GAPITOLO VII
GLI SVILUPPI RECENTI NELL‘ESEGESI
DEL PENTATEUCO
Negli ultimi anni regna una grande confusione nell‘esegesi del Pentateuco e
non si vede ancora come uscire da questa situazione complicata. Tuttavia, non
mi pare utile fare solo l‘elenco delle varie opinioni e fornire una lunga
lista di autori di varie provenienze.
Come nel capitolo precedente, il mio primo scopo sarà anzitutto di cercare
il perché di tante metodologie diverse. Ogni problematica è radicata in un
ambiente culturale che permette di capirla meglio. Anche gli esegeti sono figli
o figlie del loro tempo e la lettura degli studi sul Pentateuco lo conferma
abbondantemente.
A. LE GRITICHE
ALL‘IPOTESI DOCUMENTARIA
1. IL retroterra culturale e intellettuale degli anni '70 (1)
Attorno agli anni ‘70, il clima esegetico cambia notevolmente. Vari
fattori contribuiscono a questo mutamento. La seconda guerra mondiale aveva
lasciato dietro a sé un‘Europa profondamente lacerata. Un mondo era sparito
nelle distruzioni e il mondo sorto dalla macerie era diviso dalle ideologie.
Nel 1968, quasi dappertutto nel mondo, il movimento studentesco dà voce ai
sentimenti di una nuova generazione, nata dopo la guerra (2).
In teologia appaiono nuovi temi, come la «teologia della morte di Dio»,
<da secolarizzazione», la «teologia della liberazione» o «teologia della
speranza». L‘influsso della psicologia e della sociologia si fa sentire sempre
più nel mondo intellettuale. La linguistica, scienza nuova, comincia a fare dei
discepoli fra gli esegeti.
Nell‘esegesi del Pentateuco, si assiste a una sorta di «morte del padre». 1
grandi maestri del passato vengono tutti criticati e le fondamenta della
ricerca cominciano a tremare. In questo periodo, gli esegeti non si
accontentano di discutere i dettagli di tale o tale teoria.
Vanno ben oltre rimettendo in questione i presupposti della ricerca (3).
L‘ipotesi documentaria si ritrova sul banco degli accusati (4) e, in
certi ambienti, anche l‘esegesi storico-critica è sotto accusa.
Nel mondo anglo-sassone, si assiste a un influsso maggiore della «nuova
critica» letteraria. Il metodo insiste sull‘autonomia del testo letterario e
della scienza letteraria che lo studia. Per capire un testo non si deve
necessariamente spiegare la sua origine, come voleva la critica letteraria al
tempo di Weilhausen e fino a Noth.
Cercare le fonti, le origini e la genesi di un testo è uno studio storico.
Lo studio letterario prescinde dalla storia del testo e dal suo autore (o dai
suoi autori) per spiegarlo come sta — prout iacet —‚ nella sua stesura
finale o, come dirà Childs, nella- sua forma «canonica» (6).
La parola importante in quest‘ultima frase è l‘aggettivo «finale», Se,
durante tutto il periodo dominato dalle idee del romanticismo tedesco, si
ricercavano i valori autentici della religione e della storia d‘Israele nelle
«origini», in una certa «età dell‘oro» del passato, ora cui esegeti sono molto
più interessati alla «fine» della storia.
Per Weilhausen, il periodo postesiico era quello in cui era nato il
giudaismo, una degenerazione della genuina religione d‘Israele.
A partire dagli anni ‘70, al contrario, quasi ogni scritto di qualche
importanza è sorto durante l‘esilio o il periodo postesiico.
Lo Jahwista, di conseguenza, trasloca dalla confortevole corte di Davide o
di Salomone per andare ad abitare in esilio, a Babilonia (7), oppure, per
alcuni, viene addirittura a partecipare alla ricostruzione di Gerusalemme (8).
Tre elementi caratterizzano in modo più specifico questo periodo:
l‘esperienza della crisi, l‘esperienza della complessíta e la diffidenza verso
le ideologie. L‘interesse crescente per il periodo esilco/postesilico ha le
sue radici nella coscienza, più o meno chiara, che il mondo nord-occidentale
vive una crisi simile.
Un mondo finisce e si spera che un mondo nuovo possa rinascere (9).
L‘esperienza della crisi suppone anche un‘esperienza della complessità dei
fenomeni storici. Il mondo attuale si rivela frammentato e pluralistíco.
Percío, è difficile vedere nei fenomeni storici evoluzioni lineari verso il
progresso o la decadenza. La realtà non si lascia più ridurre a schemi
semplici come al tempo di Weilhausen. Per la stessa ragione esiste nel mondo
esegetico, come nel mondo intellettuale, una profonda diffidenza verso le
ideologie.
I presupposti vengono analizzati con sempre maggiore cura. Le affermazioni
assolute sembrano diventare impossibili. Un testo non ha «un solo significato»,
ne ha parecchi, secondo la prospettiva dei vari interpreti (10).
Non tutti questi elementi sono presenti in tutte le aree esegetiche, nello
stesso modo. La situazione generale, però, è cambiata, perché quasi nessuno può
iniziare lo studio del Pentateuco senza chiarire i suoi presupposti
metodologici. Non esiste più alcun consenso in merito.
2. Contestazione di alcune
tesi basilari sull‘Israele premonarchico
Nel corso degli anni, l‘ipotesi documentaria si era identificata con una
immagine delle origini d‘Israele, specialmente dell‘Israele premonarchico. Il
dibattito attuale verte soprattutto sullo Jahwista e la sua preistoria nella
tradizione orale.
1 primi attacchi sono rivolti contro la ricostruzione di una storia
patriarcale antica, che possa rispecchiare un periodo patriarcale premonarchico.
Due esegeti nordamericani, l‘uno canadese, J. Van Seters (11), l‘altro
statunitense, Th. L. Thompson sono i maggiori rappresentanti di questa
tendenza (12).
Il «periodo nomade» d‘Israele, con le sue caratteristiche, per esempio, il
«Dio dei padri» (A. Alt, V. Maag), è un‘altra tesi che non resiste alla
critica. 11 «Dio dei padri» non è legato a un periodo molto antico,
proto-israelitico. Si tratta piuttosto di una costruzione letteraria tardiva
che vuol collegare fra di loro le varie tradizioni patriarcali (13).
Un‘altra tesi di A. Alt, sulla sedentarizzazione progressiva di seminomadi,
viene radicalmente messa in questione (14). Israele non sarebbe venuto dal
deserto. Sarebbe sempre stato nella terra di Canaan e l‘insediamento o
conquista sarebbe in realtà un fenomeno interno, evolutivo o rivoluzionario,
che avrebbe condotto a un passaggio del potere dai Cananei a un‘altra
popolazione che diventerà «Israele» (15).
Anche l‘anfizionia di M. Noth si rivela fragile e non resiste a un esame
critico (16). IL parailelo con l‘anfizionia greca non regge, perché non si può
dimostrare l‘esistenza di una organizzazione di dodici tribù o l‘esistenza di
istituzioni comuni, come, per esempio, quella di un santuario centrale (17).
Le tesi di G. von Rad non fanno eccezione. Il fondamento della sua teoria
sulla formazione del Pentateuco si smonta dopo un esame rigoroso di testi come
Dt 26,5b-9; 6,20-23; Gs 24,2b-13.
Questi testi non sono antichi. Si rivelano invece creazioni deuteronomistiche
(18). Dopo IL crollo delle ipotesi maggiori sull‘Israele premonarchico,
diventava difficile far risalire lo Jahwista a questa epoca. E se cambiava il
volto dello Jahwista, doveva anche cambiare il volto dell‘ipotesi documentaria.
B. 1 PROBLEMI
DELLE VARIE FONTI
1. L‘Elohista (19)
Da quando è stata separata dal codice o racconto sacerdotale, la fonte
elohista è «il parente povero» dell‘ipotesi documentaria. In genere, gli
esegeti attribuivano all‘Elohista i testi o frammenti che non potevano
attribuire alla J o al P (20). Nella fonte E, pertanto, si raccoglievano gli
«avanzi» rimasti dopo la determinazione delle altre fondi.
Si potrebbe anche dire che, come un fantasma, E appariva soprattutto negli
angoli osduri del Pentateuco. Esso serviva a risolvere i problemi di testi
diffidIl come Gn 15; Gn 20-22; Gn 28,10-22; parte della storia di Giuseppe,
della vocazione di Mosè (Es 3-4), della pericope del Sinai (Es 19-24) o della
storia di Balaam (Nm 22-24).
Le difficoltà, però, sono numerose. Per esempio, alcuni testi attribuiti a
E non usano il nome divino Elohim (Gn 15); il decalogo -Es 20,2-17) o usano
anche il nome divino JHWH (df. Gn 22,11.14). Questo è per lo meno sorprendente
e obbliga la critica a una ginnastica argomentativa più pericolosa che
convincente. Solo in Gn 20-22 si trovano dei testi che hanno delle
caratteristiche comuni e potrebbero fornire una base più solida all‘ipotesi di
una «fonte», o almeno di una serie di racconti provenienti dallo stesso
ambiente (21).
Le prime voci contrarie all‘esistenza di una «fonte» elohista, cioè un
racconto completo e indipendente delle origini d‘Israele, si fanno sentire già
nel 1933, in uno studio di P. Volz e W. Rudolph (22). Secondo questi due
autori, l‘Elohista non sarebbe mai esistito. 1 testi attribuiti a E
appartengono in realtà a J, o sono delle aggiunte di origine deuteronomistica.
Volz e Rudolph non avranno molto successo.
Solo Mowinckel adotterà una posizione analoga: E sarebbe una «variante di
J», una serie di racconti paraileli a quelli di J e trasmessi per lungo tempo
oralmente prima di essere integrati nell‘opera jahwista (23). Recentemente,
però, molti danno loro retta a posteriori.
Oggi, ben pochi studiosi parlano ancora di una «fonte E» (24). Le obiezioni
sono numerose e sono state riassunte da E. Zenger neba sua «Introduzione» (25).
Esistono solo frammenti di questa fonte nel Pentateuco attuale. Non esiste
un vero accordo sull‘inizio di E. Spesso, gli esegeti lo cercano in Gn 15, un
testo problematico che Don usa il nome divino Elohim (vedi sopra). 1 brani
attribuiti alla fonte elohista non hanno molti elementi in comune. Inoltre, è
ben difficile vedere un qualche legame fra di essi. E difficile parlare della
«trama» o del «disegno teologico» del racconto elohista.
Alcuni testi generalmente attribuiti a E sono adesso considerati tardiví. E
il caso, per esempio, di Gn 22 («la prova di Abramo») (26). Neba teoria
documentaria classica, si convocava E nel regno del Nord. Perciò si cercava o
si vedeva un legame fra E e i profeti Elia e Osea. Questo punto suscita
perplessità (27). Per esempio, nei racconti di 1 Re 17-21, Ella è il campione
di una reazione religiosa contro il culto di Baal e a favore del culto di JHWH,
non di Elohim. Lo stesso yale, mutatis mutandis, per Osea, che ben
raramente usa il nome divino Elohim. Una pista più fruttuosa sarebbe
probabilmente la redazione elohistica del salterio che viene raramente
considerata preesiica.
Vi sono altri modelli per spiegare l‘esistenza dei brani generalmente
attribuiti a E. Per esempio, possono essere considerati come una serie di
«complementi» puntuali, frutto di una redazione che non voleva perdere niente
delle tradizioni antiche.
2. Lo Jahwista (28)
Nella ricerca recente, la discussione verte principalmente su due aspetti
della fonte jahwista: la sua esistenza come «fonte»; la sua datazione.
L‘attacco frontale contro lo Jawista è venuto da R. Rendtorff, successore
di G. von Rad all‘università di Heidelberg (29). IL suo punto di partenza è lo
studio di M. Noth. Dal punto di vista deba metodologia, Rendtorff avverte una
contraddizione fra la Traditionsgeschichte o Uberlieferungsgeschichte
di M. Noth, metodo affine alla Formgeschichte di H. Gunkel e dei
suoi seguaci, e la Literarkritik o «critica delle fond», il metodo reso
celebre dalla scuola di Webhausen.
Per i primi, il punto di partenza dello studio è la «piccola unità», il
singolo racconto. In una seconda tappa, i singoli racconti entrano nella
composizione delle «unità maggiori», i grandi temi di M. Noth. Questi «blocchi
narrativi» hanno la loro coerenza interna e sono abbastanza indipendenti gli
uni dagli altri. La «critica delle fonti», d‘altra parte, suppone che
all‘inizio del processo di formazione del Pentateuco vi siano delle grandi
unità scritte, indipendenti e complete.
Dal tempo di Gunkel, gli esegeti del Pentateuco praticano entrambi i
metodi senza accorgersi delle difficoltà inerenti al loro uso simultaneo. Per
Rendtorff, i due metodi sono inconciliabili. Come le piccole unità possono
entrare nei «documenti», per esempio nel J di Weulhausen? 0 l‘unità perde le
sue caratteristiche in questo processo e non può più essere individuata, o non
perde le sue proprietà e i «documenti» Don sono unificati, poiché possono
essere soltanto delle raccolte di testi diversi senza legame fra di loro.
In altre parole, J Don può essere allo stesso tempo un Sammler von Sagen
(«un raccoglitore di storie»), come per H. Gunkel, e un grande teologo che
ha pianificato una grande opera letteraria secondo un chiaro disegno
letterario, come, per esempio, afferma von Rad.
Inoltre, Rendtorff insiste molto su una differenza essenziale fra le storie
patriarcali e l‘esodo. Le storie degli antenati d‘Israele sono unificate dal
tema delle promesse, in particolare la promessa della terra.
Quando inizia il racconto dell‘esodo, non si parla più di questa promessa.
Israele esce dall‘Egitto e cammina nel deserto verso «la terra dove scorre il
latte e il miele» (Es 3,8). La terra promessa ai padri non viene più
menzionata, salvo in alcuni testi isolati come Es 32,13; 33,1; cf. Nm 14,16.
L‘idea di una marcia verso la «terra promessa ai padri» è frequente,
invece, nel Deuteronomio (30). Se le promesse patriarcali e i testi sull‘esodo
e la permanenza ne1 deserto appartengono alla stessa fonte jahwista, il
fenomeno è difficilmente spiegabile. E più semplice, secondo Rendtorff, pensare
che questi due «blocchi» narratívi si siano sviluppati indipendentemente,
prima di essere congiunti nello stesso Pentateuco. Rendtorif ritorna, quindi,
a un modebo vicino a quello dell‘«ípotesi dei frammenti» (31).
Rendtorff preferisce partire dalle piccole unità (Einzelsage) o dai
«blocchi» letterari (grössere Einheiten- «unità maggiori»). In altre parole,
opta per il metodo di M. Noth contro quello della «critica delle fonti». Però,
senza mai affermarlo in modo palese, non si interessa alla tradizione orale e
discute solo dei testi scritti.
Abbandona quindi l‘idea di fonti continue attraverso tutto il Pentateuco.
Aggiunge che la divisione in fonti distrugge alle volte la struttura dei testi
e impedisce di capire il loro intento teologico. Rendtorff vede sei «unità
maggiori» nel Pentateuco/Esateuco: la storia delle origini (Gn 1-11); le
storie patriarcali (Gn 12-50); l‘uscita dall‘Egitto (Es 1-15); la marcia nel
deserto (Es 16-18; Nm 11-20); la pericope del Sinai (Es 19-24); la conquista
(Gs).
Per quanto riguarda la formazione del Pentateuco attuale, Rendtorff
distingue un‘opera redazionale di stampo deuteronomistico e un‘altra di stampo
sacerdotale a cui occorre aggiungere qualche intervento redazionale posteriore
(32). Questa opera redazionale è già presente nelle «unità maggiori». Per
esempio, secondo Rendtorff, Il tema delle promesse che unisce i racconti sui
tre patriarchi è di origine deuteronomistica.
Le proposte di Rendtorff saranno riprese e sviluppate dal silo allievo
Erhard Blum in due voluminosi studi, l‘uno sulle tradizioni patriarcall e
l‘altro su Mosè (33). La figura di quest‘ultimo unisce le tematiche dell‘esodo,
del Sinai e della marcia nel deserto e questo riduce il numero delle «unità
maggiori», proposte. in un primo momento da Rendtorif.
Per Blum, il Pentateuco attuale è IL frutto di un compromesso che ebbe
luogo durante l‘epoca persiana. Esistevano due correnti importanti, l‘una
«laica» e l‘altra sacerdotale. Nella prima si ritrovava soprattutto
l‘aristocrazia terriera della Giudea e il suo organo rappresentativo era il
gruppo degli «anziani». La seconda corrente, «sacerdotale», difendeva la
teologia e le prerogative delle famiglie sacerdotali del secondo tempio di
Gerusalemme. 1 due gruppi hanno composto ciascuno una propria «storia delle
origini d‘Israele».
