1° Domenica di AVVENTO 29 Novembre 1998

Prima: Is 2,1-5; seconda: Rom 13,11-14; Vangelo: Mt 24,37-44

 

 

NESSO logico tra le LETTURE

All'inizio dell'avvento, è giusto che la parola chiave di questa prima domenica sia venuta. Il testo evangelico fa parte del grande discorso sulla seconda venuta di Gesù (Mt 24-25). Nell'oracolo messianico di Isaia si proietta lo sguardo profetico verso il futuro, il cui compimento storico si è verificato in Gesù Cristo, soprattutto nella sua passione, morte e resurrezione in Gerusalemme, e si vaticina che ad essa affluiranno tutte le nazioni, verranno popoli numerosi e diranno: venite, saliamo al monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe. Alla fine Paolo esorta i fedeli di Roma a rivestirsi di Cristo perché la notte è molto avanzata, e il giorno già viene.

MESSAGGIO DOTTRINALE

Nel contesto dell'avvento la Chiesa, nella liturgia di oggi, pone davanti ai nostri occhi la grande realtà della venuta di Dio tra gli uomini. Si tratta di una venuta promessa nell'Antico Testamento, e che è servita, al popolo di Israele e a tutti i popoli, come preparazione per la buona novella dell'Emanuele, di Dio con noi. Si tratta principalmente di una presenza di Dio, una venuta realizzata in Gesù di Nazaret, che è allo stesso tempo giudizio e salvezza, condanna del peccato e donazione della vita nuova in Cristo. Questa venuta si attualizza, anno dopo anno, nella liturgia della Chiesa. È infine una venuta futura, il cui tempo ignoriamo, perché appartiene all'arcano mistero di Dio (Vangelo). Per ciascun uomo questa seconda venuta si fa concreta al momento di morire, momento in cui egli si incontra con Cristo salvatore e giudice.

La venuta promessa e realizzata deve riempire di gioia il cuore del cristiano. Detta venuta, in effetti, ci parla della salvezza che Cristo ha portato a tutti gli uomini. La fede cristiana ci insegna, nonostante la realtà che appare ai nostri occhi, che i popoli camminano, nel modo conosciuto solo da Dio, verso Cristo, alla ricerca di significato e di salvezza (Prima lettura). Qui è il vero fondamento dell'ottimismo e dell'apostolato cristiano. La venuta futura, da parte sua, reclama dal cristiano, innanzitutto, una fede sincera nella realtà di questa stessa venuta, indipendentemente dal momento storico della sua realizzazione; inoltre, una profonda attitudine di vigilanza. L'analogia con il tempo di Noè e con il ladro che assalta una casa (Vangelo) è un ardente invito alla vigilanza cristiana, e, con essa, a non lasciarsi ingannare dai richiami del mondo e del tempo presente, a volte tanto estranei al sentire e all'agire propri del credente in Cristo. Perciò, san Paolo (Seconda lettura), in attesa della seconda venuta, oltre a lasciare le tenebre del peccato, invita a vivere nella luce, a rivestirsi di Cristo per far parte del suo corteo, quando Egli verrà.

 

 

 

SUGGERImenti PASTORALI

Dio vuole che tutti si salvino, e, in Cristo, ha chiamato tutti gli uomini e i popoli alla salvezza. Invitiamo a valutare, pertanto, tutto ciò che di buono, giusto e santo c'è in ogni uomo, indipendentemente dalla sua razza, cultura e religione. San Tommaso d'Aquino insegna che "Ogni verità, chiunque la dica, proviene dallo Spirito Santo". Mantenendo la propria identità, essere anche aperti al dialogo con gli altri fratelli cristiani o con i compagni di lavoro e gli amici appartenenti ad altre religioni non cristiane. Essendo la Chiesa sacramento di salvezza, dobbiamo sentirci impegnati in prima persona nell'azione missionaria e apostolica della Chiesa ad intra e ad extra. Il tempo di avvento e di Natale è molto propizio per tutto ciò: "E' nato per noi un Salvatore".

La vigilanza è una virtù eminentemente cristiana. La dobbiamo praticare di fronte alle attrazioni e alle sollecitazioni dell'ambiente in cui viviamo, e di fronte alle passioni che si annidano nel nostro cuore e che ci inclinano verso la terra invece di elevare il nostro sguardo al cielo. Vigilanza anche dei pastori sulle proprie "pecore" per dirigere tutti verso buoni pascoli, per far tornare quelle che si sono allontanate, per curare quelle malate, per alimentarle tutte con il pane della Parola e il pane dell'Eucarestia. Vigilanza dei genitori sui propri figli per indirizzarli per la strada del Vangelo e dare loro una solida formazione cristiana. La fede nella seconda venuta di Cristo fonda un'etica cristiana, sommamente esigente e impegnata nell'educazione dell'uomo e nella costruzione di una società sempre più degna e accogliente.

 

 

2a Domenica di AVVENTO 6 Dicembre 1998

Prima: Is 11,1-10; seconda: Rom 15, 4-9 Vangelo: Mt 3,1-12

 

 

NESSO logico tra le LETTURE

Lo Spirito è il concetto presente nella liturgia e unificatore della stessa. Si tratta dello Spirito non in sé, ma riferito al Messia, la cui venuta prepariamo e il cui arrivo celebriamo nel Natale. Sul Messia, germoglio del trono di Iesse, riposerà lo Spirito del Signore. Sarà il Messia che battezzerà in Spirito e fuoco. San Paolo presenta a nostra imitazione l'esempio di Gesù Cristo, che si donò sia ai giudei sia ai pagani e così infuse in tutti un solo cuore. Questa parenesi paolina termina così: "Che lo Spirito Santo, con la sua forza, vi ricolmi di speranza". Una speranza, imperfettamente soddisfatta nel Natale, pienamente soddisfatta nella seconda venuta del Signore.

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

San Giovanni Battista ci ricorda una realtà meravigliosa. Siamo stati battezzati con Spirito santo e fuoco. Ravvivare nell'avvento la spiritualità battesimale può esserci di molto frutto. Tramite il battesimo siamo stati costituiti tempio dello Spirito Santo e siamo stati incendiati dal fuoco dello Spirito per la missione. Per essere templi e fuoco dello Spirito si richiede la conversione continua ai valori del Regno, ed essere, già da adesso e nel giorno del giudizio, grano di frumento e non paglia che si brucia al fuoco.

Quali sono i valori del Regno, apportati dal Messia, a quegli uomini che sono esortati a convertirsi?

 

a) L'autentica giustizia, non basata su apparenze né su cose conosciute per sentito dire, ma in verità (Prima lettura).

b) La vera pace, opera del Messia, che trasforma la natura e agisce sul cuore degli uomini (Prima lettura), affratellando giudei e pagani nella lode a Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo (Seconda lettura).

c) La speranza nella perseveranza e nella consolazione che danno le Scritture, dove l'uomo trova tutto ciò che Dio ha voluto rivelare per la sua salvezza (Seconda lettura).

d) Una esistenza vissuta dando frutti, perché l'albero che non darà frutto sarà tagliato e gettato nel fuoco. Il Battista è modello di questo stile di vita: uomo distaccato e austero nella sua vita personale, predicatore infaticabile della verità di Dio e della conversione, precursore del Messia, a cui spiana il cammino (Vangelo).

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Prepararsi al Natale, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo. La liturgia domenicale è un momento opportuno per inculcare nella coscienza cristiana l'azione invisibile ma reale dello Spirito, la sua presenza nell'anima per mezzo della grazia, la sua efficacia nello sviluppo e nel progresso della vita spirituale. Momento ugualmente opportuno per invitare i cristiani a stare attenti alla voce dello Spirito che ci parla mediante gli avvenimenti della vita, le situazioni personali, le persone conosciute o amiche, le pagine di un libro, i mezzi di comunicazione sociale o la natura stessa. Momento opportuno, allo stesso modo, per accettare e obbedire allo Spirito con docilità e prontezza. È lo Spirito di Dio colui che meglio ci può preparare per vivere nel modo migliore il mistero della incarnazione e della nascita di Gesù Cristo.

I valori del Regno forse a prima vista ci sorprendono; ci risultano tropo elevati per essere creduti e realizzati in una società e in un ambiente dove esistono e vigono valori opposti, e, se non opposti, almeno molto diversi. Tuttavia, ci sono molti uomini e donne che già vivono questi valori, che reggono su di essi la propria esistenza, il proprio agire e comportamento. Pensiamo a tanti laici, religiosi e sacerdoti che vivono santamente! E' molto probabile che molti tra i nostri stessi fedeli già li possiedano, o si sforzino per convertirsi ogni giorno ad essi... Si devono sostenere questi sforzi, promuovere questi valori, lavorare con impegno perché tutti gli uomini se ne lascino conquistare. Nella misura in cui si porterà a compimento una conversione sincera ai valori del Regno, il nostro ambiente, la nostra parrocchia...cambierà e migliorerà.

 

L'Immacolata Concezione di MARIA 8 Dicembre 1998

Prima: Gen 3,9-15.20; seconda: Ef 1,3-6.11-12. Vangelo: Lc 1,26-38

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

L'iniziativa divina, piena di amore e di misericordia, sembra essere il tema unificatore. Nella prima lettura è Dio che domanda e che decide il castigo di fronte al peccato dell'uomo, e che promette la salvezza. La promessa fatta ad Adamo ed Eva nel paradiso, Dio la porta a compimento in suo Figlio, che accetta di incarnarsi e di essere il nuovo Adamo, e la realizza anche in Maria, che accetta di essere la madre di Dio e la nuova Eva (Vangelo). Con la venuta di Cristo al mondo, il Padre ci ha benedetto con ogni sorta di beni spirituali (Seconda lettura). Ogni iniziativa, nel disegno divino di salvezza, proviene dal Padre, e in Lui giunge anche al suo ultimo fine.

