l'evento che permette di datare i testi non fa parte degli eventi raccontati nel Pentateuco. Pertanto, è ormai chiaro che esiste una distanza importante fra gli avvenimenti descritti nel Penta­teuco e le varie epoche in cui i testi furono redatti. Diventerà anche sempre più difficile pensare che Mosè abbia scritto i cinque libri del­la Tòràh (36).

4. Da de Wette a Welihausen

Verso il 1800, un gran numero di esegeti distingueva nel Penta­teuco due «fonti» principali: l'Elohista e lo Jahwista, secondo il nome divino che usavano nel libro della Genesi e in Es 1-2. L'Elohista of­friva un racconto più articolato che strutturava l'insieme della storia. Inoltre, appariva più fedele alla «storia», poiché il nome divino JHWH venne rivelato soltanto al tempo di Mosè (Es 3,14; 6,3).

Per queste ragioni, verrà considerato come più antico e chiama­to Grundschrift - «racconto basilare» (cf. Ewaid). Tre importanti ope­re cambieranno questo paesaggio accademico prima dell'arrivo di Welihausen.

- Nel 1798, Karl David Ilgen distingue due «Elohisti», uno più antico e l'altro più recente (37). Quest'ultimo diventerà il «racconto sa­cerdotale» dell'ipotesi documentaria classica; l'altro è l'Elohista preesilico. Ilgen pensava che questi documenti facessero parte degli archivi del tempio di Gerusalemme che furono dispersi quando l'esercito ba­bilonese distrusse la città nel 587/586 avanti Cristo. La scoperta di Il­gen sarà dimenticata per lungo tempo, finché Hupfeld, nel 1853, le darà nuova vita (38).

- Hermann Hupfeld, professore prima a Marburg, poi a Halle, scrive nel 1853 un importante studio sulle «fonti della Genesi» (39). So­no due i suoi contributi maggiori all'esegesi del suo tempo. Primo, di­mostra 'la validità dell'ipotesi documentaria contro l'ipotesi dei frammenti (Geddes, Vater, de Wette nelle sue prime opere) e dei com­plementi (Ewaid, Bleek, Tuch/de Wette nelle sue opere posteriori).

Secondo, come Ilgen, ma senza conoscerlo (40), distingue due Elohi­sti, l'uno più antico e l'altro più recente. Per Hupfeld, vi sono quin­di tre fonti nella Genesi, nel loro ordine cronologico: il primo Elohista (che diventerà il racconto sacerdotale), il secondo Elohista (l'Elohista dell'ipotesi documentaria classica) e, infine, lo Jahwista. Questo ordi­ne è destinato a cambiare.

- Un anno dopo, nel 1854, Riehm separa definitivamente il Deu­teronomio dal resto del Pentateuco per farne una fonte indipendente (41).

Ormai, tutto è pronto per l'elaborazione di un'ipotesi completa. Gli esegeti hanno identificato quattro fonti: due Elohisti (sigle: E' e E2), uno Jahwista (sigla: J, dal tedesco Jahwist) e il Deuteronomio (si­gla: D). Hanno a disposizione un punto di riferimento solido per la cronologia, il legame fra il Deuteronomio e la riforma di Giosia nel 622 avanti Cristo. Rimane solo un compito: dare ai tasselli la loro giu­sta collocazione.

5. Reuss, Graf, Kuenen e Welihausen: l'ipotesi documentaria classica

Nel 1833, Edouard Reuss, professore a Strasburgo, si accorge che i profeti preesilici ignorano le prescrizioni della legge mosaica, spe­cialmente quelle rituali, che sono invece molto vicine a testi postesili-ci come quelli di Ezechiele. Queste leggi dovrebbero pertanto essere postesiliche. Reuss, però, non pubblica le sue scoperte (42). Il suo disce­polo e amico, Karl Heinrich Graf, dimostrerà la validità delle sue in­tuizioni nel 1866 (43).

Appoggiandosi sulle conclusioni di Reuss e di Hupfeld, afferma che l'Elohista deve essere non la prima, ma piuttosto l'ultima fonte del Pen­tateuco e non può essere stata scritta prima dell'esilio. Indipendente­mente, il grande esegeta olandese Abraham Kuenen arriva alle stesse conclusioni nel 1869 (44). Chiamerà per la prima volta questo Elohista Prie-stercodex - «codice sacerdotale», e gli darà come sigla la lettera P.

Julius Welihausen conferirà a questi studi una forma classica e de­finitiva. Il successo delle sue teorie è dovuto in gran parte alla chia­rezza della sua esposizione e alla limpidezza del suo stile (45).

L'opera più importante di Welihausen non è, come si pensa spes­so, la sua Composition des Hexafeuchs una der historischen Bùcher des Alten Testaments (Berlin 1868; 31899) - «Composizione dell'Esateuco e dei libri storici dell'Antico Testamento». Per apprezzare il genio di Welihausen e capire meglio le sue intenzioni, occorre leggere i Prole-gomena zur Geschichte Israels (Berlin 1883) - «Prolegomeni alla storia d'Israele» (46).

Welihausen è anzitutto uno storico che vuoi ricostruire una «sto­ria d'Israele», più concretamente una «storia della religione d'Israe­le». Con il senno di poi, si può vedere che gli esegeti della prima metà del secolo passato erano poco interessati ai testi come tali, per esem­pio alle loro qualità letterarie o al loro contenuto intrinseco. I commentari, in questa epoca, sono rari. A causa della filosofia hegeliana e di romantici come Herder, gli esegeti volevano studiare soprattutto la «storia» e perciò hanno dedicato le loro energie alla datazione delle fonti, punto di partenza indispensabile per questo lavoro.

Inoltre, capivano la «storia» come evoluzione o sviluppo dialetti­co, secondo il noto schema hegeliano: tesi - antitesi – sintesi (47).

Tuttavia, come i romantici, il periodo «ideale» non era l'ultimo, ma il primo. Welihausen, come de Wette e tanti altri autori di questo pe­riodo e i loro seguaci sino ad oggi, hanno grande stima per i periodi antichi e apprezzano molto meno i periodi recenti. L'evoluzione era per­cepita come un processo di decadenza e di degenerazione progressiva.

Infine, l'opposizione luterana fra «legge» e «vangelo» (Gesetz und Evangelium) inciderà in modo non trascurabile sulle ricostruzioni del­la «scuola di Welihausen». Discepolo del Protestantesimo liberale, Welihausen tenderà a identificare il «vangelo» con una religione «na­turale», «razionale» e «umanistica».

A queste ragioni intellettuali si deve aggiungere la grande ammi­razione di Welihausen per la monarchia prussiana sotto la quale si rea­lizzava l'unificazione della Germania (48). Analogicamente, Welihausen nutriva una grande srima per Davide e l'inizio della monarchia unita, perché vedeva molte somiglianze fra questa epoca e la storia contem­poranea del suo paese. Per lui, l'inizio della monarchia israelitica era l'età dell'oro della religione in Israele.

Nella prefazione dei Prolegomena, Welihausen spiega con grande sincerità i suoi sentimenti verso l'Antico Testamento (49). Iniziò la sua let­tura con i libri di Samuele, la storia di Elia e i primi profeti, Amos e Isaia, che lesse con grande piacere. Poi, si disse che doveva leggere an­che la «Legge», che precede i profeti. Però, ben presto perse gusto per la lettura, specialmente quando giunse ai testi legislativi di Es, Lv e Nm.

Non riusciva ad ammettere che, dall'inizio, la religione d'Israele fosse potuta essere legalista e ritualistica. Quando s'imbattè nelle ope­re di Graf, le lesse con entusiasmo e sollievo, perché dimostravano il carattere recente di queste parti del Pentateuco.

Sulla base di uno studio accurato delle leggi e delle narrazioni, Welihausen distingue tre periodi principali nella religione d'Israele: gli inizi della monarchia, la riforma deuteronomica e il periodo postesilico (il secondo tempio). A queste tre tappe corrispondono tre momenti di attività letteraria. All'inizio della monarchia furono scritti lo Jahwista, poi l'Elohista. Spesso, Welihausen non li distingue e parla del Jehovista. Il Deuteronomio è evidentemente nato con la riforma deutero­nomica del 622 avanti Cristo.

Gli scritti sacerdotali risalgono al periodo postesilico (50). La legge, dunque, non è all'origine di Israele, ma del Giudaismo (51). Per quanto riguarda l'ipotesi documentaria, Welihausen stabilisce l'ordine classi­co delle fonti: J (Jahwista), E (Elohista), D (Deuteronomio) e P (Priestercodex o codice sacerdotale, che Welihausen chiama Q, dalla parola latina quattuor, perché questo racconto conterrebbe quattro alleanze di Dio con l'umanità: alleanza con Adamo, con Noè, con Abramo e con Israele al Sinai) (52).

La religione dello Jahwista è naturale, spontanea, libera e genui­na. Con il Deuteronomio inizia un processo di Denaturierung, di «de­generazione», accompagnato da una progressiva centralizzazione e ritualizzazione della religione. Le regole prendono il posto della spon­taneità, Questo processo giunge al culmine nella religione instaurata dal sacerdozio postesilico: legalismo e ritualismo hanno il sopravven­to sulla libertà. La religione non cresce più sul suolo della vita con­creta, poiché si radica ormai nelle astrazioni sacerdotali.

Un esempio caratteristico del pensiero welihauseniano è il modo di presentare l'evoluzione dei sacrifici e delle feste in Israele. Secondo Welihausen, all'inizio della monarchia, il ritmo della liturgia e dei sa­crifici era dettato dai lavori stagionali. Le date non erano fissate da un calendario. I sacrifici erano offerti dalle famiglie nei santuari locali.

