FORMAZIONE E
PARTECIPAZIONE
Se la Liturgia è azione sacra per eccellenza (SC
7), se è culmine e fonte della vita della Chiesa (SC 10) a motivo della sua
natura “teandrica” in quanto azione di Dio per l’uomo (azione santificante) e azione dell’uomo per Dio (azione glorificante), non può restare un
bel pezzo da museo oggetto di ammirazione, ma dovrà necessariamente coinvolgere
in maniera vitale tutto il popolo di Dio che da questa fonte sa di poter
attingere frutti abbondanti di santificazione. Per ottenere questo risultato si
richiede una diretta partecipazione
dei fedeli alla Liturgia e, di conseguenza, una appropriata formazione.
Con il Vaticano II e con la Costituzione
liturgica Sacrosanctum concilium
(1963) si è imposto il concetto di “partecipazione” che era rimasto alquanto in
ombra nella riforma tridentina. La polemica antiprotestante aveva enfatizzato
il ruolo sacerdotale dei ministri (negato dai riformatori) e minimizzata la
partecipazione dei fedeli (enfatizzata dai riformatori). Nel Messale tridentino
le rubriche riguardano quasi esclusivamente il celebrante; ad esempio si dice
che, quando è rivestito dei sacri paramenti, può accedere all’altare; nessun
cenno all’assemblea.
Agli inizi di questo secolo già Pio X avvertiva
il disagio della “distanza” esistente tra Liturgia e fedeli, ed auspicava che
dalla restaurazione e dalla “partecipazione” attiva e cosciente dei fedeli alla
Liturgia scaturisse un rinnovamento della fede, della pietà e dell’intera vita
cristiana (Tra le sollecitudini,
1903). Il movimento liturgico, tra le due guerre mondiali, portò avanti questa
esigenza che veniva espressa nel motto: portare la Liturgia al popolo e il
popolo alla Liturgia.
Da
Trento al Vaticano II
Il Vaticano II volle attuare questa esigenza
ponendo la “partecipazione” alle celebrazioni liturgiche come il fulcro di
tutta la riforma liturgica. Senza dimenticare, tuttavia, che più che di riforma il Vaticano II ha parlato della promozione della vita liturgica tra i
fedeli (SC 1) in modo da poter raggiungere alcuni importanti obiettivi: edificare ogni giorno quelli che sono
nella Chiesa in tempio santo del Signore, in abitazione di Dio nello Spirito
(Ef 2,21-22), fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo (Ef 4,13)
(SC 2); far crescere ogni giorno di
più la vita cristiana tra i fedeli (SC 1); assicurare
maggiormente al popolo cristiano l'abbondante tesoro di grazie che la sacra
liturgia racchiude (SC 21). La Liturgia, infatti, “è la prima e indispensabile sorgente dalla quale i fedeli possano
attingere il genuino spirito cristiano” (SC 14).
Il Messale di Paolo VI (1970), espressione
compiuta della riforma liturgica, si presenta con caratteristiche ben diverse
da quello tridentino, mettendo al centro della celebrazione non il solo
ministro celebrante, ma la ministerialità differenziata di tutta l’assemblea.
Introducendo la struttura generale della Messa
dice: «Nella messa o cena del
Signore, il popolo di Dio è chiamato a riunirsi insieme sotto la presidenza del
sacerdote, che agisce nella persona di Cristo, per celebrare il memoriale del
Signore, cioè il sacrificio eucaristico. Per questa riunione locale della santa
Chiesa vale perciò in modo eminente la promessa di Cristo: "Là dove sono
due o tre radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18, 20).
Infatti nella celebrazione della messa, nella quale si perpetua il sacrificio
della croce, Cristo è realmente presente nell'assemblea dei fedeli riunita in
suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola e in modo sostanziale e
permanente sotto le specie eucaristiche» (IGMR 7).
Raggiunto sulla carta questo importante
risultato, occorre ora trasferirlo nella vita concreta delle nostre assemblee.
