Scuole di pensiero nella Teologia Morale contemporanea

Michael F. Hull

Il Concilio Vaticano II non ha affrontato questioni di teologia morale fondamentale per se. Sebbene la Gaudium et spes sia colma di insegnamenti sulla condizione dell'uomo, sulla dignità, sulla famiglia e sulla vita politica, insegnamenti che non possono essere compresi indipendentemente dalla verità morale, un solo paragrafo dell'Optatam totius si riferisce in maniera specifica alla Teologia Morale (n. 16) (1). Forse è meglio cominciare analizzando due periodi nel pensiero morale postconciliare. Il primo è il periodo compreso fra la chiusura del Concilio, avvenuta nel 1965, e la promulgazione della Veritatis splendor da parte di Giovanni Paolo II nel 1993. Il secondo periodo, che ancora stiamo vivendo, è cominciato con la Veritatis splendor e continua nel terzo millennio. Nel primo periodo, teologi morali ortodossi si sono concentrati principalmente sulla difesa del pensiero morale cattolico tradizionale a proposito del rifiuto dell'attacco furibondo del consequenzialismo (o proporzionalismo) fra i moralisti. Ciò si è intensificato con il dissenso sorto dopo la riaffermazione da parte di Paolo VI dell'insegnamento della Chiesa sul controllo artificiale delle nascite nella Humanae vitae (1968). Nel secondo periodo, quando la Veritatis splendor aveva definitivamente ripudiato i revisionisti, i tradizionalisti hanno rivolto la propria attenzione a studi e spiegazioni costitutive del legge naturale.

Dal Vaticano II alla Veritatis splendor

La chiusura del Concilio coincise con la pubblicazione della Situation Ethics: The New Morality di Joseph Fletcher. (2) La teoria etica di Fletcher era semplice, se non addirittura semplicistica: l'unico assoluto (cristiano) è l'amore e bisogna agire per "il maggior benessere del prossimo e per il maggior numero possibile di persone" (3). Sul lungo periodo, la teoria di Fletcher appare poco più che un battesimo non valido di utilitarismo di fronte a Jeremy Bentham o John Stuart Mill. L'etica situazionale, o rigido consequenzialismo, di Fletcher non ha avuto molto successo fra i teologi moralisti cattolici, ma ha promosso l'idea di alcuni di loro della necessità di rivedere il pensiero tradizionale sul legge naturale e sugli assoluti morali. Peter Knauer, Bruno Schüller, Joseph Fuchs, Louis Jannsens e Richard McCormick (fra gli altri) hanno optato per una forma mista di consequenzialismo, (4) basata su un'errata comprensione del principio del doppio effetto e nella quale non riescono a distinguere un'azione moralmente accettabile con due effetti da un'azione presumibilmente moralmente neutra che viene resa buona o cattiva dai suoi effetti. In sostanza, le loro teorie giungono alla stessa conclusione di Fletcher, e per la precisione, all'idea che l'unica norma universale da seguire è il preferire il maggior bene per il maggior numero possibile di persone. (5) E in maniera identica a Fletcher siamo vincolati a principi per determinare l'azione più benefica o il bene più grande. Sebbene tali pensatori preferiscano essere chiamati "proporzionalisti", essi condividono con i consequenzialisti un identico problema: la sostituzione di un fondamento metafisico o deontologico nella teoria morale, conosciuto o mediante la ragione o mediante la Rivelazione, con una teleologia nella quale i fini giustificano i mezzi, nella misura in cui i fini sono i primi a essere considerati nell'azione morale(6). Nei circoli cattolici, questi proporzionalisti vengono spesso definiti "revisionisti" per i loro sforzi volti alla revisione della teologia morale tradizionale in senso proporzionalista. Essi sostengono che, sebbene possano esistere alcuni assoluti pratici, non esistono assoluti assoluti all'infuori dell'assoluto secondo il quale la proporzione fra fini buoni e cattivi è l'unico assoluto morale. Prima della Veritatis splendor c'è stato un momento di stallo nella riflessione morale cattolica mentre i "tradizionalisti" cercavano di difendere, sebbene non per gli stessi motivi, una teoria del legge naturale contro i revisionisti. Alcuni hanno riaffermato l'interpretazione morale aristotelico-tomista del legge naturale. Altri hanno optato per un'interpretazione rinnovata della legge naturale (come vedremo in seguito).

