PRESENZA DI CRISTO NELLA PAROLA
La
Costituzione liturgica Sacrosanctum
concilium, parlando della natura della liturgia e della sua importanza
nella vita della Chiesa, dice che nella liturgia, e soprattutto nel divino
sacrificio dell’Eucaristia, «si attua l’opera della nostra Redenzione» (SC 2).
La
realizzazione di un’opera così grande esige la «presenza» di Cristo nelle
azioni liturgiche; infatti ciò che Cristo ha compiuto «una volta per sempre» (ephàpax: Rm 6,10; Eb 7,27; 10, 10.12.14)
nella sua vita storica, ora lo attua «ogni volta» (osàkis: 1 Cor 11,26) nella
celebrazione dei santi misteri. Pur essendo Egli sempre vivente presso il Padre
in una perenne intercessione a nostro favore (Rm 8,34; Eb 7,25), non per questo
è meno presente nella sua Chiesa ed in modo speciale nelle azioni liturgiche
(SC 7). Infatti ogni celebrazione liturgica non è solo «annunzio» delle
mirabili opere compiute da Dio nella storia della salvezza, ma è anche
«attuazione» di tale progetto dal momento che in noi il mistero di Cristo «praesens semper adest et operatur: è in
noi sempre presente ed operante» (SC 35).
La
presenza di Cristo nella liturgia è varia e molteplice, dovuta alla diversità
dei segni con cui si realizza l’azione liturgica: è presente nella persona del
ministro, nell’assemblea, nella parola, nei sacramenti, soprattutto sotto le
specie eucaristiche (SC 7).
Dopo
aver parlato della «presenza eucaristica», è opportuno soffermarci ad
esplicitare anche il significato della «presenza di Cristo nella sua parola».
1.
La presenza di Cristo nella
parola.
Oltre ai già citati testi di SC 7 e 35, si parla della «presenza» di Cristo nella parola anche nella Istituzione generale del Messale romano (IGMR): «Nelle letture, che vengono poi spiegate nell’omelia, Dio parla al suo popolo (SC 33), gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente, per mezzo della sua parola, tra i fedeli» (IGMR 33; cf SC 7; Eucharisticum mysterium 9.55).
Anche nell’Ordo Lectionum Missae (OLM) si dice: «Per poter celebrare con fervido impegno il memoriale del Signore, ricordino i fedeli che unica è la presenza di Cristo, sia nella parola di Dio "perché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura", sia "soprattutto sotto le specie eucaristiche”» (OLM 46).
Anche
se il recupero di questa presenza è avvenuto di recente a seguito del movimento
biblico e liturgico, la tradizione della Chiesa sempre ha avuto come certa la
presenza di Cristo nella sua parola.
Rileggiamo
alcuni testi della Tradizione della Chiesa:
S.
Agostino: «La bocca di Cristo è
l’Evangelo. Regna in cielo, ma non cessa di parlare sulla terra» (Sermone 85,1);
S.
Girolamo: «Noi mangiamo la carne di
Cristo e beviamo il sangue di Cristo nell’Eucaristia, ma anche nelle letture
delle Scritture»; «io ritengo l’Evangelo corpo di Cristo»;
Pontificale
Romano Germanico: «Si legge l’Evangelo
nel quale Cristo di sua bocca parla al popolo..., per far risuonare l’Evangelo
nella Chiesa, come se Cristo stesso parlasse al popolo»;
Pontificale
Romano Germanico: «Quanto arriva il
Cristo, cioè l’Evangelo, lasciamo il pastorale, poiché non abbiamo più bisogno
di un appoggio umano»;
P.
Claudel: «Ascoltando le Scritture è come
se vedessi la sua propria bocca».
2.
Una presenza «reale».
A
seguito del Concilio Vaticano II ci si chiese di che tipo fosse la presenza di
Cristo nella parola proclamata nelle azioni liturgiche. A seguito della
polemica antiprotestante si era sempre parlato di «presenza reale»
limitatamente all’Eucaristia. Intervenne Paolo VI con l’enciclica Mysterium fidei (3.9.1965) e disse che
nell’Eucaristia la presenza di Cristo «si
dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non sino “reali”, ma per
antonomasia perché (oltre che reale) è anche corporale e sostanziale, e in
forza di essa Cristo, l’Uomo-Dio, tutto intero si fa presente».
Nell’Istituzione
Generale del Messale Romano si dice chiaramente che «nella celebrazione della Messa, nella quale si perpetua il sacrificio
della Croce, Cristo è realmente presente (realiter praesens adest)... nella sua
parola...» (IGMR 7).
