I LIBRI LITURGICI

 

La varietà delle famiglie liturgiche in Oriente e in Occidente ha espresso naturalmente anche una varietà di libri liturgici. L’attenzione che diamo a queste espressioni scritte della tradizione liturgica (lex orandi) è dovuta al fatto che esse costituiscono una vivente testimonianza della varietà e della ricchezza dell’unica fede (lex credendi) presente nelle varie Chiese in tempi e in luoghi tra loro diversi e distanti.

La formazione dei libri liturgici ha avuto una lenta maturazione che possiamo riassumere attorno ad alcuni passaggi principali.

 

1.      L’origine dei libri liturgici.

Almeno nei primi quattro secoli della liturgia cristiana né il celebrante, né gli altri ministri avevano un libro loro proprio. L’unico testo per tutti è la Bibbia che deve essere considerato il primo e principale libro liturgico a cui i cristiani hanno attinto per le letture, i canti, i salmi, ecc.

1.1.            Periodo della improvvisazione carismatica.

Da una profonda conoscenza della Scrittura e dopo una lunga “ruminazione” della Parola di Dio scaturivano le espressioni più adatte per la grande Preghiera eucaristica e per le altre forme di preghiera. La Didaché (10,7) riporta un esempio di questa vitalità, opera dello Spirito, quando dice: “I profeti sono invitati a rendere grazie come vogliono". Anche Giustino, nella sua Apologia I scrive che colui che presiede “rende grazie come può” (Apol 1,67).

Il concetto di “improvvisazione” va ovviamente precisato dicendo che la “traccia” e i contenuti essenziali della grande Preghiera eucaristica erano conosciuti da coloro che presiedevano le assemblee liturgiche; questo era del resto anche lo stile della berakah ebraica, cui attinge la prima tradizione cristiana.

1.2.            Periodo delle formule primitive (II-III sec.).

Tra le Orazioni liturgiche, la Prece eucaristica o Anafora, per l'importanza capitale che ha, tende ben presto a precisarsi in una formula invariabile o in un riassunto descrittivo del suo contenuto. Resta l'esempio della Traditio apostolica di Ippolito che risale all’anno 218: pur proponendo una Anafora per il Vescovo, lascia però ogni libertà di servirsene ("sed secundum facultatem unusquisque oret"). Importa solo che la sua preghiera sia corretta ed ortodossa.

1.3.            Periodo di libera composizione (IV-V sec.)

Verso l’anno 380 la lingua latina ha soppiantato il greco ed è diventata lingua liturgica. L'avvento della pace (editto di Milano, 313) ha portato grandi masse di popolo alla Chiesa. Fiorisce la spiritualità liturgica e fioriscono anche abbondanti composizioni eucologiche[1] sia per l'Anafora, sia per i riti sacramentali. Nascono i primi libelli missarum, cioè fascicoli contenenti qualche formulano di Messa.

Questa imponente efflorescenza liturgica, come è facile supporre, non sempre si rivelò ortodossa e corretta tanto che alcuni Concili dovettero prendere posizione contro forme devianti. Il IV Concilio di Cartagine (prima metà del V sec.) e lo stesso s. Agostino stabilirono che le composizioni liturgiche prima di essere usate dovevano essere rivedute da persone competenti.

Il Concilio di Milevi fu ancor più deciso (anno 416): si possono usare soltanto le composizioni approvate da un Concilio. Anche il papa Innocenzo I, scrivendo al vescovo di Gubbio (416), si lamenta che ci sono troppe diversità in campo liturgico “con grave scandalo di popolo...”.

1.4.            Periodo delle prime collezioni: i Sacramentari (V-VII sec.)

Per ovviare ai gravi inconvenienti di una creatività incontrollata, si pensò di fare una selezione dei libelli[2] migliori per contenuto dottrinale e per correttezza letteraria, radunandone parecchi, anche per una stessa festa, in modo che il celebrante potesse scegliere secondo l’opportunità. E’ da queste prime composizioni che sorgono i Sacramentari: raccolte complete di formule eucologiche per la celebrazione della Messa e dei Sacramenti.