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

Peccato e salvezza sono presenti in tutte le religioni, perché sono presenti nel fondo stesso del cuore umano. Chi all'interno della propria coscienza si percepisce peccatore (con questo termine o con altri, ciò che conta è la realtà) è bisognoso di salvezza. Questa esperienza universale trova il suo paradigma e il suo fondamento nel racconto della prima lettura. L'uomo ha voluto essere Dio e, nel suo tentativo, l'unica cosa che ha ottenuto è rendersi conto del fatto che è "soltanto uomo", e che un disordine si è introdotto nelle sue relazioni con Dio, con Eva e con la creazione. Il volere essere "come Dio", la "morte di Dio" nel cuore, si trasforma nella morte dell'uomo. I capitoli 4-11 della Genesi, e in generale i libri dell'Antico Testamento, parlano di questa presenza, espansione e forza distruttrice del peccato.

Ma Dio è Padre, e guarda l'uomo con amore di Padre. Fin dagli inizi stessi del peccato di Adamo, Dio prende l'iniziativa di trovare le strade per offrirgli di nuovo la salvezza. Nel racconto della Genesi si trova una promessa che avanza verso il suo compimento in Noè, Abramo e i patriarchi, Mosè e il popolo di Israele..., e che raggiunge la sua pienezza nell'annuncio dell'angelo a Maria: "Concepirai e darai alla luce un figlio, al quale porrai nome Gesù (cioè, Salvatore)" (Vangelo). Una salvezza che, secondo san Paolo agli Efesini (Seconda lettura), comprende questi aspetti:

a)Essere il suo popolo eletto, la comunità che Dio salva e in cui offre a tutti gli uomini la salvezza.

b)Essere figli adottivi per mezzo di Gesù Cristo. Da schiavi del peccato, figli di Dio nella libertà e nell'amore.

c)Essere un inno di lode alla sua gloria. Salvato dal peccato, l'uomo non invidierà Dio, e, libero dalla sua ansia di superuomo, sarà felice lodando e glorificando Dio.

Maria, l'immacolata, colei che nella sua nascita, per i meriti di suo Figlio, ha ripetuto l'esperienza 'originaria' di Adamo ed Eva. Perciò la Chiesa, illuminata dallo Spirito, ha visto Maria nella donna che ferisce la testa del serpente (Prima lettura), e ha visto realizzata questa promessa profetica nel momento dell'annunciazione dell'angelo a Maria (Vangelo). Il 'sì' di Maria alla volontà di Dio corrisponde al 'no' di Eva al precetto divino, e in questo modo, in intima unione con suo Figlio, Maria contribuisce alla salvezza della sua discendenza. A Maria, in maniera suprema, si applica l'inno paolino che apre la lettera agli Efesini: "Dio mi ha scelto in Cristo, prima della creazione del mondo, perché...mi mantenessi senza macchia alla sua presenza. Portato dal suo amore, egli mi ha destinato anticipatamente...ad essere adottata come figlia sua...perché la grazia che ha sparso su di me, per mezzo del suo amato Figlio, si trasformi in inno di lode a sua gloria".

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Nel mondo attuale si possono cogliere esperienze molto forti di peccato, di miseria umana, di disperazione. Per esempio, aver perso il senso della vita; considerarsi inutili, senza un ruolo in questo mondo; aver noia di se stessi fino alla volontà di suicidio; 'essere indifferenti a tutto', perché in nulla si trova ciò che si vuole; sperimentare il peccato (lussuria, orgoglio, odio, ateismo...), sprofondare in esso e credere che non ci sia più uscita... Queste esperienze, di cui si possono conoscere e presentare casi concreti con una propria identità, e altre meno drammatiche, sono un magnifico punto di appoggio per una pastorale su Cristo redentore, che si fa fratello nostro e che non ci abbandona mai nel nostro percorso per la vita. Diciamo con la liturgia di avvento: "Coraggio! Si avvicina la nostra redenzione". Gesù Cristo sta bussando alla porta del mondo e del cuore dell'uomo, per offrirgli la sua pace, il suo amore e la sua salvezza.

La donna cristiana nel nostro mondo contemporaneo è sollecitata da alcuni atteggiamenti e concetti della donna, della femminilità, della sua funzione in casa, nella cultura, nel lavoro, nella società, che non sempre fanno onore alla donna. Per esempio, si espongono, nel supermercato attuale, il modello della donna 'emancipata', la cui unica legge è ella stessa; il modello della donna 'yuppie', che sacrifica il matrimonio e la maternità alla sua professione; il modello della donna 'liberale' nelle sue idee, nel suo comportamento, nel suo atteggiamento davanti a Dio, davanti alla vita, davanti alla società. In quanto agli atteggiamenti, c'è quello della donna rivendicatrice della uguaglianza totale tra i sessi; della donna che vede nel sesso opposto, più che un 'partner' o un complemento di sé, un avversario; della donna 'laica', che soffoca la sua 'anima religiosa' sotto un malinteso femminismo...

Questi modelli e atteggiamenti, ed altri simili, sono in agguato per le donne cristiane di oggi. La festa dell'Immacolata, dà una opportunità magnifica per proporre Maria come modello della donna, senza bigottismi né falsi pietismi. Maria, che ama la verginità e ama allo stesso modo la maternità. Maria, nella cui fede non tutto è chiaro a prima vista. Maria, che cerca spiegazioni per agire e decidere con responsabilità. Maria, che dà un sì generoso alla sua 'missione' nella vita.

 

 

 

3° Domenica di AVVENTO 13 Dicembre 1998

Prima: Is 35, 1-6a.10; seconda: Sant 5,7-10 Vangelo: Mt 11,2-11

 

NESSO logico tra le LETTURE

In cammino verso la venuta di Cristo, la liturgia situa noi cristiani tra l'attesa e la speranza. Giovanni il Battista era cosciente della sua missione di precursore, e viveva nella speranza del Messia, di cui preparava il cammino; ma la speranza non gli dava certezza. Per questo, mandò a Gesù un'ambasciata: "Sei tu quello che doveva venire, o dobbiamo aspettarne un altro?" (Vangelo). Gesù soddisfa la domanda del Battista citando parte di uno dei poemi più belli della speranza messianica: "I ciechi vedono, gli zoppi camminano...e ai poveri si annuncia la buona novella" (Prima Lettura e Vangelo). San Giacomo, nella seconda lettura, ci esorta all'attesa paziente della venuta del Signore, come l'agricoltore aspetta le piogge che faranno fruttificare la semina. In Giudea queste piogge sono precoci (inizio dell'autunno) e tardive (inizio della primavera).

MESSAGGIO DOTTRINALE

Per i cristiani la venuta del Messia ha cessato di essere attesa per giungere ad essere sempre speranza. Perché il vero Messia è Gesù Cristo, ed egli ha compiuto le aspettative degli uomini con la sua venuta storica, duemila anni fa. Nella mente e nel cuore dei cristiani non ci può essere attesa alcuna di altri messia, per quanto di tanto in tanto si possano udire voci che cantano la loro presenza e che possano risultare attraenti: sono falsi messia, inventati dagli uomini alla ricerca di interessi o di soddisfazioni inconfessate. Noi cristiani non viviamo di attesa, ma di speranza. Perché Gesù è un meraviglioso mistero di presenza e di assenza, di umanità e di divinità, di possesso e di anelante desiderio. Perciò il Natale ricorda ed attualizza il compimento dell'attesa, ma allo stesso tempo ci rimanda ad un'altra venuta, occulta ed imprevista, che non può essere se non oggetto di speranza credente ed amorosa; una speranza che affonda le sue radici, non nel sogno, ma nell'esperienza viva di un desiderio già inizialmente e in parte soddisfatto.

Noi cristiani poniamo la nostra speranza nella trasformazione della natura, ma soprattutto dell'umanità e della storia. Crediamo in cieli nuovi e in una terra nuova, dove regna la giustizia. Isaia nella prima parte del suo poema scriverà: "Si rallegrerà il deserto e la terra incolta; la steppa si rallegrerà e rifiorirà". Tuttavia Gesù nel Vangelo non cita questo testo, ma quello che viene dopo: "Si apriranno gli occhi dei ciechi, gli orecchi dei sordi si schiuderanno...". Speriamo soprattutto nella nuova umanità inaugurata nella persona di Gesù Messia, e continuata in coloro che seguono i suoi passi. Forse per questo alla fine della citazione di Isaia, Gesù aggiunge: "E beato colui che non troverà in me motivo di inciampo". Si riferiva probabilmente a Giovanni Battista e ai suoi discepoli, che avevano un concetto diverso del Messia; e si riferisce a noi che troviamo tanta difficoltà nell'assimilare la mentalità e il modo di vita del Messia, nato in una grotta, che ha donato se stesso per servire gli uomini.

 

SUGGERImenti PASTORALI

Nel nostro ambiente talvolta affrontiamo due problemi pastorali davanti alla figura di Gesù, il Messia atteso dalle nazioni. a) L'offerta di altri messianismi in concorrenza con quello di Gesù, siano essi messianismi religiosi, o materialisti e atei, come il marxismo: una frode messianica frustrante e ingannatrice. b) La presenza di altri messia, se non in concorrenza, in esistenza parallela tra le culture e le religioni non cristiane. La liturgia di oggi ci propone una risposta a questi problemi, non certamente ricette magiche o formule che si sparano come frecce contro l'avversario. Piuttosto, il nostro compito come sacerdoti è presentare chiaramente e in forma completa la fede della Chiesa, difendere questa fede ecclesiale nell'anima dei nostri fedeli, delineare le attitudini che la nostra fede porta con sé nel trattare con altri modi di pensare e con altre credenze: "Detestare l'errore, ma amare chi sbaglia".

