LA LITURGIA NEL MEDIOEVO

 

Verso il VI-VII secolo, la Liturgia romana ha raggiunto il suo massimo splendore. I libri liturgici trovano una redazione pressoché definitiva; l'Anno liturgico è quasi completato; la celebrazione eucaristica e le celebrazioni sacramentali, ormai stabilizzate nei loro elementi costitutivi, vedono un'intensa partecipazione di ministri e di fedeli ciascuno secondo il proprio ordine e grado.

L'Ordo romanus I (circa l'anno 700) ci offre una descrizione di come si svolgeva la celebrazione eucaristica in questo periodo. I riti di ingresso prevedono: un atto penitenziale, il Kyrie, il Gloria, la Colletta; la liturgia della Parola prevede la lettura dell'Epistola, la processione l'incensazione e la proclamazione dell'Evangelo, l'Omelia, la preghiera dei fedeli; la liturgia eucaristica ha inizio con la processione dei doni fatta dai fedeli, il pane eucaristico è quello normale lievitato, il Celebrante è rivolto verso l'assemblea, l'altare è unico collocato al centro tra assemblea e presbiterio; la prece eucaristica è unica: il Canone romano; non ci sono genuflessioni né elevazione dell'ostia (la fede nella presenza reale è indiscussa); si canta il Pater, ci si scambia il segno della pace, si canta l'Agnus Dei alla frazione del pane. Generalmente tutti i partecipanti partecipano anche alla comunione: il pane consacrato è deposto nella mano dei fedeli, si beve al calice. La celebrazione termina con la Orazione e la benedizione.

Purtroppo questa epoca d'oro non durò a lungo. Sopraggiunsero numerose involuzioni. Viene da chiedersi (e questa sia una lezione anche per l'oggi): perché questa crisi liturgica? Per sommi capi si può così riassumere il fenomeno di quell'epoca:

·        scompare il catecumenato degli adulti; ormai ad essere battezzati sono prevalentemente i bambini; scompare quindi l'epoca gloriosa della iniziazione cristiana degli adulti che vede un mirabile equilibrio tra evangelizzazione e sacramenti;

·        la conversione in massa delle popolazioni barbare del Nord (Franchi, Longobardi, ecc.) impedisce una loro seria formazione catechistica;

·        i monaci, fino a quest'epoca semplici fratres, tendono a farsi ordinare sacerdoti; fu inevitabile una clericalizzazione dei ministeri a scapito della partecipazione dei laici alla liturgia;

·        l'incomprensione della lingua liturgica (il latino) porta i fedeli ad essere «ascoltatori», ad assistere più che a partecipare; nascono le lingue nazionali.

 

L'epoca medioevale.

Riassumiamo qui, per sommi capi, un'epoca molto vasta che va dal VII secolo fino al Concilio di Trento. Un'epoca delicata dal punto di vista liturgico, soprattutto se confrontata con i secoli precedenti. La debolezza liturgica, se così ci si può esprimere, non necessariamente comporta una fame spirituale. Assistiamo, in questi secoli, alla trasformazione di stili artistici e architettonici (dal romanico al gotico); assistiamo alla espansione del monachesimo e alla nascita di grandi ordini mendicanti (Domenicani e Francescani). La Chiesa riesce ad esprimere figure eccelse di Pontefici (Gregorio VII e la lotta per le investiture, Innocenzo III e la resistenza contro l'invasione islamica); sorgono frutti grandiosi di santità come un S. Bernardo, S. Francesco, S. Domenico, S. Tommaso, S. Caterina da Siena, ecc.

Si deve pertanto evitare di parlare di Medioevo come di un periodo buio per la vita della Chiesa. Ciò non toglie che si debbano registrare forme involutive nella prassi liturgica. Noi ne prenderemo atto non tanto per emettere un giudizio su quel periodo di vita della Chiesa (che sarebbe antistorico), quanto piuttosto per comprendere le riforme successive, compresa quella recente del Vaticano II.