A quest’epoca appartengono anche i più grandi compositori di formulari eucologici, di inni, ecc. Ricordiamo: papa Leone I (440-461), papa Gelasio (492-496), s. Paolino di Nola (+431), s. Gregorio di Tours (+594), Massimiano di Ravenna (546-567), papa Gregorio Magno (+604).

Non solo vengono composti libretti per la Messa, ma anche formulari per la celebrazione dei Sacramenti. Si segue questo criterio: ogni ministro ha il suo libro. Troviamo così il Sacramentario per il celebrante, l'Evangeliario per il diacono, il Lezionario per il lettore, l'Antifonario per i cantori, e così via. Più tardi anche il Vescovo avrà un proprio libro liturgico chiamato Pontificale.

Ogni chiesa aveva i suoi libri; si faceva a gara ad ornarli con gemme preziose e a moltiplicarne esemplari in modo che ogni ministro avesse il libro che gli spettava.

 

2.      I Sacramentari.

Sacramentarium o Liber Sacramentorum era chiamato il libro che conteneva le preghiera riservate al “sacerdos” (Vescovo o presbitero) nella celebrazione della Messa o dei Sacramenti. Il sorgere rapido di questi libri fu dovuto anche al fatto che, terminato il periodo d'oro della creatività liturgica, non furono più composti libelli di valore, tali da reggere alla concorrenza con quelli già esistenti; facile dunque il passaggio alla raccolta e alla trascrizione-diffusione dei libelli lasciati dai grandi Pontefici o dai loro collaboratori.

Dei numerosi Sacramentari sorti nell'ambito liturgico della Chiesa di Roma, rimangono a noi tre tipi principali:

a.      Il Sacramentario di Verona o Leoniano.

Ritrovato intorno all'anno 1730 nella Biblioteca capitolare di Verona, fu attribuito a Papa Leone I (+461). Non è un Sacramentario vero e proprio, ma una semplice raccolta, fatta a titolo privato, di alcuni dei libelli missarum esistenti presso le varie basiliche cemeteriali (natalis martyrum) e presso le chiese titolari dell'Urbe dove il Pontefice era solito fare la statio, cioè la sosta domenicale per l’Eucaristia. E' un libro puramente romano senza interpolazioni straniere. E’ diviso secondo i dodici mesi dell'anno.

b.      Il Sacramentario Gelasiano.

Fu pubblicato nel 1680 dal Card. Tomasi, secondo un manoscritto (Vat. Reg. 316) del sec. VII-VIII. Già dal titolo (Liber Sacramentorum Romanae Ecclesiae Ordinis Anni Circuli), si deduce che questo è un libro ufficiale, anzi il più antico libro liturgico della Chiesa romana giunto fino a noi. Vi si nota qualche interpolazione gallicana. L'autore è ignoto anche se non si può escludere per principio che papa Gelasio possa essere stato il compilatore dei principali formulari ivi raccolti.

La parte del temporale (il mistero di Cristo nel tempo) è divisa dal santorale (il mistero dei Santi nel tempo). Contrariamente al Sacramentario Veronese (che segue i mesi dell'anno), il Gelasiano è strutturato secondo l'anno liturgico. Elemento indicante la sua antichità (la prima redazione può risalire al sec. VI) può essere questo: ancora non compaiono le Orazioni per l'Avvento; all'epoca della composizione del Gelasiano questo periodo dell'anno liturgico ancora non era stato strutturato nella forma e nei contenuti come lo conosciamo oggi.

Il Gelasiano, come altri Sacramentari, fu ben presto portato oltralpe e trascritto abbondantemente con aggiunte varie a seconda delle Chiese che lo adottavano. Ne sono derivati i cosiddetti sacramentari Gelasiani del sec. VIII: - Sacramentario di Gellone (anno 770-780); - Sacramentario di Angoulême (anno 790 ca.); - Sacramentario di s. Gallo (anno 800-820).

c.       Il Sacramentario Gregoriano.

Porta questo titolo: Liber Sacramentorum de circulo anni expositus,  a s. Gregorio papa Romano editus.

Anche in questo Sacramentario è difficile stabilire la quantità di presenza di papa Gregorio. Certamente c'è la sua penna; però più propriamente si dovrebbe parlare di Sacramentario Gregoriano Adrianeo. Infatti le copie a noi giunte sono quelle che riproducono il libro inviato in Gallia, alla corte di Carlo Magno, da papa Adriano (785-790) riproducente l’antico libro Gregoriano (del quale non abbiamo traccia).