Con la riforma deuteronomica, il calendario liturgico si allontana dalla vita e dalla natura. Le feste vengono legate ad avvenimenti del­la storia d'Israele e il calcolo matematico diventa più importante del­le stagioni. Nello stadio finale (P), la liturgia perde ogni legame con la vita e la natura. I sacerdoti introducono un calendario preciso per ogni festa (Lv 23) e aggiungono una nuova festa, «il giorno delle espia­zioni» (Lv 16; 23,26-32). Le preoccupazione della vita quotidiana ce­dono il passo al sentimento di colpa, il culto è incentrato sul «peccato» e lo scopo primario della liturgia è l'espiazione.

Questa visione negativa del periodo postesilico e l'incapacità di coglierne il significato nel suo contesto storico sono i grandi limiti del sistema di Welihausen e dei suoi discepoli (53). Lo schema evoluzionisti­co, mutuato alla filosofia hegeliana, e le idee romantiche sulla religio­ne primitiva, spontanea e libera, sono strumenti che uno storico e un esegeta devono adoperare con grande cautela.

La storia non obbedisce alla filosofia e le culture primitive cono­scono più restrizioni e costrizioni di quanto voleva ammettere uno Herder o un Jean-Jacques Rousseau. Infine, Welihausen traduceva in categorie storiche il «credo» luterano sulla legge e il vangelo. All'ini­zio della religione d'Israele regnava un «vangelo» genuino, la religio­ne primitiva della monarchia davidica. Poi, la «legge» fa la sua apparizione con la riforma deuteronomica.

Con la religione dei sacerdoti, dopo l'esilio, quando fu instaura­ta la teocrazia o ierocrazia del secondo tempio, la religione naturale muore e il legalismo regna da solo. Bisognerà aspettare l'avvento del Nuovo Testamento per sconfiggere la «legge della schiavitù» e sosti­tuirla con il «vangelo della libertà». Si può facilmente obiettare a que­sta visione che la storia d'Israele è assai più complessa e che voler riassumere un grande movimento di idee sulla base di due sole cate­gorie fondamentali può essere rischioso.

Nonostante i suoi limiti palesi, le ricerche di Welihausen riman­gono basilari per chiunque voglia studiare il Pentateuco oggi. Il para­gone fra i vari codici di leggi e i suoi criteri per la distinzione delle fonti rimangono fra gli strumenti più validi per l'esegesi odierna. Inol­tre, Welihausen non mancava ne di fiuto ne di buon senso e la sua prudenza nei casi diffìcili è esemplare.

A partire da questo momento, l'ipotesi documentaria assumerà una forma classica, familiare a chiunque legge una introduzione al Pen­tateuco. Vi sono quattro fonti: lo Jahwista (J), scritto nel Sud nel se­colo IX; l'Elohista (E), scritto un secolo dopo, circa, nel regno del Nord e influenzato dai primi profeti (ottavo secolo); il Deuteronomio (D) che, nel suo nucleo più antico, risale alla riforma di Giosia nel 622 avanti Cristo; infine, il sacerdotale (P), un'opera esilica o postesilica (54).

Il Pentateuco attuale sarebbe stato compilato, con ogni probabi­lità, all'epoca del secondo tempio e molti legano questa redazione al­la riforma di Esdra (cf. Ne 8).

 

D. gunkel, noto, VON rad E LA formgeschichte (55)

 

1. Il retroterra culturale della «Formgeschichte»

Dopo Welihausen, l'ipotesi documentaria s'impone durante più o meno un secolo. Benché l'opposizione continui a manifestarsi, spe­cialmente nel mondo cattolico ed ebraico, la maggioranza degli ese-geti aderisce ai postulati di 'Welihausen (56).

Siccome le principali fonti sono state identificate, gli esegeti in­trodurranno suddivisioni che, in certi casi, saranno talmente numero­se da creare un certo disagio e disaffezione per un metodo che non riesce più a definire i suoi limiti (57).            .

Inoltre, la mentalità cambia (58). Due fattori importanti influenzano il mondo intellettuale ed esegetico nella seconda metà del dicianno­vesimo secolo: le scoperte del Medio Oriente antico e il gusto per la letteratura popolare.

Le prime scoperte importanti in Mesopotamia risalgono agli an­ni 1840 (59). In Egitto, gli scavi avevano iniziato già prima. Più impor­tanti per l'esegesi biblica furono i lavori di deciframento della lingua egiziana e soprattutto accadica (60).

Il primo libro che ebbe un impatto notevole sulle ricerche esege­tiche fu quello di George Smith, Chaldean Account of Genesis (1876). Il libro si basa sull'undicesima tavoletta dell'epopea di Gilgamesh che contiene il racconto del diluvio. L'evento creò scalpore, perché scon­volgeva alcune idee semplici sul carattere unico della rivelazione biblica. Se Welihausen aveva potuto accennare solo alla letteratura ara­ba antica, adesso le pubblicazioni forniscono agli esegeti un ampio ma­teriale comparativo.

Gunkel, che cresce in questo mondo, sarà un esponente entusia­sta della religionsgeschichtiiche Schuie «La scuola della storia delle re­ligioni», che da molto spazio al paragone fra fenomeni simili nelle vàrie religioni e culture dell'antichità (61).

Per quanto riguarda la cultura al tempo di Gunkel, essa è sem­pre più urbana, tecnica e industriale. Nelle città e nelle università cre­sce un interesse nuovo per il folklore, la psicologia popolare e il mondo rurale che sta sparendo. Fra il 181.5 e il 1819, i fratelli Grimm aveva­no pubblicato le loro raccolte di fiabe (62). Lo stesso interesse per il folk­lore si farà strada più tardi nel mondo dell'esegesi.

2. Il nuovo metodo introdotto da Gunkel (1862-1932)

In questo mondo nuovo si sviluppa un altro metodo di lettura che, fino agli anni '70, andrà di pari passo con l'ipotesi documentaria.

— Se Welihausen studiava soprattutto i concetti e la letteratura, la nuova generazione vorrà ritrovare l'origine dei testi nella preistoria del­la scrittura, nella tradizione orale. Tuttavia, continua a prevalere il gu­sto romantico per le origini. Per Welihausen, l'«età dell'oro» della religione israelitica era il periodo della monarchia unita; per Gunkel e i suoi discepoli, bisogna risalire nel passato, fino al periodo dei Giu­dici e, oltre, al tempo in cui Israele era ancora nomade,

— Questo gusto per l'ambiente concreto in cui sono nati i racconti si traduce nella ricerca del Sitz im Leben, il contesto esistenziale dei testi letterari: «Chi vuole capire un genere letterario antico deve pri­ma chiedere dove sono le sue radici nella vita [Sitz im Leben}». La fa­mosa espressione Sitz im Leben fu coniata da Gunkel in questo passo (63).

Gunkel intendeva parlare delle circostanze in cui si raccontava­no, per esempio, gli episodi della vita dei patriarchi. Immaginava che gli anziani, durante le lunghe veglie dell'inverno, passassero il tempo a ricordare le avventure degli antenati davanti a tutta la famiglia ra­dunata attorno al focolare. Tutti ascoltano con grande attenzione, spe­cialmente i bambini (64). Per i salmi, l'ambiente concreto sarà spesso una istituzione cultuale.

- Gli esegeti di questa scuola insistono su un principio basilare dell'ermeneutica romantica: la «simpatia» che un interprete deve pro­vare nei riguardi dei testi che legge. Il principio era conosciuto e già de Wette, per esempio, lo menzionava nei suoi scritti (65). Gunkel e la sua scuola fanno un passo in avanti, perché riescono ad integrare me­glio questo principio nella metodologia esegetica. Gunkel, per esem­pio, dirà che l'esegesi è «più un'arte che una scienza» (66).

Intuizione, sensibilità estetica e spiccato interesse per la forma let­teraria e lo stile sono fra le caratteristiche più importanti di questa scuola. Non si possono separare forma e contenuto, stile e messaggio, estetica e teologia. «La forma giusta è l'espressione necessaria del con­tenuto», dice Gunkel (67).

— Più concretamente, l'esegeta cercherà di definire il «genere let­terario» dei testi (68). Le caratteristiche di un genere letterario sono nor­malmente tre: una struttura e una serie di formule; un'atmosfera (Sttmmung) e un modo di pensare; un Sitz im Leben.

3. L'influsso di Gunkel (69)

II grande genio di questa epoca si chiama Hermann Gunkel (1862-1932) (70). Scrisse diverse opere importanti: un commentario alla Genesi, una introduzione ai salmi e vari lavori sui profeti. Sarà giustamen­te considerato come il padre della Formgeschichte - «Storia delle for­me» (71).

L'introduzione alla terza edizione del suo commentario alla Ge­nesi è un classico della letteratura esegetica di tutti i tempi. La parte dedicata allo stile dei racconti della Genesi non è ancora stato supe­rata da nessun commentatore per la «finezza» dell'analisi.

La prima frase è molto celebre, perché tradisce immediatamente lo spirito dell'opera: «Die Genesis ist eine Sammlung von Sagen» -«Genesi è una raccolta di storie» (72). L'affermazione permette di misu­rare la distanza fra Welihausen e Gunkel. Per Welihausen, la Genesi, come il resto dell'Esateuco, era il risultato di un lavoro di compila­zione a partire da tre o quattro «fonti» scritte. Ora, si studiano piut­tosto i singoli racconti allo stadio preletterario, che hanno formato poi dei «cicli di storie» (73) e, infine, sono stati raccolti nelle «fonti» come lo Jahwista e l'Elohista.

