COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Sant’Agostino

 

[Omelie 11-20]

 

OMELIA 11

Bisogna nascere di nuovo.

Ci sono due nascite: una dalla carne, l'altra dallo Spirito. Ambedue sono irripetibili. Cerca d'intendere la nascita spirituale così come Nicodemo comprese quella secondo la carne. Chi nasce dalla Chiesa cattolica, nasce da Sara; chi nasce dall'eresia, nasce dalla schiava, sempre però dal seme di Abramo.

1. Viene a proposito la lettura evangelica che il Signore oggi ci ha procurato. Nella nostra esposizione e spiegazione del Vangelo secondo Giovanni noi seguiamo, come la vostra Carità ha potuto rendersi conto, l'ordine seguito dallo stesso evangelista. Sì, viene a proposito quello che oggi avete ascoltato dal Vangelo: Nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce di nuovo da acqua e Spirito (Gv 3, 5). E' giunto, infatti, il momento di rivolgere l'esortazione a voi che siete ancora catecumeni, e che, sebbene crediate già in Cristo, portate ancora il fardello dei vostri peccati. Ora, nessuno che sia carico di peccati, potrà vedere il regno dei cieli; poiché non regnerà con Cristo se non chi ha ottenuto la remissione dei peccati; e i peccati non sono rimessi se non a chi rinasce da acqua e Spirito Santo. Ma badiamo al senso di ogni parola; così gli indolenti vedranno con quanta sollecitudine bisogna affrettarsi a deporre il carico. Se avessero sulle spalle una soma pesante, come pietre o legna, o anche un carico prezioso, come frumento, vino o denaro, andrebbero di corsa a scaricarsi. Portano il carico dei loro peccati, e vanno così lenti! E' necessario correre a deporre un carico che opprime e sommerge.

[Gesù non si fidava di loro.]

2. Avete sentito, dunque, che mentre il Signore Gesù Cristo stava a Gerusalemme per la festa di Pasqua, molti credettero nel suo nome, vedendo i segni che egli faceva. Molti credettero nel suo nome; e che cosa segue? Ma Gesù non si fidava di loro (Gv 2, 23-24). Che vuol dire: Essi credevano nel suo nome, e Gesù non si fidava di loro? Forse perché non avevano creduto, ma fingevano di credere, per questo Gesù non si fidava di loro? Ma allora l'evangelista non direbbe: Molti credettero nel suo nome, se non potesse rendere loro un'autentica testimonianza. Si tratta dunque di qualcosa di grande e di misterioso: gli uomini credono in Cristo, e Cristo non si fida di loro. Soprattutto perché essendo Figlio di Dio, egli soffrì volontariamente; se non avesse voluto non avrebbe sofferto; se non avesse voluto, neppure sarebbe nato; e se avesse voluto, avrebbe potuto soltanto nascere e non morire, e qualunque altra cosa avesse voluto, avrebbe potuto farla, perché è il Figlio onnipotente del Padre onnipotente. I fatti lo dimostrano. Quando tentarono di prenderlo, sfuggì loro di mano; lo dice il Vangelo: Volendo essi precipitarlo dal ciglio della collina, si allontanò da loro illeso (Lc 4, 29-30). E quando vennero per arrestarlo, dopo che già era stato venduto da Giuda il traditore, il quale credeva di poter disporre del suo maestro e Signore, anche allora il Signore fece vedere che la sua passione era volontaria, non forzata. Infatti, ai Giudei che erano venuti per arrestarlo, disse: Chi cercate? Gli risposero: Gesù il Nazareno. E lui: Sono io! Udita questa voce, indietreggiarono e caddero in terra (Gv 18, 4-6). Atterrandoli con la sua risposta, mostrò la sua potenza, affinché si vedesse la sua volontà nel momento stesso che veniva da essi catturato. La sua passione, dunque, fu espressione di misericordia. Fu consegnato alla morte per le nostre colpe, e risuscitò per la nostra giustificazione (cf. Rm 4, 25). Ascoltalo: Ho il potere di dare la mia vita, e il potere di riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie; la do da me, e di nuovo la riprendo (Gv 10, 18). Avendo dunque un così grande potere, come a parole dichiarò e con i fatti dimostrò, per qual motivo Gesù non si fidava di quelli, quasi potessero fargli del male contro la sua volontà, o potessero fare alcunché senza la sua volontà, soprattutto trattandosi di chi aveva già creduto nel suo nome? L'evangelista, infatti, dice che credettero nel suo nome quelli stessi di cui subito dopo dice: ma Gesù non si fidava di loro. Perché? Perché egli conosceva tutti e non aveva bisogno che altri gli desse testimonianza sull'uomo; egli, difatti, sapeva che cosa c'era nell'uomo (Gv 2, 24-25). L'Autore sapeva, meglio della sua opera, che cosa c'era in essa. Il Creatore dell'uomo sapeva che cosa c'era nell'uomo, mentre l'uomo creato non lo sapeva. Non lo dimostra anche il caso di Pietro, che non sapeva che cosa c'era in lui quando esclamò: Sono pronto a venire con te anche alla morte? Ascolta come il Signore sapeva che cosa c'era nell'uomo: Tu con me fino alla morte? In verità, in verità ti dico, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte (Mt 26, 33-34; Lc 22, 33-34). L'uomo quindi non sapeva che cosa c'era in lui, ma il Creatore dell'uomo sapeva che cosa c'era nell'uomo. Molti, tuttavia, credettero nel suo nome, ma Gesù non si affidava a loro. Che dire, o fratelli? Ciò che vien dopo forse c'indicherà il significato di queste misteriose parole. Che gli uomini avessero creduto in lui è chiaro, è certo; nessuno può dubitarne, lo dice il Vangelo, lo attesta l'evangelista verace. E altrettanto chiaro è che Gesù non si fidava di loro, e nessun cristiano può dubitarne, perché anche questo lo dice il Vangelo e lo attesta il medesimo evangelista verace. Perché dunque essi credettero nel suo nome, e Gesù non si fidava di loro? Vediamo il seguito.

[Tali sono i catecumeni.]

3. Ora, tra i Farisei, c'era un tale chiamato Nicodemo, notabile dei Giudei. Costui si recò da Gesù di notte e gli disse: Rabbi (ormai sapete che Rabbi vuol dire maestro), noi sappiamo che tu sei venuto da parte di Dio come maestro; nessuno infatti può compiere i segni che tu compi se Dio non è con lui (Gv 3, 1-2). Nicodemo era dunque uno di quelli che avevano creduto nel nome di lui, avendo visto i segni e i prodigi ch'egli faceva. Prima infatti l'evangelista aveva detto: Mentre egli era in Gerusalemme per la festa di Pasqua, molti credettero nel suo nome. E perché gli credettero? L'evangelista continua: vedendo i segni ch'egli faceva. E di Nicodemo che cosa dice? C'era un notabile dei Giudei, chiamato Nicodemo: costui si recò da Gesù di notte e gli disse: Rabbi, noi sappiamo che tu sei venuto da parte di Dio come maestro. Quest'uomo, dunque, aveva creduto anch'egli nel nome di lui. E perché aveva creduto? Nicodemo lo dichiara apertamente: Nessuno infatti può compiere i segni che tu compi se Dio non è con lui. Ora, se Nicodemo era uno di quei molti che avevano creduto nel nome di lui, già di fronte a Nicodemo domandiamoci perché Gesù non si era fidato di loro. Rispose Gesù e gli disse: In verità, in verità ti dico: nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce di nuovo (Gv 3, 3). Dunque, Gesù si affida a coloro che sono nati di nuovo. Ecco, quelli avevano creduto in lui, ma Gesù non si affidava ad essi. In tale situazione si trovano tutti i catecumeni: essi credono già nel nome di Cristo, ma Gesù non si affida a loro. La Carità vostra presti attenzione e cerchi di comprendere. Se ad un catecumeno domandiamo: Credi in Cristo? Io credo, risponderà, e si farà il segno della croce; egli porta già sulla fronte la croce di Cristo, e non si vergogna della croce del suo Signore. Dunque, ha creduto nel nome di lui. Domandiamogli ora: Mangi la carne e bevi il sangue del Figlio dell'uomo? Egli non capirà che cosa vogliamo dire, perché Gesù non si è ancora comunicato a lui.

4. Essendo dunque Nicodemo uno di quelli, si recò dal Signore ma vi andò di notte; e anche questo particolare è degno di nota. Si reca dal Signore, e vi si reca di notte; si accosta alla luce, ma la cerca nelle tenebre. Ebbene, a quelli che sono rinati dall'acqua e dallo Spirito, che cosa dice l'Apostolo? Un tempo voi eravate tenebre, ora invece siete luce nel Signore; camminate come figli della luce (Ef 5, 8); e ancora: Noi invece, appartenendo al giorno, dobbiamo essere sobri (1 Thess 5, 8). Coloro dunque che sono rinati, appartenevano alla notte ed ora appartengono al giorno: erano tenebre, ed ora sono luce. A questi Gesù si affida, ed essi non vengono a lui di notte, come Nicodemo, non cercano il giorno nelle tenebre. Essi ormai professano apertamente la loro fede; Gesù si è affidato ad essi, ha operato in loro la salvezza; ha detto infatti: Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue, non avrà in sé la vita (Gv 6, 54). Sì, dal momento in cui i catecumeni ricevono sulla fronte il segno della croce, fanno parte della grande casa: da servi, ora, debbono diventare figli. Non che sia niente l'appartenere già alla grande casa; ma quando mangiò la manna il popolo d'Israele? Quand'ebbe attraversato il Mar Rosso. Ora, sul significato del Mar Rosso, ascolta l'Apostolo: Voglio che lo sappiate bene, o fratelli: i nostri padri furono tutti sotto la nube e tutti attraversarono il mare. Perché attraversarono il mare? Come se rispondesse a questa domanda, egli continua e dice: E così tutti nella nube e nel mare furono battezzati in Mosè (1 Cor 10, 1-2). Se dunque la sola figura del mare fu così efficace, quanto lo sarà il vero battesimo? Se ciò che avvenne in figura condusse alla manna il popolo attraverso il mare che cosa offrirà Cristo nella realtà del suo battesimo, facendo passare attraverso quello il suo popolo? Fa passare i credenti attraverso il suo battesimo, dopo aver ucciso tutti i peccati, come nemici che li inseguivano, a quel modo che in quel mare perirono tutti gli Egiziani. Dove li conduce, fratelli miei? dove li conduce, attraverso il battesimo, Gesù, di cui era figura allora Mosè che li conduceva attraverso il mare? dove li conduce? Alla manna. Che cos'è la manna? Io sono - dice - il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6, 51). I fedeli, attraversato ormai il Mar Rosso, ricevono la manna. Perché Mar Rosso? Va bene il mare, ma perché anche rosso? Il Mare Rosso significava il battesimo di Cristo. Perché rosseggia il battesimo di Cristo, se non perché consacrato dal sangue di Cristo? Dove conduce dunque i credenti e i battezzati? Alla manna. Sì, alla manna. Si sa che cosa ricevettero i Giudei, il popolo d'Israele, si sa bene cosa Dio fece piovere loro dal cielo, mentre i catecumeni non sanno cosa è riservato ai Cristiani. Arrossiscano di non saperlo; attraversino il Mar Rosso, mangino la manna, affinché, come essi han creduto nel nome di Gesù, così Gesù si conceda loro.

5. Badate perciò, fratelli miei, alla risposta che dà Gesù a questo uomo che era andato a trovarlo di notte. Si è recato da Gesù, ma vi si è recato di notte, per cui parla ancora come chi è nelle tenebre della sua carne. Non capisce ciò che gli dice il Signore, non capisce ciò che gli dice la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1, 9). Il Signore gli aveva detto: Nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce di nuovo. E Nicodemo gli domanda: Come può un uomo nascere quando è già vecchio (Gv 3, 3-4)? E' lo Spirito che parla a lui e lui non capisce che carne. E' prigioniero della sua sapienza carnale, perché ancora non ha gustato il sapore della carne di Cristo. Quando il Signore disse: Se uno non mangia la mia carne e non beve il mio sangue, non avrà in sé la vita, alcuni di quelli che lo seguivano si scandalizzarono, e dissero in cuor loro: Questo linguaggio è duro; chi lo può intendere (Gv 6, 54 61)? Credevano infatti che Gesù intendesse dire che essi potevano fare a pezzi la sua carne come quella di un agnello, cuocerla e mangiarla; inorriditi alle sue parole, si allontanarono e non lo seguirono più. L'evangelista ci racconta che il Signore rimase con i dodici, i quali gli dissero: Ecco, Signore, quelli ti hanno abbandonato. E Gesù rispose: Volete andarvene anche voi? (Gv 6, 67-68), volendo far capire che egli era necessario a loro, e non loro erano necessari a Cristo. Nessuno pensi d'intimorire Cristo, ritardando a farsi cristiano, come se Cristo dovesse diventare più felice se tu ti fai cristiano. Il vantaggio è tuo, se sei cristiano; ché se non lo sei, a Cristo non ne viene alcun danno. Ascolta la voce del salmo: Ho detto al Signore: Il mio Dio sei tu, perché non hai bisogno dei miei beni (Sal 15, 2). Perciò, Tu sei il mio Dio, perché non hai bisogno dei miei beni. Se tu non sarai con Dio, ne sarai diminuito; ma Dio non sarà più grande se tu sarai con lui. Tu non lo fai più grande, ma senza di lui tu diventi più piccolo. Cresci dunque in lui, non ti sottrarre a lui, come se lui potesse venir meno. Se ti avvicini a lui, ne guadagnerai; ti perdi, se ti allontani da lui. Egli non subisce mutamento, sia che tu ti avvicini, sia che tu ti allontani. Quando, dunque, egli disse ai discepoli: Volete andarvene anche voi?, rispose Pietro, quella famosa pietra, e a nome di tutti disse: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna (Gv 6, 69). Nella bocca di Pietro la carne del Signore aveva fatto sentire il suo sapore. Il Signore, d'altra parte, aveva spiegato loro cosa intendeva, quando, per impedire che le sue parole: Se uno non mangia la mia carne e non beve il mio sangue non avrà in sé la vita, fossero interpretate in senso materiale, aveva detto: E' lo Spirito che vivifica, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita (Gv 6, 64).

[Ci sono due nascite.]

6. Nicodemo, che si era recato da Gesù di notte, era incapace di gustare questo spirito e questa vita. Gesù gli aveva detto: Nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce di nuovo. E quello, incapace di elevarsi al di sopra della sapienza della sua carne e la cui bocca non aveva ancora gustato il sapore della carne di Cristo, gli dice: Come può un uomo nascere quando è già vecchio? Può, forse, entrare una seconda volta nel seno di sua madre e rinascere (Gv 3, 3-4)? Non conosceva altro modo di nascere, se non quello da Adamo ed Eva; ancora non sapeva che si poteva nascere da Dio e dalla Chiesa. Conosceva solo quei genitori che generano per la morte, non ancora quelli che generano per la vita; conosceva solo quei genitori che generano degli eredi, non ancora quelli che, essendo immortali, generano figli che per sempre rimarranno. Vi sono, insomma, due nascite: Nicodemo ne conosceva una sola. Una nascita è dalla terra, l'altra dal cielo; una è dalla carne, l'altra dallo Spirito; una da ciò che è mortale, l'altra da ciò che è eterno; una dall'uomo e dalla donna, l'altra da Dio e dalla Chiesa. E tutte e due sono uniche, e perciò irripetibili. Nicodemo aveva compreso bene la nascita secondo la carne: tu cerca di capire la nascita spirituale come egli capì quella secondo la carne. Cosa capì Nicodemo? Può, forse, un uomo entrare una seconda volta nel seno di sua madre e rinascere? Così, se qualcuno ti dicesse che devi nascere di nuovo spiritualmente, puoi rispondere con Nicodemo: Può, forse, un uomo entrare una seconda volta nel seno di sua madre e rinascere? Sono già nato una volta da Adamo, e Adamo non può generarmi una seconda volta; sono nato già una volta da Cristo, Cristo non può generarmi una seconda volta. Come non si può ripetere il parto, così non si può ripetere il battesimo.

7. Chi nasce dalla Chiesa cattolica nasce da Sara, nasce dalla donna libera; chi nasce dall'eresia, nasce dalla schiava, sempre però dal seme di Abramo. Consideri vostra Carità questo grande mistero. Dio lo attesta e dichiara: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe (Es 3, 6). Non esistevano forse altri patriarchi? non c'è stato forse prima di quelli il santo Noè, che unico di tutto il genere umano meritò di scampare, con l'intera sua famiglia, al diluvio (cf. Gn 7, 7)? Noè e i suoi figli, figura della Chiesa, scamparono al diluvio per merito dell'arca. Conosciamo ancora altri grandi personaggi, che la Scrittura ricorda: conosciamo Mosè, del quale si dice che fu fedele in tutta la casa di Dio (cf. Nm 12, 7; Hebr 3, 2). Eppure vengono nominati solo quei tre come se essi soli avessero goduto il favore di Dio: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe; questo è il mio nome in eterno (Es 3, 6 15). Grande mistero! Voglia il Signore aprire la nostra bocca e il vostro cuore, affinché noi possiamo dire ciò che egli si è degnato rivelarci, e voi possiate intenderlo adeguatamente.

[Tre patriarchi e un solo popolo.]

8. Tre sono questi patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe. Voi sapete che i figli di Giacobbe erano dodici, e che da essi ebbe origine il popolo d'Israele, perché Giacobbe stesso si chiamava Israele. Il popolo d'Israele era formato da dodici tribù, discendenti ciascuna da uno dei dodici figli di Giacobbe. Abramo, Isacco e Giacobbe: tre padri e un solo popolo. Tre padri che furono come il principio del popolo; tre padri nei quali era raffigurato il popolo: il popolo primogenito e quello attuale. Nel popolo giudaico, infatti, era raffigurato il popolo cristiano. Là c'era la figura, qui c'è la realtà; là c'era l'ombra, qui c'è il corpo. Come dice l'Apostolo: Tutte queste cose accaddero loro come in figura; e continua: e sono state scritte per ammaestramento nostro, di noi per i quali è giunta la fine dei tempi (1 Cor 10, 11). Ritorniamo ora ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe. Vediamo che da questi tre partoriscono donne libere e schiave; vediamo figli delle libere e figli delle schiave. La schiava non significa nulla di buono: Manda via la schiava e suo figlio; perché il figlio della schiava non dev'essere erede col figlio della libera (Gn 21, 10; Gal 4, 30). Ricordando questo fatto, l'Apostolo afferma che i due figli di Abramo erano figura dei due Testamenti, il vecchio e il nuovo. Al Vecchio Testamento appartengono quelli che amano le cose temporali, il mondo; al Nuovo appartengono quelli che amano la vita eterna. In questo senso, la Gerusalemme terrestre era solo l'ombra della Gerusalemme celeste, madre di tutti noi, e che è nel cielo: sono parole dell'Apostolo (cf. Gal 4, 22-26). Di questa città, lontani dalla quale ci troviamo nella nostra peregrinazione, già molto conoscete, molto avete già sentito dire. Orbene, noi vediamo una cosa degna di nota in questi parti, in questi figli che sono stati concepiti e sono nati da donne libere e da schiave; troviamo quattro categorie di uomini; e in queste si profila completa la figura del futuro popolo cristiano, tanto che non sorprende più se in riferimento a quei tre è stato detto: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe. Considerando infatti la totalità dei cristiani, o fratelli, vediamo che nascono dei figli buoni da cattivi genitori e figli cattivi da buoni genitori, buoni da buoni, e finalmente cattivi da cattivi: fuori di questi quattro, non si danno altri casi. Ripeto, state attenti, ricordatelo; scuotete i vostri cuori, non siate pigri, cercate di capire bene, per non cadere in inganno: in queste quattro categorie sono compresi tutti i cristiani. O dai buoni nascono dei cattivi, o dai cattivi nascono dei cattivi; o dai cattivi dei buoni, o dai buoni dei cattivi. Credo che sia chiaro. Dai buoni vengono dei buoni, se quelli che battezzano sono buoni e quelli che sono battezzati credono sinceramente e lealmente appartengono alle membra di Cristo. Dai cattivi vengono i cattivi, se quelli che battezzano sono cattivi e quelli che sono battezzati si accostano a Dio con cuore insincero e conducono una vita non conforme all'insegnamento della Chiesa, così che in essa ci sono piuttosto come paglia che come frumento; e la vostra Carità sa bene quanto costoro siano numerosi. Dai cattivi vengono dei buoni, quando, per esempio, colui che battezza è un adultero mentre chi riceve il battesimo viene giustificato. Dai buoni vengono dei cattivi, quando colui che battezza è santo, e chi ha ricevuto il battesimo ricusa di seguire le vie di Dio.

 

OMELIA 12

Nessuno ascende in cielo, se non colui che dal cielo è disceso.

Ora, se nessuno, fuorché Cristo, è disceso dal cielo, e nessuno, fuorché lui, vi ascende, che speranza c'è per gli altri? La speranza che il Signore è disceso affinché in lui e con lui formino una sola persona coloro che per mezzo di lui vogliono salire in cielo. Bisogna rimanere in lui, essere una cosa sola, anzi una persona sola con lui.

1. Ci rendiamo conto che più solleciti e più numerosi vi siete raccolti, per il fatto che ieri abbiamo suscitato l'interesse di vostra Carità. Ora, se volete, assolviamo il compito di esporvi con ordine la lettura evangelica; poi riferiremo alla vostra Carità quel che abbiamo fatto per la pace della Chiesa, e quel che ci ripromettiamo di fare. Adesso dunque tutta l'attenzione del vostro cuore si concentri sul Vangelo; e nessuno pensi ad altro. Perché se, quando uno è tutto presente, con fatica riesce a capire, cosa sarà se si divide in diversi pensieri? Non finirà col perdere anche quello che ha guadagnato? Vostra Carità ricorderà che domenica scorsa, con l'aiuto del Signore, abbiamo parlato della rigenerazione spirituale; e oggi vi abbiamo fatto rileggere il brano evangelico per completare, nel nome di Cristo e con l'aiuto delle vostre preghiere, quanto allora abbiamo cominciato a dire.

[La rigenerazione spirituale è una sola.]

2. Una sola è la rigenerazione spirituale, come una sola è la generazione secondo la carne. E quello che Nicodemo ha detto al Signore è vero: non può un uomo, quando è già vecchio, rientrare nel grembo di sua madre e nascere di nuovo. Egli ha detto che questa è una cosa impossibile per un uomo già vecchio, come se fosse possibile invece per un bambino! In realtà, rientrare nel grembo materno e nascere di nuovo, è impossibile a chiunque, a un neonato come a un vecchio. Ora, come per la nascita secondo la carne, le viscere della donna possono far venire alla luce una volta per tutte, così, per la nascita spirituale le viscere della Chiesa possono far nascere un uomo con il battesimo una sola volta. Perciò nessuno mi venga a dire: questo è nato nell'eresia, quest'altro è nato nello scisma. Tutti questi problemi sono stati risolti, se ricordate quel che abbiamo detto intorno ai tre patriarchi, dei quali il Signore ha voluto essere chiamato Dio, non perché soltanto ad essi appartenesse, ma perché soltanto in essi si è realizzata nella sua pienezza la figura del popolo futuro. Abbiamo visto, infatti, che il figlio della schiava è diseredato, e il figlio della donna libera è diventato erede; e ancora, abbiamo visto il figlio della libera diseredato, e il figlio della schiava fatto erede. Ismaele, nato dalla schiava, fu diseredato, e Isacco, nato dalla libera, divenne erede (cf. Gn 21, 10; 25, 5); Esaù, nato dalla libera, fu diseredato, e i figli di Giacobbe, nati dalle schiave, furono costituiti eredi (cf. Gn 27, 35; 49, 1 ss.). E così in quei tre patriarchi si è profilato il volto completo del popolo futuro; non per nulla Dio ha dichiarato: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe; questo è il mio nome in eterno (Es 3, 6 15). Non dimentichiamo che la medesima promessa fatta ad Abramo, fu fatta poi a Isacco e anche a Giacobbe. Quale promessa? Nella tua discendenza saranno benedette tutte le genti (Gn 22, 18). Solo Abramo allora credette ciò che ancora non vedeva; adesso gli uomini vedono e chiudono gli occhi. Si è compiuta fra le genti la promessa fatta ad uno, e si sono separati dalla comunione delle genti coloro che non vogliono vedere il compimento della promessa. Ma a che serve non voler vedere? Lo vogliano o no, vedono; la verità manifesta colpisce anche gli occhi chiusi.

3. E' stato risposto a Nicodemo, che era uno di quelli che avevano creduto in Gesù, ma ai quali Gesù non si affidava. Non si fidava infatti, di alcuni che pure avevano creduto in lui. Così è scritto: Molti credettero nel suo nome, vedendo i segni che egli faceva. Ma Gesù non si fidava di loro. Non aveva bisogno che altri gli desse testimonianza su l'uomo; egli, difatti, sapeva che cosa c'era nell'uomo (Gv 2, 23-25). Ecco, essi già credevano in Gesù, e Gesù non si affidava a loro. Perché? Perché non erano ancora rinati dall'acqua e dallo Spirito. Ecco perché abbiamo esortato ed esortiamo i nostri fratelli catecumeni. Se infatti li interroghiamo, essi rispondono che hanno già creduto in Gesù; ma siccome non ricevono la sua carne e il suo sangue, Gesù non si è ancora affidato ad essi. Che cosa devono fare perché Gesù si affidi ad essi? Rinascere dall'acqua e dallo Spirito. La Chiesa dia alla luce quelli che porta nel suo grembo. Sono stati concepiti, vengano alla luce. C'è un seno che li nutrirà; non abbiano paura di venir soffocati, non si stacchino dal seno materno.

4. Nessuno può rientrare nelle viscere di sua madre e nascere di nuovo. Non fa eccezione chi è nato dalla schiava? Forse che quando allora nacquero dalle schiave, rientrarono nel grembo delle libere per nascere di nuovo? Anche in Ismaele c'era il seme di Abramo. Fu sua moglie che autorizzò Abramo ad avere un figlio dalla schiava; Ismaele nacque dal seme dell'uomo, ma non dal grembo della moglie anche se col beneplacito di lei (cf. Gn 16, 2-4). Forse che fu diseredato perché era figlio della schiava? Se unicamente per questo fosse stato diseredato, nessuno dei figli della schiava avrebbe dovuto essere ammesso all'eredità. I figli di Giacobbe furono ammessi all'eredità; Ismaele, invece, non fu diseredato perché figlio della schiava, ma per il suo comportamento superbo nei confronti della madre e del figlio della madre. Sara infatti era sua madre più che non lo fosse Agar. Agar prestò il suo grembo, ma fu per volontà di Sara; mai Abramo avrebbe fatto ciò che Sara non avesse voluto: per cui Ismaele è più figlio di Sara che non di Agar. Egli tuttavia si comportò da superbo verso il fratello, burlandosi di lui nel gioco: e allora Sara disse ad Abramo: Caccia via la schiava e il suo figlio, perché non dev'essere erede il figlio della schiava insieme col figlio mio Isacco (Gn 21, 10). Non fu dunque l'esser nato dalle viscere della schiava che lo fece scacciare, ma l'insolenza del servo. Anche un uomo libero, se è superbo, è servo e, quel che è peggio, servo di quella cattiva padrona che è la superbia. Dunque, fratelli miei, rispondete che l'uomo non può nascere una seconda volta; rispondete senza timore: l'uomo non può nascere un seconda volta. Tutto ciò che si fa una seconda volta è un inganno; tutto ciò che si fa una seconda volta è per burla. Ismaele vuol giocare? Sia cacciato via. Sara si accorse che giocavano e disse ad Abramo: Caccia via la schiava e suo figlio. A Sara non piacque il gioco dei due bambini; quel gioco la insospettì. Le donne che hanno dei figli, non sono forse contente di vedere i loro figli giocare insieme? Sara vide e rimase contrariata. Che cosa avrà visto in quel gioco? Vide che quel gioco era una burla, vi scorse la superbia del servo; rimase urtata e fece cacciare via il servo. Vengono cacciati via i presuntuosi nati dalle schiave, e anche Esaù nato dalla libera. Nessuno, dunque, si senta sicuro per il fatto che è nato da persone degne, per il fatto che è stato battezzato da un santo. Chi è stato battezzato da un santo, deve tuttavia temere di essere non Giacobbe, ma Esaù. Oso dire questo, fratelli: E' meglio essere stati battezzati da uomini che cercano i propri interessi e amano il mondo (questo significa la schiava), e poi cercare spiritualmente l'eredità di Cristo sì da essere come il figlio di Giacobbe nato sia pure dalla schiava; piuttosto che essere battezzati da un santo, e poi metter superbia, ed esser cacciati via come Esaù, benché nato dalla donna libera. Tenetelo bene a mente, o fratelli. Non vogliamo adularvi: non mettete in noi alcuna speranza; non vogliamo lusingare né noi né voi: ciascuno porta il suo fardello. E' nostro dovere parlare, se vogliamo non essere condannati; è vostro dovere ascoltare e ascoltare sinceramente, se volete che non vi si chieda conto di quel che vi porgiamo; o piuttosto se volete, quando vi si chiederà conto, ricavarne un guadagno e non un danno.

