CULMINE E FONTE

 

Per stabilire la giusta collocazione della Liturgia nella vita della Chiesa, la Costituzione liturgica Sacrosanctum concilium (1963) ricorre ad un linguaggio particolare: in un primo momento segue la via umilitatis affermando che «la liturgia non è l'unica attività della Chiesa» e da sola «non esaurisce tutta l’azione della Chiesa» (SC 9); subito dopo, però, segue la via maiestatis e dice che la liturgia «è il culmine e la fonte della vita della Chiesa» (SC 10); infatti la Liturgia «è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» (SC 7). Vediamo di approfondire questi due poli attorno ai quali, come attorno ad una ellisse, ruota la vita liturgica della Chiesa.

 

La Liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa.

Secondo il mandato missionario dato da Gesù ai suoi discepoli, la missione avrebbe dovuto prevedere congiuntamente e inseparabilmente due grandi momenti: il momento della salvezza annunciata (“andate e ammaestrate tutte le nazioni” Mt 28,19) e il momento della salvezza attuata (“battezzate nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” Mt 28,19).

Pur conservando il suo primato all’interno della vita della Chiesa, la Liturgia suppone a sua volta una priorità: l’annuncio evangelico che converte, chiama alla fede, viene ratificato dal sigillo sacramentale.

Una tale dinamica nel processo di evangelizzazione è ben descritta, con un procedimento a ritroso, da san Paolo nella lettera ai Romani quando dice: “come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui?” (Rm 10,14); la vita di preghiera, la vita liturgica del culto cristiano è posta al culmine di una scala di valori; ma questo culmine è preceduto a sua volta da un grado preparatorio che è appunto la fede, il credere. Senza la fede non è pensabile la preghiera. A sua volta la fede presuppone ed è preceduta dalla predicazione-annuncio, secondo il principio: “fides ex auditu: la fede dipende dall’annuncio” (Rm 10,17).

Secondo l’Apostolo Paolo, pertanto, il cammino del mandato missionario segue queste tappe: l’invio (“quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene” Rm 10,15 che cita Is 52,7); l’annuncio (“la predicazione si attua per la parola di Cristo” Rm 10,17); l’attuazione (“fate questo in memoria di me”: Lc 22,19; “andate…battezzate”: Mt 28,19; “chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato” Rm 10, 13 che cita Gl 3,5; cf At 2,21).

Si può concludere questa riflessione dicendo che la Liturgia, pur restando al culmine della scala dei valori, tuttavia da sola non può esaurire tutta l’attività della Chiesa dal momento che presuppone altre tappe necessarie quali la missione e l’annuncio evangelico. Per questo la Chiesa non cessa mai di: * annunciare la salvezza a coloro che ancora non credono (= kerygma), * predicare la fede e la penitenza ai credenti (= catechesi; cf CT 23), * disporre ai sacramenti e insegnare ad osservare i comandamenti e ad esercitare la carità (=omelìa, mistagogìa, parenèsi, iniziazione cristiana) (SC 9), * compie una "nuova evangelizzazione” per coloro che si sono allontanati dalla Chiesa o che hanno perduto il senso vivo della fede (Redemptoris missio 33). Pertanto: se non c'è fede senza annuncio, non c'è nemmeno salvezza senza sacramenti della fede. La Chiesa ha ricevuto congiuntamente e inseparabilmente tanto la missione di "predicare" l'Evangelo ad ogni creatura (Mc 16,15) quanto la missione di "battezzare" nel nome della santa Trinità (Mt 28,19), perché la salvezza è promessa a colui che "crederà e sarà battezzato" (Mc 16,16).

 

La Liturgia è culmine e fonte di tutta l’azione della Chiesa.

La Liturgia non esaurisce tutta l’attività della Chiesa non solo perché presuppone “prima” di essa altre azioni pur necessarie (l’annuncio evangelico), ma anche perché necessita di un “dopo” ugualmente importante. Se nella fase di annuncio la Liturgia si è posta come “culmine”, ora nella fase di attuazione la stessa Liturgia si pone come “fonte”; da essa infatti scaturisce la grazia e si ottiene con la massima efficacia la santificazione del popolo di Dio. La Liturgia spinge inoltre i fedeli a tradurre nella vita quanto hanno ricevuto nella fede (SC 10). Se la missione-evangelizzazione culmina nella Liturgia, dalla Liturgia nasce e trae forza la missione (cf SC 10; PO 5). Dalla liturgia come "fonte" traggono origine: la koinonìa o comunione tra le membra dell'unico corpo (1 Cor 12,12s); la mistagogìa o introduzione ai santi misteri partendo dai segni della stessa liturgia; la diakonìa o servizio verso i fratelli (cf At 2,42ss); la apologìa o difesa della fede con la parola e lo scritto (cf 1 Pt 3,15; cf LG 10); la martyrìa o testimonianza fino al dono della vita (cf At 1,8; 22,15; cf AG 5, RMi 45); la missione o annuncio, con la parola e le opere, della Buona Novella (Cf PO 5-6; SC 10).