Non sorprende, dunque, il fatto che una situazione simile esistesse contemporaneamente anche fra gli studiosi di etica secolari. Lì l'impasse esisteva fra quegli studiosi dell'etica che sostenevano il primato delle conseguenze buone quali mezzi principali di orientamento etico e quelli che sostenevano doveri intuiti come mezzi principali. Nel 1971, A Theory of Justice, di John Rawls fu l'opera tanto lodata che sembrò poter risolvere quella situazione di stallo, ma si trattò di un fuoco di paglia. (7) Infatti, presto apparve evidente che teleologia (utilitarismo) e deontologia (metafisica) formavano una strana coppia e che non si sarebbero mai incontrate. Fu solo nel 1981, con After Virtue: A Study in Moral Theory, di Alasdair MacIntyre, che il problema fu affrontato alla radice. (8)

Dopo aver descritto il caos che si verrebbe a creare in un mondo immaginario, nel quale l'umanità avesse perso la sua comprensione fondamentale della scienza naturale, MacIntyre prosegue affermando: "l'ipotesi che desidero avanzare è che nel mondo reale in cui viviamo il linguaggio della morale versa nelle stesse condizioni di grave disordine in cui si trova il linguaggio della scienza naturale nel mondo immaginario che ho descritto … abbiamo perso, in gran parte, se non addirittura del tutto, la nostra capacità di comprensione, sia teorica sia pratica, o la morale" (9)

Poi, MacIntyre comincia a ricuperare la morale come virtù. Come osserva Russel Hittinger: "MacIntyre ha proposto di vedere il problema alla luce di due alternative: o la via di Nietsche o la via di Aristotele". (10)

After Virtue di MacIntyre, dunque, dà luogo a una riscoperta dell'etica della virtù. (11) Pare che i "ricuperatori", come Hittinger li definisce, (12) stiano per ripristinare la comprensione nel pensiero etico lungo le linee del legge naturale e della retta ragione. Quindi, nell'etica secolare e nella Teologia Morale vengono tracciate rotte analoghe poiché la ragione si rivolge alla realtà della natura per trarre dei consigli. Tuttavia, la Teologia Morale è in vantaggio perché la sua comprensione della realtà è supportata dalla Rivelazione Divina e dal Magistero, in particolare dalla Veritatis splendor.

Dopo la Veritatis splendor

La Veritatis splendor ha costituito uno spartiacque nella teologia morale cattolica. E' solo in termini di Veritatis splendor che possiamo cominciare a parlare di "scuole di teologia morale" in accordo con il Magistero dal Vaticano II, perché l'Enciclica ha affermato chiaramente che le teorie consequenzialiste, proporzionaliste e teleologiche confondo l'autentico telos, o fine ultimo dell'uomo, che è l'unione con Dio in cui l'uomo trova la felicità (nn. 71-83). Inoltre, il mezzo per raggiungere questo fine è l'obbedienza al legge naturale di Dio, appresa mediante la ragione e compresa meglio grazie alla Rivelazione Divina (nn. 28-53). San Paolo parla della legge come scritta "nei loro cuori" (Rm 2, 12-16) ed è alla rivelazione di Dio nella Sua creazione che dobbiamo volgerci per rispondere alla domanda posta da nostro Signore: "Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?" (Mt 19,16; cfr Mc 10, 17-31 e Lc 18, 18-30) (13).

In realtà, i tradizionalisti erano stati sul punto di elaborare la loro opera prima della Veritatis splendor. Tuttavia, la loro attenzione era spesso distratta dal rifiuto dei revisionisti di asserire la veridicità della legge naturale, degli assoluti morali e dell'importanza di una sana metafisica nell'indagine morale. Questi teologi moralisti presero a cuore quella verità che in seguito sarebbe stata espressa con tanta eloquenza da Giovanni Paolo II in Fides et ratio: "La teologia morale deve ricorrere ad una visione filosofica corretta sia della natura umana e della società sia dei principi generali di una decisione etica" (n. 68). E' a una visione filosofica della natura umana che dobbiamo rivolgerci per considerare queste due scuole di pensiero nell'ambito del dibattito morale cattolico contemporaneo.

