COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Sant’Agostino

 

[Omelie 41-50]

 

OMELIA 41

Saremo liberi, solo se il Figlio ci libera.

La nostra speranza è di essere liberati da colui che è libero, e liberandoci ci renda servi: eravamo servi della cupidigia, liberati diventiamo servi della carità.

1. Ho rimandato il discorso sul seguito del passo precedente del santo Vangelo che oggi ci è stato nuovamente letto, sia perché avevo già parlato molto, sia perché di quella libertà cui ci chiama la grazia del Salvatore, non si può parlare di passaggio e superficialmente; per cui abbiamo deciso di riprendere oggi il discorso, contando sull'aiuto del Signore. Coloro ai quali si rivolgeva il Signore Gesù Cristo, erano Giudei, in gran parte sì nemici, ma in parte diventati o in via di diventare amici; vedeva infatti che c'erano alcuni, come ho già detto, che dopo la sua passione avrebbero creduto in lui. Tenendo conto di questi aveva detto: Quando avrete levato in alto il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che io sono (Gv 8, 28). Erano presenti alcuni che a queste parole subito credettero, ai quali disse ciò che abbiamo sentito oggi: Gesù allora prese a dire ai Giudei che avevano creduto in lui: Se voi rimarrete nella mia parola, sarete davvero miei discepoli. Rimanendo costanti, sarete discepoli: ora siete credenti, perseverando nella fede diverrete veggenti. Perciò continua: e conoscerete la verità (Gv 8, 31-32). La verità non è soggetta a mutamento. La verità è il pane che nutre lo spirito, senza venir meno: essa trasforma chi di lei si nutre, ma non si converte in chi la mangia. Ecco qual è la verità: il Verbo di Dio, Dio presso Dio, Figlio unigenito. Questa verità si è rivestita di carne per noi, nascendo dalla vergine Maria, adempiendo così la profezia: La verità è sorta dalla terra (Sal 84, 12). Questa verità, quando parlava ai Giudei, rimaneva occulta nella carne: rimaneva occulta, non per farsi rifiutare, ma perché voleva rinviare la sua manifestazione; e rinviava la sua manifestazione per poter prima patire nella carne, e mediante i suoi patimenti nella carne redimere la carne del peccato. E così, rivelandosi nell'umiltà della carne e occultando la sua divina maestà, nostro Signore Gesù Cristo disse a coloro che mediante la sua parola gli avevano creduto: Se rimarrete nella mia parola, sarete davvero miei discepoli. Chi infatti avrà perseverato sino alla fine sarà salvo (cf. Mt 10, 22). E conoscerete la verità che ora è nascosta e vi parla. E la verità vi libererà (Gv 8, 32). Questo verbo il Signore lo prende dalla parola libertà, e perciò non significa altro che vi farà liberi; allo stesso modo che salvare non significa altro che fare salvo, e sanare significa rendere uno sano, e arricchire significa rendere uno ricco; così liberare significa rendere uno libero. Ciò risulta più chiaro in greco; perché in latino siamo soliti dire che uno viene liberato, senza riferirci alla libertà ma soltanto alla salute; così diciamo che uno viene liberato da un'infermità: è un modo di dire, ma non è un parlare con proprietà. E' invece in senso proprio che il Signore usa questo verbo, quando dice la verità vi libererà; secondo il testo greco è fuori dubbio che egli si riferisce alla libertà.

[La verità ci libera dalla servitù del peccato.]

2. E in questo senso lo intesero i Giudei, i quali gli risposero: non quelli che erano diventati credenti, ma quanti in quella folla erano rimasti increduli. Gli risposero: Noi siamo stirpe di Abramo, e non siamo mai stati schiavi di nessuno; come puoi dire: diventerete liberi? (Gv 8, 33). Il Signore però non aveva detto: sarete liberi, bensì: "la verità vi libererà". In questa espressione che, come ho detto, appare chiara in greco, essi non intesero altro che la libertà, e si vantarono di essere discendenti di Abramo. Dissero: Noi siamo stirpe di Abramo, e non siamo mai stati schiavi di nessuno; come puoi tu dire: diventerete liberi? Palloni gonfiati! Questo non significa essere grandi, ma gonfi d'aria. Anche limitandosi alla libertà temporale, come potete sostenere che non siete mai stati schiavi di nessuno? Non fu venduto Giuseppe (cf. Gn 37, 28)? Non furono deportati come schiavi i santi profeti (cf. 2 Re 24)? Non siete forse quel medesimo popolo che in Egitto costruiva mattoni e serviva dei re tiranni, non lavorando l'oro o l'argento ma impastando terra (cf. Es 1, 14)? Se non siete mai stati servi di nessuno perché, o ingrati, Dio vi ricorda continuamente di avervi dovuto liberare dalla casa della schiavitù (cf. Es 13, 3; Deut 5, 6 ecc.)? O forse sono stati schiavi i vostri padri, e voi che ora parlate non siete schiavi di nessuno? Perché allora state pagando il tributo ai Romani, tanto che avete tentato di far cadere in un tranello la verità stessa, chiedendogli se fosse lecito pagare il tributo a Cesare? Se egli avesse risposto che era lecito, voi lo avreste fatto passare per nemico della libertà della stirpe di Abramo; e se avesse risposto che non lo era, lo avreste accusato presso i re della terra di impedire il pagamento del tributo all'autorità. Elegantemente vi ha confusi per mezzo della moneta da voi presentatagli, costringendo voi stessi a rispondere alla vostra capziosa domanda. Egli infatti vi disse: Rendete a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio, avendo voi stessi risposto che l'effigie della moneta era di Cesare (Mt 22, 15-21). Così come Cesare cerca la sua immagine nella moneta, Dio cerca la sua nell'uomo. Questo è dunque ciò che rispose ai Giudei. Mi fa impressione, o fratelli, la vanagloria degli uomini, che spinse i Giudei a mentire, anche a proposito della libertà intesa solo in senso carnale, e ad affermare: Non siamo mai stati schiavi di nessuno.

3. Piuttosto, ascoltiamo con molta attenzione la risposta del Signore, e teniamone conto, se non vogliamo anche noi essere degli schiavi. Rispose loro Gesù: In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato (Gv 8, 34). E' schiavo, e magari lo fosse dell'uomo piuttosto che del peccato! Chi non tremerà a queste parole? Che il Signore Dio nostro aiuti me e voi, in modo che vi possa parlare come si conviene di questa libertà cui si deve aspirare, e di quella schiavitù che si deve evitare. La verità stessa dichiara: Amen, amen, io vi dico. Che significa questa espressione del Signore Dio nostro: amen, amen, io vi dico? E' un'espressione energica per richiamare l'attenzione su ciò che afferma: si può dire che è come la formula del suo giuramento: amen, amen, io vi dico. Amen significa "è vero", "è così". Si sarebbe potuto tradurre: "Io vi dico la verità"; ma né il traduttore greco né quello latino hanno osato tradurre la parola amen, che non è né greca né latina, ma ebraica. Non è stata tradotta, come per custodire gelosamente un segreto: non per sottrarlo, ma per timore che togliendo il velo il segreto si svilisse. Non una sola volta, ma due volte il Signore dice: Amen, amen, io vi dico, affinché dalla ripetizione stessa riconosciate come abbia voluto sottolineare l'affermazione.

4. Che cosa ha voluto sottolineare? "In verità, in verità, io vi dico", dice la verità in persona; la quale anche se non affermasse "in verità io vi dico", assolutamente non potrebbe mentire. Tuttavia insiste, sottolinea: vuole così scuotere chi dorme, richiamare l'attenzione di tutti, non accetta di essere ignorata o disprezzata. Che cosa intende affermare? In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Oh, miserabile schiavitù! Accade che uomini schiavi di duri padroni chiedano di essere venduti, non per non avere più padrone, ma almeno per cambiarlo. Che farà chi è schiavo del peccato? a chi si rivolgerà? presso chi ricorrerà? a chi chiederà di essere venduto? Chi è schiavo di un uomo, quando non riesce più a sopportare le dure imposizioni del suo padrone, cerca scampo nella fuga; ma chi è schiavo del peccato dove fugge? Dovunque vada, si porta dietro se stesso. La cattiva coscienza non può fuggire da se stessa, non ha dove andare, ovunque accompagna se stessa; anzi, mai se ne distacca, perché il peccato che ha commesso se lo porta sempre dentro. Ha commesso il peccato per procurarsi un piacere corporale; il piacere è passato, il peccato rimane; è passato ciò che procurava piacere, è rimasto il rimorso. Squallida schiavitù! Spesso si rifugiano presso la Chiesa, e nella maggior parte dei casi ci danno filo da torcere, uomini insofferenti di ogni disciplina, i quali non vogliono star soggetti ad alcun padrone, ma non sanno vivere senza peccato. Altri invece, sottoposti a un ingiusto e duro giogo, si rifugiano presso la Chiesa e invocano l'intervento del vescovo, perché da liberi sono stati ridotti a schiavi; e se il vescovo in tutti i modi non impedisce che la libertà nativa venga oppressa, lo si ritiene duro di cuore. Ricorriamo tutti a Cristo, invochiamo contro il peccato l'intervento di Dio liberatore, chiediamo di essere venduti, ma per essere ricomprati con il suo sangue. Siete stati venduti per niente - dice il Signore - e senza denaro sarete ricomprati (Is 52, 3). Senza denaro, cioè senza il vostro denaro, perché il prezzo l'ho pagato io. Questo dice il Signore: egli ha pagato il prezzo, e non in denaro ma con il suo sangue. Noi infatti eravamo schiavi e miserabili.

[Ci libera colui che si è offerto in sacrificio.]

5. Solo il Signore ci può liberare da questa schiavitù: egli che non la subì, ce ne libera; perché egli è l'unico che è venuto in questa carne senza peccato. Anche i bambini che vedete in braccio alle loro mamme, ancora non camminano e già sono prigionieri del peccato: lo hanno ereditato da Adamo e solo da Cristo sono liberati. Anche ad essi, quando vengono battezzati, viene conferita questa grazia promessa dal Signore; poiché può liberare dal peccato solo chi è venuto senza peccato e si è fatto vittima per il peccato. Avete sentito quanto dice l'Apostolo, le cui parole sono state appena lette: Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo, ed è come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo; cioè, come se Cristo stesso vi supplicasse. Di che cosa? Riconciliatevi con Dio (2 Cor 5, 20). Se l'Apostolo ci esorta e ci supplica a riconciliarci con Dio, vuol dire che eravamo nemici di Dio. Non ci si riconcilia infatti se non quando si è nemici. Ma è stato il peccato, non la natura, a renderci nemici. Nemici di Dio perché schiavi del peccato. Dio non ha per nemici degli uomini liberi: per essere suoi nemici è necessario essere schiavi e tali si rimane finché non si è liberati da colui del quale peccando gli uomini vollero essere nemici. Vi supplichiamo - dice l'Apostolo - in nome di Cristo: riconciliatevi con Dio. Ma come possiamo riconciliarci con Dio, se non si elimina ciò che crea divisione tra noi e lui? Egli dice per bocca del profeta: Non è diventato duro d'orecchio per non sentire, ma sono i vostri peccati che hanno messo la divisione tra voi e il vostro Dio (Is 59, 1-2). Non è possibile la riconciliazione se non si elimina l'ostacolo che si frappone tra noi e lui, ponendo, invece, in mezzo ciò che deve starci. C'è di mezzo un ostacolo che divide, ma c'è altresì il Mediatore che riconcilia. Ciò che divide è il peccato, il mediatore che ci riconcilia è il Signore Gesù Cristo: Vi è un solo Dio e un solo mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù (1 Tim 2, 5). Per abbattere il muro che divide, il peccato, è venuto quel mediatore che si è fatto ad un tempo vittima e sacerdote. E poiché si è fatto vittima per il peccato offrendo se stesso in olocausto sulla croce della sua passione, l'Apostolo, dopo aver detto: Vi supplichiamo in nome di Cristo: riconciliatevi con Dio, aggiunge, come se noi avessimo chiesto in che modo possiamo riconciliarci: Lui - cioè Cristo stesso - che non conobbe peccato, Iddio lo fece per noi peccato, affinché in lui noi diventassimo giustizia di Dio (2 Cor 5, 20-21). Lui - proprio lui, Cristo Dio - che non conobbe peccato, è venuto nella carne, cioè in una carne simile a quella del peccato (cf. Rm 8, 3), ma che tuttavia non era la carne del peccato, poiché in lui non v'era alcun peccato; e proprio perché in lui non c'era peccato, è diventato il vero sacrificio per il peccato.

6. E' forse solo una mia opinione personale che peccato vuol dire sacrificio per il peccato? Coloro che hanno letto le Scritture, sanno che è così; e coloro che non hanno letto, si affrettino ad andare a vedere per rendersi conto che è così. Quando Dio ordinò di offrire sacrifici per il peccato, e in tali sacrifici non vi era l'espiazione dei peccati, ma l'ombra della realtà futura, quegli stessi sacrifici, le stesse vittime, le stesse oblazioni, gli stessi animali che venivano immolati per i peccati, col sangue dei quali veniva prefigurato il sangue di Cristo, dalla legge erano chiamati peccati. La legge arrivava anzi, in certe sue parti, a prescrivere che i sacerdoti nel compiere il sacrificio stendessero le mani sul capo del peccato, volendo dire sul capo della vittima da immolare per il peccato. E' in questo senso che nostro Signore Gesù Cristo si è fatto peccato, cioè è diventato sacrificio per il peccato, egli che non conobbe peccato.

7. Davvero ci libera da questa schiavitù del peccato colui che nei salmi dice: Sono diventato come un uomo indifeso, libero tra i morti (Sal 87, 5-6). Lui solo era libero, perché non aveva peccato. Egli stesso dice nel Vangelo: Ecco, sta per venire il principe di questo mondo, alludendo al diavolo, che sarebbe venuto nella persona dei Giudei suoi persecutori; ecco - dice - sta per venire, ma in me non troverà nulla. Anche nei giusti che uccide trova qualche peccato, sia pure leggero, ma in me non troverà nulla. E come se gli si obiettasse: se in te non troverà nulla, perché ti ucciderà?, egli subito aggiunge: Affinché tutti sappiano che io faccio la volontà del Padre mio; levatevi, andiamo via di qui (Gv 14, 30-31). Non sono costretto a morire, dice, per pagare il prezzo del mio peccato, ma con la mia morte compio la volontà del Padre mio: e con ciò non mi limito a patire, perché se non avessi voluto non avrei patito. Ascolta ciò che dice in altra occasione: Ho il potere di dare la mia vita e ho il potere di riprenderla di nuovo (Gv 10, 18). E così dimostra di essere davvero libero tra i morti.

[Dalla servitù al servizio.]

8. Dato che chiunque commette il peccato è schiavo del peccato, ascoltate quale speranza di libertà ci rimane. Ora, lo schiavo - dice - non rimane nella casa per sempre (Gv 8, 35). La casa è la Chiesa, lo schiavo è il peccatore. Sono molti a entrare peccatori nella Chiesa. Egli, però, non ha detto che lo schiavo non è nella casa, ma ha detto: non rimane nella casa per sempre. Se non ci sarà nessuno schiavo in quella casa, chi ci sarà? Quando il re giusto sederà in trono - dice la Scrittura - chi potrà vantarsi d'avere il cuore puro? e chi potrà vantarsi di avere il cuore libero dal peccato? (Prv 20, 8-9). Ci ha riempiti di spavento, o miei fratelli, quando ha detto: lo schiavo non rimane nella casa per sempre. Però egli subito aggiunge: ma il Figlio vi dimora per sempre. Ma allora Cristo sarà solo nella sua casa? non ci sarà nessun popolo unito a lui? Di chi sarà il capo se non vi sarà il corpo? O forse con la parola "Figlio" vuole intendere il tutto, cioè il capo e il corpo? Non è senza motivo che egli ci ha riempiti di spavento e insieme ha acceso nel nostro cuore la speranza: ci ha spaventati per staccarci dal peccato, ci ha aperto il cuore alla speranza perché non disperassimo dell'assoluzione dal peccato: chiunque commette il peccato - dice - è schiavo del peccato; ora, lo schiavo non rimane nella casa per sempre. Quale speranza c'è dunque per noi che non siamo senza peccato? Ascolta quale speranza c'è per te: Il Figlio vi dimora per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi (Gv 8, 34-36). Questa è la nostra speranza, o fratelli: che ci liberi colui che è libero, e, liberandoci, ci faccia suoi schiavi. Eravamo schiavi della cupidigia, e, liberati, diventiamo schiavi della carità. E' quello che dice l'Apostolo: Voi, o fratelli, siete stati chiamati a libertà; soltanto non invocate la libertà a pretesto di una condotta carnale, ma servitevi a vicenda mediante la carità (Gal 5, 13). Non dica il cristiano: Sono libero, sono stato chiamato alla libertà; ero schiavo ma sono stato redento, e in forza della redenzione sono diventato libero; posso fare quindi ciò che voglio, nessuno ponga limiti alla mia volontà se sono libero. Ma se con questa volontà commetti il peccato, sei di nuovo schiavo del peccato. Non abusare quindi della libertà per abbandonarti al peccato, ma usala per non peccare. La tua volontà sarà libera se sarà buona. Sarai libero se sarai schiavo: libero dal peccato, schiavo della giustizia, così come dice l'Apostolo: Quando eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi dalla giustizia. Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, raccogliete il vostro frutto nella santificazione; e il fine è la vita eterna (Rm 6, 20 22). A questo devono tendere tutti i nostri sforzi.

[Libertà dalla colpa.]

9. La prima libertà consiste nell'essere esenti da crimini. State attenti, miei fratelli, state attenti per poter capire in che consiste ora e in che consisterà nel futuro questa libertà. Per giusto che possa risultare uno in questa vita, anche ammesso che meriti il nome di giusto, non è tuttavia senza peccato. Ascolta a questo proposito ciò che dice nella sua lettera lo stesso Giovanni, autore di questo Vangelo: Se diciamo di non aver peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi (1 Io 1, 8). Questo può dirlo solo chi era libero tra i morti, e vale solo per colui che non conobbe peccato, del quale soltanto si può dire che passò come noi attraverso tutte le esperienze, tranne quella del peccato (cf. Eb 4, 15). Lui soltanto ha potuto dire: Ecco viene il principe di questo mondo, e in me non troverà nulla (Gv 14, 30). Qualsiasi altro, per giusto che possa sembrarti, non è del tutto senza peccato. Neppure lo stesso Giobbe, al quale il Signore rese una testimonianza tale da provocare l'invidia del diavolo che domandò di poterlo tentare, uscendo dalla tentazione lui sconfitto e Giobbe provato (cf. Gb 1, 11). Appunto per questo Giobbe fu provato, non perché Dio avesse bisogno di conoscerlo per incoronarlo, ma affinché fosse noto a tutti gli uomini come esempio da imitare. Ebbene, Giobbe stesso cosa dice? Chi è mondo? Neppure il bambino di un giorno (Gb 14, 4 sec. LXX). E' vero che di molti si è detto che erano giusti e irreprensibili, ma nel senso che non si poteva rimproverare loro alcun crimine; poiché non sembra giusto, trattandosi di uomini, muovere rimprovero a chi è senza crimine. Il crimine è il peccato grave, degno in tutto di riprovazione e di condanna. Ma Dio non condanna alcuni peccati, giustificandone e lodandone altri; non ne approva nessuno, li detesta tutti. Allo stesso modo che un medico odia la malattia del malato e fa di tutto per eliminare la malattia e liberare il malato, così Dio con la sua grazia opera in noi per estinguere il peccato e liberare l'uomo. Ma quando, ti domandi, il peccato verrà eliminato? Se viene limitato, perché non viene eliminato? Viene limitato nella vita di coloro che sono in cammino, e viene eliminato nella vita di coloro che hanno raggiunto la perfezione.