Anche
nella parola proclamata, pertanto, si può parlare di una presenza “reale” di Cristo che è lì non solo per annunciare
ma anche per attuare il suo mistero di salvezza, per santificare gli
uomini, per rendere al Padre un culto perfetto.
Già
Origene abbinava la presenza “reale” di Cristo nella parola, alla presenza
“reale” nell’eucaristia: «sapete bene con
quale precauzione conservate il Corpo del Signore quando vi è distribuito, per
timore che non ne cada qualche briciola...Ma se voi quando si tratta del suo
Corpo avete a giusto titolo tanta precauzione, perché poi vorreste che la
negligenza della parola di Dio meriti una punizione minore di quella del suo
Corpo?» (Origene, Omelia 13,3
sull’Esodo).
E
nella Costituzione dogmatica Dei Verbum
sulla divina rivelazione leggiamo: «La
Chiesa ha sempre venerato le Divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso
di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del
Pane della vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e
di porgerlo ai fedeli» (DV 21).
3.
Il significato liturgico
della parola di Dio.
In
forza di questa “reale” presenza di Cristo nella sua parola, ogni celebrazione
liturgica deve poggiare e trarre forza fondamentalmente dalla parola di Dio; in
questo modo l’azione liturgica diventa un nuovo evento e arricchisce la parola
stessa di una nuova efficace interpretazione.
Infatti l’economia e il dono della salvezza, che la parola di Dio continuamente richiama e comunica, proprio nell'azione liturgica raggiunge la pienezza del suo significato; così la celebrazione liturgica diventa una continua, piena ed efficace proclamazione-attuazione della parola di Dio per la potenza dello Spirito Santo.
La parola di Dio annuncia ciò che nella celebrazione si compie; la celebrazione liturgica realizza ciò che la parola di Dio annuncia, collocandone la proclamazione in seno alla fede e alla vita della comunità dei credenti riuniti intorno a Cristo per la potenza dello Spirito nella lode al Padre.
In forza di questo annuncio la Chiesa si edifica e cresce ed i fatti mirabili che un tempo e in molti modi Dio ha compiuto nella storia della salvezza, vengono ora in mistica verità ripresentati nell’oggi della celebrazione liturgica.
Né va sottovalutata la dimensione «missionaria» dell’annuncio liturgico: l’assemblea che accoglie la parola deve rispondere con il proprio “Amen” che si traduce in un’adorazione «in Spirito e verità» (Gv 4,23), in un impegno ad attuare nella vita ciò che si è ricevuto nella fede, a divenire nello Spirito annunciatori di questa stessa parola nella Chiesa e nel mondo. La presenza reale di Cristo nella sua parola esige anche inseparabilmente una reale comunione con lui in tutti i «luoghi», ugualmente reali, nei quali Egli si fa presente e si manifesta: nel Corpo-parola, nel Corpo-eucaristia, nel Corpo-ecclesiale.
4.
La duplice mensa: parola ed
eucaristia.
Alla parola di Dio e al mistero eucaristico la Chiesa ha tributato e sempre e dappertutto ha voluto e stabilito che si tributasse la stessa venerazione, anche se non lo stesso culto; mossa dall'esempio del suo Fondatore, essa non ha mai cessato di celebrare il mistero pasquale, riunendosi insieme per leggere "in tutte le Scritture ciò che a lui si riferiva" (Lc 24,27), e attualizzare, con il memoriale del Signore e i sacramenti, l'opera della salvezza. E' infatti "necessaria la predicazione della parola per lo stesso ministero dei sacramenti, trattandosi di sacramenti della fede, la quale nasce e si alimenta con la parola" (PO 4).
Nutrita spiritualmente all'una e all'altra mensa (SC 51; PO 18; DV 21; AG 6; IGMR 8), la Chiesa da una parte si arricchisce nella dottrina e dall'altra si rafforza nella santità. Nella parola di Dio si annunzia la divina alleanza, mentre nell'eucaristia si ripropone l'alleanza stessa, nuova ed eterna. Lì la storia della salvezza viene rievocata nel suono delle parole, qui la stessa storia viene ripresentata nei segni sacramentali della liturgia.
Si deve quindi sempre tener presente che la parola di Dio, dalla Chiesa letta e annunziata nella liturgia, porta in qualche modo, come al suo stesso fine, al sacrificio dell'alleanza e al convito della grazia, cioè all'eucaristia. Pertanto la celebrazione della messa, nella quale si ascolta la parola e si offre e si riceve l'eucaristia, costituisce un unico atto del culto divino, con il quale si offre a Dio il sacrificio di lode e si comunica all'uomo la pienezza della redenzione (Ordo Lectionum Missae= OLM 10). La liturgia della parola e la liturgia eucaristica sono così strettamente congiunte tra di loro da formare un unico atto di culto (SC 56; IGMR 8).
