LA LITURGIA
ESERCIZIO DEL SACERDOZIO DI CRISTO
Si cercherà qui di
approfondire l’espressione di Sacrosanctum concilium 7 la quale, dopo
aver detto che Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua Sposa amatissima,
nell’opera così grande qual è la Liturgia, afferma: «Giustamente perciò la
Liturgia è ritenuta come l’esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo» (SC 7).
L’espressione precisa di «sacerdozio comune»
o «sacerdozio battesimale» si incontra in Lumen gentium e
precisamente nel capitolo II dedicato al Popolo di Dio. Parlando della Nuova
alleanza e del nuovo Popolo di Dio, così si esprime circa
il Sacerdozio comune dei fedeli: «Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli
uomini (cf. Eb 5,1-5), ha fatto del nuovo popolo di Dio “un regno di sacerdoti
per Dio suo Padre” (Ap 1,6; cf. 5,9-10). I battezzati infatti vengono
consacrati mediante la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo, per
essere un’abitazione spirituale e un sacerdozio santo, e poter così offrire in
sacrificio spirituale tutte le attività umane del cristiano, e annunciare i
prodigi di colui che dalle tenebre li ha chiamati alla sua luce ammirabile (cf.
1Pt 2,4-10). Tutti i discepoli di Cristo quindi, perseverando nella preghiera e
lodando insieme Dio (cf. At 2,42-47), offrano se stessi come oblazione vivente,
santa, gradita a Dio (cf. Rm 12,1), diano ovunque testimonianza a Cristo, e
rendano ragione, a chi lo richieda, della speranza di vita eterna che è in loro
(cf. 1Pt 3,15).
Il
sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico,
quantunque differiscano di essenza e non soltanto di grado, sono tuttavia
ordinati l’uno all’altro; ambedue infatti, ognuno nel suo modo proprio,
partecipano all’unico sacerdozio di Cristo. Con la potestà sacra di cui è
rivestito, il sacerdote ministeriale forma e dirige il popolo sacerdotale,
compie il sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a Dio a nome
di tutto il popolo; da parte loro i fedeli, in virtù del loro sacerdozio
regale, concorrono ad offrire l’Eucaristia
ed esercitano il loro sacerdozio nel ricevere i sacramenti, nella
preghiera e nel ringraziamento, nella testimonianza di una vita santa,
nell’abnegazione e nell’operosa carità» (LG 10).
Si
parla del sacerdozio battesimale dei fedeli anche in Apostolicam
actuositatem là dove si dice: «I laici vengono consacrati per formare un
sacerdozio regale e una nazione santa onde offrire sacrifici spirituali
mediante ogni attività e testimoniare dappertutto Cristo» (AA 3).
Come
vedremo più avanti, anche Sacrosanctum Concilium a più riprese parla del
sacerdozio comune dei fedeli.
La
Chiesa associata al sacerdozio di Cristo.
Cristo
Signore, pontefice della nuova ed eterna alleanza, ha voluto associare e
conformare al suo sacerdozio perfetto il popolo acquistato col proprio sangue (cf.
Eb 7,20-22.26-28; 10,14.21). Egli, perciò, ha partecipato come dono alla Chiesa
il suo sacerdozio (CD 28; PO 5.10.16; LG 10). Se si ha in comune con Cristo
l’essere cristiano, si avrà in comune anche il suo sacerdozio.
Si
tratta di una partecipazione di tutti, in grado diverso e con differenze
essenziali: mediante il sacerdozio comune dei fedeli e mediante il sacerdozio
ministeriale o gerarchico, i quali sebbene differenti per essenza e non solo
per grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro nella comunione ecclesiale.
Il
sacerdozio comune dei fedeli, chiamato giustamente anche sacerdozio regale (cf.