10. La prima libertà, quindi, consiste nell'essere immuni da colpe gravi. Perciò l'apostolo Paolo dovendo scegliere chi doveva essere ordinato presbitero o diacono, e chiunque altro per il governo della Chiesa, non ha detto "Se uno è senza peccato"; perché se avesse detto questo, tutti dovevano essere riprovati e nessuno ordinato. Ha detto: Se uno è senza colpa grave (Tt 1, 6; 1 Tim 3, 10), come sarebbe l'omicidio, l'adulterio, la fornicazione, il furto, la frode, il sacrilegio, e così via. Quando uno comincia a non avere questi crimini (e nessun cristiano deve averli), comincia a levare il capo verso la libertà; ma questo non è che l'inizio della libertà, non la libertà perfetta. Perché, domanderà qualcuno, non è la libertà perfetta? Perché sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione; per cui non quello che vorrei io faccio, - dice l'Apostolo - ma quello che detesto (Rm 7, 23 19). La carne ha voglie contrarie allo spirito e lo spirito desideri opposti alla carne, così che voi non fate ciò che vorreste (Gal 5, 17). Libertà parziale, parziale schiavitù: non ancora completa, non ancora pura, non ancora piena è la libertà, perché ancora non siamo nell'eternità. In parte conserviamo la debolezza, e in parte abbiamo raggiunto la libertà. Tutti i nostri peccati nel battesimo sono stati distrutti; ma è forse scomparsa la debolezza, dato che è stata distrutta l'iniquità? Se essa fosse scomparsa, si vivrebbe in terra senza peccato. Chi oserà affermare questo se non chi è superbo, se non chi è indegno della misericordia del liberatore, se non chi vuole ingannare se stesso e nel quale non c'è la verità? Ora, siccome è rimasta in noi qualche debolezza, oso dire che nella misura in cui serviamo Dio siamo liberi, mentre nella misura in cui seguiamo la legge del peccato siamo schiavi. L'Apostolo conferma ciò che noi stiamo dicendo: Secondo l'uomo interiore io mi diletto nella legge di Dio (Rm 7, 22). Siamo liberi, in quanto ci dilettiamo nella legge di Dio: è la libertà che ci procura questo diletto. Finché è il timore che ti porta ad agire in modo giusto, vuol dire che Dio non forma ancora il tuo diletto. Finché ti comporti da schiavo, vuol dire che ancora non hai riposto in Dio la tua delizia: quando troverai in lui la tua delizia, sarai libero. Non temere il castigo, ama la giustizia. Non sei ancora arrivato ad amare la giustizia? Comincia ad aver timore del castigo, onde giungere ad amare la giustizia.

11. L'Apostolo si sentiva già libero nella parte superiore, quando diceva: Secondo l'uomo interiore io mi diletto nella legge di Dio. Acconsento cordialmente alla legge, mi compiaccio in ciò che la legge comanda, e la giustizia stessa mi procura gioia. Ma vedo un'altra legge nelle mie membra - questa è la debolezza che è rimasta - che è in conflitto con la legge della mia mente e mi rende schiavo sotto la legge del peccato che è nelle mie membra (Rm 7, 22-23). In quella parte dove la giustizia era incompleta, si sente schiavo, mentre dove si diletta nella legge di Dio, non si sente schiavo, ma amico della legge; ed essendo amico è perciò libero. Che dobbiamo fare nei confronti della debolezza che resta in noi? Ci rivolgiamo a colui che dice: Se il Figlio vi libererà, sarete veramente liberi (Gv 8, 36). A lui si rivolge lo stesso Apostolo, esclamando: O me infelice, chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Dunque se il Figlio vi libererà, sarete veramente liberi. E così conclude: Io dunque, quanto alla mente, servo alla legge di Dio, quanto alla carne invece alla legge del peccato (Rm 7, 24-25). Io stesso, dice; poiché non si tratta di due persone fra loro contrarie, provenienti da origine diversa; ma io stesso quanto alla mente, servo alla legge di Dio, quanto alla carne invece alla legge del peccato, fintanto che l'infermità in me resisterà alla salute.

[Al servizio di Dio, nella libertà di Cristo.]

12. Ma se quanto alla carne sei soggetto alla legge del peccato, fa' quanto dice l'Apostolo: Il peccato, dunque, non regni più nel vostro corpo mortale sì da piegarvi alle sue voglie, né vogliate offrire le vostre membra quali armi di iniquità al servizio del peccato (Rm 6, 12-13). Non ha detto: non ci sia, ma non regni. E' inevitabile che il peccato perduri nelle tue membra; gli si tolga almeno il regno, non si faccia ciò che comanda. Insorge l'ira? non concedere all'ira la lingua per maledire, non offrire all'ira la mano o il piede per colpire. Non insorgerebbe questa ira irragionevole se nelle tue membra non esistesse il peccato; però privala del potere, sicché non possa disporre di armi per combattere contro di te; quando non troverà più armi, cesserà d'insorgere. Non vogliate offrire le vostre membra quali armi di iniquità al servizio del peccato; altrimenti sarete del tutto schiavi e non potrete dire con la mente servo alla legge di Dio. Se la mente infatti controlla le armi, le membra non potranno muoversi al servizio delle voglie insane del peccato. Il comandante interiore occupi la fortezza, perché il subalterno si muova agli ordini del comandante superiore; freni l'ira, reprima la concupiscenza. Sempre vi è qualcosa da frenare, qualcosa da reprimere, qualcosa da dominare. Che altro voleva quel giusto, che con la mente serviva alla legge di Dio, se non che non ci fosse assolutamente nulla da frenare? E questo deve sforzarsi di ottenere chiunque tende alla perfezione, che la concupiscenza, privata di membra obbedienti, diminuisca via via che uno progredisce. Sono in grado di volere il bene, - dice ancora l'Apostolo - ma non di portarlo a compimento (Rm 7, 18). Ha forse detto che non è in grado di fare il bene? Se avesse detto questo, non rimarrebbe alcuna speranza. Ha detto che non è in suo potere non il "fare", ma il portare a compimento. E in che consiste la perfetta attuazione del bene, se non nella distruzione e nella radicale eliminazione del male? E in che consiste la eliminazione del male se non in ciò che dice la legge: Non aver concupiscenze (Es 20, 17)? La perfezione del bene consiste nell'essere totalmente liberi dalla concupiscenza, perché in ciò consiste la eliminazione del male. Questo è ciò che afferma l'Apostolo: L'attuazione perfetta del bene non è in mio potere. Non era in suo potere non sentire la concupiscenza: era in suo potere frenare la concupiscenza per non assecondarla, e rifiutarsi di offrire le sue membra al servizio della concupiscenza. Compiere perfettamente il bene, non è in mio potere, dato che mi è impossibile adempiere il comandamento: Non aver concupiscenze. Che cosa è dunque necessario? Che tu metta in pratica il precetto: Non seguire le tue concupiscenze (Sir 18, 30). Fa' così finché nella tua carne permangono le concupiscenze illecite: Non seguire le tue concupiscenze. Rimani fedele nel servizio di Dio, permani nella libertà di Cristo; assoggettati con la mente alla legge del tuo Dio. Non seguire le tue concupiscenze: seguendole, le rinforzi; e se le rinforzi come potrai vincerle? Come potrai vincere i tuoi nemici, se li nutri contro di te con le stesse tue forze?

13. E' questa la libertà piena e perfetta dono del Signore Gesù che ha detto: Se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi. Ma quando sarà veramente piena e perfetta? Quando non ci saranno più nemici, quando sarà distrutta l'ultima nemica che è la morte. Bisogna infatti che questo corpo corruttibile rivesta l'incorruttibilità, che questo corpo mortale rivesta l'immortalità; ma quando questo corpo mortale si sarà rivestito dell'immortalità, allora si compirà quella parola della Scrittura: La morte è stata ingoiata nella vittoria. Dov'è, o morte, la tua vittoria? (1 Cor 15, 26 53-55). Che significa: morte, dov'è la tua vittoria? Che quando dominava la carne del peccato, la carne aveva desideri contrari allo spirito e lo spirito desideri contrari alla carne. Morte, dov'è la tua vittoria? Ormai vivremo, non dovremo più morire, grazie a colui che per noi è morto ed è risorto affinché coloro che vivono - dice l'Apostolo - non vivano più per se stessi, ma per colui che morì e risuscitò per essi (2 Cor 5, 15). Chiamiamo il medico, noi che siamo feriti, e facciamoci portare all'albergo per essere curati. Chi assicura la guarigione è colui che ebbe misericordia di quell'uomo che i briganti abbandonarono sulla strada mezzo morto: ne curò le ferite versandovi sopra olio e vino, se lo mise sulla cavalcatura, lo portò all'albergo e lo raccomandò all'albergatore. A quale albergatore? Penso a colui che disse: Noi siamo gli ambasciatori di Cristo (2 Cor 5, 20). Perché il ferito fosse curato, sborsò due denari (cf. Lc 10, 30-35); che credo siano i due precetti che racchiudono tutta la legge e i profeti (cf. Mt 22, 37-40). Anche la Chiesa dunque, o fratelli, è quaggiù un albergo per i viandanti, poiché in essa si ha cura di chi è ferito; ma è in alto l'eredità a lei destinata.

 

OMELIA 42

Io sono uscito e vengo da Dio. E non sono venuto da me stesso, ma egli mi ha mandato.

Il Verbo del Padre è venuto a noi, perché il Verbo si è fatto carne per abitare fra noi. E' venuto in quanto uomo, è rimasto in quanto Dio: la divinità di Cristo è la meta del nostro cammino, la sua umanità è la via per raggiungerla. Se egli non si fosse fatto via, mai lo avremmo raggiunto come meta.

[La parola di Dio fa presa in noi, se ci lasciamo prendere.]

1. Nostro Signore non era schiavo sebbene ne rivestisse la forma, ed anche in quella forma era il Signore: (quella sua forma umana era, sì, servile, ma sebbene avesse l'aspetto di carne del peccato (cf. Rm 8, 3), non era peccatrice). Ebbene, egli promise la libertà ai credenti in lui. I Giudei, però, orgogliosi della propria libertà, disdegnarono di diventare liberi, pur essendo schiavi del peccato. Dissero che erano liberi perché erano stirpe di Abramo. Nella lettura di oggi abbiamo sentito la risposta che diede loro il Signore. So - disse - che siete stirpe di Abramo, ma cercate di uccidermi perché la mia parola non penetra in voi (Gv 8, 37). Riconosco che siete figli di Abramo, ma voi cercate di uccidermi. Riconosco la vostra origine carnale, ma non trovo in voi la fede del cuore. Siete figli di Abramo, ma secondo la carne. Per questo cercate di uccidermi, perché la mia parola non ha presa in voi. Se la mia parola fosse da voi accolta, a sua volta vi accoglierebbe; se vi accogliesse, come pesci rimarreste presi nella rete della fede. Che vuol dire la mia parola non ha presa in voi? Vuol dire che non prende il vostro cuore, perché il vostro cuore non l'accoglie. La parola di Dio è, e così dev'essere per i fedeli, ciò che l'amo è per i pesci: li prende quando questi abboccano. Non si reca danno a coloro che restano presi, dato che vengono presi per la loro salvezza, non per la loro rovina. Ecco perché il Signore disse ai suoi discepoli: Seguitemi e vi farò pescatori di uomini (Mt 4, 19). Non erano così i Giudei che pure erano figli di Abramo: uomini iniqui, pur essendo figli di un uomo di Dio. Erano suoi discendenti secondo la carne, ma erano degenerati per il fatto che non imitavano la fede del padre loro.

2. Certamente avete sentito il Signore dire: So che siete figli di Abramo; sentite ora cosa dice più avanti: Io dico ciò che ho veduto presso il Padre mio; e anche voi fate ciò che avete visto fare dal padre vostro (Gv 8, 38). Prima aveva detto: So che siete figli di Abramo. Ma che cosa vogliono fare? Ciò che egli aveva detto: voi cercate di uccidermi. Questo non l'avevano certo imparato da Abramo. Il Signore, però, affermando: Io dico ciò che ho veduto presso il Padre mio, vuol far capire che Dio è suo Padre. Cioè, ho veduto la verità, dico la verità, perché sono la verità. Se infatti il Signore dice la verità che ha veduto presso il Padre, ha veduto se stesso, dice se stesso, perché egli stesso è la verità del Padre che ha veduto presso il Padre: egli infatti è il Verbo, il Verbo che è presso il Padre. E allora, quelli, dove hanno veduto il male che fanno e che il Signore rimprovera e condanna? Presso il padre loro. Quando nelle parole che seguono, sentiremo più esplicitamente chi è il padre loro, ci renderemo conto che cosa abbiano veduto presso un tal padre: finora non ha fatto il nome del padre loro. Poco prima egli ha ricordato Abramo, ma a motivo dell'origine carnale, non per la somiglianza della vita. Ora dirà chi è quell'altro loro padre, che non li ha generati né, creandoli, li ha fatti uomini; ma essi tuttavia erano figli suoi in quanto erano malvagi, non in quanto erano uomini; per averlo imitato, non per essere stati da lui creati.

3. Gli replicarono: Il padre nostro è Abramo (Gv 8, 39), come a dire: che cosa hai da dire contro Abramo? oppure: provati, se hai il coraggio, a criticare Abramo. Non che il Signore non osasse criticare Abramo, ma perché Abramo era tale non solo da non meritare da parte del Signore alcun rimprovero, ma da meritare anzi ogni encomio; essi però avevano tutta l'aria di volerlo provocare a parlar male di Abramo e avere così il pretesto per fare ciò che avevano in animo di fare. Il padre nostro è Abramo.

4. Sentiamo come risponde il Signore, lodando Abramo e condannando quelli: Dice loro Gesù: Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo! Ora, invece, voi cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità che ho udito da Dio; questo Abramo non lo ha fatto! (Gv 8, 39-40). Abramo viene lodato, ed essi sono condannati. Abramo non era certo un omicida. Non vi dico, afferma, che io sono il Signore di Abramo; benché se lo dicessi, direi la verità. In altra circostanza, infatti, disse: Prima che Abramo fosse, io sono (Gv 8, 58), tanto che essi volevano lapidarlo; ora non dice questo. Per ora io sono ciò che voi vedete e contemplate, sono soltanto ciò che voi credete, e cioè un uomo: perché volete uccidere un uomo che vi dice ciò che ha udito da Dio, se non perché non siete figli di Abramo? E tuttavia dianzi ha detto: so che siete figli di Abramo. Non contesta la loro origine, ma condanna le loro opere; la loro carne proveniva da Abramo, ma la loro vita no.

5. E noi, o carissimi, veniamo dalla stirpe di Abramo, o in qualche modo Abramo è stato nostro padre secondo la carne? E' la carne dei Giudei che trae origine dalla sua carne, non la carne dei Cristiani: noi proveniamo da altre genti, e tuttavia, imitando lui, siamo diventati figli di Abramo. Ascolta l'Apostolo: Ad Abramo e alla sua discendenza furono fatte le promesse. Non dice la Scrittura - continua l'Apostolo - ai discendenti, come si trattasse di molti, ma "e alla tua discendenza", come a uno solo, cioè Cristo. E se appartenete a Cristo, siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa (Gal 3, 16 29). Noi dunque siamo diventati discendenti di Abramo per grazia di Dio. Non tra i discendenti della carne di Abramo Dio scelse a lui degli eredi. Questi li diseredò, quelli li adottò: e dall'albero di ulivo, la cui radice si trova nei patriarchi, tagliò i superbi rami naturali innestandovi al loro posto l'umile olivo selvatico (cf. Rm 11, 17). E così, quando i Giudei si recarono da Giovanni per farsi battezzare, egli si scagliò contro di loro chiamandoli razza di vipere. Appunto perché essi si gloriavano della loro nobile origine, egli li chiamò razza di vipere; non solo razza di uomini, ma di vipere. Egli vedeva la loro figura umana, ma sapeva che dentro avevano il veleno. Essi venivano per cambiar vita, e per questo volevano essere battezzati: e tuttavia Giovanni li apostrofò: Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all'ira che sta per venire? Fate, dunque, frutti degni di penitenza, e non crediate di poter dire dentro di voi: Noi abbiamo per padre Abramo, perché io vi dico che Dio può da queste pietre far sorgere figli ad Abramo (Mt 3, 7-9). Se non fate frutti degni di penitenza, non contate sulla vostra origine, perché Dio può condannare voi senza privare Abramo di figli. Egli è in grado di suscitare figli ad Abramo; e diventeranno suoi figli coloro che ne avranno imitato la fede: Dio può da queste pietre far sorgere figli ad Abramo. Siamo noi questi figli: eravamo pietre nei nostri padri, quando adoravamo le pietre al posto di Dio, ed è suscitandoci da tali pietre che Dio ha formato per Abramo una nuova famiglia.

[Un vanto vano e vuoto.]

6. Perché innalzarsi, allora, con vuota e vana iattanza? La smettano di gloriarsi di essere figli di Abramo; hanno sentito ciò che meritavano: Se siete figli di Abramo, dimostratelo con i fatti, non con le parole. Cercate di uccidere me uomo, per ora non dico Figlio di Dio, non dico Dio, non dico il Verbo, perché il Verbo non può morire; dico me uomo, che voi vedete; perché potete uccidere solo ciò che vedete, e offendere ciò che non vedete. Questo, Abramo non lo ha fatto! Voi fate le opere di vostro padre (Gv 8, 40-41). E ancora non dice chi è questo loro padre.

7. Vediamo ora che cosa risposero quelli. Cominciarono comunque a rendersi conto che il Signore non parlava della generazione carnale, ma della condotta di vita. E siccome era consuetudine della Scrittura, che essi leggevano, chiamare fornicazione in senso spirituale il fatto che l'anima si assoggettasse come una prostituta ai molti e falsi dèi, così risposero: Noi non siamo nati da fornicazione, noi abbiamo un solo Padre, Dio! (Gv 8, 41). Ecco che Abramo non contava più. Sono stati respinti, come meritavano, dalla bocca della verità; perché Abramo serviva soltanto per gloriarsi di essere suoi discendenti, non per imitarne la condotta. Hanno cambiato la risposta, credo in base a questa considerazione: ogni volta che nominiamo Abramo ci dirà: perché non imitate colui del quale vi gloriate di essere discendenti? Noi non possiamo imitare un uomo così santo, così giusto, così innocente, così grande; diciamo che nostro padre è Dio, e vediamo che cosa ci risponde.

8. La falsità ha trovato cosa dire, e la verità non saprà come rispondere? Sentiamo ciò che dicono e ciò che si sentono rispondere. Essi dicono: Noi abbiamo un solo padre, Dio! E Gesù ad essi: Se Dio fosse padre vostro, mi amereste; io, infatti, da Dio sono uscito e vengo, né sono venuto da me stesso, ma è stato lui a mandarmi (Gv 8, 42). Dite che Dio è vostro padre, riconoscete me almeno come fratello. Con tutto ciò egli innalzò il cuore di quanti erano in grado d'intendere le sue parole, giungendo a quell'affermazione a lui tanto familiare: Non sono venuto da me stesso, è stato lui a mandarmi, da Dio sono uscito e vengo. Ricordate ciò che siamo soliti ripetere: che è venuto da Dio, e colui da cui procede è venuto con lui. Che Cristo è stato mandato vuol dire che Cristo si è incarnato. La processione del Verbo da Dio è processione eterna: non è soggetto al tempo colui per mezzo del quale il tempo è stato creato. Nessuno dica in cuor suo: prima che il Verbo fosse, come era Dio? Non dire: prima che il Verbo fosse. Mai Dio fu senza il Verbo perché il Verbo è permanente, non transeunte; è Dio, non un suono; per mezzo di lui sono stati creati il cielo e la terra, e non è un suono che è passato assieme alle cose che sono state create sulla terra. Egli procede da Dio come Dio, come uguale a lui, come Figlio unigenito, come Verbo del Padre, ed è venuto a noi perché il Verbo si è fatto carne per abitare fra noi (cf. Gv 1, 14). E' venuto in quanto si è fatto uomo, dimora presso il Padre in quanto è Dio. La sua divinità è la meta cui tendiamo, la sua umanità è la via che dobbiamo percorrere. Se egli per noi non si fosse fatto via per cui camminare, mai avremmo potuto pervenire a lui che permane presso il Padre.

9. Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete sentire la mia parola (Gv 8, 43). Non potevano comprendere perché non potevano ascoltare. E non potevano ascoltare, perché non volevano correggersi credendo in lui. E questo perché? Voi avete per padre il diavolo (Gv 8, 44). Fino a quando continuerete a nominare vostro padre? Fino a quando continuerete a cambiare padre? Ora è Abramo, ora è Dio. Ascoltate dalla bocca del Figlio di Dio, di chi siete figli: Voi avete per padre il diavolo.

[Attenzione al Manicheismo.]