[Nasciamo spiritualmente mediante la parola e il sacramento.]

5. Il Signore spiega a Nicodemo: In verità, in verità ti dico: nessuno, se non nasce da acqua e Spirito, può entrare nel regno di Dio. Tu, gli dice, quando chiedi: Può forse un uomo entrare una seconda volta nel seno materno? (Gv 3, 5 4), vedi soltanto la generazione secondo la carne. E' da acqua e Spirito che occorre rinascere, per entrare nel regno di Dio. Per avere l'eredità temporale di un padre che è uomo, è sufficiente nascere dalle viscere di una madre secondo la carne; ma in ordine all'eredità eterna di un padre che è Dio, è necessario nascere dalle viscere della Chiesa. Il padre che deve morire genera dalla sua sposa il figlio che dovrà succedergli, ma Dio genera dalla Chiesa non figli che dovranno succedergli ma figli che vivranno eternamente con lui. Il Signore prosegue: Ciò che è generato dalla carne è carne; ciò che è generato dallo Spirito è spirito. Dunque, si tratta di una nascita spirituale, e si nasce nello Spirito mediante la parola e il sacramento. Lo Spirito è presente perché si possa nascere; è presente invisibilmente lo Spirito da cui nasci perché nasci in maniera invisibile. Il Signore infatti continua: Non meravigliarti perché ti ho detto: Dovete nascere di nuovo. Lo Spirito soffia dove vuole; tu senti la sua voce ma non sai da qual parte venga e dove vada. Nessuno vede lo Spirito: come possiamo allora sentirne la voce? Viene cantato un salmo, è la voce dello Spirito; viene annunciato il Vangelo, è la voce dello Spirito; si proclama la parola di Dio, è la voce dello Spirito. Tu senti la sua voce, ma non sai da quale parte venga e dove vada. E altrettanto sarà di te se nascerai dallo Spirito: chi ancora non è nato dallo Spirito, non saprà donde tu venga né dove tu vada. Il Signore infatti aggiunge: Così è di ognuno che è nato dallo Spirito (Gv 3, 6-8).

6. Rispose Nicodemo: Come può avvenire questo? E invero, in senso materiale, non poteva capire. Si verificava in lui ciò che il Signore aveva detto: sentiva la voce dello Spirito, ma non sapeva donde veniva e dove andava. Rispose Gesù: Tu sei maestro d'Israele e ignori queste cose? (Gv 3, 9-10). Si direbbe, o fratelli, che il Signore abbia voluto smontare quel maestro dei Giudei. Il Signore sapeva quello che voleva: voleva che Nicodemo nascesse dallo Spirito. Non si può nascere dallo Spirito, se non si è umili, perché è l'umiltà che ci fa nascere dallo Spirito: il Signore è vicino ai contriti di cuore (Sal 33, 19). Quello, essendo un maestro, era troppo sicuro di sé, e stava sulla sua per il fatto che era dottore dei Giudei. Il Signore lo aiuta a liberarsi dalla superbia per poter nascere dallo Spirito; lo umilia come un principiante; non certo con l'intenzione di mostrarsi superiore a lui. Che cosa ha da guadagnare Dio nei confronti dell'uomo, la verità nei confronti della menzogna? E' necessario dire o pensare che Cristo è superiore a Nicodemo? E' già superfluo ricordare che Cristo è superiore agli angeli. Colui per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte, è incomparabilmente superiore ad ogni creatura. Ma Cristo si propone di mettere in crisi la superbia dell'uomo: Tu sei maestro d'Israele e ignori queste cose? Come a dire: Vedi, capo superbo, che non sai niente; hai bisogno di nascere dallo Spirito; se nascerai dallo Spirito potrai percorrere le vie di Dio, seguendo l'umiltà di Cristo. Egli è talmente al di sopra di tutti gli angeli che pur essendo nella forma di Dio, non stimò una rapina l'essere alla pari con Dio, ma annientò se stesso, prendendo forma di schiavo, divenuto simile agli uomini; e, ritrovato nel sembiante come uomo, umiliò se stesso, divenuto obbediente fino alla morte (e non ad un genere di morte a te gradito), e alla morte di croce (Fil 2, 6-8). Pendeva dalla croce e veniva insultato. Poteva scendere dalla croce, ma aspettò di risorgere dal sepolcro. Come Signore sopportò i servi superbi, come medico i malati. Se questo ha fatto lui, tanto più quelli che devono nascere dallo Spirito. Se questo ha fatto lui, che è il vero maestro celeste non solo degli uomini ma anche degli angeli, tanto più dobbiamo farlo noi. Poiché se gli angeli sono stati ammaestrati, lo sono stati dal Verbo di Dio. Se mi chiedete in che modo sono stati ammaestrati dal Verbo di Dio, eccovi la risposta: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Gv 1, 1). Viene liberato, l'uomo, dalla sua aspra e dura cervice, in modo che possa piegare docilmente la sua cervice sotto il giogo di Cristo, a proposito del quale è detto: il mio giogo è soave, e il mio fardello è leggero (Mt 11, 30).

7. Così prosegue: Se non credete quando parlo di cose terrene, come crederete quando vi parlerò di cose celesti? (Gv 3, 12) Di quali cose terrene ha parlato, o fratelli? E' una cosa terrena nascere di nuovo? E' una cosa terrena, quella cui allude quando dice: Lo Spirito soffia dove vuole; tu senti la sua voce ma non sai da qual parte venga e dove vada? Alcuni hanno inteso questo del vento. Quando si domanda loro di quale cosa terrena parla il Signore allorché dice: Se non credete quando parlo di cose terrene, come crederete quando vi parlerò di cose celesti?; davanti a questa domanda rimangono imbarazzati e rispondono che in questa frase: lo Spirito soffia dove vuole; tu senti la sua voce ma non sai da qual parte venga e dove vada, il Signore si riferiva al vento terreno. Ma di quale realtà terrena intendeva parlare? Parlava della generazione spirituale; infatti, prosegue: Così è di ognuno che è nato dallo Spirito. Ebbene, chi di noi, fratelli, non vede, ad esempio, che il vento australe viene da mezzogiorno e va verso settentrione, o che un altro vento viene da oriente e va verso occidente? come si può dire che non sappiamo da qual parte venga e dove vada? Che cosa ha detto quindi di terreno che gli uomini non credevano? Forse quel discorso sul tempio che doveva essere risuscitato (Gv 2, 19)? Il suo corpo infatti lo aveva preso dalla terra, ed egli si accingeva a risuscitare questa medesima terra assunta dal corpo terrestre. E non gli si è creduto che avrebbe risuscitato la terra. Se non credete quando vi parlo di cose terrene - dice - come crederete quando vi parlerò di cose celesti? Cioè, se non credete che posso risuscitare il tempio da voi abbattuto, come crederete che gli uomini possano venir rigenerati per mezzo dello Spirito?

[Uno solo ascende come uno solo è disceso.]

8. E prosegue: Nessuno è salito in cielo, fuorché colui che dal cielo discese, il Figlio dell'uomo che è in cielo (Gv 3, 13). Egli dunque era qui ed era anche in cielo: era qui con la carne, era in cielo con la divinità; o meglio, con la divinità era dappertutto. Egli è nato dalla madre, senza allontanarsi dal Padre. Sappiamo che in Cristo vi sono due nascite, una divina, l'altra umana; una per mezzo della quale siamo stati creati, l'altra per mezzo della quale veniamo redenti. Ambedue mirabili: la prima senza madre, la seconda senza padre. Ma poiché aveva preso il corpo da Adamo, dato che Maria proviene da Adamo, e questo medesimo corpo avrebbe risuscitato, ecco la realtà terrena alla quale si riferiva, quando disse: Distruggete questo tempio, e in tre giorni io lo risusciterò (Gv 2, 19). Si riferiva invece a cose celesti, quando disse: Nessuno può vedere il regno di Dio, se non rinasce dall'acqua e dallo Spirito (Gv 3, 5). Sì, o fratelli, Dio ha voluto essere figlio dell'uomo, ed ha voluto che gli uomini siano figli di Dio. Egli è disceso per noi e noi ascendiamo per mezzo di lui. Solo infatti discende e ascende colui che ha detto: Nessuno ascende in cielo, se non colui che dal cielo discende. Non ascenderanno dunque in cielo coloro che egli fa figli di Dio? Certo che ascenderanno; ci è stato promesso in modo solenne: Saranno come gli angeli di Dio in cielo (Mt 22, 30). In che senso, allora, nessuno ascende al cielo se non chi ne è disceso? Infatti uno solo è disceso, e uno solo è asceso. E gli altri? Che cosa pensare, se non che saranno membra di lui, così che sarà uno solo ad ascendere in cielo? Per questo il Signore dice: Nessuno ascende in cielo, se non colui che dal cielo discende, il Figlio dell'uomo che è in cielo. Ti meraviglia perché era qui e anche in cielo? Fece altrettanto per i suoi discepoli. Ascolta l'apostolo Paolo che dice: La nostra patria è in cielo (Fil 3, 20). Se un uomo com'era l'apostolo Paolo camminava in terra col corpo mentre spiritualmente abitava in cielo, non era possibile al Dio del cielo e della terra, essere contemporaneamente in cielo e in terra?

[Guai a chi attenta all'unità!]

9. Se dunque nessuno, fuorché Cristo, è disceso dal cielo, e nessuno, fuorché lui, vi ascende, che speranza c'è per gli altri? Questa: che il Signore è disceso precisamente perché in lui e con lui siano una persona sola coloro che per mezzo di lui saliranno in cielo. Non è detto, - osserva l'Apostolo - "e ai discendenti", come si trattasse di molti, ma e alla tua discendenza, come a uno solo, cioè Cristo. E ai fedeli dice: Voi siete di Cristo; e se siete di Cristo, siete dunque la discendenza di Abramo (Gal 3, 16 29). Quest'uno di cui parla l'Apostolo, siamo tutti noi. Per questo, i Salmi a volte esprimono la voce di molti, a indicare che l'uno è formato da molti; a volte è uno che canta, a indicare che i molti convergono in uno. Ecco perché nella piscina probatica veniva guarito uno solo, e chiunque altro vi discendesse dopo, non veniva guarito (Gv 5, 4). Quell'unico uomo sta a indicare l'unità della Chiesa. Guai a coloro che disprezzano l'unità e tendono a crearsi delle fazioni tra gli uomini! Ascoltino colui che voleva fare di tutti gli uomini una cosa sola, in uno solo, in ordine ad un unico fine. Ascoltino le sue parole: Non dividetevi, io ho piantato, Apollo ha innaffiato, ma Dio ha fatto crescere. Quindi né colui che pianta è qualche cosa, né colui che innaffia, ma chi fa crescere, Dio (1 Cor 3, 6-7). Quelli dicevano: Io sono di Paolo, io d'Apollo, io di Cefa. L'Apostolo rispondeva: Ma Cristo è forse diviso? (1 Cor 1, 12-13). Rimanete uniti in lui solo, siate una cosa sola, anzi una persona sola. Nessuno ascende in cielo, se non colui che dal cielo è disceso. Ecco - dicevano a Paolo - noi vogliamo essere tuoi. E lui: Non voglio che siate di Paolo, ma che siate di colui al quale anche Paolo appartiene insieme con voi.

10. Cristo infatti discese e morì, e con la sua morte ci liberò dalla morte: morendo, ha distrutto la morte. E voi, fratelli, sapete che la morte entrò nel mondo per l'invidia del diavolo. La Scrittura afferma che Dio non ha fatto la morte, né gode che periscano i viventi. Egli creò ogni cosa perché esistesse (Sap 1, 13-14). Ma per l'invidia del diavolo - aggiunge - la morte entrò nel mondo (Sap 2, 24). L'uomo non sarebbe giunto alla morte propinatagli dal diavolo, se si fosse trattato di costringervelo con la forza; perché il diavolo non aveva la potenza di costringerlo, ma solo l'astuzia per sedurlo. Senza il tuo consenso il diavolo sarebbe rimasto impotente: è stato il tuo consenso, o uomo, che ti ha condotto alla morte. Nati mortali da un mortale, divenuti mortali da immortali che eravamo. Per la loro origine da Adamo tutti gli uomini sono mortali; ma Gesù, figlio di Dio, Verbo di Dio per mezzo del quale tutte le cose furono fatte, Figlio unigenito uguale al Padre, si è fatto mortale: il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 3 14).

[La morte è stata ingoiata nel corpo di Cristo.]

11. Egli dunque prese sopra di sé la morte, e la inchiodò alla croce, e così i mortali vengono liberati dalla morte. Il Signore ricorda ciò che in figura avvenne presso gli antichi: E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell'uomo, affinché ognuno che crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna (Gv 3, 14-15). Gesù allude ad un famoso fatto misterioso, ben noto a quanti hanno letto la Bibbia. Ma ascoltino anche quelli che non hanno letto l'episodio, e quanti che, pur avendolo letto o ascoltato, lo hanno dimenticato. Il popolo d'Israele cadeva nel deserto morsicato dai serpenti, e l'ecatombe cresceva paurosamente. Era un flagello con cui Dio li colpiva per correggerli e ammaestrarli. Ma proprio in quella circostanza apparve un grande segno della realtà futura. Lo afferma il Signore stesso in questo passo, sicché non è possibile dare di questo fatto un'interpretazione diversa da quello che ci indica la Verità riferendolo a sé. Il Signore, infatti, ordinò a Mosè di fare un serpente di bronzo, e di innalzarlo su un legno nel deserto, per richiamare l'attenzione del popolo d'Israele, affinché chiunque fosse morsicato, volgesse lo sguardo verso quel serpente innalzato sul legno. Così avvenne; e tutti quelli che venivano morsicati, guardavano ed erano guariti (Nm 21, 6-9). Che cosa sono i serpenti che morsicano? Sono i peccati che provengono dalla carne mortale. E il serpente innalzato? la morte del Signore in croce. E' stata raffigurata nel serpente, appunto perché la morte proveniva dal serpente. Il morso del serpente è letale, la morte del Signore è vitale. Si volge lo sguardo al serpente per immunizzarsi contro il serpente. Che significa ciò? Che si volge lo sguardo alla morte per debellare la morte. Ma alla morte di chi si volge lo sguardo? alla morte della vita, se così si può dire. E poiché si può dire, è meraviglioso dirlo. O non si dovrà dire ciò che si dovette fare? Esiterò a dire ciò che il Signore si degnò di fare per me? Forse che Cristo non è la vita? Tuttavia Cristo è stato crocifisso. Cristo non è forse la vita? E tuttavia Cristo è morto. Ma nella morte di Cristo morì la morte, perché la vita, morta in lui, uccise la morte e la pienezza della vita inghiottì la morte. La morte fu assorbita nel corpo di Cristo. Così diremo anche noi quando risorgeremo, quando ormai trionfanti canteremo: O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo pungiglione? (1 Cor 15, 55). Frattanto, o fratelli, per essere guariti dal peccato volgiamo lo sguardo verso Cristo crocifisso; poiché come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell'uomo, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. Come coloro che volgevano lo sguardo verso quel serpente, non perivano per i morsi dei serpenti, così quanti volgono lo sguardo con fede alla morte di Cristo, vengono guariti dai morsi dei peccati. E mentre quelli venivano guariti dalla morte per la vita temporale, qui invece è detto: affinché abbia la vita eterna. Esiste infatti questa differenza, tra il segno prefigurativo e la realtà stessa: che la figura procurava la vita temporale, mentre la realtà prefigurata procura la vita eterna.

12. Poiché Dio non mandò suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma affinché il mondo sia salvato per mezzo di lui (Gv 3, 17). Dunque il medico, per quanto dipende da lui, viene per guarire il malato. Se uno non sta alle prescrizioni del medico, si rovina da solo. Il Salvatore è venuto nel mondo: perché è stato chiamato Salvatore del mondo, se non perché è venuto per salvarlo, e non per giudicarlo? Se tu non vuoi essere salvato da lui, ti giudicherai da te stesso. Che dico: ti giudicherai? Ascolta: Chi crede in lui non è giudicato; chi invece non crede... (e qui cosa ti saresti aspettato se non: viene giudicato? ma dice:) è già stato giudicato. Il giudizio non è stato ancora pubblicato, ma è già avvenuto. Il Signore infatti sa già chi sono i suoi (2 Tim 2, 19), sa chi rimane fedele fino alla corona e chi si ostina fino al fuoco dell'inferno; distingue nella sua aia il grano dalla paglia; distingue la messe dalla zizzania. Chi non crede è già stato giudicato. E perché è stato giudicato? Perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio (Gv 3, 18).

[L'opera tua e la creazione di Dio.]

13. Il giudizio, poi, è questo: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Fratelli miei, chi il Signore ha trovato che avesse al suo attivo opere buone? Nessuno. Ha trovato solo opere cattive. Come hanno potuto, allora, taluni operare la verità e venire alla luce? Così infatti prosegue il Vangelo: Chi, invece, opera la verità, viene alla luce, affinché sia manifesto che le sue opere sono state fatte in Dio (Gv 3, 19 21). Come mai alcuni hanno operato in modo tale da poter venire alla luce, cioè a Cristo, mentre altri hanno amato le tenebre? Se è vero, infatti, che il Signore ha trovato tutti peccatori e tutti deve guarire dal peccato, e che il serpente in cui fu prefigurata la morte del Signore guarisce quanti erano stati morsicati; se è vero che a causa del morso d'un serpente fu innalzato il serpente, cioè morì il Signore per gli uomini mortali che egli aveva trovato peccatori, in che senso bisogna intendere la frase: E' questa la ragione del giudizio: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie? Che significa? Chi aveva al proprio attivo delle opere buone? Non sei forse venuto, o Signore, per giustificare gli empi? Se non che tu dici: Hanno amato più le tenebre che la luce. E' questo che ha voluto far risaltare. Molti hanno amato i loro peccati, e molti hanno confessato i loro peccati. Chi riconosce i propri peccati e li condanna, è già d'accordo con Dio. Dio condanna i tuoi peccati; e se anche tu li condanni, ti unisci a Dio. L'uomo e il peccatore sono due cose distinte: l'uomo è opera di Dio, il peccatore è opera tua, o uomo. Distruggi ciò che tu hai fatto, affinché Dio salvi ciò che egli ha fatto. E' necessario che tu detesti in te l'opera tua e ami in te l'opera di Dio. Quando comincia a dispiacerti ciò che hai fatto, allora cominciano le tue opere buone, perché condanni le tue opere cattive. Le opere buone cominciano col riconoscimento delle opere cattive. Operi la verità, e così vieni alla luce. Cosa intendo dire dicendo: operi la verità? Intendo dire che non inganni te stesso, non ti blandisci, non ti lusinghi; non dici che sei giusto mentre sei colpevole. Allora cominci a operare la verità, allora vieni alla luce, affinché sia manifesto che le tue opere sono state fatte in Dio. E infatti il tuo peccato, che ti è dispiaciuto, non ti sarebbe dispiaciuto se Dio non ti avesse illuminato e se la sua verità non te l'avesse manifestato. Ma chi, dopo essere stato redarguito, continua ad amare i suoi peccati, odia la luce che lo redarguisce, e la fugge, affinché non gli vengano rinfacciate le sue opere cattive che egli ama. Chi, invece, opera la verità, condanna in se stesso le sue azioni cattive; non si risparmia, non si perdona, affinché Dio gli perdoni. Egli stesso riconosce ciò che vuole gli sia da Dio perdonato, e in tal modo viene alla luce, e la ringrazia d'avergli mostrato ciò che in se stesso doveva odiare. Dice a Dio: Distogli la tua faccia dai miei peccati. Ma con quale faccia direbbe così, se non aggiungesse: poiché io riconosco la mia colpa, e il mio peccato è sempre davanti a me? (Sal 50, 11 5). Sia davanti a te il tuo peccato, se vuoi che non sia davanti a Dio. Se invece ti getterai il tuo peccato dietro le spalle, Dio te lo rimetterà davanti agli occhi; e te lo rimetterà davanti agli occhi quando il pentimento non potrà più dare alcun frutto.

14. Correte, o miei fratelli, affinché non vi sorprendano le tenebre (cf. Gv 12, 35); siate vigilanti in ordine alla vostra salvezza, siate vigilanti finché siete in tempo. Nessuno arrivi in ritardo al tempio di Dio, nessuno sia pigro nel servizio divino. Siate tutti perseveranti nell'orazione, fedeli nella costante devozione. Siate vigilanti finché è giorno; il giorno risplende; Cristo è il giorno. Egli è pronto a perdonare coloro che riconoscono la loro colpa; ma anche a punire quelli che si difendono ritenendosi giusti, quelli che credono di essere qualcosa mentre sono niente. Chi cammina nel suo amore e nella sua misericordia, non si accontenta di liberarsi dai peccati gravi e mortali, quali sono il delitto, l'omicidio, il furto, l'adulterio; ma opera la verità riconoscendo anche i peccati che si considerano meno gravi, come i peccati di lingua, di pensiero o d'intemperanza nelle cose lecite, e viene alla luce compiendo opere degne. Anche i peccati meno gravi, se trascurati, proliferano e producono la morte. Sono piccole le gocce che riempiono i fiumi; sono piccoli i granelli di sabbia, ma se sono numerosi, pesano e schiacciano. Una piccola falla trascurata, che nella stiva della nave lascia entrare l'acqua a poco a poco, produce lo stesso effetto di un'ondata irrompente: continuando ad entrare poco alla volta, senza mai essere eliminata affonda la nave. E che significa eliminare, se non fare in modo con opere buone - gemendo, digiunando, facendo elemosine, perdonando - di non essere sommersi dai peccati? Il cammino di questa vita è duro e irto di prove: quando le cose vanno bene non bisogna esaltarsi, quando vanno male non bisogna abbattersi. La felicità che il Signore ti concede in questa vita, è per consolarti, non per corromperti. E se in questa vita ti colpisce, lo fa per correggerti, non per perderti. Accetta il padre che ti corregge, se non vuoi provare il giudice che punisce. Son cose che vi diciamo tutti i giorni, e vanno ripetute spesso perché sono buone e fanno bene.

 

OMELIA 13

E' lo sposo che ha la sposa.

La Chiesa tutta intera è chiamata vergine. In che consiste la verginità della Chiesa? Nell'integrità della fede, nella fermezza della speranza, nella sincerità della carità. O tu che vuoi conservarti vergine per il tuo Sposo, perché corri da colui che dice: Sono io che battezzo, mentre l'amico del tuo Sposo ti dice: E' lui che battezza? Inoltre al tuo Sposo appartiene tutta la terra: perché vuoi legarti ad una parte sola?

1. L'ordine da noi seguito nella lettura del Vangelo secondo Giovanni, come possono ricordare quanti hanno a cuore il loro progresso, ci porta oggi a commentare quanto adesso è stato letto. Ricorderete che già è stato commentato quanto precede la lettura di oggi, a partire dall'inizio. E anche se molte cose le avete dimenticate, certamente rimane nella vostra memoria almeno la nostra dedizione a questo compito. Anche se non avete presente, ad esempio, tutto ciò che avete sentito intorno al battesimo di Giovanni, ricorderete almeno d'averne sentito parlare; e quanto si è detto in risposta alla domanda perché lo Spirito Santo apparve sotto forma di colomba. Ricorderete anche come abbiamo risolto quell'intricatissima questione, relativa a ciò che Giovanni ignorava del Signore e che apprese per mezzo della colomba, benché già conoscesse il Signore, come dimostra ciò che egli disse quando il Signore si presentò a lui per esser battezzato: Sono io che devo esser battezzato da te, e tu vieni a me?; il Signore gli rispose: Lascia adesso che si compia tutta la giustizia (Mt 3, 14-15).

2. Il seguito della lettura ci riporta ora a Giovanni Battista. E' di lui che Isaia vaticinò: Voce di uno che grida nel deserto, preparate la via al Signore, appianate i suoi sentieri (Is 40, 3). Tale testimonianza aveva reso a colui che era il suo Signore, e che aveva voluto essere anche il suo amico. E il suo Signore ed amico a sua volta rese testimonianza a Giovanni. Disse infatti di Giovanni: Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista. Il Signore si pose al di sopra di lui in ciò che era più di Giovanni, perché era Dio. Infatti il più piccolo del regno dei cieli è più grande di lui (Mt 11, 11). Più piccolo di Giovanni per la nascita, il Signore era più grande per la potenza, per la divinità, per la maestà, per la gloria, poiché in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Come abbiamo visto nelle letture precedenti, Giovanni aveva reso testimonianza al Signore fino ad affermare di lui che era Figlio di Dio, non Dio; senza tuttavia negarlo. Non aveva detto in modo esplicito che era Dio, non l'aveva negato, non l'aveva taciuto del tutto. Forse troveremo questa affermazione nella lettura odierna. Il Battista aveva detto di Gesù che era Figlio di Dio. Ma anche di semplici uomini è stato detto che erano figli di Dio (Gv 1, 34 12). Aveva detto che era talmente grande che egli non era degno di sciogliergli i lacci dei sandali (Gv 1, 27). Ora, già il fatto che Giovanni, il più grande tra i nati di donna, non fosse degno di sciogliere i legacci dei suoi sandali, ci offre la misura della grandezza del Signore. E' una grandezza superiore a quella di tutti gli uomini e di tutti gli angeli. Vediamo, infatti, un angelo impedire ad un uomo di prostrarsi ai suoi piedi. Nell'Apocalisse, avendo un angelo rivelato alcune cose a Giovanni, l'autore di questo Vangelo, questi, sgomento per la grandezza della visione, cade ai piedi dell'angelo. E l'angelo: Alzati, non devi farlo! A Dio rivolgi l'adorazione, perché io sono un compagno di servizio, tuo e dei tuoi fratelli (Ap 22, 9). Un angelo, dunque, ha impedito ad un uomo di gettarsi ai suoi piedi. Ora, non è chiaro che sta al di sopra di tutti gli angeli colui al quale un tal uomo, di cui nessuno più grande è apparso fra i nati di donna, si dichiara indegno di sciogliere i legacci dei suoi sandali?

[I donatisti riducono il regno di Cristo all'Africa.]