Per Gunkel, le «fonti» non sono più delle composizioni lettera­rie di grande importanza per l'esegesi. Lo stadio orale dei racconti è molto più interessante. Inoltre, i discepoli di Gunkel spiegheranno molte difficoltà letterarie, per esempio le incoerenze fra racconti, co­me tracce dell'origine orale dei racconti. Le «fonti» hanno raccolto dei materiali eterogenei senza cercare di armonizzarli.

Gunkel rimane ancora oggi un punto di riferimento obbligato per l'esegesi del Pentateuco, in particolare per la Genesi. Se alcune delle sue tesi sono superate, il suo lavoro di pioniere nel campo della stili­stica e dell'analisi del racconto non ha perso niente della sua fre­schezza. Chiunque lo legge ne trarrà ampio profitto (74).

Dopo Gunkel, il lavoro continuerà, non soltanto in Germania, ma anche in Scandinavia e nel mondo anglo-sassone. Alcuni esegeti, co­me Aibrecht Alt, Gerhard von Rad e Martin Noth hanno avuto un in­flusso notevole fino ad oggi, sebbene le loro tesi siano state criticate o addirittura abbandonate. Tuttavia, non si può fare a meno di pre­sentarli, perché non è possibile capire il mondo esegetico odierno sen­za riferimento a questi grandi maestri.

4. Aibrecht Alt (1883-1956), Gerhard von Rad (1901-1971) e Martin Noth (1902-1968).

Questi tre famosi esegeti illustrano, ciascuno a modo suo, una ten­denza prevalente nella prima metà del ventesimo secolo, quella di ri­cercare nel Pentateuco il nucleo originale della fede d'Israele. Lo trovano nelle origini remote del passato premonarchico. Adesso, l'età dell'oro della storia d'Israele è il periodo dei Giudici e perfino il pe­riodo precedente, quando Israele era nomade nelle zone semideserti-che che circondano la terra promessa.

La ricerca del «nucleo primitivo» della religione d'Israele rispec­chia, nel mondo dell'esegesi, gli sforzi di grandi teologi dello stesso periodo che affermavano l'assoluta originalità del cristianesimo nei confronti delle altre religioni. Per gli esegeti, alcuni «generi letterari» o certe istituzioni dimostravano il carattere unico e assolutamente ori­ginale della rivelazione biblica. Si potrebbe parlare, in merito, di un certo «positivismo religioso» (75).

Karl Barth e la teologia dialettica stanno nel retroterra di molte ricerche di questo tempo, anzitutto per quanto riguarda le opposizio­ni dialettiche fra «religione rivelata» e «religione naturale» e quella, più tradizionale, fra «legge» e «vangelo» (Gesetz una Evangelium).

- Aibrecht Alt e alcune pietre angolari della fede d'Israele:

il «Dio dei padri» e il «diritto apodittico» (76)

* Sono due le tesi di Aibrecht Alt che meritano di essere men­zionate. La prima riguarda la religione dei patriarchi. Secondo Alt, il «Dio dei padri» appartiene alla religione dei nomadi, perché la divi­nità non è legata a un luogo, bensì a una persona (77). Non porta alcun nome proprio, ma quello dell'antenato a cui si è rivelato, per esem­pio, «il Dio di Abramo» (Gn 26,23; cf. Gn 28,13; 32,10; 46,3; Es 3,6).

Questo elemento originario della religione d'Israele risale al pe­riodo nomade pre-israelitico e i patriarchi sono pertanto dei «fonda­tori di culto» (78). In questa maniera, la religione patriarcale si discosta dalla religione cananea, legata ai santuari (79).

* La seconda tesi tocca il campo del diritto israelitico. Nuova­mente, Alt oppone radicalmente il mondo biblico a quello cananeo. Nelle leggi bibliche, Alt poneva in risalto la presenza del «diritto apo­dittico» accanto al «diritto casistico» (80). Il primo è presente, per esem­pio, nel decalogo. Le formule sono generalmente molto concise e non

prevedono eccezioni. Il secondo, invece, si riconosce alle formule ini­ziali: «Se...» o «Quando...».

Il diritto casistico sarebbe di origine cananea, mentre il diritto apodittico risalirebbe al passato nomade d'Israele (81). Come nel caso del­la «religione dei patriarchi», il «diritto apodittico» sarebbe una carat­teristica del diritto biblico senza analogia nelle altre religioni e una prova che la rivelazione biblica è unica (82).

- Gerhard von Rad e il kerygma d'Israele (83)

Le tesi più importanti di von Rad concernono l'origine dell'Esa-teuco e la figura dello Jahwista. Alla stregua degli altri esponenti della stessa scuola, von Rad cerca nelle origini i momenti più autentici di una tradizione. I suoi studi portano anche la traccia della distinzione fondamentale fra «legge» e «vangelo». Infine, non si può non notare nel modo di presentare lo Jahwista la tendenza dei romantici ad evi­denziare nelle opere letterarie l'impronta delle «grandi personalità» (84).

* II piccolo credo storico. G. von Rad constata che la ricerca delle varie fonti non conduce più a risultati interessanti (85). Gli pare più frut­tuoso studiare la «forma finale» dell'Esateuco (86). Nel suo studio, von Rad adotta il metodo preconizzato da Gunkel e cerca la «forma» o «gene­re letterario» dell'Esateuco e il suo Sitz im Leben. Per quanto riguarda la forma o «genere letterario», egli afferma che il Pentateuco attuale sia un ampliamento di un nucleo primitivo, il «piccolo credo storico», pre­sente in testi antichi come Dt 26,5b-9; 6,20-23; Gs 24,2b-13 (87).

In queste brevi affermazioni di fede, sotto forma di riassunti del­la storia d'Israele, due momenti sono più importanti: l'esodo e il do­no della terra. La storia patriarcale viene solo accennata all'inizio, mentre la storia delle origini (Gn 1-11) e il dono della legge al Sinai sono completamente assenti. Von Rad ne trae una conclusione drasti­ca: «legge» e «storia d'Israele» sono due «forme letterarie» diverse che hanno ciascuna un Sitz im Leben proprio (88).

Il «piccolo credo storico» ha come Sitz im Leben la festa delle Settimane o della Mietitura (Pentecoste) e si celebrava a Gilgal, pres­so il Giordano. Pentecoste, perché il testo più antico (Dt 26,5b-9), è legato all'offerta delle primizie (Dt 26,2-3). Gilgal, perché è il luogo dove si celebrava l'entrata nella terra promessa, culmine del «piccolo credo storico» (Gs 4,19-24).

Il dono della legge, invece, si celebrava a Sichem durante la festa dei Tabernacoli, in autunno, secondo quanto viene detto in Dt 31,9-13. Sichem è il luogo dove Giosuè conclude un'alleanza fra JHWH e il suo popolo, e stabilisce un diritto (Gs 24, specialmente 24,25-26). Il tutto viene consegnato nel «libro della legge di Dio» (24,26). Quin­di, Sichem era adatto a tale celebrazione. A partire da questi «credo»

«Thè Form-Critical Problem of thè Hexateuch», Thè Problem of thè Hexateuch and Other Essays (New York 1966) 1-78. 1981) 375-394, spec. 387-388.

cultuali e dalla tradizione del dono della legge al Sinai, lo Jahwista ha composto la trama narrativa del suo Esateuco, al tempo di Salomo-ne (89).

Riappare in questa distinzione fra «piccolo credo storico» e «do­no della legge» l'opposizione dialettica fra «vangelo» e «legge», «reli­gione della grazia» e «religione delle opere». Inoltre, il fatto che von Rad collochi il «piccolo credo storico» al principio della storia d'I­sraele si capisce sullo sfondo di alcune affermazioni care alla teologi­ca dialettica. Dall'inizio la religione d'Israele s'impernia su afferma­zioni di fede - «un credo» - il che implica la rivelazione di Dio nella storia. Siamo lontani dalla «religione naturale» dello Jahwista secon­do Welihausen.

* Lo Jahwista. Per Gunkel, lo Jahwista (J) era solo un compila­tore di «storie» (Sagen) e stava alla fine di un lungo processo di re­dazione. Per von Rad, invece, lo Jahwista è una «grande personalità», un genio letterario e teologico dell'epoca salomonica. Il suo contribu­to alla composizione dell'Esateuco è essenziale. Senza di lui, non avremmo la grandiosa architettura attuale. In paragone, le altre «fon­ti», l'Elohista (E) e il Sacerdotale (P), sono figure molto più pallide.

Sotto questo aspetto, von Rad è ancora un seguace di Herder e dei romantici, poiché per lui le «gemme letterarie» sono sempre vici­ne alla sorgente del fiume.

Quale fu l'opera dello Jahwista? Doveva soprattutto completare il «credo» ancora molto scarno e, in seguito, creare legami fra le va­rie componenti della sua composizione. Prima, come già visto, ha uni­to le due tradizioni sulla storia delle salvezza e sul dono della legge al Sinai. Poi ha arricchito l'insieme con tradizioni già esistenti che ha riformulato per farle corrispondere al suo disegno teologico.

Il «piccolo credo storico» menzionava solo Giacobbe (Dt 26,5). Lo Jahwista aggiunge le tradizioni su Abramo e Isacco. Per legare le tradizioni patriarcali con l'esodo, introduce la storia di Giuseppe. L'e­roe di quest'ultimo racconto rappresenta, per von Rad, l'ideale del­l'amministratore saggio che rispecchia lo spirito «illuminato» della corte di Salomone. J fa precedere questa parte introduttiva della sto­ria d'Israele come popolo da un «prologo» universalistico, la storia delle origini (Gn 1-11), che ha come sfondo tutta l'umanità (90).