La liturgia sta dunque nel cuore della Chiesa: qui la Chiesa vive ed esprime la sua vera identità come comunità: battesimale, scelta non secondo la carne ma chiamata per vocazione e passata oltre le acque battesimali come nuovo Israele; nuziale perché sposa del Cristo che risponde "sì" nella fede e attende nella fedeltà il suo Sposo che torni (1 Cor 11,26; Mt 25,1-13); cattolica, perché supera le barriere di razza, di lingua, di cultura, di spazio, di tempo. essendo "ante et retro oculata" (s. Bernardo); diakonale, ordinata al servizio di Dio e del mondo e articolata nella diversità di ordini e di ministeri (LG 4.12); missionaria, perché si raduna nel "primo giorno" della settimana (l'inizio, l'alfa), che è anche "l'ottavo" (il compimento, l'omega), e sa di essere "diastole" verso il mondo per santificarlo e "sistole" per riportare il mondo verso il cuore della Chiesa che è l'Eucaristia. “Dalla Liturgia, e particolarmente dalla Eucaristia, deriva a noi, come da sorgente, la grazia e si ottiene, con la massima efficacia, quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo, verso la quale convergono, come a loro fine le altre attività della Chiesa” (SC 10). "Per questo l'Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta l'evangelizzazione"(Presbyterorum ordinis 5).

In quanto culmine e fonte di tutta l’opera di evangelizzazione, la Liturgia instaura un rapporto tutto particolare con la missione e con l’impegno della diaconìa-carità.

 

Liturgia e missione.

Ogni Liturgia, se vera, imprime un impulso irresistibile verso la missione: spinge a condividere con gli altri la «fonte d’amore» che si è sperimentata nella partecipazione ai santi misteri. Dello stretto rapporto esistente tra Liturgia e missione si fa interprete l’Apostolo Paolo quando, a conclusione della lettera ai Romani (Rm 15,15-16), descrive la propria azione missionaria con linguaggio e immagini tratte dalla Liturgia:

·        tanto la Liturgia quanto la missione sono da considerare “grazia gratuita concessa da Dio” (Rm 15,15); la stessa vocazione missionaria di Paolo e di Barnaba sono espresse in un contesto di Liturgia: «Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: “Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati”. Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono» (At 13, 2-3); da qui lo stretto legane tra Liturgia-vocazione-missione.

·        la missione è una diakonía tra i pagani, un rendere culto a Dio per il fatto che si annuncia l’Evangelo di Gesù Cristo (latréuô: Rm 1,9);

·        san Paolo si considera un ministro-liturgo (leitourgòn) che, esercitando l'ufficio sacro (hierourgoúnta) del Vangelo di Dio, rende possibile l'offerta dei pagani quale oblazione (prosphorá) gradita e santificata dallo Spirito Santo (Rm 15,16).

Anche altrove la missione è descritta da Paolo con linguaggio e contenuti liturgici. La missione ricevuta da Dio di realizzare la sua parola presso i pagani, comporta un sacrificio che il missionario deve completare nelle proprie membra quale prolungamento di quello di Cristo (Col 1,24-25). E lo stesso Spirito che tutto ricorda e tutto insegna (Gv 14,26), accompagna sia la missione (AG 4) sia la celebrazione liturgica (SC 6). La missione diventa così una vera celebrazione per la gloria di Dio, per la salvezza delle genti.

 

Liturgia e carità

Oltre che della missione, la Liturgia è culmine e fonte anche di ogni opera di carità.

A suo tempo abbiamo detto che Liturgia significa "opera del popolo" ma anche "opera di Dio" (cf Gv 17,4). Questa "opera" è il mistero stesso di Cristo: rivelato e compiuto nella Economìa (Ef 1,10; 3,9), confessato e celebrato nella Liturgia, vissuto e testimoniato nella Vita della Chiesa

E' da notare che le espressioni del Nuovo Testamento non riducono affatto la Liturgia alla celebrazione del culto divino (cf At 13,2; Lc 1,23), ma l'estendono all'annuncio dell'Evangelo (cf Rm 15,16; Fil 2,17.30) e alla carità in atto (cf Rm 15,27; 2 Cor 9,12; Fil 2,25). In tutte queste situazioni la Liturgia implica il servizio a Dio e agli uomini. Così nella Liturgia la Chiesa è "serva" (come gli angeli, ministri-liturghi: Eb 1,7.14), ad immagine del suo Signore, l'unico Liturgo (Eb 8,2.6) che dà la massima espressione sacerdotale di lode al Padre nel gesto liturgico supremo del "chinare il capo" e rendere lo Spirito (Gv 19,30).