La trasformazione del mondo è già cominciata. La nuova natura e la nuova umanità già sono presenti nella storia e in mezzo a noi, grazie all'opera ri-creatrice e redentrice di Gesù Cristo. Sei noi cristiani viviamo coerentemente, siamo già creature nuove: capaci di vedere, di ascoltare, di camminare; siamo stati purificati, siamo resuscitati a una vita nuova. Magnifica occasione per fare un invito alla coerenza cristiana! A volte i cristiani si lamentano di come va male il mondo, e non pensano che noi cristiani siamo per vocazione e destino lievito nella massa, sale della terra, luce del mondo. Se il mondo va male si deve al fatto che non tutti noi cristiani siamo luce, lievito e sale nella nostra vita e intorno a noi. Abbiamo un compito da realizzare per mantenere in equilibrio l'ecosistema religioso ed etico dell'umanità, e, di conseguenza, anche l'ecosistema del nostro pianeta. Sarà una grande pena, se, giunto il Natale, prendiamo atto della sua venuta in un ambiente di allegria e nostalgia, ma non aumenta la nostra luce evangelica, non siamo lievito più efficace, né siamo sale per conservare la bontà, la verità e la bellezza tra gli uomini.

 

4° Domenica di AVVENTO 20 Dicembre 1998

Prima: Is 7, 10-14; seconda: Rom 1,1-7 Vangelo: Mt 1,18-24

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

L'espressione genitori di Gesù potrebbe essere il punto di incontro delle letture di oggi. Matteo, nel Vangelo, è colui che più chiaramente lo fa vedere: "Sua madre Maria era promessa a Giuseppe". "La sua sposa diede alla luce un figlio, a cui pose nome Gesù". Si tratta di "genitori" iscritti nell'azione misteriosa di Dio nella storia. Maria, essendo vergine, concepisce per opera dello Spirito, compiendo così la profezia messianica di Is 7,10-14 (Prima lettura). Giuseppe è giusto, accetta e rispetta il mistero di Dio, ma si interroga su ciò che Dio vuole per lui in tutto questo fatto. Dio si fa carico di dargli una risposta: "Non avere paura di prendere Maria come sposa...". In questo modo, per mezzo di Giuseppe, Gesù nascerà dalla stirpe di Davide in quanto uomo (Seconda lettura).

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Che cosa ci dice la Parola di Dio sui "genitori" di Gesù? Di Maria, che era vergine e che concepì Gesù per opera dello Spirito Santo. La verginità di Maria, il vangelo di Matteo l'ha vista profetizzata in Is 7, 10-14, che, da una parte, appartiene al Libro di Emanuele (Is 7,1-12,6), situando così il testo in un contesto che trascende il fenomeno storico particolare; d'altra parte, Matteo segue una tradizione giudaica anteriore di vari secoli, sebbene sia vero che il segno dato da Isaia ad Acaz (la parola ebraica almah significa fanciulla, giovane non sposata) si riferiva probabilmente al figlio che sarebbe nato al re, assicurando in questo modo la promessa di Yavé alla dinastia davidica. Maria, vergine, concepisce per opera dello Spirito Santo. Con questa espressione, Matteo ci indica l'origine del figlio di Maria. L'espressione di Matteo non mette in luce una visione negativa della sessualità e dell'atto generatore; pone piuttosto l'accento sulla provenienza del concepito, affinché gli uomini possano conoscere ed accettare più facilmente che il figlio di Maria è Figlio di Dio.

Giuseppe è chiamato "giusto". Nella mentalità dell'epoca, ciò voleva indicare un uomo che viveva secondo i precetti della Legge di Yavé, e che cercava in tutto di fare la sua volontà. Essendo giusto, Giuseppe non dubitò mai della verginità di Maria. Il suo problema fu sapere quale doveva essere il suo ruolo - se ce n'era uno - in questa situazione tanto unica e misteriosa. E Dio, che è fedele, gli fece vedere il suo ruolo di padre putativo, con cui assicurò a Gesù la sua genealogia davidica. Tanto per Maria come per Giuseppe c'è una vocazione e una missione da realizzare. Maria è chiamata ad essere madre di Dio, essendo vergine. Giuseppe è chiamato ad essere "padre" di Dio, essendo giusto. Sia l'una che l'altro si turbarono, ma nel loro turbamento cercarono Dio, e Dio li introdusse nella verità del mistero. Fiduciosi in Dio, Maria e Giuseppe danno il loro "sì" con un cuore generoso alla missione che Dio ha affidato a ciascuno di loro.

 

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Nella società attuale esistono situazioni degne di una riflessione alla luce della liturgia di oggi: madri nubili, genitori separati i cui figli soffrono non rare volte i conflitti dei genitori, genitori divorziati con figli e risposati, adozione di un bambino da parte di un "single" sia uomo che donna, adozione di bambini da parte di coppie omosessuali o lesbiche...Sono situazioni difficili e molto complesse. Sono situazioni in cui la Chiesa deve avere un cuore di madre per le persone che ricorrono a lei in cerca di aiuto, di conforto e di consiglio. Ma sono anche situazioni su cui la Chiesa, il sacerdote, il consigliere matrimoniale devono parlare chiaro e con fermezza per difendere, tra le altre cose, il diritto naturale dei figli ad avere dei genitori: un padre e una madre. Nello sviluppo psicodinamico e nell'educazione umana e spirituale dei bambini sia il padre che la madre hanno una missione da portare a compimento, e la mancanza di uno di essi pregiudica e danneggia lo sviluppo armonico ed integrale del bambino.

Siamo chiamati da Dio alla vita per realizzare una missione. È di grande importanza che noi cristiani concepiamo così la nostra vita. Esiste la vocazione al matrimonio e alla verginità. E all'interno di ogni vocazione esiste una missione comune: essere santi e collaborare con la missione della Chiesa. Ma si hanno numerosi e vari modi di raggiungere la realizzazione di questa missione. I genitori hanno come prima missione la vita: amare la vita, portare nuove vite, promuovere la vita e difenderla, educare per la vita, formare le nuove vite nella fede e nell'amore, organizzarsi in favore della vita, favorire tutto ciò che contribuisca a migliorare la vita umana, opporsi con i mezzi legittimi, e con la preghiera, ai diversi attentati contro la vita. I genitori hanno la missione di essere per i loro figli testimoni di coerenza, di responsabilità nella famiglia, nel lavoro, nel vivere praticamente la propria fede cristiana. I figli hanno più bisogno di testimoni che di maestri, o, meglio, hanno bisogno di maestri che siano autentici testimoni.

 

 

Messa di MEZZANOTTE 24 Dicembre 1998

Prima: Is 7, 10-14; seconda: Rom 1,1-7 Vangelo: Mt 1,18-24

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Tra i vari punti di contatto delle letture, scelgo quello della nascita. L'annuncio dell'angelo ai pastori è: "Vi è nato oggi ...un Salvatore" (Vangelo). Il testo di San Luca, eco del testo di Isaia, proclama profeticamente la nascita del Messia: "Un bambino è nato per noi". Nella seconda lettura, San Paolo, entro un contesto parenetico, fonda e motiva la condotta etica dei cristiani nella quale la grazia di Dio si è fatta visibile nella nascita e nella vita di Gesù Cristo.

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

San Luca, narrando la nascita di Gesù, mette già in rilievo le due dimensioni della sua esistenza: quella umana e quella divina. Gesù è uomo: nasce in un tempo storicamente determinato, con una genealogia documentabile, in una città conosciuta, in un luogo e in condizioni proprie della classe povera della Palestina. San Luca abbonda nell'umanità di Gesù riferendo, nel suo racconto, l'arrivo per Maria del tempo del parto, il dare alla luce suo figlio, l'avvolgerlo in pannolini, il coricarlo in una mangiatoia. Queste azioni confluiscono in una accentuazione dell'umanità di Gesù, umanità interamente uguale alla nostra. San Luca, come evangelista della comunità e per la comunità, non poteva non aggiungere la presentazione della divinità di Gesù. Nel bimbo nato da Maria si compie la profezia messianica di Isaia, e in essa si dice: "Il suo nome è Dio forte", un nome esclusivo di Yavé nell'Antico Testamento. Inoltre, Dio, per mezzo del suo angelo, annuncia i titoli di questo bambino: Salvatore, Messia, Signore. Salvatore, e perciò, Dio, poiché soltanto Dio ha potere per salvare. Messia, in quanto è il Salvatore dei giudei. Signore, in quanto è il Salvatore del mondo pagano, per cui "Signore" era il titolo più applicato alla divinità. Infine, un coro angelico esalta e loda Dio per la nascita del bambino. Ciò significa che questo bambino è più grande degli stessi angeli, è Dio.

In Gesù, umanità e divinità convivono in forma perfetta. È, allo stesso tempo: Perfectus Deus, perfectus homo. Gli stessi tratti che Isaia canta del Messia futuro mostrano la perfezione e l'armonia tra l'umano e il divino: "Consigliere prudente, Dio forte, padre eterno, principe della pace". Al Dio forte (divinità) si unisce un "padre eterno" (in relazione a Davide), consigliere prudente e principe della pace (in relazione a Salomone), e con ciò si sottolinea la somma perfezione umana del bambino preannunciato. San Paolo nella seconda lettura esorta i cristiani a non separare la fede dalla vita, la verità etica dalla verità dogmatica. Il cristiano è interamente uomo e assume tutto il buono che c'è nell'uomo (vedere Tit 2,1-10). Ma il cristiano non separerà mai il suo inserimento nel mondo dalla sua fede in Gesù Cristo e dal mistero di salvezza che Egli rappresenta e rende efficace tra gli uomini (seconda lettura). La nascita del Figlio di Dio, senza cambiare le azioni buone degli uomini nelle loro componenti etiche, dà a queste ultime un significato nuovo, la linfa nuova del Vangelo.