1Pt 2,9; Apoc 1,6; 5,9 s), poiché effettua il congiungimento dei fedeli, in
quanto membri del popolo messianico, col loro re celeste, è conferito nel sacramento
del battesimo. Il battesimo è come la prima unzione sacerdotale (LG 10). In
Cristo non esiste più alcun privilegio di sangue, come nell’antica Legge, dove
«sacerdoti si nasceva» per la semplice appartenenza alla tribù sacerdotale di
Levi. Nella nuova Alleanza «sacerdoti si diventa» non per via di generazione
carnale, ma per il sacramento della «rigenerazione» spirituale (Tito
3,3) che ci fa nascere alla vita nuova nella comunione dello Spirito e nella
sua unzione (1 Gv 2,20; 2 Cor 1,22), la quale come rese Cristo sacerdote, così
consacra anche ciascun membro del suo corpo mistico della dignità sacerdotale
)LG 10.25.31). Questa unzione è anche detta «sigillo» (2 Cor 1,21-22; Ef 1,13;
4,30).
Il
sacerdozio ministeriale dei Vescovi e dei Presbiteri è conferito mediante il
sacramento dell’Ordine che li abilita ad agire nella Persona di Cristo capo
e pastore.[1]
Alle
sorgenti della Tradizione
Già
nell’epoca apostolica si adattò il vocabolario sacerdotale dell’antico
testamento al Cristo, agnello pasquale della nuova alleanza (1Cor 5,7) e, in
riferimento a lui, ai cristiani la cui vita si specifica in rapporto al mistero
pasquale. Convertiti mediante la predicazione del Vangelo, possiedono la
convinzione di vivere un sacerdozio santo e regale, trasposizione spirituale di
quello dell’antico popolo (1Pt 2,5.9; cf. Es 19,6; Is 61,6), resa possibile
dall’intervento dell’offerta sacrificale di colui che ricapitola in se stesso
tutti i sacrifici antichi e apre la via verso il sacrificio totale ed
escatologico della Chiesa (cf. s. Agostino, De civitate Dei, X, c. 6).
All’interno
di questo popolo tutto sacerdotale, fin dall’inizio sono coesistite due forme
complementari di partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo: il sacerdozio
comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale dei pastori.
Il
sacerdozio battesimale dei fedeli. Di fatto i cristiani, pietre vive del nuovo edificio
che è la Chiesa, offrono a Dio un culto nella novità dello Spirito, culto
personale, giacché si tratta di offrire la vita “come ostia vivente, santa,
gradita a Dio” (Rm 12,1-2 cf. 1Pt 2,5),
e nello stesso tempo, comunitario, giacché tutti insieme rappresentano
quell’“edificio spirituale”, quel “sacerdozio santo e regale”, quel “sacrificio
spirituale” (1Pt 2,9), il cui scopo è quello di formare il tempio nel
quale esercitano il loro sacerdozio, offrendo i sacrifici delle
loro opere buone per mezzo di Gesù Cristo (cf 1Pt 2,8).
Questo
sacerdozio ha insieme una dimensione morale: deve essere esercitato ogni
giorno e in ogni atto della vita quotidiana; una dimensione escatologica:
poiché è per l’eternità futura che Cristo ha fatto di noi " un regno di
sacerdoti per il suo Dio e Padre " (Ap 1,6; cf. 5,10; 20,6); una
dimensione propriamente cultuale: poiché l’Eucaristia, di cui i
cristiani vivono, è paragonata da s. Paolo ai sacrifici dell’antica legge e
anche, per contrapposto, a quelli dei pagani (1Cor 10,16-21).
Il
sacerdozio ministeriale. Ora, per la costituzione, l’animazione e la conservazione del
sacerdozio comune a tutti i battezzati, il Cristo ha istituito un ministero;
attraverso il segno e la strumentalità di questo ministero egli comunica al suo
popolo, lungo il corso della storia, i frutti della sua vita, della sua morte e
risurrezione.
Il
sacerdote ministro ha come sua relazione fondamentale quella con Gesù Cristo
capo e pastore: egli, infatti, partecipa, in modo specifico e autorevole, alla
«consacrazione/unzione» e alla «missione» di Cristo (cf. Lc 4,18-19).
La relazione del sacerdote con Gesù Cristo e, in
lui, con la sua Chiesa, si situa nell’essere stesso del sacerdote, in
forza della sua consacrazione-unzione sacramentale, e nel suo agire,
ossia nella sua missione o ministero.
Il
presbitero partecipa alla consacrazione e alla missione di Cristo in modo
specifico e autorevole, ossia mediante il sacramento dell’ordine, in virtù del
quale è configurato nel suo essere a Gesù Cristo capo e pastore e condivide la
missione di «annunciare ai poveri un lieto messaggio» nella persona di
Cristo stesso.
