IL CANONE BIBLICO CATTOLICO

Prosper Grech, OSA

La bibbia letta dai cattolici e dagli ortodossi comprende 43 libri dell’Antico Testamento e 27 del Nuovo. Ci possiamo domandare perché sono 43 o non piuttosto 40 ovvero 50. I libri riconosciuti come "Sacra Scrittura" sono chiamati canonici, da kanon, misura, norma, in quanto essi sono normativi per la fede in quanto ispirati dallo Spirito Santo e contengono la parola di Dio.

Un esempio tratto dall’analogia con la letteratura profana allargherebbe questo concetto. Nel corpus letterario della lingua italiana esistono dei "classici". Dante, Manzoni e Leopardi non sono stati elevati alla dignità di classici per un decreto regio o parlamentare, ma perché sono stati riconosciuti tali dal ceto letterato italiano che vive dell’eredità del linguaggio creato, o allargato, da questi medesimi scrittori. In essi l’italiano riconosce la propria identità, un’identità linguistica che ha come fonte questi autori creativi. Anche le religioni hanno i loro "classici" nei quali i fedeli riconoscono le proprie convinzione religiose, una fede che a sua volta aveva prodotto questi scritti fondamentali e che sono una fonte continua di esperienza religiosa.

Sia gli ebrei sia i cristiani hanno una collezione di libri composti da uomini attraverso i quali Dio si è rivelato al suo popolo.

Già nel 130 a.C., nel prologo del Siracide greco, si riconoscono tre gruppi di scritti della religione ebraica: la Torah, i profeti e gli scritti (I samaritani e forse i sadducei riconoscevano solo la Torah). Questi libri erano letti pubblicamente sia nel tempio di Gerusalemme, dove erano conservati ufficialmente, sia nelle sinagoghe come parola di Dio. Benché riconosciuto come ispirato questo corpus, al tempo di Gesù, non era affatto chiuso, perché il giudaismo continuava la sua strada. Potevano entrare a farne parte altri libri prodotti o da profeti o da sapienti. Difatti, in ambienti ellenistici, particolarmente in Alessandria, certi altri libri composti in lingua greca erano candidati ad entrare nel "canone" e già venivano copiati nei manoscritti della traduzione greca della bibbia chiamata "Dei Settanta". I cristiani che adottavano questa bibbia agli inizi della loro predicazione leggevano anche questi libri come Scrittura. Dopo la caduta di Gerusalemme, nell’anno 70 d.C., il giudaismo perdette la sua pluralità di vedute e di costumi e si doveva conformare al regime dei farisei che avevano stabilito un’accademia a Jamnia, dove avevano trasferito il sinedrio e tenevano un occhio sulle sinagoghe di tutto il mondo.

Dato che i cristiani facevano uso della LXX, e quindi anche dei libri "candidati", e c’erano altri scritti con la pretensione di essere Scrittura, particolarmente i Vangeli e altre composizioni cristiane, gli ebrei palestinesi, nei primi decenni del secondo secolo d.C., chiusero il canone in quegli scritti ebraici finora letti nel culto. Già previamente, a Jamnia, era stato discusso se Proverbi, il Cantico, il Qohelet e Ester "rendessero impure le mani", cioè, se erano "sacri". Il canone degli ebrei, dunque, è tutto in ebraico e non include i libri "deuterocanonici" (p.e. Sapienza, 1 e 2 Maccabei, Giuditta, Il Siracide, Tobia e Baruch).

Questa chiusura del canone causò un turbamento tra i cristiani, che erano soliti leggere anche i deuterocanonici. Alcuni Padri ragionavano che poiché i cristiani ricevettero i libri della Scrittura dalla Sinagoga, non era giusto riconoscere quei libri che essa stessa aveva rigettato, e dai quali non si poteva fare della controversia antigiudaica in quanto non aventi autorità. Tra tali padri erano Atanasio, Cirillo di Gerusalemme e Gregorio di Nazianzo in oriente, Ilario, Rufino e Girolamo in occidente. La chiesa africana, rappresentata di Agostino, decise in un sinodo a Ippona nel 393 e in un altro a Cartagine nel 397, contro i manichei che rifiutavano l’intero AT, che anche i deuterocanonici, o gli amphiballomenoi, come li chiamava Eusebio, formavano parte della bibbia cristiana. Nonostante il rifiuto dei padri suddetti, la Chiesa romana e anche quella greca continuavano a leggere i deuterocanonici nella liturgia dando loro uno stato ufficiale.