SUGGERIMENTI PASTORALI

Forse in alcune comunità cristiane si sottolinea troppo l'umanità di Gesù, trasformandolo in un modello di esistenza perfetta, e lasciando quasi in oblio la sua divinità. In altre comunità è possibile che si ricalchi tanto la divinità del Bambino, da far passare in secondo piano la sua meravigliosa umanità. Di fronte a questa doppia possibilità, si deve fare una catechesi in cui si mantenga, in modo equilibrato, tanto l'umanità quanto la divinità, e in cui si facciano applicazioni concrete e pratiche per la vita del cristiano, a partire da questa visione equilibrata del mistero di Cristo. Menziono alcune possibili applicazioni: adorare ma allo stesso tempo imitare questo Bambino; convincersi che il cristiano è chiamato ad essere e a vivere come figlio adottivo di Dio e simultaneamente ad essere e a vivere come uomo; essere coscienti che non c'è dicotomia tra le verità di fede e la realtà concreta dell'esistenza, e che, anche se apparentemente ci fosse tale dicotomia, si deve cercare di distruggerla e trovare il punto di equilibrio (per esempio, nel compimento e nel rispetto delle leggi fiscali, delle leggi che governano e reggono una nazione, ecc.). La seconda lettura ci insegna a rinunciare alla vita senza religione e ai desideri del mondo, per vivere nel tempo presente con moderazione, giustizia e religiosità.

Nella nostra comunità ci saranno senza dubbio più poveri che ricchi, e forse molti cristiani, che non hanno abbondanza di ricchezze, ma non ne sono nemmeno sprovvisti. Lo stato socio-economico delle persone non lo cambierà il cristianesimo, anche se lo può migliorare. Forse la forma più adatta per un miglioramento potrebbe essere il considerare la povertà, non come un male che si deve evitare o alleviare, ma come un grandissimo valore che dobbiamo amare, e, secondo il nostro stato e la nostra condizione, anche vivere. Un imprenditore può amare e vivere la povertà, anche se il suo modo di farlo può essere diverso da come ama e vive la povertà un operaio della sua impresa. Un professionista può amarla e viverla, ma lo farà in modo differente da come la vive una persona disoccupata o che ancora non ha trovato il primo lavoro. I modi di essere povero, di incarnare la povertà, possono variare, ma dovrà essere uguale l'apprezzamento della povertà, l'interesse e lo sforzo per applicarla alla propria vita, sapendo che non siamo signori ma amministratori di alcuni beni che Dio ha dato al servizio, certamente di se stessi e della propria famiglia, ma allo stesso modo anche al servizio degli altri.

 

Messa del GIORNO 25 Dicembre 1998

Prima: Is 52,7-10; seconda: Eb 1,1-6 Vangelo: Gv 1, 1-8

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

In questa liturgia, la Parola unisce le diverse letture. La Parola di Dio si è servita di molti intermediari nel corso della storia della salvezza. Così ci informa la seconda lettura ("Dopo che Dio parlò diverse volte e in diversi modi..."), e così possiamo constatare nella prima ("Come sono belli i piedi del messaggero che annunzia la pace, che porta la buona novella e proclama la salvezza!"). Questa Parola di Dio non era un'idea, o un simbolo, ma una persona divina che ha parlato agli uomini per mezzo della creazione, della storia, e che, adesso, si fa "carne" e, senza cessare di essere Parola di Dio, comincia ad essere anche parola umana (Vangelo). Una Parola superiore a Mosè e alla Legge (Vangelo), superiore agli stessi angeli e a tutta la creazione (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

La parola, nell'esperienza umana, non esiste senza interlocutore a cui dirigerla e che risponda, dando in questo modo origine al dialogo. Fin dalle origini stesse dell'umanità, Dio è entrato in dialogo con l'uomo: scende la sera nel paradiso per conversare con Adamo ed Eva...e, nonostante la risposta indegna dell'uomo, Dio non ha chiuso mai questo dialogo amoroso con l'umanità. Ancor di più, ha usato i mezzi più diversi (visioni, oracoli, castighi, profezie, promesse, benedizioni...) per non interrompere questo dialogo, e affinché la risposta dell'uomo fosse sempre meno indegna di Dio. La Parola di Dio non ha mancato né mancherà, perché Dio è fedele, e nel supremo gesto di amore e di fedeltà si incarna nell'uomo Gesù, facendosi interamente Parola di Dio in parola umana. Questa Parola di Dio non è stata mai neutra durante i secoli. È stata una Parola di amore che cercava una risposta di amore; una Parola di verità, che cercava una risposta di autenticità; una Parola interessata al bene dell'interlocutore (l'uomo); una Parola di donazione, che cercava una risposta di accettazione; una Parola di solidarietà fino all'atto estremo di farsi carne, che cercava una risposta di ringraziamento e di gioiosa accoglienza...

In questo dialogo tra Dio e l'uomo, quante volte l'uomo ha deluso Dio, ha rifiutato la sua Parola! Ma, anche, quanti uomini lo hanno accolto, e hanno corrisposto ad essa, come Maria e Giuseppe! In questi giorni di Natale, la Parola di Dio ci parla nell'umanità del Bambino Gesù. Il dialogo di Dio con noi, continua. L'umanità, ogni credente, dovrà dare una risposta. Quale?

SUGGERImenti PASTORALI

 

Noi cristiani di oggi, come tutti gli uomini in generale, siamo bombardati da migliaia e milioni di parole ogni giorno, per grazia e merito dei mezzi di comunicazione sociale (radio, stampa, telefono, televisione, internet) e in virtù della nostra condizione sociale (casa, ufficio, luogo di lavoro, parrocchia, bar, salotti...). In molti casi ci sono parole...ma non si giunge alla comunicazione: un saluto, un commento sul tempo, una domanda sul marito, la moglie, i figli, un arrivederci...e basta. In molti altri casi, ci sono parole o lettere, ma senza arrivare nemmeno in questo caso a una vera comunicazione: leggo per informazione, prescindendo da colui che scrive; ascolto la radio o vedo la TV senza molta attenzione, per sentire la sua compagnia, per 'passare il tempo' o per 'fare il tifo' per la mia squadra preferita. In questi casi, la risposta all'interlocutore è povera. Esistono anche altre occasioni in cui si ha un vero dialogo, cioè, incontro di due intimità (pensiero, cuore, volontà, sensibilità) che si aprono e si donano reciprocamente in forme e gradi diversi, secondo la relazione tra loro: sposi, amici, fratelli, compagni di lavoro o professione...

Davanti all'enorme moltiplicazione di parole che quotidianamente si ascoltano e si emettono, si corre il pericolo di prendere un atteggiamento poco serio e superficiale quando chi si rivolge a noi è la Parola di Dio. Leggiamo, ascoltiamo la Parola di Dio nella Bibbia, nella liturgia eucaristica e sacramentale, e può essere che ci 'scivoli addosso', come quando ascoltiamo e vediamo la televisione. Forse è diminuita in noi, cristiani, la coscienza che la Parola di Dio è differente da qualsiasi parola umana: Cerca e vuole raggiungere il dialogo, l'incontro, l'interpellare la coscienza, il dono della salvezza...Tutto ciò ha una grande validità nel Natale, quando la Parola di Dio si fa carne, diventa un bambino che parla con il silenzio e con la vita. Questa Parola di Dio-Bambino ci sta gridando che l'amore di Dio è meraviglioso, sorprendente, straordinariamente fedele. Che cosa risponderai a questo Bambino che interpella la tua libertà, il tuo amore, e la tua coscienza dalla grotta di Betlemme?

 

La Sacra FAMIGLIAdomenica entro l’8a di Natale 27 Dicembre 1998

Prima: Si 3,3-7.14-17a; seconda: Col 3,12-21 Vangelo: Mt 2,13-15.19-23

 

NESSO logico tra le LETTURE

Padre, madre figlio, sposi, cioè famiglia. Non poteva essere altra la parola fondamentale in questa domenica della Sacra Famiglia. Il Vangelo insiste sulla dedizione dei genitori ai figli: per due volte Giuseppe ascolta la voce di Dio, per mezzo di un angelo, che gli dice: "Alzati, prendi il bambino e sua madre..", e Giuseppe obbedisce senza tardare e con gioia. La prima lettura, piuttosto, esorta alla dedizione dei figli ai genitori, mettendo in risalto i frutti che da ciò derivano: "Colui che onora suo padre ottiene il perdono dei suoi peccati, colui che rispetta sua madre ammucchia tesori...". San Paolo raccoglie gli insegnamenti del siracide e del vangelo ed esorta alla dedizione reciproca: le spose ai loro mariti e questi ultimi alle loro spose; i figli ai genitori, e questi ai figli. L'onore, il rispetto, l'obbedienza... sono manifestazioni di una realtà superiore, la più propria della famiglia umana e cristiana: l'amore.