I presbiteri, pertanto, poiché la loro figura e il
loro compito nella Chiesa non sostituiscono bensì promuovono il sacerdozio
battesimale di tutto il popolo di Dio, conducendolo alla sua piena attuazione
ecclesiale, si trovano in relazione positiva e promovente con i laici. Della
loro fede, speranza e carità sono al servizio. Ne riconoscono e sostengono,
come fratelli e amici, la dignità di figli di Dio e li aiutano a esercitare in
pienezza il loro ruolo specifico nell’ambito della missione della Chiesa.
Un
frutto del Concilio.
Il
Vaticano II ha rivolto una rinnovata attenzione al sacerdozio comune dei
fedeli. L’espressione "sacerdozio comune" e la realtà che racchiude
hanno profonde radici bibliche (cf. per esempio, Es 19,6; Is 61,6; 1Pt 2,5.9;
Rm 12,1; Ap 1,6; 5,9-10) e sono state ampiamente commentate dai padri della
Chiesa (Origene, san Giovanni Crisostomo, sant’Agostino...). Tuttavia
quest’espressione era quasi scomparsa dal vocabolario della teologia cattolica,
a causa dell’uso antigerarchico che ne avevano fatto i riformatori. Conviene
però ricordare a questo punto che il Catechismo romano vi allude
esplicitamente. Recentemente ne hanno parlato anche Pio XI nell’enciclica Miserentissimus
Redemptor e Pio XII nella Mediator Dei.
Il
Concilio connette il sacerdozio comune dei fedeli con il sacramento del
battesimo, indicando anche che un tale sacerdozio ha, per il cristiano, il
contenuto e la finalità di "offrire, mediante tutte le opere, spirituali
sacrifici" (LG 10), o ancora che si tratta, come già precisava san Paolo,
"di offrire i propri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a
Dio" (Rm 12,1). La vita cristiana è dunque vista come una lode offerta a
Dio e come un culto di Dio realizzato da ogni persona e da tutta la Chiesa. La
santa liturgia (SC 7), la testimonianza della fede e l’annuncio del Vangelo (LG
10), partendo dal senso soprannaturale della fede di cui sono partecipi tutti i
fedeli (cf. LG 12), costituiscono l’espressione di tale sacerdozio. Questo si
realizza concretamente nella vita quotidiana del battezzato, allorché
l’esistenza stessa diventa offerta di sé inserendosi nel mistero pasquale di
Cristo. Il sacerdozio comune dei fedeli (o dei battezzati) fa risaltare con
chiarezza la profonda unità tra il culto liturgico e il culto spirituale e
concreto della vita quotidiana. Dobbiamo del pari sottolineare qui che un tale
sacerdozio può essere inteso soltanto come partecipazione al sacerdozio di
Cristo: nessuna lode sale verso il Padre se non attraverso la mediazione di
Cristo, unico mediatore; il che implica l’azione sacramentale di Cristo.
Nell’economia cristiana, infatti, l’offerta della vita si realizza pienamente
solo grazie ai sacramenti e in maniera particolarissima grazie all’Eucaristia.
Non sono forse i sacramenti simultaneamente sorgente della grazia ed
espressione dell’offerta cultuale?
Complementarietà
del sacerdozio comune e del sacerdozio ministeriale.
Avendo
ridato, in un certo qual modo, il suo pieno significato all’espressione
"sacerdozio comune dei fedeli", il Concilio Vaticano II si è
interrogato per conoscere i reciproci rapporti tra il sacerdozio comune dei
fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico. L’uno e l’altro trovano,
indubbiamente, il proprio fondamento e la propria sorgente nell’unico
sacerdozio di Cristo. “Questo (infatti) è partecipato sotto forme diverse, sia
dai ministri, sia dal popolo fedele” (LG 62; cf. LG 10). L’uno e l’altro si
esprimono, nella Chiesa, attraverso la relazione sacramentale con la persona,
la vita e l’azione santificanti di Cristo. Per il pieno sviluppo della vita
nella Chiesa, corpo di Cristo, il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio
ministeriale o gerarchico non possono che essere complementari o "ordinati
l’uno all’altro", così però, che dal punto di vista della finalità della
vita cristiana e del suo compimento, il primato spetta al sacerdozio comune,
anche se, dal punto di vista dell’organicità visibile della Chiesa e
dell’efficacia sacramentale, la priorità spetta al sacerdozio ministeriale.