Le due opere esistevano quindi l‘una accanto all‘altra. La prima, quella
dei «laici» e degli «anziani», viene chiamata «composizione D» o
«deuteronomistica» (D-Komposition o KD). La seconda viene chiamata
«composizione P» o «sacerdotale (P-Komposition o KP). Quando Il
governo persiano decise di accordare una certa autonomia alla provincia di
Giuda, ci voleva un solo documento legislativo per definire la nuova entità
politica. Inoltre, l‘Israele postesilico doveva unirsi per sopravvivere.
Per queste ragioni, esterne e interne, si creò il Pentateuco attuale e le
due «composizioni» furono congiunte in una sola opera, che diventò pertanto il
documento ufficiale dell‘«autorizzazione imperiale persiana». In altre parole,
il Pentateuco era, agli occhi delle autorità persiane, la legge ufficiale
dell‘impero per gli Israeliti, in particolare nella provincia di Giuda (34).
In conclusione, per questa «scuola di Heidelberg», non esiste più lo
Jahwista. Diventa anche molto difficile separare, nelle «composizioni» postestiche
gli elementi più antichi dagli elementi redazionali più recenti. In molti casi,
Blum rinuncia a questo lavoro per quanto riguarda l‘insieme Es-Nm.
Nella sua prima opera sulla Genesi, invece, l‘indole dei racconti
permetteva di ritrovare più facilmente Il substrato antico, preesIlco, dei
racconti.
Non è possibile valutare questa immensa opera, forse la più impressionante
degli ultimi anni, accanto ai libri di J. Van Seters (35). A mio parere,
quattro punti richiederebbero un approfondimento:
* I rapporti fra il
Deuteronomio, la storia deuteronomistica (Gs - 2 Re) e i testi del Pentateuco.
Deuteronomio e opera deuteronomistica non sono opere unificate (36). Inoltre,
sarebbe utile studiare le tecniche redazionali in queste opere e paragonarle
con le tecniche redazionali in Gn-Nm.
* La questione dei codici
legislativi e del loro rapporto con i testi narrativi meriterebbe un esame più
approfondito (37).
* 11 problema di una
redazione postdeuteronomistica e postsacerdotale. Alcuni testi tardiyi non si
lasciano classificare fra i testi deuteronomistici o sacerdotali, poiché
portano lo stampo di ambedue le scuole per quanto riguarda lo stile e la
teologia.
* Se si ammette che le due
«composizioni» abbiano amalgamato e organizzato materiali più antichi, non è
possibile individuare questi materiali?
— Uno Jahwista
postdeuteronomico
In due aree linguistiche diverse, in Canada e in Svizzera, si è sviluppata
l‘idea che lo Jahwista Don sia la più antica delle fonti. Al contrario, la
parentela con il Deuteronomio e l‘opera deuteronomistica invita a ipotizzare
una data molto più bassa. Attualmente, parecchi sostenitori di questa opinione
collocano lo Jahwista dopo il Deuteronomio e l‘opera deuteronomistica.
La loro argomentazione si appoggia su considerazioni letterarie, storiche e
archeologiche.
* Non vi è alcuna prova
archeologica valida per provare l‘esistenza di un‘«epoca patriarcale»
premonarchica. Lo stesso vale per l‘esodo e la permanenza nel deserto. Questa
conclusione è palesemente in contraddizione con le opinioni della scuola di
Albright.
* Gli esegeti di questa
scuola mettono anche in dubbio i lavori di Gunkel, Noth e von Rad sulla
tradizione orale. Non è possibile, secondo Van Seters, per esempio, ritrovare
una tradizione orale antica dietro le tradizioni patriarcali o le tradizioni su
Mosè.
* I profeti preesilici Don
menzionano le tradizioni del Pentateuco.
* Vi.sono, invece, parecchi
contatti linguistici, tematici e teologici fra lo Jahwista e gli scritti
esIlci e postesIlci. Alcuni paralleli extrabiblici confermano queste
connessioni fra lo Jahwista e le epoche tardive della storia d‘Israele.
* Per Van Seters e Rose, lo
Jahwista segue cronologicamente il Deuteronomista e lo corregge. Per esempio, è
contrario al suo legalismo e nazionalismo, è più liberale, umanistico e
universalistico. L‘opera jahwista costituisce infatti una «prefazione»
dell‘opera deuteronomistica.
* Lo Jahwista è uno storico
come gli storici greci della stessa epoca, per esempio Erodoto ed Ellanico. 11
suo scopo è identico: vuol formare la coscienza e l‘identità del popolo
d‘Israele a partire dal suo passato.
Gli esponenti più importanti di questa tendenza sono, fra i canadesi, F.V.
Winnett (38), N.E. Wagner (39), e soprattutto J. Van Seters (40) in
Svizzera e in Germania, H.H. Schmid (41), M. Rose (42), H. Vorländer (43) e
H.-Ch. Schmitt (44).
Recentemente, Ch. Levin ha pubblicato una monografia sullo Jahwista nella
quale le sue posizioni si avvicinano molto a quelle di Van Seters e Rose (45)
Lo Jahwista di Levin è un redattore che, durante l‘esilio a Babilonia, avrebbe
raccolto e reinterpretato antiche fonti frammentarie. Il suo scopo era di
ridare speranza agli esiliati. Per questo motivo, critica il Deuteronomista,
specialmente l‘idea della centralizzazione del culto.
Per J, JHWH è presente ovunque e non solo nel tempio di Gerusalemme.
Accompagna e benedice IL suo popolo nella sua terra e in esilio, come ha
accompagnato e benedetto i patriarchi e il suo popolo in Egitto e nel deserto.
Anche per Levin, quindi, J è esilico e posteriore al Deuteronomista.
La sua ipotesi riprende elementi dei van modelli proposti anteriormente.
All‘inizio esistevano solo racconti isolati, come nell‘ipotesi dei «frammenti».
Lo Jahwista esilico raccoglie questi testi e forma un racconto unificato. La
sua attività redazionale è apparentata al modello dell‘ipotesi dei
«complementi». Secondo Levin, vi sarebbero tre «documenti» o «fonti» nel
Pentateuco: lo Jahwista, il sacerdotale e il Deuteronomio (46).
Dopo la lettura di questi studi, diventa sempre più difficile ammettere
l‘esistenza di un‘opera antica — risalente magari agli inizi della monarchia —
sulle originí d‘Israele. D‘altronde, se i rapporti fra lo Jahwista esIlco o
postesilico e l‘opena deuteronomica/deuteronomistica debbano essere visti come
propone questa serie di esegeti, è una domanda che per il momento preferiamo
lasciare aperta.
Inoltre lo studio si concentra quasi unicamente stille narrazioni. Tranne
un articolo di Van Seters, mancano studi completi stille leggi (47).
Per quanto riguarda la parentela alla J e gli storici greci, vi sono alcune
difficoltà maggiori che impediscono di spingere il paragone oltre certe
somiglianze superficiali.
11 Pentateuco è un‘opera di tipo religioso, contiene molte leggi che le
danno un carattere giunidico innegabile, e non si presenta esplicitamente come
l‘opera di un autore. Infine, lo scopo del Pentateuco non è di informare o di
divertire, come le opere degli scnittoni greci. Il Pentateuco si presenta come
testo normativo per la vita d‘Israele (48).
— Uno Jahwista ridotto
Per ovviare alle difficoltà avanzate dagli autoni precedenti, alcuni
esegeti tornano a una sorta di ipotesi dei complementi. Suppongono l‘esistenza
di uno Jahwista pnimitivo molto nidotto che sarà poi completato in varíe
epoche. Questi esegeti postulano quindi che lo Jahwista si sia formato per
mezzo di aggiunte redazionali successive (Fortschreibung). In certi
casí, si possono elencare sette o più livelli in un solo brano. 1
rappresentanti più conosciuti di questa tendenza sono P. Weimar, E. Zenger
(prima maniera) e J. Vermeylen (49).
E. Zenger ha proposto un‘ipotesi leggermente diversa (50). IL suo modello
niprende euementi dell‘ipotesi dei frammenti o dei «cidil narrativi» (Erzã‘hlkrdnze)
e dell‘ipotesi documentanía.
Nella prima tappa del processo di redazione esistevano solo dei «ciclí
nanrativí», indipendenti gli uni dagli altri (50): una serie di racconti su
Abramo e Sara, e Abramo e Lot (Gn 12-19*), provenienti dal regno di Giuda. Un
ciclo narrativo su Giacobbe e Labano, sorto nel regno del Nord e che fu
rielaborato più tardi nel regno di Giuda. La storia di Giuseppe, nata forse ne!
Nord o, più probabilmente ne! Sud. La vecchia storia dell‘esodo (Es 1-14*),
scritta ne! regno del Nord.
La prima opera redazionale ampia, che parte da una visione globale della
storia d‘Israele, viene composta a Gerusalemme, dopo il 700 avanti Cristo, yale
a dire dopo la caduta di Samania (722 avanti Cristo) e la mancata conquista di
Gerusalemme da parte di Sennachenib nel 701 avanti Cnisto, sotto l‘influsso dei
profeti Amos, Osea e Isaia.
Zenger chiama questa opera Jerusalemer Geschichtswerk - «Storia
gerosolimitana». 1 suoi autoni sono da cercare in ceti sacerdotall e profetici.
Avrebbero «creato», fra l‘altro, la penicope del Sinai. Durante l‘esilio,
l‘opera fu rielaborata e espansa. Per esempio, vi fu integrato il vecdhio
«codice dell‘alleanza» (Es 20,22-23,33).
Zenger chiama questa seconda opera «nivista»: Exilisches Geschichtswerk
- «Storia esilica» (52). Questa parte dell‘ipotesi di Zenger è la più
personale e più originale. Infine, a questa «storia esIlca» furono aggiunti
prima «IL racconto sacerdotale», scritto in esilio verso 520 avanti Cristo,
poi Il Deuteronomio, nella sua versione esilica/postesilica.
Non è facile valutare l‘insieme di queste proposte. Per quanto riguarda
alcune opere di questi esegeti, ove si moltiplicano gli strati e gli interventi
redazionali, si deve dire che la complicazione stessa delle ipotesi le nendono
poco credibili. Come diceva Occam: «Frustra fit plura quod fieni potest
pauciora» (53), il che potrebbe essere tradotto:
«Perché complicare quebo che si può semplificare?». Si potrebbe anche
plagiare un altro detto di Occam dicendo: «Redactiones Don sunt multiplicandae
praeten necessitatem» (54).
L‘ipotesi migliore è quella che spiega con maggiore semplicità il più
grande numero di dati. L‘ipotesi di Zenger, per se stessa, non èpniva di
interesse. Mancano, nondimeno, yen niscontni nelle altre panti della Bibbia,
per esempio nei libri profetici. Zenger legge nella «stona genosolimitana» un
influsso di Amos, Osea e Isaia. Non pnecisa però dove si può evidenziare questo
influsso. Inoltre, non tiene abbastanza conto della possibIltà di un lavoro
redazionale postesIlco quando funono unite le varie «fonti».
Zengen tiene a una data «alta» per la sua «storia gerosolimitana», poiché
la teologia di questa «storia» è diversa da quella dell‘opena deuteronomistica.
Per esempio lo schema «infedeltà / castigo / conversione / salvezza», tipico
del deutenonomista, Don è presente in Gn-Nm. Le promesse patniarcali si
distinguono dallo schema deutenonomistico «predizione/adempimento». 1 temi
della conversione e della pace, propni al Deuteronomista, non sono presenti in
Gn-Nm. La teologia del peccato in Gn-Nm non è quella del Deuteronomista (55).
Tuttavia, le differenze si possono spiegare anche se si postula una data
postesilica per molti testi in Gn-Nm. E non si deve sottovalutane l‘attività
letteraria postesilica, testimoniata dai libni delle Cronache, Esdra-Neemia, le
ultime parti di Isaia, senza dimenticare gran parte del Levitico. La
ricostruzione del tempio e la restaurazione della comunità di fede nell‘impero
persiano creanono una situazione nuova che richiedeva indubbiamente una
revisione e una reintenpretazione del «dato» fornito dalle antiche fonti e
tradizioni. Questo vale soprattutto per la penicope del Sinai che forma la
sezione centrale del Pentateuco attuale.
— Posizione classica (W.H.
Schmidt - F. Kohata - H. Seebass - L. Ruppert
- L. Schmidt
Alcuni esegeti, pochi ma assai influenti, continuano a difendere l‘ipotesi
documentania nella sua forma classica, senza molte modifiche. Continuano a
supporre l‘esistenza di uno Jahwista all‘inizio della monarchia unita. Si
panla volentieri del negno di Salomone. L‘esponente più conoscíuto è
probabilmente W.H. Schmidt (56). 11 suo collega a Bonn, H. Seebaß, segue vie
molto - simili (57). Un‘alunna de W.H. Schmidt, F. Kohata, ha esposto le sue
tesi in uno studio su Es 3-14 (58).
Altni esegeti seguono, con molte sfumature, i «vecchi sentier-i» dell‘ipotesi
documentania, come per esempio L. Ruppert (59) e L. Schmidt (60).
Recentemente si sono alzate altne voci fuoni dalla Germania per sostenene
posizioní simili (61).
La validità di queste posizioni dipende molto dal loro modo di rispondere
alle obiezioni fatte dagli autori menzionati prima e dalle soluzioni proposte
per nisolvere i nuovi problemi suí quali vente il dibattito attuale.
— Conclusione: che cosa rimane dello Jahwista?
Dopo questo faticoso penconso attraverso le discussioni recenti sullo
Jahwista, appare chiaro che i problemi non mancano. La confusione sembra
regnare invece del consenso tranqufflo che gli esegeti conoscevano prima degli
anni ‘70. Ciascuno o quasi propone una divensa data, un diverso modelo e ben
spesso una diversa delimitazione dei testi. Le teorie si moltiplicano, nessuna
riesce ad imporsi. Malgrado tutte le incertezze e le difficoltà, è possible
trarre qualche conclusione più sicuna. Tre punti emengono con maggione chiarezza.
Sembra sempre più difficile ammettere l‘esistenza di una «fonte» jahwista
antica. All‘origine della tradizione non esisteva un documento completo, ma
piuttosto dei «cicli di racconti» (Erzdhlkrtïnze) (62). Questo
modello, vicino a quello dei «frammenti», spiega meglio alcuni dati già
conosciuti, sebbene non siano sempre stati presi sufficientemente in
considerazione. Ne elenchiamo alcuni per illustrane la cosa.
Per esempio, vi sono pochi legami fra la storia delle origini (Gn 2-11) e
le storie patriarcali (63). In Gn 2-11, la «terna» (‘šdimâ) è il suolo
che si coltiva, mentre nelle tradizioni patriarcali designa l‘universo (Gn
12,3; 28,14) o la terra promessa (28,15). L‘altra parola per «tenrra» (2eres)
in Gn 1-11 designa l‘«universo», e in Gn 12-50 la «terra promessa». 1
patriarchi sono dei nomadi, mentre i primi abitanti della terra sono
coltivatori. Il linguaggio di Gn 1-11 ha un colorito sapienziale tandivo (64)
Vi sono anche differenze fra i vari cicli patriarcali. Abramo, il primo
patriarca, vive nel Sud della terra di Canaan, a Hebron (Gn 13,18) o a
Beersheva (21,33; 22,19). Circola nel Negeb (12,9), scende in Egitto
(12,10-20) o si stabIlsce per un tempo a Genan e dai FIlstei (20,1; 21,34).
Giacobbe, invece, è piuttosto in contatto con il Nord (Sichem, Betel; Gn
35,1~7) (65) e con Charan nella Mesopotamia settentrionale (29-33). La storia
di Giuseppe si distingue sotto molti aspetti dalle altre tradizioni. Non
menziona più le promesse e la «benedizione». -
Quando si anriva all‘Esodo, non si parla più della «terra promessa ai
patrianchi» (Rendtorff). La teofania del Sinai rimane anch'essa isolata. Quando
se ne parla durante la permanenza nel deserto? E pertanto più ragionevole
pensane che all‘origine esistessero solo piccoli gruppi di racconti isolati,
con le loro tematiche. Solo in un secondo tempo furono riuniti in un insieme
più largo per formare, infine, una «storia delle origini d‘Israele». - il
lavoro redazionale -ha preso un certo tempo e si è svolto molto probabilmente
in varie fasi. E da chiedersi però se i tentativo di creare legami fra i van
«blocchi» possa precedere di molto l‘opera deuteronomica/deutenonomistica
(Dt/Dtr) e il racconto sacerdotale (P). 1 «piccoli credo storici» (Dt 6,21-23;
26,3-9) e i testo sacendotale di Es 6,2-8 sono i primi a collegare i
patriarchi con l‘esodo. Un altro testo dello stesso genere è Nm 20,14-16 (66).
Non si deve eliminane troppo presto la possibilta che questo lavoro
redazionale abbia seguito piuttosto che preceduto Dt/Dtr e P. Le sintesi
teologiche di Dt/Dtr e P hanno dato un nuovo impulso alla tradizione e creato
i quadro indispensabile per poter raccogliere e organizzane i materiali
narrativi più antichí (67).