10. Qui bisogna guardarsi dall'eresia dei manichei, la quale sostiene l'esistenza di un principio cattivo e di una razza tenebrosa che, con i suoi capi, ha osato combattere contro Dio; contro questa razza nemica che intendeva distruggere il suo regno, Dio inviò - dicono ancora i manichei - i principi della luce da lui generati; quella razza tenebrosa fu sconfitta ma da essa ebbe origine il diavolo. E da essa - dicono - trae origine anche la nostra carne. E' in questo senso che essi interpretano le parole del Signore: Voi avete per padre il diavolo; voi siete malvagi per natura, in quanto discendete da quella razza tenebrosa e ostile a Dio. E così essi cadono nell'errore, diventano ciechi, da se stessi si fanno gente tenebrosa, in quanto credono il falso contro colui che li ha creati. Infatti tutta la natura è buona; viziata è la natura dell'uomo, ma per sua cattiva volontà. Ciò che Dio ha creato non può essere cattivo, e neppure l'uomo, se non lo diventa di sua volontà. Certo, però, che il Creatore è il Creatore, e la creatura resta la creatura: la creatura non può essere uguagliata al Creatore. Distinguete colui che creò da ciò che creò. Non si può confondere il tavolo con il falegname, né la colonna con lo scultore: anche se il falegname che ha fatto il tavolo non ha creato il legno. Il Signore nostro Dio, invece, che è onnipotente, per mezzo del Verbo fece quanto fece; non aveva niente per fare le cose che fece, e tuttavia le fece. Furon fatte perché volle, furon fatte perché diede l'ordine; ma le cose fatte non sono da paragonare a chi le ha fatte. Se cerchi qualcosa da paragonare al Creatore, non trovi che il Figlio unico. Perché dunque i Giudei erano figli del diavolo? Perché lo imitavano, non perché fossero nati da lui. Ascoltate come solitamente si esprime la Scrittura. Dice il profeta ai Giudei: Tuo padre era un Amorreo, tua madre una Hittita (Ez 16, 3). Gli Amorrei erano un popolo da cui non provenivano affatto i Giudei; e gli Hittiti erano popolazioni a sé, completamente estranee ai Giudei. Siccome, però, gli Amorrei e gli Hittiti erano empi, e i Giudei imitavano le loro forme di empietà, li avevano come padri, non perché fossero nati da loro, ma perché, seguendone i costumi, ne condividevano la condanna. Forse vi domanderete quale è allora l'origine del diavolo. Egli ha la stessa origine degli altri angeli. Se non che gli altri angeli rimasero nell'obbedienza, mentre questo, per la sua disobbedienza e superbia, decadde e da angelo diventò diavolo.

 

OMELIA 43

Gesù e Abramo.

Chi potrà spiegare l'esultanza di Abramo, che da lontano vide il giorno di Cristo? Se gioirono quelli ai quali il Cristo aprì gli occhi della carne, quale non dovette essere il gaudio di colui che vide con gli occhi del cuore la luce ineffabile, il Verbo che è presso il Padre, la sapienza indefettibile?

1. Nel passo del santo Vangelo, letto oggi, colui che è potenza c'insegna la pazienza. Che siamo noi infatti? Servi di fronte al Signore, peccatori di fronte al Giusto, creature di fronte al Creatore. Se siamo cattivi, lo siamo da noi; se in qualche misura siamo buoni, lo siamo da lui e per grazia sua. Niente cerca l'uomo quanto la potenza, e in Cristo Signore trova grande potenza; ma per giungere alla potenza del Signore, l'uomo deve prima imitare la sua pazienza. Chi di noi sopporterebbe pazientemente un insulto come questo: Sei indemoniato? E questo fu detto a colui che non solo salvava gli uomini, ma comandava anche ai demoni.

2. Delle due accuse rivoltegli dai Giudei: Sì, abbiamo ragione di dire che sei un samaritano e un indemoniato (Gv 8, 48), una la respinse, l'altra no. Rispose infatti: Io non sono un indemoniato (Gv 8, 49). Non disse: non sono un samaritano; eppure due erano state le accuse. Benché non abbia reso maledizione per maledizione, né respinto l'insulto con un altro insulto, tuttavia si limitò a respingere un'accusa senza respingere l'altra. E ciò non senza motivo, o fratelli. Samaritano infatti vuol dire custode: e il Signore sapeva di essere il nostro custode. Infatti non chiude occhio né dorme il custode d'Israele (Sal 120, 4), e se Dio non custodisce la città, invano vegliano le guardie (Sal 126. 1). Colui che è il nostro creatore è anche il nostro custode. Se egli ha il compito di redimerci, non avrà quello di custodirci? Se volete poi approfondire il mistero per cui egli non si difese dall'accusa di essere un samaritano, richiamate la famosa parabola che narra di quell'uomo che mentre scendeva da Gerusalemme a Gerico incappò nei ladroni, i quali, dopo averlo gravemente ferito, lo abbandonarono sulla strada mezzo morto. Passò il sacerdote e non si curò di lui; passò il levita e andò oltre; finalmente passò un samaritano, colui che è il nostro custode. Egli si accostò al ferito, ne ebbe misericordia, si comportò come prossimo di colui che non considerò un estraneo (cf. Lc 10, 30-37). Ecco perché il Signore respinse l'accusa di indemoniato, ma non quella di samaritano.

3. Di fronte a un tale insulto, in difesa della sua gloria disse soltanto questo: Ma onoro mio Padre, e voi mi oltraggiate (Gv 8, 49). Cioè, io non rivendico il mio onore, per non sembrarvi arrogante; so a chi devo rendere onore. Se voi mi conosceste, mi rendereste onore così come io onoro il Padre. Io faccio il mio dovere, voi invece non lo fate.

4. Io peraltro - aggiunge - non cerco la mia gloria; c'è chi la cerca e giudica (Gv 8, 50). Di chi intende parlare, se non del Padre? In altra occasione aveva detto: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio (Gv 5, 22), mentre qui dice: Io non cerco la mia gloria; c'è chi la cerca e giudica. Se è il Padre che giudica, in che senso non giudica nessuno ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio?

[Due tipi di tentazione.]

5. Per risolvere questa difficoltà, tenete presente un'espressione analoga a questa. Sta scritto: Dio non tenta nessuno (Gc 1, 13); e sta scritto altresì: Il Signore Dio vostro vi tenta, per sapere se lo amate (Dt 13, 3). Come vedete, anche qui vi è una difficoltà. Come si può dire che Dio non tenta nessuno e che il Signore Dio vostro vi tenta per sapere se lo amate? Così pure sta scritto: Non c'è timore nella carità, ma la carità perfetta scaccia ogni timore (1 Io 4, 18), mentre altrove è scritto: Il casto timore del Signore rimane per i secoli dei secoli (Sal 18, 10). Anche questa è una difficoltà. Com'è possibile infatti che la carità perfetta scacci ogni timore, se il timore casto del Signore permane nei secoli dei secoli?

6. Ci rendiamo conto che esistono due tipi di tentazione: una che inganna, l'altra che mette alla prova. Secondo la tentazione che inganna, Dio non tenta nessuno; secondo quella che mette alla prova, il Signore vostro Dio vi tenta, per sapere se lo amate. Ma qui nasce un'altra difficoltà: come può tentare per sapere, colui che sa già tutto prima di tentare? Non è dunque che Dio non sappia: ma si dice per sapere intendendo "per far sapere a noi". Espressioni simili usiamo anche nei nostri discorsi, e si trovano anche nei maestri di eloquenza. A proposito del nostro modo di parlare noi diciamo, ad esempio, che una fossa è cieca, non perché abbia perduto gli occhi ma perché essendo nascosta ci impedisce di vederla. Prendiamo un esempio anche dagli autori classici: Virgilio dice che i lupini sono tristi (Virgilio, Georg. 1, 75), cioè amari; non perché siano tristi, ma perché a gustarli contristano, cioè rendono tristi. Espressioni simili si trovano anche nella Scrittura. Lo studioso di tali questioni non fa fatica a risolverle. Dunque il Signore vostro Dio vi tenta, per sapere, cioè per farvi sapere, se lo amate. Giobbe non si conosceva, Dio però lo conosceva. Permise che fosse tentato, e così potesse conoscere se stesso.

[Timore servile e timore casto.]

7. Che dire dei due generi di timore? C'è il timore servile e il timore casto: uno è il timore di colui che teme il castigo, l'altro di chi teme di perdere la giustizia. Il timore del castigo è il timore servile. E' una gran cosa temere il castigo? Questo timore ce l'ha anche lo schiavo più iniquo, anche il ladrone più crudele. Non è gran cosa temere il castigo, ma è gran cosa amare la giustizia. Chi dunque ama la giustizia, non teme nulla? Teme, sì, ma non tanto di incorrere nel castigo, quanto piuttosto di perdere la giustizia (1 Io 4, 18). Siatene convinti, fratelli, e in base a questo rendetevi conto di ciò che amate. Qualcuno di voi ama il denaro. Riuscirò a trovare qualcuno che non lo ama? Ebbene, proprio perché egli ama riuscirà a capire quanto dico. Egli teme un danno. Perché teme un danno? Perché ama il denaro. Quanto più lo ama tanto più teme di perderlo. Così, se uno ama la giustizia, paventa piuttosto un danno morale, teme la perdita della giustizia più di quanto tu non tema la perdita del denaro. Ecco il timore casto, quel timore che permane nei secoli dei secoli: la carità non lo elimina né lo caccia via, ma, anzi, lo accoglie, lo custodisce e se lo tiene stretto come un compagno fedele. Siamo in cammino verso il Signore, finché lo vedremo faccia a faccia. Il timore casto ci custodisce presso di lui; non ci reca turbamento, ma ci rassicura. La donna adultera teme che venga suo marito, la donna casta teme che suo marito se ne vada.

8. Sicché, secondo un tipo di tentazione Dio non tenta nessuno, mentre secondo un altro, il Signore Dio vostro vi tenta. Secondo un certo timore, non esiste timore nella carità, ma la carità perfetta scaccia il timore; secondo un altro genere, il timore casto del Signore permane nei secoli dei secoli. Così, secondo un certo giudizio, il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio; secondo un altro giudizio, Io - disse il Signore - non cerco la mia gloria; c'è chi la cerca e giudica.

9. Vediamo di risolvere questa difficoltà con le sue stesse parole. Nel Vangelo si parla di giudizio penale: Chi non crede, è già giudicato (Gv 3, 18); e in un altro passo: Viene l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quelli che bene operarono per una risurrezione di vita, quelli che male operarono per una risurrezione di giudizio (Gv 5, 28-29). Vedete che dice giudizio invece di condanna e di pena? Tuttavia se giudizio si dovesse prendere sempre nel senso di condanna, direbbe il salmo: Giudicami, o Dio? In quel caso giudizio significa afflizione, qui invece distinzione. Quale distinzione? Lo dice colui che ha detto: Giudicami, o Dio. Lo dice proseguendo: e distingui la mia causa - dice - da gente non santa (Sal 42, 1). Ora, nel senso in cui è detto giudicami, Dio, e distingui la mia causa da gente non santa, Cristo Signore dice ora: Io non cerco la mia gloria; c'è chi la cerca e giudica. In che senso c'è chi la cerca e giudica? E' il Padre che discerne e separa la mia gloria dalla vostra. Voi vi gloriate secondo il mondo; non cerco questa gloria io che dico al Padre: Padre, glorificami con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse (Gv 17, 5). Quale gloria? E' una gloria che si distingue dalla gonfiatura degli uomini. In questo senso giudica il Padre. Che significa giudica? Significa distingue. Che cosa distingue? La gloria di suo Figlio dalla gloria degli uomini; e in tal senso è detto: Ti unse Dio, il tuo Dio, con olio di letizia sopra i tuoi compagni (Sal 44, 8). Infatti, sebbene si sia fatto uomo, non per questo deve essere messo sul nostro piano. Noi siamo uomini con il peccato, egli è senza peccato: noi siamo uomini che ereditiamo da Adamo la morte e la colpa, egli ha preso dalla Vergine la carne mortale, ma non l'iniquità. Inoltre, noi non siamo nati perché lo abbiamo voluto, né viviamo quanto vogliamo, né moriamo come vogliamo. Egli, invece, prima di nascere scelse la donna dalla quale doveva nascere; appena nato, si fece adorare dai magi; crebbe come ogni altro bambino, si rivelava Dio nei suoi miracoli e uomo nella sua debolezza Finalmente scelse tra i vari tipi di morte la crocifissione, affinché sulla fronte dei fedeli fosse posto il segno della croce e il cristiano potesse dire: Non sia mai che io mi glori d'altro fuorché della croce di nostro Signore Gesù Cristo (Gal 6, 14). Sulla croce abbandonò il suo corpo quando volle, e se ne andò; rimase nel sepolcro quanto volle, e quando volle si levò dal sepolcro come da un letto. Quindi, o fratelli, anche secondo la forma di servo [chi infatti potrà penetrare e proferire in modo adeguato le parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio? (Gv 1, 1)], anche secondo questa forma di servo, ripeto, c'è molta distanza tra la gloria di Cristo e la gloria degli altri uomini. Parlava di questa gloria quando si sentì chiamare indemoniato: Io non cerco la mia gloria: c'è chi la cerca e giudica (Gv 8, 50).

10. E tu, o Signore, che dici di te stesso? In verità, in verità vi dico: chi osserva la mia parola non vedrà la morte in eterno (Gv 8, 51). Voi dite che io sono un indemoniato e io vi chiamo alla vita: custodite la mia parola e non morirete. Lo sentivano dire: Chi osserva la mia parola non vedrà la morte in eterno e si infuriavano, perché erano già morti di quella morte che avrebbero dovuto evitare. Gli dissero i Giudei: Questa volta sappiamo che sei un indemoniato! Abramo è morto, anche i profeti; e tu dici: chi osserva la mia parola non gusterà la morte in eterno (Gv 8, 52). Notate come si esprime la Scrittura: non vedrà, cioè non gusterà la morte: vedrà la morte, gusterà la morte. Chi può vedere, chi può gustare la morte? Che occhi possiede l'uomo per vedere quando muore? Quando la morte viene, chiude anche gli occhi perché non vedano nulla; in che senso allora dice: non vedrà la morte? Ed inoltre, con quale palato, con quale bocca si gusta la morte, per distinguerne il sapore? Se la morte priva di tutti i sensi, che rimarrà nel palato? Quindi dice vedrà e gusterà nel senso di una piena esperienza.

 

OMELIA 44

Guarigione di un cieco nato.

L'illuminazione del cieco è molto significativa. Il cieco nato rappresenta il genere umano, che fu colto dalla cecità nel primo uomo quando peccò. Come la cecità ebbe origine dall'infedeltà, così l'illuminazione nasce dalla fede.

1. Il racconto che vi è stato letto di quell'uomo che era nato cieco e che il Signore illuminò, è molto lungo; e se volessimo commentarlo punto per punto come meriterebbe e nei limiti delle nostre forze, non basterebbe un giorno intero. Prego quindi ed esorto la vostra Carità a non pretendere la spiegazione di quelle parti che sono chiare; si andrebbe troppo per le lunghe se ci dovessimo fermare su ogni particolare. Cercherò quindi di illustrarvi brevemente il mistero del cieco illuminato. Tutti i prodigi straordinari compiuti da nostro Signore Gesù Cristo sono insieme dei fatti e delle parole; dei fatti perché sono veramente accaduti, delle parole perché hanno un significato. Se noi riflettiamo sul significato di questo fatto, ravvisiamo in questo cieco l'intero genere umano: tale cecità gli incolse mediante il peccato nella persona del primo uomo dal quale tutti abbiamo tratto l'origine non solo della morte ma anche del peccato. Se infatti la cecità rappresenta l'infedeltà e l'illuminazione la fede, il Cristo, allorché venne nel mondo, chi trovò fedele, dal momento che l'Apostolo nato dalla stirpe dei profeti afferma: Un tempo eravamo anche noi per natura figli dell'ira, come tutti gli altri (Ef 2, 3)? Se eravamo figli dell'ira, eravamo figli della vendetta, figli della condanna, figli della geenna. In che senso per natura, se non perché col peccato del primo uomo il male infettò la natura? Se il male infettò la natura, ogni uomo spiritualmente nasce cieco. Se vedesse, non avrebbe bisogno di guida: se ha bisogno di chi lo guidi e lo illumini, è perché è cieco dalla nascita.

[Il battesimo lavacro e illuminazione.]

2. Il Signore è venuto; e che ha fatto? Ci ha indicato un grande mistero. Sputò in terra (Gv 9, 6) e con la saliva fece del fango: il Verbo si fece carne (cf. Gv 1, 14). Col fango spalmò gli occhi del cieco; il quale tuttavia, sebbene così unto, non vedeva ancora. Lo inviò alla piscina di Siloe. L'evangelista si preoccupò di spiegarci il nome di questa piscina, dicendo: che vuol dire Inviato (Gv 9, 7). Voi sapete già chi è l'Inviato: se il Cristo non fosse stato inviato, nessuno di noi sarebbe stato liberato dal male. Il cieco si lavò gli occhi in quella piscina il cui nome significa l'Inviato; cioè fu battezzato nel Cristo. Pertanto, se battezzandolo, per così dire, in se stesso, lo illuminò, si può dire che quando gli spalmò gli occhi lo fece catecumeno. Certo, la profondità di questo grande sacramento si può esporre e illustrare in vari modi; ma alla vostra Carità basti sapere che si tratta di un grande mistero. Domanda a uno: Sei cristiano? Se è pagano o giudeo ti risponderà di no; ma se ti risponderà di sì, domandagli ancora: Sei catecumeno o fedele? Se ti risponde che è catecumeno, vuol dire che i suoi occhi sono stati spalmati di fango, ma che ancora non è stato lavato. In che senso gli sono stati spalmati gli occhi di fango? Domandaglielo e te lo dirà. Domandagli in chi crede, ed egli, per il fatto che è catecumeno, dirà: In Cristo. Io sto parlando ora a dei fedeli e a dei catecumeni. Cosa ho detto a proposito della saliva e del fango? Che il Verbo si fece carne. Ciò è noto anche ai catecumeni. Non è sufficiente che i loro occhi siano stati spalmati di fango; si affrettino a lavarsi, se vogliono vedere.

3. Dovendo ora dedicare l'attenzione a talune questioni che si incontrano in questo passo, anziché fermarci sui dettagli, scorreremo rapidamente le parole del Signore e l'insieme della narrazione. Passando vide un uomo cieco, non un cieco qualsiasi, ma un cieco dalla nascita. I suoi discepoli gli chiesero: Rabbi (Gv 9, 1-2). Voi sapete che Rabbi vuol dire Maestro. Lo chiamavano Maestro perché volevano imparare: e appunto come ad un maestro rivolgono al Signore la domanda: Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché nascesse cieco? Gesù rispose: Né lui ha peccato, né i suoi genitori (Gv 9, 2-3), perché nascesse cieco. Che ha detto? Se nessun uomo è senza peccato, come era possibile che i genitori di questo cieco fossero senza peccato? E forse anche lui era nato senza il peccato originale e, vivendo, non vi aveva aggiunto nulla di suo? Egli aveva gli occhi chiusi, ma non per questo i suoi desideri erano spenti. Quanto male possono fare i ciechi! Da quale male si astiene chi ha l'animo cattivo, anche se ha gli occhi chiusi? Non poteva vedere ma poteva pensare, e poteva desiderare cose che un cieco non può compiere e che tuttavia non sfuggono al giudizio di colui che scruta i cuori. Ora, se i suoi genitori avevano peccato, e anche lui, perché il Signore disse: Né lui ha peccato né i suoi genitori, se non in rapporto a quanto gli era stato chiesto, e per cui quello sarebbe nato cieco? Certamente i suoi genitori avevano peccato, ma non per questo egli era nato cieco. E se non era nato cieco per il peccato dei suoi genitori, per quale altra ragione era nato cieco? Ascolta il Maestro che te lo spiega. Egli ti chiede la fede per darti intelligenza. Egli ti spiega la ragione per cui quello è nato cieco: Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma fu perché siano manifestate in lui le opere di Dio.

4. Cosa dice poi il Signore? E' necessario che io compia le opere di colui che mi ha inviato. Ecco l'Inviato nel quale il cieco si lavò la faccia. Notate le sue parole: E' necessario che io compia le opere di colui che mi ha inviato, finché è giorno. Notate come sempre attribuisce tutta la gloria a colui dal quale ha origine; perché questi ha un Figlio che da lui ha origine, mentre egli stesso non deve a nessuno la sua origine. Ma perché, Signore, hai detto: Finché è giorno? Sta a sentire perché. Viene la notte quando nessuno può più operare (Gv 9, 4). Nemmeno tu, o Signore? Sarà così oscura quella notte che neanche tu, che sei l'autore della notte, potrai operare in essa? Penso infatti, o Signore Gesù, anzi non penso ma credo e sono certo che tu eri presente quando Dio disse: Sia luce; e fu luce (Gn 1, 3). Se egli creò per mezzo del Verbo, creò per mezzo tuo, e perciò sta scritto: Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui nulla è stato fatto (Gv 1, 3). Dio separò la luce dalle tenebre; chiamò luce il giorno, e tenebre la notte (Gn 1, 4-5).

[Cercare insieme per trovare insieme.]