3. Ma aspettiamo che Giovanni ci dica in maniera più esplicita che il Signore nostro Gesù Cristo è Dio. Troviamo questa affermazione nella presente lettura; difatti riferendoci a lui abbiamo cantato: Regna Iddio su tutta la terra. Sono sordi a questa voce quanti ritengono che egli regni solo su l'Africa. Difatti, non d'altri che di Cristo è detto: Regna Iddio su tutta la terra. Chi è il nostro re, se non il Signore nostro Gesù Cristo? Egli solo è il nostro re. Che cosa abbiamo sentito, ancora, nel versetto del salmo che adesso abbiamo cantato? Inneggiate al nostro Dio, inneggiate; inneggiate al nostro re, inneggiate. Il salmo chiama nostro re quello stesso che chiama Dio: Inneggiate al nostro Dio, inneggiate; inneggiate al nostro re con intelligenza. Non puoi intendere in un senso univoco e preconcetto colui al quale tu canti: Regna Iddio su tutta la terra (Sal 46, 3 7-8). Ma come può essere re di tutta la terra colui che fu visto in una sola parte della terra, a Gerusalemme, in Giudea, camminare in mezzo agli uomini; colui che nacque, succhiò il latte, crebbe, mangiò, si dissetò, vegliò, dormì, si sedette stanco presso il pozzo; colui che fu preso, flagellato, coperto di sputi, coronato di spine, sospeso alla croce, trafitto con la lancia; che morì e fu sepolto? Come può essere lui il re di tutta la terra? Ciò che si vedeva in un determinato luogo era la carne di lui; la carne si mostrava agli occhi di carne, mentre rimaneva occulta nella carne mortale la maestà immortale. E con quali occhi si potrà raggiungere l'eterna maestà nascosta nell'involucro della carne? C'è un altro occhio, l'occhio interiore. Non era infatti privo di occhi Tobia, quando, cieco negli occhi corporei, impartiva precetti di vita al figlio (cf. Tb 4). Il figlio teneva per mano il padre, affinché potesse muovere i passi; il padre consigliava il figlio, affinché potesse camminare sulla via giusta. Da una parte vedo degli occhi, dall'altra li ammetto. E sono migliori gli occhi di colui che dà consigli di vita, che non gli occhi di chi tiene per mano. Tali occhi richiedeva Gesù quando disse a Filippo: Da tanto tempo sono con voi, e non mi avete conosciuto? Tali occhi richiedeva Gesù quando disse: Filippo, chi vede me, vede anche il Padre (Gv 14, 9). Questi occhi sono nell'intelligenza, sono nella mente. Perciò il salmo, dopo aver detto: Dio è re di tutta la terra, immediatamente aggiunge: Inneggiate con intelligenza. Infatti dicendo: Inneggiate al nostro Dio, inneggiate, afferma che il nostro re è Dio. Ma voi avete visto il nostro re come uomo tra gli uomini, lo avete visto patire, lo avete visto crocifisso, morto; dunque, si nascondeva qualcosa in quella carne che con gli occhi di carne non avete potuto vedere. Che cosa si nascondeva? Inneggiate con intelligenza. Non pretendete di vedere con gli occhi ciò che solo si può penetrare con l'intelligenza. Inneggiate con la lingua, perché egli è carne in mezzo a voi; ma poiché il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi, il suono della voce renda omaggio alla carne, e lo sguardo della mente a Dio. Inneggiate con intelligenza, e rendetevi conto che il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi.

4. Ma anche Giovanni renda la sua testimonianza: Dopo di ciò, Gesù si recò con i suoi discepoli nella terra di Giudea e là si tratteneva con essi e battezzava (Gv 3, 22). Colui che era stato battezzato, ora battezzava. Ma non battezzava con quel battesimo con cui era stato battezzato. Il Signore conferisce il battesimo dopo essere stato battezzato dal servo, mostrando così la via dell'umiltà che conduce al suo battesimo: ci dà un esempio di umiltà, non rifiutando il battesimo del servo. Mediante il battesimo del servo veniva preparata la via al Signore, il quale, dopo essere stato battezzato, si fece egli stesso via per coloro che venivano a lui. Ascoltiamolo: Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14, 6). Se cerchi la verità segui la via; perché la via è lo stesso che la verità. La meta cui tendi e la via che devi percorrere, sono la stessa cosa. Non puoi giungere alla meta seguendo un'altra via; per altra via non puoi giungere a Cristo: a Cristo puoi giungere solo per mezzo di Cristo. In che senso arrivi a Cristo per mezzo di Cristo? Arrivi a Cristo Dio per mezzo di Cristo uomo; per mezzo del Verbo fatto carne arrivi al Verbo che era in principio Dio presso Dio; da colui che l'uomo ha mangiato si arriva a colui che è il pane quotidiano degli angeli. Così infatti sta scritto: Ha dato loro il pane del cielo, l'uomo ha mangiato il pane degli angeli (Sal 77, 24-25). Chi è il pane degli angeli? In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Come ha potuto l'uomo mangiare il pane degli angeli? E il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 1 14).

[Dio è tutto per te.]

5. Ma quando, o fratelli, diciamo che gli angeli mangiano, non dovete pensare che lo facciano masticando. Se Dio fosse il pane degli angeli in senso materiale, per mangiarlo, essi dovrebbero farlo a pezzi! Si può forse fare a pezzi la giustizia? E anzitutto, si può forse mangiare la giustizia? In che senso allora bisogna intendere: Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché essi saranno saziati (Mt 5, 6)? Ciò che mangi materialmente vien distrutto, perché tu possa nutrirti; dev'essere consumato perché tu possa rifare le tue energie. Se invece mangi la giustizia, tu ti rifai ed essa rimane integra. Nello stesso modo si ristorano i nostri occhi vedendo questa luce corporea, che è una realtà corporea visibile mediante gli occhi del corpo. Accade che, stando al buio più del normale, la vista s'indebolisce come per un prolungato digiuno della luce. Gli occhi, privati del loro alimento che è la luce, si stancano e si debilitano per il digiuno, al punto da non riuscire più neanche a vedere la luce che è il loro sostentamento; e se la luce vien loro a mancare per troppo tempo, si estinguono come per un'atrofia della capacità visiva. E allora? Per il fatto che tanti occhi ogni giorno si pascono della luce, forse che questa diminuisce? No, gli occhi si alimentano e la luce rimane intatta. Ora, se Dio può offrire la luce corporea agli occhi del corpo, non potrà offrire ai puri di cuore la luce inestinguibile che rimane intatta e che in nessun senso vien meno? Quale luce? In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio. Vediamo se questo Verbo è luce. Presso di te è la fonte della vita, e nella tua luce vedremo la luce (Sal 35, 10). Qui in terra una cosa è la fonte e altra è la luce. Se hai sete cerchi la fonte, e per arrivare alla fonte cerchi la luce; e se è notte, per arrivare alla fonte accendi la lucerna. Il Verbo è la fonte ed è insieme la luce: è fonte per chi ha sete, luce per chi è cieco. Si aprano gli occhi per vedere la luce, si spalanchi la bocca del cuore per bere alla fonte; bevi ciò che vedi e ciò che ascolti. Dio è tutto per te, è tutto quello che ami. Se consideri le cose visibili, né il pane è Dio, né l'acqua e Dio, né questa luce è Dio, né il vestito, né la casa. Tutte queste cose sono visibili e distinte l'una dall'altra; il pane non è l'acqua, il vestito non è la casa, e tutte queste cose non sono Dio, perché sono visibili. Dio è tutto per te: se hai fame, è il tuo pane; se hai sete, è la tua acqua; se sei nelle tenebre, è la tua luce, perché rimane incorruttibile; se sei nudo, egli è per te la veste d'immortalità, quando ciò che è corruttibile rivestirà l'incorruttibilità e ciò che è mortale rivestirà l'immortalità (1 Cor 15, 53-54). Di Dio tutto si può dire, e niente si riesce a dire degnamente. Non c'è una ricchezza così grande come questa povertà. Cerchi un nome adeguato e non lo trovi; cerchi di esprimerti in qualche maniera, e ogni parola serve. Che c'è di comune tra l'agnello e il leone? Ambedue le immagini sono state riferite a Cristo: Ecco l'agnello di Dio (Gv 1, 29); e: Ha vinto il leone della tribù di Giuda (Ap 5, 5).

6. Ascoltiamo Giovanni: Gesù battezzava. Abbiamo detto che Gesù battezzava. A quale titolo? come Gesù? come Signore? come Figlio di Dio? come Verbo? Ma il Verbo si è fatto carne. Ora, anche Giovanni battezzava ad Enon presso Salim. Enon era un lago. Come sappiamo che era un lago? Perché là le acque erano abbondanti, e la gente veniva a farsi battezzare. Giovanni, infatti, non era ancora stato messo in prigione (Gv 3, 22-24). Se ricordate (ecco che ve lo ripeto), ho già spiegato perché Giovanni battezzava: perché bisognava che fosse battezzato il Signore. E perché bisognava che il Signore fosse battezzato? Perché, nel futuro, alcuni avrebbero disprezzato il battesimo, ritenendosi già dotati di una grazia più grande rispetto agli altri fedeli. Ad esempio, un catecumeno già impegnato nella pratica della castità, potrebbe disprezzare un coniugato, ritenendosi migliore di quello che pure è un fedele. Il catecumeno potrebbe dire in cuor suo: che bisogno ho io di ricevere il battesimo? per avere quello che ha costui, del quale io sono già migliore? Proprio per questo il Signore volle essere battezzato da un servo, affinché questo orgoglio non facesse precipitare questi presuntuosi dall'alto dei meriti della loro giustizia. Il Signore volle essere battezzato da un servo, quasi a dire a codesti figli "superiori": Di che cosa andate orgogliosi? di che vi insuperbite? perché avete, chi prudenza, chi dottrina, chi castità, chi fortezza nel patire? forse che potete avere quanto ho io, che vi ho dato tutto questo? e tuttavia io sono stato battezzato da un servo, mentre voi disdegnate di ricevere il battesimo dal Signore. Questo significa: affinché si compia tutta la giustizia (Mt 3, 15).

 

OMELIA 14

Lui deve crescere, io diminuire.

Cristo è nato quando cominciava ad allungarsi il giorno, Giovanni è nato quando il giorno cominciava a raccorciarsi. La creazione stessa ha confermato la testimonianza di Giovanni. Cresca in noi la gloria di Dio e diminuisca la nostra gloria, affinché in Dio cresca anche la nostra gloria.

1. La lettura di questo passo del santo Vangelo fa risaltare la grandezza divina di nostro Signore Gesù Cristo e l'umiltà dell'uomo che meritò di esser chiamato amico dello sposo, insegnandoci a misurare la differenza che c'è tra un uomo che è soltanto uomo, e un uomo che è Dio. Infatti, l'uomo-Dio nostro Signore Gesù Cristo, è Dio prima di tutti i secoli, ed è uomo nel nostro secolo; Dio da parte del Padre, uomo da parte della Vergine: tuttavia un solo e medesimo Signore e Salvatore Gesù Cristo, Figlio di Dio, Dio e uomo. Giovanni, invece, uomo dotato di grazia singolare, fu inviato avanti a lui, e fu illuminato da colui che è la luce. Di Giovanni, infatti, è detto: Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce (Gv 1, 8). Anch'egli può esser chiamato luce, e giustamente, ma non in quanto illumina, bensì in quanto è illuminato. Una cosa infatti è la luce che illumina, un'altra è la luce che è illuminata: anche i nostri occhi si chiamano luci, e purtuttavia, benché aperti, al buio non vedono. La luce che illumina, invece, è luce per se stessa, è luce a se stessa, e non ha bisogno d'altra luce per risplendere, ma di essa hanno bisogno le altre, per illuminare.

[Chi vuol godere di sé, sarà sempre triste.]

2. Avete sentito dunque la confessione di Giovanni, quando si recarono da lui per provocarne la gelosia nei confronti di Gesù, attorno al quale si raccoglievano numerosi i discepoli. Gli dissero, come se fosse un invidioso: Ecco, lui fa più discepoli di te. Ma Giovanni riconobbe ciò che egli era, e per questo meritò di appartenere a Cristo, perché non osò dire che lui era il Cristo. Giovanni disse precisamente così: Nessuno può arrogarsi alcunché, se non gli viene dato dal cielo. Dunque è Cristo che dà, e l'uomo riceve. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: non sono io il Cristo, ma sono stato mandato innanzi a lui. E' lo sposo che ha la sposa; ma l'amico dello sposo, che gli sta accanto e lo ascolta, è felice alla voce dello sposo (Gv 3, 27-29). Non cercò in sé la sua gioia. Chi vuol trovare in sé la propria gioia, sarà sempre triste; chi invece cerca la propria gioia in Dio, sarà sempre contento, perché Dio è eterno. Vuoi essere sempre contento? aderisci a colui che è eterno. Tale dichiarazione fece di sé Giovanni. L'amico dello sposo - disse - è felice alla voce dello sposo, non alla sua; sta in piedi accanto a lui e lo ascolta. Se cade, è perché non lo ascolta: di colui che cadde, del diavolo, è detto: non rimase nella verità (Gv 8, 44). L'amico dello sposo, quindi, deve stare lì in piedi e ascoltare. Che significa stare in piedi? Significa permanere nella grazia ricevuta dal Signore. E ascolta la voce di lui, che lo rende felice. Così era Giovanni: conosceva la fonte della sua felicità, non pretendeva di essere ciò che non era; sapeva di essere un illuminato, non colui che illumina. L'evangelista dice del Signore: Era la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1, 9). Ogni uomo, quindi anche Giovanni, perché anch'egli è un uomo. Anche se fra i nati di donna nessuno è più grande di Giovanni (Mt 11, 11), tuttavia anche lui è un nato di donna. Si può forse paragonare a colui che nacque perché volle, con una natività quindi unica e singolare, come unico e singolare era colui che nasceva? Ambedue le nascite del Signore, infatti, sono fuori del corso normale della natura, tanto la divina come l'umana: la divina senza madre, l'umana senza padre. Giovanni quindi era uno dei tanti, ma dotato di grazia superiore, così che tra i nati di donna non sorse uno più grande di lui. Egli rese a nostro Signore Gesù Cristo una singolare testimonianza, chiamando Cristo lo sposo, e se stesso amico dello sposo, indegno però di sciogliere a lui i legacci dei calzari. A questo proposito la vostra Carità ha già sentito molte cose. Vediamo ora il seguito, che presenta notevoli difficoltà. Ma, poiché lo stesso Giovanni ci ricorda che nessuno può arrogarsi alcunché, se non gli viene dato dal cielo, tutto ciò che non comprendiamo, chiediamolo a colui che dal cielo elargisce i suoi doni: siamo uomini, e non possiamo arrogarci alcunché, se non ci viene dato da colui che non è soltanto uomo.

3. Segue l'affermazione di Giovanni: Questa, dunque, è la mia gioia, ed è giunta al colmo (Gv 3, 29). In che cosa consiste la sua gioia? Nell'ascoltare la voce dello sposo. La mia gioia è al colmo, ho la mia grazia, non ne voglio di più, per non perdere anche quella che ho ricevuto. In che cosa consiste questa gioia? Sono felice alla voce dello sposo. Comprenda, dunque, l'uomo che non deve godere della sua sapienza, ma della sapienza che ha ricevuto da Dio. Non cerchi niente di più, e non perderà ciò che ha ricevuto. Molti infatti divennero stolti, perché affermarono di essere sapienti. L'Apostolo li rimprovera quando dice: Perché ciò che di Dio si può conoscere è palese ad essi, avendoglielo Iddio stesso manifestato. Ascoltate cosa dice a proposito di certuni, ingrati ed empi: ... Iddio lo ha loro manifestato. Sì, gli attributi invisibili di lui, l'eterna sua potenza e la sua divinità, fin dalla creazione del mondo si possono intuire con la mente, attraverso le sue opere, sicché sono senza scusa. Perché sono senza scusa? Perché, pur avendo conosciuto Iddio... - non dice, perché non hanno conosciuto Iddio - pur avendo conosciuto Iddio, né gli diedero gloria, come a Dio, né gli resero grazie, ma vaneggiarono nei loro ragionamenti e il loro cuore insensato s'offuscò. Essi, che pretendevano d'esser sapienti, diventarono stolti (Rm 1, 19-22). Avendo infatti conosciuto Iddio, avrebbero dovuto altresì riconoscere che soltanto Dio li aveva resi sapienti. Non avrebbero dovuto, quindi, attribuire a se stessi ciò che da se stessi non avevano, ma a colui dal quale tutto avevano ricevuto. E così, non avendogli reso grazie, diventarono stolti. Agli ingrati Dio tolse ciò che aveva dato loro gratuitamente. Ma Giovanni non volle essere uno di questi. Egli si mostrò grato a Dio: riconobbe di aver ricevuto e dichiarò di essere felice alla voce dello sposo, dicendo: Questa è la mia gioia, ed è giunta al colmo.

4. Lui deve crescere, io diminuire (Gv 3, 30). Che vuol dire? Lui deve essere esaltato ed io umiliato. Come può crescere Gesù? Come può crescere Dio? Chi è perfetto non cresce. Dio né cresce né diminuisce. Se potesse crescere, non sarebbe perfetto; se potesse diminuire, non sarebbe Dio. Come può crescere Gesù che è Dio? Se ci si riferisce all'età, poiché egli si è degnato di farsi uomo, è stato anche bambino; e, benché Verbo di Dio, giacque infante nel presepio, e, benché fosse il creatore di sua madre, nell'infanzia succhiò il latte materno. Siccome dunque Gesù crebbe in età secondo la carne, forse per questo è stato detto: Lui deve crescere, io diminuire. Ma c'è un altro fatto: Giovanni e Gesù, per quanto riguarda la nascita corporale, erano coetanei; c'era tra loro soltanto la differenza di sei mesi (cf. Lc 1, 36), ed erano cresciuti insieme. E se nostro Signore Gesù Cristo avesse voluto rimanere più a lungo qui in terra e tenere con sé Giovanni, come erano cresciuti insieme così insieme sarebbero potuti invecchiare. Perché, allora Lui deve crescere, io diminuire? Anzitutto, dato che il Signore aveva già trent'anni (cf. Lc 3, 23), forse che un giovane di trent'anni può ancora crescere? A questa età un uomo comincia a declinare, passando alla maturità e poi alla vecchiaia. Ma ancorché fossero stati fanciulli tutti e due, Giovanni non avrebbe detto: Lui deve crescere, io diminuire; avrebbe detto: dobbiamo crescere insieme. Ma entrambi avevano già trent'anni: sei mesi di differenza non sono granché: è una differenza che non si nota, ma che risulta soltanto dalla lettura del Vangelo.

[Lascia crescere Dio in te.]

5. Che significa dunque Lui deve crescere, io diminuire? C'è qui un grande mistero. La vostra Carità cerchi di comprendere. Prima della venuta del Signore Gesù, l'uomo riponeva in se stesso la sua gloria. E' venuto questo uomo per abbassare la gloria dell'uomo, e far crescere la gloria di Dio. Egli infatti è venuto senza peccato e ha trovato tutti col peccato. Ora, se egli è venuto per rimettere i peccati, Dio sarà generoso, ma l'uomo dovrà confessare i suoi peccati. Nella confessione l'uomo esprime la sua umiltà, nella misericordia Dio manifesta la sua grandezza. Se dunque egli è venuto per rimettere i peccati dell'uomo, riconosca, l'uomo, la sua umile condizione, affinché Dio faccia risplendere la sua misericordia. Egli deve crescere, io diminuire. Cioè, egli deve dare, io ricevere; egli deve essere glorificato, io devo confessarlo. Riconosca l'uomo la sua posizione, la confessi a Dio, e ascolti l'Apostolo che dice all'uomo superbo e pieno di sé, che cerca di mettersi al di sopra degli altri: Che cosa hai tu che non l'abbia ricevuto? e se appunto l'hai ricevuto, perché te ne glori, come se non l'avessi ricevuto (1 Cor 4, 7)? Riconosca dunque l'uomo, che voleva attribuire a sé ciò che non era suo, riconosca che quanto ha lo ha ricevuto, e si umili; è bene per lui che in lui Dio sia glorificato. Diminuisca in se stesso, per poter crescere in Dio. Anche nella loro rispettiva passione, Cristo e Giovanni hanno confermato questa testimonianza e questa verità: Giovanni infatti fu decapitato, mentre Cristo fu innalzato sulla croce; sicché anche lì apparve la verità delle parole: Lui deve crescere, io diminuire. Inoltre, Cristo nacque quando i giorni cominciano a crescere, Giovanni nacque quando i giorni cominciano a decrescere. La natura stessa e le rispettive "passioni" confermano le parole di Giovanni: Lui deve crescere, io diminuire. Cresca dunque in noi la gloria di Dio, e diminuisca la nostra gloria, così che anch'essa cresca in Dio. E' quanto afferma l'Apostolo, è quanto afferma la Sacra Scrittura: Chi si gloria, si glori nel Signore (1 Cor 1, 31; Ier 9, 23-24). Vuoi gloriarti in te stesso? Vuoi crescere, ma cresci male, a tuo danno. Ora, crescere male è un menomarsi. Sia dunque Dio a crescere in te, Dio che è sempre perfetto. Quanto più conosci Dio, e quanto più lo accogli in te, tanto più apparirà che Dio cresce in te; in sé però non diminuisce, essendo sempre perfetto. Ieri lo conoscevi un poco, oggi lo conosci un poco di più, domani lo conoscerai ancora meglio: è la luce stessa di Dio che cresce in te, così che in qualche modo Dio cresce in te, lui che rimane sempre perfetto. E' come se uno, avendo iniziata la cura per guarire gli occhi da una vecchia cecità, cominciasse a vedere un pochino di luce, e il giorno appresso un po' di più, e il terzo giorno un po' di più ancora: egli avrà l'impressione che la luce cresca, mentre la luce è perfetta, sia che egli veda, sia che non veda. Così è dell'uomo interiore, il quale progredisce in Dio, e gli sembra che Dio cresca in lui; in verità egli diminuisce, decadendo dalla sua gloria per elevarsi alla gloria di Dio.

 

OMELIA 15

Gesù al pozzo di Giacobbe.

Incominciano i misteri. Non per nulla si stanca Gesù, non per nulla si stanca la forza di Dio. Ci troviamo di fronte a un Gesù forte e di fronte a un Gesù debole. La forza di Cristo ci ha creati, la sua debolezza ci ha ricreati. Ci ha creati con la sua forza, è venuto a cercarci con la sua debolezza.

1. Non suona nuovo alle orecchie della vostra Carità il fatto che l'evangelista Giovanni com'aquila voli più alto di tutti, elevandosi al di sopra della caligine della terra, fino a fissare fermamente gli occhi nella luce della verità. Con l'aiuto del Signore e per mezzo del nostro ministero, molte pagine del suo Vangelo vi sono già state commentate; seguendo l'ordine viene questo passo, che oggi è stato letto. Ciò che con l'aiuto del Signore sto per dire, servirà a ricordare a molti di voi ciò che già sapete, piuttosto che a insegnarvi altre cose. Ma non per questo deve essere minore la vostra attenzione, pur se si tratta di richiamare alla mente cose già note. E' stato letto - e abbiamo in mano il testo che dobbiamo spiegare - che il Signore Gesù parlava con una donna samaritana presso il pozzo di Giacobbe. In quella occasione egli espose grandi misteri e preannunziò cose sublimi. L'anima che ha fame trova qui di che pascersi, l'anima affaticata trova di che ristorarsi.

2. Quando il Signore seppe che i Farisei avevano sentito dire che Gesù faceva più discepoli e ne battezzava più di Giovanni, - sebbene non battezzasse Gesù in persona ma i suoi discepoli - lasciò la Giudea e ritornò in Galilea (Gv 4, 1-3). Qui non ci sono difficoltà, e non dobbiamo soffermarci in ciò che è chiaro, affinché non ci manchi il tempo per affrontare e chiarire ciò che è oscuro. Se il Signore avesse saputo che i Farisei si interessavano del fatto che egli faceva più discepoli e ne battezzava più di Giovanni, con l'intenzione di valersene per seguirlo e diventare anche loro suoi discepoli e farsi battezzare da lui, certamente non avrebbe lasciato la Giudea, ma vi sarebbe rimasto per loro. Avendo conosciuto, invece, le loro cattive intenzioni, in quanto essi non si erano informati per seguirlo ma per perseguitarlo, per questo egli lasciò la Giudea. Avrebbe potuto certamente restarvi, senza farsi prendere da quelli, se lo avesse voluto; se lo avesse voluto non sarebbe stato ucciso: avrebbe potuto anche non nascere, se così avesse voluto. Ma, siccome in ogni cosa che egli faceva come uomo, voleva offrire un esempio agli uomini che avrebbero creduto in lui, quel Maestro buono lasciò la Giudea non per timore, ma per darci un insegnamento. Così, un servo di Dio non pecca, se si rifugia in altro luogo di fronte al furore dei suoi persecutori o di quelli che cercano di fargli del male; ma se il Signore non avesse mostrato con il suo esempio che questo modo di agire è legittimo, quel servo di Dio avrebbe potuto credere che comportandosi così faceva male.

[Gesù battezza tuttora.]

3. Può forse fare difficoltà il fatto che l'evangelista dica: Gesù battezzava più gente di Giovanni, e, dopo aver affermato che Gesù battezzava, subito dopo aggiunge: benché non battezzasse Gesù in persona ma i suoi discepoli. Che significa? Forse che Giovanni prima si era sbagliato, e poi si è corretto aggiungendo: benché non battezzasse Gesù in persona ma i suoi discepoli? O piuttosto non sono vere ambedue le cose, che Gesù battezzava e non battezzava? Battezzava, infatti, perché era lui che purificava dai peccati, e non battezzava, perché non era lui che immergeva nell'acqua. I discepoli esercitavano il ministero corporale, egli interveniva con la potenza della sua maestà. Poteva forse smettere di battezzare lui che non smette mai di purificare? lui del quale il medesimo evangelista per bocca di Giovanni Battista ha detto: E' lui quello che battezza (Gv 1, 33)? E' Gesù, dunque, che tuttora battezza, e battezzerà finché ci sarà uno da battezzare. Si accosti sicuro l'uomo al ministro inferiore, poiché ha un maestro superiore.

4. Qualcuno potrà osservare: Cristo battezza sì spiritualmente, ma non fisicamente. Come se qualcuno potesse ricevere il sacramento del battesimo, sia pure nella sua realtà fisica e visibile, come dono di un altro che non sia il Cristo. Vuoi convincerti che è lui che battezza, non solo mediante lo Spirito ma anche mediante l'acqua? Ascolta l'Apostolo: Cristo ha amato la Chiesa e si è offerto per essa onde santificarla, purificandola con il lavacro dell'acqua mediante la parola, e così farsi comparire davanti, tutta splendente, la Chiesa, senza macchia o ruga o alcunché di simile (Ef 5, 25-27). In che modo Cristo purifica la sua Chiesa? Con il lavacro dell'acqua mediante la parola. Che cos'è il battesimo di Cristo? Lavacro di acqua accompagnato dalla parola. Togli l'acqua, non c'è battesimo; togli la parola, non c'è battesimo.

5. Dopo questa introduzione al colloquio con la samaritana, vediamo il resto, così denso di significati e gravido di misteri. Ora, era necessario - dice l'evangelista - che egli passasse attraverso la Samaria. Giunge, dunque, in una città della Samaria chiamata Sichar, vicino al podere che Giacobbe diede a suo figlio Giuseppe. Lì c'era il pozzo di Giacobbe (Gv 4, 4-6). C'era un pozzo. Ora, un pozzo è anche una sorgente, ma non ogni sorgente è un pozzo. Dove c'è dell'acqua che scaturisce dalla terra, ad uso di chi l'attinge, diciamo che lì c'è una sorgente; se essa è a portata di mano e alla superficie del suolo, la chiamiamo semplicemente sorgente; se invece si trova in profondità, sotto la superficie del suolo, allora si chiama pozzo, pur restando sempre una sorgente.

6. Gesù, dunque, stanco per il viaggio, stava così a sedere sul pozzo. Era circa l'ora sesta (Gv 4, 6). Cominciano i misteri. Non per nulla, infatti, Gesù si stanca; non per nulla si stanca la forza di Dio; non per nulla si stanca colui che, quando siamo affaticati, ci ristora, quando è lontano ci abbattiamo, quando è vicino ci sentiamo sostenuti. Comunque Gesù è stanco, stanco del viaggio, e si mette a sedere; si mette a sedere sul pozzo, ed è l'ora sesta quando, stanco, si mette a sedere. Tutto ciò vuol suggerirci qualcosa, vuol rivelarci qualcosa; richiama la nostra attenzione, c'invita a bussare. Ci apra, a noi e a voi, quello stesso che si è degnato esortarci dicendo: Bussate e vi sarà aperto (Mt 7, 7). E' per te che Gesù si è stancato nel viaggio. Vediamo Gesù pieno di forza, e lo vediamo debole; è forte e debole: forte perché in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; questo era in principio presso Dio. Vuoi vedere com'è forte il Figlio di Dio? Tutto fu fatto per mezzo di lui, e niente fu fatto senza di lui; e tutto senza fatica. Chi, dunque, è più forte di lui che ha fatto tutte le cose senza fatica? Vuoi vedere ora la sua debolezza? Il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 1 3 14). La forza di Cristo ti ha creato, la debolezza di Cristo ti ha ricreato. La forza di Cristo ha chiamato all'esistenza ciò che non era, la debolezza di Cristo ha impedito che si perdesse ciò che esisteva. Con la sua forza ci ha creati, con la sua debolezza è venuto a cercarci.