5.
«Gravidanza dalla parola» (Gregorio Magno)
S.
Gregorio Magno, parlando di coloro che intendono rettamente la parola sacra e
portano frutti di vita santa, suggerisce l’immagine della «gravidanza»: «…le
anime che in virtù dell’amore divino concepiscono la comprensione della Parola,
se giungono al compimento del tempo, sono pronte a partorire, con la
manifestazione delle opere, quella comprensione che avevano concepita» (Regola
pastorale III,24).
L’immagine
di una «gravidanze dalla Parola» suggerisce la verità meravigliosa che, in ogni
anima, in virtù della Parola, si opera un vero concepimento da Spirito Santo,
da cui si partoriscono le opere della fede; e così ciascuno che attraverso la
Parola ricevuta dalla Chiesa alimenta in sé la virtù di questo concepimento è
realmente membro, nella propria unità di anima e di corpo, del Corpo totale di
Dio incarnato, che è la Chiesa.
Gregorio
applica questo insegnamento soprattutto a coloro che sono Ministri della
parola, a coloro che «portano i vasi del Signore» e si sono assunti «di
condurre le anime ai santuari eterni con la fedeltà della propria condotta di
vita». Essi per primi devono custodire e mostrare con l’esempio la verità che
predicano. Egli raccomanda, come necessità ineludibile per coloro che
esercitano questo ministero, la meditazione assidua della Parola di Dio dal
momento che, come spiega S. Agostino «non diventi vano predicatore della parola
di Dio all’esterno colui che non l’ascolta di dentro» (in DV 25).
6.
La parola sorgente inesauribile di vita.
«Chi
è capace di comprendere, Signore, tutta la ricchezza di una sola delle tue
parole? E` molto più ciò che ci sfugge di quanto riusciamo a comprendere. Siamo
proprio come gli assetati che bevono ad una fonte. La tua parola offre molti
aspetti diversi, come numerose sono le prospettive di coloro che la studiano.
Il Signore ha colorato la sua parola di bellezze svariate, perché coloro che la
scrutano possano contemplare ciò che preferiscono. Ha nascosto nella sua parola
tutti i tesori, perché ciascuno di noi trovi una ricchezza in ciò che
contempla.
La
sua parola è un albero di vita che, da ogni parte, ti porge dei frutti
benedetti. Essa è come quella roccia aperta nel deserto, che divenne per ogni
uomo, da ogni parte, una bevanda spirituale. Essi mangiarono, dice l`Apostolo,
un cibo spirituale e bevvero una bevanda spirituale (cfr. 1 Cor 10, 2).
Colui
al quale tocca una di queste ricchezze non creda che non vi sia altro nella
parola di Dio oltre ciò che egli ha trovato. Si renda conto piuttosto che egli
non è stato capace di scoprirvi se non una sola cosa fra molte altre. Dopo
essersi arricchito della parola, non creda che questa venga da ciò impoverita.
Incapace di esaurirne la ricchezza, renda grazie per la immensità di essa.
Rallegrati perché sei stato saziato, ma non rattristarti per il fatto che la
ricchezza della parola ti superi. Colui che ha sete è lieto di bere, ma non si
rattrista perché non riesce a prosciugare la fonte. E` meglio che la fonte
soddisfi la tua sete, piuttosto che la sete esaurisca la fonte. Se la tua sete
è spenta senza che la fonte sia inaridita, potrai bervi di nuovo ogni volta che
ne avrai bisogno. Se invece saziandoti seccassi la sorgente, la tua vittoria
sarebbe la tua sciagura. Ringrazia per quanto hai ricevuto e non mormorare per
ciò che resta inutilizzato. Quello che hai preso o portato via è cosa tua, ma
quello che resta è ancora tua eredità. Ciò che non hai potuto ricevere subito a
causa della tua debolezza, ricevilo in altri momenti con la tua perseveranza.
Non avere l`impudenza di voler prendere in un sol colpo ciò che non può essere
prelevato se non a più riprese, e non allontanarti da ciò che potresti ricevere
solo un po` alla volta». (S. Efrem, diacono, Commenti sul Diatessaron; VI domenica per
annum).
7.
Il luogo della proclamazione
della parola di Dio.
Il
luogo da dove si proclama la parola di Dio è la mensa del Corpo-Parola; è
chiamata «ambone» (anabaino, salire);
deve avere queste caratteristiche: sia elevato, stabile, ben curato e decoroso,
armonizzato architettonicamente e spazialmente con l’altare, sobriamente ornato
(OLM 32).