5. Quale notte è questa nella quale, quando sopraggiungerà, nessuno potrà più operare? Ascolta la definizione del giorno e potrai avere un'idea di quella notte. Chi ci parlerà del giorno? Egli stesso: Finché sono nel mondo, io sono la luce del mondo (Gv 9, 5). Ecco, egli stesso è il giorno. E' nel giorno che il cieco deve lavarsi gli occhi, se vuol vedere il giorno. Finché sono nel mondo - dice - io sono la luce del mondo. Io non so però quale sarà la notte nella quale Cristo non sarà presente, e nella quale nessuno potrà più operare. Dobbiamo ancora cercare. Abbiate pazienza, fratelli miei; lasciate che io cerchi; cerco insieme con voi; possa insieme con voi trovare presso colui dal quale io cerco. Da questo passo risulta in modo chiaro e preciso che il Signore, essendo egli la luce del mondo, intendeva identificarsi col giorno di cui stava parlando. Finché sono nel mondo - dice - io sono la luce del mondo. Anch'egli quindi opera. Ma fino a quando egli è nel mondo? Diremo, fratelli, che vi era allora e adesso non più? Se diciamo questo, vuol dire che con l'ascensione del Signore cominciò quella notte spaventosa nella quale nessuno può più operare. Se dopo l'ascensione del Signore ci troviamo già in questa notte, come hanno potuto gli Apostoli compiere tante opere? Si era già forse in questa notte quando venne lo Spirito Santo e, riempiendo tutti quelli che si trovavano riuniti in un medesimo luogo, concesse loro di parlare nelle lingue di tutte le genti (cf. At 2, 1-6)? Era forse notte quando lo storpio fu guarito dalla parola di Pietro, o meglio dalla parola del Signore dimorante in Pietro (cf. At 3, 6-8)? Era forse notte quando i malati nei loro letti venivano esposti al passaggio dei discepoli perché fossero toccati almeno dalla loro ombra (cf. At 5, 15)? Non pare che il Signore, quando era qui con noi, abbia mai guarito qualcuno solo passando e toccando con la sua ombra; ma egli stesso aveva detto ai discepoli: Voi farete cose più grandi di queste (Gv 14, 12). Sì, è vero, il Signore ha detto che essi avrebbero compiuto opere maggiori delle sue; tuttavia la carne e il sangue, per non insuperbirsi, ricordino le altre parole: Senza di me, voi non potete far nulla (Gv 15, 5).

[Se operiamo è giorno, e Cristo è qui.]

6. E allora? Che dire di questa notte? Quando sopraggiungerà questa notte nella quale non si potrà più operare? Sarà la notte degli empi, la notte di coloro ai quali alla fine sarà detto: Andate al fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli (Mt 25, 41). Ma qui si parla di notte, non di fiamme né di fuoco. Ascolta che c'entra anche la notte, quando a proposito di un tal servo si dice: Legatelo mani e piedi, e gettatelo fuori nelle tenebre (Mt 22, 13). Operi dunque l'uomo finché vive, per non essere sorpreso dalla notte in cui non si può più operare. E' ora che la fede deve operare mediante l'amore; e se ora operiamo, ecco il giorno, ecco il Cristo. Tieni conto della sua promessa e non crederlo assente, avendo egli detto: Ecco che io sono con voi. Fino a quando? Non dobbiamo preoccuparci noi che viviamo ora; dobbiamo anzi trasmettere a coloro che verranno dopo di noi la sicurezza assoluta in queste parole: Ecco, - egli dice - io sono con voi fino alla consumazione dei secoli (Mt 28, 20). Il nostro giorno, che ha termine quando il sole ha compiuto il suo corso, è di poche ore; ma il giorno della presenza di Cristo si estende fino alla consumazione dei secoli. Dopo, però, la risurrezione dei vivi e dei morti, quando a quelli che saranno alla sua destra dirà: Venite, o benedetti del Padre mio, ricevete il regno, e a quelli alla sua sinistra: Andate al fuoco eterno, che fu preparato per il diavolo ed i suoi angeli (Mt 25, 34-41), allora comincerà la notte in cui nessuno potrà più operare, ma soltanto ricevere la ricompensa del suo operato. Altro è il tempo dell'opera, altro quello della ricompensa: il Signore renderà a ciascuno secondo le sue opere (cf. Mt 16, 27). Quel che hai intenzione di fare fallo mentre sei in vita, prima che sopraggiunga la notte fonda che inghiottirà gli empi. Fin d'ora ogni infedele che muore viene assorbito da questa notte in cui non si può più far nulla. E' in questa notte che il ricco bruciava e implorava una goccia d'acqua sul dito del povero: soffriva, era tormentato, si confessava colpevole, ma nessuno poteva far niente per lui. Invano tentò di compiere un'opera buona dicendo: Padre Abramo! manda Lazzaro dai miei fratelli, per dire loro che cosa accade qui, in modo che non vengano anch'essi in questo luogo di tormento (Lc 16, 24-28). O infelice! quando eri in vita, allora era tempo di operare; ormai sei nella notte in cui nessuno può più operare.

7. Detto questo, sputò in terra e fece con la saliva un po' di fango, lo spalmò sugli occhi del cieco e gli disse: Va' a lavarti alla piscina di Siloe (che significa l'Inviato). Quello andò, si lavò e tornò che ci vedeva (Gv 9, 6-7). E' tutto chiaro, andiamo avanti.

 

OMELIA 45

Il buon Pastore.

"Entrerà ed uscirà e troverà pascolo". Si entra quando ci si raccoglie a pensare, si esce quando ci si mette a fare qualcosa. E poiché per mezzo della fede Cristo abita nei nostri cuori, entrare attraverso Cristo significa pensare alla luce della fede, uscire attraverso Cristo significa agire davanti agli uomini guidati dalla fede.

1. L'illuminazione del cieco nato offrì al Signore l'occasione di questo discorso ai Giudei. Pertanto la vostra Carità sappia e tenga presente che la lettura di oggi è strettamente legata a quel fatto. Quando il Signore disse: Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio: perché vedano quelli che non vedono e quelli che vedono diventino ciechi (Gv 9, 39), - parole che a suo tempo, quando sono state lette, abbiamo cercato di spiegarvi - alcuni farisei dissero: Forse che siamo ciechi anche noi? Ad essi Gesù rispose: Se foste ciechi non avreste peccato; ma dal momento che dite: Ci vediamo, il vostro peccato rimane (Gv 9, 40-41). A queste parole fece seguire quelle che abbiamo sentito leggere oggi.

2. In verità, in verità vi dico: chi non entra nell'ovile delle pecore per la porta, ma vi sale da qualche altra parte, questi è un ladro e un predone (Gv 10, 1). Essi dissero che non erano ciechi; ma, per vedere, avrebbero dovuto essere pecore di Cristo. E come pretendevano di avere la luce, essi che si accanivano tanto contro il giorno? Fu appunto in risposta alla loro vana, superba e inguaribile arroganza che il Signore pronunciò parole, che sono per noi, se ben le consideriamo, un salutare ammonimento. Infatti ci sono molti che, secondo un certo ideale di vita, passano per uomini dabbene e onesti, per donne virtuose e irreprensibili; sono osservanti di tutto ciò che la legge prescrive: rispettano i genitori, non sono adulteri, non uccidono, non rubano, non testimoniano il falso contro nessuno, e sembra che osservino tutti gli altri precetti: tuttavia non sono cristiani; essi spesso arrivano a vantarsi come i farisei: Siamo forse ciechi anche noi? Siccome però tutte queste cose non hanno valore, dal momento che essi le compiono senza riferimento al fine ultimo, nella lettura di oggi il Signore presenta una parabola che si riferisce al gregge e alla porta per cui si entra nell'ovile. Hanno dunque un bel dire i pagani: Noi viviamo onestamente; se non entrano per la porta che giova loro ciò di cui si gloriano? Il vivere onesto deve garantire la possibilità di vivere sempre; ma se non serve a vivere sempre, a che serve? Né si può dire che vivono onestamente coloro che per cecità ignorano o per orgoglio disprezzano il fine del vivere onesto. E nessuno può avere speranza vera e certa di vivere eternamente, se non riconosce la vita che è Cristo, e non entra per la porta nell'ovile.

[I pagani non entrano per la porta.]

3. Per lo più questi uomini cercano di convincere anche gli altri a condurre una vita onesta, ma senza essere cristiani. Essi vogliono per altra via entrare nell'ovile, vogliono rapire e uccidere, non, come fa il pastore, custodire e salvare. Ci sono stati filosofi che hanno fatto lunghe e sottili disquisizioni sulle virtù e sui vizi, analizzando, definendo, ragionando e traendo acutissime conclusioni; che hanno riempito dei libri e hanno proclamato con parole altisonanti la loro sapienza. Essi sono arrivati anche a dire agli uomini: Se volete avere una vita beata, seguiteci, aderite alla nostra setta. Ma essi non erano entrati per la porta: volevano devastare, scannare e uccidere.

[E nemmeno gli eretici.]

4. Che dire di costoro? Sì, anche i farisei leggevano le Scritture, e, leggendole, facevano risuonare il nome di Cristo; attendevano la sua venuta, e, una volta venuto e presente, non lo riconoscevano; si vantavano di essere dei veggenti, dei sapienti, e negavano il Cristo rifiutandosi di entrare per la porta. Se talvolta riuscivano a convincere qualcuno, non era certamente per salvarlo, ma per scannarlo e ucciderlo. Lasciamo da parte costoro e vediamo se almeno quelli che si gloriano del nome di Cristo, entrano davvero per la porta.

5. Sono innumerevoli coloro che non solo si vantano di essere veggenti, ma vogliono altresì essere considerati illuminati da Cristo: e sono invece degli eretici. Sono forse entrati per la porta costoro? Niente affatto. Sabellio dice: Il Figlio è lo stesso che il Padre. E invece se è Figlio non è Padre. Non entra per la porta chi chiama Padre il Figlio. Ario dice che una cosa è il Padre e altra cosa è il Figlio. Direbbe bene se dicesse che è "altro", ma non "altra cosa". Dicendo che è "altra cosa", va contro l'affermazione di Cristo: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10, 30). Quindi neppure Ario entra per la porta, perché predica un Cristo che si è creato lui, non quale lo annuncia la Verità. Tu salvi il nome, non la realtà. Al nome di Cristo corrisponde una realtà ben precisa; tieni conto della realtà, se vuoi che il nome ti giovi. Un altro, che non so donde venga, Fotino, dice che Cristo è solo uomo, non Dio. Nemmeno lui entra per la porta, perché Cristo è Dio e uomo. A che scopo dilungarci elencando le molte vuote affermazioni eretiche? Tenete per certo che l'ovile di Cristo è la Chiesa cattolica. Chiunque vuole entrare nell'ovile, entri per la porta e riconosca colui che è il vero Cristo. E non solo riconosca colui che è il vero Cristo, ma cerchi la gloria di Cristo, non la propria; molti, infatti, cercano la propria gloria, e invece di raccogliere le pecore di Cristo, le hanno disperse. Cristo nostro Signore è una porta bassa: è necessario che chi entra per questa porta si abbassi, se vuole entrare con la testa sana. Chi invece di abbassarsi si innalza, vuole entrare per il muro; e chi sale attraverso il muro, sale per precipitare giù.

6. Il Signore tuttavia continua a parlare in maniera oscura, e non viene capito; parla di porta, di ovile, di pecore; richiama l'attenzione su queste immagini che ancora non spiega. Seguitiamo a leggere, perché egli arriverà a darci qualche spiegazione, e questa ci permetterà di capire anche quanto non ci avrà spiegato. Con le cose chiare ci nutre, con le oscure ci stimola. Chi non entra per la porta nell'ovile delle pecore, ma vi sale da qualche altra parte ... Miserabile! Cadrà. Se è umile entrerà per la porta; venga per la via giusta, e non inciamperà. Questi - dice - è un ladro e un predone. Si appropria delle pecore che non sono sue; e se le appropria rubandole, non per salvarle, ma per ucciderle. Dunque è un ladro perché si appropria di ciò che non è suo, è un predone perché uccide ciò che ha rubato. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. A lui apre il portinaio. Vedremo chi è il portinaio, quando sapremo dal Signore chi è la porta e chi è il pastore. E le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le sue pecore per nome (Gv 10, 2-3). Egli tiene i loro nomi scritti nel libro della vita. Chiama le sue pecore per nome. E' in questo senso che l'Apostolo dice che il Signore conosce chi sono i suoi (2 Tim 2, 19). E le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguirebbero, ma fuggirebbero via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei (Gv 10, 4-5). Sono parole oscure queste, piene di problemi, gravide di misteri. Proseguiamo e ascoltiamo il Maestro che attraverso l'oscurità ci aprirà una porta per cui entrare.

7. Questa la similitudine che ad essi narrò Gesù; ma quelli non capirono che cosa volesse dir loro (Gv 10, 6). Probabilmente neppure noi riusciamo a capire. E allora che differenza c'è tra loro e noi, prima di aver scoperto il senso di queste parole? C'è la differenza, che noi bussiamo affinché ci si apra; essi invece, negando Cristo, non volevano entrare per essere salvi, ma volevano rimanere fuori e perdersi. Per il fatto dunque che noi ascoltiamo queste cose con religioso rispetto e, anche prima di comprenderle, crediamo che siano vere e divine, grande è la differenza tra noi e loro. Quando due ascoltano le parole del Vangelo, e uno è empio e l'altro pio, e le parole sono così difficili che nessuno dei due le comprende, l'uno conclude: non ha detto nulla; mentre l'altro sostiene: ha detto la verità, ciò che ha detto è buono, solo che noi non riusciamo a comprendere; questi, siccome crede, sta bussando alla porta e, se continua a bussare, otterrà che gli venga aperto; mentre l'altro merita ancora di sentirsi dire: Se non crederete non capirete (Is 7, 9 sec. LXX). Dico questo perché, anche quando avrò spiegato meglio che posso queste parole oscure, o perché sono troppo profonde, o perché io non riesco ad afferrarne il senso, o perché non riesco ad esporre ciò che ho compreso, o perché infine qualcuno è così tardo da non riuscire a seguire la mia spiegazione, ci sarà sempre chi non capisce; ebbene, non si disperi: rimanga fermo nella fede, continui a camminare tenendo conto di ciò che dice l'Apostolo: Se in qualche cosa pensate diversamente, anche su questo Iddio vi illuminerà. Intanto, qualunque sia il punto a cui siamo arrivati, continuiamo ad avanzare (Fil 3, 15).

[Sono venuti con lui quelli che erano veraci.]

8. Disponiamoci dunque ad ascoltare la spiegazione della similitudine dalla bocca stessa del Signore che ce l'ha presentata. Gesù, allora, riprese: In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore (Gv 10, 7). Ecco che ci ha aperto quella porta che era chiusa quando ce l'aveva indicata. Egli stesso è la porta. Prendiamone atto, entriamo, o rallegriamoci di essere entrati. Tutti coloro che sono venuti sono ladri e predoni (Gv 10, 8). Che intendi dire con questo, o Signore: tutti coloro che sono venuti sono ladri e predoni? Non sei venuto anche tu? Cerca di capire: ho detto: tutti quelli che sono venuti, ben inteso prima di me. Riflettiamo. Prima di lui sono venuti i profeti: forse che erano ladri e predoni? Certamente no; non erano venuti prima di lui, poiché erano venuti con lui. Colui che doveva venire mandava innanzi a sé gli araldi, e possedeva il cuore di coloro che mandava. Volete rendervi conto che essi sono venuti con lui che è da sempre? Sì, è vero che assunse la carne nel tempo; ma è altrettanto vero che egli è da sempre: In principio era il Verbo (Gv 1, 1). Sono venuti dunque con lui coloro che sono venuti con la Parola di Dio. Io sono - ha detto - la via, la verità e la vita (Gv 14, 6). Se egli è la verità, quelli che sono stati veraci sono venuti con lui. Tutti quelli invece che sono venuti al di fuori di lui sono stati ladri e predoni, cioè sono venuti per rubare e uccidere.

[Diversi i segni, medesima la fede.]

9. Ma le pecore non li hanno ascoltati (Gv 10, 8). L'espressione, le pecore non li hanno ascoltati, aumenta la difficoltà. Prima dell'avvento di nostro Signore Gesù Cristo nell'umiltà della carne, vennero i giusti che credevano in lui venturo, come noi crediamo in lui che è venuto. I tempi sono mutati, ma non è mutata la fede. Col mutar dei tempi mutano anche le parole, perché mutano le formulazioni. L'espressione: egli verrà, ha un suono diverso da quella: egli è venuto. E' cambiato il suono di "verrà" in "è venuto", ma tuttavia la stessa fede congiunge gli uni e gli altri: quelli che credevano in lui venturo e quelli che credono in lui che è venuto. Sia pure in diversi tempi, vediamo entrare gli uni e gli altri per la stessa porta della fede, cioè per Cristo. Noi crediamo che il Signore Gesù Cristo è nato dalla Vergine, è venuto nella carne, ha sofferto, è risorto ed è asceso al cielo. Tutte queste profezie noi crediamo essersi già adempiute, come suonano gli stessi verbi di tempo passato. A questa comunità di fede appartengono assieme a noi i nostri padri, i quali credettero che egli sarebbe nato dalla Vergine, che avrebbe sofferto, sarebbe risorto e asceso al cielo. Ad essi si riferisce l'Apostolo quando dice: Avendo lo stesso spirito di fede, secondo che è scritto: Ho creduto perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo (2 Cor 4, 13). Il profeta disse: Ho creduto, perciò ho parlato (Sal 115, 10), e l'Apostolo a sua volta dice: Anche noi crediamo e perciò parliamo. Ma affinché ti renda conto che la fede è unica, nota ciò che qui aggiunge: Avendo lo stesso spirito di fede, anche noi crediamo. Come pure ciò che dice altrove: Non voglio che voi ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, tutti attraversarono il mare, e tutti furono battezzati in Mosè nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, e tutti bevvero la stessa bevanda spirituale (1 Cor 10, 1-4). Il Mar Rosso significa il battesimo; Mosè che guida Israele attraverso il Mar Rosso è figura di Cristo; il popolo che attraversa il mare sono i fedeli; la morte degli Egiziani è l'abolizione dei peccati. I segni sono diversi, ma la fede è la stessa. I segni sono diversi come le parole. Le parole mutano suono attraverso i tempi, ma le parole non sono altro che segni. Sono parole appunto perché significano qualcosa: se alla parola togli il significato, non resta che un vano rumore. Tutto dunque fu affidato a dei segni. Non avevano forse la medesima fede coloro ai quali dobbiamo questi segni e che profeticamente ci hanno preannunciato ciò che noi crediamo? Certamente essi credevano le medesime cose che noi crediamo, solo che per essi erano future, per noi passate. Perciò l'Apostolo dice: Bevvero la medesima bevanda spirituale. Spiritualmente era la medesima, materialmente era diversa. Che cosa bevevano infatti quelli? Bevevano da una pietra spirituale che li accompagnava, e questa pietra era Cristo (1 Cor 10, 4). Come vedete la fede rimane, sono mutati i segni. Là Cristo era la pietra, qui per noi Cristo è ciò che si sacrifica all'altare. Essi bevevano l'acqua che scaturiva dalla pietra, considerando ciò un grande sacramento di Cristo. Quanto a noi, i fedeli sanno che cosa beviamo. Se guardi l'aspetto esteriore, è un'altra cosa; ma se consideri il significato spirituale, essi bevvero la medesima bevanda spirituale. Tutti quelli che allora credettero ad Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, e a tutti gli altri patriarchi e profeti che preannunciavano il Cristo, erano pecore che ascoltavano la voce di Cristo; non hanno ascoltato la voce di estranei, ma la sua. Il giudice era già presente nel suo araldo. Perché anche quando il giudice parla per bocca dell'araldo, il copista non annota: l'araldo ha detto, ma: il giudice ha detto. Ci sono stati dunque di quelli che le pecore non hanno ascoltato, nei quali non risuonava la voce di Cristo: essi, caduti nell'errore, hanno insegnato cose false, hanno inventato e spacciato cose vuote e vane traendo in inganno i poveretti.

 

OMELIA 46

Il buon Pastore e i mercenari.

Nella Chiesa ci sono molti che cercano vantaggi terreni, e tuttavia predicano Cristo. Anche per mezzo di essi si ascolta la voce di Cristo, e le pecore seguono, non il mercenario, ma per mezzo del mercenario la voce del Pastore.

