Il concetto di "persona" nella teologia trinitaria e nella cristologia contemporanea

 

P. Paolo Scarafoni, L.C.

INTRODUZIONE

Il titolo della nostra relazione è ambizioso, perché annuncia uno studio sul concetto di persona nella teologia trinitaria e nella cristologia contemporanea. Siamo stati obbligati a inserire un campo di studio così ampio che comprende anche la cristologia, perché nella riflessione teologica contemporanea la persona funge quasi da cerniera fra questi due trattati teologici. L'esigenza di unificare intorno a un concetto di persona valido per la teologia trinitaria e la cristologia è molto sentita attualmente. Dobbiamo fare menzione del grande influsso che in questo senso ha avuto in ambito cattolico, e non solo, la tesi sulla persona esposta da J. Galot nella sua cristologia; egli presenta la persona divina, intratrinitaria, come "relazione", nel senso di fonte e capacità di relazioni. Questa stessa persona divina del Figlio, che è "essere relazionale", con la sua capacità di relazione estende anche orizzontalmente relazioni con le altre persone create, gli uomini, grazie al mistero dell'incarnazione.

Il concetto di persona non proviene direttamente dal Nuovo Testamento, ma dalla tradizione della Chiesa, fin dai primi secoli. Per mezzo di questo concetto, o nozione, sono state espresse, anche nei documenti del magistero della Chiesa, le due verità centrali della fede cristiana: il mistero della Trinità e quello dell'incarnazione del Figlio di Dio. Presentiamo dunque prima di tutto la nozione di persona nella tradizione, e il suo contesto di pensiero, rappresentato dalle nozioni di "processione" e "relazione".

 

 

1. LE PROCESSIONI, LE RELAZIONI E LE PERSONE NELLA STORIA DELLA TEOLOGIA TRINITARIA

I tre concetti fondamentali per distinguere i molti in Dio, cioè il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, usati nella tradizione patristica e teologica sono i seguenti: le processioni, le relazioni e le persone.

1.1) Le processioni

Le processioni sono due: la generazione del Figlio e la processione (spirazione, emanazione) dello Spirito Santo. Si tratta di nozioni dinamiche, che evidenziano la procedenza e il modo di tale procedenza. Dal Padre, prima fonte, procedono il Figlio e lo Spirito Santo. Il modo di procedere, cioè di venire fuori dal Padre e di caratterizzarsi, è molto diverso per ciascuno dei due: il primo come un generato, un figlio; il secondo come la forza, l'energia, la vita, l'amore, lo spirito appartenente a qualcuno.

Nel Figlio riconosciamo un soggetto chiaramente identificato (oggi diremmo "un Tu"), anche se derivato e in relazione. Proprio il suo modo di derivare lo costituisce chiaramente come un altro rispetto al Padre. Mentre invece lo Spirito sembra non avere una chiara identità soggettiva, anzi al contrario sembra proprio che la sua caratteristica sia quella di essere di un altro e in un altro. In primo luogo del Padre, naturalmente.

Ne risultano pertanto tre chiaramente distinti ed evidenziati in Dio: il Padre che è la fonte di tutto Dio, il Figlio come un suo generato e lo Spirito Santo come spirito del Padre e del Figlio. Il Figlio e lo Spirito Santo non sono una ripetizione l'uno dell'altro, come due gemelli, ma si tratta di due realtà molti distinte e caratterizzate.

La precisione delle nozioni appena enunciate, nel cogliere la fede della chiesa, viene dimostrata proprio dall'acceso dibattito intorno alla processione dello Spirito Santo anche dal Figlio. È proprio la sua caratteristica di essere di un altro, cioè di appartenere al Padre, che obbliga a dire (nella riflessione degli occidentali) che è anche lo Spirito del Figlio. Se fosse un'altro figlio, nessuno pretenderebbe di dire che è anche il figlio del Figlio. Ma essendo invece la vita e la forza del Padre che è Dio, non può non essere anche la vita e la forza del Figlio che è Dio.

S. Anselmo spiega bene questo punto dicendo che anche il Figlio si dice essere del Padre, ma nel senso della figliolanza, cioè in quanto il Padre è padre suo, colui da cui nasce; invece non nello stesso senso si dice che lo Spirito Santo è del Padre, perché "lo Spirito Santo non è di Dio Padre suo, ma di Dio che è Padre". Così anche le espressioni del Nuovo Testamento che attribuiscono al Figlio l'appartenenza dello Spirito Santo, non indicano che lo Spirito Santo nasce dal Figlio: vogliono dire semplicemente che lo Spirito Santo è lo Spirito di Dio che è Figlio.

Questa osservazione non è sfuggita ai padri greci, i quali si sono espressi, sempre da un punto di vista più dinamico, a favore della implicazione del Figlio nella processione dello Spirito Santo, utilizzando la formula dia huiou, per Filium. Leggiamo in proposito un testo di S. Basilio:

"Perciò in Dio Padre e in Dio unigenito si contempla, per così dire, una sola immagine riflessa della divinità, senza differenza. Il Figlio è nel Padre e il Padre è nel Figlio: dal momento che questi è tale qual è quello, e quello è tale qual è questo, e in ciò sta la loro unità. [...] Uno è anche lo Spirito Santo, anch'esso singolarmente pronunciato, congiunto al Padre, che è uno, per il Figlio, che è uno, e per mezzo suo completa la beata Trinità, degna d'ogni lode".

San Tommaso d'Aquino fu molto attento alle spiegazioni dei Greci, e seppe dare molta rilevanza alle processioni, mostrando una maturità di pensiero rispetto alla teologia dominante latina centrata sulle relazioni, proprio per evidenziare la differenziazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Egli era pienamente favorevole, per la processione dello Spirito Santo, sia alla formulazione latina del filioque, sia alla espressione greca per Filium. Lavorò per la preparazione al concilio di Lione, al quale non poté assistere a causa della sua morte. Ma in questo concilio non si ebbe un riconoscimento della formula greca per Filium, ma anzi una eccessiva insistenza e giustificazione della formula latina. Fu poi il Concilio di Ferrara-Firenze a sancire la piena validità di entrambe le formule come voleva San Tommaso.

Vogliamo sottolineare tre punti importanti derivati dalla riflessione sulle processioni divine, che ci servono per la migliore comprensione del concetto di persona. Mi sembra trattarsi di tre espressioni della fede che si impongono al ragionamento naturale:

a) Una chiara percezione di tre realtà distinte, e veramente differenti fra loro (von Balthasar direbbe che la differenza è infinita); il loro modo di procedere stabilisce l'identità di ciascuno. La prima è identificata perché da essa procedono le altre, come fonte e origine.

b) L'identità dei primi due, Padre e Figlio, ha un carattere di soggetto, personale, dato dal modo di procedere del Figlio. Nel caso dello Spirito Santo non abbiamo chiaramente espresso questo carattere, anzi proprio la caratteristica contraria, cioè l'inerire in altro. Ma la fede ha colto un soggetto anche nello Spirito del Padre e del Figlio, e lo ha chiamato "persona", proprio come gli altri due ("anch'esso singolarmente pronunciato", come dice S. Basilio). Questo è un merito non ancora sufficientemente riconosciuto alla storia di questo vocabolo "persona". Alla domanda: "ma allora lo Spirito Santo è persona?" la risposta della chiesa è stata positiva: "sì è persona, come lo sono il Padre e il Figlio". In questo senso il termine e il concetto di persona si sono rivelati uno strumento prezioso per esprimere la fede. Abbiamo un breve accenno a questo paradosso della fede, anche se esposto in modo diverso, nella lettera enciclica di Giovanni Paolo II Dominum et vivificamtem (1986) dedicata allo Spirito Santo; riprende un pensiero di S. Tommaso d'Aquino e presenta lo Spirito Santo come espressione personale dell'amore di Dio (DH 4780):

Nella sua vita intima Dio "è amore" (1 Gv 4,8.16), amore essenziale, comune alle tre divine Persone: amore personale è lo Spirito Santo, come Spirito del Padre e del Figlio. Per questo, egli scruta le profondità di Dio (1Cor 2,10) come amore–dono increato. Si può dire che nello Spirito Santo la vita intima del Dio uno e trino si fa tutta dono, scambio di reciproco amore fra le divine Persone, e che per lo Spirito Santo Dio "esiste" a modo di dono. È lo Spirito Santo l'espressione personale di un tale donarsi, di questo essere–amore (S. Tommaso, Summa Theologiae, I, q. 37-38). È Persona–amore. È Persona–dono. Abbiamo qui una ricchezza insondabile della realtà e un approfondimento ineffabile del concetto di persona in Dio, che solo la rivelazione ci fa conoscere.