L’ambone
deve rispondere a queste esigenze:
*
deve far emergere la dignità della parola di Dio come realtà della divina
presenza;
*
deve suggerire chiaramente ai fedeli che nella Messa viene preparata la mensa
sia del Corpo-Parola, sia del Corpo-Eucaristia;
*
deve facilitare l’ascolto e l’attenzione dei fedeli durante la liturgia della
parola (Cf CEI, La progettazione di nuove
chiese, 18.2.1993).
Deve
essere riservato per sua natura alle letture, al salmo responsoriale, al
preconio pasquale, all’omelia. E’ invece meno opportuno che salgano all’ambone
altre persone, per esempio il commentatore, il cantore o l’animatore del canto
(IGMR 272; OLM 33).
L’ambone
deve essere uno solo, come uno è l’altare; e come non si può celebrare senza
altare, così non si può celebrare senza ambone; essendo «icona spaziale della
risurrezione»: da qui il diacono in piedi annuncia il Risorto come l’angelo
pasquale al sepolcro [perciò nessuno mai siede all’ambone]; da esso devono
venire sempre parole di risurrezione, di vita, di missione.
8.
I libri per la proclamazione
della parola di Dio.
Si
parla di «libri», al plurale, per sottolineare questo principio: ogni ministro
ha il suo libro (come pure una sua veste) quale segno della distinzione e della
ricchezza dei vari ministeri.
Il diacono annunzierà l’Evangelo,
apice della liturgia della parola, servendosi di un libro chiamato «Evangeliario»; sia ben preparato ed
ornato, oggetto di venerazione (il bacio, l’incenso, le luci); è quindi molto
opportuno che sia distinto dall’altro libro delle letture; viene portato
processionalmente e deposto sull’altare nella processione di ingresso (segno
dell’unità e della continuità-inseparabilità tra il Corpo-Parola e il
Corpo-Eucaristia).
Il lettore annunzierà le altre letture
servendosi di un altro libro chiamato «lezionario»;
spetta al lettore proclamare le letture, anche se sono presenti ministri di
ordine superiore (IGMR 66; OLM 51). Siano veramente idonei e preparati con
impegno (preparazione dottrinale, spirituale, liturgica, tecnica)
Per
rispetto alla dignità della parola di Dio i libri delle letture devono essere
decorosi, trattati e conservati con cura, mai
sostituiti con altri sussidi pastorali (i vari foglietti siano riservati ai
fedeli per preparare le letture o meditarle personalmente: OLM 37).
I fedeli, da parte loro, ascoltino la parola di Dio con quella venerazione interna ed esterna che porti in loro costanti progressi nella vita spirituale, e li inserisca più profondamente nel mistero che viene celebrato (IGMR 9; OLM 45). La parola di Dio, se è accolta con fede, suscita nel cuore propositi di conversione e stimola a una vita tutta splendente di fede, sia nei singoli che nella comunità, perché è nutrimento della vita cristiana e fonte della preghiera di tutta la Chiesa. Siano presenti alla celebrazione liturgica fin dall’inizio e vi partecipino in maniera piena, attiva, consapevole, fruttuosa.
Conclusione.
La
liturgia non può vivere senza la parola di Dio, come non potrebbe vivere senza
l’eucaristia. Nel segno sacramentale della parola è «realmente» presente lo
stesso Cristo che si fa presente nel segno sacramentale del pane eucaristico.
Per la potenza dello Spirito Santo la parola di Dio è sempre viva ed efficace
(cf Eb 4,12).
Perciò alle nostre comunità ecclesiali deve
stare particolarmente a cuore che la proclamazione della Bibbia nella liturgia
sia fatta con la dovuta dignità e al popolo di Dio sia assicurato ogni mezzo
che ne aiuti la comprensione. Senza dimenticare però che la parola proclamata
nella celebrazione non ha una funzione puramente didattica o di preparazione
nei confronti del sacramento, quasi sia semplicemente una spiegazione del suo
significato. La proclamazione della parola è elemento costitutivo della
celebrazione (CEI, La Bibbia nella vita
della Chiesa [18.11.1995], n. 26).
Con
Dei Verbum si può formulare questo
auspicio: «Come dall’assidua frequenza del
mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, così è lecito sperare
nuovo impulso alla vita spirituale dall’accresciuta venerazione della parola di
Dio, che “permane in eterno” (Is 40,8; 1 Pt 1,23-25)» (DV 26).
Paolo
Giglioni
Novembre
1999