Malgrado la resistenza di alcuni esegeti conosciuti, sembra sempre più difficile
parlare di un‘opera jahwista all‘epoca di Salomone (68). Le ragioni sono
numerose. La teologia di alcuni testi attribuiti a J può difficilmente essere
anteriore alla predicazione dei primi profeti e alle prime sintesi dell‘opera
deutenonomica. Gli studi sulla religione d‘Israele non incoraggiano a
collocare questa teologia agli inizi della storia del popolo eletto.
Il «senso della storia» e le tecniche di composizione letteraria che
troviamo nel J classico possono difficilmente precedere ne! tempo l‘apparizione
delle prime opere letteranie dei profeti e le opere dello stesso genere che
sono sorte nel Medio Oriente antico. Non si trova Diente di simile all‘epoca di
Davide e Salomone.
Se J fosse stato scritto prima dei profeti pneesilici, si dovrebbe trovarne
qualche tnaccia nei loro scritti quando parlano del passato d‘Israele.
Alcuni testi fondamentali della tradizionale come Gn 12,1-4a o la storia
delle origini (Gn 2,4b-8,22) sono, per alcuni studi recenti, dei testi tardivi.
Gli studi sulle «promesse patriarcali» vanno nello stesso senso.
Il parallelismo, spesso invocato, fra i racconti di 1-2 Sam sull‘ascesa al
trono di Davide e la successione di Davide da una parte e classico J dall‘alma
Don resiste a un esame critico. Se J dovesse fornine una base alla
composizione di 1-2 Sam, come si afferma ogni tanto, perché i legami non
appaiono più chiaramente? Inoltre, le teologie di J e di 1-2 Sam hanno pochi
punti in comune.
In conclusione, vi sono indubbiamente molte ragioni per pensane che J — se
mai è esistito — non è un‘opera molto antica. Si deve anche concepire J come i
frutto di un lavoro redazionale a partine da cici narrativi più antichi. Se J
possa aver compiuto il suo lavoro prima dell‘esïio (Zenger), durante (Levin) o
dopo (Rose, Van Setens) rimane per i momento una questione aperta.
Personalmente, penso che occorre prendere in maggiore considerazione l‘attività
letterania postdeuteronomistica e postsacerdotale (vedi sopra) (69).
L‘ultima osservazione è di tipo metodologico. Si nota che il modo di
procedere degli esegeti tende a un cento accordo per quanto riguarda il punto
di partenza dello studio. Sono sempre meno gli esegeti che pnesuppongono
l‘esistenza delle fonti, in particolare della fonte J. L‘analisi parte da più
lontano, dal testo nella sua configurazione attuale. In questa maniera, la
sincronia — studio del testo nella sua ultima forma — precede la diacronia —
studio della genesi del testo — Perciò, prima di stabilire l‘esistenza di
fondo, si esamina la struttura e la coerenza del testo e solo se vi sono indizi
solidi, per esempio delle tensioni, delle «fratture» o delle incoerenze, si
passa alla tappa seguente e si parla di «fonti» o di «redazíoni».
Diventa più difficile «sezionare» o «atomizzare» un bel testo Narrativo
pur di trovarvi due o tre fonti perché l‘episodio «deve» esse-ne presente in
tutte queste fonti. Anche quando si tratta delle «fonti» o «redazioni», gli
esegeti preferiscono - verificane la solidità delle loro conclusioni. IL tempo
nel quale si poteva con grande sicurezza distribuire i versetti del Pentateuco
fra quattno grandi «cesti», J, E, D ed è ormai passato, almeno per la
maggioranza degli specialisti.
Ciascuno vuole accertane i legami fra i van testi prima di affermare una
loro parentela. Si stabilisce una cronologia provvisoria e relativa, poi si
tenta di collegare i testi con alcuni periodi della storia d‘Israele. Su questo
atteggiamento metodologico, occorne dane retta a Rendtorff e Blum: lo studio
della forma del testo deve precedene la «cnitica delle fonti» (Literarkritik)(70).
In fin dei conti, dopo l‘Elohista, lo Jahwista sembra perdere consistenza
e i infatti del suo volto si fanno sempre più sfocati. Perciò, alcuni parlano
più volentieri dei «testi non sacerdotali» (Blum, Carr) e forse un giorno si
abbandonerà anche la sigla J.
Qualunque sia l‘avvenire dello Jahwista, una cosa è certa: per chi legge
oggi in modo critico i testi non sacerdotali del Pentateuco, diventa sempre
più necessario distinguere chiaramente fra le unità narrative e i codici
legislativi antichi, da una parte, e gli strati redazionali più recenti
dall‘altra. Per Il momento e per quanto riguarda gli inizi della tradizione, Il
modello che si impone è sempre più quello dei «frammenti» o dei «cicli
narrativi».
3. Il problema del racconto sacerdotale (71)
Il racconto sacerdotale (P), non è mai stato nell‘occhio del ciclone che
ha investito gli studi sul Pentateuco. A causa di uno stile e di una teologia
particolarmente riconoscibili, è sempre stato relativamente facile identificare
i testi che appartengono a questa «fonte», come, per esempio, Gn 1,1-2,4a; 17;
23; 28,1-9; 35,11-15; Es 6,2-8; 25-32; 35-4O*; Lv 9; Nm 2O,1-13* e lo
strato sacerdotale di Gn 6-9; Es 7-11; 14; 16; Nm 13- 14 (72).
Tranne qualche discussione sulla delimitazione del racconto sacerdotale in
alcuni casi, i problemi principali toccano cinque campi: la sua natura; la sua
conclusione; i suoi rapporti con la «Legge di santità» (Lv 17-26); la sua
teologia; la sua datazione.
La natura del racconto sacerdotale (73)
Negli ultimi anni, parecchi autori hanno affermato che il racconto
sacerdotale non è esattamente una «fonte» completa e indipendente del
Pentateuco (74). Sarebbe piuttosto uno strato redazionale, una sorta di
commento e di complemento delle antiche fonti. L‘argomento principale a favore
di questa opinione è il fatto che P non è completo.
Certo, P non contiene un racconto dettagliato di tutto quello che troviamo
nelle altre fonti del Pentateuco. Non parla di Gaino e Abele, salta molti
episodi della vita di Abramo e Sara, e di Giacobbe ed Esaù, non dice quasi
niente di Giuseppe, evita di parlare dell‘alleanza del Sinai e contiene ben
poco sulla permanenza nel deserto.
Nessuno, però, dice che P doveva fornire un parallelo per ogni testo presente
nelle fonti più antiche. Il vero problema è diverso perché sorge dalla
presenza di lacune all‘interno della trama sacerdotale.
Mancano nel racconto di P alcuni episodi o brani che, secondo le buone
regole della narrazione biblica, dovrebbero essere presenti. Per esempio, P non
racconta la nascita di Giacobbe ed Esaù (Gn 25,26b). In Gn 27,46-28,9, Isacco
invia Giacobbe dal suo zio Labano per sposarsi. In seguito, si cerca inviano
una menzione di questo matrimonio in P. L‘inizio della storia di Giuseppe (Gn 37,2)
è molto frammentario e richiederebbe una continuazione •che non esiste nel
racconto sacerdotale (75).
Mosè appare in Es 6,2 senza essere stato introdotto. L‘uscita dall‘Egitto
in Es 12,40-42 non viene spiegata. Vi sono altri casi simili. Per esempio, Gn
2,4a: “Queste sono le generazioni del cielo e della terra. . .”‚ sembra essere
un “titolo” per il testo che segue (Gn 2,4b-25 -testo non sacerdotale),
piuttosto che la conclusione del testo che precede.
In Es 7,1-5, JHWH incarica Mosè di una missione per II faraone.
Tuttavia, quando Mosè e Aronne lo incontrano, non gli trasmettono il messaggio
affidato. In Es 14,15, JHWH chiede a Mosè: “Perché gridi verso di me”? Nel
racconto precedente, Mosè non ha gridato.
Per poter risolvere il problema, è necessario studiare tutto II racconto
sacerdotale. Da questo studio emergono due fatti: come abbiamo già visto
sopra, il racconto sacerdotale non è completo. D‘altra parte, la teologia, il
vocabolario e il modo di presentare gli avvenimenti è troppo distante dalle
altre fonti per poter considerare P come un “complemento”.
La sua opera ha la sua indipendenza. Perciò, si deve parlare della
“relativa indipendenza” del racconto sacerdotale. P conosce le antiche fonti e
suppone che il suo lettore le conosca. Dialoga con queste tradizioni, le
corregge, le reinterpreta e propone una nuova visione della storia d‘Israele.
Sviluppa una teologia propria, indipendente, però sempre in relazione
con le antiche tradizioni.
Per usare una immagine, P costruisce la sua casa sulle fondamenta delle
fonti che l‘hanno preceduto. Però non si accontenta di completare, decorare,
abbellire o prolungare un‘opera già iniziata. P costruisce una nuova casa su
fondamenta antiche (76).
— La conclusione del racconto
sacerdotale (77)
Vi sono in merito a questo problema almeno cirique posizioni: il racconto
sacerdotale finisce in Gs 18,1; 19,51 (Lohfink; Blenkinsopp) (78). La posizione
tradizionale, almeno dal tempo di Weilhausen e soprattutto di Noth, vede la
conclusione di P in Dt 34,1.7-9. Perlitt attacca la posizione
precedente e considera che P finisce prima, in Nm 27 (87), Zenger e Otto
risalgono fino a Lv 9. P conclude II suo racconto con l‘inaugurazione solenne
del culto (80). Infine, T. Pola è ancora più drastico: per lui P finisce in Es
40 (81).
Il problema è complesso perché tocca la natura stessa del racconto
sacerdotale. Per sapere dove esso finisce, occorre anche sapere qual è la sua
intenzione. Se, per esempio, si dice che P abbia come unico scopo
l‘ínstaurazione del culto, può benissimo finire in Lv 9 o addirittura in Es 40.
Se P è interessato alla “terra”, dovrà anche dire qualche cosa in merito
(82). Diventa più difficile, in questo secondo caso, non attribuire a P alcuni
testi che spiegano perché Israele o alcuni dei suoi capi non sono entrati nella
terra promessa, per esempio, Nm 13-14* e Nm 20,1-13*. Inoltre, dopo la condanna
di Mosè e Aronne, si pone la domanda sulla loro successione, domanda che
riceve una risposta in Nm 20,22~29* e 27*.
Come dirimere la questione? II pericolo di molte argomentazioni è la loro
circolarità: si parte da un “concetto” sulla natura di P per delimitare i
testi, e poi si definisce la natura di P sulla base di questi testi.
Per evitare questo pericolo, sembra più utile partire da alcuni testi
attribuiti senza dubbio a P. Si tratta di Gn 17 e Es 6,2-8. Il vocabolario e
la teologia di questi due brani sono prettamente sacerdotali. Il primo testo
contiene il “programma” sacerdotale per i patriarchi e Es 6,2-8 è un riassunto
della storia d‘Israele da Abramo fino all‘entrata nella terra promessa.
Orbene, entrambi i testi accordano grande spazio al tema della “terra”. Vi
sono Solo alcuni dubbi a proposito di Es 6,8: “Vi farò entrare nella terra che
ho giurato a mano alzata di dare ad Abramo, Isacco e Giacobbe. Ve la darò in
possesso ereditario. lo sono JHWH” (83).
Alcuni vogliono vedere in questo versetto un‘aggiunta deuteronomistica.
Questa posizione, tuttavia, si rivela fragile. Gn 17, il testo dell‘alleanza
di Dio con Abramo e dell‘istituzione della circoncisione, parla esplicitamente
della promessa della terra (Gn 17,8). Es 6,2-8 si riferisce a questa promessa
all‘inizio e alla fine (Es 6,4.8) per presentare l‘esodo e l‘entrata nella
terra come un compimento del giuramento fatto ai patriarchi (cf. 6,5).
Eliminare il v. 8 da questo testo, come vorrebbero alcuni, distruggerebbe la
struttura e il significato dell‘insieme (84):
“(2)Dio parlò a Mosè e gli disse:
Tu sono JHWH.
(3) Sono apparso ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe sotto II nome di ‘ël
šadday, ma il mio nome JHWH nun l‘ho rivelato loro.
(4) Poi ho stabilito la mia alleanza con loro, [giurando] di dare loro la
terra di Canaan, la terra delle loro migrazioni, ove vissero come migranti.
(5) Poi ho ascoltato il grido degil Israeliti che gli Egiziani avevano
ridotto in servitù e mi sono ricordato della mia alleanza.
(6) Perciò di‘ agil Israeliti:
Tu sono JHWH.
Vi farò uscire dai lavori forzati dell‘Egitto, vi strapperò daJla servitù,
vi riscatterò cun braccio teso e con grandi giudizi, vi prenderò per me come
popoJu, sarò il vostro Diu cosicché saprete che io suno JHWH, II vostro Dio,
che vi ho fatti useire dai lavori furzati deJl‘Egitto vi farò entrare nella
terra che ho giuratu a mano alzata di dare ad Abramo, ad Isacco e a Giacobbe e
ve Ja darò in possesso ereditario.
Tu sono JHWH”.
Non si tratta di entrare nei particolari di un testo assai ricco di
significato. II punto che occorre porre in risalto è la promessa della terra.
Dio lega il suo nome JHWH al compimento della promessa fatta ai patriarchí e
la fedeltà di Dio alle sue promesse è all‘origine dell‘esodo. In altre parole,
Dio fa uscire Israele dall‘Egitto e lo conduce nella terra promessa perché si
ricorda dell‘alleanza conclusa con i patriarchi (cf. Gn 17).
Per tornare alla nostra questione, è quindi impossibile sopprimere da
questo oracolo il v. 8 senza sopprimere anche il v. 4: il Dio che ha promesso
la terra la darà. Se si sopprime il v. 4, si deve sopprimere anche II v. 5 che
menziona l‘alleanza e fa del ricordo di questa alleanza il motivo o il movente
dell‘aziõne divina a favore d‘Israele. Perciò senza II v. 4 e il v. 5, nun
rimane niente di tutto l‘oracolo. Infine, il tema della terra ricorre
parecchie volte in P (Gn 17,8; 28,4; 35,12; 48,4; Es 6,4.8).
Se la promessa della terra fa parte del “piano divino”, P non èsoltanto
interessato al culto. L‘instaurazione del dito (cf. 6,7) è una tappa
importante, ma non l‘uitima tappa dell‘ítinerario d‘Israele con il suo Dio.
Perciò P deve anche spiegare perché Mosè, Aronne e la generazione deli‘esodo
non sono entrati nella “terra”. Questa spiegazione si trova in testi
tradizionalmente attribuiti a P come Nm 13~14*; 20,1~13*; 20,22~29*; 27*.
Il problema di Dt 34,1.7-9 è più complesso. c vocaboiario non èquello di P;
è difficile separare i versetti 7-9 dal loro contesto; e, più importante
ancora, P non racconta la morte di Mosè, poiché Dt 34,5 nun gli viene
attribuito! Vi sono buone ragioni per dire che il testo ètardivo,
postdeuteronomistico e postsacerdotale (85).
Ma se P ha come ultimo scopo dei suo raccunto l‘entrata nella terra, perché
non vedere la conclusione di P in Gs 18,1; 19,51? Sarebbe normale andare fino
all‘installazione della tenda a Silo, che segna la presa di possesso del paese
da parte di Dio e dei suo popolo. Dio abita finalmente in mezzo al suo popolo e
in mezzo alla terra promessa.
Certamente, Es 6,8 punta in questa direzione. Per i sostenitori di questa
tesi, però, il perno dell‘argomentazione è altrove, in un parallelismo
intenzionale fra Gn 1,28 e Gs 18,lb. Questi due testi dovrebbero indornidiare
a mo‘ di inclusione tutto il racconto sacerdotale:
Gn 1,28: “... e suggiogate [tutta la terra]”.
Gs 18,lb: “... e la terra era suggiogata davanti a loro”.
La promessa di Gn 1,28 non trova in nessun‘altra parte del Pentateudo il
suo compimento, tranne in Gs 18,lb. Vi sono, cio nonostante, aldune forti
obiezioni contro questa tesi (86).
* Perdhé privilegiare Gn
1,28? Perdhé non menzionare in Gs 18-19 il giuramento ai padri la “gloria” (kõbôd)
o II ricunoscimento di JHWH da parte d‘Israele (Es 6,7; 29,46)?
* Gs 18-19 contiene un solo tema daratteristido di
P: la “tenda dell‘incontrò” (>õhel mô‘õd). Come spiegare l‘assenza di
altre tematiche connesse al cuito, come la “gloria” (Es 29,43 -46; 40,34-35;
Lv 9,24; df. 1 Re 8,11)?
* Il racconto sacerdotale distingue chiaramente la storia delle origini
(Gn 1~9*) e la storia d‘Israele che inizia con Abramo. Il programma della
storia d‘Israele si trova in Gn 17. Orbene, Gs 18-19 non accenna in alcun modo
a Gn 17, nemmeno per quanto riguarda la terra (df. Gn 17,8).