Viene colto bene il fatto che lo Spirito Santo è del Padre e del Figlio, come amore e come dono, e poi viene detto che nonostante possa sembrare strano Egli è una persona. Non c'è dubbio quindi che si pensa a una identificazione, a una unificazione in un soggetto, che ha comunque una sua specifica valenza indipendente dagli altri. Il concetto di persona coglie questo senso di unità che costituisce un soggetto irriducibile ad altri, e lo applica nella fede, allo Spirito Santo.

c) Infine notiamo la ricerca della fede dell'unità di Dio. Si tratta di una unità non superata da quei soggetti (sussistenze) scoperti per mezzo delle processioni. Una unità precedente ad essi, non messa in discussione da essi, e neanche superata da essi. Nella riflessione sulle processioni tale unità viene colta a due livelli: in primo luogo nel Padre come origine della Trinità, come fonte delle due processioni e pertanto degli altri due, Figlio e Spirito Santo. Essi sono in tutto dal Padre, e non hanno nulla che non abbia il Padre.

In secondo luogo nella unione del Padre e del Figlio. Essi sono lo stesso Dio, la stessa realtà divina, della quale è l'unico Spirito. Questo non essere altro che l'unico Dio nonostante la generazione, questo convergere nell'unità del Padre e del Figlio, è molto sentita nella fede cristiana, in occidente, e anche in oriente, come abbiamo potuto percepire dalle espressioni di S. Basilio. La generazione in fondo è per essere l'unico Dio, di cui è l'unico Spirito. Nella teologia occidentale si è parlato molto anche dell'unica spirazione, da due che costituiscono un'unità e un unico principio spiratore, proprio per correggere possibili interpretazioni sbagliate. Ritroviamo in questo Figlio unito al Padre, dei quali è l'unico Spirito, l'asse portante della concezione di Dio e la radice ultima della visione cristocentrica della Chiesa e della spiritualità cristiana. La Chiesa e l'umanità redenta sono viste nel seno stesso del Padre, ancorate nel Figlio, che si trova soltanto là, anche dopo la sua morte, nella gloria della resurrezione, "speranza del mondo". Il Figlio incarnato unito al Padre è il sacerdote che intercede per noi, e fondamento del sacerdozio della chiesa; è il pastore che ci riunisce; è il re che ci raduna e ci governa nel Regno di Dio, del Padre e suo, per assoggettare, per riunire tutto intorno al Padre, anzi nel seno del Padre; è colui che avendo lo Spirito del Padre lo effonde su di noi. È la visione di Giovanni: "nessuno va al Padre se non per me" (14,6); "Dio nessuno lo ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (1,18); ed è anche la visione di Paolo. Le anafore delle liturgie eucaristiche si fanno ampiamente eco di questa visione.

Possiamo forse azzardare una ipotesi di interpretazione di questi due modi di cogliere l'unità di Dio, in base all'accentuazione di due sensibilità spirituali: la concezione che sottolinea la fontalità del Padre, risponde a una visione discendente, di Dio che si china su di noi dal suo mistero d'amore; la concezione che sottolinea l'unità di Dio nella comunione del Padre e del Figlio, è una con.

1.2) Le relazioni

La seconda nozione utilizzata per mettere in evidenza i molti in Dio, è il concetto di relazione. Le relazioni distinguono il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo, ma in modo che convergano nell'unico Dio. Infatti si predica di essi una esistenza relativa, e non assoluta; cioè esistono, sussistono come tali in quanto sono in relazione all'altro: il Padre non ha una sussistenza autonoma, antecedente alla relazione con il Figlio, ma è soltanto nel senso che è Padre di quel Figlio. Così il Figlio è soltanto nel senso di essere Figlio di quel Padre, e così lo Spirito è soltanto nel senso che è spirito dei due. Il concetto di relazione riporta all'unico Dio l'esistenza o sussistenza dei tre. Non vanno mai concepiti autonomamente l'uno dall'altro. È la nozione preferita da S. Agostino, preoccupato di riunire i tre nell'unico Dio, contro i pericoli dell'arianesimo e del triteismo. Egli non gradisce molto il concetto di persona applicato ai tre della Trinità, e lo ammette solamente piuttosto per l'uso invalso. S. Agostino ha il merito di chiarire che la relazione in Dio non può essere accidentale: "nihil accidens in Deo, quia nihil mutabile" (De Trinitate 5,4,5). Ma neanche è riducibile alla sostanza perché la sostanza è esse ad se, mentre la relazione è esse ad aliud. In concreto i tre in Dio si predicano come relazioni ad alium. Da Agostino questa interpretazione del mistero trinitario in base alle relazioni passa a Boezio, poi a S. Anselmo e giunge al medio evo. Anche nei sinodi della Spagna visigotica a Toledo abbiamo un progressivo passaggio da una teologia fondata sulle processioni a una teologia fondata sulle relazioni. Ad essi dobbiamo una definizione di relazione: "si parla di 'relazione' in quanto una persona si riferisce all'altra; infatti quando si dice 'Padre' viene designata anche la persona del Figlio, e quanto dice 'Figlio', appare che il Padre senza dubbio è in lui" (sinodo di Toledo 16°, DH 568). Il frutto di tutta questa riflessione viene raccolto nel Concilio di Firenze, con la famosa definizione di "persona divina" in base alle relazioni, nel decreto Cantate Domino sull'unione con i copti e gli etiopi: "Queste tre persone sono un solo Dio, non tre dei, poiché dei tre una sola è la sostanza, una l'essenza, una la natura, una la divinità, una l'immensità, una l'eternità, e tutte le cose sono una cosa sola, dove non si opponga la relazione" (DH 1330). Il Concilio si ispira ad un testo di S. Fulgenzio di Ruspe (De fide seu de regula fidei ad Petrum 1, n.4, PL 65, 674AB), e a un testo di S. Anselmo (De processione Spiritus Sancti, c.II PL 158, 288 C).

Anche nella teologia greca abbiamo la presenza di questa nozione di realzione, specialmente in Gregorio Nazianzeno, il quale, secondo l'interpretazione che ne fa attualmente T.F. Torrance, darebbe un senso molto forte di autonomia e dinamismo ad essa: "egli (Gregorio Nazianzeno) interpreta le relazioni fra le divine persone non soltanto come modi di esistenza, ma come relazioni sostanziali che appartengono intrinsecamente a quello che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono in se stessi come realtà ipostatiche distinte, e come sono nelle loro oggettive, reciproche relazioni, gli uni verso gli altri". Una tale concezione delle relazioni non sarebbe tanto in funzione dell'unità, anche se non viene negata, quanto in funzione del modo di interagire delle persone, cioè del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e pertanto naturalmente sottolinea di più la consistenza dei soggetti personali in Dio. Di fatto una stessa nozione viene utilizzata sotto due prospettive che potremmo definire contrarie.

Quando comunque questa visione che attribuisce un maggiore protagonismo ai soggetti in Dio vuole descrivere il contenuto del loro interagire, deve tornare a quello che ci offre al riguardo la rivelazione, cioè le processioni. Potremmo forse ipotizzare che in questo modo di concepire le relazioni si tratta in fondo di un nuovo modo di parlare delle processioni, avendo ricevuto la contaminazione mentale del concetto di persona.