Lo scopo teologico di von Rad è di dimostrare che la monarchia davidica è, per lo Jahwista, il culmine della storia d'Israele. L'opera letteraria testimonia lo spirito di un'epoca «illuminata». Von Rad par­lerà addirittura di un «illuminismo salomonico» {Salomonische Aufkià-rung (91) Questo periodo esercita sul grande esegeta lo stesso fascino che esercitava su Welihausen. L'idea dell'illuminismo salomonico si percepisce soprattutto nella storia di Giuseppe, perché il protagonista deve trovare la volontà di Dio senza alcun aiuto soprannaturale. Dio non parla mai direttamente a Giuseppe.

Alcuni passi «programmatici» esprimono chiaramente il disegno dello Jahwista, come per esempio, Gn 12,1-3. L'oracolo forma la cer­niera fra la storia delle origini (Gn 1-11) e la storia dei patriarchi, ini­zio della storia d'Israele. Secondo von Rad, Gn 1-11 descrive un mondo dove cresce sempre più il peccato e, di conseguenza, anche la maledizione divina.

Gn 12,1-3 segna una svolta nella storia dell'universo, perché, ih questo momento, la storia di maledizione si muta in una storia in cui Dio promette una «benedizione per tutte le nazioni», tramite Abra­mo (92). La promessa divina si adempie al tempo di Davide e Salomone, quando Israele diventa una «grande nazione» (Gn 12,2) e il «grande nome» è quello conferito a Davide (Gn 12,2; cf. 2 Sam 7,9).

Le «famiglie della terra» sono tutte le popolazioni radunate nel regno di Davide («la terra») che hanno la fortuna di ricevere, grazie alla dinastia davidica, la benedizione divina (93). Gn 12,1-3 contiene dav­vero il «kerygma dello Jahwista» (94).

- Martin Noth e l'Israele premonarchico (95)

Martin Noth e Gerhard von Rad si sono influenzati mutuamen­te. Se von Rad è piuttosto teologo, Martin Noth è anzitutto uno sto­rico (96). Tre o quattro intuizioni di questo esegeta hanno lasciato delle tracce profonde nella storia dell'esegesi.

* II Deuteronomio e l'opera deuteronomistica (97). Secondo Noth, il Deuteronomio attuale, salvo qualche brano più tardivo, è diventato soltanto in uno stadio recente il quinto libro del Pentateuco. In uno stadio anteriore, questo libro fungeva da prefazione alla grande ope­ra che si estende dal libro di Giosuè fino a 2 Rè. Il deuteronomista

- che lavorava durante l'esilio - interpreta tutta la storia d'Israele alla luce della «legge di Mosè» e misura ogni evento o regno secondo que­sto «metro». Ha lasciato la sua firma in alcuni testi caratteristici, per esempio, 2 Rè 17,7-23. Solo con l'aggiunta di Dt 34, il racconto della morte di Mosè, il Dt diventa il quinto libro del Pentateuco.

Inoltre, Noth constata che le fonti del Pentateuco, J, E e P, non sono presenti nel libro di Giosuè. Questo fatto è diffìcile da spiegare, perché - come per von Rad - la «storia d'Israele» sbocca necessaria­mente nell'entrata nella terra.

Secondo Noth, un'ipotesi s'impone: quando si è formato il Pen­tateuco attuale, il racconto della conquista, presente nelle antiche fon­ti, è stato cancellato per lasciar posto a quello che troviamo adesso nel libro di Giosuè. Perciò, Noth suppone nei suoi studi l'esistenza di un Tetrateuco piuttosto che di un Pentateuco o Esateuco.

* I grandi temi del Pentateuco•/Tetrateuco e la «storia della tra­smissione» {Oberile ferungsgeschichte) (98). I vari temi che compongono il Tetrateuco attuale sono stati trasmessi separatamente prima di essere riuniti, dopo un lungo processo redazionale, in una sola opera. Per questa ragione, Noth parla della «storia della trasmissione» (Uherlie-ferungsgeschichte}. I temi originali, allo stadio orale, erano cinque: l'u­scita dall'Egitto, la permanenza nel deserto, l'entrata nella terra, le promesse patriarcali e la rivelazione al Sinai. La parentela con le teo­rie di von Rad è innegabile. Anche per Noth, queste tradizioni sono state trasmesse oralmente nei santuari. Il loro Sitz im Leben è pertan­to cultuale. Le tradizioni erano fissate nella loro sostanza prima della loro redazione scritta. Quando sono intervenuti, gli autori delle fonti J, E e P si sono accontentati di mettere per scritto le tradizioni che erano già giunte alla loro forma quasi definitiva. Hanno quindi ag­giunto ben poco: la storia delle origini sarebbe l'opera di J e le cro­nologie quella di P (99).

* L’anfizionia israelitica (100). Qual era la base istituzionale di queste tradizioni orali? Siccome tutte le tradizioni rispecchiano l'idea che esi­ste un solo Israele, significa logicamente che esistesse già allo stadio orale «un» Israele. Se J ha scritto all'epoca di Davide, bisogna ricer­care questo «Israele» all'epoca precedente, nel periodo dei Giudici.

Occorre pertanto cercare qual era l'organizzazione premonarchi­ca d'Israele che ha reso possibile la formazione e la trasmissione di tradizioni comuni.

Sul modello delle anfizionie greche, Noth ipotizza quindi l'esi­stenza di una simile confederazione di dodici tribù in Israele. Aveva­no un santuario comune, in cui celebravano le loro feste e recitavano le loro «gesta» comuni. Così si è formata, man mano, una tradizione pan-israelitica. Le tribù potevano anche reclutare un esercito per di­fendersi dai nemici comuni e avevano un qualche tipo di organizza­zione politica (101).

* II racconto sacerdotale (102). Nel codice sacerdotale, Noth distingue due strati, uno più antico, che chiama «racconto sacerdotale» (P als Erzablung) e i «supplementi» di tipo legislativo (P5), più recenti, co­me Lv 1-7; 11-15; 17-26. Ritroviamo quindi la distinzione fra «storia» e «legge», come nei lavori di von Rad, ma a proposito del codice sa­cerdotale, e il P di Noth rassomiglia molto a quello di Graf. Per Noth, come per Welihausen prima di lui, P ha fornito agli ultimi redattori e compilatori del Pentateuco (o Tetrateuco) la trama o struttura basila­re della loro opera (103).

 

E. le ALTRE SCUOLE ESEGETICHE

 

II maggiore lavoro esegetico sul Pentateuco proviene dalle uni­versità di lingua tedesca. Altrove, gli esegeti mostrano uno certo ri­serbo dinanzi alle idee diffuse da un ambiente protestante liberale. Nel mondo cattolico, soprattutto, l'entusiasmo era più che limitato.

Nel 1906, un decreto della Pontificia Commissione Biblica riaf­fermava l'origine mosaica del Pentateuco, pur concedendo che Mosè abbia potuto usare fonti e non dovesse avere scritto tutto di propria mano. Tuttavia, all'Ecole Biblique di Gerusalemme, fondata nel 1894, il padre Lagrange già insegnava il metodo storico-critico e la teoria documentaria, malgrado tutte le controversie e le difficoltà incontra­te sul suo cammino (104).

In Scandinavia, gli studi di Gunkel ebbero una grande eco fra gli esegeti (105). Il norvegese S. Mowinckel difese nel 1927 la tesi di un'ori­gine cultuale del decalogo. Secondo lui, i dieci comandamenti faceva­no parte della celebrazione del Capodanno durante il periodo premo­narchico (106). Per il danese J. Pedersen, Es 1-15 è una «leggenda cul­tuale» che veniva recitata durante la celebrazione della Pasqua (107).

Più tardi, gli studi sulla tradizione orale ebbero grande successo in Svezia, specialmente a Uppsala (108). I. Engnell adotta una posizione radicale che mette in questione l'ipotesi documentaria. Secondo i suoi studi, purtroppo interrotti per una morte prematura, la tradizioni an­tiche furono trasmesse oralmente fino all'epoca postesilica.

Solo dopo l'esilio, furono messe per scritto in due fasi. Una scuo­la di ispirazione deuteronomistica fece un primo lavoro di compila­zione, che corrisponde più o meno al Deuteronomio e alla storia deuteronomista di M, Noth (Gs - 2 Rè). A questa opera si aggiunse in seguito un Tetrateuco, frutto di una edizione di stampo sacerdota­le (109). Anche E. Nielsen (Danimarca) pone in rilievo il ruolo essenziale della tradizione orale nella formazione del Pentateuco (110).

Negli Stati Uniti, lo studio dei testi procede di pari passo con le scoperte archeologiche e epigrafìche. I documenti della Mesopotamia, soprattutto di Rash Shamra (Ugarit), danno avvio- a una ricerca in-. stancabile sulla base storica degli avvenimenti descritti nei testi vete-rotestamentari. W.F. Aibright viene spesso considerato come il fonda­tore di questa scuola nordamericana.

F.M. Cross è uno dei suoi rappresentanti più significativi, con G.E. Mendenhall. Una caratteristica della loro ricerca è la volontà di met­tere in relazione la Bibbia con il Medio Oriente antico. Per esempio, Aibright riallaccerà certi usi patriarcali con documenti giuridici sco­perti a Nuzi. Le migrazioni degli antenati d'Israele sono da mettere in relazione con le migrazioni delle carovane di mercanti che usavano asi­ni come animali da soma, secondo quanto viene rappresentato nelle pitture della tomba di Beni-Hasan in Egitto (111).

Mendenhall farà risalire l'alleanza del Sinai fino al dodicesimo se­colo avanti Cristo sulla base d’un parallelo fra la struttura dell'allean­za sinaitica e quella dei trattati di vassallaggio degli Ittiti (112). Cross ipotiz­zerà l'esistenza di un'epopea orale versificata delle origini d'Israele, ana­loga agli scritti ugaritici e anteriore al testo in prosa che conosciamo (113).