* La storia d‘Israele si divide, per P, in due fasi: le promesse fatte ai
patriardhi; la storia del popolo come compimento delle promesse (vedi Es
6,2-8). Mosè è la cerniera che permette di passare dalla prima alla seconda
fase. Gs 18-19, tuttavia, non menziona Mosè e non si riallaccia a Es 6,8 che
annunzia l‘entrata nella terra giurata ai padri.
* L‘ešpressione di Gs 18,lb: “La terra era soggiogata davanti a loro”,
sembra apparentata a quella di Gn 1,28: “soggiogate la terra”. Il testo di Gs
18,lb è però più vicino a dei testi tardivi postsacerdotali, come Nm
32,22.29; 1 Cr 22,18.
Per queste ragioni sembra preferibile cercare la fine di P non prima e non
oltre Nm 27.
Il racconto sacerdotale e la “Legge di santità” (Lv 17~26) (87)
La Legge di santità (sigla: H) è stata individuata e ha ricevuto il suo
nome da A. Klostermann nel 1877, a causa della presenza ripetuta della
formula: “Siate santi perché io sono santo”, in Lv 17~26 (88). Molti autori
considerano che questo codice sia di origine sacerdotale, ma senza far parte
del racconto sacerdotale.
L‘indipendenza della Legge di santítà, però, è stata recentemente rimessa
in questione (89). Blum, per esempio, afferma che vi è continuità logica e
tematica fra “racconto sacerdotale” e Legge di santità: una volta che il
santuario venne istailato in mezzo al popolo (Is 40), Israele doveva essere
consono alla santità di colui che abitava in mezzo ad esso (Lv 17-26) (90).
Questo argomento è sufficiente per dire che P e H formano un‘unità letteraria,
prodotta da un autore o Ufl Solo gruppo editoriale, alla stessa epoca?
Malgrado la coerenza logica sottolineata da Blum, vi solo altri indizi,
soprattutto letterari, che impediscono di andare in questa direzione. Il
legame logico evidenziato da Blum è, in realtà, di origine redazionale. In
altre parole, è stato voluto e creato dagli editori dei Pentateuco. Si può
addirittura pensare che gli autori della Legge di santità l‘abbiano composta
per completare il raccontu sacerdotale.
Le ragioni che conducono a vedere in H un testo più recente di P suno
numerose (91).
* H corregge P per quanto riguarda ia “terra”. Per P, JHWH dà la terra in
possesso ai discendenti di Abramo (vedi Gn 17,8; 28,4; 35,12; 48,4; Es 6,4.8;
vedi specialmente quest‘ultimo testo che usa la parola ebraiça môröŠd -
“possesso ereditarío”). Per H, invece, la terra rimane proprietà esclusiva di
JHWH (Lv 25,23-24.38). Gli Israeliti non sono proprietari, bensì solo
“residentí e ospiti” (Lv 25,23).
* Anche il modo di concepire i rapporti fra JHWH e il suo popolo sono
diversi in P e H. Per Es 6,7 (P), JHWH libera Israele per farne “il suo popolo”
e la sua famiglia (92). Secondo Lv 25,42; 26,13, Israele rimane “servo di
JHWH”, il che accentua l‘aspetto di ubbidienza nei confronti di Dio.
* H cambia la teologia sacerdotale dell‘alleanza. Per P, vi è una sola vera
“alleanza” (b~rît), per Israele: II giuramento unilaterale e irrevocabile
di Dio ad Abramo (Gn 17; cf. Es 6,2-8). Per H, invece, le promesse sono condizionate
(Lv 26,3-39), poiché benedizioni e maledizioni sono legate all‘osservanza o
meno della legge. Inoltre, JHWH ricorda l‘alleanza con i patriarchi se il
popolo si pente dopo aver peccato (Lv 26,40-45) (93).
* Il vocabolario di H è, sòvente,
più affine al Deuteronomio che a P (94).
* Vi sono alcune differenze fra le prescrizioni sulla Pasqua in Es 12 (P) e
Lv 23 (H). Quest‘ultimo testo cerca di concilare il rituale di Es 12 don quello
di Dt 16,1-8 (95). Si capisce difficilmente perché una sola opera dovrebbe
contenere due legislazioni sulla Pasqua.
* La nozione di “santítà” non è uguale per P e H. Nel radconto sacerdotale,
la “santità” è una qualità esclusiva dell‘altare, del santuario e del
sacerdozío (Es 29,42~46)
(96). In H, la santità è richiesta a tutto II popolo (Lv 19,2;
20,7.24-26; 21,8; 22,31-33; cf. 11,44-45) (97).
* In P non emerge ancora II problema delle “nazioni”, dalle quali Israele
deve separarsi (cf. Lv 20,22 -26).
— La teologia e la
struttura di P (98)
Lo studio della teologia di P coincide in gran parte con lo studio della
sua struttura. Per quanto riguarda quest‘ultima, le proposte non mandano,
perché P offre van spunti per un lavoro di questo tipo. Per esempio, vi sono
più o meno dieci “formule di tôl~dôt” (“generazioni”) in Genesi e diecí
“formule dell‘ítinerario d‘Israele nel deserto” in Es-Nm (99).
Dio si rivela in tre fasi della storia e ognuna corrisponde a un appellativo
divino: la creazione, opera di “Dio” (‘e~lõhîm); il tempo delle
promesse ai patriarchí, ove Dio si rivela come El Shaddai (‘ël šadday
— “Dio Onnipotente”[?II; cf.
Gn 17,1; Es 6,3); JHWH, il Dio dell‘esodo, del popolo d‘Israele e del
compimento delle promesse, rivela il suu nome a Mosè (Es 6,3).
P conosce due alleanze, una con Noè (Gn 9,1-17) e l‘altra con Abramo (Gn
17). Vi sono quattro “peddati” in P: la “violenza” della generazione del
diluvio (I2õmOEs — Gn 6,11.13); la “brutalità” degli Egiziani (perek
— Es 1,13-14); la generazione del deserto “calunnia la terra” (dibbat
hõ‘õrey — “calunnia della terra” — Nm 13,32; 14,36-37); Mosè e Aronne nun
credono in JHWH e non santificano II suu nome (Nm 20,12). Ogni peccato è
seguito da un castigo corrispondente. L‘acqua è strumento del daStigo nel
diluvio (Gn 7~8*) e nel miracolo del mare (Es 14*).
Questi due racconti si riallacciano al racdonto della creazione del mare in
Gn 1,9-10. 1 due altri castighi hanno luogo nel deserto. Lì muoiono i ribelli,
Aronne e Mosè (100). Il racconto della costruzione della tenda dell‘incontro
contiene numerose allusioni al raddonto della creazione. Per esempio, la nube
copre la montagna per sei giorni e JHWH chiama Mosè nel settimo giorno per
dargli le istruzioni sul culto (Es 24,16).
Le formule di condlusione in Es 3 9,32.43 riprendono quelle di Gn 1,31;
2,1-3: “Così fu compiuto...”; “Mosè vide tutta l‘opera...”; “Mosè benedisse
(101).
Gli studiosi hanno sfruttato le indicazioni di P in van modi. Per taluni, P
divide la storia in due grandi momenti, la sturia delle dieci tôl8dôt (“generazioni”)
in Gn, seguita dalle diecí tappe d‘Israele nel deserto (Es-Nm). L‘esodo forma
la cerniera fra questi due pannelli (N. Lohfink) (102). Sulla scia di J.
Weilhausen, W.H. Schmidt propone di vedere quattro periodi in P: la dreazione,
il diluvio, il tempo di Abramo e il tempo di Mosè (103). P. Weimar ed E. Zenger
preferiscono una divisione in due parti: Gn 1,1 - Es 1,7 ed Es 1,13 - Dt 34,9.
La prima parte è incentrata sul moltiplicarsi del popolo (cf. Gn 1,28 e Es
1,7), la seconda sulla marcia verso la terra (cf. Lohfink). O.H. Steck preferisce
un‘altra divisione bipartita fra “storia delle origini del mondo e
dell‘umanità” (Gn 1-11), da Adamo ad Abramo, e “storia delle origini
d‘Israele”, da Abramo a Mosè. In questu caso, Abramo è la figura chiave della
storia, non Mosè (104).
Non è facile integrare tutti i dati in una sola struttura e forse P non
intendeva nemmeno offrire un racconto nitido secondo i principi dello
strutturalismo odierno. Molti esegeti cercano di suddividere il testo del
racconto sacerdotale, mentre P cerca piuttosto di organizzare la storia.
Occorre, in questo caso come in tanti altri, distinguere chiaramente il testo
dal mondo al quale si riferisce.
In parole più tecniche, bisogna tenere conto della distinzione fra story
e discourse - fra “storia” e “discorso”. La “storia” è la realtà che
il lettore ricostruisce quando legge il testo, mentre il “discorso” è il testo
concreto (105). Il racconto saderdotale utilizza costantemente queste due
“tastiere” mentre suona la sua musica. Più concretamente, il lettore deve, a
partire dai dati e dagli schemi forniti da P, ricostruire una “storia” del
mondo nella quale si inserisce la storia d‘Israele.
La domanda, quindi, è di sapere con precisione quali sono le tappe di
questa storia, piuttosto che di sapere come si struttura il testo u
il discorso. Nei paragrafi seguenti, mi limiterò dunque a parlare della
“storia” senza cercare di ritrovare nei testi una geometria ineccepibile
(106).
Per arrivare a un risultato più sicuro, sembra opportuno prendere come
punto di partenza alcune affermazioni teologiche di P, poiché lo scritto
sacerdotale vede nella storia il compimento di un piano divino. Una grande
differenza fra P e le altre “fonti” che lo precedono, è il tono decisamente
“teologico” adottato da P.
Parecchi studiosi hanno notato il fatto che i discorsi divini sono
relativamente più frequenti in P che nei testi più antichi.
Questi disdorsi sono per lo più dei “programmi narrativi”, per usare il
linguaggio tednico dell‘analisi narrativa (107). In P, Dio ríscrive e
“programma” la storia che si divide in due grandi momenti: la storia
dell‘universo e la storia d‘Israele. La storia dell‘universo si suddivide in
creazione (Gn 1-5*) e rinnovamento della creazione per mezzo del diluvio (Gn
6-9*).
Anche la storia d‘Israele si suddivide in due momenti: la storia degli
antenati (i patriarchi) e la storia del popolo. 1 testi più importanti sono Gn
1,1 - 2,4a; 9,1-17; 17; Es 6,2-8.
Il Dio dell‘universo è Elohim; il Dio degli antenati d‘Israele è El
Shaddai; il Dio del popolo è JHWH. Dio si rivela solo a Israele, prima ai
patriarchi, poi a tutto il popolo. 1 due “nomi” — Elohim e El Shaddai —
corrispondono a due interventi particolari nella storia. Però, prima di entrare
nel merito di questa “teologia”, conviene convalidare queSte prime impressioni
sulla struttura di P.
La storia delle origini è come II fondamento stil quale Dio costruisce la
storia d‘Israele. Perciò, non mancano le corrispondenze fra questi due momenti
del racconto. Per esempio, all‘alleanza con Noè (Gn 9) corrisponde l‘alleanza
dOfl Abramo (Gn 17). Il “segno” della prima è l‘arcobaleno (Gn 9,12), il
“segno” della seconda, la dircondisione (Gn 17,11).
Gli Egiziani che oppressero gli Israeliti spariscono nelle acque del mare
(Es 14*), alla stregua della generazione violenta del diluvio che sparisce
nelle acque (Gn 7*)• In ambedue i casi, Dío agisde come creatore del mondo
perché comanda alle acque e fa apparire o riapparire la “terra asciutta” (yabbãšd
- Gn 1,9-10; 8,14; Es 14,16.22.29). La benedizione che Dio impartisce al genere
umano in Gn 1,28: “Siate fedondi, moltiplicatevi e riempite la terra”, viene
ripetuta in 9,1 per Noè e i suoi discendenti. Essa trova un‘eco nella
benedizione di Abramo (Gn 17,2.16; cf. 17,20) e in quella di Giacobbe (28,3;
35,11; 48,4). Questa benedizione ha il suo compimento in Gn 47,27; Es 1,7.
II Dio che fornisce il cíbo agli esseri viventi (Gn 1,29-30; df. 6,21)
nutre il suo popolo nel deserto con la manna (Es 16,15). Israele scopre in Es
16 il riposo del settimo giorno che Dio aveva inaugurato nel settimo giorno
della creazione (Gn 2,1-3).
Abbiamo già evidenziato i richiami tra II racconto della creazione e
quello della costruzione della tenda. Il creatore del mondo può venire ad
abitare in mezzo all‘universo quando Israele diventa il suo popolo (Es 6,7;
29,43-46).
La tenda è II “palazzo” del “sovrano dell‘universo” in mezzo al suo regno
(108). Questi indizi mostrano a sufficienza che P ha voluto costruire — per
usare un‘immagine — una storia a due piani don strutture analoghe.
Le due fasi della prima parte offrono anche delle somiglianze fra loro. Dio
crea l‘universo a partire dal caos primitivo dove le acque coprono tutta la
terra (Gn 1,2.9-10). Nel diluvio, l‘universo ritorna parzialmente al caos
primitivo quando la terra viene ricoperta dalle acque che fanno sparire una
generazione corrotta e violenta. Quando riappare la terra asciutta (Gn 8,14;
cf. 1,9-10), Noè esce dall‘arca con la sua famiglia per ripopolare l‘universo.
In 9,1, Dio rinnova la benedizione di 1,28 e in 9,2-3 cambia le prescrizioni
alimentari di 1,29-30.
Fra le due fasi della storia d‘Israele vi sono meno corrispondenze.
L‘articolazione è diversa: si passa dalla promessa all‘adempimento. Testi come
Es 2,23-25 e 6,2-8 pongono in risalto l‘articolazione fondamentale di questa
seconda fase della sturia sacerdotale. Quando Israele si trova in Egítto, Dio
si “ricorda” di quello che aveva promesso ad Abramo, Isacdo e Giacobbe (Es
2,24; 6,5). Dio giura tre dose ad Abramo: gli darà una numerosa discendenza
(Gn 17,2-6), una terra (17,8) e sarà il suo Dio (17,7-8). La promessa di una
numerosa discendenza si compie in Gn 47,27; Es 2,7.
La seconda promessa trova il suo adempimento quando JHWH viene ad abitare
in mezzo al suo popolo (Es 40,34-35; cf. Es 6,7; 29,45-46). Una sola promessa
aspetta ancura la sua realizzazione: la promessa della terra. Secondo P,
tuttavia, il mancato adempimento è dovuto alla colpa d‘Israele. Dio non è
responsabile di questo fallimento, come si può ricavare da Nm 13~14*.
La generazione dell‘esodo non ha voluto conquistare la terra e perciò è
stata condannata a morire nel deserto. La seconda generazione entrerà nella
terra giurata ai‘patriarchi (Nm 14,26~38*).
Lo scopo di P è di ritrovare nel passato le salde fondamenta sulle quali si
possa ricostruire la comunità d‘Israele. Per P, queste fondamenta sono
religiose. L‘esistenza dell‘universo postdiluviano dipende interamente
dall‘alleanza unilaterale di Dio con Noè (Gn 9,1-17). In altre parole, il
fondamento è indistruttibile perché è stato stabilito da Dio. La violenza degli
esseri viventi non può più distruggere il mondo.
L‘esistenza d‘Israele ha anch‘essa il suo fondamento in Dio: l‘alleanza
unilaterale di El Shaddai con Abramo e i suoi discendenti (Gn 17). Su questo
punto, P modifica la teologia dell‘alleanza deuteronomica. Per il Dt, la
benedizione dipendeva dall‘osservanza della legge da parte dei popolo.
Siccome II popolo non è stato fedele, è giunta la maledizione dell‘esilio.
Occorreva pertanto trovare nel passato un fondamento più so-lido che non fosse
legato alla fragile fedeltà umana. P lo trova nell‘alleanza unilaterale e non
condizionata di Dio con Abramo (Gn 17). Su questa base, P sviluppa la teologia
della “gloria” (109).
JHWH rivela questa sua “gloria” per la prima volta in Es 14 (vv~ 4.17-18),
quando “si glorifica” contro l‘Egitto. La “gloria” riappare nel deserto quando
JHWH dà la manna al popolo (Es 16,10). La stessa gloria appare sul monte Sinai
(Es 24,16-17) e prende possesso della tenda dell‘indontro (Es 40,34-35; cf.
29,43). Appare quando JHWH inaugura il culto (Lv 9,23).
Le ultime apparizioni della gloria coincidono con il castigo della
generazione ribelle che “calunnia la terra” promessa (Nm 14,10) e il dono
dell‘acqua che sgorga dalla roccia (Nm 20,6). La “gloria” unisce quindi due
aspetti importanti della rivelazione divina: gli interventi di JHWH nella
storia d‘Israele e la sua presenza nel culto. Israele venera nella tenda la
“gloria” di JHWH, Signore della sua storia (110).
Inoltre, JHWH è anche chiaramente il creatore dell‘universo che ha
adoperato la sua potenza di creatore per liberare Israele (Es 14*) (111) e
nutrirlo (Es 16*) (112). Le corrispondenze fra Es 24.39-40 e Gn 1 sottolineano
anch‘esse con grande forza che II Dio d‘Israele è II creatore dell‘universo
(113). Perciò la fede è ancorata su un fondamento inattaccabile perché è il
fondamento stesso dell‘universo.