Anche nella riflessione teologica occidentale abbiamo tutto un filone che interpreta le relazioni dal punto di vista dei soggetti, delle persone che entrano in relazione: Riccardo di San Vittore, Alessandro di Hales, San Bonaventura. Ma anche in questi casi il concetto di persona ha esercitato un forte influsso semantico su quello di relazione, attirandola verso di sé, e inducendo a una interpretazione in senso attivo e dinamico di interazione di ciascuno nei confronti degli altri. Il rischio è quello di appoggiarsi di più su immagini umane che sui dati della rivelazione; l'argine alla immaginazione viene sempre imposto dalla dottrina delle processioni. San Tommaso preferisce rimanere in una posizione più austera, e dare forse maggiore importanza alla nozione di processione che a quella di relazione: con la prima distingue le persone, con la seconda coglie la loro unità.

Possiamo concludere con due osservazioni importanti:

a) Abbiamo nella tradizione un doppio senso della nozione di relazione, e mi sembra che ciò non venga ancora messo sufficientemente in risalto, almeno in modo sistematico: una che significa un rimando alla unità (che nel contesto della teologia attuale potrebbe essere rappresentata da Karl Rahner), e una che vede nella relazione l'agire della persona (nella teologia attuale ritengono di trovare in questo filone un appoggio per il loro pensiero, Moltmann, Von Balthasar, Kasper, Bordoni, Forte, tutti i personalisti).

b) In entrambe le interpretazioni o accentuazioni, la nozione di relazione ha portato a cogliere l'unità di Dio in una serie di concetti provenienti dalla filosofia: "essenza divina", "unica sostanza divina", "unica natura divina", "l'essere sussistente di Dio", Ipsum esse subsistens. Nella prima interpretazione le esistenze relative sono contrapposte all'esistenza assoluta dell'unico Dio, nell'ambito della quale si possono dare i relativi. Nella seconda interpretazione i soggetti confluiscono in una comunione particolare, che supera il numero e l'azione dei soggetti, e si costituisce come un apice, un Uno. Questo concetto si avvicina, e a volte si identifica, con quello di Pericoresi o Circumincessio, cioè il concetto di "stare in" di ciascuno negli altri.

La concezione espressa da questi approcci filosofici, nei quali l'uno divino che non riposa direttamente sulle persone, finisce per essere meno attinente alla Sacra Scrittura in quanto alla presentazione di Dio; tuttavia ha aiutato senza dubbio a cogliere meglio un aspetto molto chiaro anche nella sacra Scrittura, cioè il rapporto fra il creatore e la creatura, la localizzazione del limite, la diastasi; pertanto non possiamo affermare che tali impostazioni non corrispondono alla fede.

 

 

1.3) Le persone

La terza nozione di cui si è servita la tradizione cristiana per distinguere i molti in Dio è quella di "persona". Possiamo dire che è una nozione molto antica, certamente meno chiara delle altre, ma allo stesso tempo la più persistente e popolare per parlare di Dio. Ancora oggi fra i cristiani, quando si vuole parlare del Padre, Figlio e Spirito Santo in Dio si dice che sono "persone". E sembra che tale nozione riesca ad esprimere, pur con tutti i suoi limiti la fede su Dio. Infatti Kasper è costretto ad ammettere che i tentativi di usare altre espressioni sono falliti da un punto di vista kerigmatico e pastorale: "Se non si vuole dare adito a nuovi malintesi né rinchiudere, al cristiano 'comune', la confessione trinitaria in un libro dai sette sigilli, non resta altro che attenersi all'uso linguistico tramandato nella chiesa e interpretarlo al fedele".

Ci sono chiaramente due filoni nello sviluppo della nozione di persona, come ha messo bene in evidenza Andrea Milano: il filone trinitario, che è il più antico, e il filone cristologico. Quello trinitario punta a mettere in evidenza i molteplici in Dio, cioè le tre persone nell'unico Dio; quello cristologico invece punta ad esprimere l'unico soggetto di Cristo nelle due nature, divina e umana. Il concetto di persona ha riscosso successo sia nell'ambito latino, sia in quello greco (prósopon). La prima riflessione approfondita su di esso si deve al latino Tertulliano, il quale deve ribattere il modalismo di Prassea (contra Praxeam), che operava a Roma. La parola persona deriva dall'ambito del teatro e significava maschera, ovvero personaggio. Indica pertanto una identità attiva, che svolge un ruolo. Questo significato esistenziale è stato caricato di valore metafisico, ma allo stesso tempo la metafisica è rimasta condizionata dal significato esistenziale. È stato proprio Tertulliano a dare una impostazione metafisica a questo termine e a questo concetto. L'influsso latino, ha condizionato anche l'uso che ne hanno fatto i greci, e prósopon è venuto a coincidere con il significato del termine filosofico hipóstasis. Sant'Agostino dal canto suo, proprio perché coglie tutto il significato metafisico attribuito a questa parola, la ammette come uso comune, ma rimane molto prudente nell'utilizzo teologico. Infatti gli sembra che tale termine non si possa applicare ai tre in Dio, e quindi che in realtà sono chiamati così più per abitudine, che per precisione di pensiero (De Trinitate, 5,9):

Il Padre non è il Figlio, il Figlio non è il Padre, e lo Spirito Santo, che è anche chiamato Dio, non è né il Padre né il Figlio; sono tre evidentemente, e per questo la scrittura dice al plurale: Io e il Padre siamo una cosa sola. Non disse infatti: è una cosa sola, come pretendono i Sabelliani, ma: siamo una cosa sola. Tuttavia se si chiede che cosa sono questi tre, dobbiamo riconoscere l'insufficienza estrema dell'umano linguaggio. Certo si risponde: 'tre persone', ma più per non restare senza dir nulla che per esprimere quella realtà.

La preoccupazione di S. Agostino è sì quella di allontanarsi dalla tentazione modalista, ma è anche preoccupato dell'arianesimo che distingue le ipostasi nella sostanza. Preferisce, come abbiamo detto appellare alla nozione di relazione.

In oriente si parla di persone in senso trinitario nelle controversie contro l'arianesimo e i sabelliani e talvolta contro posizioni triteiste. Si stabilisce prima l'unica natura o consostanzialità tra il Padre e il Figlio e successivamente dello Spirito Santo. Poi, soprattutto grazie al lavoro dei Padri della Cappadocia, che distinguono fra ipóstasis e ousía, si arriva alla formulazione di tre persone in una sola natura o sostanza (ousía). L'utilizzo della parola prósopon nel magistero sulla Trinità viene ufficialmente affiancato e considerato equivalente a quello di ipóstasis; per esempio nelle formule del Concilio Costantinopolitano II (DH 421): "Chi non confessa che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo hanno una sola natura o sostanza, una sola virtù e potenza, poiché essi sono una Trinità consostanziale, una sola divinità in tre ipostasi o persone, sia anatema".

Sempre in oriente, in campo cristologico, le controversie contro Nestorio, che approdano al concilio di Efeso, e contro Eutiche dopo, che approdano al concilio di Calcedonia, portano a utilizzare il concetto di persona, per formulare la fede in Cristo, come unico soggetto, cioè unica persona in due nature. Il concilio di Calcedonia si esprime in questi termini: "Uno e medesimo Cristo da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi" (DH 302). Il concilio Costantinopolitano II riafferma che Cristo ha "una sola ipostasi, cioè una sola persona e che è in questo senso che il santo concilio di Calcedonia ha confessato una sola ipostasi del signore nostro Gesù Cristo" (DH 426). A continuazione, si fa il raccordo fra la persona di Cristo e la persona nella Trinità, per affermare che la persona di Cristo è il Figlio eterno del Padre: "La santa Trinità, infatti, non ha ricevuto aggiunta di persona o ipostasi in seguito alla incarnazione di Dio Verbo, una delle persone della santa Trinità" (Idem).