Il
sacerdozio ministeriale, infatti, non significa di per sé un maggior grado di
santità rispetto al sacerdozio comune dei fedeli; ma, attraverso di esso, ai
presbiteri è dato da Cristo nello Spirito un particolare dono, perché possano
aiutare il popolo di Dio a esercitare con fedeltà e pienezza il sacerdozio
comune che gli è conferito.
Fondamento sacramentale
dell’uno e dell’altro sacerdozio
E’
mediante la realtà sacramentale presente nella vita della Chiesa, realtà che si
esprime in modo del tutto particolare nell’Eucaristia, che da un punto di vista
teologico, si possono stabilire le relazioni tra le due forme di sacerdozio e
la loro connessione. I sacramenti sono nello stesso tempo sorgente della grazia
ed espressione dell’offerta spirituale di tutta la vita. Ora, il culto
liturgico della Chiesa, nel quale una tale offerta raggiunge la propria
pienezza, può realizzarsi solo quando la comunità è presieduta da un soggetto
che può agire in persona Christi. Questa condizione, ed essa sola, dà
pienezza al "culto spirituale", inserendolo nell’offerta e nello
stesso sacrificio del Figlio. Attraverso il ministero dei presbiteri il
sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto, perché viene unito al
sacrificio di Cristo, unico mediatore; questo sacrificio, infatti, per mano dei
presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell’Eucaristia in modo
incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore. A ciò tende
e in ciò trova la sua perfetta realizzazione il ministero dei presbiteri.
Infatti il loro servizio, che comincia con l’annuncio del Vangelo, deriva la propria
forza e la propria efficacia dal sacrificio di Cristo, e ha come scopo che
"tutta la città redenta, cioè la riunione e società dei santi, si offra a
Dio come sacrificio universale per mezzo del gran sacerdote, il quale ha anche
offerto se stesso per noi nella sua passione, per farci diventare corpo di così
eccelso capo" (sant’Agostino, De Civitate Dei, 10, 6)" (PO 2).
Poiché
sono originati da un’unica sorgente, il sacerdozio di Cristo, e in definitiva
hanno un unico fine, l’offerta del corpo di tutto il Cristo, il sacerdozio
comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale dei vescovi e dei presbiteri
sono dunque strettamente correlati.
Reciproco
ordinamento, essenziale differenza.
All’interno
dell’unico nuovo popolo di Dio, sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale dei
vescovi e dei presbiteri sono inscindibili. Il sacerdozio comune raggiunge la
pienezza del proprio valore ecclesiale grazie al sacerdozio ministeriale,
mentre quest’ultimo esiste unicamente in vista dell’esercizio del sacerdozio
comune. Vescovi e presbiteri sono indispensabili alla vita della Chiesa e dei
battezzati, ma essi pure sono chiamati a vivere in pienezza il medesimo
sacerdozio comune, e, a tale titolo, necessitano del sacerdozio ministeriale.
"Per voi io sono vescovo, con voi sono cristiano", dice
sant’Agostino (Sermo 340, 1).
Ordinati
l’uno all’altro, il sacerdozio comune di tutti i fedeli e il sacerdozio
ministeriale dei vescovi e dei presbiteri presentano tra loro una differenza
essenziale (differenza che non è dunque solo di grado, o di onore), a causa del
loro fine. Operando in persona Christi, il vescovo e il presbitero lo
rendono presente di fronte al popolo; nello stesso tempo, il vescovo e il
presbitero rappresentano anche tutto il popolo davanti al Padre.
Certo,
ci sono atti sacramentali la cui validità dipende dal fatto che chi li celebra
ha, in virtù della propria ordinazione, la facoltà di agire in persona
Christi o "nell’ufficio di Cristo". Non ci si può tuttavia
accontentare di tale osservazione per legittimare l’esistenza del ministero
ordinato nella Chiesa. Esso appartiene alla struttura essenziale della Chiesa e
quindi alla sua immagine e alla sua visibilità. La struttura essenziale della
Chiesa come pure la sua immagine comportano una dimensione "verticale",
segno e strumento dell’iniziativa e della preveggenza divine nell’economia
cristiana.
