LITURGIA, PREGHIERA PERSONALE, PII ESERCIZI
Seguendo le indicazioni di Sacrosanctum concilium (1963) cercheremo qui di chiarire il
rapporto esistente tra la “preghiera liturgica” e la “preghiera personale” (SC
12) ed i “pii esercizi” (SC 13). Anche in questo caso la Costituzione liturgica
uso lo stesso modo di argomentare che aveva seguito poco avanti nel descrivere
il rapporto tra Liturgia e le altre attività della Chiesa. Si diceva: la
Liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa (SC 9), pur essendo il
“culmine e la fonte” di tutta la sua attività (SC 10). Così qui: «La vita spirituale non si esaurisce nella
partecipazione alla sola Liturgia» (SC 12); suppone quindi che debbano
esserci altri spazi di preghiera dedicati alla preghiera personale ed ai pii
esercizi; la natura della preghiera liturgica resta tuttavia «di gran lunga
superiore»: deve restare punto di riferimento e modello paradigmatico di ogni
altra espressione orante nella Chiesa. Occorre pertanto chiarire i rapporti ed
i limiti che devono intercorrere tra queste espressioni diversificate della
preghiera cristiana.
Liturgia
e preghiera personale (SC 12)
«Il
cristiano, infatti, benché chiamato alla preghiera comune, è sempre tenuto ad
entrare nella sua stanza per pregare il Padre in segreto (Mt 6,6); anzi,
secondo l’insegnamento dell’Apostolo, è tenuto a pregare incessantemente»
(SC 12).
Significa che oltre alle azioni liturgiche comunitarie (che restano la forma
tipica e privilegiata del pregare: SC 27) vi deve essere anche la preghiera "personale" e privata che ciascuno è
tenuto a fare entrando nella propria stanza per pregare il Padre in segreto (cf
Mt 6,6). E poiché occorre pregare sempre senza interruzione (Lc 18,1) è
evidente che oltre allo spazio riservato alla Liturgia comunitaria deve esserci
necessariamente uno spazio anche per la preghiera personale che estenda il
dovere-necessità del pregare al resto del tempo. Del resto, chi non sa pregare
individualmente in segreto, come potrà pregare comunitariamente nell'assemblea
comunitaria?
Questa è stata anche l’esperienza delle primitive comunità cristiane. I
discepoli del Signore, fedeli agli insegnamenti del Maestro, si presentano come
una comunità perseverante nella comunione orante (At 1,14; 2,42; 4,24s;
12,5.12). Le comunità apostoliche sono riunite in assemblea attorno alla Parola
e alle preghiere (Ef 5,18-20; Col 3,16-17), nel Nome e nello Spirito del
Signore risorto (Rm 8,15; Gal 4,6). Al culmine di queste assemblee sta la
“frazione del pane” (At 2,42.46; 20,7.11; 27,35), ma vi sono anche momenti per
altre preghiere intese come sacrificio spirituale dei cristiani, offerta della
lode, frutto di labbra che confessano il nome del Signore (Eb 13,15; At
4,24-30; 6,4).
Il pregare cristiano, pur in continuità con la
tradizione giudaica, si caratterizza subito per un forte accento trinitario (al Padre, per Cristo, nello
Spirito), ecclesiale (espressione del
“noi” comunitario del popolo di Dio e delle membra sacerdotali del corpo di
Cristo), cattolico (ha l’ampiezza e
la universalità di tutti i popoli della terra; confessa la comunione
dell’”unica voce” che unisce Liturgia celeste e Liturgia terrestre; esprime
l’universalità delle intenzioni: per tutti e per ciascuno).
Si può dire che storicamente la centralità e la
preminenza della preghiera liturgica rispetto alla preghiera personale è
esistita fino al secolo X. Con il passaggio dal romanico al gotico, anche la
spiritualità cambia: dai circumstantes
(cf Canone romano) che stanno attorno all’unico altare, si passa al
moltiplicarsi degli altari lungo le navate gotiche e l’allontanarsi dei fedeli
dallo spazio presbiterale quando l’altare viene spinto verso il fondo della
navata. Si assiste ad una lenta separazione tra Liturgia ufficiale (la Liturgia
del clero, dotta e difficile) e devozione popolare (la Liturgia del popolo,
semplice e devozionale). Occorrerà attendere il Vaticano II per avviare un
lento e difficile riavvicinamento tra Liturgia e assemblea, una osmosi tra
preghiera liturgica e preghiera personale.