Ci proponiamo qui di esplicitare anzitutto il concetto di “partecipazione” per
passare poi al perché, al come deve essere questa partecipazione.
Partecipazione.
Il termine “partecipazione” deriva dal latino “partem capere” (prendere parte) ed è
sinonimo di adesione, intervento. Nel contesto liturgico il partecipare è
fortemente finalizzato verso la mèta dell’azione partecipativa. L’azione del
partecipare è ben più che una serie di azioni-atteggiamenti esterni o rituali,
ma esige piuttosto una adesione interiore all’atto celebrato, una
immedesimazione al mistero-sacramento che qui e ora viene attuato nell’azione memoriale.
La partecipazione esterna, per non fallire e vanificarsi, deve essere segno di
quella interiore-spirituale che spinge ad aderire con risposta personale
all’iniziativa preveniente di Dio Padre che, nel dono dello Spirito, vuol farci
partecipi del mistero pasquale del Figlio.
Ben esprime il concetto di “partecipazione” la
Costituzione liturgica quando dice che i fedeli devono prender parte ai misteri
della fede “non come estranei o muti spettatori”, ma in maniera “consapevole,
piena e attiva” (SC 48). Una tale esigenza verrà ripetuta in maniera quasi
ossessiva da Sacrosanctum concilium
(SC 11. 12. 14. 17. 19. 26. 27. 28. 33. 41. 48. 50. 55. 56. 79. 90. 106. 113.
114).
Partecipazione è dunque coinvolgimento col
mistero celebrato-attuato, è offerta di un culto nello Spirito e nella Verità
(Gv 4,24), è un “prender parte” ad una realtà che trascende il rito. Nella
Liturgia cristiana il rito rinvia sempre “al di là” di se stesso e non è mai
fine a se stesso. Il rito non deve essere una calamita che cattura l’attenzione
dei partecipanti, ma piuttosto uno specchio che riflette e si apre
all’invisibile mistero che si attua nei santi segni. Se la celebrazione rende presente l’opera di salvezza compiuta dalle
divine Persone, la partecipazione
rende presenti noi a questo mistero di salvezza che si fa storia qui e ora
nell’oggi celebrativo.
Purtroppo, una malintesa idea di partecipazione
finisce per essere ridotta ad “attivismo” ed i fedeli diventano semplici
esecutori di riti, sempre alla ricerca di novità. Questo tipo di attivismo, per
il fatto di correre dietro al mutevole-accidentale senza raggiungere la
sostanza del mistero celebrato, finisce per generare routine, assuefazione,
ricerca di novità e di estemporaneità, con il risultato di lasciare il cuore
vuoto e pian piano l’abbandono della stessa sorgente che non è più in grado di
dissetare la sete spirituale.
E’ opportuno allora ricercare le ragioni
profonde, il perché della
“partecipazione” alla celebrazione liturgica.
Perché.
«La madre Chiesa desidera ardentemente che tutti i fedeli vengano guidati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione delle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura della stessa liturgia e alla quale il popolo cristiano, “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato” (1Pt 2,9; cf. 2,4-5), ha diritto e dovere in forza del battesimo» (SC 14).
Secondo Sacrosanctum concilium, il
diritto-dovere dei fedeli di partecipare attivamente alla Liturgia poggia
su una duplice base: la natura stessa
della Liturgia, la dignità battesimale dei fedeli.
La natura della Liturgia è essenzialmente quella di essere “attuazione
dell’opera della nostra redenzione” (SC 2) e per poterne usufruire non è
possibile fermarsi a guardarla da lontano come si fa con un bello spettacolo
teatrale, ma esige piuttosto una adesione interiore mossa dalla fede ed
espressa esteriormente con una partecipazione piena e consapevole.
La Liturgia, per sua
natura, è anche azione ecclesiale:
non dunque una azione privata, ma celebrazione dell’intero corpo della Chiesa
che è sacramento di unità, popolo della santa convocazione; esige pertanto una
partecipazione comunitaria (SC 26).