[Il suo cammino è la carne che per noi ha assunto.]

7. E' con la sua debolezza che egli nutre i deboli, come la gallina nutre i suoi pulcini: egli stesso del resto si è paragonato alla gallina: Quante volte - dice a Gerusalemme - ho voluto raccogliere i tuoi figli sotto le ali, come la gallina i suoi pulcini, e tu non l'hai voluto! (Mt 23, 37). Non vedete, o fratelli, come la gallina partecipa alla debolezza dei suoi pulcini? Nessun altro uccello esprime così evidentemente la sua maternità. Abbiamo tutti i giorni davanti agli occhi passeri che fanno il nido; vediamo rondini, cicogne, colombe fare il nido; ma soltanto quando sono nel nido, ci accorgiamo che sono madri. La gallina, invece, si fa talmente debole con i suoi piccoli, che, anche quando i pulcini non le vanno dietro, anche se non vedi i figli, ti accorgi che è madre. Le ali abbassate, le piume ispide, la voce roca, in tutto così dimessa e trascurata, è tale che, anche quando - come ho detto - non vedi i pulcini, t'accorgi tuttavia che è madre. Così era Gesù, debole e stanco per il cammino. Il suo cammino è la carne che per noi ha assunto. Perché, come potrebbe muoversi colui che è dovunque e che da nessuna parte è assente? Se va, se viene, se viene a noi, è perché ha assunto la forma della carne visibile. Poiché dunque si è degnato di venire a noi apparendo in forma di servo per la carne assunta, questa stessa carne assunta è il suo cammino. Perciò stanco per il cammino, che altro significa se non affaticato nella carne? Gesù è debole nella carne, ma tu non devi essere debole; dalla debolezza di lui devi attingere la forza, perché la debolezza di Dio è più forte degli uomini (1 Cor 1, 25).

[La sua debolezza è la nostra forza.]

8. Mediante questa immagine, Adamo, che era figura di colui che doveva venire (cf. Rm 5, 14), ci offrì il segno di un grande mistero; anzi fu Dio stesso ad offrircelo nella persona di Adamo. Infatti, mentre dormiva, meritò di ricevere la sposa che Dio aveva formato dal suo fianco (cf. Gn 2, 21); perché da Cristo, addormentato sulla croce, sarebbe nata la Chiesa, allorché dal costato di lui che pendeva dalla croce, colpito dalla lancia, fluirono i sacramenti della Chiesa (Gv 19, 34). Perché ho voluto richiamare il fatto di Adamo, o fratelli? Per dirvi che la debolezza di Cristo ci rende forti. Quel fatto era una grande profezia di Cristo. Dio avrebbe potuto togliere all'uomo un pezzo di carne per formare la donna, e forse ci sarebbe parso più conveniente: con la donna, infatti, veniva creato il sesso più debole, e ciò che è debole si sarebbe potuto formare meglio con la carne che con l'osso, che della carne è più forte. Invece Dio non prese della carne per formare la donna: tolse un osso, con esso formò la donna, e riempì il posto dell'osso con carne. Avrebbe potuto rimpiazzare l'osso con un altro osso, avrebbe potuto, per formare la donna, prendere non una costola, ma carne di Adamo. Che cosa ci volle significare? La donna fu formata nell'osso come un essere forte; Adamo fu formato nella carne come un essere debole. Qui c'è il mistero di Cristo e della Chiesa: la debolezza di Cristo è la nostra forza.

9. Ma perché nell'ora sesta? Perché era la sesta età del mondo. Il Vangelo calcola come prima ora la prima età del mondo, che va da Adamo fino a Noè; la seconda, da Noè fino ad Abramo; la terza, da Abramo fino a Davide; la quarta, da Davide fino all'esilio babilonese; la quinta, dall'esilio babilonese fino al battesimo di Giovanni, con cui comincia la sesta età. Perché ti meravigli? Gesù venne in terra e, umiliandosi, giunse fino al pozzo. Arrivò stanco, perché portava il peso della carne debole. Era l'ora sesta, perché era la sesta età del mondo. E giunse al pozzo, perché egli è disceso fino al fondo di questa nostra dimora. Per questo è detto nel salmo: Dal profondo ho gridato a te, o Signore (Sal 129, 1). Si è seduto, perché, come ho detto, si è umiliato.

 

OMELIA 16

Se non vedete segni e prodigi non credete.

Il mio discorso è rivolto al popolo di Dio. Quali segni abbiamo visto noi tutti che abbiamo creduto? Abbiamo ascoltato il Vangelo, lo abbiamo accolto, e per mezzo di esso abbiamo creduto in Cristo, senza vedere né pretendere alcun segno.

1. Il brano evangelico che ci proponiamo di spiegare oggi, è una continuazione di quello di ieri. E in questo non ci sono significati difficili da ricercare, ma tali che meritano menzione, ammirazione e lode. Perciò, più che spiegarne le difficoltà, raccomanderemo questo passo alla vostra attenzione. Gesù, dopo i due giorni trascorsi in Samaria, partì per la Galilea, dove era cresciuto. L'evangelista continua: perché egli stesso aveva attestato che un profeta non è onorato nella propria patria (Gv 4, 43-44). Gesù non lasciò dopo due giorni la Samaria perché non vi era stato onorato: non era la Samaria la sua patria, ma la Galilea. Ma, dopo aver lasciato così presto quella regione per venire in Galilea, dov'egli era cresciuto, come poteva affermare che un profeta non è onorato nella sua patria? Mi sembra che sarebbe risultato più evidente che un profeta non è onorato nella sua patria, se egli fosse rimasto in Samaria, anziché tornare in Galilea.

2. La vostra Carità si renda conto che ci si presenta un mistero non trascurabile, che io cercherò di esporvi con l'aiuto e il suggerimento del Signore. Conoscete i termini del problema: ora si tratta di cercarne la soluzione. Ma vogliamo richiamarlo per stimolare in voi il desiderio della soluzione. Lo ha sollevato la frase dell'evangelista: Gesù stesso aveva attestato che un profeta non è onorato nella sua patria. Spinti da questa frase, ci rifacciamo ad un'altra precedente per vedere a che scopo l'evangelista abbia detto tale cosa, e vediamo che prima si parla del fatto che Gesù lasciò la Samaria dopo due giorni, per tornare in Galilea. Ora io domando all'evangelista: perché racconti che Gesù ha detto che nessun profeta è onorato nella sua patria? forse perché dopo due giorni lasciò la Samaria e tornò in Galilea? Vedrei infatti più coerente che Gesù, non ricevendo onore nella sua patria, non si fosse affrettato a raggiungerla lasciando la Samaria. Ma se non mi sbaglio, - e non mi sbaglio perché è vero - l'evangelista vedeva meglio di me ciò che racconta, meglio di me vedeva la verità, egli che la bevve dal cuore del Signore. Si tratta, infatti, dell'evangelista Giovanni che, unico fra tutti i discepoli, stava appoggiato sul petto del Signore (cf. Gv 13, 25), e che il Signore, affettuosissimo con tutti, amava più degli altri (cf. Gv 21, 20). Dovrei dunque pensare che l'evangelista si sia sbagliato e che io sono nel giusto? Che anzi, se davvero sono animato da un sentimento di reverenza, ascolterò volentieri ciò che egli ha detto per meritare di condividere la sua opinione.

[Condiscepoli in una medesima scuola.]

3. E così, o carissimi, accogliete la mia opinione: senza pregiudizio per ogni altra migliore interpretazione vostra. Tutti noi abbiamo, infatti, un solo maestro, e tutti siamo condiscepoli in una medesima scuola. Il mio pensiero è questo: vedete voi se è vero, o se almeno si accosta alla verità. Il Signore si fermò due giorni in Samaria e i Samaritani credettero in lui; in Galilea, invece, era rimasto tanti giorni e i Galilei non avevano creduto in lui. Ricordate e ripensate a ciò che vi è stato letto e commentato ieri. Giunse in Samaria, dove la prima ad annunciarlo fu quella donna, con la quale egli trattò grandi misteri presso il pozzo di Giacobbe. I Samaritani, dopo averlo visto e udito, credettero in lui, dapprima per le parole della donna e poi, più fermamente e in maggior numero, per le parole stesse del Signore. Così è scritto. Dopo essersi trattenuto colà due giorni [e in questo numero di giorni sono misticamente raffigurati i due precetti della carità nei quali sono riassunti tutta la Legge e i Profeti (cf. Mt 22, 37-40), come ieri abbiamo ricordato], passò in Galilea e giunse a Cana, dove aveva cambiato l'acqua in vino (cf. Gv 4, 46). E lì, quando cambiò l'acqua in vino, come scrive il medesimo Giovanni, credettero in lui solo i suoi discepoli (cf. Gv 2, 1-11); eppure la casa era piena d'invitati! Egli fece un miracolo così grande, ma in lui credettero soltanto i suoi discepoli. Ora il Signore torna in questa stessa città della Galilea. E c'era un ufficiale regio, il cui figlio era ammalato ... si recò da lui e lo pregava di scendere (in città o nella sua casa) a guarirgli il figliolo; era, infatti, moribondo. Colui che pregava, non credeva? Che cosa aspetti di sentire da me? Chiedi al Signore quel che pensava di lui. Egli, infatti, alla preghiera di quell'uomo rispose: Se non vedete segni e prodigi, non credete, dunque! (Gv 4, 46-48). Egli rimprovera quell'uomo tiepido o freddo nella fede, se non addirittura privo di fede, desideroso soltanto di vedere alla prova, attraverso la guarigione del figlio, chi fosse il Cristo, quale fosse la sua natura, quanta fosse la sua potenza. Abbiamo sentito la preghiera, ma non vediamo la diffidenza del cuore; ce l'ha rivelata colui che ha udito le parole e ha scrutato il cuore. Dal canto suo nel seguito della sua narrazione, l'evangelista ci fa vedere che colui che voleva che il Signore si recasse a casa sua per guarirgli il figlio, non credeva ancora. Infatti, dopo che gli fu annunziato che il figlio era guarito, e costatò che aveva cominciato a star meglio proprio nell'ora in cui Gesù gli aveva detto: Va', il tuo figlio vive, allora, credette - dice l'evangelista - lui e tutta la sua casa (Gv 4, 50 53). Ora, se credette lui con tutta la sua casa perché gli fu annunziato che suo figlio stava bene, e confrontò l'ora precisata dai servitori con quella in cui Gesù gli diede il preannuncio, vuol dire che quando pregava non credeva ancora. I Samaritani non avevano preteso alcun segno, avevano creduto unicamente sulla sua parola; i concittadini di Gesù, invece, meritarono il rimprovero: Voi, se non vedete segni e prodigi, non credete. Inoltre, dopo un così grande miracolo credettero in lui solamente quell'ufficiale e la sua casa. In Samaria, moltissimi avevano creduto ascoltando le sue parole: qui, di fronte a quel miracolo, credette in lui solo quella casa dove avvenne il miracolo. Quale insegnamento, o fratelli, il Signore vuole che noi raccogliamo da questo fatto? La Galilea era allora la patria del Signore, perché vi era cresciuto. Ma ora noi ci troviamo di fronte ad un presagio, al preannuncio di qualche cosa: i prodigi, infatti, non sono chiamati così a caso; è perché fanno presagire qualcosa: prodigio corrisponde a porrodicium, che significa un giudizio (iudicium) fatto prima (porro), cioè una previsione, un presagio di cosa futura. Se dunque tutti questi fatti contenevano un presagio del futuro, erano come predizioni di quanto sarebbe accaduto in seguito. Ammettiamo per un momento che la patria del Signore nostro Gesù Cristo secondo la carne (perché egli non ebbe patria in terra se non secondo la carne che rivestì in terra), fosse il popolo giudeo. Ecco che nella sua patria egli non è onorato. Considera ora questo popolo giudeo, questa nazione dispersa in tutto il mondo, strappata dalle sue radici; guarda quei rami stroncati, infranti, dispersi, inariditi: e, stroncati quei rami, fu innestato l'olivo selvatico (cf. Rm 11, 17). Che dice ora questa moltitudine di Giudei? Dice: colui che voi onorate, colui che voi adorate, era fratello nostro. E noi rispondiamo: Un profeta non è onorato in patria sua. Essi videro il Signore Gesù camminare sulla terra, lo videro compiere miracoli, illuminare i ciechi, aprire le orecchie ai sordi, sciogliere la lingua ai muti, ridar vigore alle membra dei paralitici; lo videro camminare sulle acque, comandare ai venti e ai flutti, risuscitare i morti; lo videro compiere tanti segni, eppure così pochi credettero. Mi rivolgo ora al popolo di Dio: noi, che in così gran numero abbiamo creduto, quali miracoli abbiamo veduto? Dunque, ciò che accadde allora era il presagio di ciò che ora accade. I Giudei furono, e sono, simili ai Galilei, così come noi siamo simili a quei Samaritani. Abbiamo udito il Vangelo, abbiamo aderito al Vangelo e per mezzo del Vangelo abbiamo creduto in Cristo: non abbiamo visto alcun prodigio, non pretendiamo alcun prodigio.

[Al posto dei rami stroncati.]

4. Benché fosse uno dei dodici eletti e santi, quel Tommaso che pretendeva mettere il dito nel posto delle ferite era un israelita, uno cioè del popolo del Signore. E il Signore lo rimproverò come aveva rimproverato l'ufficiale regio. A questi aveva detto: Voi, se non vedete segni e prodigi, non credete. A Tommaso disse: Hai creduto, perché hai veduto (Gv 20, 29). Il Signore si era recato dai Galilei dopo essere stato presso i Samaritani. Questi avevano creduto alla sua parola senza aver assistito ad alcun miracolo. E presto li lasciò, sicuro della fermezza della loro fede, perché, se egli se ne andava, non li privava della sua presenza divina. Perciò, quando il Signore disse a Tommaso: Vieni, metti qua la tua mano, e non voler essere incredulo ma fedele, e quello esclamò, dopo aver toccato il posto delle ferite: Signor mio, e Dio mio, il Signore lo rimproverò: Hai creduto, perché hai veduto (Gv 20, 27-29). E perché questo? Perché un profeta non è onorato nella sua patria. Ma siccome questo profeta presso gli stranieri viene onorato, ecco la dichiarazione: Beati quelli che credono senza aver veduto (Gv 20, 29). Questa beatitudine è per noi; è in noi che il Signore si è degnato realizzare ciò che allora esaltò. Quelli che lo crocifissero lo videro e lo palparono, e così pochi credettero; noi non abbiamo visto e non abbiamo toccato con mano: abbiamo udito e abbiamo creduto. Possa realizzarsi in noi fino alla perfezione la beatitudine che egli ha promesso qui, ora, perché siamo stati preferiti alla sua patria; nel secolo futuro, poiché siamo stati innestati al posto dei rami stroncati.

5. Il Signore fece capire che avrebbe stroncato quei rami e che avrebbe innestato l'olivo selvatico quando rimase commosso per la fede del centurione. Il centurione gli disse: Non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' una parola e il mio servo sarà guarito; poiché anch'io, benché sia un subalterno, ho sotto di me dei soldati, e dico ad uno: "Vai" ed egli va; e a un altro: "Vieni" e viene; e al mio servo: "Fa' questo" e lo fa. Il Signore, rivoltosi alla folla che lo seguiva, disse: Vi dico: neppure in Israele ho trovato tanta fede (Mt 8, 8-11; Lc 7, 6-9). Perché in Israele non aveva trovato tanta fede? Perché un profeta non è onorato nella sua patria. Non poteva dire, il Signore, a quel centurione ciò che disse all'ufficiale regio: Va', il tuo figliolo vive (Gv 4, 50)? Notate la differenza: questo ufficiale voleva che il Signore scendesse a casa sua, mentre il centurione se ne riteneva indegno. Al centurione il Signore dice: Io verrò a guarirlo (Mt 8, 7), all'ufficiale dice: Va', il tuo figliolo vive. Ad uno promette una sua visita, all'altro concede la guarigione con la sola parola. Eppure questi pretendeva che il Signore andasse da lui, quello non si reputava degno di tanto onore. In un caso il Signore cede alla pressione, nell'altro si arrende all'umiltà. All'ufficiale sembra voler dire: Va', il tuo figliolo vive, non mi tediare oltre; voi, se non vedete segni e prodigi, non credete; tu pretendi che io venga personalmente in casa tua, quando è sufficiente che io comandi con la parola; non pretendere segni per credere; il centurione, che è straniero, ha ritenuto sufficiente la mia parola e ha creduto prima ancora che io operassi, mentre voi, se non vedete segni e prodigi, non credete. Allora, se è così, vengano stroncati i rami superbi e venga innestato l'umile olivo selvatico; tuttavia, recisi quei rami e innestati altri, rimanga la radice. Dove è la radice? Nei Patriarchi. La patria di Cristo è infatti il popolo d'Israele, poiché secondo la carne egli proviene da quel popolo; però la radice di quell'albero sono i santi patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe. E dove sono adesso i patriarchi? Sono nella pace presso Dio, grandemente onorati: è nel seno di Abramo che il povero Lazzaro fu portato dopo la sua morte, ed è nel seno di Abramo che lo vide, da lontano, il ricco superbo (cf. Lc 16, 22-23). La radice dunque rimane, la radice viene esaltata. I rami superbi meritarono di essere recisi e di inaridire, mentre l'umile olivo selvatico è stato inserito al posto dei rami recisi (cf. Rm 11, 17).

 

OMELIA 17

Guarigione di un paralitico alla piscina probatica.

Discendere nell'acqua agitata significava credere umilmente nella passione del Signore. In essa veniva guarito uno solo per significare l'unità. Non veniva guarito nessun altro, perché chiunque si separi dall'unità, non può essere guarito.

[Il paralitico guarito simbolo di unità.]

1. Non ci si dovrebbe meravigliare che Dio abbia compiuto un miracolo; ci sarebbe da meravigliarsi se lo avesse compiuto un uomo. Dovrebbe riempirci di meraviglia e di gaudio più il fatto che il Signore e salvatore nostro Gesù Cristo sia diventato uomo, che non il fatto che egli abbia compiuto cose divine in mezzo agli uomini. E' più importante per la nostra salvezza ciò che egli si è fatto per gli uomini, che non ciò che ha fatto tra gli uomini; e conta più l'aver guarito i vizi delle anime che non l'aver guarito le malattie dei corpi mortali. Ma siccome l'anima stessa non conosceva colui che doveva guarirla, e aveva nella carne occhi per vedere i fatti fisici mentre non aveva ancora occhi sani nel cuore per conoscere Dio che era nascosto, il Signore fece delle cose che essa poteva vedere, per guarire quegli altri occhi che non erano capaci di vederlo. Egli entrò in un luogo dove giaceva una grande moltitudine d'infermi, ciechi, zoppi, paralitici; e siccome era il medico delle anime e dei corpi, ed era venuto per guarire tutte le anime dei credenti in lui, fra tutti ne scelse uno da guarire, a significare l'unità. Se consideriamo superficialmente e secondo il modo umano d'intendere e di conoscere le cose, non troveremo qui né un grande miracolo se pensiamo alla potenza di lui, né un atto di grande bontà se pensiamo alla sua benignità. Erano tanti, gli infermi, e uno solo fu guarito: eppure il Signore, con una sola parola, avrebbe potuto rimetterli tutti in piedi. Che cosa dobbiamo concludere, se non che quella potenza e quella bontà operavano più con lo scopo che le anime intendessero attraverso i suoi gesti il senso che essi possiedono in ordine alla salute eterna, che non allo scopo di procurare un qualche beneficio ai corpi in ordine alla salute temporale? Perché la salute dei corpi, quella vera, che attendiamo dal Signore, si otterrà alla fine dei secoli quando risorgeranno i morti: allora, ciò che vivrà non morrà più, ciò che sarà guarito non si ammalerà più; chi sarà stato saziato non avrà più né fame né sete, ciò che allora sarà rinnovato non invecchierà più. Se consideriamo, adesso, i fatti operati dal Signore e salvatore nostro Gesù Cristo, vediamo che gli occhi dei ciechi che egli aprì, furono richiusi dalla morte, e le membra dei paralitici da lui ricompaginate, furono nuovamente disgregate dalla morte; e così tutta la salute ridonata temporaneamente alle membra mortali, alla fine è venuta meno, mentre l'anima che ha creduto è passata alla vita eterna. Con la guarigione di questo infermo il Signore ha voluto offrire un grande segno all'anima che avrebbe creduto, i cui peccati egli era venuto a rimettere e le cui infermità era venuto a guarire con la sua umiliazione. Intendo parlare come posso del profondo mistero di questo fatto e di questo segno, secondo che il Signore mi vorrà concedere, contando sulla vostra attenzione e sulla vostra preghiera in soccorso alla mia debolezza. Alla mia insufficienza supplirà il Signore, con l'aiuto del quale io faccio quello che posso.

2. So di avervi parlato più d'una volta di questa piscina che aveva cinque portici, nei quali giaceva una grande moltitudine di infermi: quanto dirò non sarà una cosa nuova per molti di voi. Non è inutile però ritornare sulle cose già dette: così chi non le conosce ancora potrà apprenderle, e chi le conosce potrà approfondirle. Non sarà necessario soffermarci a lungo: basterà una breve esposizione. Penso che quella piscina e quell'acqua significhino il popolo giudaico. Che le acque simboleggiano i popoli ce lo dice chiaramente Giovanni nell'Apocalisse, quando, essendogli state mostrate molte acque e avendo egli chiesto che cosa significassero, gli fu risposto che le acque sono i popoli (cf. Apoc 17, 15). Quell'acqua, dunque, cioè quel popolo, era circondato dai cinque libri di Mosè come da cinque portici. Ma quei libri erano destinati a rivelare l'infermità, non a guarire gli infermi. La legge infatti costringeva gli uomini a riconoscersi peccatori, ma non li assolveva. Perciò, la lettera senza la grazia creava dei colpevoli, che, riconoscendosi tali, sarebbero stati liberati dalla grazia. E' quanto dice l'Apostolo: Se infatti fosse stata concessa una legge capace di dare la vita, la giustizia verrebbe davvero dalla legge. Perché, allora, è stata data la legge? Continua l'Apostolo: La Scrittura però ha tutto rinchiuso sotto il peccato, affinché ai credenti la promessa fosse concessa in virtù della fede in Gesù Cristo (Gal 3, 21-22). Niente di più chiaro. Non ci danno, forse, queste parole, la spiegazione dei cinque portici e della moltitudine degli infermi? I cinque portici rappresentano la legge. Perché i cinque portici non riuscivano a guarire gli infermi? Perché se fosse stata concessa una legge capace di dare la vita, la giustizia verrebbe davvero dalla legge. Perché non riuscivano a guarire quelli che contenevano? Perché la Scrittura ha rinchiuso tutto sotto il peccato, affinché ai credenti la promessa fosse concessa in virtù della fede in Gesù Cristo.

3. E come mai guarivano nell'acqua agitata, quanti non riuscivano a guarire nei portici? Infatti, si vedeva l'acqua improvvisamente agitata e non si vedeva chi era ad agitarla. E' da credere che ciò avvenisse per virtù angelica, non senza allusione ad un mistero. Non appena l'acqua veniva agitata, il primo malato che riusciva ad immergervisi, guariva; dopo di lui, chiunque altro si gettasse nell'acqua, lo faceva inutilmente. Che significa questo, se non che è venuto un solo Cristo per il popolo giudaico e, con le sue grandi opere, con i suoi insegnamenti salutari, ha turbato i peccatori; con la sua presenza ha agitato le acque provocando la sua passione? Ma agitò l'acqua rimanendo nascosto. Infatti, se l'avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1 Cor 2, 8). Scendere nell'acqua agitata significa, dunque, credere umilmente nella passione del Signore. Nella piscina veniva guarito uno solo a significare l'unità. Chiunque arrivasse dopo, non veniva guarito perché fuori dell'unità non si può guarire.

[Il significato sacro del numero quaranta.]

4. Vediamo ora che cosa ha voluto significare il Signore con quell'uno che solo fra tutti i malati guarì, allo scopo, come abbiamo già detto, di conservare il mistero dell'unità. Riscontrò negli anni della sua malattia un numero che simboleggiava l'infermità. Era ammalato da trentotto anni (Io 5, 5). Va spiegato un po' meglio come questo numero si riferisca più alla malattia che alla guarigione. Fate attenzione, vi prego: il Signore mi aiuterà a parlare in modo adeguato, sicché voi possiate sentire quanto basta. Il quaranta è un numero sacro ed è simbolo di perfezione. Credo che ciò sia noto a vostra Carità. Lo attestano insistentemente le divine Scritture. Il digiuno, come sapete, ricevette il suo carattere sacro da questo numero. Mosè digiunò quaranta giorni (cf. Ex 34, 28), altrettanto Elia (cf. 3 Reg 19, 8), e lo stesso Signore e salvatore Gesù Cristo con il suo digiuno arrivò a questo numero di giorni (cf. Mt 4, 2). Ora, Mosè rappresenta la Legge, Elia i Profeti, il Signore il Vangelo. Per questo apparvero tutti e tre su quel monte, dove il Signore si mostrò ai discepoli sfolgorante nel volto e nella veste (cf. Mt 17, 1-3). Egli apparve in mezzo a Mosè ed Elia, quasi a significare che il Vangelo riceveva testimonianza dalla Legge e dai Profeti (cf Rom 3, 21). Tanto nella Legge, dunque, quanto nei Profeti e nel Vangelo, il numero quaranta appare legato al digiuno. Ora, il digiuno vero e completo, il digiuno perfetto, consiste nell'astenersi dall'iniquità e dai piaceri illeciti del mondo: affinché rinnegando l'empietà e le cupidigie del secolo, si viva in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà. Quale ricompensa, secondo l'Apostolo, è riservata a tale digiuno? Continua dicendo: aspettando quella beata speranza e la manifestazione della gloria del beato Iddio, e Salvatore nostro Gesù Cristo (Tit 2, 12-13). Noi celebriamo in questo mondo come una quarantena di astinenza quando viviamo bene, quando ci asteniamo dalla iniquità e dai piaceri illeciti; e siccome questa astinenza non sarà senza una ricompensa, aspettiamo quella beata speranza e la manifestazione della gloria del grande Iddio e Salvatore nostro Gesù Cristo. In virtù di questa speranza, quando la speranza sarà diventata realtà, riceveremo in ricompensa un denaro. E' la ricompensa che, secondo il Vangelo, vien data agli operai della vigna (cf Mt 20, 9-10). Ricordate? Spero infatti di non dovervi sempre ricordare tutto, come a gente rozza ed incolta. Si riceverà, dunque, come ricompensa un denaro corrispondente al numero dieci, che, addizionato a quaranta, fa cinquanta. Per questo celebriamo nella penitenza i quaranta giorni prima della Pasqua, e nella letizia, come chi ha ricevuto la ricompensa, i cinquanta giorni dopo la Pasqua. A questa salutare disciplina di opere buone, cui si riferisce il numero quaranta, si viene ad aggiungere il denaro del riposo e della felicità, e si ha così il numero cinquanta.

5. Lo stesso Signore Gesù ha voluto significare questo più chiaramente, quando, dopo la risurrezione, passò in terra quaranta giorni con i suoi discepoli (cf. Act 1, 3); e, asceso al cielo nel quarantesimo giorno, dopo altri dieci giorni, inviò il dono dello Spirito Santo (cf. Act 2, 1-4). Questi misteri sono stati prefigurati, e i segni hanno preceduto la realtà. Di tali segni ci nutriamo, in attesa di giungere alle realtà permanenti. Siamo operai che ancora stanno lavorando nella vigna; terminato il giorno, compiuta l'opera, ci verrà data la ricompensa. Ma quale operaio può resistere fino alla ricompensa se non si nutre durante il lavoro? Tu non dai al tuo operaio soltanto la mercede, ma gli procuri altresì l'alimento necessario per ristorarsi durante la fatica. Sì, nutri colui al quale darai la ricompensa. Con questi contenuti della Scrittura il Signore intende nutrire anche noi che ci affatichiamo a scoprirli. Se ci fosse negata la gioia che ci viene dall'intelligenza dei misteri, verremmo meno nella fatica e nessuno giungerebbe alla ricompensa.