Infine, la “gloria” si sposta con la tenda e accompagna Israele nel suo
cammino attraverso II deserto verso la terra promessa. II deserto non è
l‘ultima tappa del viaggio. Ma se la “gloria” di JHWH è presente in mezzo al
popolo, significa che l‘impresa non potrà fare.
La doppia natura della “gloria”, che è nello stesso tempo presenza
concreta ed efficace di JHWH nella storia e nel culto, permette di risolvere
parecchi problemi a proposito di P. Un primo problema è quello del suo scopo
finale. La maggioranza degli studiosi afferma che P è anzitutto interessato al
culto. Il racconto raggiunge quindi la sua conclusione nella pericope del
Sinai, dopo l‘inaugurazione della tenda (Es 40; Pola) o dopo i primi sacrifici
(Lv 9; Zenger, Otto) (114).
Altri, meno numerosi, pensano che il vero scopo di P sia piuttosto II
ritorno nella terra (115). In realtà, per P, il culto è inseparabile dalla
storia e, quindi, l‘inaugurazione del culto non è un fine in sé. Se la “gloria”
di Dio conduce la storia, la promessa fatta in Es 6,8 potrà difficilmente fare.
La “gloria” unisce pertanto aspetti dinamici e stabili, la tensione verso il
futuro — il possesso della terra — e la presenza di un Dio vicino nel
santuario (116).
Nello stesso modo, il racconto sacerdotale è percorso da un doppio
movimento. Da una parte, vuol ancorare l‘esistenza d‘Israele nel passato,
nell‘opera creatrice di Dio, nelle alleanze incondizionate con Noè ed Abramo
(117). Dall‘altra, testi come Gn 17; 28,1-9; 35,9-15; Es 6,2-8
contengono dei “programmi” per un futuro che va oltre la conclusione del
racconto.
P va ad attingere nel passato la forza per vivere il presente e la speranza
per costruire un futuro migliore. Insomma, non si possono ridurre le tensioni
dialettiche che soggiaddiono alla teologia sacerdotale senza correre il
rischio di impoverirla.
— La data di P (118)
Gli autori hanno proposto tre possibili date per P: prima deh‘esilo (Y.
Kaufmann e la sua scuola); la fine dell‘esilio o l‘inizio del ritorno (K.
Eiliger); il periodo che segue la ridostruzione del secondo tempio (la
maggioranza).
Il primo gruppo, in gran parte formato da esegeti ebrei, difende una data
preesiica e si appoggia su due argomenti princípali: la lingua (119) e
il fatto che il primo tempio doveva avere una legislazione. In realtà, questi
autori parlano soprattutto delle leggi donteflute in P e nel libro del Levitico
(120).
Il secondo e il terzo gruppo argomentano a partire da un‘ínterpretazione
del racconto sacerdotale che distingue fra contenuto e intenzione (121).
Per il secondo gruppo, P contiene un “progetto per il futuro”, perché
Israele vive un periodo di transizione. Il “deserto” in cui il popolo si trova
alla fine del racconto corrisponde ail‘esilio o al momento del primo ritorno.
Israele deve ancora entrare nella terra e ricostruire il tempio. Il racconto
sacerdotale, soprattutto la pericope del Sinai e la descrizione del culto,
sarebbe quindi da leggere come una “utopia” (122).
Per il terzo gruppo, invece, P è stato scritto per giustificare e legittimare
la “democrazia” del secondo tempio. Pertanto, la sua redazione segue la
ricostruzione e ne fornisce l‘“eziologia” (123).
Se si considera il racconto sacerdotale neila sua forma presente e non i
materiali più antichi che avrebbe potuto integrare, vi sono buoni argomenti
per affermare che deve essere almeno esilico. La centralizzazione del culto è
un fatto accettato e non richiede più né spiegazione né polemica, come ha
mostrato Wellhausen. P si colloca dunque cronologicamente dopo la
riforma di Giosia e il primo Deuteronomio.
Occorre aggiungere che vi sono molti contatti fra P e due grandi profeti
della fine dell‘esilio o il primo postesiio, Ezechiele e il Deutero-Isaia.
Ezechiele e P hanno in comune una teologia deha “gloria” e del “riconosdimento
di JHWH”, e una visione simile della storia d‘Israele (Ez 20 e Es 6,2~8)
(124). II Deutero-Isaia insiste come P sul legame fra “creazione” e
“redenzione”, e sul monoteismo (125). P dialoga con la teologia
deuteronomica/deuteronomistida riguardante l‘alleanza. Tutto questo porta a
pensare a una data vicina aha fine dell‘esilio (126).
Per sapere se P è stato scritto prima u dopo la ricostruzione del tempio,
ci vorrebbe una indicazione precisa. Finora le argomentazioni poggiano solo su
delle probabilità. A mio parere, P fornisce un dato che potrebbe dirimere la
questione. Occorre, però, ammettere che Nm 14 facdia parte di P, come abbiamo
propostu in precedenza. Il dato in questione si trova in Nm 14,9 ove Giosuè
esorta gli Israeliti a “non temere il popolo della terra”, cioè gli abitanti di
Canaan.
Quest‘ultima espressione — popolo della terra — ha una storia particolare.
Nei libri dei Re, ha un senso positivo e designa l‘aristocrazia terriera di
Giuda fedele a Davide (2 Re 11,20; 14,21; 21,24; 23,30). Nei librí di
Esdra-Neemia, invece, l‘espressione ha delle connotazioni negative. Il “popolo
della terra” è quella parte della popolazione che non è andata in esilo e che
si oppone al ritorno degli esllati. Vuole soprattutto impedire la ricostruzione
del tempio (cf. Esd 3,3; 4,4; 9,1.2.11; 10,2.11; Ne 9,24.30; 10,29.31.32).
Il testo di Nm 14,9 parla in modo negativo del “popolo della terra” (127).
Da una parte, Israele si trova fiel deserto e vuol entrare nella terra
promessa. Dah‘altra, vi è una popolazione ostile nel paese che impaurisce
Israele. Il popolo rinuncerà persino ad entrare nel paese a causa di loro. Come
interpretare questo testo? Chi è, per esempio, questo “popolo del paese”? Due
testi di Esd potrebbero fornire la chiave dell‘enigma: Esd 3,3 e 4,4.
Nel primo, si dice che il sacerdote Giosuè e i suoi fratelli, con
Zorobabele e i suoi fratelli, ristabilirono l‘altare sul suo fondamento sebbene
“gravasse su di loro II terrore dei popoli del paese” (128).
Esd 4,4-5 segnala la ragione del conflitto fra i due gruppi. Le popolazioni
che erano rimaste nel paese vollero partecipare alla ricostruzione del tempio,
ma questo fu negato loro da Zorobabele e dagli esiliati ritornati con lui. Come
misura di ritorsione, gli indigeni impedirono agli esiliati di ricostruire il
tempio per tutta la durata del regno di Ciro sino all‘inizio del regno di
Dario.
Perché questo rifiuto? Era un problema di potere o una lite a proposito
del possesso della terra? Il testo non lo dice. Qualunque sia il motivo, una
cosa è certa: per un lungo periodo il conflitto fra gli esiliati e la
popolazione indigena è stato acuto (129).
Inoltre, i libri di Esd-Ne equiparano questi “popoli del paese” ai nemici
tradizionali d‘Israele, le popolazione sconfitte da Giosuè (Esd 9,1; cf. Ne
9,8.24). In questo modo, vengono squalificati perché “pagani” che non
osservano la legge di Mosè (cf. Ne 10,29), in particolare non osservano il
sabato (Ne 10,32). Non hanno nessun diritto ad ereditare II paese. Al
contrario, sono destinati ab sterminio.
Vi sono pertanto buone ragioni per collocare P in questo contesto, prima
del 520 avanti Cristo, durante il regno di Ciro. P descrive il grande progetto
del ritorno e il suo fallimento parziale a causa dell‘opposizione del “popolo
del paese” e dello scoraggiamento degli Israeliti che hanno calunniato la terra
(13,32; 14,36-37).
L‘entrata nella terra è di conseguenza posticipata di una generazione.
Questo corrisponde al periodo che separa il regno di Ciro (t 530 av. Cristo)
dal regno di Dario (52 1-486 av. Cristo).
C. LO STUDIO “SINCRONICO” DEL PENTATEUCO (130)
Bisogna menzionare in questo contesto il contributo non trascurabile dei
nuovi metodi di ricerca. Vi sono tuttavia molte scuole ed èimpossibile nel
quadro di questa introduzione presentarle tutte (131). Le più importanti sono
la “lettura canonica” della Scrittura, lo strutturalismo, la semiotica e la
narratologia. La lettura canonica della Bibbia è legata soprattutto ai nomi di
B.S. Chllds e J.A. Sanders (132).
Lo strutturalismo è nato in Francia nel mondo dell‘etnologia e
dell‘antropologia. II nome più conosdiuto è quello deilo scienziato C.
Lévi-Strauss (133). Si parla anche volentieri, in questo campo, di “analisi
retorica” (Rhetorical Criticism) (134)
La semiotica è figlia del formalismo russo e ha trovato una seconda patria
in Francia e in Québec (135). La narratologia applica ai testi biblici un
metodo di origine anglo-sassone e conosciuto sõtto il nome di “nuova critíca”.
Si chiama anche dose readin,g (“lettura attenta”) (136).
Per lo studio del Pentateuco, ciascuno dei metodi offre delle analisi
interessanti. Essi hanno anche dei limiti. Prima di tutto, le letture
sincroniche sono letture di testi individuali. Sono ran gli studi di libri
interi e su tutto il Pentateuco (137).
Vi sono altre difficoltà. Alcuni studi strutturali tendono a privilegiare
le parole o espressioni che ricorrono in alcuni punti strategici del testo, per
esempio nei chiasmi e nche inclusioni, o che appaiono nel centro delle
strutture concentriche.
In questi casi, però, si passa dalla struttura alla semantica e non è
sempre detto che le indicazioni strutturali siano sufficienti per stabilire
quale parte di un testo abbia più peso di un‘altra. Il centro geometrico di un
testo non è necessariamente il suo centro semantico.
L‘affermazione più importante può apparire Solo in una conclusione
lungamente preparata. Inoltre, tutte le parole non hanno lo stesso valore. 1
verbi, per esempio, sono determinanti in una frase, mentre le altre parole
assolvono spesso ruoli secondari.
In molte analisi, II pericolo che sta in agguato è il “feticismo della
parola”. Ogni affermazione va interpretata secondo il suo contesto, e la
dinamica del testo prevale sugli aspetti statici quando sj tratta di
determinarne il significato (138). Gli studi di tipo sincronico non tengono
sempre sufficientemente conto della distinzione tra “forma” e “dontenuto”. 0,
per usare il vocabolario deha linguistica, non distinguono sempre bene fra
“significante”, “significato” e “referente” (139).
Molte analisi sincroniche ignorano i problemi testuali. Per dame un solo
esempio, si cerca invano nelle analisi sincroniche su Gn 12-25 una spiegazione
soddisfacente di un problema di cronologia ben noto: come mai Gn 21 presenta
Ismaele come un neunato, portato da sua madre, quando, secondo i dati forniti
dagli altri testi, dovrebbe avere più o meno diciassette anni? Egli ha tredici
anni in Gn 17,25; Isacco nace un anno dopo (Gn 17,21; 18,14) e viene svezzato a
l‘età di tre anni circa.
Spesso, si parla dell'“autonomia” del testo che sarebbe da interpretare
indipendentemente dal suo autore ‘e dallo studio delle circostanze nelle quali
fu scritto. Questo vale, forse, per la letteratura moderna, perché condividiamo
la stessa cultura degli autori e perché le opere non hanno una lunga storia
redazionale dietro di sé. Già nel mondo della critica letteraria moderna vi
sono alcune voci critiche in merito (140).
Ma parlare di “autunomia dell‘opera letteraria”, non vale per testi
antichi che sono stati scritti secondo i criteri e le preoccupazioni di
un‘altra cultura. Non si può passare dalla fidtion moderna allo studio
della Bibbia senza tenere in considerazione la diversità che separa l‘una
dall‘altra (141).
È lo stesso studio “sincronico” che induce a porre domande sul contesto
storico dei testi, perché devono essere letti e interpretati secondo le norme
che emergono dai testi stessi.
Queste norme risalgono a una cultura diversa dalla nostra. Perciò, uno
studio storico-critico riesce spesso a risolvere con più semplicità delle
domande che ogni esegeta onesto non può non porsi durante la sua lettura (142).
Non Vale la pena entrare nel “conflitto dei metodi” o fare la guerra per difendere
tale o tale tipo di analisi. i metodi sono solo strumenti che l‘esegeta
sceglie in funzione della natura dell‘oggetto che deve studiare. In questo
campo come in tanti altri, il dialogo offre vie più fruttuose delle
controversie.
Il metodo migliore è quello che riesce a spiegare il testo del Pentateuco
con più chiarezza e senza ignorare la complessità che i capitoli precedenti
hanno voluto evidenziare.
Chi, inoltre, “perde” tempo per ripercorrere le vie della ricerca nei
secoli passati, in realtà risparmierà tempo, perché non dovrà rifare, a proprie
spese, lo studio già fatto e — magari — non ripeterà gli stessi errori.
RIFERIMENTI
(1) Per più particoiari sulle discussioni degli anni ‘70-80, vedi, fra gli
aitri, N.E.WAGNER, «Pentateuchal Griticism: No Glear Future», CJT 13
(1967) 225-232; E. OTTO, «Stehen wir vor einem Umbruch in der
Pentateuchkritik?», VF 22 (1977) 82-97; B. DIEBNER, «Neue Ansätze in der
Pentateuchforschung», DBAT 13 (1978) 2-13; J. VAN SETERS, «Recent
Studies on the Pentateuch. A Grisis in Method?», JAOS 99 (1979) 663-673;
J. VERMEYLEN, «La formation du Pentateuque à la iumière de l‘exégèse istorico-critique»,
RTL 12 (1981) 324-346; E. ZENGER, «Auf der Suche nach einem Weg aus der
Pentateuchkrise», TRev 78 (1982) 353-362; A.H.J. GUNNEWEG, «Anmerkungen
und Anfragen zur neueren Pentateuchforschung», TRu 48 (1983) 227-253; 50
(1985) 107-131.
(2) Rolf Rendtorff, per esempio, era Rettore dell‘Università di Heidelberg
nel 1968.
(3) Vedi soprattutto H.H. SCHMID, «Perspektiven».
(4) “Vedi, fra i primi, EV. WINNETT, «Re-examining the Foundations», JBL 84 (1965)
1-19.
(5) Vedi soprattutto R. RENDTORFF, «Between
Historical Griticism and Holistic Interpretation. New Trends in Oid Testament
Exegesis», Congress Volume. Jerusalem 1986 (VTS 40; Leiden 1988)
298-303; ID., «The Paradigm is Ghanging: Hopes and Fears», Biblical
Interpretation 1 (1993) 34-53.
(6) Vedi, per esempio, B.S. GHILDS, Exodus, ehe nella
prefazione afferma il suo programma senza mezzi termini: «The purpose of this
comnientary is unabashedly theological [...]. Its purpose is to understand Exodus as
scripture of the church [...]. lt will be immediateiy clear from this
perspective that a different understanding of die role of biblical
interpretation is being offered from that currentiy held by die majority of
scholars within die field» (ix). Vedi anche DJ.A. GLINES, The Theme of die
Pentateuch: «1 am here arguing that the Pentateuch is a unity - not in
origin, but in its final shape. Two centuries of Biblical criticism have
trained us to look for unity, if at all, in die Pentateuch‘s sources rather
than in the fmal product. 1 have thought it worthwhile to suggeSt that it is
time that we ignored die sources - hypothetical as they are - for a linie, and
asked what die Pentateuch as a whole is about; that it to say, what is its
theme» (5).
(7)Vedi, recentemente, CH. LEVIN, Der Jabwist.
(8) M. ROSE, Deuteronomist und Yahwist. Untersuchungen zu den
Berührungspunkten beider Literaturwerke (ATANT 67; Zürich 1981): lo
Jahwista segue Il Deuteronomista!
(9) H.H. SCHMID, «Perspektiven», 390: «Hängt dies damit zusammen, dass wir
selbst in gewissem Sinne in einer Spätzeit leben?» - «[Questo interesse per le
epoche tardive] non sarebbe da collegare con il fatto che noi stessi viviamo,
in un certo senso, in un‘epoca tardiva»?
(10) Vedi, fra gli altri, EV. MCKNIGHT, Postmodern Use ofthe Bible. Si pensa anche al Deconstructionism di A.
Derrida, per cui i testj sono fondamentalmente instabili.
(11) J, VAN SETERS, Abraham in History and
Tradition (New Haven, CN - London 1975).
(12) TH. L. THOMPSON, The Historicity of die
Patriarchal Narratives (BZAW 133;
Berlin - New York 1974).