In lingua francese, i lavori più importanti sono quelli dell'École Biblique di Gerusalemme. Ho già menzionato il lavoro da pioniere compiuto dal suo fondatore, Lagrange. Purtroppo, non potè pubbli­care il suo commentario alla Genesi. Dopo di lui, i suoi discepoli Abel (114), Vincent e soprattutto R. de Vaux ebbero l'opportunità di con­tinuare il lavoro. Il metodo di R. de Vaux è, sotto certi versi, abba­stanza simile a quello della scuola nordamericana, forse con un accento maggiore posto sullo studio dei testi e delle tradizioni (115).

Non dobbiamo dimenticare che la Bibbia di Gerusalemme, nella sua prima edizione del 1956, è la prima Bibbia e la prima opera ese­getica che può parlare apertamente, e con l'imprimatur, della teoria do­cumentaria nella Chiesa cattolica. A poco a poco, si fa strada l'idea che l'interpretazione critica della Bibbia non minaccia il depositimi fidei.

Al contrario, promuove la comprensione adulta e responsabile dei documenti sui quali si fonda la fede della comunità ecclesiale. I do­cumenti più importanti sono le encicliche Providentissimus Deus (Leo­ne XIII - 1893); Divino afflante spiritu (Pio XII - 1943); Dei Verbum (Concilio Vaticano II); Linterpretazione della Bibbia nella Chiesa, do­cumento della Pontificia Commissione Biblica (1993) (116).

In questi documenti, la Chiesa cattolica riconosce il «diritto di cittadinanza» alla lettura critica della Bibbia. Divino afflante spiritu e Dei Verbum parlano soprattutto della legittimità di una lettura basata sui «generi letterari». Il documento della Pontificia Commissione Bi­blica elenca una serie di metodi e d’approcci che permettono una migliore comprensione dei testi biblici (117) e critica con fermezza un solo tipo di lettura: l'interpretazione fondamentalista.

Nel mondo esegetico ebraico regna una certa diffidenza nei con­fronti del metodo storico-critico e dell'ipotesi documentaria. Troppe affermazioni di Welihausen e di Gunkel rasentano l'antisemitismo. Le loro teorie possono apparire desacralizzanti a più di un'anima religio­sa. Nondimeno, alcuni esegeti adottano il metodo sviluppato nelle uni­versità di lingua tedesca per arrivare a delle conclusioni proprie. Si tratta di Y. Kaufmann e dei suoi discepoli che difenderanno una da­ta alta, preesilica, del documento sacerdotale (118).

U. Cassuto, ebreo di origine italiana, invece, lotterà tutta la vita contro l'ipotesi documentaria (119), e il commentario alla Genesi di B. Jacob si presenta, in gran parte, come una confutazione del commenta­rio di Gunkel allo stesso libro (120).

Conclusione. Questo lungo percorso, alquanto faticoso, mostra che ogni epoca e cultura pone nuove domande al Pentateuco e trova nuove risposte. Verso gli anni '70, il paesaggio esegetico è variegato. Tuttavia, vi è un accordo di fondo sulla base di lavoro che è e rima­ne, per la stragrande maggioranza degli esegeti, l'ipotesi documenta­ria (121). Però questo accordo non era destinato a sopravvivere a lungo.

 

RIFERIMENTI

 

(1) Per questo paragrafo, vedi J.-P. bouhout, («Pentateuque»), «Le Pentateuque chez les Pères», DBS VII, 687-708; vedi anche M. S-EB0 (ed.), Hebrew Bible. Olà Te-stament. Thè tìistory of Its Interpretation. Voi. I. From thè Beginnings to thè Middle Ages (until 1300). Part 1: Antiquity (Góttingen 1996).

 

(2) Vedi J. blenkinsopp, Pentateuch, 1.

 

(3) I più grandi rappresentanti di questa scuola sono Teodoro di Mopsuestia, Gio­vanni Crisostomo e Teodoreto di Ciro.

 

(4) Per una spiegazione, vedi, per esempio, E.V. McKiMIGHT, Post-Modern Use of thè Bible. Thè Emergence of Reader-Oriented Criticism (Nashville 1988) 29-44.

 

(5) La distinzione fondamentale fra «lettera» e «spirito» si ritrova nella dottrina dei «quattro sensi della Scrittura», specialmente neB'esegesi dell'Antico Testamento: sen­so letterale - senso allegorico o cristologico - senso tropologico o morale - senso ana­gogico o mistico. I sensi allegorici, tropologici e anagogici sono solo delle suddivisioni del senso spirituale. Vedi l'opera fondamentale di H. DE lubac, Exégèse medievale:

les quatre sens de l'Ecrzture (Paris 1959-1964); id., L'Ecriture dans la tradition (Paris 1966).

 

(6) Vedi E. auerbach, Mimesis. Dargestellte Wirkiichkeit in der abendiandischen Li-teratw (Bern 1946); M.H. abrams, Thè Mirrar and thè Lamp (New York 1953).

 

(7) Vedi H. cazelles, («Pentateuque»), «L'époque medievale», DBS VII, 708-728.

 

(8) Vedi J. blenkinsopp, Pentateuch, 2.

 

(9) Ibid.

 

(10) Vedi A. lods, Histoire de la littératwe hébra'ique et juive (Paris 1950) 86-87.

 

(11) Vedi H. cazelles, («Pentateuque»), «L'exégèse des temps modernes», DBS Vili, 728-736.

 

(12) La Bibbia di Gutenberg si chiama Bibbia a quarantadue righe. La prima edizio­ne stampata della Bibbia Ebraica è quella di Solicino (1477). Lo stampatore D. Bom-berg pubblica nel 1518 a Venezia una prima Biblia rabbinica (Bibbia con Masora, targum e una selezione di commentatori medievali) e una seconda, più importante, nel 1524/1525, il cui curatore è Jacob ben Chayyim e che rimarrà per secoli il textus re-ceptus. Sarà sostituita solo nel 1929 dalla Bibita Hebraica di R. Kittel e P. Kahie. Per la LXX, le prime due edizioni stampate sono l'Aldina (Venezia 1518) e la Complu­tensis (Alcalà 1521).

 

(13) Fra i più celebri umanisti, occore elencare Melantone (Philipp Schwarzerd; 1497-1560), discepolo e successore di Luterò, e Tommaso Moro (1478-1535), amico di Era­smo. In Italia, vi sono molti umanisti. Occorre menzionare almeno Giovanni Pico della Mirandola (Mirandola 1463 - Firenze 1494) e Marsilio Ficino (Figline Valdarno 1433 - Careggi 1499).

 

(14) Segnaliamo solo gli autori più importanti. Altri, però, hanno messo in dubbio l'origine mosaica del Pentateuco o almeno di alcune delle sue parti, specialmente Dt 34 che racconta la morte di Mosè. Si tratta di D.A. Bodenstein Karistadt (1486-1541), Andrea Masius (Andre Maes; Anversa 1516-1573), del filosofo inglese Thomas Hob-bes (1588-1679), del vescovo di Avila, Tostatus, di B. Pereyra e Bonfrère... Già il Tal­mud attribuiva la redazione di Dt 34 a Giosuè {Babà Bathra 14b-15a). Molti di questi autori pensano ad Esdra come autore finale del Pentateuco. Sarà anche il caso di Spi­noza e Richard Simon.

 

(15) Vedi H. cazelles, «Pentateuque», 731-733.

 

(16) Vedi H. cazelles, «Pentateuque», DBS VII, 730-731; J. steinmann, Richard Simon et les origines de l'exégèse biblique (Paris-Bruges 1959). Per altri particolari e una bibliografia più ampia, vedi C. houtman, Pentateuch, 43-48.

 

(17) Richard Simon pubblicò ancora due opere importanti: Histoire critique du tex-te du Nouveau Testament (1689) e Histoire critique des versions du Nouveau Testament (1690).

 

(18) Vedi A. DE pury - th. RÓMER, Pentateuque, 15-16.

 

(19)' Vedi A. lods, «Un precurseur allemand de Jean Astruc: Henning Bernhard Witter», ZAW 43 (1925) 134-135; cf. H. bardtke, «Henning Bernhard Witter. Zur 250. Wiederkehr seiner Promotion zum Philosophiae Doctor am 6. November 1704 zu Heimstedt», ZAW 66 (1954) 153-181.

 

(20) Vedi la sua opera Conjectures sur les mémoires originaux dont il paraìt que Moy-se s'est servi pour composer le recit de la Genèse (Bruxelles 1753). L'opera, però, fu stampata a Parigi.

 

(21) J.G. eichhorn, Einleitung in das Alte Testament I-II (Góttingen 1780-1783). Su questo esegeta, vedi R. smend, Deutsche Alttestamentler in drei]'ahrhunderten (Gót­tingen 1989) 25-37.

 

(22) Vedi R.C. fuller, Alexander Geddes, 1737-1802. Pioneerof Biblical Exegesis (Sheffield 1984); J. rogerson, Olà Testament Criticism in thè Nineteenth Century. Eng-lanà and Germany (London-Philadelphia, PA 1984) 154-157.

 

(23) Vedi A. geddes, Thè Holy Bible as thè Books Accounted Sacred by Jews and Christians (London 1792); id., Criticai Remarks (London 1800).

 

(24) J.S. vater, Commentar ùber den Pentateuch I-III (Halle 1802-1805).

 

(25) W.M.L. DE wette, Beitrage wr Einleitung in das Alte Testament (Halle 1806-1807).

 

(26) C. houtman, Pentateuch, 93-94.