Riprendendo il discorso iniziale, dobbiamo dire che le due forme di preghiera non sono e non devono essere in opposizione o concorrenza tra loro, ma si completano a vicenda e stanno in stretta continuità tra loro. L’una e l’altra devono coesistere nella vita del cristiano perché non si può immaginare il raggiungimento del culmine della preghiera, qual è quella “liturgica” se prima non vi è stato l’esercizio “personale” dell’incontro orante col Signore “faccia a faccia”. La preghiera personale, anzi, è come il momento di verifica di quello che sarà il passaggio alla preghiera liturgica: difficilmente chi non sa pregare “nel segreto” della propria coscienza, riuscirà a pregare in mezzo all’assemblea.
La complementarietà tra preghiera liturgica e
preghiera personale non annulla il principio secondo cui la preghiera liturgica
resta al culmine e come modello paradigmatico di ogni preghiera personale. La
salvaguardia di questo principio comporta alcune conseguenze: non vi sia sovrapposizione tra i due momenti, nel
senso che non si deve approfittare dell’assemblea liturgica e comunitaria per
isolarsi nella recita delle proprie preghiere personali e devozionali; la
preghiera del rosario, ad esempio, non deve essere trascurata, ma non è certo
durante la celebrazione eucaristica che deve essere recitata. Sarebbe un vero
gesto di “avarizia” col Signore e un discredito della comunione fraterna voler
approfittare dei momenti della preghiera comunitaria per sbrigare anche le
proprie preghiere personali e devozionali. Per queste resta tutto il resto del
tempo che pure deve essere dedicato alla preghiera incessante (Lc 18,1; 1 Ts
5,17).
Forse è opportuno approfondire questo rapporto
dicendo che ogni preghiera cristiana deriva la propria dignità e garanzia dalla
preghiera di Cristo stesso: è infatti una preghiera fatta in Cristo, cioè uniti a lui come i tralci alla vite. Ma quando i
singoli battezzati si riuniscono in assemblea liturgica sotto la presidenza di
un ministro che agisce nella persona di Cristo, essi formano il Corpo totale di
Cristo sacerdote, cioè il Cristo-capo unito al Cristo-corpo. Una tale preghiera
non solo è fatta in Cristo, ma
appartiene ed è fatta da tutto il corpo
di Cristo che è la Chiesa unita al suo Sposo. Questa preghiera della Sposa,
fatta sotto la guida dello Spirito Santo (Ap 22,17), acquista una dimensione
universale e globale così vasta che non potrà mai essere uguagliata neppure
dalla preghiera personale più devota e raccolta.
Resta la difficoltà di doversi muovere, nella
preghiera liturgica, sulla traccia di formule preordinate rinunciando alla
libera iniziativa e inventiva personale. Se ben si afferra però il valore della
preghiera liturgica, tale inconveniente non solo non mortifica la preghiera, ma
la educa e la nobilita. Mi offre una realtà più grande di me, su cui sono
chiamato a modellarmi. Mi aiuta a superare il soggettivismo, a uscire dai
limiti angusti della mia povertà spirituale, per assumere il respiro orante
della Chiesa universale. Alla scuola della Chiesa che prega ed esprime nelle
formule scelte la pienezza del mistero cristiano, imparo a pregare con un
respiro autenticamente ecclesiale.
La preghiera liturgica, dunque, in quanto
preghiera fatta dall’intero Corpo di Cristo, Capo e membra, resta sempre la
forma privilegiata verso cui deve tendere e da cui deve attingere ogni altra
forma di preghiera. Tra le due dovranno esserci spazi e modi differenziati di
espressione, senza inutili riduzioni o sovrapposizioni.
Liturgia
e pii esercizi (SC 13)
Per Liturgia, come è stato fin qui spiegato, si
intende l'azione pubblica, solenne, qualificata di culto il cui
"soggetto" celebrante è Cristo e la Chiesa ed il cui
"oggetto" celebrato è il mistero pasquale di Cristo e la vita della
Chiesa secondo testi-riti-tempi regolati dall'Autorità della Chiesa (SC 22 §
1). La Liturgia è perciò la preghiera del "Cristo totale": Capo e
membra esercitano il culto pubblico integrale, l'azione sacra per eccellenza,
opera del Cristo sacerdote e del suo Corpo che è la Chiesa (SC 7). Essa, in
effetti, forma col suo Capo la "mistica persona" del "Cristo totale".