(13) Vedi B.J. DIEBNER, «Die Götter des Vaters. Eine Kritik der
“Vätergott“-Hypothese Albrechts Alts», DBAT 9 (1975) 21-51; H.
VORLÄNDER, Mein Gott. Die Vorstellung vom persönlichen Gott im Alten Orient
und im Alten Testament (AOAT 23; Kevelaer - Neukirchen-Vluyn 1975); E.
RUPRECHT, «Die Religion der Väter. Hauptlinien der Forschungsgeschichte», DBAT
11(1976) 2-29; più recentemente, vedi anche E. BLUM, Komposition, 495-497;
M. KÖCKERT, Vdtergott; cf. T.D.N. METTINGER, «The God of the Fathers:
Divine Designations in the Patriarchal Narratives», In Search of God. The Meaning and Message of the
Everlasting Names (Philadelphia
1987) 50-74. Sull‘insieme
della questione, vedi H. WEIDEMANN, Die Patriarchen und ihre Religion.
(14) G.E. MENDENHALL, «The Hebrew Gonquest of
Palestine», BA 25/3 (1962) 66-87 = The Biblical Archaeologist Reader 3
(Garden City, NY 1970) 100-12 0; ID., The Tenth Generation. The Origins of
the Biblical Tradition (Baltimore 1973); ID., «Change and Decay in all
around 1 see: Gonquest, Govenant and The Tenth Generation»,BA 39 (1976)
152-157; N.K. GOTTWALD, The Tribes of Yahweh; B. ZUBER, Vier Studien
zu den Ursprüngen Israels (OBO 9; Freiburg Schweiz - Göttingen 1976). Sull‘«ideale nomade» d‘Israele, vedi la critica di
5. TALMON, «The “Desert
Motif“ in die Bible md in Qumran Literature», Biblical Motifs - Origins
and Transformations (ed. A. ALTMANN) (Cambridge, MA 1966) 31-63.
(15) Più recentemente, vedi 1. FINKELSTEIN, The Archaeology of the Israelite Settlement (Jerusalem
1988); W. THIEL, «Vom revolutionären zum evolutionären Israel? Zu einem neuen
Modell der Entstehung Israels», TLZ 113 (1988) 401-410; R. NEU, Von
der Anarchie zum Staat. Entwicklungsgeschichte Israels vom Nomadentum zur Monarchie
im Spiegel der Ethnosoziologie (Neukirchen-Vluyn 1992); A.J. FRENDO, «Five
Recent Books on the Emergence of Ancient Israel: Review Article», PEQ 124
(1992) 144-155; TH.L. THOMPSON, Early History of the Israelite People. From the Written and Archaeological
Sources (Studies in
the History of the Ancient Near East 4; Leiden -New York - Köln 1992); P.
KASWALDER, «L‘archeologia e le origini d‘Israele», RivBib 41(1993)171-188.
(16) Vedi capitolo VI, p. 140, n. 101.
(17) Vedi R. SMEND, Jahwelerieg und Stcïmmebund. Erwâgun gen zur
oïltesten Geschichte Israels (FRLANT 84; Göttingen 1963) 56-70; W.H.
IRVIN, «Le sanctuaire central israélite avant l‘établissement dc la
monarchie», KB 72 (1965) 161-184.
(18) C.W.H. BREKELMANS, «Het “Historische Credo“ van Israel», Tijdschrift
voor Theologie 3 (1963) 1-11; L. ROST, «Das kleine geschichtliche Gredo», Das
kleine geschichtliche Credo und andere Studien zum Alten Testament (Heidelberg
1964) 11-25; W. RICHTER, «Beobachtungen zur theologischen Systembildung in der
alttestamentlichen Literatur anhand des “kleinen geschichtlichen Gredo“», Wahrheit
und Verkündigung. FS. W. Schmaus (München - Paderborn - Wien 1967)
175-212; J. PH. HYATT,
«Were There an Ancient Historical Gredo and an Independent Sinai Tradition?», Essays
in Honor ofH.G. May (Nashville, TN - New york 1970) 152-170; N. LOHFINK,
«Zum “ldeinen geschichtlichen Gredo“ Dtn 26,5-9», ThPh 46 (1971) 19-39; 5.
KREUTZER, Die
Frühgeschichte Israels in Bekenntnis und Verkündigung des Alten Testaments (BZAW
178; Berlin - New York 1989).
(19) Per i testi, vedi A.E CAMPBELL - M. O‘BiuEN, Sources, 166-193;
per un riassunto della storia della ricerca, vedi A. DR PURY - TH. RÖMER,
«Pentateuque», 45-46; per le caratteristiche della fonte E, vedi E. ZENGER, Einleitung,
111-112.
(20) Vedi lo studio di 0. PROCKSCH, Das nordhebräische Sagenbuch: Die Elohimquelle (Leipzig
1906).
(21) McEvenue impernia la sua difesa dell‘Elohista proprio su questi testi;
vedi 5. MCEvENUE, «The
Elohist at Work», ZAW 96 (1984) 315-332.
(22) P. V0LZ - W. RUDOLPH, Der Elohist als Erzähler Ein Irrweg der
Pentateuchkritik (BZAW 63; Gießen 1933); W. RUDOLPH, Der «Elohist» von
Exodus bis Josua (BZAW 68; -Berlin 1938).
(23) S. MOWINCKEL, Erwägungen zur Pentateuchquellenfrage (Oslo -
Trondheim 1964).
(24) Vedi, tuttavia, A.E CAMPBELL - M. O‘BRIEN, Sources, 161-193
(con mi certo scetticismo); W. JENKs, The Elohist and North Israelite
Traditions (SBLMS 22; Missoula, MT 1977); R.B. COOTE, In Defense of
Revolution: The Elohist History (Mmneapolis, MN 1991).
(25) Vedi E. ZENGER, Einleitung, 111-112.
(26) Inoltre, al momento chiave del racconto, appare l‘angelo di JHWH, non
l‘angeb di Ebohim (Gn 22,11). Cf. 21,17. Per la datazione di Gn 22, vedi T.
VEIJOLA, «Das Opfer des Abraham - Paradigma des Glaubens aus dem nachexilischen
Zeitalter», ZTK 85 (1988) 129-164.
(27) Sviluppiamo su questo punto l‘argomentazione di Zenger.
(28) Per i testi, vedi A.E CAIvmBELL - M. O‘BRIEN, Sources, 91-160;
per un riassunto dalle posizioni àttuali, vedi A. DE PuRY - TH. RÖMER,
«Pentateuque», 55-66; per la discussione a proposito della datazione, vedi E.
ZENGER, Einleitung, 109-111.
— Esiste una fonte Jahwista
(J)?
(29) R. RENDTOREF, «Literarkritik und Traditionsgeschichte», EvTh ‘27
(1967) 138- 153; ID., «Traditio-Historical Method md the Documentary
Hypothesis», Proceedings of the Fifth World Congress of Jewish Studies 1
(Jerusalem 1969) 5-11; ID., «Der “Jahwist“ als Theologe? Zum Dilemma der Pentateuchkritík», Congress
Volume. Edinburgh 1974 (VTS 28; Leiden 1975) 158-166 = «The “Yahwist“ as
Theologian? The Dilemma of Pentateuchal Criticism», JSOT 3 (1977) 2-9;
ID., Das überlíeferungsgeschichtliche Problem des Pentateuch (BZAW 147;
Berlin - New York 1976); ID., «The Future of Pentateuchal Criticism», Henoch
6 (1984) 1-15; sulla sua opera, vedi L. ZAMAN, R. Rendtorff en zijn
«Das überlieferungsgeschichtliche Problem des Pentateuch». Schets van een Maccabeèr binnen de
hedendaagsche Penteteuchexegese (Brussel 1984). Le posizioni di
Rendtorff sono riassunte nella sua Introduzione all‘Antico Testamento: Das
Alte Testament. Eine Einführung (Neukirchen-Vluyn 1983), che,esiste in
traduzione italiana, inglese e francese.
(30) Vedi Dt 1,8.21.35; 6,10.23; 8,1 [...]. Per una lista completa, vedi
TH. RÖMER, Israels Väter
Untersuchungen zur Väterthematík im Deuteronomium und in der deuteronomistischen
Tradition (OBO 99; Freiburg Schweiz - Göttingen 1990) 12-14.
(31) Si parla anche, in questo caso, del modello dei «cicli narrativi» (Erzählkränze).
Vedi E. ZENGER, Einleitung,
72.
(32) Ritroviamo, quindi, un‘idea simile a quella di 1. ENGNELL, Gamla
Testamentet 1.
(33)E. BLUM, Die Komposition der Vätergeschichte (WMANT 57; Neukirchen-Vluyn
1984); ID., Studien zur Komposition des Pentateuch (BZAW 189; Berlin -
New York 1990); su quest‘ultima opera, vedi J.L. SKA, «Un nouveau
Wellliausen?», Bib 72 (1991) 253-263; E. CORTESE, «Pentateuco: la strada
vecchia e la nuova», Liber Annuus 43 (1993) 71-87.
(34) Vedi la tesi di P. FREI, «Zentralgewalt und Achämenidenreich», Reichsidee
und Reichsorganisation im Perserreich (Hrsg. P. FREI - K. KOCH) (OBO 55;
Freiburg Schweiz - Göttingen 1984; 21996) 7-43. J. BLENKINSOPP,
Pentateuch, 229-243, adotta una posizione molto simile a quella di
Rendtorff e soprattutto di Blum. Anch‘egli pensa a due «strati» nel
Pentateuco, l‘uno di tipo deuteronomistico e composto alla stregua della
storia deuteronomistica e l‘altro di origine sacerdotale. Si riferisce anche
allo studio di P. Frei e all‘autorizzazione imperiale persiana per spiegare
l‘origine del Pentateuco attuale.
(35) Per una critica, vedi, fra glí altri, E. OTTo, «Kritik der
Pentateuchkomposition», VF 40 (1995) 3-28, spec. 164-181; E. ZENGER, Einleitung, 73; 5.
MCEvENuE, «The Speaker(s) in Ex 1-15», Biblische Theologie und
gesellschaftlicher Wandel. FS. N. Lohfink (Hrsg. G. BB.AULIK - W. GROß - S.
MCEvENUE) (Freiburg im Breisgau 1993) 220-236.
(36) Vedi N. LOHFINK, «Deutéronome et Pentateuque: Etat dc la recherche», Le
Pentateuque. Débats et recherches (éd. P. HAUDEBERT) (LD 151; Paris 1992) 35-64 =
«Deuteronomium und Pentateuch. Zum Stand der Forschung», Studien zum Deuteronomium
und zur deuteronomistischen Literatur ILI (SBAAT 20; Stuttgart 1995) 13-38,
spec. 14-15.
(37) Questa domanda non viene trattata né da Rendtorff né da Blum. In
compenso, altri due rappresentanti della «scuola di Heidelberg» hanno mostrato
più interesse per i codici legislativi. Vedi R. ALBERTZ, Religionsgeschichte Israels in alttestamentlicher Zeit
1-2 (ATD Ergänzungsreilie 8/1-2; Göttingen 1992); trad. inglese: A
History of Israelite Religion in the Old Testament Period 1-2 (London
1994); E GRÜsEMANN, Bewahrung der Freiheit. Das Thema des Dekalogs in
sozialgeschichtlicher Perspektive (Kaiser Traktate 78; München 1983); ID.,
«Das Bundesbuch - historischer Ort und institutioneller Hintergrund», Congress
Volume. Jerusalem 1986 (VTS 40; Leiden 1988) 27-41; ID., «Der Exodus als
Heiligung. Zur rechtsgeschichtlichen Bedeutung des Heiligkeitsgesetzes», Die
Hebräische Bibel und ihre zweifache Nach geschichte (FS. R. Rendtorif;
[Hrsg. E. BLUM - C. MACHOLZ - E.W. STEGEMANN] Neukirchen-Vluyn 1990) 117-129;
ID., Die Tora. Theologie und Sozialgeschichte des alttestamentlichen Gesetzes
(München 1992).
(38) EV. WINNETT, The Mosaic Tradition (Toronto
1949); ID., «Re-examining the Foundations», JBL 84 (1965) 1-19.
(39) N.E. WAGNER, «Pentateuchal Criticism: No
Clear Future», Canadian Journal of Theology 13 (1967) 225-232; ID., «Abraham
md David?», Studies in the Ancient Palestinian World Presented to Professor
F V Winnett (eds. J.W WEVERS - D.B. REDFORD) (Toronto Semitic Texts md
Studies; Toronto 1972) 117-140.
(40) Vedi, anzitutto, J. VAN SETERS, Abraham
in History and Tradition (New Haven, CN - London 1975); ID., In Search
of History. Historiography in the Ancient World and the Origins of Biblical
History (New Haven, CN - London 1983); ID., Der Jabwist als Historiker (Theologische
Studien 134; Zürich 1987); ID., Prologue to History: The Yahwist as
Historian in Genesis (Louisvffle, KY - Zürich 1992); ID., The Life of
Moses. The Yahwist as Historian in Exodus-Numbers (CBET 10; Kampen -
Louisvffle, KY 1994); ID., «Gultic Laws in the Covenant Code (Exodus 20,22 -
23,33) and their Relationship in Deuteronomy and the Holiness Code», Studies
in the Book ofExodus. Redaction - Reception
- Interpretation (ed. M. VERVENNE) (BETL 126; Leuven 1996) 3 19-345.
(41) H.H. SCHMID, Der sogenannte Jabwist: Beobachtungen und Fragen zur
Pentateuchforschung (Zürich 1976); ID., «In Search of New Approches in
Pentateuchal Research», JSOT 3 (1977) 33-42; ID., «Vers une théologie
du Pentateuque», Le Pentateuque en question (éd. A. de PURY) (Le monde
dc la Bible; Genève 1989) 361-386.
(42) M. ROSE, Deuteronomist und Jahwist. Untersuchungen zur Berührungspunkte beider
Literaturwerke (ATANT 67;
Zürich 1981); ID., «La croissance du corpus historiographique de la Bible -
une proposition», RTP 118 (1986) 217-326; ID., «Empoigner le Pentateuque
par sa fin! L‘investiture de Josué et la mort dc Moïse», Le Pentateuque en
question, 129-147.
(43) H. VORLÄNDER, Der Entstehung
des jehowistíschen Geschichtswerks (E.URHS XXILI,109; Frankfurt 1978).
(44)Vedi H.-CH. SCHMITT, Die
nichtpriesterliche Josephsgeschichte (BZAW 154; Berlin - New York 1980);
ID., «“Priesterliches“ und “prophetisches“ Geschichtsverständnis in der
Meerwundererzählung Ex 13,17 - 14,31. Beobachtungen zur Endredaktion des
Pentateuch», Textgem4ß. Aufsätze und Beiträge zur Hermeneutik des Alten Testaments
(FS. E. Würthwein; Göttingen 1979) 138-155; ID., «Redaktion des Pentateuch
im Geiste der Prophetie. Beobachtungen zur Bedeutung der “Glaubens“Thematik
innerhalb der Theologie des Pentateuch», VT 32 (1982) 170-189; ID., «Die
Híntergründe der “neuesten Pentateuchkritik“ und der literarische Befund der
Josefsgeschichte», ZAW 97 (1985) 161-179.
(45) Vedi GH. LEVIN, Der Jabwist (FRLANT 157; Göttingen 1993).
(46) Per una valutazione, vedi le recensioni di E. BLUM, TLZ 120 (1995)
786-790; D. CAmt, CBQ 57 (1995) 354-355; E. OTTO, «Kritik der
Pentateuchredaktion», TRu 60 (1995) 163-191, spec. 182-190; J.L. SKA, Bíb
77 (1996) 425-428.
(47)J. VAN SETERS, «Cultic Laws in the Covenant
Code» (vedi n. 40).
(48) Vedi J. BLENKINSOPP, Pentateuch, 37-42.
(49)Qualche opera più significativa: P. WEIMAR, Untersuchungen zur
priesterschriftliehen Exodusgeschichte (FzB 9; Würzburg 1973); ID., Untersuchungen
zur Redaktionsgeschichte des Pentateuch (BZAW 146; Berlin - New York
1977); ID., Die Berufung des Mose (OBO 32; Freiburg Schweiz - Göttingen
1980); ID., Die Meerwundererzählung. Eine redaktionskritische Analyse von
Ex 13,17 - 14,31 (AAT 9; Wiesbaden 1985); E. ZENGER, Die
Sinaitheophanie (FzB 3; Würzburg 1971); ID., Israel am Sinai. Analysen
und Interpretation zu Exodus 17-34 (Altenberge 1982); P. WEIMAR - E.
ZENGER, Exodus. Geschichten
und Geschichte der Befreiung Israels (SBS 75; Stuttgart 1975); E. ZENGER, «Le thème dc la “sortie
d‘Egypte“ et la naissance du Pentateuque», Le Pentaten que en question, 301-331;
J. VERMEYLEN, «La formation du Pentateuque à la lumière dc l‘exégèse
historico-critique», RTL 12 (1981) 324-346; ID, «Les premières étapes dc
la formation du Pentateuque», Le~Pentateuque en question, 149-197; ID.,
«Le vol dc la bénédiction paternebe. Une lecture dc Gen 27», Pentateuchal
and Deuteronomistic Studies (eds. C. BREKELMANS - J. LUST) (BETL 94;
Leuven 1990) 23-40. Per una breve valutazione, vedi E. ZENGER, Einleitung, 72.