1. Rivolgendosi il Signore Gesù alle sue pecore presenti e future che egli aveva davanti a sé (poiché quelle che avrebbero creduto in seguito si trovavano là insieme con quelle che erano già sue pecore); rivolgendosi tanto alle presenti che alle future, cioè a loro e a noi, e a quanti dopo di noi saranno sue pecore, mostra chi è colui che è stato inviato ad esse. Tutte ascoltano la voce del loro pastore che dice: Io sono il buon pastore (Gv 10, 11). Non avrebbe aggiunto buono se non ci fossero cattivi pastori. Ora i cattivi pastori sono i ladri e i briganti, oppure, più frequentemente, i mercenari. Dobbiamo individuare, precisare e discernere bene tutte queste figure. Il Signore ci ha già chiarito due cose che ci si presentavano piuttosto oscure: sappiamo già che la porta è lui, e che lui è anche il pastore. Chi siano i ladri e briganti è stato chiarito nella lettura di ieri; in quella di oggi abbiamo sentito parlare di mercenario e di lupo; ieri infine era venuto fuori anche il portinaio. Dobbiamo mettere nella categoria dei buoni, la porta e il portinaio, il pastore e le pecore; in quella dei cattivi, i ladri e i briganti, i mercenari e il lupo.

[Chi è la porta.]

2. Sappiamo che Cristo Signore è insieme la porta e il pastore; ma chi è il portinaio? Egli ha spiegato le prime due figure, ma ha lasciato a noi il compito di individuare il portinaio. Che dice del portinaio? A lui il portinaio apre (Gv 10, 3). A chi apre? Al pastore. Cosa apre al pastore? La porta. E chi è la porta? Il pastore stesso è la porta. Se Cristo Signore non ce l'avesse spiegato, se non ci avesse detto: Io sono il pastore, e Io sono la porta (Gv 10, 9), chi di noi avrebbe osato dire che Cristo è il pastore e insieme la porta? Se infatti avesse detto: Io sono il pastore, e non avesse detto: Io sono la porta, noi saremmo ancora a cercare il significato della porta, e forse, scambiandola per un'altra cosa, saremmo rimasti davanti alla porta. Per sua grazia e misericordia ci ha spiegato chi è il pastore, e ci ha detto che egli stesso è il pastore; ci ha spiegato chi è la porta dicendoci che la porta è ancora lui. Ci rimane da cercare chi è il portinaio. Chi sarà il portinaio? Chiunque sia, dobbiamo stare attenti a non considerarlo superiore alla porta, dato che nella casa degli uomini il portinaio è più importante della porta. E' il portinaio infatti che viene preposto alla porta, non viceversa, perché è il portinaio che custodisce la porta, non viceversa. Non oso dire che c'è qualcuno superiore alla porta, dal momento che so chi è la porta. Lo so, non debbo far congetture, non si tratta di opinioni umane. Lo ha detto Dio, ha parlato la Verità, e non si può mutare ciò che ha detto l'immutabile.

3. Io dirò il mio parere in ordine a questa profonda questione, e ciascuno scelga ciò che gli piace, purché nutra sentimenti degni della maestà di Dio, secondo quanto sta scritto: Abbiate di Dio un buon concetto, e cercatelo con sincerità di cuore (Sap 1, 1). Forse dobbiamo ritenere che il portinaio è il Signore stesso. Nelle cose umane c'è ben più distanza tra il pastore e la porta che tra il portinaio e la porta: eppure il Signore si proclamò e pastore e porta. Perché allora non ammettere che egli è anche il portinaio? Se noi consideriamo la proprietà di tutte queste cose, in senso proprio il Signore non è nemmeno pastore, secondo quanto sappiamo e vediamo dei pastori; e non è nemmeno porta, non essendo stato fatto da alcun artigiano; ma se, tenendo conto di certe somiglianze, egli è la porta e il pastore, oserei dire che egli è anche la pecora. La pecora, è vero, sta sotto il pastore, e tuttavia egli è insieme pastore e pecora. Dove risulta che è pastore? Eccolo qui nel Vangelo: Io sono il buon pastore. Dove risulta che è pecora? Interroga il profeta: Come pecora è stato condotto al macello (Is 53, 7). Interroga anche l'amico dello sposo: Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo (Gv 1, 29). A proposito di queste similitudini, posso dirvi cose ancor più meravigliose. L'agnello, la pecora e il pastore sono legati tra loro da grande amicizia: le pecore, però, di solito sono difese dai pastori contro i leoni; e tuttavia di Cristo, che è pastore e pecora, leggiamo nell'Apocalisse: Ha vinto il leone della tribù di Giuda (Ap 5, 5). Tutte queste cose, fratelli, prendetele come similitudini, non in senso proprio. Siamo soliti vedere i pastori seduti su una pietra, e di là vegliare sulle pecore affidate alla loro custodia. Sicuramente il pastore è superiore alla pietra sopra la quale egli sta seduto; Cristo, tuttavia, è il pastore ed è la pietra. Tutto ciò ha valore di similitudine. Se mi chiedi chi è Cristo in senso proprio, ti rispondo: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Gv 1, 1). Se mi chiedi chi è Cristo in senso proprio, ti rispondo che è il Figlio unico, generato dal Padre dall'eternità per l'eternità, uguale a colui che lo ha generato, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, immutabile come il Padre, che non è cambiato per aver assunto la forma di uomo, uomo in virtù dell'incarnazione, figlio dell'uomo e Figlio di Dio. E tutto questo non è similitudine, ma realtà.

[Chi è il portinaio.]

4. Possiamo dunque benissimo ammettere, o fratelli, che, secondo certe similitudini, il Cristo è insieme porta e portinaio. A che serve infatti la porta? Per entrare. Chi è il portinaio? Colui che apre. E chi apre se stesso, se non colui che rivela se stesso? Ecco, il Signore aveva parlato della porta e noi non avevamo capito; quando non capivamo, la porta era chiusa. Chi ce l'ha aperta, quegli è il portinaio. Non c'è alcuna necessità di cercare altro: non c'è bisogno, ma forse c'è il desiderio di farlo. Se tu hai questo desiderio, non andare fuori strada, non allontanarti dalla Trinità. Se cerchi altrove la figura del portinaio, ti venga in soccorso lo Spirito Santo: non disdegnerà lo Spirito Santo di fare il portinaio, dal momento che il Figlio si è degnato di essere la porta. Vediamo se per caso il portinaio non sia lo Spirito Santo; il Signore stesso dice dello Spirito Santo ai suoi discepoli: Egli vi insegnerà tutta la verità (Gv 16, 13). Chi è la porta? Cristo. Chi è Cristo? La verità. Chi è che apre la porta se non colui che insegna tutta la verità?

[Chi è il mercenario.]

5. E che diremo del mercenario? Non è stato certo classificato fra i buoni. Il buon pastore - dice il Signore - dà la vita per le pecore; il mercenario, colui che non è pastore, al quale non appartengono le pecore, vede venire il lupo e abbandona le pecore e fugge; e il lupo le rapisce e le disperde (Gv 10, 11-12). Il mercenario non è certo una figura raccomandabile, e tuttavia a qualche cosa è utile; non verrebbe chiamato mercenario, se non ricevesse la mercede dal padrone. Chi è dunque questo mercenario, colpevole e necessario ad un tempo? Che il Signore ci illumini, o fratelli, in modo da riconoscere i mercenari e da non diventare noi stessi mercenari. Chi è dunque il mercenario? Vi sono alcuni nella Chiesa che sono preposti in autorità, e di essi l'apostolo Paolo dice: Cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo (Fil 2, 21). Che vuol dire cercano i propri interessi? Vuol dire che non amano Cristo di un amore disinteressato, che non cercano Dio per se stesso; cercano privilegi e vantaggi temporali, sono avidi di denaro, ambiscono onori terreni. Tal sorta di prelati che amano queste cose e per esse servono Dio, sono mercenari; non possono considerarsi figli di Dio. Di costoro il Signore dice: In verità vi dico: hanno ricevuto la loro mercede (Mt 6, 5). Ascolta cosa dice del santo Timoteo l'apostolo Paolo: Spero nel Signore Gesù di mandarvi quanto prima Timoteo, affinché anch'io stia di buon animo conoscendo le vostre notizie. Infatti non ho nessuno che mi sia vicino d'animo quanto lui; egli si darà premura delle vostre cose con sincerità, giacché tutti cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo (Fil 2, 19-21). Il pastore era afflitto di trovarsi in mezzo ai mercenari; cercò qualcuno che amasse sinceramente il gregge di Cristo, e attorno a sé, tra quelli che erano con lui allora, non lo trovò. Non che allora nella Chiesa di Cristo non ci fosse nessuno, all'infuori dell'apostolo Paolo e di Timoteo, che sinceramente fosse sollecito del gregge; però nel momento in cui mandò Timoteo, non aveva alcun altro figlio con sé, ma soltanto dei mercenari che, appunto, cercavano i propri interessi, non quelli di Cristo. E tuttavia egli era tanto sollecito del suo gregge che preferì mandare il figlio e rimanere in mezzo ai mercenari. Sappiamo che ci sono dei mercenari, ma chi sono lo sa soltanto il Signore che scruta i cuori. Qualche volta tuttavia li identifichiamo anche noi. Non per nulla infatti il Signore a proposito dei lupi disse: Li riconoscerete dai loro frutti (Mt 7, 16). Le prove della vita costringono molti a manifestare le loro vere intenzioni; quelle di tanti altri, infatti, rimangono nascoste. Sì, l'ovile di Cristo ha come responsabili dei figli e dei mercenari. Solo a patto che siano figli, i prelati sono pastori. Se sono pastori, come può esserci un solo pastore se non nel senso che tutti essi sono membra dell'unico Pastore di cui anche loro sono pecore? Anch'essi, infatti, sono membra di quell'unica pecora; poiché di lui è scritto: come pecora è stato condotto al macello.

[Sono necessari anche i mercenari.]

6. Ascoltate ora in che senso sono necessari anche i mercenari. Ci sono molti che nella Chiesa cercano vantaggi materiali, e tuttavia predicano Cristo, e anche per loro mezzo la voce di Cristo si fa sentire. Le pecore seguono non il mercenario, ma la voce del pastore che si è fatta sentire attraverso il mercenario. Ascoltate come il Signore stesso segnalò i mercenari: Gli scribi e i farisei - egli disse - siedono sulla cattedra di Mosè; fate quello che dicono, non fate ciò che fanno (Mt 23, 2). Che altro ha voluto dire se non che si prestasse ascolto alla voce del Pastore udita attraverso i mercenari? Sedendo infatti sulla cattedra di Mosè, essi insegnano la legge di Dio; quindi per mezzo loro è Dio che insegna. Ma se essi pretendessero insegnarvi le loro cose, non ascoltateli e non imitateli. Certamente costoro cercano i loro interessi, non quelli di Cristo; tuttavia nessun mercenario ha mai osato dire al popolo di Cristo: Cerca i tuoi interessi, non quelli di Cristo. Il male che fa non lo predica sulla cattedra di Cristo; reca danno perché agisce male, non in quanto predica bene. Cogli il grappolo, ma bada alle spine. E' chiaro? Penso di sì; ma per qualcuno più lento, mi spiegherò meglio. In che senso ho detto: Cogli il grappolo, ma bada alle spine, mentre il Signore dice: Forse che si coglie uva dalle spine, o fichi dai triboli? (Mt 7, 16). E' sicuramente vero, questo; ma è anche vero quello che ho detto io: cogli il grappolo, ma bada alle spine. Qualche volta il grappolo d'uva, venuto su dalla radice della vite, pende in mezzo ad una siepe; sviluppandosi, i tralci si sono intrecciati con le spine, e il pruno porta un frutto che non è suo. Non che la vite abbia prodotto delle spine, ma è il tralcio che si è allungato sul pruno. Se vuoi rendertene conto, rintraccia le radici. Cerca le radici delle spine, e le troverai distinte dalla vite; cerca l'origine dell'uva, e vedrai che essa risale alla radice della vite. La cattedra di Mosè era la vite, i costumi dei farisei erano le spine: la dottrina vera insegnata da uomini indegni era come il tralcio in mezzo alla siepe, come il grappolo in mezzo ai rovi. Cogli l'uva con precauzione, in modo da non lacerarti la mano mentre cerchi di prendere il frutto; e così, ascoltando le cose buone che uno dice, procura di non imitare le cose cattive che egli fa. Fate ciò che dicono, cioè cogliete l'uva; non fate ciò che fanno, cioè badate alle spine. Ascoltate la voce del pastore anche dalla bocca del mercenario, ma procurate di non essere anche voi dei mercenari, poiché siete membra del pastore. Il medesimo santo apostolo Paolo, che aveva detto: Non ho nessuno che si dia premura di voi con sincerità, giacché tutti cercano i propri interessi, non quelli di Cristo, ecco come in un altro passo distingue i figli dai mercenari: Alcuni, è vero, predicano Cristo per invidia e spirito di contesa, ma altri per buona volontà: gli uni lo fanno per amore, sapendo che io sono stato posto per la difesa del Vangelo; gli altri, invece, annunziano Cristo per ambizione, non sinceramente, stimando di procurare afflizione alle mie catene (Fil 1, 15-17). Costoro erano mercenari, ed erano invidiosi dell'apostolo Paolo. E perché erano invidiosi di lui? Perché cercavano i beni temporali. Ma notate che cosa aggiunge: Ma che importa? Purché in ogni maniera, o per secondi fini o con lealtà, Cristo venga annunciato, me ne rallegro e rallegrerò (Fil 1, 18). Cristo è la verità; la verità viene annunziata dai mercenari per secondi fini, mentre viene annunziata dai figli con lealtà. I figli aspettano pazientemente l'eredità eterna del Padre: i mercenari esigono subito la mercede temporale del padrone; diminuisca pure la mia gloria umana - quella gloria per cui i mercenari m'invidiano tanto -, purché attraverso la bocca dei mercenari come attraverso quella dei figli, si diffonda la gloria divina di Cristo, e Cristo, o per secondi fini o con lealtà, venga annunciato.

[I pastori sono membra del Pastore.]

7. Così abbiamo visto anche chi è il mercenario. E chi è il lupo, se non il diavolo? E che cosa è stato detto del mercenario? Vedendo venire il lupo fugge; perché non sono sue le pecore, e a lui non importa niente di esse (Gv 10, 12-13). Forse che faceva così l'apostolo Paolo? Certamente no. O forse Pietro? Certamente no. Forse gli altri apostoli, eccezion fatta di Giuda, il figlio della perdizione? No davvero. Allora essi erano pastori? Certamente. Ma non c'è un solo pastore? L'ho già detto: erano pastori perché membra del Pastore. Erano contenti di avere Lui per capo, vivevano in pieno accordo sotto di Lui, vivevano del medesimo Spirito nella compagine del medesimo corpo; e perciò appartenevano tutti all'unico Pastore. Se dunque erano pastori e non mercenari, perché fuggivano quando erano perseguitati? Spiegacelo, o Signore. Ho letto in una sua lettera che Paolo fuggì: lo calarono da un muro dentro una cesta perché sfuggisse alle mani del persecutore (cf. 2 Cor 11, 33). Non gl'importava dunque delle pecore, che egli abbandonava al sopraggiungere del lupo? Certo che gl'importava, ma le affidava, pregando, al pastore assiso in cielo, mentre, fuggendo, si conservava a vantaggio di esse, così come in un altro passo dice: Rimanere nella carne è più necessario per voi (Fil 1, 24). Tutti gli Apostoli, del resto, avevano sentito dire dal pastore stesso: Se vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra (Mt 10, 23). Si degni il Signore risolvere questa difficoltà. Signore, tu hai detto a coloro di cui volevi fare dei pastori fedeli e che formavi perché fossero tue membra: Se vi perseguiteranno, fuggite. Fai torto a loro, quando rimproveri ai mercenari che vedendo venire il lupo fuggono. Ti preghiamo di rivelarci la profondità del problema; bussiamo, verrà ad aprirci il portinaio di quella porta che è lui stesso.

 

OMELIA 47

Il buon Pastore dà la vita.

Siete pecore di Cristo, acquistate a prezzo del suo sangue. Riconoscete il vostro prezzo, che non è versato da me, ma da me è annunciato. Se altri hanno dato la vita per il gregge, non l'han potuto fare senza il buon Pastore, il quale solo ha potuto fare questo senza di loro.

1. Voi che avete ascoltato non solo di buon grado ma anche con attenzione la parola del nostro Dio, senza dubbio ricordate la nostra promessa. Come avete notato, oggi è stata letta quella medesima pagina del Vangelo che era stata letta domenica scorsa; perché, costretti a soffermarci su alcuni punti, abbiamo dovuto tralasciarne altri che pure meritavano la vostra attenzione. Oggi, pertanto, non torneremo sulle cose già dette e spiegate, perché tale ripetizione ci impedirebbe di arrivare a ciò che ancora rimane da dire. Ormai sapete, nel nome del Signore, chi è il buon pastore, e come tutti i buoni pastori siano sue membra, e perciò uno solo è il pastore; sapete chi è da tollerarsi come mercenario, chi è il lupo, chi sono i ladri e i briganti da cui ci si deve guardare; sapete chi sono le pecore, chi è la porta per la quale entrano sia le pecore che il pastore, e chi si deve intendere come portinaio. Sapete pure che chi non entra per la porta è un ladro e un brigante, che viene solo per rubare, uccidere e distruggere. Ritengo che tutte queste cose siano state sufficientemente spiegate. Oggi, con l'aiuto del Signore, dobbiamo dire in che modo egli entra attraverso se stesso, poiché il medesimo Gesù Cristo nostro Salvatore ha detto di essere sia il pastore che la porta, e ha aggiunto che il buon pastore entra per la porta. Se infatti nessuno è buon pastore se non quello che entra per la porta, ed egli è il buon pastore per eccellenza ed è insieme la porta, dobbiamo per forza concludere che egli entra attraverso se stesso dalle sue pecore, per dar loro la voce in modo che lo seguano, ed esse, entrando e uscendo, trovano i pascoli, cioè la vita eterna.

[Riconoscete il vostro prezzo.]

2. Vi dirò subito: Io vi predico Cristo con l'intento di entrare in voi, cioè nel vostro cuore. Se altro vi predicassi, tenterei di entrare in voi per altra via. E' Cristo la porta per cui io entro in voi; entro per Cristo non nelle vostre pareti domestiche, ma nei vostri cuori: entro per Cristo, e volentieri voi ascoltate Cristo in me. Perché ascoltate volentieri Cristo in me? Perché siete sue pecore, perché siete stati redenti col suo sangue. Voi riconoscete il prezzo della vostra redenzione, che non ho dato io, ma che per mezzo mio vi viene annunziato. Egli vi ha redenti, egli che ha versato il suo sangue prezioso: prezioso è il sangue di colui che è senza peccato. Egli stesso tuttavia ha reso prezioso anche il sangue dei suoi, per i quali ha pagato il prezzo del suo sangue. Se non avesse reso prezioso il sangue dei suoi, il salmista non direbbe: E' preziosa al cospetto del Signore la morte dei suoi santi (Sal 115, 15). Egli ci dice: Il buon pastore dà la sua vita per le pecore (Gv 10, 11). E' vero, non è stato lui solo a far questo: e tuttavia, se quelli che lo hanno fatto sono sue membra, è sempre lui solo che lo ha fatto. Egli infatti poté far questo senza di loro; ma loro non avrebbero potuto senza di lui, dal momento che egli stesso ha detto: Senza di me non potete far nulla (Gv 15, 5). Abbiamo qui esposto ciò che anche altri hanno affermato, come lo stesso apostolo Giovanni, che annunciò questo Vangelo che state ascoltando; nella sua lettera ci dice: Come Cristo ha offerto la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo per i fratelli offrire le nostre vite (1 Io 3, 16). Dobbiamo, dice; ce n'ha creato l'obbligo colui che per primo si è offerto. E così, in altro luogo sta scritto: Se ti capiterà di sedere alla mensa di un potente, bada bene a ciò che ti viene messo davanti; metti un freno alla tua voracità, sapendo che dovrai ricambiare (Prv 23, 1-2 sec. LXX). Voi sapete qual è la mensa del Potente; su quella mensa c'è il corpo e il sangue di Cristo; chi si accosta a tale mensa, si appresti a ricambiare il dono che riceve; e cioè, come Cristo ha offerto la sua vita per noi, noi dobbiamo fare altrettanto: per edificare il popolo e confermare la fede dobbiamo offrire le nostre vite per i fratelli. Così a Pietro, di cui voleva fare un buon pastore, non a vantaggio di lui ma del suo corpo, il Signore disse: Pietro, mi ami? Pasci le mie pecore (Gv 21, 15). E questa domanda gliela fa una, due, tre volte, fino a contristarlo. E dopo averlo interrogato quante volte ritenne opportuno, affinché la sua triplice confessione riscattasse la sua triplice negazione, e dopo avergli per tre volte affidato le sue pecore da pascere, il Signore gli disse: Quando eri giovane ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio stenderai le braccia e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorrai. E l'evangelista spiega ciò che il Signore aveva inteso dire: Disse questo per indicare con qual genere di morte avrebbe glorificato Dio (Gv 21, 18-19). La consegna pasci le mie pecore, non significa dunque altro che questo: offri la tua vita per le mie pecore.