Ogni azione liturgica diventa pertanto celebrazione della carità. Dare la vita (Gv 15,13) come atto di amore ad imitazione del Padre (Gv 3,16), è il segno che contraddistingue i veri adoratori che devono appunto adorare Dio non in templi costruiti da mano d'uomo, ma "nello Spirito e nella Verità" (Gv 4,23; cf Rm 12,1-2).

Liturgia e carità, nell'economìa dell'uno e dell'altro Testamento, sono l'una verifica dell'altra. Se non esiste vera Liturgia (doxologia) senza il suo completamento nella carità (diakonìa), è altrettanto vero che non sarebbe vera carità (agàpê) quella che non partecipasse e si aprisse all'Amore che è Dio. Basta vedere due testi tipici: la comunità ideale descritta da Luca nel libro degli Atti vive della sinergia di didascalìa-eucaristìa-diakonìa-koinonìa (At 2,42-48); descrivendo la cena di Corinto, Paolo dice non è capace di riconoscere il corpo-eucaristico di Cristo, colui che non lo sa riconoscere nel suo corpo-ecclesiale (1 Cor 11,17-34). La Liturgia è sempre celebrazione epifanica della divina "filantropìa" (= del grande amore con il quale Dio ci ha amati).

 

Ogni celebrazione liturgica è anche fonte di carità.  La Costituzione liturgica Sacrosanctum concilium parlando della Liturgia come "fonte" della vita della Chiesa, dice: “A sua volta la Liturgia spinge i fedeli, nutriti dei sacramenti pasquali, a vivere in perfetta unione e domanda che esprimano nella vita quanto hanno ricevuto nella fede" (SC 10). Questo è anche lo stile-contenuto della maggior parte dei post-communio della Messa (dalla Missa alla missio per l'annuncio e per la diakonìa).

Oltre che nei testi eucologici, anche nei Padri della Chiesa hanno posto l’accento sullo stretto rapporto Liturgia-carità.

S. Giovanni Crisostomo: “Adorna il tempio, ma non trascurare i poveri”: il corpo di Cristo che sta sull'altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura; impariamo dunque a onorare Cristo come egli vuole (cf Mt 25.35.45)[1].

S. Cesario d'Arles: “Se qualcuno non consuma nella pratica la Parola di Dio, essa, come la manna, fa i vermi (cf Es 16,20) i quali rodono”.

"La Liturgia celebra la carità e fa crescere la carità"[2].

"La Liturgia, in quanto opera di Cristo e della Chiesa, è il luogo dove il divino e l'umano vengono a contatto fra di loro, affinché il divino salvi ciò che è umano e l'umano acquisti dimensione divina"[3].

"L'Eucaristia immette nella carità di Cristo che ha dato se stesso per noi fino al sacrificio di sé"[4].

"Ogni atto liturgico riattualizza la missione radicata nel battesimo: ci manda ai fratelli"[5].

Vorremmo concludere queste riflessioni dedicate alla Liturgia, considerata nel suo ruolo di culmine verso cui tende tutta l’opera di evangelizzazione, e di fonte da cui promana tutta l’opera della missione e della carità, con un significativo testo del Vaticano II dedicato ai sacerdoti, ma estensibile ad ogni cristiano: “Di ben poca utilità saranno le cerimonie più belle o le associazioni anche fiorenti, se non sono volte a educare gli uomini alla conquista della maturità cristiana” (Presbyterorum ordinis 6).

Paolo Giglioni        luglio 2000



[1]) Vedere tutto il testo in "Ufficio delle letture": sabato XXI per annum.

[2]) CEI, Il rinnovamento liturgico in Italia, Nota pastorale a vent'anni dalla Costituzione conciliare "Sacrosanctum Concilium" [Roma, 21.XI.1983], n.22.

[3]) Ibìdem n. 23 che cita Sacrosanctum Concilium n.2,

[4]) CEI, Eucaristia, comunione e comunità, Documento pastorale dell'Episcopato italiano [25.05.1983] n.105.

[5]) M. MAGRASSI, Liturgia, spiritualità e promozione umana, Convegno ecclesiale "Evangelizzazione e promozione umana" [Roma, 30 ottobre - 4 novembre 1976], ed. LDC "Vita della Chiesa" 8, Torino 1977.