La posizione di conciliazione fra nestoriani e monofisiti, postulava la legittimità della formula: "una persona da due nature"; formula che comunque risultava ambigua e scontentava tutti. In questo dibattito cristologico si inserisce la figura di Boezio, romano, ma molto sensibile alle problematiche provenienti dal mondo greco, proprio per la sua aspirazione genuinamente cristiana e romana a favorire la comprensione tra le varie componenti dell'impero, sia di tipo politico e culturale, sia di tipo religioso. A. Milano ha studiato molto accuratamente l'apporto di Boezio alla nozione di persona, nel contesto della sua vita e della sua opera. Per quanto riguarda la dottrina trinitaria Boezio è fortemente influito dalla dottrina di Sant'Agostino, e si limita a riaffermare il valore della nozione di relazione, per distinguere il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo in Dio. Nel suo De Trinitate, si conta una sola volta la parola "persona". Il tema della persona viene invece trattato per esteso quando affronta il problema cristologico, nel Contra Eutychem et Nestorium: qui egli giunge alla famosa definizione di persona come "rationalis naturae indivudua substantia". La sua definizione è considerata una pietra miliare della riflessione cristiana e umana; ha il grande merito di mediare il passaggio dalla mentalità della antichità a quella del medio evo. Secondo gli studi di Nédoncelle e di Milano, il travaglio di Boezio si concentra sulla nozione di sostanza, che cerca di reinterpretare cercando di includervi anche gli elementi accidentali, e così poter salvare anche la formula di sapore eutichiano "una persona da due nature", accanto alla formula calcedoniana "una persona in due nature".

La sua definizione rimarrà ma il suo tentativo fallisce proprio là dove egli profuse maggiore impegno: già in vita sua un'altro filosofo cristiano e romano, Rustico mise in discussione la sua definizione come inapplicabile a Cristo e alla Trinità. Ma successivamente furono in molti a dire la stessa cosa e a proporre nuove definizioni, fra i quali distaccano Riccardo di San Vittore e San Tommaso. I due punti criticati sono proprio l'impossibilità di parlare di "sostanza" per le persone divine, e l'ammissibilità della formula "dalle due nature". La definizione proposta da Riccardo di San Vittore per la persona in Dio è la seguente: incomunicabile esistenza nella natura divina.

Nella definizione di Riccardo ci sono già gli elementi che riprenderà S. Tommaso:

- Incomunicabile, invece di individuale: si riferisce a quell'elemento che indica un soggetto

- Esistenza, invece di sostanza: nel senso di ex-sistere. Venire fuori, emanare come ciò che è fatto uscire e si mostra. E viene fuori in modo incomunicabile per la procedenza. Per Riccardo, pertanto, la persona in Dio indica un ruolo attivo in cui si comprende la processione in quanto è assunta da qualcuno che la compie in sé.

- Natura divina, invece di natura razionale.

S. Tommaso, riprende da Riccardo la ragione di fondo del cambiamento, ma parte da un altro punto di vista. La sua definizione della persona in Dio è la seguente: sussistente distinto nella natura intellettuale o spirituale (STh I, 29-30). San Tommaso quando parla della persona evita volutamente il termine sostanza, anche in riferimento agli uomini: "La persona significa quanto di più nobile c'è in tutto l'universo, cioè il sussistente di natura razionale". Utilizza pertanto il termine "sussistente", che non è contrapposto agli accidenti; ed è significativo che non si pronunci sul tema della individualità neanche per l'uomo nella definizioni di persona. Per Dio non parla di natura razionale, ma di natura intellettuale o spirituale. Egli utilizza il termine "distinto", "sussistente distinto" per indicare la relazione in Dio, e non dice "individuale", per togliere ogni idea di limitazione nel concetto di persona divina, ed anzi indicare un senso di perfezione. San Tommaso infine mette in rapporto le persone divine con le relazioni, e conclude che le persone divine sono le relazioni in quanto sussistono: la loro sussistenza non è altro che l'unico Dio, l'essenza divina; e la loro distinzione non è altro che tale sussistenza messa in relazione all'altro secondo la paternità, la filiazione e la processione. In questo modo San Tommaso non dice che le persone sono soltanto le relazioni, come spesso si sente dire; attribuisce consistenza di vero soggetto, ma tale consistenza è Dio stesso, il quale però è anche Padre in relazione al Figlio, e Spirito Santo in relazione al Padre e al Figlio.

Le conclusioni sulla nozione di persona:

a) Boezio come Sant'Agostino, non affronta in modo omogeneo, dal punto di vista concettuale, la spiegazione della nozione di persona nella teologia e nella cristologia. Nello sforzo di offrire una definizione di persona cerca una definizione che possa essere valida per tutti, l'uomo, Cristo, Dio. Il suo punto di partenza è l'antropologia, e non riesce ad adattarsi alle esigenze della teologia, pur forzando i termini che utilizza. La sua definizione verrà corretta per la teologia. Comunque dopo di lui, rimarrà sempre non pienamente risolta, nella teologia, la differenza di ambiti di trattazione del concetto di persona nella cristologia e nella teologia trinitaria.

b) Al concetto di "persona" non si applicano bene i concetti della metafisica aristotelica e platonica, specialmente riguardo l'opposizione sostanza-accidenti e il principio di individuazione: la persona in Dio e in Cristo non si può ridurre a sostanza. Bisogna includere quello che sembrerebbe accidentale: nella trinità la relazione, nella cristologia l'umanità (ricordiamo che con l'assunzione della umanità non si aggiunge una persona a Dio; quindi il soggetto di quella umanità è la seconda persona della Trinità; si vede che non funziona per la persona di Cristo l'opposizione sostanza-accidenti. La sostanza sarebbe Dio e l'umanità soltanto accidentale?).

L'individuazione per la persona è la massima perfezione, e non consiste nella limitazione della materia. Ciò è valido massimamente per Dio, e per Cristo, ma è vero anche per l'uomo che pur essendo individuato dalla materia, comunque non può spiegare il suo essere persona soltanto dalla individuazione data dalla materia. Siamo di fronte a un'unicità che non è soltanto uno di molti, ma è una perfezione irriducibile ad altro.

c) Ci sono due elementi che entrano nel concetto di persona, e non si possono togliere mai completamente da questa nozione: l'unità di un soggetto (anche nel caso dello Spirito Santo) e la relatività all'altro. Alcuni hanno chiamato questi due aspetti l'individualità e la socialità, come i due elementi che caratterizzano la persona, che la costituiscono; altri si oppongono fortemente a identificare soggetto-relazione con individuo-socialità, proprio per il rifiuto del termine individuo.

 

2. LA PERSONA NELLA TEOLOGIA CONTEMPORANEA

Possiamo cominciare il paragrafo sulla persona nella teologia contemporanea, cristologia e trinitaria, ma soprattutto trinitaria, nel nostro caso, per lo scarso tempo a disposizione, indicando tre aspetti importanti, che costituiscono tre esigenze profonde della riflessione contemporanea:

- L'unificazione del discorso sulla persona, sia per la teologia trinitaria, sia per la cristologia

- La duplice caratterizzazione della persona, come soggetto e relazionalità

- La considerazione della relazionalità nel senso attivo del termine, cioè secondo il secondo senso che abbiamo studiato.

Cerchiamo ora di presentare alcuni tentativi di presentare il concetto di persona nella teologia attuale.

2.1) Il personalismo e il suo influsso nella teologia

Non bisogna dimenticare il forte influsso della filosofia personalista, che parte dal concetto della irriducibilità del concetto di persona ad altro, e pertanto del carattere di assolutezza di questa realtà che chiamiamo persona, la quale rimane un mistero; quindi parte dal rifiuto di attribuire alla persona i concetti di sostanza e specialmente di essenza o natura e di individuo. Offriamo una breve presentazione dei concetti fondamentali del personalismo:

a) Il concetto di persona pretende di essere una categoria di pensiero originale rispetto alle categorie usate nella filosofia e anche nella teologia fino alla prima metà del nostro secolo.

Pur non rifiutando di pensare l'essere, la persona però non va pensata (per contrasto con altre realtà) come una sostanza, proprio perché non racchiude, non trattiene una parte dell'essere delimitata e definita, ma è in qualche modo "tutto": "la persona è sempre un tutto, non una parte; un tutto che ci proviene dal mondo interiore dell'esistenza, non dal mondo esteriore della natura". Per questo motivo essa non può essere conosciuta allo stesso modo degli esseri che possiamo oggettivare e delimitare in qualche modo: "essa non è un oggetto, non fa parte del mondo oggettivato che non la conosce. Si può dire che la persona non è di questo mondo: in essa incontriamo un "tu", non un oggetto". La persona però non rimane sconosciuta, anche se dobbiamo rinunciare a conoscerla come realtà oggettivabile: essa affiora e si dimostra "esserci" nei rapporti dell'io con il tu, con gli altri. E pur non essendo concettualizzabile è quello che conosciamo meglio, ma con una conoscenza intuitiva e piuttosto affettiva.