Con il regno di Carlomagno (768-814), l'unità politica dell'Impero è ricercata, oltre che con le conquiste militari, anche con l'unità della fede e della liturgia. L'Imperatore chiede al Papa i libri liturgici della liturgia romana: la liturgia di «Pietro» diviene la liturgia comune che unifica tutti i sudditi dell'Impero (e li rende quindi fedeli della Chiesa di Roma: cuius regio, eius religio = la religione del Re è la religione anche del popolo). Inizia quel fenomeno che in seguito sarà chiamato con il termine di cesaropapismo (ingerenza del potere politico in ambito religioso).

La Chiesa di Roma attraversa una periodo di crisi: l'imperatore Enrico II si sente autorizzato ad imporre alla curia romana la recita del Credo durante la Messa.

I fenomeni più rilevanti per la liturgia in questo periodo sono:

·        La disgregazione della comunità liturgica. L'incomprensione della lingua liturgica, l'ingerenza del clero negli spazi riservati ai laici, la fine della mistagogìa (i segni liturgici, non spiegati, non compresi nel loro significato, vengono fraintesi), portano lentamente alla scomparsa di elementi preziosi fino ad allora presenti nella celebrazione: scompare l'Omelia, la preghiera dei fedeli, la processione con le offerte; la comunione diventa sempre più rara (S. Beda il Venerabile afferma che i più devoti fanno la comunione non più di tre volte l'anno); si introduce la comunione con il pane azimo e scompare la comunione al calice; la concelebrazione dei presbiteri con il Vescovo nella Messa domenicale cede il passo alle numerose Messe private celebrate dai monaci-sacerdoti anche durante la settimana. Il canto gregoriano comune a tutta l'assemblea pian piano scompare sopraffatto dalla musica polifonica che viene eseguita dalla schola cantorum, a parte dell'assemblea liturgica.

·        Il passaggio dal romanico al gotico. La basilica romanica è luminosa, l'unico altare sta al centro del transetto e tutti sono circumstantes (stanno attorno), in una movimento dialogico-circolare, ad indicare la comunicazione dentro la comunità. Il cambiamento di mentalità verso la fine del primo millennio comportò anche un cambiamento di stile architettonico e artistico: dal romanico si passa al gotico. Le chiese si innalzano sempre più e diventano più buie: devono esprimere il rapporto verticale della devozione personale-privata; l'altare è spostato verso la parete dell'abside ed il celebrante volta le spalle all'assemblea; il popolo da partecipante diventa assistente: interviene raramente con qualche risposta, impegnato nelle proprie preghiere devozionali; è forte il senso del peccato e della propria indegnità: la comunione eucaristica cede il passo alla comunione spirituale (il Concilio Lateranense IV, 1215, dovette imporre la confessione e la comunione almeno una volta l'anno); le controversie pelagiane accentuano il timore della salvezza eterna: c'è una forte richiesta di celebrazioni di SS. Messe tanto che si devono moltiplicare gli altari nelle navate laterali per la celebrazione di queste Messe private (anche senza la partecipazione del popolo).

·        L'allegorismo. L'individuale e il soggettivo, la mancanza di una mistagogìa che spieghi il vero significato dei segni-riti-parole, lascia spazio alle interpretazioni più capricciose di ciò che si vede da lontano (una balaustra, a volte una inferriata, separano il presbiterio dalla navata); l'altare è la raffigurazione del calvario, i gesti e i movimenti del celebrante sono letti in rapporto alla passione (il sacerdote che si inchina è visto come il reclinare il capo di Gesù sulla croce); la liturgia diventa appannaggio del clero, mentre i fedeli alimentano la loro spiritualità con le devozioni private (il rosario, con le 150 Ave, è considerato il salterio dei poveri che non conoscono il latino e non sono ammessi alla liturgia corale dei monaci).

La debolezza della liturgia portò necessariamente ad un incremento delle devozioni private; e queste non sempre furono espressione della più corretta ortodossia. Basterebbe ricordare un certo abuso delle indulgenze al tempo della costruzione della basilica di S. Pietro. Le varie chiese locali produssero anche una serie di Messali con formulari liturgici di basso livello.

 

La riforma protestante.

In mezzo a tale debolezza l'organismo ecclesiale fu scosso dalla Riforma protestante (Martin Lutero: 1483-1546; Zwingli, Calvino).