Nell'interesse di tale dibattito, possiamo distinguere i tradizionalisti suddividendoli in "classicisti", ossia coloro che sostengono la "vecchia" teoria della legge naturale e che basano la loro comprensione di quest'ultima sulla sintesi aristotelico-tomista, e "neoclassicisti", che sostengono una "nuova" teoria della legge naturale, attribuiscono un grande valore alla sintesi aristotelico-tomista e spesso utilizzano una terminologia da essa derivata, ma differiscono in maniera significativa da tale sintesi su alcuni punti di metafisica e di epistemologia circa la legge naturale. Tutti riconoscono che questi due gruppi hanno molto in comune in quanto entrambi rispettano l'idea che la morale si fondi sulla legge naturale, l'idea della Rivelazione Divina nella Scrittura e nella Tradizione e l'autorità del Magistero. A detta di tutti, "giocano in casa" perché cercano di realizzare la propria vocazione di teologi (14). Anche a rischio di generalizzare troppo, è necessario identificare i membri di ognuno dei due gruppi. Il primo gruppo è più difficilmente individuabile perché si è concentrato su una difesa e un'amplificazione della sintesi aristotelico-tomista piuttosto che su una digressione su quest'ultima.

Esso include pensatori autorevoli quali Benedict Ashley, Romanus Cessario, Ralph McInerney, Servais Pinckaers, Jean Porter, Martin Rhonheimer e Janet Smith (fra gli altri). Il secondo gruppo è più facilmente identificabile. Germain Grisez, Joseph Boyle, John Finnis, William May e Robert George sono passati decisamente da quella sintesi a una nuova interpretazione della legge naturale (15)

Ancora una volta, questi studiosi hanno molto in comune (16), ma le differenze esistenti fra loro sono significative.

L'interpretazione classica del legge naturale, dalla seconda parte della Summa Theologiae di san Tommaso d'Aquino, sostiene che i principi della legge naturale sono conosciuti da noi mediante la natura umana. Secondo Tommaso, bisogna fare il bene ed evitare il male (S.T. I-II, q. 94, a. 2). Secondo una lettura classica Tommaso afferma che un esame ontologico della natura umana, da parte dell'intelletto speculativo, produce norme morali cosicché gli umani sappiano ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, nella misura in cui essi agiscono in conformità alla propria natura nell'ordine della creazione. L'interpretazione neoclassica della legge naturale si allontana da questa intuizione tomistica, almeno così come la intendono i classicisti. I neoclassicisti sostengono che Tommaso afferma qualcosa di molto diverso (o che non lo afferma abbastanza) quando dice che i principi della legge naturale vengono conosciuti da noi mediante la ragione umana.

Grisez sostiene che Tommaso non ha specificato un principio primo di ragionamento pratico dall'opera dell'intelletto speculativo, ma quello dell'abilità più fondamentale dell'intelletto di discernere, mediante un processo di ragionamento verso un fine, ciò che è moralmente buono o cattivo (17). E' in riferimento a questo punto che Robert George riassume il problema: "Se si accetta l'interpretazione di Grisez e del principio primo tomistico della ragione pratica, allora l'idea di un ordine naturale normativo non ha spazio nell'etica di san Tommaso d'Aquino. Se si rifiuta l'interpretazione di Grisez a favore di qualcosa come la lettura neoscolastica di d'Aquino, è necessaria un'idea di ciò che si potrebbe definire ordine naturale normativo" (18). Certamente la differenza non è solo una questione di interpretazione tomistica.

Grisez, e quanti concordano con lui, sostengono che se l'interpretazione neoscolastica fosse corretta circa il pensiero di san Tommaso, allora tale pensiero sarebbe semplicemente non corretto su questo punto. Così, la divergenza fra le due scuole di pensiero riguarda principalmente ciò che Tommaso intendeva e ciò che non intendeva, e dunque, se Tommaso aveva ragione o meno su questo.

In entrambi i casi, i neoclassicisti cercano di elaborare un'interpretazione diversa della legge naturale, mentre i classicisti sostengono che la lettura neoscolastica di Tommaso è giusta e corretta.