(50)‚ E. ZENGER, Einleitung, 73, 108-123.
(51) Riassunto in E. ZENGER, Einleitung, 119.
(52) E. ZENGER, Einleitung, 73.
(53)«Irivano diventario di più le cose ehe possono essere di meno».
(54) »‚ «Non bisogna moltiplicare le redazioni senza necessità». 11 detto
originale di Occam recita: «Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem»
- «Gli essen non devono essere moltiplicati senza necessità». Si può anche
citare M. Noth ehe dice: «Eine literarkritische Möglichkeit ist jedoch noch
keine literarkritische Notwendigkeit»«Una possibilità di trovare fonti non
significa la necessità di trovare fonti» - M. NOTH, 1 Könige (BKAT 9/1;
Neukirchen-Vluyn 1969) 246.
(55) E. ZENGER, «Sortie d‘Égypte», 328-329.
(56) Vedi anzitutto la sua «Introduzione»: W.H. SCHMIDT, Einführung in
das Alte Testament (Berlin - New York 1979, ‘1995); ID., Exodus (BKAT
11,1; Neukirchen-Vluyn 1988); ID., «Ein Theologe in sabomonischer Zeit? Plädoyer für den Jahwisten», BZ 25
(1981) 82-102; ID., «Plädoyer für die Quebenscheidung», BZ32 (1988) 1-14; ID.,
«Elementäre Erwägungen zur Quellenscheidung im Pentateuch», Congress
Volume. Leuyen 1989 (cd. JA. EMERTON) (VTS 43; Leiden 1991) 22-45; ID.,
«Die Intention der beiden Plagenerzählungen (Exodus 7-10) in ihrem Kontext», Studies
in the Book of Exodus. Redaction - Reception
- Interpretation (cd. M. VERVENNE) (BETL 126; Leuven 1996) 225-243.
(57) Vedi, fra l‘altro, H. SEEBAß, «Gehörten Vcrheißungen zur ältesten
Bestand der Vätererzählungen?», Bib 64 (1983) 189-2 10; ID., «Que
restc-t-il du Yahwiste et dc l‘Elohiste?», Le Pentateuque en question, 199-214;
ID., «A titre d‘excmple: réflcxions sur Gen 16//21,8-21//26,1-33», Le
Pentateuque en question, 215-230; ID., Genesis 1. Urgeschichte (1,1 - 11,26) (Neukirchen-Vluyn 1996). H. Seebaß Sta scrivendo il commentario al libro
dci Numeni per la collana Biblischer Kommentar.
(58) E KOHATA, Jahwist und Priesterschrift in Exodus 3-14 (BZAW
166; Berlin - New York 1986); ID., «Die Endredaktion (R0) der
Meerwundererzähbung», AJBI 14 (1988)
10-37.
(59) L. RUPPERT, «Die Aporien der gegenwärtigen Pentateuchdiskussion und
die Josefserzähilung der Genesis», BZ 29 (1985) 31-48 = Studien (vedi
infra), 89-109; ID., Genesis. Ein kritischer und theologischer Kommentar. 1. Teilband: Gen 1,1-11,26 (FzB 70;
Würzburg 1992); vedi anche la sua raccolta di articoli Studien zur Literaturgeschichte
des Alten Testaments (SBAAT 18; Stuttgart 1994). Ogni tanto, L. Ruppert si
avvicina alle posizioni di P. Weimar. Cf. E. ZENGER, Einleitung, 72.
(60) Vedi soprattutto: L. SCHMIDT, Literarische Studien zur
Josephsgeschichte (BZAW 167; Berlin New York 1977); ID., «Jakob erschleicht
sich den väterlichen Segen. Literarkritik und Redaktion in Genesis 27,1-45», ZAW
100 (1988) 159-183; ID., Beobachtungen und Fragen zu der
Plagenerzählung in Exodus 7,14-11,10 (Studia Biblica; Leiden 1990); ID.,
«Vätcrvcrhcißungen und Pentateuchfrage», ZAW 104 (1992) 1-27; ID., Studien
zur Priesterschrift (BZAW 214; Berlin - New York 1993); ID., «Weisheit und
Geschichte beim Elohisten», «Jedes Ding hat seine Zeit». Studien zur
israelitischen und altorientalischen Weisheit. Dietheim Michel zum 65. Geburtstag (BZAW 241; Berlin -New
York 1996) 209-225.
(61) E fondamentalmente la posizione dell‘introduzionc di A.E CAMPBELL -
M.A. O‘BRSEN, Sources; vedi anche 5. B00RER, The Promise of Land as Oath: A Key
to the Formation ofthe Pentateuch (BZAW 205; Berlin - New York 1992)
(un‘alunna di A.E Campbcll); K. BERGE, Die Zeit des Jabwisten. Ein Beitrag
zur Datierung jahwi‘stischer Viltertexte (Berlin - New York 1990); E.
CORTESE, «Pentatcuco: la strada vecchia e la nuova», Liber Annuus 43
(1993) 7 1-87; cf. E.W. NICHOLSON, «The Pentateuch in Recent Rcsearch. A Time
for Gaution», Congress Volume. Leuven 1989 (cd. JA.
EMERTON) (SVT 43; Leuven 1991) 10-21.
(62) Cf. i modelli di R. Rcndtorff, E. Blum (per la Genesi) c di E. Zenger.
(63) Vedi E CRÜSEMANN, «Die Eigenständigkeit der Urgeschichte. Ein Beitrag
zur Diskussion um den “Jahwisten“», Die Botschaft und die Boten (FS.
H.W. Wolff; [Hrsg. J. JEREMMS - L. PERLITr] Neukirchen-Vluyn 1981) 9-29;
J. BLENMNSOPP, Pentateuch, 64-66; 69-70; 77-78; E. ZENGER, Einleitung,
114-115; cf. J.L. SKA, «Pentateuque», 251.
(64) Vedi L. ALONSO SCHÖKEL, «Motivos
sapienciales y de alianza en Gn 2-3», Bib 43 (1962) 295-3 16.
(65) Beersheva viene
tuttavia menzionata in Gn 28,10.
(66)KREUTZER, Die Frühgeschichte Israels.
(67) P fornisce in gran parte il «fio rosso» dcl Pentatcuco. Vedi J. WELLHAUSEN, Prolegomena, 336:
«Es ist als ob P der rote Faden sei, an dem die Perlen von JE aufgereiht
werden»; M. NoTIz, Uberlieferungsgeschichte, 11.
(68) Vedi le obiezioni di J. BLENKINSOPP, Pentateuch (124-125); R.N.
WHYBRAY, Introduction, 25-27; E. ZENGER, Einleitung, 108-110; D.
CARR, Fractures, 220-232; cf. J.L. SKA, «Pentateuque», 251.
(69) Vedi E. OTTO, «Die nachpriesterschriftliche Pentateuchredaktion ins
Buch Exodus», Studies in the Book of Exodus (cd. M. VERVENNE) 61-111.
(70) Vedi J.L. SKA, «Récit et récit métadiégétique en Ex 1-15. Remarques
critiques et essai d‘interprétation dc Ex 3,16-22», Le Pentateuque. Débats
et recherches (éd. P. HAUDEBERT) (LD 151; Paris 1992) 135-171, spec. 144-146; D. CARR, Fractures, applica
questo metodo al libro deila Genesi con buoni risultati.
(71) Su questo punto, vedi E. ZENGER, Einleitung, 92-108; J.L. SKA,
«De la relative indépendance de l‘écrit sacerdotal», Bib 76 (1995)
396-415. Per una traduzione in inglese e un breve commento, vedi A.F. CAMPBELL
- M. O‘BRIEN, Sources, 21-90.
(72) Per una delimitazione dci testo, vedi E. ZENGER, Einleitung, 94-95.
Vedj anche Il contributo
fondamentale di K. ELLIGER, «Sinn und Ursprung der priesterlichen
Geschichtserzählung», ZTK 49 (1952) 121-142 = Kleine Schriften zum
Alten Testament (Tßü 32; München 1966) 174-198. Delimitazione: 121-122 = 174-175.
(73) Vedi J.L. SKA, «De la relative indépendance», 397-402. Per la bibliografia,
vedi 402, n. 24.
(74) Vedi soprattutto EM. GRoss, Canaanite Myth and Hebrew Epic, 293-325;
R. RENDTORFF, Problem, 130-146; E. BLUM, Komposition, 130-146;
ID., Studien, 219-332 (cnn sfumature importanti); VAN SETERS, Abraham,
279-295; ID., Moses, 103-112. Questa era anche l‘opinione di P.
VOLZ, «P ist kein Erzähler», in P. VOLz - W. RUDOLPH, Elohist, 135 142.
Per una discussione, vedi N. LOHFINK, «Priesterschrift», 189-225, spec. 196-201 (bibIlografia 197, n. 28) = Studien
zum Pentateuch, 213-253, spec. 221-225
(con bibIlografia 221, n. 28).
(75) Questi casi sono stati notati da M. Noii-j, Pentateuch, 13-14.
(76) Vedi N. LOHFINK, “Priesterschrift”, 197, 200 = Studien zum
Pentateuch, 221- 222; 224-225; J.L. SKA, “De la relative indépendance”,
404-405.
(77) Vedi J.L. SKA, “De la relative indépendance”, 413-415; ID., “Le
Pentateuque”, 263-265; cf. E. ZENGER, Einleitung, 94-96. Per la bibliografia, vedi N. LOHFINK, “Priesterschifht”,
198, n. 30 = Studien zum Pentateuch, 223-224, n. 30.
(78) Vedi J. BLENKINSOPP, “The Structure of P”,
CBQ 38 (1976) 275-292, spec. 287-291; ID., Pentateuch, 185; per N. LOHFINK, vedi nota precedente
e J.L. SKA, “De la relative indépendance”, 413, n. 70.
(79) L. PERLITT, “Priesterschrift im
Deuteronomium?”, ZAW 100 (Suppl. 1988) 65-88 = Deuteronomium-Studien (FAT
8; Tübingen 1994) 123-143. Cf.
J.L. SKA, “Pentateuque”, 263, n. 67.
(80) E. ZENGER, Einleitung, 94-96; vedi E. OTTO, “Die
nachpriesterschriftliche Pentateuchredaktion”, 83, n. 100.
(81) T. POLA, Die ursprüngliche Priesterschrift. Beobachtungen zur
Literarkritik und Traditionsgeschichte von P~ (WMANT 70; Neukirchen-Vluyn
1995).
(82) Cf. E. CORTE5E, La terra di Canaan nella Storia Sacerdotale del
Pentateuco (SupRivBib 5; Brescia 1972).
(83) E KOHATA, Jahwist und Priesterschrift, 29-34, attribuisce
questo versetto a un redattore deuteronomista perché P nun è interessato alla
terra. Però il vocabolario di Es 6,8 non è deuteronomistico, dato che Dt
utilizza il verbo “giurare” (šb~, nif), mentre II testo sacerdotale
utilizza l‘espressione “alzare Ja mano” (ni‘ ‘et-yõd), che è presente
in Ez 20,28.42, un testo vicino a P e nun a Dt (vedi anche Nm 14,30). Inoltre
Ja parola “possesso ereditario (môrãToî) è anche presente in Ezechiele,
ma non in Dt. Vedi Ez 11,15; 25,4. 10; 33,24; 36,2.3.5.
(84) Vedi nota precedente. Su questo testo chiave di P, vedi J.L. SKA, “La place d‘Ex 6,2-8 dans Ja
narration de l‘exode”, ZAW 94 (1982) 530-548; ID., “Quelques remarques
sur p~ et Ja dernière rédaction du Pentateuque”, Le Pentateuque en question (éd.
A. DE PURY) (Genève 1989; 21992) 95-125, spec. 97-107. Per uno studio recente, vedi J. LusT,
“Exodus 6,2-8 and Ezechiel”, Studies in the Book of Exodus (ed. M. VERVENNE) 209-224.
(85) Vedi supra n. 79. Cf.
E. ZENGER, Einleitung, 95.
(86) Vedi E. ZENGER, Gottes Bogen in den Wolken. Untersuchungen zu
Komposition und Theologie der priesterschriftlichen Urgeschichte (SBS 112;
Stuttgart 1983) 100; ID., Einleitung, 95-96; J.L. SKA, “Pentateuque”,
263 -264.
(87) Per un riassunto, vedi J. BLENKINSOPP, Pentateuch, 223-224; E.
ZENGER, Einleitung, 103-105.
(88) A. KLOSTERMANN, “Ezechiel und das Heiigkeitsgesetz”, ZLThK 38
(1877) 401-
445 = ID., Der Pentateuch 1 (Leipzig 1893) 368-418. La sigla H viene dal tedesco Heiligkeitsgesetz,
“Legge di santità”.
(89) Vedi V. WAGNER, “Zur Existenz der sogenannten “Heiigkeitsgesetz“”, ZAW
86 (1974) 307-316; E. BLuM, Studien, 3 18-328.
(90) E. BLUM, Studien, 318-319: “Dopo la fondazione del
santuario e del culto, si tratta qui [nella “Legge di santità”] Jogicamente
dell‘esigenza di un atteggiamento corrispondente da parte di tuttu
Israele” - “Nach den Stiftungen von Heiligtum und KuJt geht es hier also
folgerichtig um das gefordete Korrespondenzverhalten (ganz) Israels”.
(91) Vedi soprattutto A. CHOLEWIÑSKI,
Heiligkeitsgesetz und Deuteronomium. Eine vergleichende Studie (AnBib
66; Roma 1976) 334-338; 1. KNOHL, “The Priestly Torah versus the Holiness
School: Sabbath and the Festivals”, HUCA 58 (1987) 65-117; J. MILGROM, Leviticus
(AB 3,1; Garden City, NY 1991) 3-35; E. OTTO, “Das ”Heiligkeitsgesetz“
Leviticus 17-26 in der Pentateuchredaktion”, Altes Testament. Forschung und
Wirkung (Fs. H. Graf Reventlow; [Hrsg. P. MOMMER - W. THIEL] Frankfurt
1994) 65-80; ID., “Del Libru de Ja Alianza a Ja Ley de Santidad. La
reformulación dcl derecho israelita y Ja formación del Pentateuco”, EstBíb 52
(1994) 195-217, esp. 215-216; ID., Theologische Ethik des Alten Testaments (ThW
3,2; Stuttgart 1994) 237.
(92) La formula usata è quella che si ritruva per il matrimonio o
l‘adozione di un nuovo membro in una famiglia. Vedi Gn 12,19; 25,20; 28,9;
34,4.21 (spusa); Est 2,7.15 (figlia); 2 Re 4,1 (servu). Vedi A. TOSATO, Il
matrímonio israelitíco (AnBib 100; Roma 1982) 73-74, 77.
(93) Vedi N. LOHFINK, “Die Abänderung der Theologie des priesterlichen Geschichtswerks
im Segen des Heiigkeitsgesetzes. Zu Lev. 26,9.11-13”, Wort und Geschichte. FS.
Karl Effiger (Hrsg. H. GESE - H.P. RÜGER) (AOAT 18; Kevelaer - Neukirchen-Vluyn
1973) 129-136 = ID., Studien zum Pentateuch, 157-168. Vedi la critica di E. BLUM, Studien, 326-327.
Lv 26 prevede due situazioni diverse: nel paese o in esilio. Nel paese, TsraeJe
è tenuto ad osservare la legge. Se nun Ja usserva, incorre nella maledizione.
Però, quando si truva in esiliu e confessa i suoi peccati, Dio si ricorda
deJl‘aIleanza con i patriarchi e nun rigetta cumpletamente II suu pupulu (26,40-45).
(94)Vedi C. FEUCHT, Untersuchungen zum Heiligkeitsgesetz (Berlin
1964) 112-133; W. THIEL, “Erwägungen zum Alter des Heiigkeitsgesetzes”, ZAW 81(1969)
40-72, spec. 69-73.
(95) Vedi E. OTro, “Pesali”, TWAT VI, 65 9-682, spec. 677.
(96) J.L. SKA, “Ex 19,3-6”, 307-308.
(97) D‘altra parte, per H cume per P, JHWH santifica il sacerdozio (Lv
21,12-15; 22,9. 16).
(98) Per un riassuntu delle ultime discussioni, vedi E. ZENGER, Einleitung,
98-103; cf. E. BLUM, Studien, 287-332.
(99) N. LOHFINK, “Priesterschrift”, 189-225 = Studien zum Pentateuch, 213-254
trad. francese: “L‘Ecrit sacerdotal et l‘histoire”, Les traditions du
Pentateuque autour dc l‘exil (Cahiers Evangile 97; Paris 1996) 9-25.