Un altro Sacramentario derivante dal Gregoriano è il Sacramentario Paduense (scritto intorno al 680-685, quindi 80 anni dopo papa Gregorio); un Sacramentario completo, pratico, ben ordinato, assai più semplice del Gelasiano (del quale vuol essere una revisione). Ogni domenica ha il suo formulano; vi è una sola Colletta; sono diminuite le parti varianti del Canone; sono ripristinati i titoli stazionali.

Quando, verso la fine del secolo VIII, Carlo Magno volle unificare il suo Impero, pensò di adottare il Rito romano quale unica liturgia comune a tutti i territori conquistati. Chiese al papa Adriano (771-795) un Sacramentario che rispecchiasse la liturgia della sede di Pietro. Si vide recapitare un Sacramentario Gregoriano così come esisteva al tempo di Papa Adriano. Questo Sacramentario, già ritoccato rispetto agli antichi Gregoriani, fu ulteriormente adattato alle esigenze del costume dei Franchi. Tale adattamento fu operato dal liturgista palatino Alcuino il quale aggiunse una serie di adattamenti come appendice al Sacramentario inviato da Roma.

Fu tanta la fortuna incontrata dal Supplemento di Alcuino che, a partire dal sec. IX, molte formule dell'Appendice passarono nel testo vero e proprio fino a dar vitata ad un nuovo Sacramentario, fusione completa del testo primitivo e dell'Appendice (secolo X).

L'uso dei Sacramentari comincia a decadere col secolo X, quando sorgono i primi Messali plenari, quantunque si continuassero a scrivere Sacramentari anche nei secoli XIII e XIV.

 

3.      Il Lezionario

Nella Chiesa antica la proclamazione della Parola di Dio si faceva usando lo stesso libro delle Scritture. Più le celebrazioni si moltiplicarono, più divenne necessario un modo più pratico di determinare i passaggi del testo da proclamare. Si adottarono, successivamente, modi diversi per indicare le pericopi[3]:

a. I Capitularia: sono delle raccolte che indicano le pericopi da leggere con l'inizio e la conclusione.

b. Il Lezionario: è il libro che contiene, per esteso, le pericopi non evangeliche.

c. L'Evangeliario: è il libro che contiene, per esteso, le pericopi evangeliche.

 

Sempre verso i secoli VIII-IX compaiono altri libri liturgici.

L'Antifonario: è il libro che contiene i testi da cantare durante la Messa.

Gli Ordines: sono libri che contengono le rubriche permettendo così al clero d’Oltralpe di celebrare la Messa, e gli altri riti secondo l'uso della Chiesa di Roma (i Sacramentari, infatti, non contengono rubriche).

 

4.      Il Messale e il Pontificale.

Il Messale è il libro che, a partire dal secolo X, venne formandosi assommando insieme elementi tratti dal Lezionario e dagli Ordines. Prese perciò il titolo di Missalis plenarius . La comodità di tale libro, il moltiplicarsi delle Messe private che riservano al solo prete le parti spettanti un tempo ai vari ministri, fecero la fortuna di questo libro. L'edizione del 1570, a seguito del Concilio di Trento, sancì la “privatizzazione” di tale libro al solo prete tanto che non vengono più nominati né gli altri ministri, né l’assemblea. Di positivo può avere il fatto che pose fine alla eccessiva e non sempre qualificata proliferazione di formulari eucologici, facendo prevalere su tutti gli altri Messali quello in uso nella Chiesa di Roma. Fu reso obbligatorio nel 1572 da Pio V, che soppresse tutti gli altri.

Il Pontificale: è il libro che contiene le formule (prese dai Sacramentari) e le cerimonie (prese dagli Ordines) riservate al Vescovo. L’esemplare più significativo è il Pontificale romano-germanico del secolo X. E' un libro essenziale per la teologia liturgica. Risale all'anno 950. Contiene l'adattamento di usi romani all’ambiente germanico. Servì ad unificare il cerimoniale di tutto l’Occidente latino.