Sempre per contrasto, possiamo dire che la persona non è l'"io trascendentale", cioè il soggetto pensante della filosofia trascendentale, quale condizione a priori delle categorie del pensiero, costretto a rimanere entro i limiti della logica che egli stesso ha prodotto e rinchiuso in se stesso di fronte al mondo degli oggetti che sono la sua prigione. E neanche è semplicemente l'io in quanto "coscienza di sé", in senso ontologico ed in senso psicologico (la consapevolezza del soggetto di essere se stesso), perché la persona non è quella radice da cui proviene la pretesa, la velleità, il desiderio, il progetto, perché tutto questo è oggettivabile e oggettivato. La persona invece è realtà attuale e può essere soltanto avvenimento. E per questo motivo la sua caratteristica è quella della totale gratuità, dell'essere puramente dono che c'è. Nessuno può vantarsi di essere persona. La persona allora viene ad affiorare dall'io e nell'io, inteso come concentrazione di quello che è mio, ma è più radicale, è prima, ed è data come realtà non oggettivabile.

In questo senso il concetto di persona si differenzia anche dai concetti di "individuo" e di "sociale". Il concetto di individuo pur essendo indispensabile al concetto di persona, non esaurisce il suo significato, perché individuo indica molti altri esseri, anche non personali; sociale, almeno in certi modi di pensare, vuole indicare ciò che è descrivibile a livello di comportamenti generalizzati: in questo senso il concetto che esprime meglio le persone è quello di "comunione" o "comunità".

b) Infatti è nell'ambito della comunione, o meglio dell'amore che si attua e prende coscienza la persona. L'io è composto da una serie di elementi e aspetti che riconosce come suoi, e di cui si costituisce il centro, il gestore; ma il senso viene dato dalla persona, e ad essa quelli si riferiscono. Essa li riconosce come ambito di riferimento, se ci è concesso di esprimerci così, ma non come necessità che la esaurisce. Infatti essa si riconosce al di là di quelli. Si riconosce nella relazione con gli altri, nella comunione. La persona è un centro dinamico, e chi ce lo fa toccare è l'altro, non l'oggetto. La conoscenza dell'altro in quanto è un tu non può essere oggettivabile, ed è quindi piuttosto l'esperienza di una comunione, l'esperienza dell'amore. La percezione di questa comunione ci rende capaci di percepirci come persone. A quel livello non c'è manipolazione, non c'è dominio, non c'è oggettivazione, c'è soltanto l'amore e l'"esserci". Viene ad essere pienezza di valore, il valore di per sé, ma non imprigionabile.

c) Le manifestazioni privilegiate che mostrano la persona in atto, sono il rispetto, la responsabilità e soprattutto la disponibilità. Quest'ultimo concetto comprende gli altri due, e viene ad essere la caratteristica essenziale della persona: è l'attitudine a offrirsi alle circostanze che si presentano, sempre diverse, per offrire il dono del senso, un segno distintivo, un destino, il destino personale. Ecco allora che il ruolo della persona è essenzialmente creativo, perché è in qualche modo il principio del proprio essere.

d) Da quanto abbiamo detto viene fortemente alla luce che la persona è concepibile soltanto nel presente, hic et nunc. Riporta tutta la realtà al presente. Infatti il passato e il futuro sono soltanto nella mente, come concettualizzazioni. La realtà esiste al presente. Il dono e la gratuità sono soltanto al presente. Eppure la persona è capace di tirare verso il presente il passato e il futuro: il passato come "memoria" che è vissuta adesso; e il futuro come tendenza ad "esporsi" a dare il senso tramite l'"impegno". Ecco allora che la manifestazione concreta della persona nel campo dell'azione sarà soprattutto l'"azione profetica", la quale non rinunciando ad essere concreta, è segno ricco di significato, che trascende il gesto singolo.

e) La disponibilità creativa che caratterizza le persone avviene nella comunione, come abbiamo detto, e si colloca al di sopra del "mondo". Dobbiamo intendere questa creatività non soltanto come una "proiezione", ma come un superarsi, un movimento di trascendenza.

Qual'è il termine del movimento di trascendenza? Jaspers rifiuta di dargli un nome. Molti pensatori contemporanei parlano dei "valori" come realtà assolute, indipendenti dalle loro relazioni, e conosciute a priori (Scheler, Hartmann). Ma i personalisti non possono semplicemente abbandonare la persona a questi impersonali [...]. Il personalismo va fino in fondo: tutti i valori si raccolgono per esso nell'appello singolare d'una Persona suprema.

f) Il fatto che la persona è "tutto", e il suo ruolo di senso, il suo ruolo creativo, le conferiscono un particolare vincolo con Dio. Il rapporto dell'uomo con Dio, quindi, va ripensato in chiave personalista. La creazione stessa (stiamo parlando dell'atto divino) va ripensata sotto questa nuova luce: c'è una analogia molto "analoga", quando si parla di creazione di ciò che costituisce la "natura", e di creazione delle persone. In questo secondo senso per "creazione" si intende un far partecipare di sé in modo del tutto diverso e speciale; si tratta di un derivare molto particolare, che conferisce alle persone una certa "parità", appunto perché anche esse sono principio e creano. I racconti della creazione nell'Antico Testamento sembrano cogliere chiaramente questa differenza: Dio trasmette il suo soffio, il suo spirito all'uomo, lo fa partecipe di sé in qualche modo. La stessa tentazione del peccato originale, pur se orientata in senso egoistico, rivela comunque la pretesa di parità con Dio, che ha un contenuto in parte certo. Ogni sbaglio d'altro canto rivela sempre una parte della verità. Gli autori personalisti teistici, come abbiamo appena visto, colgono insieme alla percezione della persona la più chiara manifestazione del profondo legame dell'uomo con Dio: infatti l'assolutezza della persona, il suo essere tutto, come dono e gratuità, è partecipazione di Dio, suppone Dio, come "supra-persona" o "Persona suprema" che inaugura e compie la comunione. Gli sviluppi del rapporto con Dio apportati dal Nuovo Testamento, in chiave di salvezza, confermano chiaramente questa chiave di lettura personalista.

g) Concludiamo questa carrellata di punti sul personalismo, affermando che la visione personalista è molto accentuata nella cultura contemporanea, con il senso della dignità personale. Ma allo stesso tempo è anche molto forte il rischio di far prevalere la visione egocentrica, e quindi di cancellare e di calpestare la persona, e di ricacciare l'uomo nei fantasmi del passato o nelle immaginazioni oggettivate del futuro. La speranza per l'uomo di oggi sta sempre nel richiamo dell'amore, il quale è capace di riportare a un livello di gratuità la nostra esistenza.

2.2) La presentazione della persona nella teologia contemporanea

2.2.1) La concezione di persona in Karl Rahner

La concezione della persona in K. Rahner dipende dalla sua presentazione di Dio. Egli cerca di considerare Dio come autocomunicazione. In questo senso focalizza tutta la sua riflessione su Dio intorno al rapporto Dio-uomo. Questa prospettiva ha il grande vantaggio di unificare la teologia e la cristologia, in quanto Cristo diventa il luogo privilegiato di questa autocomunizione di Dio. E vi è anche un recupero del rapporto con la storia, in quanto essa viene capita come il modo di questa autocomunicazione. Tutta la storia e tutta l'umanità acquista importanza, e la maggiore concentrazione della manifestazione di Dio nella storia è Cristo, il quale è una sorta di anticipazione, nella storia stessa dell'autocomunicazione di Dio. Unisce pertanto la Trinità economica a quella immanente, secondo il suo conosciutissimo assioma fondamentale: "la Trinità economica è la Trinità immanente e reciprocamente (umgekerhrt)".

In coerenza con la sua presentazione di Dio Rahner propone di utilizzare al posto del termine "persona" l'espressione: "modi distinti di sussistenza". La sua proposta rimane comunque limitata e non sembra essere riuscita a risolvere proprio le istanze di natura kerigmatica che lo avevano motivato.