[Cristo predica Cristo.]

3. C'è ancora qualcuno che ignora il significato delle parole: Come il Padre conosce me e io conosco il Padre? Egli conosce il Padre per se stesso, noi lo conosciamo per mezzo suo. Sappiamo che egli lo conosce per se stesso, e sappiamo pure che noi lo conosciamo a nostra volta per mezzo di lui. E' per mezzo di lui che conosciamo tutto ciò. Egli stesso ce lo ha detto: Dio nessuno l'ha mai visto se non l'unigenito Figlio che è nel seno del Padre, il quale ce lo ha rivelato (Gv 1, 18). Quindi anche noi, ai quali lo ha rivelato, abbiamo conosciuto Dio per mezzo di lui. E altrove il Signore dice: Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo (Mt 11, 27). Allo stesso modo che conosce il Padre per se stesso mentre noi lo conosciamo per mezzo di lui, così egli entra nell'ovile per se stesso e noi vi entriamo per mezzo di lui. Dicevamo che Cristo è la porta per cui possiamo entrare in voi; perché? perché predichiamo Cristo. Noi predichiamo Cristo, e perciò entriamo per la porta. Cristo predica Cristo, in quanto predica se stesso; e perciò il pastore entra attraverso se stesso. Quando la luce manifesta le cose da essa illuminate, ha forse bisogno di essere rischiarata da un'altra luce? La luce rischiara le altre cose e se stessa. Tutto ciò che intendiamo, lo intendiamo mediante l'intelligenza; ma l'intelligenza medesima, in che modo la intendiamo se non con l'intelligenza stessa? Forse si può dire altrettanto per l'occhio del corpo: che vede le altre cose e vede se stesso? No: l'uomo vede con i suoi occhi, ma non vede i suoi occhi. L'occhio del corpo può vedere le altre cose, ma non se stesso; l'intelletto, invece, intende le altre cose e anche se stesso. Nello stesso modo in cui l'intelletto vede se stesso, Cristo predica se stesso. Se predica se stesso, e predicando se stesso entra in te, vuol dire che entra in te passando attraverso se stesso. Egli è anche la porta per andare al Padre; perché, fuori di lui, nessuno può giungere al Padre. Uno solo infatti è Dio, e uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù (cf. 1 Tim 2, 5). Con la parola si possono dire molte cose; tutto ciò che vi ho detto, ve l'ho detto appunto mediante la parola. Tanto che se voglio dire "parola", devo usare una parola. Così per mezzo della parola si possono esprimere altre cose che non sono la parola, e la parola stessa non si può esprimere se non ricorrendo alla parola. Con l'aiuto del Signore abbiamo abbondato in esempi. Tenete dunque bene a mente che il Signore Gesù Cristo è la porta ed è il pastore: è la porta in quanto si apre, cioè si rivela, ed è il pastore in quanto entra attraverso se stesso. Per la verità, o fratelli, la prerogativa di pastore l'ha comunicata anche alle sue membra; e così sono pastori Pietro, Paolo, tutti gli altri apostoli e tutti i buoni vescovi. Nessuno di noi, però, osa dire di essere la porta: per sé solo Cristo si è riservato di essere la porta per la quale devono entrare le pecore. Certamente l'apostolo Paolo adempiva l'ufficio di buon pastore quando predicava Cristo, perché entrava per la porta. Ma quando pecore indocili cominciarono a dividersi e a crearsi altre porte, non per entrare e raccogliersi, ma per sbandarsi e dividersi, dicendo gli uni io sono di Paolo, altri io sono di Cefa, altri ancora io sono di Apollo, altri infine io sono di Cristo; allora l'Apostolo, scagliandosi contro coloro che dicevano io sono di Paolo, gridò, quasi parlasse a delle pecore: Sciagurate, dove andate? Non sono io la porta. Forse che Paolo è stato crocifisso per voi? O nel nome di Paolo siete stati battezzati? (1 Cor 1, 12-13). Quelli che invece dicevano: io sono di Cristo, essi avevano trovato la porta.

[Un solo ovile e un solo pastore.]

4. Continuamente avete sentito parlare dell'unico ovile e dell'unico pastore; con insistenza vi abbiamo ricordato che esiste un unico ovile, predicandovi l'unità, in modo che tutte le pecore vi si raccolgano passando per Cristo e nessuna di esse segua Donato. Del resto, è chiaro il motivo che indusse il Signore a tenere questo discorso. Egli si rivolgeva ai Giudei, era stato inviato anzitutto ai Giudei, non a quelli che si accanivano nel loro odio e si ostinavano a rimanere nelle tenebre, ma a coloro tra essi che egli chiamò sue pecore e dei quali dice: Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'lsraele (Mt 15, 24). Li riconosceva in mezzo alla folla inferocita, e li vedeva già nella pace dei credenti. Che significa: non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele? Significa che soltanto al popolo d'Israele si presentò personalmente in carne ed ossa. Non si recò personalmente presso i popoli pagani, ma inviò altri; al popolo d'Israele, invece, inviò altri e andò egli stesso, in modo che quanti lo disprezzavano fossero più severamente giudicati, poiché si era presentato loro anche personalmente. In quella terra abitò, lì si scelse la madre, lì volle essere concepito, volle nascere e versare il suo sangue; in quella terra anche adesso si venerano le orme che egli vi lasciò impresse prima di ascendere al cielo. Ai gentili, invece, mandò gli Apostoli.

5. Ma forse qualcuno pensa che non essendo egli venuto a noi di persona ma avendo mandato altri, noi non abbiamo ascoltato la sua voce ma quella di coloro che ci ha mandato. Per carità, allontanate dai vostri cuori un simile pensiero: era lui che parlava in coloro che ci mandò. Ascolta Paolo che egli inviò come apostolo precipuamente al mondo pagano; e Paolo, sfidando non in nome proprio, ma in nome di Cristo, dice: Volete una prova del Cristo che parla in me? (2 Cor 13, 3). Ascoltate cosa dice il Signore stesso: Ed ho altre pecore, cioè i gentili, che non sono di quest'ovile, che cioè non appartengono al popolo d'Israele; anche quelle io devo radunare. Dunque è lui, non altri, che le raduna, anche se lo fa per mezzo dei suoi. E aggiunge: E ascolteranno la mia voce. Ecco, anche per mezzo dei suoi è lui che parla, e per mezzo di coloro che egli manda è la sua voce che si ascolta. E si farà un solo ovile e un solo pastore (Gv 10, 16). Di questi due greggi, come di due muri, egli è diventato la pietra angolare. Oltre che la porta, dunque, egli è anche la pietra angolare; sempre come similitudine, non in senso proprio.

[Senso proprio e senso figurato.]

6. Ve l'ho detto e ve l'ho raccomandato vivamente: chi comprende è in grado di gustare, o meglio chi gusta comprende; e chi non è ancora arrivato a gustare con l'intelligenza, custodisca mediante la fede ciò che ancora non riesce a comprendere. Per similitudine si riferiscono a Cristo molte cose che lui propriamente non è. Per similitudine Cristo è la pietra, la porta, la pietra angolare, il pastore, l'agnello, ed anche il leone, e molte altre cose che sarebbe lungo enumerare. Se poi esamini la proprietà delle cose che sei solito vedere, egli non è pietra, poiché non è duro né insensibile; non è porta, poiché non è stato fatto da un artigiano; non è pietra angolare, poiché non è stato squadrato dal muratore; non è pastore, poiché non è custode di quadrupedi; non è leone perché non è una belva; non è agnello perché non è un animale. Egli è tutte queste cose per similitudine. Che cosa è egli in senso proprio? In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Gv 1, 1). E allora, l'uomo che è apparso in terra? E il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 14).

7. Ascolta ancora. Per questo il Padre mi ama - dice - perché io do la mia vita, per riprenderla di nuovo (Gv 10, 17). Che vuol dire per questo il Padre mi ama? che io muoio per risorgere. Dice Io con grande solennità. Perché - dice - io do la mia vita. Che significa io do? Sono io che la do. Non si vantino i Giudei: essi possono infierire, ma sopra di me non hanno alcun potere. Infieriscano quanto vogliono: se io non volessi dare la mia vita, cosa potrebbero fare con tutta la loro crudeltà? E' bastata una risposta per atterrarli. Quando fu chiesto loro: Chi cercate?, essi risposero: Gesù; egli disse: Sono io! ed essi allora indietreggiarono e caddero a terra (Gv 18, 4-6). Coloro che alla sola voce di Cristo che stava per morire caddero a terra, che faranno alla voce di lui quando verrà per giudicare? Io, dice, io do la mia vita, per riprenderla di nuovo. Non si glorino i Giudei, come se avessero riportato vittoria su di lui; è lui che ha offerto la sua vita. Io mi sono coricato - dice un salmo a voi ben noto - io mi sono coricato e ho preso sonno; poi mi sono alzato, perché il Signore mi sorregge (Sal 3, 6). Questo salmo è stato letto adesso, lo abbiamo appena ascoltato: Io mi sono coricato e ho preso sonno, poi mi sono alzato, perché il Signore mi sorregge. Che significa io mi sono coricato? Significa che mi sono coricato perché ho voluto io. Che significa mi sono coricato? Che sono morto. Non si è forse coricato per dormire colui che quando volle si alzò dal sepolcro come da un letto? Però egli ama riferire la gloria al Padre, per educare noi a dare gloria al Creatore. Pensate che avendo aggiunto mi sono alzato perché il Signore mi sorregge, pensate, dico, che qui sia come venuta meno la sua potenza, tanto che poté morire, ma poi non poté risorgere? Così infatti potrebbero suonare queste parole a chi le consideri con poca attenzione. Io mi sono coricato, cioè mi sono coricato perché ho voluto io; e mi sono alzato, perché? perché il Signore mi sorregge. Vorrebbe dire allora che tu, da te stesso, non eri capace di alzarti? Se tu non ne fossi stato capace, non avresti detto: Ho il potere di dare la mia vita e il potere di riprenderla (Gv 10, 18). In altro passo del Vangelo si dice che non è soltanto il Padre a risuscitare il Figlio, ma è anche il Figlio a risuscitare se stesso: Distruggete questo tempio , - disse - e in tre giorni lo farò risorgere. E l'evangelista osserva: Egli parlava del tempio del suo corpo (Gv 2, 19 21). Doveva infatti risuscitare ciò che moriva; ora, il Verbo non è morto, e neppure la sua anima. Poteva morire l'anima del Signore, dal momento che nemmeno la tua muore?

8. Come faccio a sapere - domandi - che la mia anima non muore? Se tu non la uccidi, non muore. In che senso - domandi - io posso uccidere la mia anima? La bocca menzognera uccide l'anima (Sap 1, 11); per non parlare d'altri peccati. Come posso essere sicuro - tu insisti - che non muore? Ascolta il Signore che dà questa sicurezza al suo servo: Non dovete temere coloro che uccidono il corpo, e, oltre a ciò, non possono fare di più. E più precisamente che cosa ha detto? Temete, piuttosto, colui che può far perire anima e corpo nella geenna (Mt 10, 28; Lc 12, 4-5). Ecco la dimostrazione che l'anima muore, e non muore. Ma quand'è che muore l'anima, e quand'è che muore il corpo? Il corpo muore quando perde la sua vita; l'anima muore quando perde la sua vita. Ora, la vita del tuo corpo è la tua anima; la vita della tua anima è il tuo Dio. Nello stesso modo che il corpo muore quando perde l'anima che è la sua vita, così l'anima muore quando perde Dio che è la sua vita. Certamente l'anima è immortale, e talmente immortale che vive anche quando è morta. Si può dire dell'anima che ha abbandonato il suo Dio ciò che l'Apostolo dice della vedova che si abbandona ai piaceri: Anche se viva, è già morta (1 Tim 5, 6).

[Gli apollinaristi.]

9. In che modo, dunque, il Signore dà la sua anima? Fratelli, cerchiamo un po' più attentamente. Non siamo sotto l'urgenza del tempo come alla domenica. Il tempo c'è, e coloro che anche oggi sono convenuti per ascoltare la parola di Dio, ne approfittino. Io do - dice il Signore - la mia vita. Chi dà? e che cosa dà? Che è Cristo? Verbo e uomo. Non è uomo sì da essere solo corpo: in quanto uomo, è composto di corpo e di anima; in Cristo c'è l'uomo completo. Non ha assunto la parte meno nobile tralasciando quella migliore; e la parte migliore dell'uomo, rispetto al corpo, è l'anima. Poiché dunque in Cristo c'è l'uomo tutto intero, cosa è Cristo? Ho detto che è Verbo e uomo. Che significa Verbo e uomo? Significa Verbo, e anima e corpo. Tenetelo fermamente, perché anche a questo riguardo non sono mancati gli eretici, che a suo tempo furono allontanati dalla verità cattolica, i quali, tuttavia, come ladri e briganti che non entrano per la porta, non hanno cessato d'insidiare l'ovile. Gli apollinaristi sono considerati eretici perché hanno osato affermare che Cristo è soltanto Verbo e carne: essi sostengono che egli non ha assunto l'anima umana; però qualcuno di loro ha dovuto ammettere che in Cristo vi è anche l'anima. Vedete che assurdità, e che insipienza davvero insopportabile! Concedono a Cristo un'anima irrazionale, ma gli rifiutano l'anima razionale; gli concedono un'anima belluina, ma gli tolgono quella umana. Tolgono a Cristo la ragione perché essi ne sono privi. Lungi da noi tale demenza, da noi che siamo cresciuti e consolidati nella fede cattolica. Colgo l'occasione per ricordare alla vostra Carità che nelle precedenti letture vi abbiamo sufficientemente preparati contro i sabelliani e gli ariani. I sabelliani dicono che il Padre e il Figlio sono la medesima persona, mentre gli ariani affermano che il Padre e il Figlio non sono della medesima sostanza. Vi abbiamo anche istruiti, come certamente ricordate, contro i fotiniani, i quali dicevano che Cristo è solo uomo e non Dio; contro i manichei che affermano essere Cristo solo Dio e non uomo. Prendendo ora occasione dal tema dell'anima, vogliamo mettervi in guardia contro gli apollinaristi, secondo i quali nostro Signore Gesù Cristo non aveva un'anima umana, cioè un'anima razionale e intelligente, quell'anima, insomma, per cui ci distinguiamo dalle bestie e siamo uomini.

10. In che senso dunque qui il Signore disse: Ho il potere di dare la mia vita? Chi la dà in modo da poterla riprendere? E' Cristo che dà la sua anima e la riprende, per il fatto che è il Verbo? Oppure è la sua anima, in quanto è anima umana, che ha il potere di darsi e di riprendersi? Oppure è la sua carne come tale che dà l'anima e la riprende di nuovo? Ho prospettato tre ipotesi, discutiamole tutte e tre, e scegliamo quella che è più conforme alla verità. Se diciamo che il Verbo di Dio ha dato la sua anima e poi l'ha ripresa di nuovo, c'è da temere che subentri un pensiero inesatto, e ci si obietti: Allora per un certo tempo quell'anima è stata separata dal Verbo, e il Verbo, anche dopo assunta l'anima umana è rimasto privo dell'anima. E' chiaro che quando in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio, il Verbo non aveva un'anima umana; ma dacché il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (cf. Gv 1, 1 14), da quando il Verbo assunse la natura umana tutta intera, corpo e anima, che altro potevano fare la passione e la morte, se non separare il corpo dall'anima? Non potevano certo separare l'anima dal Verbo. Se infatti il Signore è morto, anzi per il fatto che il Signore è morto, morto per noi sulla croce, senza dubbio è stata la sua carne a esalare l'anima: per breve tempo l'anima si separò dalla carne, che, con il ritorno dell'anima, sarebbe risorta. Ma non dirò mai che l'anima si è separata dal Verbo. All'anima del buon ladrone ha detto: Oggi sarai con me in paradiso (Lc 23, 43). Egli che non abbandonò l'anima fedele del ladrone, poteva forse abbandonare la sua? No di certo. Egli ha custodito, come Signore, l'anima del ladrone, ed è rimasto inseparabilmente unito alla sua. Se diciamo poi che fu l'anima stessa a darsi e poi a riprendersi, diremmo la cosa più assurda; quell'anima, infatti, che non si era separata dal Verbo, tanto meno poteva separarsi da se medesima.

[Verbo, anima e corpo.]

11. Diciamo allora ciò che è vero, e facilmente comprensibile. Ecco un uomo qualsiasi, non risultante di Verbo e di anima e di corpo, ma soltanto di anima e di corpo: domandiamogli come può questo qualsiasi uomo dare la sua anima. Non si troverà forse nessuno che dà la sua anima? Tu mi dirai che nessun uomo ha il potere di dare la sua anima e poi riprenderla. Ma se l'uomo non potesse dare la sua anima, l'apostolo Giovanni non direbbe: Come Cristo ha offerto per noi la sua anima, così anche noi dobbiamo offrire le nostre anime per i fratelli (1 Io 3, 16). E' quindi possibile anche a noi (se veniamo riempiti della sua forza, dato che senza di lui non possiamo far nulla) offrire le nostre anime per i fratelli. Quando un santo martire offre la sua anima per i fratelli, chi la offre e quale anima offre? Se teniamo conto di questo, capiremo in che senso Cristo dice: Ho il potere di dare la mia anima. O uomo, sei pronto a morire per Cristo? Egli risponde che è pronto. Uso un'altra espressione: Sei pronto a dare la tua anima per Cristo? Egli mi darà la stessa risposta che mi ha dato quando gli ho chiesto se era pronto a morire: Sì, sono pronto. Dare la propria anima significa dunque morire. Ma per chi si dà l'anima? Tutti gli uomini infatti, quando muoiono, danno l'anima; però non tutti la danno per Cristo. E nessuno ha il potere di riprenderla; Cristo invece ha dato l'anima per noi e l'ha data quando ha voluto, e quando ha voluto l'ha ripresa. Dare l'anima significa dunque morire. In questo senso l'apostolo Pietro disse al Signore: Io darò la mia anima per te (Gv 13, 37); cioè morirò per te. E' questa una facoltà che possiede la carne: la carne dà la sua anima, e la carne di nuovo la riprende; tuttavia non per decisione sua ma di chi abita la carne. La carne infatti dà la sua anima spirando. Guarda il Signore sulla croce. Egli dice: Ho sete. I presenti allora intinsero una spugna nell'aceto, la legarono ad una canna e l'accostarono alla sua bocca. Dopo che egli ebbe preso l'aceto, disse: E' compiuto. Che significa E' compiuto? Che si sono compiute tutte le profezie che si riferivano a me, prima della morte. E, siccome egli aveva il potere di dare la sua anima quando voleva, dopo aver detto: E' compiuto, l'evangelista dice: E, chinato il capo, rese lo spirito (Gv 19, 28-30). Questo significa dare l'anima. E' un punto che merita tutta l'attenzione della vostra Carità. E, chinato il capo, rese lo spirito. Chi rese? E cosa rese? Rese lo spirito e fu la carne a renderlo. Che significa: la carne rese lo spirito? Che la carne lo emise, lo emise come un respiro. Si dice spirare per dire che si mette fuori lo spirito. Come si dice esiliare per dire che si mette uno fuori del proprio suolo, ed esorbitare per dire che uno esce fuori della sua orbita, così si dice spirare per dire che si mette fuori lo spirito; il quale spirito è poi l'anima. Quando dunque l'anima esce dalla carne, e la carne rimane senza anima, allora si dice che l'uomo ha dato l'anima. Quando Cristo diede l'anima? Quando il Verbo volle. La potestà infatti l'aveva il Verbo: in lui risiedeva il potere per decidere quando la carne dovesse dare l'anima, e quando dovesse riprenderla.