Misticamente unita dallo Spirito al suo Capo, essa partecipa del suo
intercessore servizio celeste "innanzi a Dio" (cf Eb 9,24; 7,25; 1 Gv
2,1).
I pii esercizi
sono invece azioni di devozione il cui "soggetto" sono le singole
persone, ed il cui "oggetto" sono composizioni e forme di libera
iniziativa dei fedeli senza che intervenga la Chiesa con la sua autorità per
regolarle con libri-testi-tempi. Si potrebbe anche dire che mentre la Liturgia
è azione compiuta "da" Cristo e "dalla" Chiesa, i pii esercizi
sono invece azioni compiute "in" Cristo e "nella" Chiesa:
Dal momento che la Liturgia è azione sacra per
eccellenza, nessun'altra azione della Chiesa allo stesso titolo e allo stesso
grado ne uguaglia l'efficacia (SC 7). Pertanto, i rapporti tra Liturgia e pii
esercizi devono essere regolati secondo queste indicazioni di Sacrosanctum
concilium: «I pii esercizi del popolo cristiano, purché siano conformi alle leggi e
alle norme della Chiesa, sono vivamente raccomandati, soprattutto quando si
compiono per mandato della sede apostolica. Di speciale dignità godono anche i
sacri esercizi delle Chiese particolari, che vengono celebrati per mandato dei
vescovi, secondo le consuetudini o i libri legittimamente approvati. Bisogna
però che tali esercizi siano regolati tenendo conto dei tempi liturgici, in
modo da essere in armonia con la sacra Liturgia, da essa in qualche modo
traggano ispirazione e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore,
conducano il popolo cristiano» (SC 13).
Volendo semplificare queste indicazioni, possiamo dire che tra Liturgia
e pii esercizi devrebbero esserci rapporti di:
*
armonia: rispetto reciproco
circa i tempi, le leggi, la natura, l’importanza, ecc.;
*
ispirazione: i pii esercizi
devono arricchirsi e imitare i contenuti e lo stile celebrativo della Liturgia
ritenuto di gran lunga superiore; dovranno recuperare la presenza della Parola;
* condurre
alla Liturgia ed arricchire la Liturgia stessa con i loro valori (es. maggiore
partecipazione, intensità di espressione e di calore umano, contatto con la
vita quotidiana [vedere la descrizione positiva che ne fa Evangelii
nuntiandi 48. In certe epoche è stata l'unica forma di pietà accessibile al
popolo cristiano, escluso come era dalla ricchezza della liturgia);
* non
sovrapposizione: durante la
Liturgia non si devono fare i pii esercizi (es. la recita del Rosario, le
Novene);
* non
esclusione: non deve esistere
solo la Liturgia, ma nel rispetto dei tempi e delle norme liturgiche, devono
pure essere conservati e valorizzati i pii esercizi e le devozioni popolari;
* non
concorrenza: non vi deve essere
dubbio di fronte ad una scelta: le azioni liturgiche devono avere la precedenza
essendo "di gran lunga" superiori ai pii esercizi; è dunque un errore
lasciare la Liturgia delle Ore per far spazio ad un pio esercizio, ad es. la
Via Crucis in tempo di Quaresima.
Si dovrà quindi comporre in armonia la Liturgia
con la pietà popolare, ispirando la seconda alla prima (cf SC 13) e vivificando
quella con questa, senza esclusivismi e senza preclusioni, ma anche senza
"fondere" o "confondere" le due forme di pietà: il popolo
cristiano avrà sempre bisogno dell'una e dell'altra, e a Dio bisognerà lasciare
aperte tutte le strade che conducono al cuore dell'uomo[1].
I pii esercizi, pertanto, siano mantenuti,
rispettati, valorizzati, ma nei loro tempi e nell'ambito che loro compete;
possono essere anche assunti, nell'ambito dell'adattamento liturgico, come
parte integrante dei segni-riti della liturgia (SC 37-40).
Paolo Giglioni
Luglio 2000
[1]) CEI, Il rinnovamento liturgico in Italia, Nota pastorale della
Commissione Episcopale per la Liturgia a vent'anni della Costituzione
Conciliare "Sacrosanctum Concilium" [21.9.1983], n.18 in ECEI 3, 1523-1548.