La presentazione di Dio proposta da Rahner si inserisce nella linea delle presentazioni così dette "psicologiche", al modo di un unico e universale Io che si svela e si comunica. Da qui la giustificazione della sua definizione delle persone come "modi distinti di sussistenza".

2.2.2) La concezione di persona in Jürgen Moltmann: avvenimento nella storia

J. Moltmann propone un altro punto di partenza nella presentazione di Dio, che vuole evitare proprio una presentazione psicologica. Nello spirito di una maggiore attinenza al Nuovo Testamento, attribuisce molta importanza alla storia, e cerca di studiare Dio in rapporto alla storia, come autore e creatore di storia. Dio è il primo creatore di storia, in quanto è fonte di libere relazioni. Propone pertanto la "teologia narrativa": una teologia che interpreta i fatti, frutto dei rapporti delle persone divine libere. Le persone di Dio allora acquistano, in questa visione, una rilevanza molto accentuata.

Esse sono considerate come tre soggetti in reciproca relazione e rapporti liberi. La loro unità viene vista esclusivamente come comunità e comunione. L'evento o luogo privilegiato dove si racconta Dio, nei rapporti trinitari, è la croce; colà si mette in evidenza quel gioco di rapporti, di abbandoni e di riunificazioni, che fanno la storia di Dio e che coinvolgono anche la nostra storia. La croce prima di essere storia per l'uomo, è anzitutto storia di Dio stesso, delle persone divine. Egli è molto chiaro:

Ma che senso avrà allora parlare di 'Dio'? Io penso che si possa qualificare - in modo per così dire supplementare- come 'Dio' l'unità di quella storia dialettica e ricca di tensioni che è stata vissuta dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo sulla croce del Golgotha. In questo caso la teologia non interpreta più l'avvenimento della croce nel contesto e in nome del concetto di Dio presupposto da una metafisica e morale (...) ma evolve proprio da questa storia ciò che va compreso con il termine 'Dio'. Chi parla cristianamente di Dio deve narrare la storia di Gesù come storia verificatasi fra il Figlio e il Padre. Ma allora con la voce 'Dio' non si intende un'altra natura o una persona celeste, o una istanza di tipo morale, ma in effetti un 'avvenimento'. Solo che non si tratta di un avvenimento verificatosi nel contesto delle nostre relazioni interumane, bensì dell'avvenimento del Golgotha, dell'avvenimento dell'amore del Figlio e del dolore del Padre, dal quale scaturisce lo Spirito che apre al futuro e crea la vita. Non esiste allora un 'Dio personale'? Se per 'Dio' s'intende un avvenimento, lo potremmo ancora pregare? Non si può pregare un 'avvenimento'! In effetti non esiste un 'Dio personale' nel senso di una persona che si proietta nel cielo. Esistono invece persone in Dio: il Padre, il Figlio e lo Spirito. Così non si prega semplicemente Dio, quasi fosse un Tu celeste, ma si prega in Dio. Non si prega un avvenimento, ma in questo avvenimento. Nella fraternità di Gesù l'orante trova accesso alla paternità di suo Padre e riceve lo Spirito della speranza. Il nuovo testamento distingue molto nettamente, nella preghiera cristiana, tra il Figlio e il Padre. È una distinzione che dovremo tenere presente anche oggi, per non continuare a parlare di 'Dio' in modo tanto indifferenziato e spalancare così le porte all'ateismo.

I. U. Dalferth, in un recente congresso e pubblicazione sulla situazione della teologia trinitaria attuale nell'ambiente della riforma, pone domande interessanti a Moltmann: "La stessa Trinità è vista nei termini di un coinvolgimento di Dio con il divenire storico, e (...) Moltamann si spinge così oltre in questo senso fino a negare una definitiva taxis fra le persone , in favore di una Trinità che può essere colta 'in ogni ordine' (in tutte le direzioni)". Tale impostazione, continua Dalferth, ha portato Moltmann a mortificare il ruolo dello Spirito Santo, poiché il rapporto reciproco sulla croce tra il Padre e il Figlio era visto come il creatore dell'avvenimento Dio. Di fronte a questa obiezione Moltmann si difende, facendo intervenire nella storia della croce anche lo Spirito Santo e postulando una kenosis dello Spirito Santo, e un peculiare concetto di pericoresi. Ecco alcune sue espressioni:

Abbiamo compreso la 'storia della salvezza' come 'la storia del Figlio' di Dio Gesù Cristo. Abbiamo compreso questa storia come la storia trinitaria di Dio nella cooperazione dei tre soggetti Padre, Figlio e Spirito Santo, e l'abbiamo interpretata come la storia delle relazioni comunionali e trinitarie divine. La storia del Figlio non viene attuata da un unico soggetto e così pure la storia divina non può essere attuata da un unico soggetto. Per cui dovremmo concepire il Dio Uno e Trino come il 'fondamento trascendente' di questa storia trinitaria di Dio, per lodarlo, esaltarlo e conoscerlo com'egli in realtà è. La dottrina trinitaria che noi sviluppiamo non è dunque evoluta in chiave psicologica, ma storico-salvifica e sociale.

La riduzione della Tri-Unità ad un unico soggetto identico, benché triplice, non rispecchia la storia trinitaria di Dio. La riduzione di tre persone a tre modi di sussistere dell'unico Dio non può illuminare la storia di salvezza in tutte le relazioni trinitarie comunionali ed aperte di Dio. Noi abbiamo compreso l'unità della storia trinitaria di Dio come l'unificazione aperta ed unificante delle tre persone divine nelle loro reciproche relazioni. Se questa unità unificante del Dio Uno e Trino è sinonimo di salvezza, non possiamo poi vedere il suo 'fondamento trascendente' in un'unica sostanza omogenea di Dio e nemmeno nell'unico soggetto assoluto ed identico, ma nella pericoresi eterna del Padre, del Figlio e dello Spirito. La storia delle relazioni comunionali trinitarie di Dio rispecchia la pericorsi eterna della Trinità. Questa storia trinitaria infatti non è altro se non la pericoresi eterna del Padre, Figlio e Spirito Santo nella sua istituzione salvifica, cioè nella sua disponibilità ad assumere ed unificare la creazione intera. La storia di salvezza è la storia di quel Dio Uno e Trino eternamente vivo che ci accoglie nella sua vita trinitaria e nella ricchezza delle sue eterne relazioni.

Il testo illustra bene il pensiero di Moltmann e il suo concetto di pericoresi. È significativo che egli non dica: "abbiamo compreso l'unità di Dio"; ma dica invece "abbiamo compreso l'unità della storia trinitaria di Dio".

Il modo di vedere Dio come avvenimento e le persone come libertà, porta infine Moltmann a modificare il senso del Filioque, come fa osservare John Thomson: "Moltmann, tuttavia aggiunge una distinzione speculativa a questo punto parlando di 'esistenza' e 'forma. Egli presenta una formula che recita così: 'Lo Spirito Santo che procede dal Padre del Figlio e riceve la forma dal Padre e dal Figlio'. Ciò sembra voler dire che l'essere dello Spirito, la sua divinità, è dal Padre soltanto, mentre la sua persona è dal Padre e dal Figlio - quindi una visione modificata del Filioque. Ciò è dubbio teologicamente".

Per Moltmann Dio non sarebbe pienamente se stesso se non soltanto alla fine della storia; e il male e la sofferenza del mondo diventano per lui un passaggio per arrivare alla sua realizzazione: "Non c'è dubbio che la Trinità nella sua visione è un avvenimento in evoluzione tra tre divini soggetti e il mondo e che ciò lega Dio alla sua relazione con il mondo e rende il mondo un fattore contribuente a completare la natura di Dio".

La visione di Dio come avvenimento, come storia ha avuto un riscontro nella

riflessione di altri teologi, anche in ambiente cattolico. Dobbiamo fare menzione specialmente di W. Kasper e di B. Forte. Essi distinguono fra una storia divina, che viene ad essere la "comunione trinitaria", il "dialogo eterno" fra le persone divine, secondo l'ordine rivelato e una storia umana. La storia umana è l'ambito privilegiato in cui la Trinità si svela come storia, anche se non esaurisce tutta la storia divina nella storia umana. Il momento culminante della storia che diventa rivelazione, il momento di massima coincidenza, se ci è concesso esprimerci in questo modo, è il mistero pasquale, la croce.