 

 

 

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

La famiglia esiste da prima del cristianesimo, perciò l'essere e il fare famiglia si regge su alcuni principi universali validi per tutti gli uomini. Questi principi sono formulati in diversi testi dell'Antico Testamento, con espressioni adattate a una mentalità e ad una cultura concrete e storiche. Uno di questi testi è quello che ci presenta la prima lettura, che pone l'attenzione soltanto sulla relazione dei figli verso i genitori: onore e rispetto, obbedienza e aiuto servizievole, dolcezza nei modi. Sono valori di ogni "figlio", indipendentemente dalla sua religione, dalla sua cultura e livello sociale, dalle varie espressioni storiche che questi valori hanno acquisito o vanno acquistando. Per mezzo di essi, i figli sono e fanno famiglia. Il vangelo secondo san Matteo, situandoci già nell'ambito cristiano, pone l'accento sulla relazione tra padre- figlio- madre. Come funzione paterna si segnala la cura del figlio, l'obbedienza a Dio, che lo ha fatto partecipe della sua "autorità", la prontezza nell'obbedire fedelmente, la prudenza nell'agire per cercare una residenza stabile e sicura per la famiglia. Sono funzioni universali di qualsiasi padre o madre. C'è tuttavia un elemento NUOVO, ed è il movente dell'azione di Giuseppe: Non agisce mosso dalla natura (legami di affetto, consanguineità, tendenze...), ma mosso da Dio, cercando di fare e facendo in tutto la volontà di Dio. Per mezzo dei valori indicati e soprattutto per il motivo che pone in azione la volontà di Giuseppe, egli è e fa famiglia. San Paolo dedica il capitolo 3 della lettera ai colossesi a spiegare l'effetto fondamentale del battesimo, che è la vita nuova in Cristo. In Col 3,17 dice: "Tutto ciò che fate o dite, fatelo nel nome di Gesù". Questo versetto illumina il testo della liturgia di oggi, riferito ai doveri familiari, nelle loro mutue relazioni. Il rispetto della sposa verso il marito, l'obbedienza dei figli ai genitori, la bontà dei genitori verso i figli sono valori comuni a ogni famiglia, nel suo stesso ordinamento naturale, ma i cristiani devono realizzare questi valori "in nome di Gesù". Ebbene, l'espressione "in Cristo", "in Gesù Signore" si contrappone in due testi di Paolo a "in Adamo". Di conseguenza, i valori sono gli stessi che "in Adamo" (ordine naturale), ma lo Spirito che li anima, l'esigenza morale che da questo Spirito emana, e l'efficacia redentrice di Cristo, sono realtà nuove, superiori. Con questo nuovo Spirito, questa nuova esigenza e questa nuova efficacia, i genitori e i figli sono e fanno famiglia.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

I valori familiari presenti nella liturgia di oggi: rispetto e apprezzamento, obbedienza e aiuto, sollecitudine e cura, prudenza, ricerca di stabilità familiare, bontà e amabilità, amore reciproco, continuano ad essere validi nella famiglia attuale. I modi di incarnare questi valori nella famiglia di oggi sono cambiati. Quali sono le espressioni di questi valori familiari? Come si vive l'amore e il rispetto tra gli sposi? Come si vive l'obbedienza dei figli ai genitori e l'obbedienza di tutti a Dio? Quali forme adotta la mutua bontà tra genitori e figli? Come si manifesta la prudenza dei genitori nel rapporto con i figli? Questi valori si scontrano con antivalori che vengono serviti nel supermercato della cultura regnante, o nei mezzi di comunicazione sociale. Forse, in certi casi si esalta la ribellione dei figli, il confronto tra marito e moglie, il poco interesse per i figli e l'eccessivo interesse di alcuni genitori possessivi, o l'abbandono dei genitori da parte dei figli in un centro per anziani...Nel mio mezzo ambiente, si hanno alcuni di questi antivalori? Quali forme di espressione hanno di solito? Oggi la famiglia e le ammonizioni liturgiche permettono di inculcare i grandi valori famigliari, riassunti tutti nell'amore disinteressato e sincero; insistere su alcuni modi concreti di esprimere e manifestare questi valori; richiamare l'attenzione dei fedeli sugli antivalori già presenti, o che mettono in pericolo la vita famigliare; e, soprattutto, stabilire chiaramente che il vero fondamento di tutti questi valori è Cristo, e il vero modello di famiglia cristiana è la famiglia di Gesù di Nazaret.

 

Santa Maria Madre di DIO 1 Gennaio 1999

Prima: Num 6,22-27; seconda: Gal 4,4-7 Vangelo: Lc 2, 16-21

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Una vena sotterranea unisce le letture: la signoria di Dio, che acquista la sua forma più perfetta nella pienezza dei tempi, quando Dio, per mezzo dell'incarnazione di suo Figlio, fa partecipe l'uomo della sua signoria adottandolo come figlio. Nella prima lettura per tre volte si ripete la parola Signore: "Il Signore ti benedica...il Signore faccia brillare il suo volto su di te...il Signore ti mostri il suo volto". Nel versetto precedente al testo evangelico della liturgia i pastori si dicono gli uni gli altri: "Andiamo a Betlemme a vedere ciò che il Signore ci ha annunciato", e nel v.20 san Luca commenta: "I pastori ritornarono lodando Dio perché tutto ciò che avevano visto e udito corrispondeva a quanto avevano detto loro". Infine, nella lettera ai galati non appare la parola Signore, ma il concetto: il Figlio di Dio, tramite l'incarnazione, si fece schiavo della legge perché noi, soggetti a questa legge, fossimo liberati. Nel battesimo, lo Spirito Santo è inviato ai nostri cuori per trasformarci da schiavi in figli. In quanto figli, partecipiamo della signoria di nostro Padre Dio sulla legge.

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

Cominciamo un nuovo anno. È bello cominciarlo confessando la signoria di Dio. La prima lettura raccoglie una formula di benedizione, con la quale di solito terminava il culto nel tempio, dopo aver lodato il Signore per le meraviglie operate con il suo popolo. Una benedizione che unisce passato e futuro: il Signore che ha fatto tante meraviglie nella storia di Israele, continuerà a farle nella storia attuale, nella tua vita. Ti proteggerà, ti concederà il suo favore, ti darà la pace. Dio, pertanto, è Signore del passato, ma la sua signoria si prolunga anche nel futuro. In contrasto con questa signoria divina sembra stare il racconto di san Luca. L'angelo annuncia ai pastori: "Vi è nato un Salvatore, che è il Messia, il Signore". E che cosa vedono gli occhi dei pastori? Un bambino coricato in una mangiatoia. E che cosa succede a questo bambino di otto giorni? È circonciso. Nulla manifesta questa signoria, piuttosto tutto sembra porre in evidenza la sua sottomissione alla legge di un popolo cui appartiene, e alle leggi fondamentali dell'esistenza umana (cf. seconda lettura).

La verità è che il Figlio di Dio, facendosi bambino nel seno di Maria, e nascendo a Betlemme di Giuda, conserva la sua prerogativa di Signore del tempo e della storia, ma "si svuota" di essa per farsi servo della legge, e, dall'interno stesso, liberare dalla legge chi era suo schiavo: l'uomo (La legge rappresenta tutto il sistema religioso-sociale dei popoli prima di Cristo, non soltanto del popolo ebraico). L'opera di Cristo, che libera l'uomo dalla schiavitù della legge, è tutta la sua vita, ma principalmente lo è il mistero pasquale, preannunciato nel sangue sparso da Gesù nella circoncisione. Lo Spirito Santo è colui che suscita in noi, per mezzo del battesimo, la coscienza della nostra liberazione e di conseguenza della nostra condizione di eredi e signori, condizione di cui godiamo per grazia di Dio e per i meriti di Cristo (seconda lettura). Con ragione, Gesù Cristo è costituito Signore per la sua resurrezione, rivelando pienamente la signoria che possedeva fin dalla sua nascita, ma che era nascosta. Ancor di più: non soltanto Egli è Signore, ma dà agli uomini la capacità di diventare signori della legge, di se stessi, delle vicissitudini della storia.

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Non basta una visione umanista di Gesù Cristo. Nel nostro mondo, forse noi stessi poniamo l'accento, contemplando Gesù, sulla sua umanità, sui tratti che lo rendono uguale a noi, più nostro: un bambino bisognoso di tutto come qualsiasi altro bambino del mondo, un bambino appartenente a una famiglia povera come tanti milioni di bambini, nato fuori del suo popolo e della sua casa come tanti bambini di rifugiati politici o di emigranti... Tutto ciò è necessario, ma unilaterale, se non si aggiunge l'altra dimensione: la sua signoria sugli uomini, la sua condizione di Figlio di Dio. Il cirstiano vive la sua fede nella signoria di Gesù Cristo, non elucubrando grandi idee su tale signoria, ma vedendo come proclamarlo Signore nel corso di ogni giorno.

1. Cristo è il Signore del tempo. Egli me lo dà, egli me lo può togliere. Si può far riflettere qui sulla domenica, consacrata al Signore per dargli culto, riposare sanamente, convivere con la famiglia, fare opere di carità.

2. Cristo è il Signore dei grandi eventi che commuovono il mondo, e dei piccoli avvenimenti della vita di ogni uomo. Cristo è il Signore di questo lavoro che hai appena trovato, delle nozze che hai celebrato due mesi fa, del figlio che ti è nato, della riunione familiare di Capodanno.

3. Cristo è il Signore degli uomini, e come Signore desidera che gli uomini lo riconoscano come tale, compiano i suoi comandamenti. Non cerca nulla per sé, solo il bene degli uomini che, anche se è loro Signore, tratta come amici.

4. Cristo ci fa signori e vuole che ci comportiamo sempre come signori. Signoria dell'uomo su se stesso (sui suoi istinti, sulle sue passioni disordinate...); signoria sui beni di questo mondo, per usare di tutto ciò con cuore, non da schiavo, ma da signore.

5. La Vergine Maria, di cui celebriamo oggi la maternità divina, è una immagine sommamente bella e vicina della signoria di Dio su di lei e della signoria di lei su se stessa e sulle cose. Lei ricorda e medita le opere per le quali Dio l'ha guidata fino a questo momento della nascita di Gesù, così come guidò il suo popolo per le strade della storia. Lei, umile e povera, esercita signoria su se stessa avendo un cuore distaccato da ricchezze e beni temporali. Sa che Dio muove i fili della storia per mezzo degli uomini, e lo accetta ed agisce in conformità con il volere di Dio.