Dal punto di vista liturgico la riforma protestante fu caratterizzata da questi elementi:

·        positivi: la Bibbia venne tradotta nella lingua del popolo; si riprese la tradizione del catechismo; si introdusse il canto popolare (l'uso del corale); si declericalizzò la liturgia a favore della partecipazione di tutti i fedeli; si ripristinò la comunione al calice (Huss).

·        negativi: è il caso di dire che insieme all'acqua sporca si gettò via anche il bambino! La prassi sacramentale fu ridotta al solo Battesimo e alla Santa Cena. Alla Messa fu tolto il valore sacrificale, riducendola ad una cena commemorativa; la liturgia si riduce alla sola liturgia della Parola; nella santa Cena, celebrata solo poche volte nell'anno, scompare la Prece eucaristica e la consacrazione (è messa in dubbio la presenza reale eucaristica). Il sacerdozio ministeriale è abolito a favore del solo sacerdozio battesimale dei fedeli. E' abolita la devozione mariana e dei Santi; sono abolite le indulgenze, il culto eucaristico. Dalle chiese scompaiono le statue dei Santi, il tebernacolo, le reliquie.

La reazione cattolica prese il nome di controriforma e si concretizzò anzitutto nel fiorire di una schiera impressionante di Santi: S. Teresa d'Avila (1515-1582) e S. Giovanni della Croce (1542-1519), riformatori dell'Ordine Carmelitano; S. Ignazio di Loyola (1491-1556) fonda i Gesuiti (1534); S. Filippo Neri (1515-1595) fonda l'Oratorio e dà impulso alla musica sacra; S. Francesco di Sales; S. Carlo Borromeo (1538-1584) e la liturgia ambrosiana. Sempre in questo periodo sorgono numerosi Istituti religiosi, maschili e femminili, dediti soprattutto alla carità: Teatini (1524), Cappuccini (1525), Barnabiti (1530), Orsoline (1535), Somaschi (1530), Fatebenefratelli (1540), Camilliani (1584), Scolopi (1597), Suore visitandine (1610), Lazaristi (1625), Figlie della carità (1633).

Dottrinalmente la controriforma cattolica si espresso soprattutto nella Riforma tridentina.

 

La riforma tridentina.

Il Concilio incoraggiò la formazione e l'azione di ordini nuovi che, con il loro impulso al rinnovamento dell'educazione, della catechesi e dell'opera missionaria, conferirono nuovo vigore alla trasmissione della dottrina cristiana e all'apostolato. Nel 1542 Paolo III, per difendere l'ortodossia e la coesione dottrinale, oltre che per arginare le tendenze eretiche che potevano sorgere all'interno della struttura ecclesiastica, convocò il Concilio di Trento (1545-1563). Fu ribadita la posizione della Chiesa in materia di dogma e di dottrina e furono chiarite le questioni relative alla gerarchia e alla disciplina ecclesiastica sollevate dai protestanti.

Qui interessa in particolare la riforma liturgica operata dal Tidentino. Se ne occuparono i Pontefici successivi come Pio IV e Pio V. Sotto l'autorità di quest'ultimo fu pubblicato, dopo il Catechismo romano (1566), il Breviario romano (1568), il Messale romano (1570), il Pontificale romano (1596), il Cerimoniale dei Vescovi (1600), il Rituale romano (1614). Questi libri liturgici furono resi obbligatori per tutta la Chiesa. Fu stroncata ogni forma di abuso e di cupidigia nel clero. Furono soppresse molte forme di superstizione infiltratesi nella devozione popolare (spesso anche liturgica). Il Calendario fu sfrondato dall'eccessiva presenza di feste di Santi, che soffocavano quasi tutte le domeniche (ad esempio: fu tolta la festa di S. Gennaro e di S. Anna).

Fu istituita la Congregazione dei Riti (1588) per vigilare sulla fedele osservanza delle norme. L'eccessiva preoccupazione di spazzare via ogni forma di abuso e di anarchia liturgica, spinse il Tridentino ad un forzato fissismo liturgico per cui invalse la regola ne varietur: non si cambi nulla! Si passò così dall'eccessiva varietà ad un rigido rubricismo tanto che l'esatta applicazione di tutte le norme, anche le più minuziose, divenne sinonimo di validità e di devozione.