Sulla teologia della croce, in ambito cattolico, è intervenuto anche von Balthasar.

2.2.3) La concezione di Pannenberg

Wolfarth Pannemberg ricerca una soluzione differente nella sua Teologia Sistematica. Egli parte dal concetto di autorivelazione di Dio, e postula il principio di "auto-differenziazione" o "auto-distinzione". Quando Gesù Cristo, specialmente sulla croce coglie la sua "auto-distinzione" dal Padre rivela il Padre e rivela se stesso come eternamente in relazione al Padre, e rivela quindi la auto-distinzione" del Padre dal Figlio. Si dice che questa presa di coscienza è la rivelazione della realtà. Lo Spirito Santo viene alla luce, alla coscienza successivamente, nell'evento della resurrezione.

La visione di Pannenberg ha il merito di descrivere le tre persone divine come tre centri di attività dipendenti reciprocamente, e non soltanto come tre modi di sussistenza di un unico centro di attività. La loro interdipendenza fa riferimento alla monarchia del Padre, alla sottomissione, che però deve passare per il travaglio della presa di coscienza e della accettazione da parte del Figlio e dello Spirito Santo. La storia del mondo serve proprio per arrivare a stabilire il Regno dell'unico vero Dio. Una visione pertanto escatologica. Questa visione ci mostra una trinità riunita nella sua finalità.

2.2.4) La persona come il "luogo" della comunione

Questa posizione è sostenuta in primo luogo da Karl Barth. Egli parte dalla considerazione di una disuguaglianza presente in Dio. Dove c'è disuguaglianza si crea uno spazio. E questo è quanto avviene fra il Padre e il Figlio. E questo spazio viene colmato dallo Spirito Santo.

Tale riflessione viene assunta in ambito cattolico da H.U.von Balthasar, il quale però coglie ancora meglio l'aspetto dinamico della persona. La persona è vista nella sua libertà, in un triplice movimento: il dare tutto, il ritirarsi per creare lo spazio necessario all'esistenza dell'altro, il riunirsi con l'altro in quello spazio che diventa comune, luogo comune, nella reciprocità. In quello spazio non c'è un vuoto, ma è occupato dall'amore, dal legame, che riunisce, e nel quale si riuniscono i due. Dice von Balthasar che nello spazio infinito creato tra il Padre e il Figlio, abbiamo lo Spirito Santo, che è l'amore che li riunisce: non soltanto come vincolo di amore, ma come luogo della comunione, laddove l'uno sta nell'altro. Si descrive questa comunione anche come un "abbraccio" in cui si comprendono l'uno nell'altro. In questa visione torniamo al concetto di "pericoresi". Per von Balthasar non è indifferente lo studio della patristica greca e l'influsso della teologia ortodossa contemporanea.

Proveniente dalla teologia orientale ortodossa contemporanea infatti, si è sviluppata anche in campo cattolico una concezione della pericoresi da un punto di vista pneumatologico. La teologia orientale mette in evidenza l'esperienza dello Spirito Santo nella vita spirituale del cristiano: la comunione con Dio è realizzata nello Spirito Santo. Questo collegamento con la vita spirituale ha aiutato anche la teologia occidentale a una concezione dello Spirito Santo più dinamica e attiva, e ha favorito l'accesso da parte di vari teologi occidentali a un'immagine di Dio "più comunionale–personale e meno sostanzialista". Nella teologia occidentale l'apporto venuto dall'oriente viene sostenuto con categorie di pensiero che si rifanno al personalismo. La concezione storica, a cui abbiamo accennato, fa scaturire la distinzione delle persone divine da una intrinseca dialettica storica che si ricongiunge in una unione, la quale supererebbe l'opposizione.

Secondo la presente concezione invece la distinzione è dovuta alle persone stesse, per il fatto di essere loro stesse; l'unità allora proviene dalla intrinseca attitudine delle persone alla relazione e alla unione all'altro, cioè alla comunione.

I contributi di autori come Mühlen, Congar, von Balthasar, hanno permesso un avvicinamento fra le posizioni occidentali e orientali riguardo la "personalità" dello Spirito Santo. Se prevale infatti il modello inter–personale, lo Spirito Santo non è soltanto il vinculum amoris del Padre e del Figlio, ma colui che fa spazio alla mutua in–esistenza, alla pericoresi tra Padre e Figlio "il cui essere se stesso si realizza nell'altruistico render possibile la mutua in–esistenza". Lo Spirito Santo, possiamo oggi con più facilità affermare, è l'amore che fa spazio e collega, si supera a sua volta, egli è colui che rende un tutt'uno l'essere-nell'altro-presso-se-stesso.

Nella riflessione di von Balthasar, la distanza fra il Padre e il Figlio, quel secondo movimento che manifesta le persone, mette in evidenza il ritirarsi del Padre, e quindi anche una sua kenosi, intra-trinitaria. Viene anche detto che nella infinita distanza tra il Padre e il Figlio c'è spazio per tutta la creazione, la quale viene abbracciata nell'unico grande abbraccio fra il Padre e il Figlio nello Spirito Santo.

La contemplazione trinitaria è ben integrata alla Cristologia di von Balthasar, il quale coglie il dinamismo di questa comunione anche nella esistenza storica di Cristo, cioè nella incarnazione. L'incarnazione mette in evidenza la missione del Figlio, l'essere inviato, ma questo non elimina l'elemento della libertà nell'amore, ma anzi proprio nell'obbedienza lo esalta maggiormente, evidenziando l'esistenza dell'amore che accomuna Padre e Figlio e che è lo Spirito Santo. Il fatto che l'incarnazione sia per opera dello Spirito Santo, dimostra la piena comunione precedente tra Padre e Figlio, la cui espressione è lo Spirito, e quindi l'assoggettamento del Figlio nella incarnazione a quest'amore. Così si esprime lo stesso von Balthasar: "Ma obbedienza significa: non disporre da sé bensì lasciarsi disporre. Ora, essendo questo lasciarsi disporre di Gesù originario quanto la sua autocoscienza, già la sua incarnazione nella natura umana può essere bensì libera e volontaria, ma non il risultato di un'autodisposizione. Nella libertà dell'accettazione della missione il Figlio che obbedisce può essere interamente una cosa sola con il Padre che invia; ma dove emerge la differenza tra disporre e obbedire, compare necessariamente anche una mediazione compensativa tra il Padre e il Figlio, che non può essere che propria dello Spirito Santo".

Nella incarnazione la persona dello Spirito ha un ruolo attivo, mentre il Figlio soltanto passivo. Questo dimostra che la docilità del Figlio all'amore e all'unione con il Padre. In effetti tale passività apparente significa una impegno molto maggiore della persona per la comunione.

Sulla croce il rapporto fra Padre e Figlio perde perfino i connotati della bellezza della comunione di amore, e quindi sembra venire meno lo Spirito Santo. Nella forza del dovere da realizzare, il Figlio viene richiamato alla sua libera volontà. E anche lo Spirito Santo viene richiamato alla sua libera volontà di essere la comunione dei due. Il richiamo del Padre alla comune spirazione dello Spirito, là dalla croce, è fortissima. E allora il Figlio spira lo Spirito Santo della comunione con il Padre, nel quale veniamo, in un abbraccio più ampio, compresi tutti noi.

2.2.5) La "persona" a partire dall'unità.

La persona viene colta come "essere in comunione con altri". Il punto di osservazione è eminentemente dinamico: l'origine di ciascuno è dalla e nella comunione con gli altri; la realizzazione di ciascuno è nella comunione con gli altri, nell'amore. Il punto che impedisce essere persona è proprio l'isolamento, l'egoismo, che mette barriere e impedisce la comunione. Quindi si postula un superamento, anche culturale, della visione della libertà e del soggetto come individuo e "autoaffermazione".

Questa posizione pretende proprio di partire dal modello trinitario come punto di riferimento per tutte le persone, cioè anche per capire la realtà umana.

