Il sacerdozio nella Lettera agli Ebrei

 

 

Nel Nuovo Testamento, il contributo specifico della Lettera agli Ebrei consiste nel dimostrare che Cristo è veramente sacerdote, anzi l'unico sacerdote perfetto. Nessun altro scritto del N.T. applica a Cristo i titoli di sacerdote e sommo sacerdote. La Lettera agli Ebrei glieli applica ripetutamente (Eb 2,17; 3,1; 4,14.15; 5,1.6 ecc.) e descrive la sua passione e glorificazione come una liturgia sacerdotale (9,11-12.24; 10,12.14): grazie all'offerta sacrificale del suo corpo e del suo sangue, Cristo è penetrato nel santuario celeste per intercedere a favore nostro ed è stato "proclamato da Dio sommo sacerdote" (5,10). Così viene dimostrato che nel mistero di Cristo è stata portata a compimento l'istituzione sacerdotale, la quale occupa un posto tanto importante nell'Antico Testamento. Se fosse mancato questo aspetto, non si potrebbe dire che in Cristo le Scritture si sono pienamente adempiute.

Perché si possa parlare di compimento delle Scritture, è necessario che esistano, tra il Nuovo Testamento e l'Antico, tre generi diversi di rapporti. L'autore della Lettera ne è pienamente consapevole ed esprime metodicamente questi tre generi di rapporti, cioè, anzitutto un rapporto di continuità e di somiglianza negli aspetti fondamentali del sacerdozio, poi un rapporto di rottura e di differenza negli aspetti che lasciavano a desiderare, infine un rapporto di superamento nel senso di una perfezione definitiva.

Il rapporto di continuità tra il sacerdozio di Cristo e quello dell'Antico Testamento è assicurato dal fatto che il sacerdozio di Cristo corrisponde a un oracolo dell'Antico Testamento. Nel salmo 110, a Cristo glorificato e invitato a sedere alla destra di Dio nel cielo, viene rivolta questa

solenne affermazione divina: "Tu sei sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedek" (Sal 110,4; Eb 5,6). Questo oracolo costituisce la base di tutta la dottrina del sacerdozio di Cristo. L'autore se ne serve per affermare una somiglianza fondamentale tra Cristo e il sacerdote del tempo dell'Esodo, Aronne: come Aronne non si era arrogato il titolo di sacerdote, ma era stato nominato da Dio, così anche Cristo è stato nominato, anzi proclamato, sacerdote da Dio stesso (Eb 5,5-6.10).

La nomina divina non ha fatto che rivelare una situazione effettiva. Cristo possiede le qualità e le capacità necessarie all'esercizio della mediazione sacerdotale. Infatti, il compito essenziale del sacerdote è quello della mediazione tra il popolo e Dio. Era già così nell'Antico Testamento, benché allora l'attenzione non si fissasse su questo compito, ma fosse come affascinata dalla relazione privilegiata del sacerdote con Dio. Alla luce del mistero di Cristo, l'autore della Lettera ha capito che il sacerdote, già nell'Antico Testamento, doveva assicurare al popolo buone relazioni con Dio e quindi, invece di dire "sacerdote per Dio" (cfr. Es 28,1; 29,1), egli definisce "ogni sommo sacerdote" come "preso di tra gli uomini" e "costituito a favore degli uomini per le relazioni con Dio" (Eb 5,1).

Per assolvere il compito della mediazione, due qualità sono necessarie, perché la mediazione ha due lati, da una parte, il rapporto con gli uomini, dall'altra la relazione con Dio. Il sommo sacerdote deve quindi essere "misericordioso e degno di fede" (Eb 2,17), "misericordioso" verso i suoi fratelli e sorelle della famiglia umana, "degno di fede per le relazioni con Dio". Così i due lati della mediazione sono assicurati.

Per "degno di fede" l'autore mostra la somiglianza di Gesù con Mosè, che era stato dichiarato da Dio "degno di fede in tutta la sua casa" (Nm 12,7; Eb 3,2). Secondo l'oracolo messianico di Natan (1 Ch 17,11-14), Cristo è "degno di fede" come Mosè, anzi più di Mosè, perché questi era solo un "servitore", mentre Cristo è il "Figlio" e il costruttore della nuova casa di Dio (Eb 3,3-6; cfr. Gv 2,19-22). L'autore quindi ci invita a "mantenere ferma la professione della fede", "poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, Gesù, il Figlio di Dio" (4,14).