Il problema viene risuscitato durante la riforma. I cattolici argomentavano contro Lutero riguardo alla dottrina delle indulgenze e le preghiere per i morti da 2 Macc 12,46, cui egli risponde prontamente che quel passo non era autentico perché non appartenente alla Scrittura. Il concilio di Trento, dunque, definì il canone lungo appoggiandosi sull’uso liturgico sia della chiesa greca sia di quella romana. Perciò i libri deuterocanonici dell’AT non si trovano nelle bibbie protestanti, ovvero vengono messi in un’appendice come "apocrifi".

In quanto al canone del Nuovo testamento, gli scritti degli apostoli venivano copiati e circolati nelle chiese fin dall’inizio. Nel secondo secolo non troviamo delle "liste" di libri canonici fino al cosiddetto "canone muratoriano" dell’anno 200c. Il problema salta all’attenzione esplicita dei cristiani quando Marcione, nella metà del secolo, accetta solo un vangelo, quello di Luca, maneggiato da lui, e dieci epistole di Paolo come autentici. La coscienza dei cristiani, finora implicita, insorge contro una tale restrizione del canone. Inoltre, in quel secolo già circolavano tra i credenti molti vangeli, atti., lettere e apocalissi, composti in imitazione di quelli tradizionali particolarmente dagli gnostici. La Chiesa si sentì dunque nell’obbligo di distinguere libri autorevoli da quelli apocrifi. Si appellava all’autorità del Signore, kyriakon e a quella degli apostoli, apostolikon. L’autorià degli apostoli era essenziale per ricevere uno scritto come sacro. Inoltre, un criterio molto importante era la lettura liturgica pubblica, e lettura non soltanto in una chiesa ma o nelle chiese più importanti ovvero nella maggioranza delle chiese. L’ultimo e quarto criterio era che uno scritto non contenesse niente che contraddiceva la regula fidei, ovvero quell’istruzione orale comunicata nel battesimo. A poco a poco si viene a delineare il nostro canone neotestamentario. I quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli e le lettere di Paolo vengono immediatamente accettati. Perdura un dubbio circa Ebrei, Giacomo, 2Pietro, 2 e 3 Giovanni, Giuda e Apocalisse, che, però, nel decorso dei secoli, vengono accettati come canonici. in qualche chiesa si leggeva anche 1 Clemente o il Pastore di Erma, ma mancando l’universalità di questa lettura cadono man mano.

La lista del canone completo e i criteri per la scelta si possono trovare nel libro De doctrina christiana di Agostino (2,8,12). Il Concilio di Trento sancì anche il canone neotestamentario, che non differisce da quello dei protestanti e degli orientali.

Bibliografia: Aa.vv: Le canon des écritures, Cerf, Paris 1990.

A.M.Artola e J.M.Sanchez Caro, Bibbia e parola di Dio, Paideia, Brescia 1994.

J.Barton, The Spirit and the Letter, Studies in the Biblical Conon, SPCK, London 1997.

R.Beckwith, The Old Testament Canon of the New Testament Church, SPCK, Lond., 1985.

    1. Fabris e altri, Introduzione generale alla Bibbia, LDC,Torino1994.

V.Mannucci, Bibbia come parola di Dio, Queriniana, Brescia 1981

B.M. Metzger, The Canon of the New Testament, OUP, Oxford 1987.

M. Saebo (a cura di) Hebrew Bible OT: The History of its Interpretation, Vanderheok und Ruprecht, Goettingen 1996.