Con la conoscenza tratta da Tommaso, ma non dipendente da lui, i neoclassicisti cercano di elaborare una nuova interpretazione della legge naturale. Sostengono che non si possa affermare un "dovrei" partendo da un "è"; in altre parole, la natura umana ci dice ciò che siamo, ma non ci mostra direttamente che cosa dobbiamo fare, almeno senza un uso appropriato della ragione. Mediante l'interpretazione secondo la quale il principio primo del ragionamento pratico è fare il bene e evitare il male, Grisez sostiene che la ragione ci conduce ad atti chiaramente buoni per permetterci di obbedire al principio primo. "Le determinazioni generali del principio primo del ragionamento pratico sono questi precetti basilari della legge naturale. Essi assumono la seguente forma: questo e questo bene umano basilare deve essere fatto e /o perseguito, tutelato e promosso" (19).

A questo George può aggiungere che "i precetti basilari della legge naturale orientano le persone a scegliere e ad agire per fini e propositi intelligibili" (20). Quindi, per articolare il principio basilare di moralità, Grisez afferma: "nell'agire volontariamente per il bene umano e nell'evitare ciò che gli si oppone, si dovrebbe scegliere e altrimenti desiderare quelle e solo quelle possibilità la cui volontà è compatibile con la volontà della realizzazione umana integrale" (21).

In altre parole, il dovere deriva da un fine ragionato, piuttosto che dalla natura umana per se, che ha come risultato un miscuglio di teleologia e deontologia. Jean Porter osserva un notevole criticismo nel pensiero di Grisez: "Grisez e Finnis condividono la visione moderna secondo la quale la natura, intesa come qualunque cosa pre-razionale o non-razionale, è in contrasto con la ragione. Lo di mostra la loro isistenza sul fatto che le norme morali devono derivare soltanto dalla ragione: ossia, da intuizioni puramente razionali che non dipendono in alcun modo da affermazioni di natura empirica o metafisica sul mondo (22).

Infine, le differenze fra classicisti e neoclassicisti ruotano intorno a questioni costitutive di metafisica e di epistemologia. Un appello al comune Dottore non è certo lo strumento mediante il quale troveranno un accordo, anche se una interpretazione comune di Tommaso potrebbe servire da punto di partenza. Piuttosto, abbiamo di fronte due prospettive filosofiche, che fanno entrambe riferimento alla Fides et ratio per la libertà dell'indagine filosofica e che sostengono di essere d'accordo con la Veritatis splendor. Senza dubbio, entrambe le scuole conducono un costante dialogo, se non un dibattito, fra loro e cercano la verità della legge naturale e i suoi imperativi per una vita retta (23).

Conclusione

Concludere in termini di "scuole di Teologia Morale" significa concludere in termini di grandi speranze per il futuro della riflessione morale cattolica. I teologi moralisti e i filosofi cattolici sono impegnati l'uno con l'altro e con le loro controparti che si occupano di etica secolare. Una revisione della letteratura dimostra che questo impegno sortisce effetti profondi sul ragionamento morale dei fedeli e di quanti sono favorevolmente disposti a una seria deliberazione morale. Nonostante le differenze fra teologi moralisti, esiste un fine comune, che è quello di conoscere la verità che dovrebbe farci liberi (Gv 8, 32). Nonostante le prime difese dell'insegnamento della Chiesa, la Veritatis splendor è il modello intorno al quale possiamo raccoglierci mentre prosegue nel terzo millennio cristiano lo sforzo per un maggiore apprezzamento della retta ragione, per una comprensione più profonda della legge naturale e un'articolazione più chiara degli assoluti morali.

Note:

  1. Questo paragrafo ha prodotto una serie di documenti postconciliari.Si veda Servais Pinckaers, The Sources of Christian Ethics, traduzione di Mary T. Noble (1985; Washington, D.C.: The Catholic University Press, 1995), 302 n.3 per i riferimenti.
  2. Joseph Fletcher, Situation Ethics: The New Morality, (Filadelfia: Westminster Press, 1966).
  3. Ibidem, n. 95
  4. Per una valida esposizione del loro pensiero e per i riferimenti bibliografici, vedi Richard M. Gula, What Are They Saying about Moral Norms? (New York/Ramsey , NJ: Paulist Press, 1982), 61-81
  5. Bruno Schüller, "Zur Problematik allgemein verbindlicher ethischer Grundsätze, "Theologie und Philosophie 45 (1970): 4
  6. Per un'opinione contrastante, vedi Todd A. Salzman, Deontology and Teleology: An Investigation of the normative Debate in Roman Catholic Moral Theology, Bibliotheca Ephemeridum theologicarum Lovaniensium 120 (Leuven: Leuven University Press, 1995)
  7. John Rawls, A Theory of Justice (1971; rev. ed. Cambridge, Mass.: Harvard University Press [Belknap Press], 1999). Si veda anche dello stesso autore Justice and Fairness: A Restatement (Cambridge, mass.: Harvard University Press [Belknap Press] 2001)
  8. Alasdair MacIntyre, After virtues: A Study in Moral Theory (1981; 2nd ed. Notre Dame, ind.: University of Notre Dame Press, 1984)
  9. Ibidem , 2
  10. Russel Hittinger, "The Recovery of Natural Law and the Common Morality", "This World: A Journal of Religion an Public Life", 18 (1987): 62
  11. Si vedano i vari saggi di Daniel Statman, ed. Virtue Ethics: A Critical Reader (Washington, D.C.: Georgetown University Press, 1997)
  12. Hittinger, "the Recovery of Natural Law", 2 et passim.
  13. Sulle fonti delle Scritture, si veda Servais Pinckaers, "The Gospel Sources" (cap. 1) in Morality: The Catholic View, trad. Michael Sherwin (1991; South Bend, Ind.: St.Augustine's Press, 2001), 7-17; Benedict M. Ashley, "The Biblical Foundations of Moral Theology" (cap. 1) in Living the Truth in love: A Biblical Introduction to Moral Theology (Staten Islands, N.Y.. Alba House, 1996), 3-38; e Jean Porter, "Scripture and the Natural law" (cap.3) in Natural and Divine Law: Reclaiming the Tradition for Christian Ethics (Grand Rapids, Mich.: Eerdmans, 1999), 121-85
  14. Si veda Congregazione per la Dottrina della Fede "istruzione sulla Vocazione Ecclesiale del Teologo", (4 maggio 1990).
  15. Tentare una se pur breve bibliografia del primo e del secondo gruppo non è possibile in questa relazione. Per una bibliografia eccellente selezionata e aggiornata, si veda Romanus Cessario, Introoduction to Moral Theology (Washington, D.C.: The Catholic University of America Press, 2001), 243-5
  16. Si vedano, ad esempio, i loro vari saggi in Janet E. Smith, ed., Why "Humanae vitae" Was Right: A Reader (San Francisco: Ignatius Press, 1993); John Wilkins, ed., Considering "Veritatis splendor" (Cleveland, Ohio: Pilgrim Press, 1994); Michael E. Allsopp e John J. O'Keefe, ed., "Veritatis splendor": American Responses (Kansas City, Mo.: Sheed and Ward, 1995); e J Augustine Di Noia e Romanus Cessario, ed., "Veritatis splendor" and the Renewal of Moral Theology (Chicago: Midwest Theological Forum, 1999).
  17. Germain Grisez, "The First Principle of Practical Reason: A Commentary on the Summa Theologiae", Natural Law Forum 10 (1965): 168.
  18. Robert P. George, In Defense of Natural Law (Oxford: Oxford University Press, 1999), 39-40.
  19. Germain Grisez, The way of the Lord Jesus: Christian Moral Principles I (Chicago: Franciscan Herald Press, 1983), 180.
  20. Robert P. George, "Natural Law in Ethics", in Philip L. Quinn e Charles Taliaferro, ed. A Companion to Philosophy of Religion (Oxford: Blackwell, 1997), 460.
  21. Grisez, The Way of the Lord Jesus: Christian World Principles I, 184
  22. Porter, Natural and Divine Law, 93
  23. Il nucleo delle differenze è facilmente individuabile nel riferimento a una particolare questione morale. Janet Smith offre questa valutazione in termini di controllo artificiale delle nascite.Si veda Janet E. Smith, "A Critique of the Work of Germain Grisez, Joseph Boyle, John Finnis e William May" (appendice quattro)in "Humanae vitae":A Generation Later (Washington, D.C.: The Catholic University of America Press, 1991), 340-70.