Questo "sommo sacerdote grande" è allo stesso tempo misericordioso, compassionevole, capace di compatire le nostre debolezze (4,15). Nella sua agonia e sulla croce, Cristo ha preso su di sé i patimenti più tremendi e ne ha fatto un'occasione di offerta perfetta (5,7-9). Pienamente "degno di fede" e profondamente "misericordioso", Cristo è il mediatore perfetto, il sacerdote ideale.

Dopo aver dimostrato il rapporto di continuità tra il sacerdozio di Cristo e quello dell'Antico Testamento, l'autore passa ai rapporti di differenza e di superamento (Eb 7,1--10,18). Cristo non è sacerdote alla maniera di Aronne; il suo sacerdozio è di un ordine diverso e superiore, prefigurato nella Bibbia dal sacerdozio di Melchisedek (7,1-28). Infatti, essendo il Figlio di Dio, Cristo ha con Dio una relazione incomparabilmente superiore a quella dei sacerdoti antichi. D'altra parte, Cristo avendo vinto la morte possiede un sacerdozio intramontabile, il che non era il caso degli altri sacerdoti.

Quanto poi al sacrificio di Cristo, esso differisce radicalmente dai sacrifici offerti nel Tempio di Gerusalemme, i quali mancavano di efficacia, perché consistevano in immolazioni di bestie. Quale mediazione può essere effettuata per mezzo di cadaveri di bestie? La bestia immolata è completamente incapace di entrare in comunione con Dio, nonché di purificare la coscienza dei fedeli. Cristo, invece, "offrì se stesso" (9,14) con una docilità perfetta alla volontà salvifica di Dio e con una solidarietà completa con gli uomini peccatori, l'una e l'altra sino alla morte. La sua offerta personale ed esistenziale, quanto mai generosa, l'ha unito quindi tanto a Dio quanto a noi, a Dio nella docilità filiale, a noi nella solidarietà fraterna, e ha stabilito così la "nuova alleanza" promessa da Dio in una profezia di Geremia (Ger 31,31-34; Eb 8,6-13; 9,15), alleanza ben superiore all'antica.

Infatti, il sacerdozio antico cercava di accostarsi a Dio per mezzo di un sistema di separazioni rituali (tra popolo e sacerdoti, tra semplici sacerdoti e sommo sacerdote, tra sommo sacerdote e vittima sacrificale). Questo sistema di gradini successivi avrebbe dovuto funzionare come una specie di piramide tra la terra e il cielo, ma in realtà non riusciva nella sua impresa, perché la vittima sacrificata non era assolutamente in grado di ottenere la comunione con Dio né quindi di trasmettere questa comunione al sacerdote perché ne facesse approfittare il popolo.

Il sacerdozio di Cristo, invece, ha soppresso tutte le barriere e sostituito il sistema delle separazioni rituali con un dinamismo di solidarietà e di comunione. La separazione tra il sacerdote e la vittima non esiste più, poiché Cristo, offrendo se stesso, è stato nel contempo vittima e sacerdote; la separazione tra il sacerdote e il popolo è stata similmente abolita, perché il sacrificio di Cristo è stato un atto di estrema solidarietà con noi. Ne risulta un'ultima novità: a differenza del sacerdozio antico, quello di Cristo è aperto alla partecipazione. Tutti i credenti godono ormai dei privilegi del sommo sacerdote antico: tutti hanno "piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù" (10,19), tutti sono invitati a "offrire continuamente a Dio per mezzo di Cristo un sacrificio di lode" (13,15) e, d'altra parte, sono esortati a "fare del bene e a praticare la solidarietà, "altro aspetto dei sacrifici cristiani (13,16).

Sacerdozio della nuova alleanza, il sacerdozio di Cristo è sorgente inesauribile di un potente dinamismo di offerta, che vuole trasformare tutta la nostra esistenza in mezzo di unione sempre più profonda con Dio e con i fratelli e sorelle, nella fede, la speranza e l'amore (cfr. Eb 10,19-25).

 

 

Albert Vanhoye S.J.