 

2° Domenica dopo il NATALE 3 Gennaio 1999

Prima: Sr 24,1-4. 12-16; seconda: Ef 1,3-6.15-18 Vangelo: Gv 1,1-18

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Il tema dominante di queste letture può esprimersi con il termine incarnazione. Il vangelo lo afferma chiaramente: "E il Verbo si fece carne e pose la sua dimora tra di noi". Questa incarnazione del Verbo è simboleggiata e prefigurata nella Sapienza, a colui cui il Creatore dice: "Poni la tua tenda in Giacobbe, e fissa la tua dimora in Israele" (Sr 24,8). Questa Sapienza ha gettato radici nel popolo glorioso...(Prima lettura). La comunità cristiana o Chiesa prolunga l'incarnazione del Verbo nel tempo, grazie al beneplacito del Padre che ci ha benedetto in Cristo con ogni specie di beni spirituali... e ci ha adottato per mezzo di Gesù Cristo come figli suoi (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

Siamo davanti al mistero più sublime del cristianesimo: Dio che si fa uomo, affinché l'uomo si faccia Dio. Tutta la storia della salvezza camminava verso questo momento, storicamente puntuale, teologicamente insondabile: "Il fine della storia si è compiuto". Il tempo continua dopo di Cristo, fino a giungere alla sua pienezza, e noi come Chiesa stiamo dentro questo tempo prolungando l'incarnazione del Verbo, ma la storia della salvezza si è fermata nella sua massima vetta e ha raggiunto la pienezza di significato. Dopo Cristo, non c'è più novità, soltanto aggiornamento, ritorno alle origini. L'incarnazione di Cristo occupa il centro della storia.

Il Verbo incarnato esisteva prima del tempo. Il siracide lo vede simboleggiato nella sapienza uscita dalla bocca dell'Altissimo, che come nebbia ricopriva le terra agendo nell'opera della creazione (prima lettura). San Giovanni si eleva fino al "principio" e contempla la Parola che esiste dal "principio" presso Dio e che crea tutte le cose insieme con il Padre (vangelo). Nella concezione cristiana della vita, è fondamentale la preesistenza di Cristo, su cui si basa la sua pro-esistenza, cioè la sua presenza nella storia per salvare l'uomo.

L'incarnazione è il centro della storia, ma il mistero di Cristo glorioso è il suo destino. San Paolo (seconda lettura) chiede a Dio che ci conceda "uno Spirito di sapienza e una rivelazione che ci permetta di conoscerlo pienamente...conoscere quale è la speranza a cui siamo chiamati". L'uomo ha bisogno della luce divina per sapere che il destino della storia e il suo proprio destino sono inseparabili dal destino di Cristo, e trovano in lui il loro significato e la loro realizzazione suprema.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

La preesistenza del Verbo. Tra i fedeli cristiani ci possono essere tante idee errate sulla preesistenza: alcuni pensano forse che si tratta di un linguaggio mitico, che non si può essere moderni, pensando con categorie prescientifiche...; per altri risulta senza importanza l'esistenza di Gesù Cristo precedente alla storia, considerano perdita di tempo il pensare a queste cose tanto incomprensibili, sono convinti che ciò che conta sia la salvezza che egli ci porta. Non mancherà chi creda ed accetti sì questa verità della nostra fede, ma non la capisca correttamente o senta la necessità di una spiegazione semplice della stessa. Per questi e per tutti i fedeli è salutare spiegare la preesistenza del Verbo incarnato. Suggerisco per la spiegazione di parlare della vita e dell'amore di Dio, due valori che nell'esperienza umana non periscono, e che possono facilitare il passaggio all'incarnazione per opera di questa vita e amore divini verso l'uomo. Può essere utile aggiungere una valutazione della preesistenza mettendola in relazione con l'incarnazione e la redenzione. Poiché realmente, senza la preesistenza, Gesù sarebbe stato, non il Figlio di Dio, ma un uomo e basta, un impostore, e l'umanità avrebbe continuato ancora sotto la legge del peccato.

Il senso della storia. L'uomo vive la storia, è storia. Posto in essa, guarda verso il passato e lo vede pieno di guerre, crimini, odio...Guarda verso il presente, e sembra avvertire che la storia è il risultato di compromessi e aggiustamenti occulti dei potenti, che è governata non da ideali, ma da interessi di ogni natura, che pochi individui - e non sempre i migliori - reggono i destini delle nazioni, che la storia della cultura, della scienze cammina spesso per rotte distanti dalla morale e dalla religione. Tutto ciò può portare a dubitare che "Cristo è il centro e il Signore della storia". Una catechesi su questa signoria di Cristo aiuterà i fedeli a confessare Cristo come Signore della storia. Per questa catechesi offro alcuni suggerimenti:

1. La storia del bene, della sua presenza e della sua forza nella storia è ancora da fare e, nella sua totalità, è impossibile farla, ma Dio la conosce e ne tiene conto. La storia del bene non si trova sui giornali, ma esiste. Noi cristiani dobbiamo essere "specialisti" nel narrare il bene.

2. Cristo è il Signore della storia: ciò non significa che toglie all'uomo la libertà. La grandezza di Cristo consiste nell'essere Signore della storia rispettando la libertà dell'uomo e pertanto la realtà stessa del creato.

3. La storia della salvezza - e Cristo come centro della stessa- non è visibile né evidente nella sua maggior parte, anche se è sufficiente per sostenere la nostra fede e speranza. È come un iceberg, del quale si vede soltanto la punta.

 

 

 

 

 

 

Epifania Del SIGNORE 6 Gennaio 1999

Prima: Is 60, 1-6; seconda: Ef 3,2-3a.5-6 Vangelo: Mt 2,1-2

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

I testi di oggi convergono nel tema dell'universalismo cristiano. Un universalismo che Matteo trova rappresentato dai magi (il mondo pagano), venuti dall'Oriente per adorare il bambino (Vangelo). In essi vede compiuta la profezia di Isaia, secondo la quale "alla tua luce cammineranno i popoli...tutti" (Prima lettura). San Paolo, con il suo sguardo penetrante di fede, si innalza fino al mistero di Dio, dapprima occulto e adesso rivelato: "Tutti i popoli condividono la stessa eredità, e partecipano della stessa promessa fatta da Cristo Gesù attraverso il vangelo" (Seconda lettura).

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Se si crede che Cristo è Dio, si accetta facilmente che sia universale come lo stesso Dio, e che i popoli abbiano in lui la loro unità, la loro eredità e il loro significato. Perciò, Paolo non ha dubbi nel parlare di "un mistero", qualcosa di inaccessibile al pensiero e allo sforzo intellettuale dell'uomo; qualcosa che solo Dio può, in amore e libertà, svelare agli uomini. Isaia aveva intuito qualcosa di questo mistero, quando vide i popoli e i re accorrere a Gerusalemme per lodare e rendere culto a Yavè, Signore delle nazioni. L'evangelista Matteo ha meditato, con la comunità cristiana, sui primi avvenimenti della vita di Gesù Cristo, e lo ha fatto a partire dall'Antico Testamento, dove si trovano le profezie che debbono essere compiute dal Messia. La profezia di Is 60, 1-6 (prima lettura) la vede compiuta nell'episodio dell'arrivo di alcuni magi a Gerusalemme, a chiedere del Messia appena nato. Con il compimento della profezia, la rivelazione di Dio porta a compimento varie novità di enorme importanza:

1. Il centro delle nazioni non è una città (Gerusalemme), ma una persona: Gesù, il Messia e Signore, nato a Betlemme di Giuda, per compiere le Scritture.

2. La marcia dei popoli verso Cristo non sarà soltanto dei giudei che risiedevano nella diaspora, come pare essere nella profezia di Isaia, ma di tutti: giudei e pagani.

3. I popoli non affluiranno a Gerusalemme per rendere culto a Yavé nel tempio, ma a Betlemme per adorare un bimbo nelle braccia di sua madre Maria.

Si tratta pertanto di un universalismo che abbraccia tutti i popoli, le razze e le religioni, incentrato sulla persona di Gesù Cristo, e che non ha a che vedere direttamente con l'unicità del culto, come nel giudaismo. Pertanto, il centro di unione di tutti i popoli e le nazioni è, nel disegno divino, la fede in Gesù Cristo. Nel cammino verso questa fede si hanno situazioni diversificate, ma per il cristiano è irrinunciabile il mistero di Cristo, centro dell'uomo ed della storia.

 

 

 

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Nei paesi dell'Europa, come in quelli del continente americano nella sua grande maggioranza, è sempre più evidente la presenza di una società multirazziale, multinazionale e multireligiosa. Nel continente africano questa molteplicità di popoli, razze, etnie e religioni non è un fenomeno nuovo, ma costante almeno nel secolo XX. Nel continente asiatico e in Oceania, la situazione generale è estremamente varia, ma esiste una propensione chiara a identificare religione e razza, religione e nazione, religione e cultura. Questo fenomeno, in certi paesi o in alcune diocesi e parrocchie, si vive forse con grande intensità, e crea nei fedeli problemi di confusione e perfino di turbamento e conflitto. In questo conflitto si inserisce, nella festa dell'Epifania, la catechesi sull'universalismo cristiano. Conviene che la catechesi chiarisca i punti essenziali e infonda nei fedeli chiarezza di idee, e atteggiamenti di serenità, comprensione, prudenza, dialogo e soprattutto carità, essenza della fede cristiana. Come esempio, offro alcuni semplici suggerimenti:

1. L'universalismo cristiano non è negoziabile né si può rinunciare senz'altro ad esso, perché appartiene all'essenza della nostra fede. Tuttavia, la proposta di questo universalismo può essere progressiva, tenendo conto di ciascuno degli interlocutori. Questo universalismo non è opera della ragione, e, pertanto, nemmeno la ragione ha la chiave per entrare nel recinto di questa verità di fede. Essendo opera della fede, non si impone né con la forza né con pressioni di qualsiasi indole, si propone piuttosto alla libertà dell'interlocutore, in un clima di amore e di amicizia, o, almeno, di mutuo e maturo rispetto.