La dignità sacerdotale, comune a tutto il popolo di Dio in forza della consacrazione battesimale e crismale (“stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato”: 1 Pt 2,9), è un’ulteriore base per una partecipazione attiva e consapevole alla Liturgia: con-per-in Cristo unico Sommo Sacerdote della nuova alleanza, ogni fedele è chiamato ad esercitare un ufficio sacerdotale non solo offrendo il divin sacrificio per le mani del sacerdote ordinato, ma anche offrendo la propria vita per mezzo di Cristo mediatore: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12,1; cf SC 48).
Con la “partecipazione”, quindi, i fedeli esercitano nella celebrazione il loro sacerdozio, sviluppando ulteriormente e progressivamente la loro incorporazione a Cristo in quanto partecipi dell’essere sacerdotale di lui, secondo le esigenze della natura stessa della Liturgia.
Come
Gli aggettivi con cui la Costituzione liturgica qualifica la partecipazione dei fedeli ai santi misteri sono essenzialmente quattro: piena, consapevole, attiva, fruttuosa (cf SC 11; 14).
Piena: sta a
significare che la partecipazione non deve essere soltanto esterna, preoccupata dell’esatta esecuzione delle rubriche (la
celebrazione non è pura cerimonia), alla ricerca esasperata della coreografia;
deve essere soprattutto interiore,
vale a dire esercitata con pia attenzione dell’animo e con intimo affetto del
cuore; non solo il corpo, ma anche lo
spirito deve partecipare all'azione liturgica in modo da ottenere una
partecipazione piena e globale di tutta la persona. Un detto dei Padri suona
così: «si cor non orat, in vanum lingua
laborat», se il cuore non prega, la lingua si affatica invano!
Consapevole: esige anzitutto che, secondo l’espressione di
S. Benedetto, «mens concordet voci»,
la mente sia in sintonia con le parole (cf SC 90 e IGLH 19.105); esige la conoscenza del significato e del contenuto
dei gesti che si compiono e dei segni che si utilizzano; senza questa
consapevolezza la Liturgia rischia di cadere nella magìa o nello spettacolo;
non a caso i Padri, almeno fino a tutto il XIV secolo, si sono impegnati in
quell’opera di formazione chiamata «mistagogia» che consiste nell’introdurre i
fedeli nelle realtà invisibili attraverso la mediazione dei segni visibili. «Conoscere quel che si fa, imitare ciò che si
tratta».
E' per questo che la
liturgia si attua per mezzo di "segni sensibili" che
significano-realizzano i misteri da essi annunciati (SC 7). Per mezzo dei
"santi segni" Cristo continua il suo mistero di incarnazione che allo
stesso tempo rivela e nasconde la sua vera identità: apre lo spirito
all'intelligenza; apre gli occhi, la bocca, le orecchie; scioglie le membra
rigide. Coinvolge la persona nella globalità dei suoi àmbiti: logico (intelligenza, comunicazione: cf
1 Cor 14,14-20); acustico ("La
fede dall'ascolto": Rom 10,17; la Parola è parlata, letta, proclamata,
recitata, cantata; si fa anche silenzio; si suonano gli strumenti); ottico (vedere, contemplare, ammirare,
nascondere, velare, ostendere, illuminare, abbuiare); cinetico (in piedi, in ginocchio, seduti, inchinati, genuflessi,
prostrati, processione, camminare, danzare, battere le mani). Sono segni presi
dalla creazione (luce, acqua, fuoco...), dalla vita umana (lavare, ungere,
bere, mangiare...), dalla storia della salvezza (l'immersione, il
sacrificio....).