[La carità compimento della legge.]

6. In che senso, ora, il numero quaranta è simbolo dell'opera compiuta? Forse perché la legge è stata articolata in dieci precetti, e doveva essere predicata in tutto il mondo, il quale mondo si compone di quattro parti: oriente, occidente, mezzogiorno e settentrione; per cui, moltiplicando il numero dieci per quattro, abbiamo quaranta. Oppure, perché il Vangelo, che è in quattro libri, è il compimento della legge, secondo quanto nel Vangelo stesso è detto: Non sono venuto per abolire la legge, ma per compierla (Mt 5, 17), Sia per una ragione, sia per l'altra, sia per un'altra ancora che a noi sfugge, anche se non sfugge a chi è più dotto, è certo che il numero quaranta indica una certa perfezione nelle buone opere, perfezione che consiste soprattutto nell'esercizio dell'astinenza dai desideri illeciti del mondo, cioè nel digiuno inteso nel senso più vero. Ascolta ancora l'Apostolo che dice: La carità è il compimento della legge (Rom 13, 10). E donde nasce la carità? Dalla grazia di Dio, dallo Spirito Santo. Non proviene da noi, non ne siamo noi gli autori. E' dono di Dio, e grande dono di Dio: La carità di Dio è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato (Rom 5, 5). La carità, dunque, compie la legge, come giustamente è stato detto: La carità è il compimento della legge. Cerchiamola, questa carità, come il Signore ci raccomanda. Ricordate il mio proposito: spiegare il significato dei trentotto anni di quell'infermo; perché quel numero trentotto debba riferirsi piuttosto alla malattia che alla guarigione. La carità, dicevo, è il compimento della legge. Il numero quaranta indica il compimento della legge in tutte le azioni, e la carità ci vien presentata in due precetti. Fate attenzione, vi prego, e fissate nella vostra memoria quanto vi dico, per non esporvi al disprezzo della parola, facendo diventare l'anima vostra una strada dove il seme gettato non germoglia: Verranno gli uccelli e se lo mangeranno (Mc 4, 4). Accogliete e tutto custodite nel vostro cuore. Due sono i precetti della carità che il Signore raccomanda: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente; e amerai il prossimo tuo come te stesso. A questi due precetti si riduce tutta la Legge e i Profeti (Mt 22, 37-40). A ragione quella povera vedova che mise due spiccioli nel tesoro del tempio per offerta a Dio, diede tutto ciò che aveva per vivere (cf. Lc 21, 2-4); così, per guarire quell'infermo ferito dai briganti, l'albergatore ricevette due monete (cf. Lc 10, 35); così, Gesù passò due giorni presso i Samaritani per rafforzarli nella carità (cf. Io 4, 40). Essendo dunque il numero due simbolo di una cosa buona, per mezzo di esso viene soprattutto inculcata la carità distinta in due precetti. Ora, se il numero quaranta significa perfezione della legge, e se la legge non si compie se non mediante il duplice precetto della carità, ti fa meraviglia che quell'uomo fosse infermo da quarant'anni meno due?

7. Vediamo ora in che modo misterioso il Signore guarì questo infermo. E' venuto infatti il Signore, maestro della carità, pieno di carità, a ricapitolare - come di lui era stato predetto - la parola sulla terra (Is 10, 23; 28, 22; Rom 9, 28), e a mostrare che nei due precetti della carità tutta la Legge e tutti i Profeti sono riassunti. In questi due precetti sono racchiusi Mosè col suo digiuno di quaranta giorni, ed Elia con il suo; e questo numero anche il Signore scelse a propria testimonianza. Il paralitico è guarito dal Signore in persona; ma prima che cosa gli dice Gesù? Vuoi essere guarito? (Io 5, 6). Quello risponde che non ha un uomo che lo immerga nella piscina. Sì, per essere guarito aveva assolutamente bisogno di un uomo, ma di un uomo che fosse anche Dio. Unico infatti è Iddio, unico anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù (1 Tim 2, 5). E' venuto dunque l'uomo che era necessario; perché differire ancora la guarigione? Alzati - gli dice il Signore - prendi il tuo lettuccio e cammina (Io 5, 8). Tre cose gli ha detto: Alzati, prendi il tuo lettuccio, cammina. Ma la parola alzati, non espresse il comando di qualcosa da farsi, ma l'atto stesso della guarigione. All'infermo già guarito, il Signore ordina poi due cose: Prendi il tuo lettuccio e cammina. Ora io vi domando: non bastava ordinargli: cammina? oppure dire soltanto alzati? Una volta alzatosi guarito, sicuramente non sarebbe rimasto là. Non si sarebbe alzato per camminare? Mi colpisce anche il fatto che il Signore abbia comandato due cose a quell'uomo che egli aveva trovato infermo da quarant'anni meno due. Era come comandargli le altre due cose che gli mancavano per arrivare a quaranta.

[Per vedere Dio bisogna amare il prossimo.]

8. Come, adesso, possiamo vedere simboleggiati in questi due ordini del Signore - Prendi il tuo lettuccio e cammina - i due precetti? Ricordiamo insieme, o fratelli, quali sono questi due precetti. Essi infatti debbono essere ben presenti in voi: non dovete richiamarli alla mente solo quando ve li ricordiamo; anzi, mai devono cancellarsi dai vostri cuori. Sempre, in ogni istante, dovete ricordarvi che si deve amare Dio e il prossimo: Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, e il prossimo come noi stessi (Lc 10, 27). Questo è ciò che dovete pensare sempre, meditare sempre, ricordare sempre, praticare sempre, compiere sempre alla perfezione. L'amore di Dio è il primo che viene comandato, l'amore del prossimo è il primo che si deve praticare. Enunciando i due precetti dell'amore, il Signore non ti raccomanda prima l'amore del prossimo e poi l'amore di Dio, ma mette prima Dio e poi il prossimo. Ma siccome Dio ancora non lo vedi, meriterai di vederlo amando il prossimo. Amando il prossimo rendi puro il tuo occhio per poter vedere Dio come chiaramente dice Giovanni: Se non ami il fratello che vedi, come potrai amare Dio che non vedi? (1 Io 4, 20). Ti vien detto: ama Dio. Se tu mi dici: mostrami colui che devo amare, ti risponderò con Giovanni: Nessuno ha mai veduto Dio (Io 1, 18). Con ciò non devi assolutamente considerarti escluso dalla visione di Dio, perché l'evangelista afferma: Dio è carità, e chi rimane nella carità rimane in Dio (1 Io 4, 16). Ama dunque il prossimo, e mira dentro di te la fonte da cui scaturisce l'amore del prossimo: ci vedrai, in quanto ti è possibile, Dio. Comincia dunque con l'amare il prossimo. Spezza il tuo pane con chi ha fame, e porta in casa tua chi è senza tetto; se vedi un ignudo, vestilo, e non disprezzare chi è della tua carne. Facendo così, che cosa succederà? Allora sì che quale aurora eromperà la tua luce (Is 58, 7-8). La tua luce è il tuo Dio. Egli è per te luce mattutina, perché viene a te dopo la notte di questo mondo. Egli non sorge né tramonta, risplende sempre. Sarà luce mattutina per te che ritorni, lui che per te era tramontato quando t'eri perduto. Dunque, con quel prendi il tuo lettuccio e cammina, mi sembra che il Signore voglia dire: ama il tuo prossimo.

[Camminare insieme.]

9. Rimane oscuro e richiede spiegazione, a mio parere, il fatto che il Signore comanda l'amore del prossimo nell'atto in cui ordina di prendere il lettuccio, non sembrandoci conveniente che il prossimo venga paragonato ad una cosa piuttosto banale e inanimata, come è un lettuccio. Non si offenda il prossimo, se il Signore ce lo raccomanda per mezzo di una cosa priva di anima e di intelligenza. Lo stesso Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo fu chiamato pietra angolare, destinato a riunire in sé due muri, cioè due popoli (cf. Eph 2, 14-20). Fu chiamato anche rupe, da cui scaturì l'acqua: E quella rupe era Cristo (1 Cor 10, 4). Che meraviglia, dunque, se il prossimo è simboleggiato nel legno del lettuccio, dal momento che Cristo fu simboleggiato nella rupe? Non qualsiasi legno, tuttavia, è simbolo del prossimo, come non qualsiasi rupe era simbolo di Cristo, ma quella rupe da cui scaturiva l'acqua per gli assetati; né una qualunque pietra, ma la pietra angolare che unì in sé i due muri di opposta provenienza. Così non devi vedere il simbolo del prossimo in qualsiasi legno, ma nel lettuccio. Ora io ti domando: perché proprio nel lettuccio viene simboleggiato il prossimo, se non perché quel tale mentre era infermo veniva portato nel lettuccio, e, una volta guarito, era lui a portare il lettuccio? Cosa dice l'Apostolo? Portate i pesi gli uni degli altri, e così voi adempirete la legge di Cristo (Gal 6, 2). La legge di Cristo è la carità, e la carità non si compie se non portiamo i pesi gli uni degli altri. Sopportatevi a vicenda con amore, - aggiunge l'Apostolo - e studiatevi di conservare l'unita dello spirito mediante il vincolo della pace (Eph 4, 2-3). Quando tu eri infermo venivi portato dal tuo prossimo; adesso che sei guarito devi essere tu a portare il tuo prossimo: Portate i pesi gli uni degli altri, e così voi adempirete la legge di Cristo. E' così, o uomo, che tu completerai ciò che ti mancava. Prendi, dunque, il tuo lettuccio. E quando l'avrai preso, non fermarti, cammina! Amando il prossimo e interessandoti di lui, tu camminerai. Quale cammino farai, se non quello che conduce al Signore Iddio, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo lo abbiamo sempre con noi. Porta dunque colui assieme al quale cammini, per giungere a Colui con il quale desideri rimanere per sempre. Prendi, dunque, il tuo lettuccio e cammina.

10. Così fece quello, e i Giudei si scandalizzarono. Essi vedevano un uomo portare il suo giaciglio di sabato e non osavano prendersela col Signore che lo aveva guarito di sabato, perché temevano che rispondesse: Chi di voi, se un giumento gli cade nel pozzo, non lo tira fuori in giorno di sabato, e non lo salva? (cf. Lc 14, 5). Perciò non rimproveravano lui d'aver guarito un uomo di sabato, ma facevano osservazione a quell'uomo perché portava il suo giaciglio. Ammesso che non si dovesse rinviare la guarigione, era lecito dare quell'ordine? Perciò dicevano: Non ti è lecito fare quello che fai, portar via il tuo lettuccio. E quello appellandosi all'autore della sua guarigione: Chi mi ha guarito, mi ha detto: Prendi il tuo letto e cammina. Potevo non accettare un ordine da chi avevo ricevuto la guarigione? E quelli: Chi è quell'uomo che ti ha detto: Prendi il tuo letto e cammina? (Io 5, 10-12).

11. Il guarito non sapeva chi fosse l'uomo che gli aveva dato quell'ordine. Gesù infatti - dopo aver compiuto il miracolo e dato l'ordine - era scomparso tra la folla (Io 5, 13). Notate questo particolare. Noi portiamo il prossimo e camminiamo verso Dio; e allo stesso modo che noi non vediamo ancora Colui verso il quale camminiamo, così quello non conosceva ancora Gesù. E' un mistero che ci viene suggerito: noi crediamo in Colui che ancora non vediamo, ed Egli per non esser visto, scompare tra la folla. E' difficile scorgere Cristo in mezzo alla folla. La nostra anima ha bisogno di solitudine. Nella solitudine, se l'anima è attenta, Dio si lascia vedere. La folla è chiassosa: per vedere Dio è necessario il silenzio. Prendi il tuo lettuccio, porta il tuo prossimo, dal quale sei stato portato; e cammina, per raggiungere Dio. Non cercare Gesù tra la folla, perché egli non è uno della folla: ha preceduto in tutti i modi la folla. Quel grande Pesce salì per primo dal mare, e siede in cielo ad intercedere per noi: egli solo, come grande sacerdote, è penetrato nel Santo dei Santi oltre il velo, mentre la folla rimane fuori. Cammina, tu che porti il prossimo; purché abbia imparato a portarlo, tu che eri abituato a farti portare. Insomma, tu ancora non conosci Gesù, ancora non vedi Gesù; ma ascolta ciò che segue. Siccome quello non abbandonò il suo lettuccio e seguitava a camminare, poco dopo Gesù lo incontrò nel tempio. Non lo aveva incontrato in mezzo alla folla, lo incontrò nel tempio. Il Signore Gesù vedeva lui sia tra la folla, sia nel tempio; l'infermo non riconobbe Gesù tra la folla, ma solo nel tempio. Quello, dunque, raggiunse il Signore: lo incontrò nel tempio, nel luogo sacro, nel luogo santo. E che cosa si sentì dire? Ecco, sei guarito; non peccare più, affinché non ti succeda di peggio (Io 5, 14).

12. Allora quell'uomo, dopo che ebbe visto Gesù e seppe che era lui l'autore della sua guarigione, senza indugio corse ad annunciare chi aveva visto: se ne andò a dire ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo (Io 5, 15). Quell'annuncio li riempì di furore: egli proclamava la sua salvezza, ma quelli non cercavano la propria.

[Il mistero del sabato.]

13. 1 Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva queste cose di sabato. Sentiamo che cosa risponde il Signore ai Giudei. Vi ho già detto cosa era solito rispondere, a proposito delle guarigioni operate di sabato: che loro non lasciavano perire, di sabato, i loro animali, alzandoli se caduti o nutrendoli. A proposito del giaciglio portato di sabato che cosa risponde? Agli occhi dei Giudei appariva senz'altro un'opera corporale, non la guarigione del corpo, ma l'attività del corpo, tanto più che questa non sembrava così necessaria come la guarigione. Ci riveli, dunque, il Signore, il mistero del sabato e il significato dell'osservanza di quel giorno di riposo temporaneamente prescritta ai Giudei, e ci insegni come questo mistero abbia trovato in lui il suo compimento. Il Padre mio - dice - continua ad agire ed anch'io agisco (Io 5, 16-17). Provocò in mezzo ad essi un grande tumulto: l'acqua è agitata dalla venuta del Signore, ma colui che la agita rimane nascosto. Tuttavia per l'agitazione dell'acqua, cioè per la passione del Signore, il mondo intero, come un solo grande malato, ottiene la guarigione.

14. Vediamo dunque la risposta della Verità: Il Padre mio continua ad agire e anch'io agisco. Allora non è vero quello che dice la Scrittura, che Dio si riposò nel settimo giorno da tutte le sue opere (Gen 2, 2)? E il Signore contraddirebbe questa Scrittura, dovuta a Mosè, quando egli stesso dice ai Giudei: Se credeste a Mosè, credereste anche a me; di me infatti egli ha scritto (Io 5, 46)? Vediamo, dunque, se le parole di Mosè: nel settimo giorno Dio si riposò, non abbiano un altro significato. Dio infatti non aveva cessato di lavorare sospendendo l'opera della creazione, né aveva bisogno di riposo come l'uomo. Come poteva stancarsi colui che aveva fatto tutto mediante la parola? Tuttavia è vero che nel settimo giorno Iddio si riposò, ed è ugualmente vero ciò che dice Gesù: il Padre mio continua ad agire. Ma come potrà spiegare questo mistero un uomo ad altri uomini come lui, deboli come lui, come lui ignoranti e desiderosi di apprendere? E ammesso che un uomo abbia capito qualcosa, come potrà esprimerlo e spiegarlo a chi tanto difficilmente intende anche quando si riesce ad esprimere ciò che si capisce? Chi riuscirà, o miei fratelli, a spiegare a parole come possa Dio operare senza affaticarsi e riposarsi continuando ad operare? Aspettate, vi prego, di aver fatto ulteriori progressi nella via di Dio. Per vedere questo bisogna essere arrivati nel tempio di Dio, nel luogo santo. Caricatevi del prossimo e camminate. Arriverete a vedere Dio là dove non avrete più bisogno di parole umane.

15. Credo si possa dire, piuttosto, che il riposo di Dio nel settimo giorno era un grande segno misterioso dello stesso Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo, il quale dichiarò: Il Padre mio continua ad agire, e anch'io agisco. Anche il Signore Gesù è Dio. Egli è il Verbo di Dio, e voi avete sentito che in principio era il Verbo; e non un verbo qualsiasi, ma il Verbo era Dio, e tutte le cose furono fatte per mezzo di lui (Io 1, 1 3). Qui forse c'è il significato del riposo di Dio da tutte le sue opere nel settimo giorno. Leggete infatti il Vangelo e vedrete quante cose mirabili Gesù ha compiuto. Ha operato sulla croce la nostra salvezza, affinché si compissero in lui tutti gli oracoli dei profeti; fu coronato di spine, fu appeso alla croce; disse: Ho sete (Io 19, 28), e prese l'aceto di cui era imbevuta la spugna, affinché si adempisse la profezia: Nella mia sete mi hanno abbeverato con aceto (Ps 68, 22). Ma quando tutte le sue opere furono compiute, nel giorno sesto, reclinò il capo e rese lo spirito, e il sabato si riposò nel sepolcro da tutte le sue fatiche. Quindi è come se dicesse ai Giudei: Perché vi aspettate che io non operi di sabato? La legge del sabato vi è stata data in riferimento a me. Volgete l'attenzione alle opere di Dio: io ero presente quando esse venivano compiute e tutte sono state compiute per mio mezzo. Io so che il Padre mio continua ad agire. Il Padre ha creato la luce; egli disse: Sia fatta la luce (cf. Gen 1, 3); ma, se disse, vuol dire che operò per mezzo del Verbo. Ed io ero, io sono il suo Verbo; per mezzo mio attraverso quelle opere il mondo è stato creato, e per mezzo mio attraverso queste opere il mondo è governato. Il Padre mio operò allora, quando creò il mondo, e ancora adesso opera governando il mondo. Creando ha creato per mezzo mio, governando governa per mezzo mio. Questo ha detto il Signore, ma a chi? A dei sordi, a dei ciechi, a degli zoppi, a dei malati che non volevano saperne del medico, e nella loro pazzia volevano ucciderlo.

16. Proseguendo l'evangelista dice: Per questo, a maggior ragione, i Giudei volevano ucciderlo, perché non solo violava il sabato, ma chiamava Dio suo proprio Padre. E non chiamava Dio suo padre in senso generico, ma in senso preciso e unico: facendosi uguale a Dio (Io 5, 18). Infatti anche noi diciamo a Dio: Padre nostro che sei nei cieli (Mt 6, 9); dalla Scrittura sappiamo anche che i Giudei dicevano a Dio: Sei tu il nostro padre (Is 63, 16; 64, 8). Non reagivano perché chiamava Dio suo padre in questo senso, ma perché lo chiamava padre suo in un senso assolutamente diverso da come lo chiamano gli uomini. I Giudei hanno capito ciò che invece gli Ariani non capiscono. Gli Ariani dicono che il Figlio non è uguale al Padre, e di qui l'eresia che affligge la Chiesa. Ecco, gli stessi ciechi, gli stessi che giunsero a uccidere Cristo, compresero il senso delle parole di Cristo. Non compresero che era lui il Cristo, tanto meno che era il Figlio di Dio, e tuttavia hanno compreso che con quelle parole egli si presentava come Figlio di Dio, uguale a Dio. Non sapevano chi fosse, ma si rendevano conto che si presentava come Figlio di Dio, perché chiamava Dio suo padre, facendosi uguale a Dio. Ma forse che non era uguale a Dio? Non era lui a farsi uguale a Dio, ma era Dio che lo aveva generato uguale a sé. Se di sua iniziativa si fosse fatto uguale a Dio, tale usurpazione lo avrebbe fatto cadere in disgrazia di Dio. Colui, infatti, che pretese di farsi uguale a Dio, senza esserlo, cadde in disgrazia (cf. Is 14, 14-15), e da angelo diventò diavolo, e propinò all'uomo il veleno della superbia per cui questi fu cacciato dal paradiso. Infatti, cosa suggerì all'uomo, che invidiava perché era rimasto in piedi mentre lui era caduto? Gustate il frutto, e diventerete come dèi (Gen 3, 5); cioè, carpite con la frode ciò che non siete, come ho fatto io che, avendo tentato di usurpare la natura divina, sono stato cacciato. Non si esprimeva proprio così, ma questo era il contenuto della sua tentazione. Cristo invece non era diventato, ma era nato uguale al Padre: è stato generato dalla stessa sostanza del Padre, come ce lo ricorda l'Apostolo: Egli, pur essendo della stessa forma di Dio, non stimò un'usurpazione l'essere uguale a Dio. Che significa non stimò un'usurpazione? Significa che non usurpò la sua uguaglianza con Dio, poiché la possedeva già fin dalla nascita. E noi, come potremo pervenire a colui che è uguale a Dio? Egli annientò se stesso col prendere forma di servo (Phil 2, 6-7). Annientò se stesso, non perdendo ciò che era, ma assumendo ciò che non era. I Giudei disprezzando questa forma di servo, erano incapaci di comprendere che Cristo Signore era uguale al Padre, benché non potessero dubitare che questo di sé egli affermava: anzi per questo lo perseguitavano. Gesù, tuttavia, li sopportava e cercava di guarire quelli che si accanivano contro di lui.

 

OMELIA 18

Rientra in te stesso perché in te c'è l'immagine di Dio. Nel profondo dell'uomo abita Cristo: nella profondità del tuo essere tu vieni rinnovato come immagine di Dio, e in questa immagine tu puoi riconoscere il Creatore.

[Busso con voi, sono nutrito insieme con voi.]

1. L'evangelista Giovanni, tra i suoi compagni e colleghi Evangelisti, ha ricevuto dal Signore - sul cui petto stava appoggiato nell'ultima cena (cf. Io 13, 25), a significare con ciò che attingeva i segreti più profondi dall'intimo del suo cuore - il dono precipuo e singolare di annunciare intorno al Figlio di Dio verità capaci di stimolare le intelligenze dei semplici, forse attente ma non ancora preparate a riceverle pienamente. Alle menti alquanto mature e che interiormente hanno raggiunto una certa età adulta, con le sue parole egli offre uno stimolo e un nutrimento. Avete sentito ciò che vi è stato letto, e certo ricorderete in quale occasione queste parole furono pronunciate. Ieri, infatti, si è letto che per questo i Giudei cercavano di uccidere Gesù, perché non solo violava il sabato, ma chiamava Dio suo proprio Padre, facendosi uguale a Dio (Io 5, 18). Ciò che dispiaceva ai Giudei, piaceva invece a suo Padre; e non può non piacere anche a quelli che onorano il Figlio come onorano il Padre; perché, se a loro non piace, anch'essi cesseranno di piacere a Dio. Poiché Dio non sarà più grande, se piace a te; ma tu sarai più piccolo, se egli a te dispiace. A questa loro calunnia, proveniente da ignoranza o da malizia, il Signore risponde non tanto per farsi capire, quanto piuttosto per scuoterli e sconvolgerli; e può darsi che così, almeno sconvolti, ricerchino il medico. Le sue parole, però, sarebbero state scritte affinché anche noi potessimo leggerle. Vedremo dunque quale effetto abbiano prodotto nell'animo dei Giudei mentre le ascoltavano, e ancor più quale effetto producano in noi nell'ascoltarle ora. Le eresie e certe teorie aberranti, che sono come dei lacci tesi alle anime per farle precipitare nell'abisso, sono nate proprio da errate interpretazioni delle Sacre Scritture e da frettolose e temerarie conclusioni tratte da tali errate interpretazioni. Quindi, o carissimi, dobbiamo ascoltare queste cose con molta cautela, convinti che non siamo abbastanza maturi per intenderle bene, attenendoci scrupolosamente e con timore, come ammonisce la Sacra Scrittura, a questa regola salutare: gustare come cibo sostanzioso quanto riusciamo a capire alla luce della fede cui siamo stati iniziati; quando invece non riusciamo a capire secondo la sana regola della fede, respingere ogni dubbio, e rimandare la comprensione completa ad altro momento. Così che, se anche non riuscissimo ad intendere il senso di un determinato passo, non dobbiamo assolutamente dubitare che sia buono e vero. Quanto a me, o fratelli, che ho accettato di rivolgervi la parola, tenete presente chi sono io che mi sono assunto questo impegno e l'impegno che mi sono assunto: mi sono impegnato a trattare cose divine io che sono un uomo come voi, cose spirituali io che sono un essere di carne, cose eterne io mortale come voi. Se voglio conservarmi sano in quella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità (cf. 1 Tim 3, 15), io pure devo liberarmi da ogni vana presunzione. E' secondo la mia limitata capacità che io comprendo ciò che metto davanti a voi. Se la porta si apre, io mi nutro con voi; se rimane chiusa, busso con voi.

2. I Giudei dunque si agitarono e s'indignarono; e giustamente, poiché un uomo osava farsi uguale a Dio, ma proprio per questo erroneamente, ché in quell'uomo non sapevano scorgere Dio. Vedevano la carne e non riconoscevano Dio. Distinguevano l'abitacolo e non chi vi abitava; quel corpo era un tempio, all'interno vi dimorava Dio. Non certo nella carne Gesù si uguagliava al Padre, non nella forma di servo si paragonava al Signore: si faceva uguale a lui non in ciò che per noi si è fatto, ma in ciò che egli era quando ci fece. Chi è il Cristo, infatti, lo sapete (parlo a cattolici) per aver abbracciato la vera fede: non è solamente Verbo, né solo carne, ma è il Verbo fattosi carne per abitare fra noi. Vi richiamo ciò che voi bene conoscete: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio: qui egli è uguale al Padre. Ma il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Io 1, 1.14): di questa carne il Padre è più grande. Il Padre è insieme uguale e più grande: uguale al Verbo e più grande della carne, uguale a colui per mezzo del quale ci creò e superiore a colui che per noi diventò creatura. A questa sana regola cattolica che prima di tutto dovete conoscere e poi, dopo averla conosciuta, seguire, dalla quale la vostra fede non deve mai discostarsi e nessun argomento umano deve mai strappare dal vostro cuore - a questa regola riportiamo ciò che riusciamo a comprendere, in attesa di essere in grado di riportarvi anche ciò che per ora non riusciamo a comprendere. Sappiamo dunque che il Figlio di Dio è uguale al Padre, perché sappiamo che in principio il Verbo era Dio. Perché allora i Giudei cercavano di ucciderlo? Perché non solo violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Essi vedevano la carne e non vedevano il Verbo. Che il Verbo dunque parli contro di loro attraverso la carne; colui che sta dentro si faccia sentire per mezzo della sua abitazione, affinché, chi è in grado, possa riconoscere chi è colui che vi abita.

3. Che cosa dice ai Giudei? Rispose dunque Gesù, e disse loro - a quelli che si erano scandalizzati perché si era fatto uguale a Dio -: In verità, in verità vi dico: il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre (Io 5, 19). Il Vangelo non dice cosa risposero i Giudei: forse tacquero. Non tacciono, invece, taluni che pretendono chiamarsi cristiani, che anzi da queste stesse parole prendono pretesto per dire contro di noi cose che non possiamo trascurare né per loro né per noi. Gli Ariani, senza dubbio eretici, quando dicono che il Figlio che prese la carne è inferiore al Padre, non solo dopo la sua incarnazione ma anche prima, e che non è della stessa sostanza del Padre, è da queste parole che prendono pretesto per la loro calunnia. Essi così argomentano: Vedete che il Signore Gesù, rendendosi conto che i Giudei erano scandalizzati perché egli si era fatto uguale a Dio Padre, aggiunse quelle parole con cui dimostra di non essere uguale. I Giudei - continuano gli Ariani - erano indignati contro il Cristo perché egli si faceva uguale a Dio; e il Cristo, volendoli tranquillizzare, e volendo dimostrare loro che il Figlio non è uguale al Padre, cioè che non è uguale a Dio, dice in sostanza così: Perché vi adirate? perché vi indignate? Io non sono uguale a Dio perché il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Colui infatti - essi concludono - che non può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre, è senz'altro inferiore al Padre, non uguale.