 

 

5.      Il Rituale e il Breviario.

Il Rituale è un libro liturgico ad uso dei sacerdoti per la celebrazione dei Sacramenti e per le varie Benedizioni. Questi libri nascono tra i secoli XII-XIV. Il Concilio di Trento riformò il Rituale pubblicando in un unico libro tutti i Riti sacramentali, le Benedizioni, il Rito delle Esequie. Il Vaticano II ha pubblicato il Rituale in libri separati: ciascun Rito ha il proprio libro liturgico.

Il Breviario è così chiamato perché rappresenta una “abbreviazione” o sintesi di elementi presenti in libri diversi: la Bibbia, per le letture bibliche; il Salterio, per i Salmi; l’Omiliario, per le letture patristiche; l’Innario per gli inni. Deve la sua fortuna ai Frati mendicanti che dal sec. XIII lo diffusero in tutta Europa; proprio essi, infatti, impossibilitati di pregare la Liturgia delle Ore con gli altri confratelli nel Monastero o nel Convento, componevano una sintesi dei vari libri liturgici per un certo periodo di tempo e così potevano pregare anche durante la loro missione itinerante. Il Vaticano II ha riformato ampiamente anche questo libro liturgico dandogli però il nome di Liturgia delle Ore: lo si è voluto indicare non tanto in riferimento alla “quantità” dei suoi contenuti, quanto piuttosto alla specificità della sua natura che è quella di santificare le ore del giorno e della notte.

 

6.      La riforma del Vaticano II.

La Costituzione sulla Liturgia ha dato delle direttive essenziali sulla revisione dei libri liturgici:

·        SC 25: “I libri liturgici siano riveduti quanto prima servendosi di competenti e consultando i Vescovi di diverse parti del mondo".

·        SC 31: “Si abbia cura che le rubriche tengano conto della parte che spetta ai fedeli".

Dal Medioevo, si è dovuto attendere l'Ordo della Veglia pasquale del 1951 per ritrovare accenni alla partecipazione del popolo alla celebrazione. Con Sacrosanctum Concilium 14 e 28 la partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia è indicata come un diritto-dovere in forza del Battesimo, oltre ad esserlo anche per la natura stessa della Liturgia.

 

7.      Importanza dei libri liturgici.

Questi libri, come si è visto, sono stati composti da generazioni che hanno tramandato il meglio della produzione eucologica. Riportano il modo concreto di vivere la fede da parte di una determinata Chiesa locale. Esprimono, nella varietà delle forme, la varietà dei modi di esplicitare l’unico mistero di salvezza offerto agli uomini dal Padre, in Cristo e nello Spirito. Col susseguirsi delle varie epoche culturali, anche l'espressione orante delle Chiese locali ha subìto evoluzioni passando attraverso approfondimenti teologici del mistero (in qualche caso anche attraverso forme di involuzione che hanno preferenziato aspetti singoli a scapito della globalità del mistero).

Il contenuto dei libri liturgici diventa per noi oggi di particolare importanza. Basti solo pensare alla necessità irrinunciabile di trasmettere fedelmente il deposito della fede attraverso la preghiera ufficiale della Chiesa. Sono un luogo di confronto con chi, prima di noi, guidato-istruito-illuminato-assistito dallo Spirito Santo, ha espresso nella lex orandi, la lex credendi e la stessa lex vivendi (ne parleremo in un prossimo articolo).

Visti con questa ottica, i libri liturgici diventano una miniera di teologia pregata o teologia in ginocchio, la “vera” teologia che, secondo i Padri greci, è “glorificazione di Dio per mezzo del Logos-Verbo di Dio”.

 

Paolo Giglioni

Febbraio 1999



[1] Il termine eucologia deriva dal graco euché = preghiera, e lógos = discorso; è la scienza che studia le preghiere e le leggi che regolano la loro formulazione. Si intende anche l’insieme delle preghiere contenute in un libro liturgico. Si parla di eucologia maggiore (Preci eucaristiche, Orazioni di consacrazione, Prefazi, ecc) e di eucologia minore (Colletta, sulle offerte, dopo la comunione).

[2] Piccoli formulari di Messe ad uso di una o più Chiese particolari.

[3] Dal greco perí-koptô = taglio attorno, per indicare il brano scelto per la lettura.