Attiva: significa accoglienza e disponibilità a
lasciarsi coinvolgere dall’intervento salvifico e gratuito che Dio opera ogni
volta per noi nella sua Chiesa. La partecipazione attiva raggiunge la sua
pienezza di espressione quando è concomitante alla partecipazione sacramentale, quando si prende parte non
soltanto con l’affetto spirituale, ma anche ricevendo il sacramento cui si
partecipa (es. l’Eucaristia, la Penitenza, ecc.). La partecipazione attiva
esige che ciascun fedele non semplicemente assista alla celebrazione come muto
spettatore dinanzi ad una sacra rappresentazione (si diceva: «ascoltare» la
messa), ma che vi sia coinvolto in maniera dinamica e personale; ciò esige che,
se richiesto, non rinunci a svolgere un determinato servizio; che partecipi con
il canto, le risposte, i movimenti…; tuttavia, affinché la partecipazione
attiva non sia confusa con un maldestro attivismo,
non è necessario che tutte le volte si debba svolgere un qualche servizio;
partecipazione attiva significa anche rispetto dei propri ruoli: "nelle celebrazioni liturgiche ciascuno,
ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio, si limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la
natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza" (SC 28;
IGMR 58).
Fruttuosa: la liturgia spinge i fedeli, nutriti dei «sacramenti pasquali», a vivere «in perfetta unione», domanda che «esprimano nella vita quanto hanno ricevuto con la fede» (SC 10). Una partecipazione fruttuosa dovrà trasformare tutta la vita del fedele in una “offerta eterna” (SC 12). Dovrà soprattutto spingere verso la missione in modo da condividere con un maggior numero possibile di fratelli il grande amore con il quale siamo stati amati da Dio. Perché una partecipazione sia fruttuosa e ottenga una piena efficacia di grazia sono richieste alcune condizioni: «è necessario che i fedeli si accostino alla sacra Liturgia con disposizioni di animo retto, conformino la loro mente alle parole che pronunziano e cooperino con la grazia divina per non riceverla invano» (SC 11).
Una volta elencate le principali disposizioni su come si deve partecipare alla
celebrazione, sorge spontanea una domanda: sarà possibile tutto questo senza
una costante e adeguata formazione liturgica dei fedeli? Ecco allora che il
tema della “partecipazione” deve necessariamente coniugarsi con quello della
“formazione”.
Formazione
Per poter avere un vero "rinnovamento"
liturgico e non un semplice "aggiornamento", occorre dedicare alla
liturgia una specialissima cura che si concretizza in un'opera di:
formazione
del clero: i pastori per primi
devono essere penetrati dello spirito e della forza della Liturgia per poter
essere in grado a loro volta di formare anche i fedeli; la formazione liturgica
del clero è posta come una "conditio sine qua non". Formare anche i
professori di liturgia (SC 15) e porre l'insegnamento della liturgia tra le
materie necessarie e principali nelle facoltà teologiche e nei seminari (SC
16). Gli stessi seminari e gli istituti religiosi devono essere profondamente
permeati di spirito liturgico (SC 17).
formazione
dei fedeli: a loro volta i
pastori dovranno curare con zelo e pazienza, con la parola e con l'esempio, la
formazione liturgica dei fedeli (esterna ed interna, dello spirito come della
legge: SC 19), facendo volentieri ricorso ai mezzi audiovisivi e della
comunicazione (SC 20). Al popolo di Dio deve essere offerta una opportuna
"mistagogia" o iniziazione alla Liturgia che permetta loro di
penetrare il senso sei sacri riti e delle parole e di prendervi parte con tutto
il loro animo, imparando anche ad osservare le leggi liturgiche (cf SC 17).
Attraverso la formazione liturgica tutto il
popolo cristiano deve essere in grado di poter comprendere il senso di ciò che compie e vivere ciò che celebra (cf SC 18).
"L'interesse per l'incremento e il
rinnovamento della Liturgia è giustamente considerato come un segno dei
provvidenziali disegni di Dio sul nostro tempo, come un passaggio dello Spirito Santo nella sua Chiesa" (SC 43).
Paolo Giglioni
Luglio 2000