4. L'eretico che segue la logica distorta e riprovevole del suo cuore, ci ascolti ora che ci rivolgiamo a lui non polemizzando ma chiedendogli che ci spieghi il suo punto di vista. Chiunque tu sia - supponiamo che tu sia qui presente -, credo che riconoscerai con noi che in principio era il Verbo. Dici che sei d'accordo. Riconosci altresì che il Verbo era presso Dio? Riconosci anche questo. Seguimi allora, e a maggior ragione riconoscerai che il Verbo era Dio. E tu dichiari che anche su questo sei d'accordo, ma aggiungi che quel Dio è più grande e quest'altro è più piccolo. Avverto ormai un non so che di pagano, mentre credevo di parlare con un cristiano! Se esiste un Dio più grande e un Dio più piccolo, vuol dire che noi adoriamo due dèi, non un solo Dio. Ma non dite la stessa cosa anche voi - tu replichi - quando parlate di due dèi uguali fra loro? No, non è questo che noi diciamo: noi riconosciamo questa uguaglianza, ma riconosciamo al tempo stesso la carità indivisibile: e se la carità è indivisibile, c'è la perfetta unità. Se, infatti. la carità che Dio ha infuso negli uomini fa sì che i cuori di molti siano un cuore solo, e di molte anime fa un'anima sola, come è scritto negli Atti degli Apostoli a proposito dei credenti che vicendevolmente si amavano: Essi avevano un'anima sola e un cuore solo protesi verso Dio (Act 4, 32); se, dunque, la mia anima e la tua anima, qualora ci amiamo e abbiamo gli stessi sentimenti, sono una sola anima, quanto più Dio Padre e Dio Figlio sono nella fonte dell'amore un solo Dio?

5. Sì, tieni conto di queste parole che hanno commosso il tuo cuore, e riprendiamo la nostra riflessione sul Verbo. Riconosciamo entrambi che il Verbo era Dio: ora voglio sottolineare un'altra cosa. Dopo aver detto: Questo era in principio presso Dio, l'evangelista aggiunge: Tutte le cose per mezzo di lui furon fatte. Adesso ti metto in crisi, adesso ti metto in contraddizione, mi appello a te contro di te. Tieni presenti queste affermazioni che si riferiscono al Verbo, e cioè che il Verbo era Dio, e che tutte le cose per mezzo di lui furon fatte. Ascolta adesso le parole che ti hanno turbato al punto da farti dire che il Figlio è inferiore al Padre, precisamente perché ha detto: Il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. E' così, tu dici. Ora dimmi: credo che tu l'intendi in questo modo: Quando il Padre si mette a fare qualcosa, il Figlio sta a vedere come egli fa, per poter poi a sua volta fare ciò che ha visto compiere dal Padre. Cioè, tu consideri il Padre e il Figlio come due artigiani, uno maestro e l'altro discepolo, il padre artigiano che addestra nella sua arte il figlio. Cerco di mettermi al livello della tua mentalità e di entrare per un momento nel tuo ordine di pensieri; vediamo se questa nostra maniera di pensare è compatibile con ciò che insieme abbiamo detto e assodato, e cioè che il Verbo è Dio, e che tutto per mezzo di lui è stato fatto. Supponiamo, dunque, che il Padre sia l'artigiano che compie una determinata opera e che il Figlio sia il discepolo, il quale non può far nulla ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Egli non distoglie lo sguardo dalle mani del Padre, osserva come fa lui a costruire, per fare poi altrettanto. Ma tutto ciò che il Padre fa e su cui richiama l'attenzione del Figlio in modo che il Figlio diventi capace di fare altrettanto, per mezzo di chi lo fa? Qui ti voglio! Ora è il momento di ricordare ciò che con me hai dichiarato e convenuto, e cioè che in principio era il Verbo, che il Verbo era presso Dio, che il Verbo era Dio e che tutte le cose per mezzo di lui furon fatte. Tu dunque, dopo aver convenuto con me che per mezzo del Verbo furon fatte tutte le cose, per una mentalità grossolana e, per un impulso puerile ti crei poi nella fantasia un Dio che opera e un Verbo che sta attento e guarda, per fare a sua volta quanto ha visto fare a Dio. Dio, quindi, ha fatto qualcosa senza il Verbo? Se ha fatto qualcosa senza il Verbo non sarebbe più vero che tutte le cose sono state fatte per mezzo del Verbo, e allora non tieni più conto di ciò che con me hai riconosciuto; se, invece, tutte le cose sono state fatte per mezzo del Verbo, correggi ciò che hai capito male. Il Padre ha creato, ma niente ha creato se non per mezzo del Verbo; come può il Verbo star lì a guardare quello che fa il Padre senza di lui per poi fare altrettanto? Ogni cosa che il Padre ha fatto l'ha fatta per mezzo del Verbo, o altrimenti è falso che tutte le cose furon fatte per mezzo di lui. Ma, invece, è vero che tutte le cose furon fatte per mezzo di lui; ti sembra poco? e niente senza di lui fu fatto.

[Uno solo è il nostro Maestro.]

6. Allontanati dunque da questa sapienza della carne, e cerchiamo insieme il senso delle parole: Il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Cerchiamo, se siamo degni di apprendere. Considero, infatti, cosa grande, assolutamente ardua, vedere il Padre che opera per mezzo del Figlio; vedere, cioè, non il Padre e il Figlio che operano separatamente, ma il Padre che compie ogni opera per mezzo del Figlio così che niente vien compiuto o dal Padre senza il Figlio o dal Figlio senza il Padre, perché tutte le cose per mezzo di lui furono fatte, e senza di lui nulla fu fatto. Una volta stabilito questo principio sul fondamento solido della fede, come spiegare che il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre? Tu vuoi sapere, credo, in che senso il Figlio opera; ma prima cerca di sapere in che senso il Figlio vede. Che dice infatti il Signore? Il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Bada bene a queste parole: ciò che vede fare dal Padre. Prima vede e poi fa; vede per poter poi fare. Perché vuoi sapere in che senso opera, mentre ancora non sai in che senso vede? Perché hai tanta fretta di sapere ciò che vien dopo, trascurando ciò che sta prima? Ha detto che vede e che fa, non, che fa e che vede, in quanto da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Se vuoi che io ti spieghi in che senso fa, tu prima spiegami come vede. Tu non sei in grado di spiegarmi questo e nemmeno io quello; tu non sei ancora in grado d'intendere questo, né io quello. Cerchiamo insieme, bussiamo insieme in modo da ottenere insieme di capire. Perché mi consideri ignorante, come se tu fossi sapiente? Io non so in che modo opera, tu non sai in che modo vede; entrambi siamo ignoranti; entrambi rivolgiamoci al Maestro, senza che stiamo puerilmente a litigare nella sua scuola. Intanto abbiamo già imparato insieme che tutte le cose furon fatte per mezzo di lui. E' chiaro quindi che le opere che il Padre fa, e che il Figlio vede e fa a sua volta, non sono diverse ma sono le stesse opere che il Padre fa per mezzo del Figlio, perché tutte per mezzo del Verbo sono state fatte. Tuttavia chi può sapere in che modo Dio ha compiuto queste opere? Non dico in che modo ha fatto il mondo, ma in che modo ha fatto il tuo occhio per mezzo del quale tu, imprigionato nella sua visione materiale, metti a confronto le realtà visibili con le invisibili. Infatti sei portato a farti di Dio idee corrispondenti alle cose che vedi con gli occhi. Se Dio si potesse vedere con gli occhi del corpo, non avrebbe detto: Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio (Mt 5, 8). Hai dunque l'occhio del corpo per vedere l'artigiano, ma non hai ancora l'occhio del cuore per vedere Dio; perciò sei portato a trasferire in Dio ciò che sei solito vedere nell'artigiano. Deponi in terra ciò che è terreno ed eleva in alto il tuo cuore.

 

OMELIA 19

La missione e l'opera del Figlio.

Credano gli uomini nella resurrezione della carne basandosi, non sui nostri argomenti, ma sulla parola di Cristo da noi annunciata. Possano, quelli che ascoltano, comprendere, credano per comprendere, obbediscano per vivere. Dio risuscita le anime per mezzo di Cristo in quanto Figlio di Dio, risuscita i corpi sempre per mezzo di Cristo in quanto Figlio dell'uomo.

1. Nel sermone precedente, prendendo lo spunto dalle parole del Vangelo: Il Figlio non può fare nulla da se stesso, che non lo veda fare anche dal Padre (Io 5, 19), abbiamo spiegato - secondo quello che il Signore aveva suggerito al nostro affetto e alla nostra povera intelligenza - in che consista il vedere del Figlio, cioè del Verbo, dato che il Figlio è il Verbo. E siccome per mezzo del Verbo furon fatte tutte le cose, abbiamo esaminato come si debba intendere che il Figlio dapprima vede il Padre operare e in seguito compie egli stesso ciò che ha visto fare, dato che tutto ciò che il Padre fa non lo fa se non per mezzo del Figlio. Tutte le cose - infatti - sono state fatte per mezzo di lui, e senza di lui nulla è stato fatto (Io 1, 3). Non dico che siamo riusciti a darvi un'idea chiara, perché nemmeno siamo riusciti ad averla. Se la parola vien meno dove pure l'intelligenza va oltre, tanto più la parola si arresta quando l'intelligenza non penetra a fondo. Ed ora, secondo che il Signore ci concede, scorriamo brevemente la lettura, sperando di riuscire almeno oggi a pagare il debito contratto. Se rimarrà un po' di tempo e di forze, ritorneremo - nei limiti delle nostre e vostre possibilità - sul significato che ha il "vedere" del Verbo e il "mostrare" del Padre al Verbo. Perché tutte queste espressioni, se vengono intese materialmente secondo il senso umano, possono indurre una mente dotata di fervida fantasia a farsi idee strane del Padre e del Figlio, come fossero due uomini, uno che mostra e l'altro che vede, uno che parla e l'altro che ascolta: tutti idoli del cuore, che, se sono stati cacciati via dai templi, tanto più devono essere cacciati via dal cuore dei cristiani.

2. Il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Questo è vero, questo tenete per certo; senza però dimenticare quanto avete appreso nel prologo di questo medesimo Vangelo, e cioè che in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; e soprattutto che tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (Io 1, 13). Collegate ciò che ascoltate adesso con ciò che avete ascoltato prima, e armonizzate una verità con l'altra nei vostri cuori. Quindi: Il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Ciò però in modo tale che quanto il Padre fa, non lo fa se non per mezzo del Figlio, poiché il Figlio è il suo Verbo e in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio e tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, perché tutte le cose che fa il Padre, le stesse cose, e nella stessa maniera, le fa il Figlio (Io 5, 19). Non altre cose fa il Figlio, ma le stesse cose; non le fa in maniera diversa, ma nella stessa maniera.

3. Il Padre, infatti, ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che egli fa (Io 5, 20). Questa frase: gli mostra tutto ciò che egli fa, sembra in relazione con la precedente: ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Ma se il Padre gli mostra ciò che fa, e il Figlio non può fare se non ciò che il Padre gli ha mostrato, e il Padre non gli può mostrare se non ciò che ha fatto, si dovrà concludere che il Padre non fa tutto per mezzo del Figlio. Ma se teniamo per certo e inconfutabile che tutte le cose il Padre le fa per mezzo del Figlio, ne segue che le mostra al Figlio prima ancora di farle. Se infatti il Padre mostra al Figlio quanto ha già fatto affinché il Figlio faccia a sua volta quanto gli vien mostrato - e gli vien mostrato ciò che già è stato fatto - allora senza dubbio il Padre fa qualcosa senza il Figlio. E' certo però che il Padre non fa niente senza il Figlio, perché il Figlio di Dio è il Verbo di Dio per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose. Si potrà forse dire che quanto il Padre intende fare, lo mostra al Figlio, affinché per mezzo di lui venga fatto? Infatti, se il Figlio fa quanto il Padre gli mostra già fatto, ciò che il Padre fa non lo fa certo per mezzo del Figlio. Non potrebbe infatti mostrare al Figlio se non cose già fatte, e non potrebbe il Figlio fare se non cose a lui mostrate, fatte quindi senza di lui. La verità è che tutte le cose per mezzo di lui furon fatte; quindi gli furono mostrate prima che fossero fatte. Ma abbiamo detto di rimandare questo argomento al termine della lettura, se ci rimarranno, ripeto, tempo e forze per trattare le cose rimandate.

[Una questione difficile.]

4. Ascoltate cose più importanti e più difficili: e gli mostrerà opere maggiori di queste, affinché ne siate meravigliati (ivi). Dice: maggiori di queste. Maggiori di quali? Vien subito da pensare a quelle di cui adesso avete sentito parlare: le guarigioni delle malattie del corpo. Quell'uomo, che era ammalato da trentotto anni e che è stato guarito dalla parola di Cristo, ha dato occasione a questo discorso: riferendosi a quel miracolo, il Signore ha potuto dire: Il Padre gli mostrerà opere maggiori di queste, affinché ne siate meravigliati. Esistono infatti opere maggiori di queste, e il Padre le mostrerà al Figlio. Non dice: "gli ha mostrato", come se si trattasse del passato, ma: gli mostrerà, in futuro, cioè dovrà mostrargliele. Altra questione difficile. Esiste infatti qualcosa presso il Padre che ancora non sia stata mostrata al Figlio? Esiste qualcosa presso il Padre che era ancora nascosta al Figlio, quando il Figlio diceva queste cose? Poiché dicendo che gliele mostrerà, che cioè dovrà mostrargliele, significa che ancora non gliel'ha mostrate, e che gliele mostrerà in futuro, allorché le mostrerà anche a quelli che lo ascoltano; infatti prosegue dicendo: affinché voi ne siate meravigliati. Proprio qui sta la difficoltà: come possa l'eterno Padre mostrare, per così dire, nel tempo alcunché al Figlio a lui coeterno, che conosce tutto ciò che è presso il Padre.

5. Quali sono queste opere maggiori? Non è difficile saperlo. Come infatti il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole (Io 5, 21). Risuscitare i morti è quindi opera maggiore che guarire gli infermi. E, come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole. Alcuni, dunque, ricevono la vita dal Padre, altri dal Figlio? No, perché tutto è fatto per mezzo del Figlio; gli stessi dunque ricevono la vita e dal Padre e dal Figlio. Il Figlio infatti non compie opere diverse da quelle del Padre né in modo diverso, ma quanto questi fa, il Figlio similmente lo fa. E' proprio così che si deve intendere e ritenere, senza dimenticare però che il Figlio fa vivere chi vuole. Tenete conto dunque non solo del potere del Figlio, ma anche della sua volontà. Il Figlio fa vivere chi vuole, così il Padre; e quelli che fa vivere il Padre son gli stessi che fa vivere il Figlio; perciò identico è il potere e identica la volontà del Padre e del Figlio. E prosegue: Poiché il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio, affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre (Io 5, 22-23). Ha aggiunto questo per precisare l'affermazione precedente, ed è una cosa che mi colpisce non poco; vi prego di stare attenti. Il Figlio fa vivere chi vuole, e così il Padre; il Figlio risuscita i morti, e così il Padre. Poiché il Padre non giudica nessuno. Se i morti risusciteranno nel giudizio, come può il Padre risuscitare i morti, se non giudica nessuno? Egli infatti ha rimesso al Figlio ogni giudizio. Ora, è in questo giudizio che risuscitano i morti: gli uni per la vita, gli altri per la pena; e se tutto questo lo fa il Figlio senza il Padre, perché il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio, ciò sembra contraddire l'affermazione: Come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole. E' dunque insieme che risuscitano. Se insieme risuscitano, insieme altresì fanno vivere; insieme quindi giudicano. Ma allora come può esser vero che il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio? Per ora lasciamoci prendere dai problemi che si presentano, il Signore ci concederà poi di goderne la soluzione. E' così, o fratelli: non avremo la gioia di veder risolto un problema, senza prima esserci affaticati nel ricercarne la soluzione. Prosegua dunque il Signore, perché forse in ciò che soggiunge ci fa intravedere qualcosa. Ha coperto con le nubi la sua luce, ed è difficile volare, come fa l'aquila, sopra le nubi che coprono la terra e vedere nelle parole del Signore la luce purissima (cf. Eccli 24, 6). Con la speranza, perciò, che mediante il calore dei suoi raggi dissipi la nostra caligine e che voglia illuminarci con quel che segue, vediamo quel che segue lasciando per ora da parte questo problema.

[Come si deve onorare il Padre.]

6. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato (Io 5, 23). Questo è vero ed è chiaro. Egli ha rimesso al Figlio ogni giudizio, ha detto prima, affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Che dire allora di quelli che onorano il Padre e non onorano il Figlio? Questo, dice, non è ammissibile: Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. Nessuno dunque può dire: Io onoravo solo il Padre perché non conoscevo il Figlio. Se non rendevi onore al Figlio, non potevi rendere onore al Padre. Cos'è infatti onorare il Padre se non riconoscere che egli ha un Figlio? Una cosa è quando ti vien presentato Dio in quanto Dio, altra cosa quando ti vien presentato Dio come Padre. Quando ti vien presentato in quanto Dio, ti vien presentato il creatore, l'onnipotente, lo spirito sommo, eterno, invisibile, immutabile; quando, invece, ti vien presentato come Padre, è il Figlio che vien raccomandato alla tua attenzione, perché Dio non si potrebbe chiamare Padre se non avesse il Figlio, né Figlio se non avesse il Padre. Ma siccome tu potresti onorare il Padre come superiore e il Figlio come inferiore, e dirmi: io onoro il Padre sapendo che ha un Figlio, e non posso sbagliare a chiamarlo Padre perché non concepisco Padre senza Figlio; onoro, sì, anche il Figlio ma come inferiore; il Figlio stesso ti corregge e ti richiama alla verità dicendoti: affinché tutti onorino il Figlio, non meno, ma come onorano il Padre. Chi dunque non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato. Tu dici che vuoi dare più onore al Padre e meno al Figlio. Ma onorando meno il Figlio, togli onore al Padre. Facendo così, che altro mostri di pensare, se non che il Padre o non ha voluto o non ha potuto generare uguale a sé il Figlio? Se non ha voluto, ha dimostrato di non volergli bene; se non ha potuto, ha dimostrato di essere limitato. Non vedi dunque che, pensando così, volendo dare maggior onore al Padre, rechi ingiuria al Padre? Pertanto, onora il Figlio nello stesso modo che onori il Padre, se vuoi onorare il Padre e il Figlio.

[L'armonia della Scrittura.]

7. In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non viene sottoposto a giudizio, ma è passato (non passa adesso, ma già è passato) dalla morte alla vita (Io 5, 24). Notate l'espressione: Chi ascolta la mia parola; non aggiunge: e crede a me, ma e crede a colui che mi ha mandato. Cioè, per credere al Padre bisogna ascoltare la parola del Figlio. Perché, mentre ascoltiamo la tua parola, crediamo ad un altro? Quando ascoltiamo la parola di qualcuno, non crediamo forse a colui che proferisce la parola, non prestiamo fede a colui che ci parla? Cosa ha voluto dunque dire con l'espressione: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, se non che in lui, Cristo, è la parola di chi l'ha mandato? E cos'altro vuol dire chi ascolta la mia parola se non "chi ascolta me"? Crede, dunque, a colui che mi ha mandato, perché se crede a lui, crede alla parola di lui: e se crede alla parola di chi mi ha mandato, crede in me, perché io sono il Verbo, la Parola del Padre. Nella Scrittura tutto è armonia e ordine, e non c'è contraddizione alcuna. Libera il tuo cuore da ogni malinteso e cerca di scoprire l'armonia della Scrittura. Può forse la verità essere in contraddizione con se stessa?

8. Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna, e non è sottoposto a giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. Tenete presente quanto ha detto prima, e cioè che come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole. Il Signore incomincia ad aprirti la porta annunciandoti la risurrezione dei morti. Ecco che già i morti risorgono. Infatti chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non è sottoposto a giudizio. Prova che è risuscitato!. E' passato - dice - dalla morte alla vita. Chi è passato dalla morte alla vita, vuol dire senza dubbio che è risuscitato; non potrebbe infatti passare dalla morte alla vita, se prima non fosse stato sotto il dominio della morte e privo di vita; ma una volta risuscitato, sarà vivo e non più morto. Era morto ed è tornato alla vita, era perduto ed è stato ritrovato (cf. Lc 15, 32). In qualche modo si compie già la risurrezione, e gli uomini passano dalla morte alla vita: dalla morte dell'infedeltà alla vita della fede; dalla morte dell'errore alla vita della verità; dalla morte dell'iniquità alla vita della giustizia. Anche questa è già risurrezione dei morti.

[Risurrezione prima della risurrezione.]

9. Il Signore ci apra meglio la porta illuminandoci, come già ha cominciato a fare. In verità, in verità vi dico: viene l'ora, ed è questa (Io 5, 25). Noi si aspettava - questa è la nostra fede - la risurrezione dei morti per la fine del mondo; anzi, non si aspettava, ma dobbiamo con certezza aspettare la risurrezione dei morti per la fine del mondo; e la nostra fede nella risurrezione dei morti per la fine del mondo, non è certo una falsità. Ebbene, ora il Signore ci ha indicato una risurrezione dei morti che precede la risurrezione finale. E non si tratta di una risurrezione come quella di Lazzaro (cf. Io 11, 43-44), o del figlio della vedova di Naim (cf. Lc 7, 14-15), o della figlia del capo della sinagoga (cf. Mc 5, 41-42), che risuscitarono per morire un'altra volta (e tuttavia anche per questi morti è avvenuta una certa risurrezione sebbene diversa da quella che avverrà alla fine), ma nel senso che dice qui: ... ha la vita eterna e non è sottoposto a giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. A quale vita? Alla vita eterna. Non quindi come quella del corpo di Lazzaro, il quale passò dalla morte del sepolcro alla vita degli uomini, ma non alla vita eterna, poiché dovette morire di nuovo: i morti che risusciteranno alla fine del mondo, passeranno alla vita eterna. Il Signore nostro Gesù Cristo, maestro celeste, Verbo del Padre, lui che è la verità dice: E' venuta l'ora, per annunciare una specie di risurrezione dei morti alla vita eterna, che precede quella finale dalla morte alla vita eterna. Tu che sei stato iniziato alla fede nella risurrezione della carne, avrai subito pensato all'ora della fine del mondo, al giorno del giudizio; ma non è di quell'ora che qui parla, avendo precisato: ed è questa, l'ora. Dicendo dunque: É' venuta l'ora, non si riferisce all'ora suprema in cui ad un cenno, alla voce dell'arcangelo e al segnale della tromba di Dio, il Signore stesso scenderà dal cielo e dapprima risorgeranno quelli che sono morti in Cristo; poi noi che viviamo, noi che siamo rimasti, saremo rapiti insieme a loro nelle nuvole incontro a Cristo nell'aria. E così saremo sempre col Signore (1 Thess 4, 15-16). Quell'ora verrà, ma non è questa. Rendetevi conto che ora è questa: E' venuta l'ora, ed è questa. Cosa si compie in questa risurrezione? Che cosa se non la risurrezione dei morti? Ma quale risurrezione? Quella per cui i risorti vivranno in eterno: la stessa cosa che si compirà anche alla fine del mondo.

10. E allora? Come intendere queste due risurrezioni? Forse che quanti risorgono adesso, non risorgeranno allora, di modo che alcuni risorgono adesso e gli altri allora? Non è così. Infatti, quanto alla prima risurrezione, se veramente abbiamo creduto, siamo già risuscitati; e noi, che siamo già risuscitati, aspettiamo l'altra risurrezione per la fine del mondo. Ma fin d'ora, se siamo perseveranti nella fede, siamo risuscitati per la vita eterna, e poi risusciteremo per la vita eterna allorché saremo resi uguali agli angeli (cf. Lc 20, 36). Intervenga, dunque, il Signore a precisare, e ci spieghi ciò di cui abbiamo osato parlare: come avvenga la risurrezione prima della risurrezione, non una per alcuni, e un'altra per degli altri, ma degli stessi, e non come quella di Lazzaro, ma per la vita eterna. Ce lo spiegherà chiaramente. Ascoltate il Maestro che c'illumina, il nostro vero Sole che penetra nei nostri cuori: non il sole che gli occhi della carne desiderano, ma quello cui anelano aprirsi gli occhi del cuore. Ascoltiamolo: In verità, in verità vi dico: viene l'ora, ed è questa, in cui i morti - vedete che si tratta di risurrezione? - in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che avranno udito vivranno. Perché ha aggiunto: quelli che avranno udito vivranno. Infatti, potrebbero udire se non vivessero? Bastava dunque dire: Viene l'ora, ed è adesso, che i morti udranno la voce del Figlio di Dio. Non ci sarebbe bisogno di dire che vivono, dal momento che non potrebbero udire se non fossero vivi. Ma egli non ha detto che odono perché son vivi, ma che udendo tornano alla vita: udranno, e quelli che avranno udito vivranno. Che significa dunque "udranno" se non "ubbidiranno"? Infatti, quanto all'udito esteriore, non tutti quelli che udiranno vivranno, perché molti odono e non credono. Se si ode e non si crede, non si ubbidisce; e se non si ubbidisce non si vive. Perciò qui udire non significa altro che ubbidire. Quelli dunque che avranno udito, cioè ubbidito, vivranno; stiano certi, siano sicuri: essi vivranno. La Chiesa proclama che Cristo è il Verbo di Dio. il Figlio di Dio per mezzo del quale furon fatte tutte le cose, che secondo il piano della salvezza assume la carne nascendo dalla Vergine, cresce nella carne, soffre e muore nella carne, risuscita e ascende in cielo nella carne, promettendo la risurrezione della carne: la risurrezione dell'anima prima di quella della carne, e quella della carne dopo quella dell'anima. Chi ode e obbedisce, vivrà; chi ode e non obbedisce, cioè chi ode e disprezza, chi ode e non crede, non vivrà. Perché non vivrà? Perché non ode. Che significa non ode? Non obbedisce. Quindi quelli che avranno udito, vivranno.

11. Attenzione ora a ciò che si era rimandato per poterlo chiarire in qualche modo adesso. A proposito di questa risurrezione il Signore precisò: Come, infatti, il Padre ha in se stesso la vita, così ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso (Io 5, 26). Che significa: il Padre ha in se stesso la vita? Che non ce l'ha altrove, ma in se stesso. Il principio della sua vita è in lui, non ha altra origine, non ha altra natura; non ce l'ha in prestito né come partecipazione ad una vita distinta da ciò che lui è, ma ce l'ha in se stesso, di modo che lui è la sua vita stessa. Spero, con l'aiuto del Signore e della vostra benevola attenzione, di riuscire a spiegarmi meglio servendomi di esempi adatti alla vostra comprensione. Dio vive, e anche l'anima vive; ma la vita di Dio è immutabile, la vita dell'anima è mutevole. Dio non progredisce né regredisce, ma è sempre in sé, è quello che è, non adesso in un modo, poi in un altro e prima in un altro ancora. La vita dell'anima, invece, è tutt'altra cosa: viveva da stolta ed ora vive da saggia; viveva nell'iniquità ed ora vive nella giustizia; ricorda e dimentica, ora apprende ed ora non riesce ad apprendere, perde ciò che ha appreso e ritrova ciò che ha perduto; è così mutevole la vita dell'anima! Quando l'anima vive nell'iniquità, è morta; quando invece diventa giusta, diventa partecipe di un'altra vita distinta da lei; perché, elevandosi fino a Dio e unendosi a Dio, viene da lui giustificata. E' detto infatti: A chi crede in colui che giustifica l'empio, è la fede che viene imputata a giustizia (Rom 4, 5). Allontanandosi da lui diventa iniqua, accostandosi a lui diventa giusta. Non ti sembra che sia come qualcosa di freddo, che avvicinato al fuoco si riscalda, allontanato si raffredda? Non ti sembra che sia come qualcosa di oscuro, che avvicinato alla luce si illumina, allontanato si oscura? Così è l'anima, ma non così è Dio. Un uomo può dire di avere adesso la luce nei suoi occhi. Provino i tuoi occhi a parlarne come di una luce propria: Abbiamo in noi stessi la luce! Vengono smentiti: Non potete dire in senso proprio di avere in voi stessi la luce; avete la luce, ma è la luce che viene dal cielo; se è notte, avete la luce, ma nella luna, nelle lucerne, non in voi stessi, perché se chiudete gli occhi non vedete più ciò che vedete tenendoli aperti. No, non avete in voi stessi la luce. Conservate la luce, se potete, quando il sole tramonta. E' notte e usufruite della luce notturna. Avete la luce se accendete la lucerna, ma se la lucerna si spegne rimanete al buio: non avete in voi stessi la luce. Avere in se stessi la luce, significa non aver bisogno della luce d'altri. Ecco, se ben si comprende, dove il Figlio si presenta uguale al Padre, dove dice: Come il Padre ha in se stesso la vita, così ha dato al Figlio d'aver la vita in se stesso. Esiste perciò tra il Padre e il Figlio solo questa differenza: che il Padre ha in se stesso la vita senza riceverla da nessuno, mentre il Figlio ha in se stesso la vita che il Padre gli ha dato.