Qualche deduzione
La complementarietà tra
sacerdozio battesimale e sacerdozio ministeriale, il loro reciproco
ordinamento, la loro differenza essenziale, fanno sì che si instauri tra queste
due differenti forme di partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo un
rapporto che sia non di concorrenza, né di sovrapposizione, né di sostituzione.
A livello pratico-operativo si possono trarre alcune deduzioni:
· Nell’assemblea liturgica deve apparire chiaramente
la distinzione e la complementarietà tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio
battesimale: «Nell’assemblea,
che si riunisce per la Messa, ciascuno ha i diritto e il dovere di recare la
sua partecipazione in diversa misura a seconda della diversità di ordine e di
compiti (cf SC 14.26). Pertanto tutti, sia i ministri che i fedeli, compiendo
il proprio ufficio, facciano tutto e soltanto ciò che è di loro competenza;
cosicché la stessa disposizione della celebrazione manifesti la Chiesa
costituita nei suoi diversi ordini e ministeri» (IGMR 58).
·
Ufficio e compito del popolo di Dio: « Nella celebrazione della messa i fedeli
formano la gente santa, il popolo che Dio si è acquistato e il sacerdozio
regale, per rendere grazie a Dio, offrire la vittima immacolata non soltanto
per le mani del sacerdote ma anche insieme con lui, e imparare a offrire se
stessi» (IGMR 62; cf SC 48).
·
Anche se vi
sono ministri ordinati, gli uffici dell’accolito, del lettore, devono essere
esercitati da loro stessi dal momento che nell’assemblea ciascuno deve fare
tutto e soltanto ciò che gli compete (IGMR 66; SC 28);
·
Vi sono compiti
o funzioni che i fedeli laici possono esercitare in diretto servizio ai
ministri ordinati: L’esercizio di questi compiti o funzioni non è per i fedeli
laici un diritto né fa di essi dei pastori. Si richiede capacità e competenza,
e data la funzione di supplenza di questi uffici, dovranno cessare
appena venga meno la necessità e l’urgenza (es. i ministri straordinari
della Comunione).[2]
·
Il popolo
cristiano, stirpe eletta, regale sacerdozio, gente santa, popolo d’acquisto ha
diritto e dovere in forza del battesimo di partecipare
attivamente-consapevolmente-pienamente-fruttuosamente alle celebrazioni
liturgiche (SC 14);
·
In tutti i
sacramenti che riceve, il fedele esercita il suo sacerdozio battesimale (SC
59); in particolare nella celebrazione eucaristica quando, assieme al sacerdote
ministro, è offerente della vittima immacolata (SC 48), quando si alimenta del
Corpo di Cristo (SC 55), quando prega com’unitariamente (SC 53).
·
L’esercizio del
sacerdozio battesimale non si limita all’azione liturgica, ma esige un suo
prolungamento anche nell’esercizio delle virtù e nella sopportazione dele
sofferenze per l’imitazione di Cristo (1 Pt 3,7; 4,7), nell’esercizio della
carità che copre la moltitudine dei peccati (1 Pt 4,8), nella proclamazione
missionaria delle opere meravigliose di Dio che ci ha tratti dalle tenebre alla
sua mirabile luce» (1 Pt 2,9) [cf LG 34.36; AA 10].
Prof. Paolo Giglioni
Gennaio 2000
[1] Il sacramento dell’Ordine conferito al Diacono non ha una funzione sacerdotale, ma di servizio (LG 29; cf CD 15).
[2] CONGREGAZIONE PER IL CLERO et AA., Istruzione su Alcune questioni circa la
collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti, 15.08.1997, AAS
89(1997) 852-877; EV16/671-740. Con questa Istruzione si è voluto
chiarire
che, anche se a norma del Codice di Diritto Canonico [cann 228 § 1; 230 § 1.3]
alcuni laici sono ammessi a svolgere alcuni uffici ecclesiastici, ciò non deve
offuscare il segno visibile della Chiesa, popolo di Dio gerarchicamente
ordinato che ha inizio da Cristo capo, né determinare un essere indifferenziato
tra gli uffici che sono propri dei ministri ordinati e quelli che sono
esercitati per « supplenza» dai ministri laici.