(100) Vedi N. LOHFINK, “Ursünden”, 38-57 = Studien zum Pentateuch, 169-189;
J.L. SKA, “Séparation des eaux er dc Ja terre ferme dans Je récit sacerdotal”, NRT
103 (1981) 512-532.
(101)Vedi, fra gli altri, P.J. KEARNEY, “Creation and Liturgy: The P
Redaction of Exud 25-40”, ZAW 89 (1977) 375-387; N. LOHFINK, “Der
Schöpfergott und der Bestand von Himmel und Erde. Das Alte Testament zum Zusammenhang von Schöpfung
und Heil”, Sind wir noch zu retten? Schöpfungsglaube und Verantwortung für unsere
Erde (Hrsg. G. ALTNER u.a.) (Regensburg 1978) 15-39, spec. 33-34 = Studien
zum Pentateuch, 191-211, spec. 205-207;
N. NEGREVrI, Il settímo giorno. Indagine critico-teologica delle tradizioni
presacerdotali e sacerdotaíi circa il sabato biblico (AnBib 55; Rome 1973)
162-164; M. OLIVA, “Tnterpretación teológica dcl cultu en Ja perícopa deJ
Sinai dc la Historia Sacerdutal”, Bib 49 (1968) 348-351; P. WEIMAR,
“Sinai und Schöpfung. Komposition
und Theologie der priesterschriftlichen Sinaigeschichte”, KB 95 (1988)
138-162; B. JANOWSKI, “Tempel und Schöpfung. SchöpfungstheoJogische Aspekte der
priesterschriftlichen Heiligtumskonzeption”, Gottes Gegenwart in Israel.
Beiträge zur Theologie des Alten Testaments (Neukirchen-Vluyn 1993) 214-246,
spec. 238-239, 244.
(102) Vedi sopra, n. 99.
(103) W.H. SCHMIDT, Einführung, 104-112.
(104) OH. STECK, “Aufbauprobleme in der Priesterschrift”, Ernten was man
sät (FS. K. Koch) (Hrsg. D.R. DANIELS u.a.; Neukirchen-Vluyn 1991) 287-308.
La stuttura proposta da BLUM, Studien,
287-332, è molto simile: “Die Schöpfungswelt und ihre Minderung” (“II
mondo della ereazione e II suo declino”) - “Die partielle Restitution in
Israel” (“La restaurazione parziale in Israele”).
(105) Sull‘origine e la funzione di questa distinzione che viene dai
formalisti russi, vedi J.L. SKA, “Our Fathers Have Told Us”. Introduction to the Analysis of
Hebrew Narratives (SubBib
13; Rome 1990) 5-6.
(106) Per lo stile di P, lo studio fundamentale è quellu di S. MCEvENUE, Narrative
Style. Egli definisce così lo stile di P: “Its essence is variety within
system” (50). Per questa ragione, i tentativi di strutturaziune troppo
spinti sono destinati a fare.
(107) Vedi J.L. SKA, “Sincrunia”, 157, 230.
(108) Vedi soprattuttu M. WEINFELD, “Sabbath, Temple, and the Enthronement
of the Lord - The Problem of the Sitz im Leben of Gen 1:1 - 2:3”, Mélanges
bibliques et orientaux cii l‘honneur dc Henri Cazelles (éds. A.
CAQUOT - M. DELCOR) (AOAT 212; Neukirchen-Vluyn - Kevelaer 1981) 501-512; cf.
gli studi citati nella n. 101.
(109) C. WESTERMANN, “Die Herrlichkeit Gottes in der Priesterschrift”,
227-249 = Forschung am Alten Testament, 115-137; U. STRUPPE, Die
Herrlichkeit Yahwes in der Priesterschrift.
(110) Vedi J.L. SKA, Passage, 101-107.
(111) Vedi suprattuttu le allusioni alJa “tetra aseiutta” in Es
14,16.22.29; ef. Gn 1,9-10
(8,14). J.L. SKA, Passage, 95-96; ID., “Séparation”, 517-519.
(112) Vedi Gn 1,29; 6,21; Es 16,15, cun Jo stesso voeabolario (ntn
l[...] l“oklâ - “dare a [...] come cibo).
(113) Su questu punto, Ja teulogia di P è molto simile a quella dcl
Deuteru-Isaia per cui JH\XTH è ereatore e redenture. Vedi l‘uso dci verbi barã~
(“ereare”) e g.i‘al (“redimere”, “riscattare”), in Is 43,1; cf. 54,5.
(114) Vedi anche M. NOTH, Pentateuch, 8, e multi altri.
(115).Vedi suprattutto K. ELLIGER, “Sinn und Ursprung”, 129; R. KILIAN,
“Die Hoffnung auf Heimkehr in der Priestersehrift”, Bibel und Leben 7
(1966) 39-51; E. CORTESE, La terra di Canaan; ID., “La teologia dcl
doeumento sacerdotale”, RivBib 26 (1978) 113-137.
(116)Vedi la discussione in E. BLUM, Studien, 287-332. A mio parere,
II concetto di Gottesnähe - “vicinanza di Dio”, sceltu da BJum e ripreso
da Janowski e Zenger, compurta due aspetti: JHWI-I è vicino perché “abita” in
mezzo al suo pupolo (Es 6,7; 29,45-46) e perché agisee nella sua storia (Es
14*16*; Nm 13~14*.20*). Cf.
J.L. SKA, “Dc la relative indépendance”, 406-407.
(117) Per N. LOHFINK, “Priesterschrift”, 202-215 = Studien zum
Pentateuch, 227-242; 215-225 = Studien zum Pentateuch, 242-253, P
vuoL“ritornare in un mondo mitico” e “rifiuta un mundo dinamicu”. Vedi Ja
reaziune di E. BLuM, Studien, 330-331.
(118) Vedi riassunto in E. ZENGER, Einleitung, 97-98. Cf. J. HUGHE5, Secret ofTimes.
Myth and History in Biblical Chronology (JSOTS 66; Sheffield 1990) 43-54.
(119)Vedi, per esempio, A. HURVITZ, A
Linguistic Study of the Relationship between the Priestly Source and the Book
of Ezekiel. A New Approach to the Problem (CRB 20; Paris 1982); ID.,
“Dating the Priestly Source in Light of the Historical Study of Biblical
Hebrew. A Century after Wellhausen”, ZAW 100 Sup. (1988) 88-100; ef. M.E
ROOKER, Biblical Hebrew in Transition. The Language of the Book of Ezekiel (JSOTS
90; Sheffield 1990). Per una critica, vedi J. BLENKINSOPP, “An Assessment on
the AJleged Pre-Exiic Date of the Priestly Material in the Pentateuch”, ZAW
108 (1996)
495-518.
(120) Vedi T.M. KRAPF, Die Priesterschrift und die vorexilische Zeit.
(121) Vedi W.H. SCHMIDT, Einführung, 104.
(122) E. ZENGER, Einleitung, 97, 102. Cf. gli auturi eitati nella nota 115. Vedi anche V. FRITZ, Tempel und Zelt. Studien
zum Tempelbau und zu dem Zeltheiligtum der Priesterschrift (WMANT 47;
Neukirchen-Vluyn 1977) 149, n. 162.
(123) Vedi suprattutto L. SCHMIDT, Studien, 259. Cf. E. BLUM, Studien, 304-306,
spec.
305, n. 68. Blum, tuttavia, parla di KP, uno seritto mohn più ampio dcl
tradizionale “raeconto sacerdotale”, poiché eomprende anche tutto il libro dcl
Levitíco.
(124) Vedi N. LOHFINK, “Priesterschrift”, 195 = Studien zum Pentateuch, 219-220;
C. HOUTMAN, Pentateuch, 327-328; per Ez 20 e Es 6,2-8, vedi LUST,
“Exodus 6,2-8 and Ezekiel”.
(125) Vedi C. HOUTMAN, Pentateuch, 375, n. 55.
(126) Vedi E. ZENGER, Einleitung, 97.
(127)Vedi soprattutto A.G.H. GUNNEWEG, “‘in h‘rs - A Semantic
Revolution”, ZAW 95 (1983) 437-440; E. LIPIÑsKI, “‘am”, YWAT VI,
177-194, spec. 190-191.
(128) Per la traduzione dell'esprerssione "amme eb arasot" -
<popoloi de paese> e non <dei paesi> vedi Jouon Maroca 136o.
(129) E verosimile qhe questi <<popoli del paese>> siano la
parte del popolo di Giuda che non é andata in esilio.
(130) Vedí C. HOUTMAN, Pentateuch, 249-278, per una presentazione
dettagliata dclle varie scuole.
(131) Per Ja bibliografia, vedi M. MIN0R, Literar-y-Critical
Approaches to the Bible (West Cornwall, CN 1992); M.A. POWELL, The Bible
and Modern Literary Criticism. A Critical Assessment and Annotated Bibliography
(New York 1992); D.E WATSON - Aj. HAUSER, Rhetorical Criticísm of the
Bible. A Comprchensíve Bibliography. With Notes on History and Method (Biblieal
Interpretation Series 4; Leiden 1994).
(132) Vedi, fra gli altri, P.R. NOBLE, The Canonical Approach. A Crítical Reconstruction ofthe
Hermeneutics of Brevard 5. Childs (Biblieal Interpretation Series 16; Leiden 1995); R. RENDTORFF, Canon
and Theology (Overtures tu BibJical Theology 30; Mmneapolis, MN 1994).
(133) Vedi, fra gli altri, P. BEAUCHAMP, Création et séparation. Etude
exégétíque du premier chapitre dc la Genèse (Paris 1969); R. BARTHES (cd.),
Analyse structurale et exégèse biblique (Neuehâtel 197!); R.C. CULLEY,
“Some Comments on Structural Analysis and BiblicaJ Studies”, Congress Volume
Uppsala (VTS 22; Leiden 1972) 129-142; D. PATTE, What is Structural
Exegesis? (Philadelphia 1976).
(134) Per il “programma” di questa scuola, vedi J. MUILENBURG, “Form
Criticism mod Beyond”, JBL 88 (1969) 1-18; Jj. JACKSON - M. KESSLER, Rhetorical Criticism (FS.
J. MuiJenburg) (Pittsburgh 1974); J. WUELLNER, “Where is Rhetorical Critieism
Taking Us?”, CBQ 49 (1987) 448-463. Vedi anche R. MEYNET, L‘analyse rhétorique:
une nouvelle méthode pour comprendre la Bible (Initiations; Paris 1989); traduzione
italiana: L‘analisi retorica (Biblioteca biblica 8; Brescia 1992); ID., “E
ora scrivete per voi questo cantíco”. Introduzione pratica all‘analisi retorica (Retorica biblica 3; Roma
1996).
(135) Il critieo Jetterario che ha influenzato di più gli esegeti è A.J.
Greimas. Per aleuni esempi dell‘applicazione di questo metodo, vedi E.J. VAN
WOLDE, A Semiotic Analysis of Genesis 2-3. A Semiotic Theory and Method of Analysis
Applied to the Story of the Garden of Eden (SSN 25; Assen - Maastricht 1989); GROUPE
D‘ENTREvERNES, Analyse sémiotique des textes. Introduction - Théorie - Pratique (Lyon ‘1985); G. SAVOCA, Iniziazione
all‘analisi biblica strutturalista: teoria e applicazioni (Messina 1989).
La distinzione fra i termini structural, structurel et sémíotique, è diffidile
da stabilire. Per una valutazione, vedi J.-N. ALETrI, “Exégèse biblique et
sémiotique”, RSR 80 (1992) 9-28.
(136) Vedi J.L. SKA, “La “nouvelle critique” et l‘exégèse anglo-saxonne”, RSR
80 (1992) 29-53. Alcune opere di
maggior rilevo: J.P. FOKKELMAN, Narrative Art in Genesis. Specimens of Stylistic and
Structural Analysis (SSN
17; Assen - Amsterdam 1975) = (Biblical Seminar 12; Sheffield 1991); R ALTER, The
Art of Biblical Narrative (New York 1981) = L‘arte della narrativa
biblica (Biblioteca biblica 4; Brescia: Queriniana 1990); M. WEIß, The
Bible From Within. The Method of Total Interpretation (Jerusalem 1984); 5.
BAR-EFRAT, Narrative Art in the Bible (JSOTS 70 - Bible mod Literature
Series 17; Sheffield 1989); A. BERLIN, Poetics and Interpretation of
Biblical Narrative (Bible and Literature Series; Sheffield 1983) = (Winona
Lake, IN 1994); D.M. GUNN - D.N. FEWELL, Narrative in the Hebrew Bible (Oxford
Bible Series; Oxford 1993); J. LICHT, Storytelling in the Bible (Jerusalem
1978) = La narrazione nella Bibbia (Studi biblici 101; Paideia, Brescia
1992); M.A. POWELL, What Is Narrative Criticism? (Minneapolis, MN 1992
- London 1993); J.L. SKA, “Our Fathers Have Told Us”. Introduction to the
Analysis of Hebrew Narratives (SubBib 13; Rome 1990); ID., “Sincronia:
l‘analisi narrativa”, Metodologia dell‘Antico Testamento (a cura di
H. SIMIAN-YOFRE) (Studi biblici 25; Bologna 1994) 139-170; M. STERNBERG, The
Poetics of Biblical Narrative. Ideological Literature and the Drama of Readung
(Indiana Literary
Biblical Studies; Bloomington 1985).
(137) Esistono saggi di strutturazione di alcuni brani importanti, come la
storia di Abramo; vedi D. SUTHERLAND, “The Organisation of the Abraham Promise
Narratives”, ZAW 95 (1983) 337-343; A. ABELA, The Themes of the
Abraham Narrative. Thematic Coherence within the Abraham Literary Unit of Genesis 11,27 - 25,18 (Malta 1989); per il
ciclo di Giacobbe, vedi J.P. FOKKELMAN, Narrative Art, 237-241; M.
FISHBANE, Text and Texture. Close Readings of Selected Biblical Texts (New
York 1979); per il Jibro dclla Genesi, vedi G.A. RENDSBURG, The Redaction of
Genesis (Winona Lake, IN 1986); RL. COHN, “Narrative Structure mod
Canonical Perspective in Genesis”, JSOT 25 (1983) 3-16 = The
Pentateuch. A Sheffield Reader (cd. J.W. RoGERSON) (The Biblical Seminar
39; Sheffield 1996) 89-102. Per tutto il Pentateuco, vedi DJ.A. CLINES, The
Theme of the Pentateuch (JSOTS 10; Sheffield 1978); R.P. KNIERIM, “The
Composition of the Pentateuch”, SBL Seminar Papers 24 (Atlanta, GA 1985)
393-415 = The Task of Old Testament Theology. Substance, Method and Cases (Grand
Rapids, MI - Cambridge, UK 1995) 351-379. Per una critica di Rendsburg, vedi M. BRETÇLER, “Rendsburg‘s The
Redaction of Genesis”, JQR 78 (1987) 113-119; per una critiea di Knierim,
vedi E. BLUM, Studien, 381-382, n. 77.
(138) Cf. J. DUPONT, “Le Magnificat comme diseours sur Dieu”, NRT 102
(1980) 321-343 spec. 330, n. 18.
(139)Il significante è il diseorso concreto, fatto di parole e di frasi. Il
significato è l‘idea o coneetto espresso. Il referente è Ja realtà alla quale
si riferisec il diseorso.
(140) Vedi, per esempio, le reazioni di autori come ED. HIRSCH, Validity in Interpretation
(New Haven, CN - London 1967); ID., The Aims of Interpretation (Chicago
1976); L.M. POLAND, Literary Criticism and Biblical Hermeneutics: A Critique
of Formalist Approaches (AAR Academy Series 48; Atlanta, GA 1985); B.
POLKA, The Dialectic of Biblical Crítique: Interpretation and Existence (New
York - Basingstoke, NH 1986); U. ECO, The Limits of Interpretation (Bloomington,
IN 1990) = 1 Limiti dcll‘interpretazione (Studi Bompiani; Milano 1990).
(141) Vedi E. BLUM, Studien, 381.
(142) Vedi E. BLUM, Studien, 380-382. Anche dei sostenitori
conosciuti dello studio sincronico, come Alter e Sternberg, ammettono
volentieri la necessitè di uno studio storico dell‘AT. Vedi R. ALTER, Art, 19: “[There] is a
methodological deficiency in [the authors] who tend to write about biblical
narrative as though it were a unitary production just like a modern novel
[...]. They turn their back [...] on what historical scholarship has taught us
about the specific conditions of development of the biblical text and about jts
frequently composite nature”. Vedj anche M. STERNBERG, Poetics, 10:
“[...] the hard antihistorical line in hermeneutics is ton condescending and
inconsistent [..j in make a viable theory”. AG0sTIN0, De doctrina christiana
1,2,42, enunciava già un principio analogo: “Quidquid igitur de ordine
temporum transactorum indicat ea quae appellatur historia, plurimum nos adiuvat
ad sanctos libros intellegendos, etiamsi praeter ecclesiam puerili eruditione
discatur”. In parole semplici, Agostino
afferma che tutto quello che ci insegna la storia sui tempi passati è di
grandissima utilità per capire le Scritture, anche se questo insegnamento si fa
indipendentemente dalla Chiesa.