[In che modo il Padre ha dato la vita al Figlio.]

12. Ma anche qui sorge qualche oscurità da chiarire. Cerchiamo di non stancarci e di essere attenti. E' pascolo dell'anima, e non dobbiamo essere svogliati se vogliamo vivere. Ecco, mi dici, tu affermi che il Padre ha dato al Figlio la vita perché l'abbia in se stesso come ce l'ha il Padre, tanto da non aver, come lui, bisogno d'alcuno e sia, come lui, la vita stessa; cosicché l'uno e l'altro, congiunti, siano non due vite ma una sola vita; perché c'è un Dio solo, non due, e questo medesimo essere è la vita. In che modo dunque il Padre ha dato la vita al Figlio? Non come se prima il Figlio ne fosse privo e per vivere abbia dovuto ricevere la vita dal Padre; se fosse così non avrebbe la vita in se stesso. Si stava parlando dell'anima. L'anima esiste. Anche se non è sapiente, anche se non è giusta, l'anima è anima; anche se non è pia, è anima. Una cosa dunque è il suo essere anima, un'altra cosa è l'essere sapiente, giusta e pia. Esiste dunque qualcosa che la distingue dal suo essere sapiente, giusta e pia, e che tuttavia non si può chiamare nulla, non si può chiamare assenza di vita; infatti da certe sue azioni dimostra che vive, anche se non dimostra di essere sapiente, pia, giusta. Perché se non vivesse, non muoverebbe il corpo, non ordinerebbe ai piedi di camminare, alle mani di operare, agli occhi di guardare, alle orecchie di udire; non aprirebbe la bocca per parlare, non muoverebbe la lingua per articolare suoni. Tutte queste azioni dimostrano che vive ed è superiore al corpo; ma dimostrano forse, queste azioni, che è sapiente, pia, giusta? Forse che gli stolti, gli iniqui, gli empi, non camminano, non agiscono, non vedono, non odono, non parlano? Quando, però, l'anima s'innalza a qualcosa che non è lei e che è sopra di lei e da cui anzi riceve l'esistenza, allora acquista sapienza, giustizia e pietà. Quand'era priva di queste cose, era morta, né aveva la vita che la facesse vivere, ma solo quella con cui vivificava il corpo. Infatti altro è la funzione dell'anima per cui essa vivifica il corpo, altro il principio da cui essa stessa è vivificata. Certo, l'anima vale più del corpo; ma più dell'anima vale Dio. Dunque l'anima, anche se priva di sapienza, di giustizia, di pietà, è vita del corpo. Ma la sua vita è Dio; e come essa quand'è nel corpo gli comunica vigore, bellezza, mobilità, attività delle membra, così quando Dio, sua vita, è in lei, le comunica sapienza, pietà, giustizia, carità. Una cosa è ciò che il corpo riceve dall'anima, un'altra cosa ciò che l'anima riceve da Dio. L'anima vivifica il corpo ed è vivificata da Dio; quando vivifica il corpo, se non è a sua volta vivificata da Dio, essa è morta. E così, quando la parola arriva e penetra in coloro che l'ascoltano, e quando questi non contenti di ascoltare si rendono ad essa obbedienti, l'anima risorge dalla sua morte ed entra nella sua vita: cioè passa dall'iniquità, dalla stoltezza, dall'empietà al suo Dio, che è per lei sapienza, giustizia, splendore. Sorga e si presenti a lui, per essere da lui illuminata. Avvicinatevi a lui. dice il salmo. E che cosa avverrà per noi? E sarete illuminati (Ps 33, 6). Se dunque avvicinandovi a lui siete illuminati e allontanandovi siete ottenebrati, è segno che la vostra luce non era in voi ma nel vostro Dio. Avvicinatevi per risorgere, se allontanandovi morite. Se dunque avvicinandovi a lui vivete e allontanandovi morite, è segno che non era in voi la vostra vita. La vostra vita è colui che è la vostra luce. Poiché presso di te è la fonte della vita, e nella tua luce vedremo la luce (Ps 35, 10).

13. Quanto si dice dell'anima - che prima di essere illuminata era diversa e dopo essere stata illuminata è diventata migliore perché partecipa alla vita di un essere migliore - non si può dire del Verbo di Dio e Figlio di Dio: non si può dire che egli fosse diverso prima di ricevere la vita, come se avesse la vita per partecipazione: poiché egli ha la vita in se stesso e perciò egli stesso è la vita. Che significa dunque: Ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso? Semplicemente questo: ha generato il Figlio. Non che prima fosse senza vita da doverla ricevere: ma nascendo è diventato vita. Il Padre è vita senza nascere, il Figlio è vita nascendo. Il Padre non ha origine da alcun padre, il Figlio da Dio Padre. Il Padre non deve a nessuno ciò che egli è; il suo essere padre è in relazione al Figlio. A sua volta il Figlio è figlio in relazione al Padre, e ciò che egli è lo deve al Padre. La frase: Ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso, significa: il Padre, che è la vita in se stesso, ha generato un Figlio che fosse vita in se stesso. Ha dato significa: ha generato. Come se dicessimo a uno: Dio ti ha dato l'essere. A chi l'ha dato? Se avesse dato l'essere a qualcuno che già esisteva, non glielo avrebbe dato, appunto perché esisteva già colui che l'avrebbe ricevuto. L'espressione dunque: Ti ha dato l'essere, vuol dire che tu che ricevevi l'essere non esistevi, ma ricevesti l'esistenza quando ti si fece esistere. Chi ha costruito questa casa, ha fatto sì che ci fosse. Che cosa ha dato alla casa? Di essere casa. A chi l'ha dato? A questa casa. Che cosa le ha dato? Di esistere come casa. Come ha potuto dare alla casa di essere casa? Infatti, se la casa fosse già prima esistita, che senso avrebbe darle l'essere, se esisteva già? Che significa dunque: Le ha dato di esser casa? Ha fatto sì che esistesse come casa. Che cos'è che ha dato dunque il Padre al Figlio? Gli ha dato di essere Figlio, lo ha generato perché fosse la vita. Questo è il senso delle parole: Ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso; cioè, gli ha dato di avere la vita senza bisogno di doverla ricevere, come chi ce l'ha per partecipazione. Infatti, se il Figlio avesse la vita per partecipazione, potrebbe perderla e rimanere senza vita; cosa che nel Figlio non si può ammettere, non si può pensare, non si può credere. E' eterna la vita nel Padre ed è eterna nel Figlio. Il Padre è vita in se stesso, non da parte del Figlio; il Figlio è vita in se stesso, ma da parte del Padre. E' stato generato dal Padre perché fosse vita in se stesso; mentre il Padre è vita in se stesso, senza essere stato generato. Non si può dire che il Padre abbia generato il Figlio come inferiore a sé, e in modo che divenisse, crescendo, a lui uguale. Non ha avuto bisogno del tempo per raggiungere la perfezione colui per mezzo del quale, già perfetto, i tempi sono stati creati. Egli esiste prima di tutti i tempi: è coeterno al Padre. Mai, infatti, il Padre è stato senza il Figlio: eterno è il Padre, eterno con lui è il Figlio. E tu, anima, come sei? Eri morta, avevi perduto la vita: ascolta il Padre per mezzo del Figlio. Sorgi, ricevi la vita, affinché tu, che non hai la vita in te stessa, possa riceverla da colui che ce l'ha in se stesso. E' il Padre ed è il Figlio che ti fanno vivere: questa è la prima risurrezione, nella quale tu risorgi per partecipare alla vita che tu non sei; è mediante questa partecipazione che tu cominci a vivere. Risorgi dalla tua morte alla tua vita che è il tuo Dio, e passa dalla morte alla vita eterna. Il Padre infatti ha in sé la vita eterna: e se non avesse generato un tale Figlio che avesse la vita in se stesso, non sarebbe vero che come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, anche il Figlio fa vivere chi vuole.

[La risurrezione della carne.]

14. Che cosa diremo allora della risurrezione del corpo? Poiché questi che ascoltano e vivono, in forza di che vivono? Ascoltando. L'amico dello sposo gli sta accanto e lo ascolta, ed è felice alla voce dello sposo (Io 3, 29), e non ascoltando la sua propria voce. E così questi ascoltano e vivono, non perché abbiano la vita in se stessi ma perché partecipano della vita di lui. E tutti quelli che ascoltano la voce di Cristo, vivono; perché tutti quelli che obbediscono vivono. Parlaci, o Signore, anche della risurrezione della carne; poiché ci sono stati di quelli che l'hanno negata, dicendo che esiste solo questa risurrezione, cioè quella che si compie mediante la fede. E' a questa risurrezione che il Signore si è riferito ora, e ci ha entusiasmati, dicendo che dei morti udranno la voce del Figlio di Dio e vivranno (Io 5, 25). Non ha detto che di quelli che udranno alcuni moriranno, altri vivranno; ma che tutti coloro che avranno udito, vivranno, nel senso che tutti quelli che avranno obbedito vivranno. Questa è la risurrezione spirituale: ma non perdiamo la nostra fede nella risurrezione della carne. Ma se tu, o Signore Gesù, non l'avessi annunciata, chi opporremmo ai nostri contraddittori? Tutte le sette che hanno avuto la pretesa d'inculcare una qualche religione negli uomini, si sono ben guardate dal negare la risurrezione spirituale, affinché non si dicesse loro: Se l'anima non risorge, perché mi parli? cosa vuoi da me? se non hai la possibilità di rendermi migliore, a che scopo ti rivolgi a me? Cosa vuoi insegnarmi se non puoi convertirmi? Se invece, da ingiusto, empio e stolto che io sono, tu puoi farmi diventare giusto, pio e sapiente (se io ti avrò seguito e creduto), vuol dire che ammetti che la mia anima possa risorgere. Volendo dunque che si prestasse loro fede, tutti quelli che hanno fondato una setta di una qualche religione anche falsa, non hanno potuto negare questa risurrezione spirituale: riguardo ad essa tutti si sono trovati d'accordo, ma molti hanno negato la risurrezione della carne affermando che la risurrezione era già avvenuta mediante la fede. E' contro di essi che l'Apostolo si pronuncia quando dice: A questi tali appartengono Imeneo e Fileto, i quali hanno deviato dalla verità dicendo che la risurrezione e già avvenuta, e così sconvolgono la fede di certuni (2 Tim 2, 17-18). Dicevano che la risurrezione era già avvenuta, e in modo tale che non se ne doveva sperare altra; e rimproveravano quelli che speravano nella risurrezione della carne, come se la risurrezione promessa si fosse già realizzata nell'anima mediante la fede. L'Apostolo li condanna. Perché? Non dicevano forse ciò che ha detto adesso il Signore: Viene l'ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata vivranno? Ma ora ti sto parlando della vita delle anime, ti dice Gesù, non ancora della vita dei corpi. Cioè ti parlo della vita che fa vivere i corpi, cioè delle anime nelle quali sta il principio della vita dei corpi: so infatti che ci sono dei corpi che giacciono nei sepolcri, so che anche i vostri corpi giaceranno nei sepolcri; non parlo ancora di questa risurrezione, parlo di quell'altra. Cominciate a risorgere spiritualmente, se non volete risorgere nella carne solo per essere condannati. Affinché poi vi convinciate che parlo della risurrezione delle anime e non della carne, che cosa aggiungo? Come infatti il Padre ha in se stesso la vita, così ha dato al Figlio d'aver la vita in se stesso (Io 5, 25-26). Questa vita che è il Padre e che è il Figlio, è ordinata all'anima o al corpo? Non il corpo, ma l'anima razionale è capace di accogliere la divina sapienza. E neppure ogni anima è in grado di percepire questa sapienza. Anche gli animali hanno l'anima, ma l'anima degli animali è incapace di percepire la sapienza. Solo l'anima umana è capace di accogliere questa vita che il Padre ha in se stesso e che ha dato al Figlio di avere in sé in quanto egli è la vera luce che illumina - non ogni anima, ma - ogni uomo che viene in questo mondo (Io 1, 9). E siccome è all'anima che ora io mi rivolgo, ascolti, l'anima: cioè obbedisca, e vivrà!

15. Ma parlaci, o Signore, anche della risurrezione della carne, affinché non accada che gli uomini non ci credano, e noi ci si debba trovar soli coi nostri argomenti, invece che proclamare la tua parola. Ripetiamo: Come il Padre ha in se stesso la vita, così ha dato al Figlio d'aver la vita in se stesso. Comprendano quelli che ascoltano, credano se vogliono comprendere, obbediscano se vogliono vivere. Ascoltino ancora, e non pensino che la risurrezione si fermi qui. E gli ha dato il potere di giudicare. Chi ha dato il potere? Il Padre. A chi l'ha dato? Al Figlio. A chi ha dato d'aver la vita in se stesso, ha dato anche il potere di giudicare. Perché è Figlio dell'uomo (Io 5, 26-27). Cristo, infatti, è Figlio di Dio e Figlio dell'uomo. In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; questo era in principio presso Dio. Ecco in che modo gli ha dato di avere la vita in se stesso. Ma poiché il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Io 1, 1-2 14), essendo diventato uomo da Maria, è Figlio dell'uomo. E proprio perché è Figlio dell'uomo che cosa ha ricevuto? Ha ricevuto il potere di giudicare. Di giudicare quando? Alla fine dei secoli: quando ci sarà per te la risurrezione dei morti, cioè dei corpi. Dunque Dio risuscita le anime per mezzo di Cristo Figlio di Dio, e Dio risuscita i corpi per mezzo di Cristo figlio dell'uomo. Ha dato a lui il potere. Non avrebbe questo potere, se non lo avesse ricevuto: ne sarebbe privo come qualsiasi altro uomo. Ma colui stesso che è Figlio dell'uomo, è anche Figlio di Dio. Essendosi unito nell'unità della persona il figlio dell'uomo al Figlio di Dio, si ha una sola persona, che è essa stessa Figlio di Dio e figlio dell'uomo. Che cosa abbia e perché, è da precisare. Il figlio dell'uomo possiede un'anima e un corpo. Il Figlio di Dio, che è il Verbo di Dio, possiede l'uomo, come l'anima possiede il corpo. Come l'anima, unita al corpo, non forma due persone ma un solo uomo; così il Verbo, unito all'uomo, non forma due persone ma un solo Cristo. Cosa è l'uomo? E' un'anima razionale dotata di corpo. Chi è Cristo? E' il Verbo di Dio in possesso dell'uomo. Mi rendo conto di cosa sto parlando, so chi sono io che parlo, e so a chi parlo.

[Il giudizio.]

16. A proposito della risurrezione dei corpi ascoltate ora, non me, ma il Signore che vi parlerà di quelli che sono risuscitati sorgendo dalla morte e unendosi alla vita. A quale vita? A quella che non conosce la morte. Perché non conosce la morte? Perché non conosce il mutamento, e non conosce mutamento perché è Vita in se stessa. E gli ha dato il potere di giudicare perché è il figlio dell'uomo. Con che tipo di giudizio? Non vi meravigliate di questo, cioè di quanto vi ho detto: gli ha dato il potere di giudicare. Viene l'ora (Io 5, 27-28). Non aggiunge: ed è questa; intende quindi annunciare una particolare ora, quella della fine del mondo. Questa è l'ora in cui risorgono i morti, quella sarà l'ora in cui risorgeranno i morti: essi risorgono ora spiritualmente, allora corporalmente. Risorgono, ora, nell'anima per mezzo del Verbo di Dio Figlio di Dio; risorgeranno, allora, con il corpo, per mezzo del Verbo di Dio, fatto carne e figlio dell'uomo. Il Padre non verrà a giudicare i vivi e i morti, il che non vuol dire che sarà separato dal Figlio. In che senso il Padre non verrà? Nel senso che egli non apparirà nel giudizio. Vedranno colui che hanno trafitto (Io 19, 37). Il giudice apparirà in quella medesima forma in cui apparve quando fu sottoposto al giudizio: colui che fu giudicato, giudicherà. Fu giudicato ingiustamente, ma giudicherà secondo giustizia. Verrà dunque nelle sembianze di servo, e come tale apparirà. E, infatti, come potrebbe apparire la natura di Dio ai giusti e agli iniqui? Se solo i giusti dovessero essere giudicati, potrebbe la natura di Dio manifestarsi ai giusti: ma anche gli iniqui saranno giudicati e ad essi non è concesso vedere Dio. Beati, infatti, i puri di cuore, ché vedranno Dio (Mt 5, 8). Il giudice, perciò, apparirà in modo da poter essere visto sia da quelli che viene a incoronare, sia da quelli che dovrà condannare. Apparirà nella forma del servo, e rimarrà occulta la natura di Dio. Rimarrà occulto nel servo il Figlio di Dio, e apparirà il Figlio dell'uomo; in quanto ha dato a lui il potere di giudicare perché è il Figlio dell'uomo. Egli solo apparirà nella forma di servo, mentre il Padre non apparirà, perché il Padre non ha mai rivestito la forma di servo. Ecco perché prima il Signore aveva detto: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio (Io 5, 22). E' stato bene aver aspettato cosicché a dare la spiegazione fosse colui stesso che ha proposto la questione. Prima non era chiaro, ma adesso mi pare chiaro il motivo per cui ha dato a lui il potere di giudicare, e perché il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio. Il giudizio dovrà essere compiuto sotto quella forma che ha il Figlio, ma non ha il Padre. E di quale giudizio si tratta? Non vi meravigliate di questo, perché viene l'ora ...; non questa ora in cui risorgono le anime, ma l'ora futura in cui risorgeranno i corpi.

17. Si esprima più chiaramente, per non dare appiglio all'eretico che nega la risurrezione della carne, quantunque questa verità risplenda già luminosamente. Prima, quando aveva detto viene l'ora, il Signore aveva aggiunto ed è questa (Io 5, 25); adesso invece dice viene l'ora, ma senza aggiungere ed è questa. Vuole eliminare, con l'affermazione esplicita della verità, ogni pretesto, ogni intoppo di erronee interpretazioni, ogni nodo e laccio. Non vi meravigliate di questo, perché viene l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri ... Che di più evidente, che di più esplicito? Sono i corpi che giacciono nei sepolcri, non le anime, né quelle dei giusti né quelle degli iniqui. L'anima del giusto è nel seno di Abramo, l'anima dell'iniquo è nei tormenti dell'inferno (cf. Lc 16, 22-25): ma, nel sepolcro, non c'è né questa né quella. Cercate di capire, vi prego, quanto ha detto prima: Viene l'ora, ed è questa. Voi sapete, o fratelli, quanto bisogna faticare per il pane materiale; tanto più dunque per il pane dello spirito. Se a voi costa fatica stare lì in piedi ad ascoltarci, a noi costa maggior fatica stare in piedi a parlarvi. E se noi ci affatichiamo per voi, non vorrete voi collaborare con noi per voi stessi? Dunque, dicevo che il Signore dopo aver detto viene l'ora, e dopo aver aggiunto ed è questa, così aveva proseguito: in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata vivranno. Non ha detto: Tutti i morti udranno e coloro che avranno udito vivranno: per morti infatti intendeva i peccatori. Forse che tutti i peccatori obbediscono al Vangelo? L'Apostolo dice chiaramente: Non tutti obbediscono al Vangelo (Rom 10, 16). Ad ogni modo, coloro che ascoltano vivranno: tutti coloro che obbediscono al Vangelo, in virtù della fede entrano nella vita eterna. Però, non tutti obbediscono al Vangelo. E questo è quel che sta succedendo adesso. Alla fine del mondo, invece, tutti quelli che sono nei sepolcri - giusti e peccatori - udranno la voce di lui e usciranno (Io 5, 28-29). Perché non dice e vivranno? Perché tutti usciranno dai sepolcri, ma non tutti vivranno. Con l'affermazione precedente: coloro che avranno ascoltato vivranno, ha voluto far intendere che è dall'ascoltare docilmente, cioè dall'obbedienza, che dipende la vita eterna, quella beata, che non tutti quelli che usciranno dai sepolcri conseguiranno. Col riferimento ai sepolcri e con l'immagine dell'uscita dai sepolcri, viene chiaramente annunciata la risurrezione dei corpi.

18. Udranno tutti la sua voce, e usciranno. Ma dove è il giudizio, se tutti udranno e tutti usciranno? Mi si confondono le idee, non ci vedo chiaro. E' certo che tu, o Cristo, hai ricevuto il potere di giudicare in quanto sei il Figlio dell'uomo; ecco tu sarai lì per giudicare e risorgeranno i corpi; parlaci di questo giudizio, cioè della separazione dei buoni dai malvagi. Ascoltiamo ancora: e ne usciranno, quelli che bene operarono per una risurrezione di vita, quelli che male operarono per una risurrezione di giudizio (Io 5, 29). Quando ha parlato prima di risurrezione delle anime, ha forse fatto qualche distinzione? Tutti quelli che avranno ascoltato, vivranno, perché obbedendo vivranno. Invece, non tutti quelli che risorgeranno e usciranno dai sepolcri vivranno, ma soltanto quelli che bene operarono; gli altri andranno al giudizio. Qui giudizio significa condanna. Allora ci sarà una discriminazione, che adesso non c'é. In questa vita siamo tra noi separati, non in quanto abitiamo in luoghi diversi, ma per i costumi, gli affetti, i desideri, la fede, la speranza e la carità. Viviamo insieme con i malvagi, ma non conduciamo tutti la stessa vita. La distinzione, la separazione è occulta. Siamo come il grano nell'aia, non come il grano nel granaio. Sull'aia il grano è separato, ma è anche mescolato con la paglia: è separato quando viene liberato dalla paglia, ma è mescolato con essa quando ancora non si è compiuta la ventilazione. Allora, nel giorno del giudizio, ci sarà una separazione manifesta: come sono separati i costumi, sarà separata la vita; alla separazione interiore corrisponderà la separazione dei corpi. Andranno, quelli che bene operarono, a vivere con gli angeli di Dio; quelli, invece, che male operarono, nei tormenti insieme al diavolo e ai suoi angeli. Allora scomparirà la forma del servo, con la quale il Signore era apparso per compiere il giudizio: dopo il giudizio condurrà con sé il corpo di cui egli è il capo, e consegnerà a Dio il regno (cf. 1 Cor 15, 24). Allora si potrà vedere svelatamente quella natura divina che gli iniqui non hanno potuto vedere, in quanto ai loro occhi doveva essere mostrata soltanto la forma del servo. Anche altrove il Signore, riferendosi a quelli che saranno alla sua sinistra, dice: andranno al fuoco eterno, e a quelli alla sua destra: questi invece alla vita eterna (Mt 25, 46). E della vita eterna in un altro passo del Vangelo dice: La vita eterna è questa, che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Io 17, 3). Allora si rivelerà colui che, di natura divina, non tenne per sé gelosamente l'essere pari a Dio (Phil 2, 6). Allora si mostrerà come ha promesso di mostrarsi a quelli che lo amano: Chi mi ama - dice - osserva i miei comandamenti; e chi mi ama, sarà amato dal Padre mio, e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui (Io 14, 21). Egli era presente a coloro ai quali parlava, ma essi vedevano soltanto la forma di servo e non vedevano la natura divina. Erano condotti sul giumento all'albergo per essere curati, e una volta guariti lo avrebbero visto, perché egli dice: mi manifesterò a lui. Come si manifesta uguale al Padre? Come egli stesso dice a Filippo: Chi vede me, vede il Padre (Io 14, 9).

19. Da me io non posso far nulla; io giudico secondo che ascolto, e il mio giudizio è giusto. Avendoci detto che sarà lui a giudicare, non il Padre, in quanto il Padre ha rimesso ogni giudizio al Figlio, noi stavamo per chiedergli se, allora, avrebbe giudicato indipendentemente dal Padre; per questo il Signore aggiunge: Da me io non posso far nulla; io giudico secondo che ascolto, e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà ma la volontà di colui che mi ha mandato (Io 5, 30). E' certo che il Figlio fa vivere chi vuole. Ma egli non cerca la sua volontà, bensì la volontà di colui che l'ha mandato. E' come se dicesse: Non cerco di fare la mia propria volontà, la volontà del figlio dell'uomo, quella volontà che tende ad opporsi a Dio. Gli uomini, infatti, quando fanno ciò che vogliono invece di ciò che Dio comanda, fanno la loro volontà, non quella di Dio; mentre quando fanno ciò che vogliono seguendo tuttavia la volontà di Dio, pur facendo ciò che vogliono, non fanno la loro volontà. Fa' volentieri ciò che ti viene comandato; in tal modo tu farai ciò che vuoi, e nello stesso tempo farai non la tua, ma la volontà di Dio da cui dipendi.

20. E infine, qual è il significato delle parole: io giudico secondo che ascolto? Il Figlio ascolta, il Padre gli mostra, e il Figlio vede il Padre che opera. C'eravamo proposti di esporre queste cose più dettagliatamente, se ci fossero rimaste le forze e il tempo. E ancorché io potessi continuare, voi probabilmente non ce la fareste più a seguirmi. Può anche darsi che per il grande desiderio di ascoltare, voi diciate che ce la fate. E' meglio, quindi, che io confessi la mia debolezza, la quale non mi consente, stanco come sono, di continuare; piuttosto che somministrare a voi, che siete sufficientemente sazi, ciò che non riuscireste più ad assimilare. Consideratemi, pertanto, già debitore per domani, con l'aiuto del Signore, di questa promessa che avrei mantenuto oggi, se ci fosse stato il tempo.


 

OMELIA 20

Perfetta unità della Trinità.

Essendo la Trinità un solo Dio, tutte le opere dell'unico Dio sono ugualmente del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

1. Le parole del Signore nostro Gesù Cristo, soprattutto quelle riferite dall'evangelista Giovanni [il quale stava appoggiato sul petto del Signore (cf. Gv 13, 23) proprio per attingere i segreti della sua arcana sapienza e trasmettere mediante il Vangelo ciò che col suo cuore innamorato aveva attinto], sono così profonde e così dense di contenuto, che turbano quanti sono sviati mentre impegnano i retti di cuore. Perciò la vostra Carità concentri l'attenzione su queste poche parole che sono state lette. Vediamo per quanto è possibile, con l'aiuto e il favore di colui stesso che ha voluto fossero a noi trasmesse le sue parole - che allora furono udite e trascritte perché adesso si leggessero -, qual è il senso di ciò che avete appena ascoltato: In verità, in verità vi dico: il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre; poiché quanto questi fa, il Figlio similmente lo fa (Gv 5, 19).