2. Come cristiani non possiamo né dobbiamo tacere, né a parole né con le opere di carità, la nostra fede, senza che abbia importanza il luogo e le circostanze in cui si sviluppi la nostra vita. La prudenza ci indicherà quando e come. La serenità e la comprensione ci porteranno a farlo senza gesti clamorosi, ma con amabilità e sincerità. Grazie alla carità, lo faremo con amore verso le persone e profondo desiderio di verità.

3. In pratica, può aiutare un atteggiamento positivo di apertura e di collaborazione, in campi come quello sociale, amministrativo, sportivo, culturale...Questa collaborazione, quando il cristiano è coerente con la sua fede, fa sorgere interrogativi che possono aprire la mente e il cuore al mistero cristiano.

 

 

Battesimo Del SIGNORE 10 Gennaio 1999

Prima: Is 42,1-4.6-7; seconda: At 10,34-38 Vangelo: Mt 3,13-17

 

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

L'azione dello Spirito è il concetto chiave della liturgia. Un'azione concentrata su Gesù di Nazaret. Nel battesimo lo Spirito si manifesta come colomba, che scende su Gesù portando benedizione ed irruzione di potere per il compimento della missione (Vangelo). Il Padre è colui che ha fatto scendere lo Spirito su Gesù, nel quale ha tutto il suo compiacimento, per portare la salvezza e impiantarla nella terra (prima lettura). Pietro, proponendo il kerigma cristiano a Cornelio, comincia dicendo: "Mi riferisco a Gesù di Nazaret, che Dio ha unto con Spirito Santo e potere" (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Nel testi che la Chiesa propone alla nostra riflessione e alla nostra fede, non ci insegna nulla sulla natura dello Spirito, ma unicamente sulla sua azione efficace nell'anima e nell'attività di Gesù di Nazaret. L'azione dello Spirito in Gesù, dopo il battesimo, produce effetti meravigliosi: il primo è messo in rilievo dall'immagine della colomba che è simbolo della sapienza, richiesta per riconoscere momento dopo momento il piano di Dio su di sé e sulla storia; il secondo ci viene indicato dal contesto: l'energia spirituale per uscire vittorioso dalle tentazioni e per svolgere con coraggio e decisione la missione affidatagli dal Padre; il terzo si riferisce al Padre che, proprio per il fatto che Gesù si sia umiliato, facendosi battezzare da Giovanni, lo proclama "mio figlio amato, nel quale mi compiaccio", sul quale il Padre posa il suo Spirito affinché porti la salvezza alle nazioni" (prima lettura).

Le strade scelte dallo Spirito Santo per realizzare questi stupendi effetti nella vita e nell'attività di Gesù sono qualcosa di sorprendente per la nostra mentalità, troppo umana:

1) L'obbedienza a ciò che il Padre ha disposto. Cioè, che Gesù sia battezzato da Giovanni (vangelo); 2) La proclamazione della salvezza con semplicità e una certa obiettività, senza grida né esagerazioni (prima lettura); 3) L'attuazione salvifica sempre in positivo: ravvivare lo stoppino che si estingue, annodare la canna caduta (prima lettura); 4) La costanza nel lavoro di proclamazione come in quello dell'azione salvifica: "non si indebolirà né verrà meno" (prima lettura); 5) Il dedicare la sua vita a fare il bene, ogni tipo di bene, ma principalmente il bene spirituale, liberando l'uomo dal potere del demonio (seconda lettura).

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Nelle nostre parrocchie ci sono forse fedeli molto sensibili alla presenza e all'azione dello Spirito Santo, e perfino fedeli che appartengano a gruppi carismatici riconosciuti dall'autorità ecclesiastica. Possono esserci anche fedeli che conoscono il tema, ma per i quali esso non ha incidenza nella fede e nell'agire quotidiano. Ce ne saranno anche altri, per i quali lo Spirito Santo non sarà nemmeno una persona, ma solo un nome o un simbolo del potere di Dio. E non mancheranno fedeli cui lo Spirito Santo non dice nulla, né tocca la loro esistenza di ogni giorno. Certamente, l'anno 1998, in preparazione al Giubileo della Redenzione, è stato dedicato allo Spirito Santo, e questo ha permesso ai pastori di risvegliare l'interesse per una maggiore conoscenza dell'insegnamento della Chiesa sullo Spirito, e per una relazione più personale e più vitale con la sua persona. La liturgia di oggi è un'occasione per continuare una catechesi sulla relazione tra il Battesimo e lo Spirito, particolarmente sugli effetti che lo Spirito Santo, ricevuto nel battesimo, produce nella vita spirituale e morale dei cristiani.

Per mezzo del Battesimo il cristiano diventa tempio dello Spirito Santo, luogo in cui Egli abita e da dove vuole farsi presente tra gli uomini. Ciò significa che il cristiano tramite il battesimo diventa un ostensorio portatile dello Spirito. Sono coscienti i fedeli della tua parrocchia di questa verità della nostra fede? Questo non è qualcosa di oscuro e difficile, è semplicemente l'abbiccì della fede cristiana. Ma accade a volte che la gente dimentichi l'essenziale, persa nei dettagli di ogni giorno o colpita da indigestione per eccesso di moralità...'in pillole'. Se il cristiano, per mezzo della grazia, porta un Ospite dentro l'anima, il minimo che può fare è pensare un poco a lui ogni giorno, ascoltare e fare attenzione ai suoi buoni consigli e alle sue soavi insinuazioni interiori. E si dovrà pensare inoltre che molti altri esseri amati, compagni di lavoro, membri di partito, vicini di quartiere o di autobus pubblico sono anch'essi templi dello Spirito, che dobbiamo rispettare e amare sinceramente. Ciò non è misticismo, è semplicemente vivere la realtà più fondamentale del nostro battesimo.

È probabile che abbiamo visto i meravigliosi effetti che lo Spirito Santo ha causato in fedeli della nostra parrocchia o in membri delle comunità tra le quali esercitiamo il nostro lavoro pastorale. Quasi sicuramente non sono effetti clamorosi, almeno nella maggioranza dei casi, ma sufficientemente evidenti perché altri fedeli li avvertano e giungano perfino ad ammirarli. La creatività dello Spirito è infinita, e, di conseguenza, gli effetti nelle anime estremamente vari. Quali sono gli effetti che tu hai notato con più frequenza tra i fedeli della tua parrocchia o della tua comunità? Oggi è un buon giorno per parlarne con semplicità e convinzione.

 

2° Domenica del TEMPO ORDINARIO 17 Gennaio 1999

Prima lettura: Is 49,3.5-6; Seconda: 1Cor 1,1-3; Vangelo: Gv 1,29-34

 

NESSO logico tra le LETTURE

 

Vedo nel destino universale di Gesù il collegamento delle tre letture. Il servo di Javeh, prefigurazione di Gesù, è chiamato ad "essere luce delle nazioni affinché la salvezza giunga fino ai confini della terra" (prima lettura). Nel vangelo Giovanni il Battista mostra Gesù come "l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo". Da parte sua, san Paolo dice ai corinti che "sono stati chiamati ed essere popolo di Dio con tutti coloro che in qualsiasi luogo invocano il nome di Gesù Cristo (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Dall'inizio del tempo ordinario la Chiesa ci invita a riflettere sulla salvezza di Cristo, che è destinata a tutti e che deve raggiungere tutti, per rendere presente il suo regno tra gli uomini. Fin dall'inizio la Chiesa si mostra come la comunità di salvezza e vuole comunicare questa verità in tutti gli angoli della terra.

La salvezza giunge a tutti gli uomini mediante la luce di Gesù Cristo, che compie in sé, in quanto luce del mondo, la figura del servo di Javeh (prima lettura). Luce che proviene dalla verità del suo messaggio, della sua intera vita, ma particolarmente dalla sua sofferenza fino alla morte di croce e dalla sua gloriosa resurrezione.

La salvezza giunge a tutti gli uomini mediante l'agnello di Dio, vittima di espiazione per i nostri peccati. Gesù è l'agnello pasquale che libera ogni uomo dalla schiavitù d'Egitto (Es 12) cioè dal peccato; è l'agnello mansueto che è portato al mattatoio per il sacrificio, assumendo su di sé i nostri dolori, sopportando le nostre sofferenze (Is 53); è l'agnello glorioso, capace di aprire il libro dei sette sigilli, che nessun altro può aprire, e di decifrare per l'umanità e per ogni uomo gli enigmi della storia e del destino umano (Ap 5).

Il sacramento che Dio ha donato alla sua Chiesa per offrire all'intera umanità la salvezza di Gesù Cristo è il Battesimo. Cristo battezzerà, ci dice Giovanni il Battista, con acqua e con lo Spirito Santo. La Chiesa continuerà la missione di Cristo, battezzando nello Spirito. Perché questo Spirito divino rende efficace la presenza nella umanità di Cristo Salvatore del corso dei secoli (vangelo).

Per questo, i cristiani, santificati dallo Spirito nel battesimo, sono "coloro che invocano in qualsiasi luogo il nome di Gesù, Cristo e Signore" (seconda lettura). Lo Spirito che pone nei nostri cuori e sulle nostre labbra il nome del Padre, "Abba", è lo stesso che pone in noi il nome di Gesù, Salvatore. Gesù è Salvatore per tutti, perché tutti abbiamo bisogno di salvezza.