12. Ora, se la carne diede l'anima, in che senso la diede Cristo? Non è forse Cristo la carne? Certamente: la carne è Cristo, l'anima è Cristo, il Verbo è Cristo; e tuttavia queste tre cose non sono tre Cristi, ma un solo Cristo. Considera l'uomo, e, partendo da te, sali gradatamente a ciò che sta sopra di te, se non ancora per comprenderlo, almeno per crederlo. Allo stesso modo, infatti, che l'anima e il corpo sono un solo uomo, così il Verbo e l'uomo sono un solo Cristo. Badate a ciò che vi dico, e cercate di comprendere. L'anima e il corpo sono due realtà, ma un solo uomo; il Verbo e l'uomo sono due realtà, ma un solo Cristo. Prendiamo ad esempio un uomo. Dov'è ora l'apostolo Paolo? Se uno mi risponde che riposa in Cristo, dice la verità. Ma altrettanto dice la verità se uno risponde che è a Roma nel suo sepolcro. Il primo si riferisce all'anima, il secondo al corpo. Con ciò non si vuol dire che vi sono due apostoli Paolo: uno che riposa in Cristo, l'altro che giace nel sepolcro; e quantunque diciamo che l'apostolo Paolo vive in Cristo, diciamo che il medesimo apostolo giace nel sepolcro. Quando uno muore, diciamo: Era buono, era fedele; ora è in pace col Signore; e subito dopo diciamo: Andiamo al suo funerale, e seppelliamolo. Vai a seppellire colui che prima avevi detto essere con Dio nella pace. Poiché una cosa è l'anima che vive immortale, altra cosa è il corpo che giace nella corruzione; dal momento in cui l'unione del corpo e dell'anima ha preso nome di uomo, l'uno e l'altra, anche dopo la separazione, mantengono il nome di uomo.

[Chi dà la vita è la carne, chi decide è il Verbo.]

13. Nessuno dunque sia titubante, quando sente dire da parte del Signore: Io do la mia anima, per riprenderla di nuovo (Gv 10, 17). E' la carne che la dà, ma il potere appartiene al Verbo; ed è la carne che la riprende, ma sempre in virtù del Verbo. E' stata chiamata col nome di Cristo Signore anche solamente la carne. Che prova ne hai? mi si domanda. Sì, oso affermare che col nome di Cristo è stata designata anche solamente la carne di Cristo. Certamente noi crediamo non soltanto in Dio Padre, ma anche in Gesù Cristo, suo unico Figlio e nostro Signore. Ora ho detto tutto: Gesù Cristo, suo unico Figlio e nostro Signore. Qui c'è tutto: il Verbo, l'anima, la carne. Ma certamente tu confessi anche ciò che dice la medesima fede: Credo in quel Cristo che fu crocifisso e sepolto. Quindi non neghi che Cristo sia stato anche sepolto; e tuttavia soltanto la sua carne è stata sepolta. Se infatti fosse stata presente l'anima, non si potrebbe dire che morì; se però la sua morte è stata vera, così da essere altrettanto vera la sua risurrezione, egli restò nel sepolcro senza anima; e tuttavia fu sepolto Cristo. Poiché dunque non fu sepolta se non la sua carne, anche la carne senza l'anima era Cristo. Ne hai la conferma nelle parole dell'Apostolo, quando dice: Abbiate gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù: lui di natura divina, non tenne per sé gelosamente l'essere pari con Dio. Di chi parla l'Apostolo se non di Cristo Gesù in quanto Verbo, Dio presso Dio? Guarda però quello che segue: anzi annientò se stesso col prendere forma di servo, diventando simile agli uomini, ed è stato trovato come un uomo qualsiasi nell'aspetto esterno. Di chi parla ora se non del medesimo Cristo Gesù? Ma qui ormai c'è tutto: c'è il Verbo, nella forma di Dio che prese la forma di servo; c'è l'anima e il corpo, nella forma di servo che fu assunta dalla forma di Dio. Si umiliò facendosi obbediente fino alla morte (Fil 2, 6-8). E nella morte soltanto il corpo fu ucciso dai Giudei. Se infatti egli disse ai discepoli: Non dovete temere coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l'anima (Mt 10, 28), forse che in lui i Giudei poterono uccidere qualcosa di più del corpo? E tuttavia, essendo stato ucciso il corpo, fu ucciso Cristo. Così, quando il corpo rese l'anima, Cristo diede l'anima; e quando il corpo per risorgere riprese l'anima, Cristo stesso riprese l'anima. E tuttavia ciò non avvenne per il potere del corpo, ma per il potere di colui che prese l'anima e il corpo, in cui si potessero compiere tutte queste cose.

 

OMELIA 48

Io e il Padre siamo uno.

Se gli uomini sono diventati dèi a motivo della parola di Dio rivolta loro, come può non essere Dio il Verbo stesso di Dio che è presso Dio. Se gli uomini diventano dèi partecipando alla parola di Dio, non sarà Dio la Parola di cui partecipano?

1. Non dimenticate mai ciò che insistentemente ho fatto notare alla vostra Carità, e cioè che san Giovanni evangelista non vuole alimentarci sempre con latte, ma vuole sostenerci con cibo solido. Chi però non è ancora in grado di ricevere il cibo solido della parola di Dio, si nutra col latte della fede, accettando senza esitazione la parola che non riesce a comprendere. La fede è un merito, e l'intelligenza ne è la ricompensa. Nello sforzo che il nostro intelletto fa per penetrare la parola di Dio, si purifica, liberandosi dall'inevitabile foschia umana e si chiarisce alla sua luce. Quando si ama, non ci si sottrae allo sforzo. Sapete infatti che chi ama non sente fatica; mentre anche la minima fatica è pesante per chi non ama. Se tante fatiche impone la cupidigia agli avari, la carità non dovrà esigere da noi alcuna fatica?

2. Ascoltate con attenzione il Vangelo: Si celebrava a Gerusalemme la festa dell'Encenia (Gv 10, 22). L'Encenia era la festa della Dedicazione del tempio. in greco vuol dire nuovo. Il giorno in cui si inaugurava qualcosa di nuovo veniva chiamato Encenia; parola che poi è passata nell'uso comune: quando uno, ad esempio, indossa una tunica nuova si usa il verbo "enceniare". I Giudei celebravano solennemente il giorno della dedicazione del tempio; si celebrava appunto questa festa, quando il Signore pronunciò il discorso che è stato letto.

[Chi crede si avvicina, chi nega si allontana.]

3. Era d'inverno, e Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. I Giudei gli si fecero attorno e gli dissero: Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo diccelo chiaramente! (Gv 10, 23-24). Essi non cercavano la verità ma macchinavano un complotto. Si era d'inverno ed erano pieni di freddo, perché non facevano niente per avvicinarsi a quel fuoco divino. Avvicinarsi significa credere: chi crede si avvicina, chi nega si allontana. Non si muove l'anima con i piedi, ma con l'affetto del cuore. In loro si era spento del tutto il fuoco della carità, e ardeva soltanto il desiderio di far del male. Erano molto lontani, benché fossero lì; non si avvicinavano con la fede, ma gli stavano addosso perseguitandolo. Volevano sentir dire dal Signore: Io sono il Cristo, e forse di Cristo avevano un'opinione soltanto umana. I profeti avevano annunziato Cristo; ma se neppure gli eretici accettano la divinità di Cristo secondo la testimonianza dei profeti e dello stesso Vangelo, tanto meno i Giudei quindi, finché rimane il velo sopra il loro cuore (2 Cor 3, 15). Ora il Signore Gesù, in altra circostanza, sapendo che essi nutrivano nei riguardi del Cristo opinioni secondo l'uomo, non secondo Dio, opinioni che tenevano conto della sua natura umana, ma non della natura divina che permaneva in lui anche dopo l'incarnazione, disse loro: Che ve ne pare del Cristo? di chi è figlio? (Mt 22, 42). In base alla loro opinione, essi risposero: di David. Così infatti avevano appreso dalle profezie, e a questo si fermavano: avevano letto anche della sua divinità, ma non l'avevano compresa. E il Signore, volendo tenere sospeso il loro animo affinché cercassero la divinità di colui del quale disprezzavano l'infermità, rispose loro: Come, dunque, David, ispirato, lo chiama Signore, dicendo: IL Signore ha detto al mio Signore: siedi alla mia destra, finché abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? Se, dunque, David lo chiama Signore, come è suo figlio? (Mt 22, 43-45). Non negò di essere figlio di David ma pose loro una domanda. Che nessuno, di fronte a questa risposta, pensi che il Signore Gesù abbia voluto negare di essere figlio di David. Se Cristo Signore avesse negato di essere figlio di David, non avrebbe illuminato i ciechi che così lo invocavano. Passando, infatti, una volta, due ciechi che stavano seduti lungo la via, lo invocarono: Figlio di David, abbi pietà di noi! (Mt 20, 31). A quella invocazione, si commosse, si fermò, li guarì, diede loro la luce, mostrando così di gradire quel titolo. A sua volta, l'apostolo Paolo dice: E' nato dal seme di David secondo la carne (Rm 1, 3); e scrivendo a Timoteo: Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di David, è risuscitato dai morti secondo il mio Vangelo (2 Tim 2, 8). Il Signore era della stirpe di David, perché la vergine Maria discendeva dalla stirpe di David.

4. I Giudei contavano molto su una risposta affermativa. Se infatti egli avesse risposto: Io sono il Cristo, dato che essi consideravano il Cristo come proveniente unicamente dalla stirpe di David, lo avrebbero accusato di volersi arrogare un potere regale. La sua risposta fu ancor più compromettente: essi volevano accusarlo di arrogarsi il titolo di figlio di David, egli rispose di essere il Figlio di Dio. E ascoltate in quali termini: Rispose loro Gesù: Ve l'ho detto e voi non credete; le opere che io faccio nel nome del Padre mio, queste testimoniano di me; ma voi non credete perché non appartenete alle mie pecore (Gv 10, 25-26). Avete già appreso sopra chi siano le sue pecore. Cercate di essere tali anche voi! Le sue pecore sono quelle che credono, che seguono il loro pastore, che non disprezzano il loro redentore, che entrano per la porta e ne escono trovando il pascolo, e partecipano della vita eterna. Come mai allora disse a costoro: Voi non appartenete alle mie pecore? Perché sapeva che erano destinati alla rovina eterna, e non alla vita eterna come quelli che sono redenti col prezzo del suo sangue.

[In paradiso tutto è verdeggiante e rigoglioso.]

5. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco, e mi seguono. Io do loro la vita eterna (Gv 10, 27-28). Ecco il pascolo. Se ricordate, prima aveva detto: entrerà, e uscirà e troverà pascolo (Gv 10, 9). Siamo entrati quando abbiamo creduto, usciamo quando si muore. Ma allo stesso modo che siamo entrati per la porta della fede, così dobbiamo uscire dal corpo come fedeli; è così che si esce per la medesima porta, se si vuole trovare il pascolo. Viene presentata la vita eterna come un buon pascolo; l'erba non inaridisce dove tutto è sempre verdeggiante e pieno di vita: c'è un'erba di cui si dice che è sempre viva. In quel pascolo si trova soltanto la vita. Io - dice - darò la vita eterna alle mie pecore. Voi imbastite accuse, perché pensate soltanto alla vita presente.

[Credere per giungere alla sapienza.]

6. E non periranno in eterno; sottinteso: voi perirete eternamente, perché non siete delle mie pecore. Nessuno me le strapperà di mano (Gv 10, 28). Ascoltate ora con la massima attenzione: Ciò che mio Padre mi ha dato è più grande di tutto (Gv 12, 29). Che può fare il lupo? Che possono fare il ladro e il brigante? Non rovinano se non chi è predestinato alla morte. Di quelle pecore, invece, di cui l'Apostolo dice: Iddio conosce quelli che sono i suoi (2 Tim 2, 19), e ancora: Quelli che egli ha preconosciuto, li ha anche predestinati; quelli che ha predestinati, li ha anche chiamati; e quelli che ha chiamati, li ha anche giustificati; quelli infine che ha giustificati, li ha anche glorificati (Rm 8, 29-30): di queste pecore nessuna il lupo può rapire, né il ladro rubare, né il brigante uccidere. Colui che sa cosa ha pagato per esse, è sicuro del loro numero. E' questo il senso delle parole: Nessuno le rapirà dalla mia mano; e di quelle altre riferite al Padre: Ciò che mio Padre mi ha dato è più grande di tutto. Qual è la cosa più grande di tutte che il Padre ha dato al Figlio? Gli ha dato di essere il suo unigenito Figlio. Che significa dunque gli ha dato? Esisteva già colui al quale ha dato, oppure il Padre glielo ha dato generandolo? Poiché se esisteva prima che gli fosse dato di essere Figlio, vorrebbe dire che c'è stato un tempo in cui esisteva e non era Figlio. Non è possibile che ci sia stato un tempo in cui Cristo Signore sia esistito senza essere Figlio. Questo si può dire di noi: c'è stato un tempo in cui eravamo figli dell'uomo e non eravamo figli di Dio. E' per grazia infatti che noi siamo diventati figli di Dio, mentre Cristo è Figlio per natura, perché così è nato. Né puoi dire che egli non esisteva prima di nascere, perché non c'è stato tempo in cui egli non fosse nato, lui coeterno al Padre. Chi può capisca; chi non capisce creda, si nutra e capirà. Il Verbo di Dio è da sempre col Padre, e da sempre è Verbo; e appunto perché Verbo è Figlio. Da sempre dunque è Figlio e da sempre uguale al Padre. Non è uguale per essere cresciuto, ma per nascita, colui che è nato da sempre: Figlio dal Padre, Dio da Dio, coeterno dall'eterno. Il Padre è Dio, ma non da parte del Figlio; il Figlio è Dio, procedente dal Padre, perché il Padre, generandolo, ha dato al Figlio di essere Dio, generandolo gli ha dato di essere con lui coeterno, a lui uguale. Ecco ciò che è più grande di tutte le cose. In che senso il Figlio è la vita e ha la vita? Egli è ciò che ha. Tu, invece, non sei ciò che hai. Tu hai, ad esempio, la sapienza; sei forse la sapienza? E' tanto vero che tu non sei ciò che hai, che se perdi ciò che hai ritorni ad esserne privo; e così ora lo perdi, ora lo ricuperi. Così, il nostro occhio non ha in se stesso la luce in maniera continua: se si apre la riceve, se si chiude la perde. Non è certo in questo senso che il Figlio di Dio è Dio; non è in questo senso che egli è il Verbo del Padre: non così è il Verbo che non passa come un suono, ma che permane dalla nascita. Egli possiede la sapienza sì da essere egli stesso la sapienza e da rendere sapienti gli altri; egli possiede la vita sì da essere egli stesso la vita e da far vivere gli altri. Ecco ciò che è più grande di tutte le cose. Volendo parlare del Figlio, l'evangelista Giovanni osserva il cielo e la terra; li osserva e li oltrepassa. Al di sopra del cielo contempla le innumerevoli schiere angeliche, col suo pensiero oltrepassa l'universo creato, come l'aquila oltrepassa le nubi; essendo andato oltre ogni cosa creata, per quanto grande, pervenne a colui che è più grande di tutte le cose e proclamò: In principio era il Verbo (Gv 1, 1). Ma siccome colui del quale Cristo è Verbo, non procede dal Verbo, mentre il Verbo procede da colui al quale appartiene, Cristo dice: Ciò che mi ha dato il Padre - di essere cioè il suo Verbo, di essere il suo unigenito Figlio e lo splendore della sua luce - è più grande di tutto. Perciò nessuno rapirà le mie pecore dalla mia mano. Nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio.

7. Di mano a me e di mano al Padre mio. Che significa: nessuno le può rapire di mano a me, e: nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio? E' forse una sola la mano del Padre e quella del Figlio, oppure il Figlio stesso è la mano del Padre suo? Se per mano intendiamo la potestà, unica è la potestà del Padre e del Figlio, perché unica è la divinità; se invece per mano intendiamo ciò che dice il profeta: IL braccio del Signore a chi è stato rivelato? (Is 53, 1), la mano del Padre è il Figlio. Il che non significa che Dio abbia forma umana, e perfino membra corporee; ma che per mezzo di lui furon fatte tutte le cose. Anche gli uomini sono soliti chiamare mani proprie altri uomini, dei quali si servono per operare ciò che vogliono; e qualche volta vien chiamata mano di un uomo anche l'opera eseguita dalla sua mano: così si dice che uno riconosce la propria mano, quando riconosce un proprio scritto. Ora, se sono molti i significati che si danno alla mano dell'uomo, che pure in senso proprio fa parte delle membra del suo corpo, tanto più sarà lecito intendere non in un solo senso la mano di Dio che non possiede alcuna forma corporea. E perciò, in questo passo, per mano del Padre e del Figlio preferiamo intendere il potere del Padre e del Figlio, onde evitare che sentendo dire qui che il Figlio è la mano del Padre, qualche mente grossolana cominci a cercare un figlio al Figlio, ravvisando in esso la mano di Cristo. L'espressione quindi: Nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio, significa: Nessuno me le può rapire.

 

OMELIA 49

La risurrezione di Lazzaro.

E' cosa più grande creare gli uomini che risuscitarli. Tuttavia il Signore si è degnato creare e risuscitare: li ha creati tutti e ne ha risuscitati alcuni. Se avesse voluto, certamente avrebbe potuto risuscitare tutti i morti. E questo farà alla fine del mondo.

[Creare è più che risuscitare.]

1. Fra tutti i miracoli compiuti da nostro Signore Gesù Cristo, quello della risurrezione di Lazzaro è forse il più strepitoso. Ma se consideriamo chi è colui che lo ha compiuto, la nostra gioia dovrà essere ancora più grande della meraviglia. Risuscitò un uomo colui che fece l'uomo; egli infatti è l'Unigenito del Padre, per mezzo del quale, come sapete, furon fatte tutte le cose. Ora, se per mezzo di lui furon fatte le cose, fa meraviglia che per mezzo di lui sia risuscitato uno, quando ogni giorno tanti nascono per mezzo di lui? E' cosa più grande creare gli uomini che risuscitarli. Tuttavia egli si degnò creare e risuscitare: creare tutti e risuscitarne alcuni. Infatti, benché il Signore Gesù abbia compiuto molte cose, non tutte sono state scritte; lo stesso san Giovanni evangelista afferma che Cristo Signore disse e fece molte cose che non furono scritte (cf. Gv 20, 30); ma furono scelte quelle che si ritenevano sufficienti per la salvezza dei credenti. Tu hai udito che il Signore Gesù risuscitò un morto: ciò ti basti per convincerti che, se avesse voluto , avrebbe potuto risuscitare tutti i morti. Del resto si è riservato di far questo alla fine del mondo; poiché verrà l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri, udranno la sua voce e ne usciranno; così dice colui che, come avete sentito, con un grande miracolo risuscitò uno che era morto da quattro giorni. Egli risuscitò un morto in decomposizione; ma benché in tale stato, quel cadavere conservava ancora la forma delle membra. Nell'ultimo giorno, ad un cenno, ricostituirà il corpo dalle ceneri. Ma bisognava che intanto compisse alcune cose, che a noi servissero come segni della sua potenza per credere in lui, e prepararci a quella risurrezione che sarà per la vita, non per il giudizio. E' in questo senso che egli ha detto: Verrà l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri, udranno la sua voce e ne usciranno, quelli che hanno agito bene per la risurrezione della vita, quelli che hanno agito male per la risurrezione del giudizio (Gv 5, 28-29).

[I gesti del Signore sono segni.]

2. Apprendiamo dal Vangelo che tre sono i morti risuscitati dal Signore, e ciò non senza un significato. Sì, perché le opere del Signore non sono soltanto dei fatti, ma anche dei segni. E se sono dei segni, oltre ad essere mirabili, devono pur significare qualcosa; e trovare il significato di questi fatti è alquanto più impegnativo che leggerli o ascoltarli. Abbiamo ascoltato il Vangelo che racconta come Lazzaro riebbe la vita, pieni di ammirazione come se quello spettacolo meraviglioso si svolgesse davanti ai nostri occhi. Se però rivolgiamo la nostra attenzione ad opere di Cristo più meravigliose di questa ci rendiamo conto che ogni uomo che crede risorge; se poi riuscissimo a comprendere l'altro genere di morte molto più detestabile, (quello cioè spirituale), vedremmo come ognuno che pecca muore. Se non che tutti temono la morte del corpo, pochi quella dell'anima. Tutti si preoccupano per la morte del corpo, che prima o poi dovrà venire, e fanno di tutto per scongiurarla. L'uomo destinato a morire si dà tanto da fare per evitare la morte, mentre non altrettanto si sforza di evitare il peccato l'uomo che pure è chiamato a vivere in eterno. Eppure quanto fa per non morire, lo fa inutilmente: al più ottiene di ritardare la morte, non di evitarla. Se invece si impegna a non peccare, non si affaticherà, e vivrà in eterno. Oh, se riuscissimo a spingere gli uomini, e noi stessi insieme con loro, ad amare la vita che dura in eterno almeno nella misura che gli uomini amano la vita che fugge! Che cosa non fa uno di fronte al pericolo della morte? Quanti, sotto la minaccia che pendeva sul loro capo, hanno preferito perdere tutto pur di salvare la vita! Chi infatti non lo farebbe per non essere colpito? E magari, dopo aver perduto tutto, qualcuno ci ha rimesso anche la vita. Chi pur di continuare a vivere, non sarebbe pronto a perdere il necessario per vivere, preferendo una vita mendicante ad una morte anticipata? Se si dice a uno: se non vuoi morire devi navigare, esiterà forse a farlo? Se a uno si dice: se non vuoi morire devi lavorare, si lascerà forse prendere dalla pigrizia? Dio ci comanda cose meno pesanti per farci vivere in eterno, e noi siamo negligenti nell'obbedire. Dio non ti dice: getta via tutto ciò che possiedi per vivere poco tempo tirando avanti stentatamente; ti dice: dona i tuoi beni ai poveri se vuoi vivere eternamente nella sicurezza e nella pace. Coloro che amano la vita terrena, che essi non possiedono né quando vogliono né finché vogliono, sono un continuo rimprovero per noi; e noi non ci rimproveriamo a vicenda per essere tanto pigri, tanto tiepidi nel procurarci la vita eterna, che avremo se vorremo e che non perderemo quando l'avremo. Invece questa morte che temiamo, anche se non vogliamo, ci colpirà.