 

(27) H. ewald, recensione di J.J. stahelin, Kritische Untersuchung ùber die Gene-sis (Basel 1830), in Theologische Studien und Kritiken (1831) 595-606; prima, Ewald aveva difeso l'unità della Genesi; vedi H. ewald, Die Composition der Genesis kri-tìsch untersucht (Braunschweig 1823). La teoria dei complementi sarà sostenuta da E bleek, De libri Geneseos origine atque indole historica observationes (Bonn 1836); id., Einleitung in das Alte Testament (Berlin '1829); J.C.E tuch, Commentar ùber die Ge­nesis (Halle 1838; 21871); vedi anche W.L.M. DE wette, Einleitung (Halle '1840,  1845). H. ewald svilupperà una teoria assai complessa sulle origini dell'Esateuco nel­la sua «storia d'Israele»: Geschichte des Volkes Israels bis Christus I-II (Góttingen 1843-1845; 1864).

 

(28) Ewald ebbe delle difficoltà con il governo della Prussia perché rifiutò di giura­re lealtà nel 1867. Fu costretto a lasciare l'insegnamento presso l'Università di Gót­tingen.

 

(29) Vedi R.A. ogden, «Intellectual History and thè Study of thè Bible», Thè Fu­ture of Biblical Studies (ed. R.E. friedman - H.G.M. williamson) (Semeia Studies; Atlanta, GA 1987) 1-18, spec. 1-6. per il mondo cattolico. Concretamente, appare la necessità di separare il contenuto religioso della Bibbia da alcune ipotesi sulle sue origini.

 

(30) II teologo protestante Friedrich Schleiermacher (1768-1834), amico di de Wet­te, difenderà idee simili.

 

(31) I principali sono W. von Humboldt, J.G. Droysen e soprattutto G. von Ranke.

 

(32) Cf. anzitutto W. vatke, Die biblische Theologie wissenschaftlich àargestellt (Ber-lin 1835), che divide la storia d'Israele in tre periodi, secondo uno schema hegeliano:

La religione primitiva e naturale dell'epoca dei Giudici e della monarchia unita. Alla fine della monarchia, i profeti purificano la religione d'Israele che diventa più idealistica, morale e spirituale. Infine, dopo l'esilio, domina il legalismo. L'ultimo periodo è dunque il contrario di un apogeo. Cf. L. perlitt, Vatke und Welihausen (BZAW 94;

Berlin - New York 1965); A. DE pury - th. RÒMER, «Pentateuque», 28.

 

(33) Vedi J.W rogerson, W.M.L. de Wette: Founder of Modern Biblica! Criticism. ah Intellectual Biography (JSOTS 126; Sheffield 1992); vedi anche, per una breve bio­grafia, R. smend, Deutsche Alttestamentler, 38-52.

 

(34) W.M.L. DE wette, Dissertatio critica qua Deuteronomium diversum a prioribus Pentateuchi libris, alius cuiusdam recentioris autoris opus esse demonstratur (Jena 1805).

 

(35) Per un riassunto delle discussioni recenti, vedi ch. conroy, «Reflexions on thè Exegetical Task. A propos of Recent Studies on 2 Kgs 22-23», Pentateuchai and Deu-teronomistic Studies. Papers Read at thè XIIIfh IOSOT Congress Leuven 1989 (eds. ch. bkekelmans - J. lust) (BETL 94; Leuven 1990) 225-268; A. de pury - th. RÓMER -J.-D. macchi, Israèl construit son histoire. L'historiographie deutéronomiste a la lumière des recherches recentes (Le monde de la Bible 34; Genève 1996); E. eynikel, Thè Reform o f King Josiah and thè Composition of thè Deuteronomistic History (OTS 33;

Leiden 1996).

 

(36) II mondo dell'esegesi biblica non è isolato. Al tempo di de Wette, gli studiosi della letteratura classica applicavano lo stesso metodo agli autori greci e latini. Frie­drich August Wolf, per esempio, dimostrava il carattere composito delle opere di Ome­ro nel suo libro Prolegomena w Homer. Cf. J. blenkinsopp, Pentateuch, 6.

 

(37) K.-D. ilgen, Die Urkunden des ]erusalemer Tempelarchivs in ihrer Urgestalt, als Beytrag wr Berichtigung der Geschichte der Religion una Politsk aus dem Hebraischen mit kritischen und erkiarenden Anmerkungen, auch mancherley daw gehorenden Abhandiungen. Theil I: Die Vrkunden des ersten Buchs von Moses (Halle 1798).

 

(38) Su questo esegeta, vedi B. seidel, Karl David Ilgen und die Pentateuchforschung ìm Umkreis der sogenannten Urkundenhypothese: Studien wr Geschichte der exegeti-schen Hermeneutik in der spaten Aufkiàrung (BZAW 213; Berlin - New York 1993).

 

(39) H. hupfeld, Die Quellen der Genesis und die Art ihrer Zusammensetwng von neuem untersucht (Berlin 1853).

 

(40) C. houtman, Pentateuch, 95.

 

(41)E. riehm, Die Gesetzgebung Moses im Lande Moab (Gotha 1854).

 

(42) Vedi la sua opera più tardiva: E. reus, Die Geschichte der Heiligen Schrifìen Al­teri Testamenti (Braunschweig 1881).

 

(43) K.H. graf, Die Geschichtiichen Bùcher des Alten Testaments. Zwei historisch-kritischen Vntersuchungen (Leipzig 1866).

 

(44) A. kuenen, Historisch-kritisch onderzoek naar het ontstaan en de verzameling van de boeken des Ouden Verbonds (Leiden 1861); id., «Critische bijdragen tot de ge-schiedenis van den Israèliotischen godsdienst. V. De priestelijke bestanddeelen van Pentateuch en Josua», Theologisch Tydschrifa 4 (1870) 391-426, 487-526. Vedi anche J.F.L. george, Die alteren jùdischen Feste mit einer Kritik der Gesetzgebung des Pen-tateuchs (Berlin 1835).

 

(45) Su questo autore, vedi R. smend, Deutsche Alttestamentler, 99-113. J. Weli­hausen fu professore successivamente a Greifswaid, Halle, Marburg e Góttingen.

 

(46) Traduzione inglese: Prolegomeni! to thè History of Israel. With a Reprint of thè article Israel from thè Encyclopaedia Britannica. Preface by W. Robertson Smith (Re-prints and Translation Series; Altanta, GA 1994). La prima traduzione fu fatta da W. Robertson Smith, che perse la sua cattedra a Aberdeen nel 1881, a causa della sua sim­patia per le idee di Welihausen. Lo stesso accadde a John William Colenso, vescovo anglicano di Natal (Sud Africa), che fu deposto nel 1869, poiché nei suoi libri aveva diffuso teorie sul Pentateuco provenienti dalla Germania. Vedi J. blenkinsopp, Pen­tateuch, 12.

 

(47) W. vatke, Biblische Theologie (n. 32).

 

(48) E crosemann, Der Widerstand gegen das Kònigtum (WMANT 49; Neukirchen-Viuyn 1978) 3-9.

 

(49) J. wellhausen, Prolegomena, 3-4.

 

(50) Nella prima parte dei Prolegomena, Welihausen studia: i centri cultuali, i sacri­fici, le feste, i sacerdoti e i leviti e l'organizzazione del sacerdozio (tasse, decima e al­tre imposte). Vedi un riassunto in H. cazelles, «Torah ou Pentateuque», 122-124; A. DE pury - th. RÓMER, «Pentateuque», 26-27.

 

(51) Vedi L. perlitt, «Hebraismus - Deuteronomismus -Judaismus», Biblische Theo-logie una gesellschaftlicher Wandel (FS. N. Lohfink; [Hrsg. G. braulik - W. grob -S. mcevenue] Freiburg im Breisgau 1993) 279-295.

 

(52) Su questo punto, Welihausen sbaglia. P conosce solo due alleanze, quella con Noè (Gn 9) e quella con Abramo (Gn 17).

 

(53) Vedi J. blenkinsopp, Pentateuch, 9.

 

(54) Dopo Welihausen, nella prima metà del ventesimo secolo, si tenderà a dare una data più alta alle fonti, specialmente per quanto riguarda lo Jahwista. G. von Rad, per esempio, lo fa risalire all'epoca di Davide e Salomone.

 

(55) Su questo metodo, vedi l'opera classica di K. koch, Was ist Tormgeschichte? Neue Wege der Bibelexegese (Neukirchen-VIuyn 21967).

 

(56) Per il cattolicesimo francese, vedi J. briend, «Lecture du Pentateuque et hy-pothèse documentaire», Le Pentateuque. Débats et recherches (ed. P. haudebert) (LD 151; Paris 1992) 9-32, spec. 10-20. Vedi anche J. blenkinsopp, Pentateucho, 12-13;

A. DE pury - th. RÓMER, «Pentateuque», 44-48.

 

(57) Vedi A. DE pury - th. RÒMER, «Pentateuque», 29-31; J. blenkinsopp, Penta-teuch, 13-14. Per esempio Bruno Baentsch distinguerà sette «fonti sacerdotali», cia­scuna con una prima e talvolta una seconda redazione.

 

(58) Vedi R.A. ogden, «Intellectual History», 6-10.

 

(59) Paul-Emile Botta a Khorsabad; Austen Henry Layard a Ninive.

 

(60) Jean-Francois Champollion decifra i geroglifici (la Pietra di Rosette e soprat­tutto l'obelisco di Philae) nel 1821. Pubblica i suoi risultati l'anno seguente nella sua Lettre a M. Dacier relative a l'alphabet des hiéroglyphes phonétiques (1822). Il Major Henry Creswicke Rawlison decifra l'iscrizione trilingue di Besitun (Dario I), nel 1849.

 

(61) Un rappresentante importante di questa scuola è Max Miiller.

 

(62) J. grimm - W. grimm, Kinder- und Hausmarchen (Marburg 1812-1815).