Bisogna riconoscere una percezione molto acuta di alcuni aspetti della condizione della persona, soprattutto riguardo alla storicità. Tale sistema rielabora il concetto di creaturalità nel senso di "venire da", con una conseguente attenuazione della diastasi, o limite, o separazione, fra Dio e le creature, anche spirituali. Sono sostenitori di questa visione Mons. Klaus Hemmerle, Piero Coda, Mario Serretti, fra altri. Siamo coscienti comunque, in questo caso, di trovarci di fronte a una ricerca in fase di elaborazione e pertanto rimangono ancora molti punti oscuri.

3. CONCLUSIONI

3.1) In primo luogo proporrei di fare attenzione a quei punti che ho sottolineato nella parte storica:

- l'apporto della nozione di persona alla espressione della fede sullo Spirito Santo;

- l'adeguatezza quasi misteriosa di questo termine per certi versi impreciso, per esprimere concetti importanti della fede come l'identità di Cristo e la Trinità;

- l'approfondimento dei due filoni di pensiero sulla nozione di relazione, uno dei quali viene a subire un forte influsso del concetto di persona. Si potrebbe forse ipotizzare che il dire che la persona è la relazione è stato possibile grazie a quel meccanismo mentale che ha interpretato il concetto di relazione nel senso di quello di persona; quindi saremmo forse di fronte a una espressione tautologica, il che confermerebbe la misteriosità della persona.

- Finalmente conviene evidenziare le difficoltà di definire il concetto di persona secondo le categorie classiche, anche da parte dei grandi autori scolastici. Considero di grande utilità un approfondimento di queste tematiche per una più profonda concezione della persona.

3.2) In secondo luogo metterei bene in risalto l'evoluzione della nozione di persona sotto l'influsso della filosofia personalista. Si tratta di mettere al servizio della rivelazione la ricchezza di questa presentazione della persona. Possiamo certamente affermare che né la rivelazione, né la tradizione teologica sono del tutto estranee a tale evoluzione del concetto di persona, anche se le ragioni sono di ordine prevalentemente storico e filosofico.

3.3) In terzo luogo penso che ci dobbiamo porre la domanda in relazione al tema del nostro congresso sul Cristocentrismo nella teologia contemporanea: la nozione di persona come viene utilizzata nella riflessione teologica contemporanea favorisce lo sviluppo del Cristocentrismo? Mi sembra che la risposta debba essere senza dubbio positiva, anche se rimangono aperte questioni non ben risolte.

Nella visione classica e della tradizione, penso che il Cristocentrismo è giustificato dalla contemplazione dell'unità tra il Padre e il Figlio, e quindi con una prevalente considerazione escatologica, poiché quel Figlio, che è nel seno del Padre e al quale si unisce l'umanità intera radunata sotto il suo governo, diventa la speranza del mondo. Nella visione contemporanea la riflessione sulla persona favorisce prima di tutto la considerazione della reale comunione attuale fra Cristo e noi uomini. E questo è un punto di grande rinnovamento della teologia stessa, la quale ha la possibilità di partire dalla reale comunione con il Signore attualmente realizzata. Senza dubbio ciò porta a sottolineare gli aspetti comunionali del mistero di Cristo, della chiesa, dei sacramenti; nell'ambito della morale mette in evidenza il primato dell'amore.

Ci sono due campi che si aprono da questa impostazione iniziale: la necessità di scoprire a fondamento della comunione della chiesa con Cristo la comunione stessa della Trinità; e la storia. Riguardo al primo punto lo sviluppo della riflessione è progredito notevolmente, proprio perché si riscontrano nella Trinità notevoli convergenze intorno al concetto di comunione che caratterizza le persone.

Riguardo al secondo punto, quello della storia, mi sembra che si possono fissare già alcuni punti fermi: la manifestazione delle persone divine nel loro mistero trinitario trova il suo momento privilegiato nel mistero pasquale: la croce, la resurrezione e la pentecoste. Questi avvenimenti vengono ad essere il luogo della manifestazione di Dio, e delle persone divine.

Ma il cristianesimo mi sembra che pone alla storia quesiti ancora non risolti del tutto. Mi sembra che il cristianesimo sia in grado di dare un apporto molto valido alla concezione personalista per la sua visione sulla storia e probabilmente ciò costituirà un fattore di profonda maturazione della concezione personalista. Il personalismo tende a vedere la storia come il campo della libertà, laddove la persona è avvenimento, presente sempre rinnovato. Eppure questa storia nel caso di Cristo non è solamente un presente, ma rimane come una norma, un punto fisso per il presente che si sussegue ininterrottamente: è un presente che però recupera il passato concreto e parte da esso. In questo senso il presente avrà sempre un punto di riferimento che precede la libertà dell'avvenimento. C'è chi ha detto che questa dimensione di Cristo nella sua storicità oggettiva, va colta come un anticipo del compimento.

Questo discorso coinvolge naturalmente anche Dio. La libertà delle persone divine, nel manifestarsi della storia, non possono essere colte con una libertà indefinita, ma secondo una storia precedente, o una "metastoria divina". Mi sembra che Mons. Kasper ha colto molto bene la profondità di questo punto: "Queste relazioni personali sono reciproche, non però interscambiabili. Il Padre è soltanto colui che parla, il Figlio colui che nell'obbedienza risponde; il Padre per mezzo del Figlio e con il Figlio insieme è colui che dona, e lo Spirito Santo è colui che solo riceve. Nella sua risposta dunque il Figlio non è colui che parla, né lo Spirito colui che dona". Dunque le relazioni debbono attenersi alla rivelazione, e quindi tornare all'ordine e alla taxis, e quindi alle processioni. L'ordine imposto dalle processioni viene ad essere la luce che può apportare una via di uscita al dilemma fra la libertà e la storia, e quindi illuminare una più precisa comprensione delle persone nella storia, sia in riferimento alla Trinità, sia in riferimento a Cristo, sia in riferimento all'uomo. Le processioni infatti da un punto di vista economico, cioè della storia, corrispondono alle missioni, le quali determinano e rendono possibili le libertà ed il loro esprimersi nell'avvenimento della loro comunione. Il Cristo è l'inviato, colui che riceve la missione dal Padre e la compie pienamente. I cristiani ricevono in Cristo, dal Padre, l'identità e la missione.

Possiamo allora cogliere l'autenticità dell'esigenza espressa dal gruppo che vede la persona a partire dall'unità: esiste una comunione che precede la libertà e la rende possibile, e diventa generatrice di libertà per la comunione? Mons. Hemmerle propone di ritornare a un'antropologia agostiniana non basata sul binomio intelletto e volontà, ma sulla terna di facoltà, memoria, intelletto e volontà, in modo da sottolineare la precedenza della comunione che rende possibile la memoria, rispetto agli atti tipici della libertà, cioè l'intelletto e la volontà.

Al riguardo richiamiamo l'attenzione sulle riflessioni di von Balhasar a proposito dell'incarnazione e della croce a proposito di quello che chiama "inversione trinitaria" nella storia, cioè la precedenza dell'amore di comunione (lo Spirito Santo), il quale si esprime come esigenza di fedeltà nell'evento storico. Una storia di Cristo dunque, kairos definitivo (secondo l'espressione di Cullmann) e "luogo in cui si decide l'intera questione di Dio" (secondo Kasper); e anche una storia dei Cristiani. Ma proprio perché è cristocentrica è una storia della effusione dello Spirito Santo, dalla fedeltà della obbedienza sulla croce; una storia di Cristo che vuole lo Spirito dell'amore e una storia dello Spirito che accetta di venire.

Attenendoci alla rivelazione vediamo dunque che la storia di Cristo è l'esercizio della libertà nel senso dell'amore liberamente realizzato nel seno della pericoresi trinitaria. C'è dunque una prima libertà che trascende la storia, una radice che rende possibile la libertà storica e quindi la storia di Cristo. Noi non abbiamo una radice eterna, siamo creati. Allora la nostra libertà e la nostra storia hanno la loro condizione di possibilità nell'atto di affidamento a Cristo, cioè a colui che ha questa radice eterna.