Per reazione antiprotestantica, Alessandro VII (1661) proibì, sotto pena di scomunica, la traduzione del Messale in lingua volgare. Non fu ripristinata né l'omelia, né la preghiera dei fedeli. Il sacerdote celebra da solo, assistito dai ministri, ma senza una effettiva partecipazione dei fedeli (si ratifica la Messa privata). La musica e il canto, prevalentemente polifonico, accompagnano e quasi coprono tutta la celebrazione. L'arte barocca del XVI secolo farà della chiesa un salotto pieno di stucchi dove si va più per ascoltare la musica che per «ascoltare» la Messa.

L'opera paziente di studiosi come Tommasi (1713), Mabillon (1707), Muratori (1750), e il loro immergersi con rispetto e amore nelle fonti liturgiche antiche per riportarle alla luce, rese possibile già nel XVIII secolo la conoscenza e l'acquisizione dei più grandi tesori della Tradizione liturgica cristiana.

Non mancarono alcuni tentativi di riforma liturgica, come nel sinodo di Pistoia (1786): si parlò di traduzione della Bibbia e del Messale, della riforma del canto liturgico, dell'ammissione dei fedeli al calice, della partecipazione attiva… Tutto fu messo a tacere a motivo delle contaminazioni politiche (giansenismo e libertà gallicane) di cui fu accusato.

Verso la fine del 1800 alcuni monasteri benedettini diventano «luoghi di incubazione» del movimento liturgico: Solesmes in Francia, Maredsous e Mont César in Belgio; Maria Laach in Germania, Finalpia in Italia. Qui si coltiva la ricerca scientifica e la pubblicazione delle fonti liturgiche. Alcuni nomi di rilievo: l'abate Prospero Gueranger (Solesmes: 1805-1875), Lambert Beauduin (Mont César: 1873-1960), Odo Casel (Maria Laach: 1886-1948), il Card. Shuster (Milano), K. Mohlberg (Maria Laach), Romano Guardini, Pio Parsch.

Occorre attendere il movimento biblico, patristico, catechistico, liturgico, che si sviluppò tra le due grandi guerre, per porre le basi di una vera e propria riforma liturgica che sfocerà più tardi nel Vaticano II.

 

Il recente movimento liturgico.

Questo movimento trovò ampio appoggio nel papa Pio X (1903-1914) che così ebbe a scrivere: «La partecipazione attiva ai Sacrosanti Misteri della Chiesa è la prima e indispensabile fonte del vero spirito cristiano». Parole profetiche, seguite da decisioni storiche: la Comunione frequente, l'anticipata ammissione dei bambini alla Comunione, l'uso della lingua slava nella Liturgia, la riforma del Breviario e del Calendario (1911). Già Leone XIII nel 1898 aveva tolto la proibizione delle traduzioni del Messale in lingua volgare.

Pio XI nel 1928 incoraggiò il canto gregoriano del popolo durante la Messa in modo che i fedeli assistessero non come estranei o muti spettatori. Pio XII nel 1947 pubblicò l'enciclica Mediator Dei e approvò i Rituali in lingua volgare per la Francia, India, Germania. Nel 1951 promulgò la riforma della Veglia pasquale e nel 1956 la riforma della Settimana Santa. Nel 1953 furono mitigate le norme sul digiuno eucaristico e fu istituita la Messa vespertina. Nel 1956 permise alle diocesi di Francia di proclamare le letture della Messa in lingua volgare (dopo essere state lette in latino). Da non dimenticare il Congresso di Liturgia pastorale di Assisi del 1956 in occasione del quale Pio XII definì il movimento liturgico «come un passaggio dello Spirito Santo nella sua Chiesa».

Nel 1959 Giovanni XXIII dava l'annuncio del Vaticano II. Nel 1962, il primo documento preso in esame dal Concilio, fu proprio la riforma della divina Liturgia. Il 4 dicembre del 1963 veniva pubblicata la Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla liturgia. Giungeva così in porto una riforma tanto sofferta quanto desiderata. Le tappe e i contenuti di questa riforma meritano un discorso a parte (continua).

 

Paolo Giglioni