 

(63) «Wer also eine antike Gattung verstehen will, hat zunàchst zu fragen, wo sie ih-ren Sitz im Volksleben habe» - H. gunkel, «Die israelitische Literatur», Die Kultur der Gegenwart: die orientalischen Literaturen (Hrsg. P. hinneberg) (Berlin - Leipzig 1906) 53; vedi anche «Die Grundprobleme der israelitischen Literaturgeschichte», Deutsche Literaturzeitung 27 (1906) = Reden und Aufsatze (Góttingen 1913) 21-38, spec. 33; «Jede alte literarische Gattung hat ursprunglich ihren Sitz im Volksleben Israels an ganz bestimmter Stelle» - «Ogni antico genere letterario ha le sue radici nel­la vita d'Israele in un posto preciso».

 

(64) H. gunkel, Genesis, xxxi; P. gibert, Une théorie de la legende: Hermann Gunkel (1862-1932) et les légendes de la Bible (Paris 1979) 289. Purtroppo, si deve di­re che l'ipotesi di Gunkel in questo caso è probabilmente sbagliata. Non siamo nella Germania del secolo XIX, ma nel Medio Oriente antico. Esistono, ancora oggi, nel mondo arabo, dei «narratori professionisti» che raccontano le leggende e le gesta di una volta durante le feste; oppure, ogni tanto, sulla piazza del mercato. Altri pensano alla «porta della città».

 

(65) J. blenkinsopp, Pentateuch, 6.

 

(66) H. gunkel, «Grundprobleme», Reden una Aufsàtze, 14: «Exegese im hóchsten Sinne ist mehr eine Kunst als eine Wissenschaft». Gunkel criticava i suoi colleghi ese­geti per la loro scarsa sensibilità artistica. Citando Eduard Reuss, parlava dei «dotti Filistei» (gelehrtes Philistertum}; vedi H. gunkel, «Ruth», Reden und Aufsàtze, 65-92, spec. 85.

 

(67) «Die Rechte Form ist der notwendige Ausdruck des Inhalts» - H. gunkel, «Grundprobleme», Reden una Aufsàtze, 23.

 

(68) In tedesco: Gattung.

 

(69) Vedi R. smend, Deutsche Alttestamentler, 160-181.

 

(70) Su H. gunkel, vedi W. klatt, H. Gunkel. Zu seiner Theologie der Religions-geschichte und zur Entstehung der formgeschichtiiche Methode (FRLANT 100; Gottin-gen 1969); P. gibert, Une théorie de la legende (vedi nota 64).

 

(71) Altre opere importanti: H. gunkel, Schòpfung und Chaos in Urzeit und End-zeif, eine religionsgeschichfliche Untersuchung ùber Gen. 1 und Ap. Joh. 12 (Góttingen 1894, '1921); id., Die Psalmen (Góttingen "1926); H. gunkel - H. begrich, Einlei-tung in die Psalmen (Góttingen 1933). Altri pionieri della stessa scuola: WolfGrafBau-dissin (1874-1927); Albert Eichhorn (1856-1926); Hugo Gre&nann (1877-1927), autore di Mose una seine 7.eit. Ein Rammentar zu den Mose-Sagen (FRLANT 18; Gót­tingen 1913).

 

(72) La traduzione del termine tedesco «Sage» ha creato non pochi problemi. Pre­feriamo la traduzione più neutra «storia». Si potrebbe anche dire «storia eroica». Ve­di P. gibert, «Legende ou Saga?», VT 24 (1974) 411-420; J.J. scullion, «Marchen, Sage, Legende'. Towards a Clarification of Some Literary Terms Used by Oid Testa-ment Scholars», VT34 (1984) 321-336.

 

(73) In tedesco: Sagenkrdnze.

 

(74) Esistono traduzioni di alcune opere di Gunkel in inglese: H. gunkel, Thè Le-gends of Genesis: Thè Biblical Saga and History (New York 1964); id., Thè Foiktales of thè Olà Testament (Historic Texts and Interpreters in Biblical Scholarship 5; Shef-field 1987). In francese, vedi P. gibert, Une théorie de la legende.

 

(75) Vedi H.J. boecker, Rechi una Gesetz im Alteri Testament und im Alten Orient (Neukirchener Studienbucher 10; Neukirchen-VIuyn 1976) 167. Nell'esegesi neotesta­mentaria, esiste una tendenza simile: la ricerca degli ipsissima verba di Gesù Cristo (cf.

J. jekemias).

 

(76) Su A. Alt, vedi R. smend, Deutsche Alttestamentler, 182-207.

 

(77) A. alt, Der Goff der Vater. Ein Beitrag wr Urgeschichte àer israelitischen Reli-gion (BWANT 3; Stuttgart 1929) = Kleine Schriften wr Geschichte des Volkes ìsrael I (Munchen 1953) 1-77.

 

(78) A. alt, Kleine Schriften I, 47. Vedi H. weidemann, Die Patriarchen und ihre Religion im Licht der Forschung seit ]ulius Welihausen (FRLANT 94; Gottingen 1968). Questa tesi è stata radicalmente contestata da M. KÓCKERT, Vàtergott und Và'fer-verheijìungen. Eine Auseinandersetwng mit Aibrecht Alt tinil seinen Erben (FRLANT 148; Gottingen 1988). I testi studiati da Alt risultano tardivi e hanno come primo sco­po di creare un collegamento teologico fra i cicli narrativi dei vari patriarchi.

 

(79) Alt studierà anche le origini dell'insediamento d'Israele e introdurrà l'idea del­la «sedentarizzazione progressiva» dei seminomadi. Vedi A. alt, Die Landnahme der Israelifen in Palastina (Leipzig 1925) = Kleine Schriften I, 89-125; id., «Erwàgungen zur Landnahme der Israeliten in Palastina», P/53 (1939) 8-63 = Klein Schriften I, 126-

175; id., Die Staatenbildung der Israeliten in Palastina (Leipzig 1930) = Kleine Schrif­ten II, 1-65.

 

(80) A. alt, Die Vrsprùnge des israelitischen Rechts (Leipzig 1934) = Kleine Schrif­ten I, 278-332.

 

(81) Le affermazioni di Alt sono difficili da verificare. .Finora, gli archeologi non han­no ritrovato alcuna traccia del «diritto cananeo». Quanto al passato nomade d'Israe­le, pure questo non ha lasciato alcuna traccia scritta. Per di più, il diritto apodittico è anche presente nel diritto del Medio Oriente antico, benché tali formulazioni siano meno frequenti che in Israele.

 

(82) Per una critica, vedi H.J. boecker, Rechi una Gesetz, 166-180 (con bibliogra­fia).

 

(83) Su von Rad, vedi R. smend, Deutsche Alttestamentler, 226-254. Opera princi­pale: Dos Formgeschichtiiche Problem des Hexateuch (BWANT 78; Stuttgart 1938) = Gesammelte Studien wm Alten Testament (TBu 8; Munchen. 1958) 9-86; tr. inglese:

 

(84) Vedi M.H. abrams, Thè Mirrar and thè Lamp (New York 1953).

 

(85) Cosa direbbe G. von Rad se dovesse leggere alcune monografie recenti sul Pen­tateuco?

 

(86) In tedesco: Leztgestalt o Endgestalt. Vedi G. VON rad, Problem, 1-2.

 

(87) Nel Nuovo Testamento, gli esegeti ritrovano un «nucleo» dei vangeli nel «keryg-ma pasquale»; cf. Atti 10,36-43; 1 Co 15,3-8.

 

(88) Vedi H.H. schmid, «Auf der Suche nach neuen Perspektiven fiir die Penta-teuchforschung», Congress Volume. Vienna 1980 (ed. J.A. emekton) (VTS 32; Leiden

 

(89) La teoria di von Rad sui «piccoli credo storici» non è resistita agli attacchi dei critici. I testi fondamentali sono infatti dei riassunti recenti di fattura deuteronomica e deuteronomistica che non possono quindi stare all'inizio del processo di composi­zione letteraria.

 

(90) In realtà, la storia Jahwista delle origini inizia solo in Gn 2,4b.

 

(91) G. VON rad, «Josephsgeschichte und altere Chokma», Congress Volume. Co-penhagen 1952 (VTS 1; Leiden 1953) 120-127 = Gesammelte Studien wm Alten Te-stament (TBù 8; Munchen '1961) 272-280; cf. id., Problem, 75-76; id., Der Heilige Krieg im alten Israel (ATANT 20; Zùrich 1951) 39-42; id., Dos ente Buch Mose. Ge-nesis (ATD 2-4; Gòttingen 1949; '1964) 20-21; 379-384; id., Theologie des Alten Te-staments I (Munchen 41962) 62, 70. Cf. A. de pury - th. RÓMER, «Pentateuque», 42.

 

(92) Von Rad intende in questo senso Gn 12,3b: «In tè saranno benedette tutte le famiglie della terra». Questa interpretazione, tuttavia, non si impone. E più verosimi­le che significhi «tutte le famiglie della terra si benediranno con il tuo nome»; in al­tre parole: «tutte le famiglie della terra si benediranno dicendo: siate benedetti come Abramo». Vedi E. blum, Komposition, 349-352, e i paralleli: Gn 48,20; Sai 72,17; Ger 29,22; Zac 8,13.

 

(93) L'analogia con il messaggio di Rom 1 è palese: le nazioni sono sotto la «collera divina» e la salvezza viene dalla fede in Gesù Cristo, figlio di Davide.

 

(94) L'espressione viene da H.W. wolff, «Das Kerygma des Jahwisten», EvTh 24 (1964) 73-98 = Gesammelte Studien wm Alten Testamene (TBu 22; Miinchen 1964) 345-373. Le critiche non sono mancate neanche in questo caso. Gn 12,1-3 è, con gran­de probabilità, un testo tardivo, postesilico. Inoltre, il legame con il regno davidico è tenue.