[Tre morti risuscitati.]

3. Se dunque il Signore, per sua grande grazia e misericordia, risuscita le anime affinché non si muoia in eterno, ben possiamo supporre che quei tre che egli risuscitò nei loro corpi significano e adombrano la risurrezione delle anime, che si ottiene mediante la fede. Risuscitò la figlia del capo della sinagoga, che si trovava ancora in casa (cf Mc 5, 41-42); risuscitò il giovane figlio della vedova, che era già stato portato fuori della città (cf. Lc 7 14-15); risuscitò Lazzaro, che era stato sepolto da quattro giorni. Esamini ciascuno la sua anima: se pecca muore, giacché il peccato è la morte dell'anima. A volte si pecca solo col pensiero: ti sei compiaciuto di ciò che è male, hai acconsentito, hai peccato; il consenso ti ha ucciso; però la morte è solo dentro di te, perché il cattivo pensiero non si è ancora tradotto in azione. Il Signore, per indicare che egli risuscita tal sorta di anime, risuscitò quella fanciulla che ancora non era stata portata fuori, ma giaceva morta in casa, a significare il peccato occulto. Se però non soltanto hai ceduto col pensiero al male, ma lo hai anche tradotto in opere, è come se il morto fosse uscito dalla porta; ormai sei fuori, e sei un morto portato alla sepoltura. Il Signore tuttavia risuscitò anche quel giovane e lo restituì a sua madre vedova. Se hai peccato, pentiti! e il Signore ti risusciterà e ti restituirà alla Chiesa, che è la tua madre. Il terzo morto è Lazzaro. Siamo di fronte al caso più grave, che è l'abitudine perversa. Una cosa infatti è peccare, un'altra è contrarre l'abitudine al peccato. Chi pecca, ma subito si emenda, subito riprende a vivere; perché non è ancora prigioniero dell'abitudine, non è ancora sepolto. Chi invece pecca abitualmente, è già sepolto, e ben si può dire che già mette fetore, nel senso che la cattiva fama che si è fatta comincia a diffondersi come un pestifero odore. Così sono coloro che ormai sono abituati a tutto e rotti ad ogni scelleratezza. Inutile dire a uno di costoro: non fare così! Come fa a sentirti chi è come sepolto sotto terra, corrotto, oppresso dal peso dell'abitudine? Né tuttavia la potenza di Cristo è incapace di risuscitare anche uno ridotto così. Abbiamo conosciuto, abbiamo visto, e ogni giorno vediamo uomini che, cambiate le loro pessime abitudini, vivono meglio di altri che li rimproveravano. Tu, ad esempio, avevi molto da ridire sulla condotta del tale: ebbene, guarda la sorella stessa di Lazzaro (ammesso che sia lei la peccatrice che unse i piedi del Signore, e glieli asciugò con i suoi capelli dopo averglieli lavati con le sue lacrime); la sua risurrezione è più prodigiosa di quella del fratello, perché è stata liberata dal grave peso dei suoi cattivi costumi inveterati. Era infatti una famosa peccatrice, e di lei il Signore disse: Le sono rimessi molti peccati, perché ha amato molto (Lc 7, 47). Abbiamo visto e conosciamo molti di questi peccatori: nessuno disperi, nessuno presuma di sé. E' male disperare, ed è male presumere di sé. Non disperare e scegli dove poter collocare la tua speranza.

4. Dunque il Signore risuscitò anche Lazzaro. Avete sentito in che condizioni si trovava, cioè avete capito cosa significa questa risurrezione di Lazzaro. Cominciamo a leggere, e siccome in questa lettura molte cose sono chiare, non ci soffermeremo a spiegare ogni dettaglio, onde poter dedicare l'attenzione a ciò che lo richiede. S'era ammalato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e della sorella di lei Marta (Gv 11, 1). Dalla lettura precedente ricorderete che il Signore sfuggì dalle mani di coloro che volevano lapidarlo, e si ritirò oltre il Giordano dove Giovanni battezzava (cf. Gv 10, 39-40). Ora, mentre il Signore stava in quel luogo, Lazzaro si era ammalato in Betania, un villaggio che era vicino a Gerusalemme.

[Se ama non abbandona.]

5. Maria era colei che unse di unguento profumato il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli. Era suo fratello Lazzaro ch'era ammalato. Dunque, le sorelle mandarono a dire a Gesù (Gv 11, 2-3). Sappiamo già dove mandarono il messaggio a Gesù, poiché sappiamo dove egli era: era assente e si trovava al di là del Giordano. Mandarono a dire al Signore che il loro fratello era ammalato, e per pregarlo di venire a liberarlo dalla malattia. Egli ritardò a guarirlo, per poterlo risuscitare. Che cosa dunque gli mandarono a dire le sorelle di Lazzaro? Signore, vedi, colui che tu ami è malato (Gv 11, 3). Non dissero: Vieni subito! A lui che amava era sufficiente la notizia. Non osarono dire: Vieni a guarirlo; oppure: Qui comanda e là sarà fatto. Perché non dissero così anch'esse, dal momento che la fede del centurione era stata tanto lodata per essersi espressa così? Quello infatti disse: Non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito (Mt 8, 8). Le sorelle di Lazzaro non gli mandarono a dire niente di tutto questo, ma soltanto: Signore, vedi, colui che tu ami è malato. E' sufficiente che tu lo sappia; poiché non puoi abbandonare quelli che ami. Qualcuno dirà: come può Lazzaro rappresentare il peccatore ed essere quindi amato dal Signore? Ascolti la sua parola: Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori (Mt 9, 13). Se infatti Dio non avesse amato i peccatori, non sarebbe disceso dal cielo in terra.

6. Udendo ciò, Gesù rispose: Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per essa sia glorificato il Figlio di Dio (Gv 11, 4). Questa glorificazione del Figlio di Dio, non aumentò la sua gloria, ma giovò a noi. Disse che non era per la morte, perché la morte stessa non era per la morte, ma l'occasione di un miracolo, grazie al quale gli uomini avrebbero creduto in Cristo, evitando così la vera morte. Osservate come il Signore in modo indiretto dice che è Dio per quanti negano che il Figlio è Dio. Ci sono infatti degli eretici i quali sostengono che il Figlio di Dio non è Dio. Ascoltino costoro le sue parole: Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio. Per quale gloria? e di quale Dio? Ascolta quanto segue: affinché sia glorificato il Figlio di Dio. Questa malattia - dice - non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa - cioè appunto per mezzo di questa malattia - sia glorificato il Figlio di Dio.

7. Gesù voleva bene a Marta e alla sorella di lei, Maria, e a Lazzaro (Gv 11, 5). Lazzaro era malato, esse erano tristi, tutti erano amati: chi li amava era il salvatore degli infermi, colui che risuscita i morti, il consolatore degli afflitti. Com'ebbe, dunque, sentito che egli era ammalato, si trattenne ancora due giorni nel luogo dov'era (Gv 11, 6). Ricevuta la notizia, rimane dov'era, lasciando passare quattro giorni. E non senza un motivo: forse, anzi certamente, il numero dei giorni racchiude un significato. Poi disse di nuovo ai suoi discepoli: Torniamo in Giudea (Gv 11, 7), dove per poco non era stato lapidato, e da dove sembrava essersi allontanato proprio per sfuggire alla lapidazione. Come uomo si era allontanato; ma ritornandovi, egli sembrava quasi dimenticare la debolezza umana, per mostrare la sua potenza. Torniamo - disse - in Giudea.

 

OMELIA 50

L'unzione di Betania.

Col caso di Giuda che lo tradì pur essendo uno dei dodici, il Signore c'insegna la tolleranza onde evitare di dividere il corpo di Cristo.

1. Alla lettura evangelica di ieri, intorno alla quale abbiamo detto quello che il Signore ci ha suggerito, segue quella di oggi, sulla quale diremo ciò che il Signore ci vorrà suggerire. Alcune cose nella Scrittura sono chiare e non hanno bisogno di spiegazione, ma di attenzione; in quelle non bisogna indugiare, perché ci rimanga tempo di soffermarci dove è necessario spiegare.

[Cristo nostra Pasqua.]

2. Era vicina la Pasqua dei Giudei (Gv 11, 55). I Giudei vollero insanguinare quel giorno festivo con il sangue del Signore. In quel giorno di festa fu immolato l'Agnello, che con il suo sangue consacrò anche per noi tale giorno. I Giudei avevano deliberato di uccidere Gesù; egli intanto, che era venuto dal cielo per patire, decise di avvicinarsi al luogo della sua passione, essendo l'ora ormai vicina. Molti salirono a Gerusalemme dai dintorni per santificarsi. I Giudei facevano questo in ossequio al precetto del Signore, che era stato dato loro per mezzo del santo Mosè nella legge: esso stabiliva che per la festa di Pasqua da ogni parte tutti si dessero convegno a Gerusalemme per santificarsi mediante la celebrazione di quel giorno. Ma tale celebrazione era ombra di colui che doveva venire. Che significa: era ombra di colui che doveva venire? Significa che era profezia del Cristo venturo, profezia di colui che avrebbe patito per noi in quel giorno: in quel giorno l'ombra avrebbe ceduto il passo alla luce, e la figura sarebbe stata sostituita dalla realtà. I Giudei, dunque, possedevano la Pasqua come ombra, noi come realtà. Perché infatti il Signore aveva prescritto ai Giudei di uccidere l'agnello in quel giorno, se non perché egli stesso era colui del quale era stato vaticinato: Come pecora è stato condotto al macello (Is 53, 7)? Le porte dei Giudei furono segnate col sangue di un animale sacrificato, e le nostre fronti vengono segnate col sangue di Cristo. Di quel rito, che era un simbolo, si dice che era destinato a tener lontano l'angelo sterminatore dalle case le cui porte erano state segnate col sangue (cf. Es 12, 22-23); così il segno di Cristo allontana da noi lo sterminatore, se però il nostro cuore accoglie il Salvatore. Perché dico questo? Perché molti hanno le porte segnate, ma dentro non c'è l'ospite divino. E' facile avere sulla fronte il segno di Cristo, senza accogliere nel cuore la parola di Cristo. Perciò vi ho detto, o fratelli, e vi ripeto che il segno di Cristo allontana da noi lo sterminatore, solo se il nostro cuore accoglie Cristo come ospite. Ho detto questo affinché sia chiaro a tutti il significato di queste feste dei Giudei. E' venuto dunque il Signore per essere immolato, affinché noi avessimo la vera Pasqua, celebrando la sua passione come immolazione dell'Agnello.

3. Cercavano Gesù, ma con cattive intenzioni. Beati coloro che cercano Gesù con retta intenzione. Essi cercavano Gesù in modo tale da restarne privi loro e noi: ma quando si allontanò da loro, noi lo abbiamo accolto. Ci son di quelli che cercano Cristo e vengono biasimati; ce ne sono altri che vengono elogiati. La lode o la riprovazione corrispondono all'intenzione con cui lo si cerca. Anche nei salmi sta scritto: Siano delusi e svergognati coloro che cercano la mia anima (Sal 39, 15): si tratta di quelli che cercano con cattive intenzioni. Ma in un altro salmo si legge: Non c'è scampo per me, nessuno si dà pensiero della mia vita (Sal 141, 5). Sono considerati colpevoli coloro che lo cercano e coloro che non lo cercano. Noi dobbiamo cercare Cristo per averlo: cerchiamolo per possederlo, non per ucciderlo. Sì, è vero, anche quelli lo cercavano per prenderlo, ma per disfarsene al più presto. Lo cercavano e dicevano tra loro: Che ve ne pare, non verrà alla festa?

[Dove si trova Cristo.]

4. Ora, i gran sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che se qualcuno sapeva dove si trovava, lo denunziasse per arrestarlo (Gv 11, 56). Noi vorremmo indicare adesso ai Giudei dove si trova il Cristo. Volesse il cielo che i discendenti di coloro che dettero l'ordine di denunziare dove si trovava Cristo, ascoltino e s'impadroniscano di lui. Vengano alla Chiesa, ascoltino dove è Cristo, e lo prendano. Lo ascoltino dalla nostra voce, lo apprendano dal Vangelo. E' stato ucciso dai loro antenati, è stato sepolto, è risuscitato, è stato riconosciuto dai discepoli, davanti ai loro occhi è asceso al cielo dove siede alla destra del Padre. Colui che è stato giudicato, verrà per giudicare: ascoltino e lo prendano. Ma diranno: Come posso prenderlo se è assente? Come posso arrivare in cielo con le mie mani per prenderlo, se siede lassù? Arriva fin lassù con la tua fede, e lo avrai. I tuoi padri lo presero fisicamente, tu puoi averlo spiritualmente, poiché Cristo è presente anche se è assente. Se non fosse presente, neppure noi potremmo averlo. Ma siccome è vera la sua parola: Ecco, io sono con voi fino alla consumazione dei secoli (Mt 28, 20), se ne è andato ed è qui; è ritornato in cielo e non ci ha lasciati: ha portato in cielo il suo corpo, ma con la sua maestà è rimasto nel mondo.

5. Sei giorni prima della festa di Pasqua Gesù venne a Betania, dov'era Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. Là gli fecero una cena; Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali (Gv 12, 1-2). Affinché nessuno prendesse il morto risuscitato per un fantasma, ecco che Lazzaro si era messo a tavola con gli altri: viveva, parlava, banchettava. La verità era davanti agli occhi di tutti e l'incredulità dei Giudei era confusa. Il Signore dunque era a tavola con Lazzaro e gli altri, mentre Marta, una delle sorelle, serviva.

[Il fatto e il mistero.]

6. Maria invece - l'altra sorella di Lazzaro - prese una libbra di un profumo di nardo autentico, di molto valore, e unse i piedi di Gesù, asciugandoli con i suoi capelli, e la casa si riempì del profumo dell'unguento (Gv 12, 3). Abbiamo ascoltato il fatto, cerchiamone ora il significato spirituale. Ogni anima che voglia essere fedele, si unisce a Maria per ungere con prezioso profumo i piedi del Signore. Quel profumo simboleggiava la giustizia; ecco perché pesava una libbra; ed era un profumo di nardo autentico, prezioso. La parola pistici dobbiamo ritenerla come un'indicazione del luogo da cui proveniva quell'unguento prezioso; né tuttavia questo c'impedisce di considerarla atta ad esprimere magnificamente qualcosa di misterioso. In greco infatti significa fede. Ti sforzavi di compiere le opere della giustizia; ebbene, sappi che il giusto vive della fede (Rm 1, 17). Ungi i piedi di Gesù: segui le orme del Signore conducendo una vita degna. Asciugagli i piedi con i capelli: se hai del superfluo dàllo ai poveri, e avrai asciugato i piedi del Signore con i capelli che, appunto, sono considerati come una parte superflua del corpo. Ecco come devi impiegare il superfluo: per te è superfluo, ma per i piedi del Signore è necessario. Accade che sulla terra i piedi del Signore siano bisognosi. A chi, se non alle sue membra, si riferisce la parola che egli pronuncerà alla fine del mondo: Ogni volta che l'avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me (Mt 25, 40)? Avete erogato ciò che per voi era superfluo, ma avete soccorso i miei piedi.

7. La casa si riempì di profumo; cioè il mondo si è riempito della buona fama. Il buon odore infatti è la buona fama Coloro che vivono male e si dicono cristiani, fanno ingiuria a Cristo; è di questi che l'Apostolo dice che per colpa loro il nome del Signore viene bestemmiato (Rm 2, 24). Se per colpa loro il nome del Signore è bestemmiato, per merito dei buoni cristiani il nome del Signore viene lodato. Ascoltalo ancora: Noi siamo - egli dice - il buon odore di Cristo in ogni luogo. Anche nel Cantico dei cantici si dice: Un profumo che si espande è il tuo nome (Ct 1, 2). Ma ritorniamo all'Apostolo: In ogni luogo - egli dice - noi siamo il buon odore di Cristo fra quelli che si salvano e fra quelli che si perdono: per gli uni odore di morte per la morte, e per gli altri odore di vita per la vita. E chi è all'altezza di questo compito? (2 Cor 2, 14-16). La presente lettura del santo Vangelo ci offre l'occasione di parlare di questo buon odore, dandovene una spiegazione sufficiente, che voi vorrete attentamente ascoltare. Ma, avendo detto l'Apostolo: E chi è all'altezza di questo compito?, solo per il fatto che noi ci sforziamo di parlarvene, ci potremo considerare all'altezza di farlo e voi all'altezza di capire queste cose? Noi, certamente non siamo all'altezza; ma lo è colui che si serve di noi per dirvi quanto a voi è utile. L'Apostolo, come egli stesso dice, è il buon odore; ma questo buon odore per alcuni è odore di vita per la vita, mentre per altri è odore di morte per la morte. Tuttavia è sempre un buon odore. Dice forse che per gli uni è buon odore per la vita, mentre per gli altri è cattivo odore per la morte? No, egli dice di essere il buon odore, non il cattivo odore, e questo medesimo buon odore è vita per alcuni, morte per altri. Fortunati coloro che nel buon odore trovano la vita; ma chi è più sventurato di chi nel buon odore trova la morte?

8. E come è possibile, si dirà, che uno muoia ucciso dal buon odore? E' quello che si chiede l'Apostolo dicendo: E chi è capace di tanto? E' davvero misteriosa l'azione di Dio per cui il buon odore è vita per i buoni e morte per i cattivi. (C'è forse qui un senso troppo profondo perché io possa penetrarlo); tuttavia, nella misura che il Signore si degna ispirarmi, non posso negarvi quanto sono riuscito a scoprire come ciò avvenga. Ovunque si diffondeva la fama di Paolo apostolo che operava bene, viveva bene, predicava con la parola e confermava con l'esempio la giustizia, dottore mirabile, amministratore fedele. E alcuni lo amavano, mentre altri lo detestavano. Egli stesso nella lettera ai Filippesi parla di certuni che non lealmente, ma per invidia, annunciavano Cristo con l'intenzione - dice - di aggiungere dolore alle mie catene. Ma come reagisce? Quello che importa è che, per pretesto o con sincerità, Cristo venga annunziato (Fil 1, 17-18). Lo annunziano quelli che mi amano, lo annunziano quelli che mi vogliono male: per gli uni il buon odore di Cristo è vita, per gli altri è morte. Ma tuttavia per la predicazione degli uni e degli altri il nome di Cristo viene annunziato, e il mondo si riempie di questo ottimo odore. Se tu hai amato chi agiva bene, nel buon odore hai trovato la vita; se invece ti sei messo contro chi agiva bene, col buon odore ti sei procurato la morte. Forse che tu, procurandoti la morte, hai fatto diventar cattivo il buon odore? No di certo. Non essere malevolo, e il buon odore non ti farà morire.

9. Ascolta infine come anche in questo caso il buon odore sia stato per alcuni fonte di vita, per altri cagione di morte. Dopo che Maria con tanta devozione ebbe compiuto quell'atto di omaggio al Signore, subito uno dei discepoli, Giuda l'Iscariota, quello che stava per tradirlo, disse: Perché non s'è venduto questo unguento per trecento denari e non s'è dato ai poveri? (Gv 12, 4-5). Guai a te, miserabile! Il buon odore ti ha ucciso. Il santo evangelista ci rivela per qual motivo egli parlò così. Se il Vangelo non ci avesse manifestato la vera intenzione di Giuda, anche noi avremmo creduto che egli fosse mosso da amore per i poveri. Invece non era così. E allora per quale motivo aveva parlato? Ascolta il testimone verace: Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era ladro e, tenendo la borsa, portava ciò che vi si metteva dentro (Gv 12, 6). Portava, o asportava? Per ufficio portava, ma rubando asportava.