2. Ricorderete, dalla precedente lettura, che l'occasione di questo discorso fu la guarigione, compiuta dal Signore, di uno di quelli che giacevano nei cinque portici della piscina di Salomone. A quel paralitico il Signore aveva detto: Prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua. Siccome questo miracolo lo aveva compiuto di sabato, per questo i Giudei, furenti, lo accusavano come eversore e prevaricatore della legge. Fu allora che Gesù dichiarò: Il mio Padre continua ad agire ed anch'io agisco (Gv 5, 8 17; Mc 2, 11). Essi, infatti, intendendo materialmente l'osservanza del sabato, pensavano che Dio, dopo la fatica della creazione del mondo, si fosse come addormentato fino al presente, e avesse consacrato questo giorno perché in esso aveva cominciato a riposare dalla sua fatica. In realtà esiste un mistero del sabato prescritto ai nostri padri antichi (Es 20, 8-11), che noi cristiani osserviamo spiritualmente astenendoci da ogni opera servile, cioè da ogni peccato [dice infatti il Signore che chi commette peccato è servo del peccato (Gv 8, 34)], raggiungendo la quiete del cuore, cioè la tranquillità spirituale. Ma per quanti sforzi facciamo, non arriveremo al riposo perfetto in questo mondo, ma solo quando saremo usciti da questa vita. Pertanto si dice che Dio il sabato si riposò nel senso che, dopo che tutto fu compiuto, non doveva più creare nulla. La Scrittura parla di riposo per farci intendere che solo dopo aver compiuto le opere buone, potremo riposarci. Così sta scritto nella Genesi: E Dio fece tutte le cose molto buone; e nel settimo giorno Dio si riposò (Gn 1, 31; 2, 2), affinché a tua volta, o uomo, considerando che Dio si riposò dopo le opere buone, non abbia a sperare per te riposo se non quando avrai compiuto opere buone. E come Dio dopo aver fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza nel sesto giorno, e compiute in quel giorno tutte le sue opere assai buone, nel settimo giorno si riposò, così a tua volta non dovrai per te sperare riposo se non quando sarai tornato nella somiglianza in cui sei stato fatto e che hai perduto peccando. In verità non si può dire che Dio lavorò, poiché egli disse e le cose furono fatte. Chi è che dopo un'impresa così facile, sente il bisogno di riposare come dopo una fatica? Perché, se avesse comandato e qualcuno gli avesse opposto resistenza, se il suo comando non fosse stato eseguito e avesse dovuto faticare per portare a compimento l'opera sua, con ragione si potrebbe dire che si riposò dalla fatica: se non che in quel medesimo libro della Genesi leggiamo: Iddio disse: Sia la luce, e la luce fu. Iddio disse: Sia il firmamento, e il firmamento fu (Gn 1, 3 6-7); e così tutte le altre cose furono fatte in virtù della sua parola. Un salmo attesta la medesima cosa: Egli disse e tutto fu fatto; egli comandò e le cose furono create (Sal 32, 9; 148, 5). Come si può dunque pensare che, creato il mondo, cercasse riposo, quasi smettesse di lavorare, colui che nell'impartire ordini non si era certo affaticato? Vuol dire che tutto ciò contiene un significato mistico, ed è stato scritto precisamente perché noi si abbia a sperare riposo dopo questa vita, ma soltanto se avremo compiuto opere buone. Perciò il Signore, rintuzzando l'arroganza e l'errore dei Giudei, e mostrando loro che non avevano di Dio un sentimento giusto, disse a quanti si erano scandalizzati perché egli aveva di sabato operato la guarigione di quell'uomo: Il Padre mio continua ad agire e anch'io agisco (Gv 5, 17). Come a dire: Non crediate che mio Padre si sia riposato di sabato nel senso che da quel giorno abbia cessato di operare; ma come lui continua ad operare, così anch'io opero; e come il Padre opera senza affaticarsi, così anche il Figlio opera senza fatica. Iddio disse, e fu fatto; Cristo disse all'infermo: Prendi il tuo lettuccio e vattene a casa, e fu fatto.

[Le opere del Padre e del Figlio sono inseparabili.]

3. La fede cattolica ritiene che le opere del Padre e del Figlio sono inseparabili. E' di questo che intendo parlare alla vostra Carità, se ne sarò capace: occorre però tener presente l'avvertimento del Signore: Capisca chi può (Mt 19, 12). Chi non riuscirà a capire, non lo rimproveri a me, ma alla propria lentezza, e si rivolga a colui che apre il cuore perché vi riversi il suo dono. Se qualcuno, poi, non intende per il fatto che io non parlo in modo adeguato, compatisca l'umana fragilità e supplichi la divina bontà. Abbiamo dentro di noi il Cristo come maestro. Qualunque cosa non riusciate a comprendere per difetto della vostra intelligenza e della mia parola, rivolgetevi dentro il vostro cuore a colui che insegna a me ciò che dico, e distribuisce a voi come crede. Colui che sa dare, e sa a chi dare, si farà incontro a chi domanda e aprirà a chi bussa. E se per caso non dovesse dare, nessuno si consideri abbandonato. Può forse differire i suoi doni, ma non lascia patire la fame a nessuno. Se non dà subito, è per mettere alla prova chi cerca, ma non disprezza chi si rivolge a lui. Badate, dunque, e fate attenzione a ciò che intendo dirvi, anche se forse non ci riesco. La fede cattolica, solidamente rafforzata dallo Spirito di Dio nei suoi santi, insegna, contro ogni perversa eresia, che le opere del Padre e del Figlio sono inseparabili. Che significa questo? Che come il Padre e il Figlio sono inseparabili, così anche le opere del Padre e del Figlio sono inseparabili. Come possiamo dire che il Padre e il Figlio sono inseparabili? Perché egli stesso afferma: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10, 30). Il Padre e il Figlio non sono due dèi, ma un solo Dio; il Verbo e colui di cui egli è il Verbo, sono un solo e unico Dio. Il Padre e il Figlio, intimamente congiunti nella carità, sono un solo Dio, e uno solo è anche il loro Spirito di carità, di modo che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo formano la Trinità. Come dunque sono uguali e inseparabili le persone, non soltanto le persone del Padre e del Figlio, ma anche dello Spirito Santo, così sono inseparabili anche le loro opere. Per maggior chiarezza lo ripeto ancora: le loro opere sono inseparabili. La fede cattolica non insegna che Dio Padre ha fatto una cosa e il Figlio un'altra distinta; ma che il Padre ha fatto ciò che anche il Figlio ha fatto, ciò che anche lo Spirito Santo ha fatto. Per mezzo del Verbo infatti furono fatte tutte le cose. Quando disse e furono fatte, furono fatte per mezzo del Verbo, per mezzo del Cristo. Infatti in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (Gv 1, 1 3). Se tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, quando Dio disse: Sia luce, e fu luce, operò nel Verbo, operò per mezzo del Verbo.

4. Abbiamo appena sentito nel Vangelo la risposta di Cristo ai Giudei, furibondi perché non solo violava il sabato, ma chiamava Dio suo proprio Padre facendosi uguale a Dio. Così infatti è scritto nel capitolo precedente. In risposta a tale loro assurda indignazione, il Figlio di Dio, che era la verità, disse: In verità, in verità vi dico: il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre (Gv 5, 18-19). Come a dire: Vi siete scandalizzati perché ho detto che Dio è mio Padre e perché mi faccio uguale a Dio? Sono così uguale che lui mi ha generato; sono così uguale che non è lui da me, ma io da lui. Questo infatti è il senso delle parole: Il Figlio non può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Cioè, è dal Padre che il Figlio riceve il potere di fare ciò che fa. Perché riceve il potere dal Padre? Perché è dal Padre che riceve il suo essere Figlio. E perché riceve il suo essere Figlio dal Padre? Perché dal Padre riceve l'essere e dal Padre riceve il potere: nel Figlio infatti l'essere e il potere si identificano. Nell'uomo non è così. Dalla considerazione dell'umana debolezza, che sta molto in basso, alzate più che potete i vostri cuori; e se mai qualcuno di noi riesce ad attingere l'arcano segreto e, come folgorato dallo splendore di quella grande luce, riesce a gustare qualcosa, tanto da non rimanere del tutto privo di sapienza, non si illuda tuttavia di sapere tutto, affinché, levandosi in superbia, non abbia a perdere ciò che è riuscito a sapere. Nell'uomo una cosa è ciò che egli è, un'altra cosa ciò che egli può. Talvolta infatti egli è bensì uomo, ma non può ciò che vuole; talvolta invece è talmente uomo che riesce a fare ciò che vuole; è chiaro, dunque, che altro è il suo essere, altro il suo potere. Poiché se il suo essere s'identificasse con il suo potere, volere sarebbe potere. In Dio, al contrario, la natura, in virtù della quale egli è, non è distinta dalla potenza in virtù della quale egli opera. Tutto ciò che egli ha, come tutto ciò che egli è, è in lui consustanziale, appunto perché Dio e il suo essere Dio non è in lui una cosa distinta dal suo potere, ma s'identificano in lui l'essere e il potere così come s'identificano il volere e il fare. E siccome la potenza del Figlio deriva dal Padre, perciò anche la sostanza del Figlio ha origine dal Padre; e siccome la sostanza del Figlio deriva dal Padre, anche il potere del Figlio viene dal Padre. Non si distingue, nel Figlio, la potenza dalla sostanza, ma la potenza s'identifica con la sostanza: sostanza per essere, potenza per operare. Siccome dunque il Figlio è generato dal Padre, perciò ha detto: Il Figlio non può far nulla da sé. Infatti il Figlio non è da sé, e quindi non può nulla da sé.

[La parola di Dio impegna a fondo il cuore docile.]

5. Si direbbe che il Figlio si consideri inferiore al Padre, quando dice: Il Figlio non può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. E' qui che l'orgoglio degli eretici alza la testa: mi riferisco a coloro che sostengono che il Figlio è inferiore al Padre, inferiore in autorità, maestà e potere, dimostrando così di non intendere il senso misterioso delle parole di Cristo. Presti attenzione, la vostra Carità, e vedrete come per il loro modo d'intendere grossolano, gli eretici restano scombussolati da queste stesse parole di Cristo. A tal proposito, ho già osservato che la parola di Dio - soprattutto quella riferita dall'evangelista Giovanni - provoca turbamento nei cuori che non sono retti, mentre stimola i cuori ben disposti. Giovanni dice cose sublimi, non comuni, né di facile comprensione. Ecco, a sentir queste parole, l'eretico salta su a dire: Vedi che il Figlio è inferiore al Padre? Ecco, senti quello che il Figlio stesso dice: Il Figlio non può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Aspetta, abbi pazienza, secondo l'esortazione della Scrittura: Ascolta con calma la parola, per poter capire (Sir 5, 13). Tu credi che anch'io, che sono convinto essere uguali la potenza e la maestà del Padre e del Figlio, sia turbato per aver udito queste parole: Il Figlio non può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Turbato da queste parole, io mi rivolgo a te, che credi di averle capite, e ti chiedo: Sappiamo dal Vangelo che il Figlio camminò sul mare (Mt 14, 25); quando mai egli ha veduto il Padre camminare sul mare? Ecco che anche tu sei turbato. Lascia dunque da parte ciò che avevi capito, e cerchiamo insieme. Cosa dobbiamo fare? Abbiamo sentito il Signore dire: Il Figlio non può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Il Figlio camminò sul mare, il Padre non camminò sul mare. Eppure il Figlio non può far nulla da sé, che non lo veda fare dal Padre.

6. Ritorna dunque con me a ciò che dicevo, per vedere se riusciamo ad intendere in modo tale da superare insieme la difficoltà. Poiché io, secondo la fede cattolica, vedo come uscirne senza danno, senza inciampare; tu invece, chiuso d'ogni parte, cerchi una via d'uscita. Guarda per dove sei entrato. Forse non hai capito ciò che ti ho detto: Guarda per dove sei entrato; ascolta colui che dice: Io sono la porta (Gv 10, 7). Non per nulla cerchi una via d'uscita e non la trovi, perché non sei entrato per la porta ma, calandoti per il muro, sei caduto. Cerca, dunque, di rialzarti dalla tua caduta, ed entra per la porta, se vuoi entrare senza danno e uscire senza errare. Entra per Cristo, e non dire ciò che ti viene in mente, ma ciò che lui ti rivela. E' questo che devi dire. Ecco come la fede cattolica esce da questa difficoltà. Il Figlio camminò sul mare, posò i piedi di carne sopra le onde: era la carne che camminava, e la divinità la sosteneva. Il Padre era in questo caso forse assente? Se fosse stato assente, come potrebbe il Figlio dire: Il Padre che dimora in me, è lui che compie le opere (Gv 14, 10)? Se il Padre, che dimora nel Figlio, è lui che compie le sue opere, il camminare del corpo sopra il mare era opera del Padre, che egli compiva per mezzo del Figlio. Cioè, quel camminare sulle onde era opera inseparabile del Padre e del Figlio; li vedo all'opera tutti e due: il Padre non abbandona il Figlio, né il Figlio si allontana dal Padre. Insomma, tutto ciò che fa il Figlio, non lo fa senza il Padre, perché tutto ciò che fa il Padre non lo fa senza il Figlio.

7. Questa è la via d'uscita. Vedete che a ragione diciamo essere inseparabili le opere del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo? Tu, invece, in modo grossolano intendi che Dio fece la luce (cf. Gn 1, 3) e che il Figlio vide il Padre fare la luce; e così pretendi che il Figlio, in base alla sua affermazione Il Figlio non può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre, sia inferiore. Dio Padre fece la luce: e il Figlio, quale altra luce ha fatto? Dio Padre fece il firmamento, creò il cielo tra le acque superiori e le acque inferiori (cf. Gn 1, 6); secondo il tuo modo d'intendere ottuso e grossolano, il Figlio lo vide. Ebbene, dato che il Figlio vide fare il firmamento, e, dato che il Figlio disse: Il Figlio non può far nulla da sé, ma soltanto ciò che ha visto fare dal Padre, mostrami un altro firmamento. O non hai per caso perduto il fondamento? Coloro che sono stati edificati sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare dell'edificio (cf. Ef 2, 14-20), hanno trovato in Cristo la pace, e non stanno più a litigare andando fuori strada e cadendo nell'eresia. Riconosciamo, dunque, che la luce fu fatta da Dio Padre, ma per mezzo del Figlio; che il firmamento fu fatto da Dio Padre, ma per mezzo del Figlio: Tutte le cose - infatti - sono state fatte per mezzo di lui, e senza di lui niente fu fatto. Scuoti la tua intelligenza, che più che intelligenza si dovrebbe chiamare stoltezza. Dio Padre ha fatto il mondo: quale altro mondo ha fatto il Figlio? Mostrami il mondo fatto dal Figlio. Il mondo in cui siamo, di chi è, e da chi è stato fatto? Se dici che è stato fatto dal Figlio e non dal Padre, ti allontani dal Padre! se dici che è stato fatto dal Padre e non dal Figlio, il Vangelo ti ricorda: Il mondo fu fatto per mezzo di lui, e il mondo non lo riconobbe (Gv 1, 3 10). Riconosci dunque colui per mezzo del quale il mondo è stato fatto, e non voler essere tra coloro che non riconobbero il creatore del mondo.

[Il Verbo attinge dal Padre ciò che può e ciò che è.]

8. Le opere del Padre e del Figlio sono dunque inseparabili. Quando dice: Il Figlio da sé non può far nulla, è come se dicesse: Il Figlio non è da sé. E infatti se è Figlio, vuol dire che è nato, e se è nato, deve il suo essere a colui dal quale è nato. Ma il Padre generò il Figlio uguale a sé. Niente mancò a colui che lo generò; non ebbe bisogno del tempo per generarlo, perché lo generò eterno come era egli stesso; non ebbe bisogno di una madre per generarlo, perché da se stesso proferì il Verbo. E non ha neppure preceduto nell'età il Figlio, sì da generarlo a sé inferiore. Qualcuno dirà che Dio ebbe il Figlio dopo tanti secoli, nella sua vecchiaia. Ma come non si può parlare di vecchiaia riguardo al Padre, così non si può parlare di crescita riguardo al Figlio: né uno invecchia né l'altro cresce; ma il Padre ha generato il Figlio uguale a sé, l'eterno lo ha generato eterno. Come può, dirà qualcuno, l'eterno generare un altro eterno? Allo stesso modo che una fiamma effimera genera una luce effimera. Sono simultanee la fiamma che genera e la luce generata; non c'è priorità di tempo tra l'una e l'altra: nell'istante in cui comincia la fiamma, in quel medesimo istante comincia la luce. Dammi una fiamma senza luce e io ti darò Dio Padre senza il Figlio. E' dunque questo il significato delle parole: Il Figlio non può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre, perché il vedere del Figlio significa che egli è nato dal Padre. Non si distingue la sua visione dalla sua sostanza, così come non si distingue la sua potenza dalla sua sostanza. Tutto ciò che egli è, lo è dal Padre; tutto ciò che può, lo può dal Padre; perché il suo potere è tutt'uno con il suo essere, e tutto viene dal Padre.

9. Il Signore prosegue nelle sue affermazioni, provocando turbamento in coloro che lo fraintendono, onde richiamarli alla retta intelligenza. Aveva detto: Il Figlio non può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre: ma temeva che una concezione grossolana s'insinuasse a sovvertire la mente e qualcuno li immaginasse come due artigiani, uno maestro e l'altro discepolo, e il discepolo che sta lì a guardare il maestro intento a costruire, mettiamo, un armadio, per fabbricarne poi un altro lui secondo che ha visto fare dal maestro; temendo dunque che una mentalità grossolana potesse trasferire una tale immagine nella semplicità di Dio, proseguendo disse: poiché quanto il Padre fa, il Figlio similmente lo fa. Non fa il Padre una cosa e il Figlio un'altra, ma tutto ciò che fa il Padre lo fa anche il Figlio, e nel medesimo modo. Non dice che il Figlio fa qualcosa di simile a ciò che fa il Padre, ma dice che quanto il Padre fa, il Figlio similmente lo fa. Quello che fa uno lo fa anche l'altro: il mondo lo fa il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Se ci sono tre dèi, ci sono tre mondi; ma se c'è un solo Dio: Padre e Figlio e Spirito Santo, c'è un solo mondo fatto dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo. Dunque il Figlio fa le stesse cose che fa il Padre, e non le fa in maniera diversa; fa le stesse cose e nella stessa maniera.

10. Il Signore aveva già detto: fa le medesime cose. Perché ha aggiunto similmente, cioè nel medesimo modo? Affinché non nascesse nell'animo nostro un'altra errata interpretazione. Considera un'opera qualsiasi dell'uomo: nell'uomo c'è l'anima e il corpo; l'anima comanda al corpo, ma c'è grande differenza tra il corpo e l'anima; il corpo è visibile, l'anima invisibile; tra la potenza e la virtù dell'anima e quella di un corpo, sia pure di un corpo celeste, c'è molta differenza. L'anima tuttavia comanda al corpo e il corpo obbedisce, e sembra che il corpo faccia le stesse cose che fa l'anima: sì, fa le stesse cose, ma non nello stesso modo. Come si può dire che fa le stesse cose, ma non nello stesso modo? L'anima concepisce in sé una parola, comanda alla lingua, e questa proferisce la parola che l'anima ha concepito; è stata l'anima che ha dato origine alla parola, ed è stata anche la lingua; ha agito il padrone del corpo e ha agito anche il servo; ma il servo, il potere di fare quello che ha fatto lo ha ricevuto dal padrone, e l'ha fatto per ordine suo. Tutti e due hanno fatto la stessa cosa, ma forse nello stesso modo? Dov'è la differenza?, dirà qualcuno. Ecco, la parola che la mia anima ha concepito rimane in me; ciò che invece la mia lingua ha proferito, si è dileguato percuotendo l'aria e non c'è più. Quando pronunci una parola nella tua anima e questa risuona sulla tua lingua, rientra nella tua anima e vi ritroverai la parola che hai concepito. Ma forse che perdura sulla tua lingua come perdura nella tua anima? La parola che risuona sulla tua lingua, è opera della lingua che la pronuncia ed è opera dell'anima che la pensa; ma il suono della lingua passa, mentre il pensiero dell'anima rimane. Ciò che fa il corpo, quindi, lo fa anche l'anima, ma non nello stesso modo. L'anima fa ciò che in essa permane; la lingua invece produce un suono che, attraverso l'aria, percuote l'orecchio. Puoi forse inseguire le sillabe per trattenerle? Non è dunque il caso del Padre e del Figlio, i quali fanno le stesse cose e le fanno nello stesso modo. Ha fatto Dio un cielo che permane? Anche il Figlio ha fatto un cielo che permane. Ha fatto Dio Padre l'uomo mortale? Anche il Figlio ha fatto l'uomo mortale. Quanto di stabile ha fatto il Padre, lo ha fatto anche il Figlio e col medesimo carattere, perché ha operato allo stesso modo; e quanto di temporale ha fatto il Padre, lo ha fatto anche il Figlio, e col medesimo carattere; perché non soltanto ha fatto le stesse cose, ma le ha fatte altresì nello stesso modo. Infatti il Padre ha operato per mezzo del Figlio, in quanto ha fatto tutte le cose per mezzo del Verbo.

[Per raggiungere Dio bisogna trascendere anche l'anima.]

11. Cerca divisione tra il Padre e il Figlio, e non la troverai. Ma solo se saprai elevarti al di sopra di te, non la troverai. Solo se hai raggiunto qualcosa di superiore alla tua mente, solo allora potrai renderti conto che non ce n'è. Infatti, se ti fermi a ciò che l'anima erroneamente si costruisce, parlerai con la tua fantasia, non col Verbo di Dio: rimarrai vittima delle tue fantasie. Trascendi il corpo e comincia a gustare l'anima; trascendi anche l'anima e arriva a gustare Dio. Non puoi raggiungere Dio, se non ti elevi ad di sopra anche dell'anima; tanto meno riuscirai a raggiungerlo se permani nella carne. Quanto sono lontani dal gustare Dio, coloro che si fermano alla sapienza della carne! Infatti non ci arriverebbero neppure con la sapienza dell'anima. La sapienza della carne allontana molto l'uomo da Dio; c'è molta distanza tra la carne e l'anima, ma ce n'è di più tra l'anima e Dio. Se tu abiti nella tua anima, ti trovi come in mezzo: se guardi giù, c'è il corpo; se guardi su, c'è Dio. Elevati al di sopra del tuo corpo e oltrepassa anche te stesso. Tieni conto di ciò che il salmo dice e saprai come si deve gustare Dio: Le lacrime sono diventate il mio pane giorno e notte, mentre mi si ripete in ogni istante: Dov'è il tuo Dio? (Sal 41, 4). Quasi che i pagani ci provocassero dicendo: Ecco i nostri dèi; e il vostro Dio dov'è? Essi mostrano ciò che è visibile, noi adoriamo l'Invisibile. E a chi potremmo mostrarlo? all'uomo che non ha la possibilità di vederlo? Perché, se è vero che essi vedono i loro dèi con gli occhi, è altrettanto vero che abbiamo anche noi occhi per vedere il nostro Dio. Sono gli occhi che il nostro Dio deve purificare perché possiamo vederlo: Beati - infatti - i puri di cuore, perché essi vedranno Dio (Mt 5, 8). Così il salmista, dopo aver detto di essere turbato nel sentirsi dire continuamente dov'è il tuo Dio?, dice: mi sono ricordato di questo, che mi si dice continuamente: Dov'è il tuo Dio?; e come nel tentativo di afferrare il suo Dio, aggiunge: mi sono ricordato di questo e ho elevato sopra di me l'anima mia (Sal 41, 4-5). Cioè, per raggiungere il mio Dio, riguardo al quale mi sentivo dire dov'è il tuo Dio?, ho elevato la mia anima non soltanto sopra la mia carne, ma anche al di sopra di me stesso: ho trasceso me stesso per raggiungere lui. Colui che mi ha creato è sopra di me: non lo raggiunge se non chi si eleva al di sopra di sé.

12. Considera il tuo corpo: è mortale, è terrestre, è fragile, è corruttibile: distaccati da esso! Ma dirai che forse soltanto la carne è legata al tempo. Considera altri corpi, i corpi celesti. Essi sono più grandi, più perfetti, luminosi: si muovono da oriente a occidente, sono sempre in movimento, sono visibili non solo agli uomini ma anche agli animali. Procedi oltre. Ma come faccio - mi dirai - ad elevarmi al di sopra dei corpi celesti, io che cammino sulla terra? Non è con la carne che devi ascendere, ma con l'anima. Va' oltre questi corpi! Anche se brillano e rifulgono nel cielo, sono sempre corpi. Sali più in alto, tu che forse credi non si possa andare al di là di queste meraviglie che contempli. Tu dici: E dove potrò andare oltre i corpi celesti, che cosa debbo ancora oltrepassare con l'anima? Hai contemplato tutte queste meraviglie? Sì, le ho contemplate, rispondi. Come hai potuto contemplarle? Venga fuori quegli stesso che le contempla. Chi contempla, infatti, tutte queste meraviglie, chi giudica e discerne, e chi per così dire le pesa sulla bilancia della sapienza, è l'anima. Senza dubbio l'anima, mediante la quale hai pensato tutte queste cose, è superiore a tutte queste cose che hai pensato. Essa dunque non è corpo ma spirito: elevati al di sopra anche di questo spirito. E, per vedere a che cosa devi elevarti, prima confronta l'anima con la carne. Anzi, no, non fare mai un simile confronto. Confronta, piuttosto, l'anima con lo splendore del sole, della luna e delle stelle: lo splendore dell'anima è superiore. Considera la rapidità del pensiero: non è più rapida la scintilla dell'anima che pensa, dello splendore del sole meridiano? Vedi colla tua anima il sole che sorge: il suo movimento, paragonato a quello del tuo pensiero, appare troppo lento; in un attimo col tuo pensiero hai abbracciato l'intero corso del sole. Hai visto il sole seguire il suo corso da oriente a occidente, per rispuntare domani dal lato opposto. Col tuo pensiero hai già fatto tutto il percorso, mentre il sole segue il suo corso con tanta lentezza. E' una cosa meravigliosa l'anima! Ma perché dico: è? Elevati al di sopra anche di essa, perché anche essa è mutevole, sebbene sia migliore di qualsiasi corpo. Ora sa e ora non sa, ora dimentica e ora ricorda, ora vuole e ora non vuole, ora pecca e ora è giusta. Elevati, dunque, al di sopra di ogni essere che muta, non solo al di sopra di ogni essere visibile, ma anche di ogni essere mutevole. Ti sei elevato al di sopra della carne visibile, ti sei elevato al di sopra del cielo, del sole, della luna e delle stelle che sono visibili: trascendi anche tutto ciò che muta! Oltrepassate le realtà visibili, sei pervenuto alla tua anima, ma anche lì hai trovato i caratteri della mutabilità. E' forse mutevole anche Dio? Trascendi, dunque, anche la tua anima! Eleva la tua anima sopra te stesso, per raggiungere Dio, del quale ti si domanda: Dov'è il tuo Dio?

13. Non credere che questa sia un'impresa superiore alle possibilità dell'uomo. L'evangelista Giovanni c'è riuscito. Egli si è elevato al di sopra della carne, al di sopra della terra dove camminava, al di sopra dei mari che vedeva, al di sopra dell'aria in cui volano gli uccelli, si è elevato al di sopra del sole, delle stelle, al di sopra di tutti gli spiriti invisibili, e mediante la contemplazione della sua anima si è elevato al di sopra del suo stesso spirito. Dopo aver trasceso tutte queste cose, e aver elevato la sua anima al di sopra di se stesso, dove è pervenuto? cosa ha visto? In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio (Gv 1, 1). Ora, se non trovi divisione nella luce, perché la vuoi trovare nelle opere? Guarda Dio, contempla il Verbo, e unisciti intimamente al Verbo che parla: la sua parola non si compone di sillabe, la sua parola è risplendente fulgore della sapienza. Della sua sapienza si dice che è splendore della luce eterna (Sap 7, 26). Osserva lo splendore del sole. Il sole è in cielo e riversa il suo splendore su tutta la terra, su tutti i mari; eppure la sua luce è solo corporale. Se riesci a separare dal sole il suo splendore, riuscirai anche a separare il Verbo dal Padre. Ho parlato del sole; ma anche un'esile fiammella di lucerna, che si può spegnere con un soffio, sparge la sua luce tutto attorno. Vedi la luce sprigionata dalla fiamma; vedi che ha origine dalla fiamma, non la vedi separata da essa. Convincetevi dunque, fratelli carissimi, che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono tra loro inseparabilmente uniti, e che questa Trinità è un solo Dio, e che tutte le opere di questo unico Dio sono opere del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Le altre parole del Vangelo, che fanno parte del discorso di nostro Signore Gesù Cristo, formeranno l'argomento del mio discorso di domani: venite ad ascoltarlo.