 

(95) Su questo esegeta, vedi R. smend, Deutsche Alttestamentler, 255 275. Opere im­portanti di M. noth: Vberlieferungsgeschichtiiche Studien. Die sammeinden und bear-beitenden Geschichtswerke im Alten Testament (Tubingen 1943, '1957); id., Vberliefe-rungsgeschichte des Pentateuch (Stuttgart 1948); id., Geschichte Israels (Gòttingen 1960, "1966).

(96) Vedi J. blenkinsopp, Pentateuch, 17.

 

(97) M. noth, Vberlieferungsgeschichtiiche Studien, 3-110 («Das deuteronomistische Werk [Dtr]»).

 

(98) M. noth, Uberlieferungsgeschichte; tr. inglese: A History of Pentateuch al Tradi-tions (Englewood Cliffs, NJ 1972 - Chico, CA 1981).

 

(99) Nella ricerca di Noth fa spesso capolino la sua forte avversione verso il nazional-socialismo del suo tempo. Per esempio, Noth esclude Mosè dalle tradizioni del­l'esodo, del deserto e del Sinai. L'unico punto fermo della tradizione mosaica è la menzione della sua tomba. Il Deuteronomista sarà il primo a dare alla figura di Mosè un posto unico nelle tradizioni sulle origini d'Israele. Per esempio, la tradizione più antica dell'esodo attribuiva la missione di liberazione agli anziani, non a Mosè. Basta usare una parola tedesca per capire l'allusione: Israele non è stato liberato e salvato da un Fùhrer («guida», «duce»). Nello stesso modo, Noth esalta la «confederazione» delle tribù che precede la monarchia davidica. L'essenziale della fede d'Israele pro­viene da questa epoca e i tempi seguenti non vi hanno aggiunto niente. Infine, la sua visione molto pessimistica della storia deuteronomistica che descrive, grosso modo il fallimento della monarchia è stata elaborata a Konigsberg — oggi Kaliningrad — du­rante la seconda guerra mondiale. Come Noth, il deuteronomista è una persona indi­pendente, che non appartiene a nessuna istituzione, e giudica senza illusioni gli avvenimenti del suo tempo. Vedi A. DE pury - th. RóMER - J.-D. macchi, Historio-graphie deutéronomiste, 36.

 

(100) M. NOTH, Dos System der wòlf Starnine Israels (BWANT 52; Stuttgart 1930).

 

(101) La tesi è fragile, perché ha pochi riscontri nei testi. Oggi la tesi è stata abban­donata. Vedi S. herrmann, «Das Werden Israels», TLZ 87 (1962) 561-574; id., Ge-schichte Israels in alttestamentlicher Zeit (Mùnchen 1973) 116-166; G. fohrer, «"Amphictyonie" und "Bund"?», TLZ 91 (1966) 801-816; 893-904 = Studien wr alt testamentlichen Theologie und Geschichte (1949-1966) (BZAW 115; Berlin - New York 1969) 84-119; R. smend, «Gehórte Juda zum vorstaatlichen Israel?», Fourth Worid 'Congress of Jewish Studies (Jerusalem 1967) 57-62; R. DE vaux, «La thèse de l'amphictyonie israélite», Studies in Memory of Paul Lapp, HTR 64 (1971) 415-436 = Histoire ancienne d'Israél 2. La periodo des Juges (EB; Paris 1973) 19-36; C.H.G. DE geus, Thè Tribes of Israel. An Investigation of thè Presuppositions of Martin Noth's Amphictyony Hypothesis (SSN 18; Assen - Amsterdam 1976); F. crusemann, Der Wi-derstand gegen das Kónigtum, 194-222; N.K. gottwald, Thè Tribes ofYahweh. A So-ciology ofLiberated Israel (New York 1979); ch. levin, «Das System der zwólf Stamme Israels», Congress Volume. Paris 1992 (ed. J.A. emerton) (VTS 61; Leiden 1995) 163-178. Per un riassunto della questione, vedi O. BÀCHLI, Amphictyonie im Alteri Testa-ment (TZ Sonderband VI; Basel 1977); A.D.H. mayes, «Thè Theory of thè Twelve Tribe Israélite Amphictyony», Israélite and]udaean History (ed. J.H. hayes - J.M. mil-LER) (OTL; Philadelphia, PA - London 1977) 297-308.

 

(102) M. noth, Vberliferungsgeschichte, 7-8.

 

(103) Vedi A. DE pury - th. RÓMER, «Pentateuque», 38-39.

 

(104) M.J. lagkange, La méthode historique surtout a propos de l'Anden Testament (ÉB; Paris 1903; 1966); per altri particolari su questa grande figura, vedi id., L'Écri-ture dans l'Église: Choix de portraits et d'exégèse spirituelle (1890-1937) (LD 142; Pa­ris 1990).

 

(105) Sulla scuola scandinava, vedi l'articolo di E. nielsen, «Thè Tradition-Histori-cal Study of thè Pentateuch sirice 1945, with Special Emphasis on Scandinavia», Thè Production of Time. Tradition History in OU Testament Scholarschip (eds. K. jeppesen - B. otzen) (Sheffield 1984) 11-28.

 

(106) S. mowinckel, Le décalogue (Paris 1927).

 

(107) J. pedersen, «Passahfest und Passahiegende», ZAW 52 (1934) 161-175. «Leg­genda» è una parola tecnica che significa: «racconto edificante a proposito di una per­sona o di un luogo santo». La parola viene dal latino legere, «leggere». «Legenda» significa letteralmente: «cose da leggere» e designava i racconti che i monaci .doveva­no leggere in certe occasioni.

 

(108) Lo stesso vale per il Nuovo Testamento, fino ad oggi. Vedi, per esempio, le opere di Gerhardsson e Riesenfeld.

 

(109) I. engnell, Gamia Testamentet I (Stockholm 1945); id., «Methodological Aspects of Oid Testament Study», VT 7 (1960) 13-30; id., A Rigid Scrutiny. Criticai Essays on thè Oid Testament (London - Nashville, TN 1969).

 

(110) E. nielsen, Orai Tradition (London 1954).

 

(111) W.E albkight, «Abram thè Hebrew. A New Archaeological Interpretation», BASOR 163 (1961) 36-54.

 

(112) G.E. mendenhall, «Covenant Forms in Israelite Tradition», BA 17 (1954) 50-76 = Law and Covenant in thè Ancient Near East (Pittsburgh 1955).

 

(113) F.M. cross, Canaanite Myth and Hebrew Epic. Essays in thè History of thè Religion of Israel (Cambridge, MA 1973).                        :

 

(114) Vedi soprattutto EM. abel, Géographie de la Palestine I-II (EB; Paris 1933, '1967); id., Histoire de la Palestine depuis la conquète d'Alexandre jusqu'à l'invasion arabe I-II (EB; Paris 1952).

 

(115) R. DE vaux, Bible et Orient (Cogitano Fidei 24; Paris 1967); trad. inglese: Thè Bible and thè Ancient Near East (Garden City^NY 1971); id., Histoire ancienne d'Is-rael. Des origines a l'installation en Canaan (EB; Paris 1971); id., Histoire ancienne d'israel. II: La période des ]uges (EB; Paris 1973).

 

(116) Su questi documenti, vedi P. laghi - M. gilbert - A. vanhoye, Chiesa e Sa­cra Scrittura: un secolo di magistero ecclesiastico e di studi biblici (SBib 17; Roma 1994).

 

(117) L'interpretaziune della Scrittura nella Chiesa (Città del Vaticano 1993). Il testo esiste in varie lingue.

 

(118) Y. kaufmann, «Probleme der israelitisch-judischen Religionsgeschichte», ZAW 48 (1930) 23-43; id., Thè Religion of Israel. From Its Beginning until thè Babylonian Exzle (Chicago 1960). Vedi anche, nella stessa linea, M. haran, T'empie and T'empie Services in Ancient Israel (Oxford 1979). Su questa scuola, vedi T.M. krapf, Die Prie-sterschrift una àie vorexilische Zeit. Yeezkel Kaufmanns vernachlassigter Beitrag wr Ge-schichte der biblischen Religion (OBO 119; Freiburg Schweiz - Góttingen 1992).

 

(119) U. cassuto, Thè Documentary ÌTypothesis and thè Composition of thè Penta-teuch (London 1961).

 

(120) B. jacob, Das erste Buch der Torà. Genesis (Berlin 1934); vedi. anche id., Thè SecondBook of thè Bible. Exodus (New York 1992) [Ebraico: 1945].

 

(121) Vedi le «Introduzioni all'Antico Testamento» dell'epoca, in tedesco: O. El6-FELDT, Einleitung in das Alte Testament (Tubingen '1964); E. sellin - G. fohker, Einleitung in das Alte Testament (Heidelberg '1965); O. kaiser, Einleitung in das Al­te Testament (Gùtersioh 1969); in francese: H. cazelles, «La Torah ou Pentateuque», Introduction a la Bible. II. Introduction critique a l'Ancien Testament (ed. H. cazel-LES) (Paris 1973) 95-244; in inglese: H.H. rowley, Thè Growth of thè Olà Testament (London 1950); C.R. north, «Pentateuchai Criticism», Thè Oid Testament anci Mod-ern Study (ed. H.H. rowley) (Oxford 1951) 48-83; R.E. clements, «Pentateuchai Problems», Traditions and Interpretations (ed. G.W. anderson) (Oxford 1979) 96-124; in italiano: J.A. soggin, Introduzione all'Antico Testamento (Brescia 1974).