 

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Nella necessità di salvezza, sentirci solidali con tutti gli uomini, cristiani o no. Non c'è nessuno che non cerchi la verità, la felicità, la salvezza. In una certa misura tutti siamo cercatori: Cerchiamo per trovare, e, una volta che abbiamo trovato, continuiamo a cercare per trovare ancora questa pienezza di salvezza e di felicità che soltanto Dio può dare. In forza di questa solidarietà, dobbiamo pregare per tutti con cuore generoso, sacrificarsi per tutti in piccole cose, offrire le attività quotidiane al Signore affinché tutti trovino Gesù Cristo, il Salvatore che stanno cercando, forse a tentoni in mezzo a difficoltà e ad oscurità, aiutare tutti colori che incontrerai sulla tua strada giorno dopo giorno, che cercano Cristo, ma che ancora non sono riusciti a trovarlo, non sono riusciti a fare di Cristo Salvatore un'esperienza significativa per tutta la loro esistenza.

Rivivere il battesimo, non solo come un fatto individuale meraviglioso, ma anche come fatto ecclesiale, come inserimento nella vita e nella vitalità della Chiesa, nella sua missione di strumento di comunione e di salvezza del genere umano. Il battesimo è la grande risorsa dello spirito missionario, la migliore maniera di superare il nostro egoismo e il nostro 'campanilismo', e di dare al nostro cuore e alla nostra vita la stessa dimensione della Chiesa, orizzonti aperti ai quattro punti cardinali: aiuto alla Chiesa bisognosa, volontariato, spirito missionario come sacerdote, religioso o laico, interesse per conoscere meglio la realtà di tutta la Chiesa e sintonizzarsi spiritualmente con essa, preghiera e sacrificio per le vocazioni missionarie...

 

 

3° Domenica del TEMPO ORDINARIO 24 Gennaio 1999

Prima lettura: Is 49,3.5-6; Seconda: 1Cor 1,1-3; Vangelo: Gv 1,29-34

 

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

La vera conversione amalgama questa domenica i testi liturgici. Gesù inizia la sua predicazione dicendo: "Convertitevi..." (Vangelo). Gli ebrei deportati a Babilonia il 722 a.C. vivono nelle tenebre e in terre di ombra, ma, pentiti e convertiti a Javeh, vedranno brillare una grande luce (prima lettura). Quando la conversione al Vangelo di Gesù Cristo non è penetrata in tutta la persona, ma è superficiale, accadono le divisioni e le discordie che si producevano nella comunità di Corinto. È necessario approfondire il nucleo della fede cristiana: la conversione all'unico Cristo, crocifisso per noi (seconda lettura).

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Gesù inizia il suo ministero con una proposta, che è in ultima analisi il suo programma evangelizzatore: "Convertitevi, perché sta arrivando il regno dei cieli". Cristo è venuto per predicare ed instaurare il Regno di Dio tra gli uomini, ma è convintissimo che il Regno inizia nel cuore dell'uomo quando quest'ultimo inizia la sua propria conversione. E convertirsi significa riconoscere che si cammina per una strada sbagliata, significa poi abbandonare con decisione quella strada e prendere risolutamente la strada giusta.

Tutti gli uomini, tutti i popoli hanno bisogno di conversione. Ai tempi di Gesù era necessaria la conversione di Giudea e Galilea, all'interno del mondo giudaico, e, allo stesso modo, la conversione del mondo pagano. Ma Gesù è venuto soprattutto per i più bisognosi tra i bisognosi, per quelli che vivono sottomessi nell'oscurità e non sono capaci nemmeno di vedere le strade che portano a Dio; è venuto nella terra di Zabulon e di Neftali che, pur essendo parte di Israele, è e vive mezzo paganizzata. Gesù si presenta a loro con un messaggio di luce, che chiarisca le loro profonde tenebre e li muova alla conversione.

Gesù sa che deve morire e tornare al Padre. Allo stesso tempo si sa inviato a tutti per invitarli alla conversione. Siccome non lo potrà fare personalmente, sceglie alcuni discepoli, alcuni seguaci suoi nel compito di predicare la conversione per il mondo intero, con la forza dello Spirito Santo. Gli Atti degli Apostoli possono definirsi come la realizzazione, da parte dei discepoli di Gesù, di questa grande impresa di conversione e di fede nel mondo allora conosciuto.

La conversione ha un inizio, ma termina soltanto con la vita. Convertirsi è un processo lungo e continuo, che si va interiorizzando ed approfondendo sempre più con il passare del tempo e l'azione della grazia divina, e che non è esente da pericoli e possibili ristagni. San Paolo lo ha esperimentato molto vivamente di fronte ai gruppuscoli in cui si divise la comunità di Corinto, pochi anni dopo essersi convertiti. Erano stati battezzati, ma forse non avevano capito che soltanto Cristo era morto per loro su una croce, che soltanto in nome di Cristo avevano ricevuto il battesimo. O forse le passioni oscure avevano fatto loro dimenticare il retto cammino cristiano? Il cristiano, è chiaro, deve vivere quotidianamente in atteggiamento di conversione.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Invitare i fedeli a un esame di coscienza responsabile sulla vera conversione cristiana, che è il fondamento di ogni altro passo nella vita di fede e di servizio al prossimo. Esaminare fino a dove i loro pensieri e le loro preoccupazioni si sono convertiti al Vangelo di Gesù Cristo; vedere fino a che punto le loro decisioni, i loro atteggiamenti e le loro attività giornaliere sono quelle proprie di un cristiano autentico, libero nello spirito davanti alle pressioni del mezzo ambiente; riflettere fin dove il loro cuore è incentrato sull'amore a Dio e al prossimo, e non su interessi egoisti o di parte, su malformazioni dell'amore genuinamente cristiano. Oggi Cristo invita tutti, bambini, giovani e adulti, ciascuno secondo le proprie possibilità e condizioni di vita, a questa riflessione attenta su se stessi per cambiare direzione, e, se ciò è necessario e nella misura in cui lo sia, per prendere la strada che porta alla Vita.

"Convèrtici e ci convertiremo". La conversione è opera di grazia più che di muscoli o di sforzo personale. È Dio che ci converte, se noi ci lasciamo convertire. È Dio che, ogni giorno, ci offre la grazia della conversione, affinché noi la accogliamo con fede, e la facciamo fruttificare col nostro lavoro quotidiano. La conversione è ascesi, ma prima è mistica, è, cioè, relazione personale ed intima di amicizia con Dio Padre, creatore del cielo e della terra, con Gesù Cristo redentore del mondo, con lo Spirito Santo, Signore che dà la vita nuova a chi gli apre la mente e il cuore con amore, speranza e fede. La nostra collaborazione con Dio nell'opera della nostra conversione è necessaria, ed è anche spesso lenta, a volte dolorosa, ma non dobbiamo dimenticare che è Dio che ci converte, che è Dio che ci concede la conversione in un'esperienza viva di gratuità della sua misericordia e del suo amore infiniti.

 

 

 

 

 

4° Domenica del TEMPO ORDINARIO 31 Gennaio 1999

Prima lettura: Sof 2,3; 3,12-13; Seconda: 1Cor 1,26-31; Vangelo: Mt 5,1-12

 

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

La felicità è la vocazione del cristiano. Questo è il messaggio della liturgia. Allo stesso tempo, si pone il problema di sapere dove sta la vera felicità. La liturgia di oggi non ci lascia nessun dubbio su questo punto: "Io lascerò in mezzo a te un popolo povero ed umile...Si alimenteranno e riposeranno senza che nessuno li agiti" (prima lettura). "Beati i poveri in spirito, gli afflitti, gli umili..." ci dice il Vangelo. E san Paolo nella seconda lettura, tratta dalla prima lettera ai corinti: "Dio ha scelto ciò che il mondo ritiene stolto, debole, vile, spregevole, nulla...Per questo, chi vorrà gloriarsi, si glori nel Signore".

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

L'uomo cerca la felicità. Lo fa quasi per istinto, per destino, diciamo cristianamente per vocazione e missione. Per un non credente o un uomo con una fede spenta, la ricerca è un atto naturale, un impulso, quasi una pulsione che si deve soddisfare e spegnere a tutti i costi. Pertanto, egli cerca la felicità senza riposo né pausa, perfino con angoscia, e, quando trova un piccolo raggio di essa, la sua intera vita si illumina almeno per un istante. A quest'uomo succede di cercare il sole e di trovare soltanto un tenue raggio, gli accade di tentare di essere illuminato per sempre, e di rendersi conto che ciò dura soltanto per un momento fugace. Da qui derivano due atteggiamenti possibili: sprofondare nell'oscurità della disperazione e dell'indifferenza - ma, è possibile, questo? - o ricominciare, come un nuovo Sisifo, la ricerca frenetica di quella felicità appena pregustata e già fuggita.

Per un credente cristiano la felicità è una chiamata, un compito, una missione, che impegna tutta la vita nella sua ricerca e nel suo possesso. Chi crede veramente, trova nella fede la radice della sua felicità, cerca con pace ed allegria, cosicché le radici della felicità affondino nel suo cuore, sa che questa ricerca non è illusoria, ma che lo porta a possedere quella stessa felicità che sta cercando. Tuttavia, sa anche che la felicità della fede non ha residenza definitiva sulla terra, ma soltanto nell'eternità. Un non credente non sa dove cercare la felicità alla quale anela il suo cuore. Sono molte le strade che si aprono davanti al suo sguardo pieno di aspettativa, e molti i "profeti" che gli dicono: "Per di qua...", "Seguimi e ti porterò alla felicità"...D'altra parte, sente in se stesso istinti e forti passioni ...e crede che nella loro soddisfazione sarà felice. Sente anche ideali nobili, ha pensieri generosi ed altruisti... e a volte intraprende la ricerca per questa strada. Sente con forza irresistibile l'"io" e le sue esigenze, l'ansia di successo e di trionfo... "E' questa la vera strada!", sente che gli dice una voce interiore. La intraprende...e, dopo diversi tentativi, si rende conto che tutte queste strade erano ingannevoli...E adesso, che fare?

Ad un cristiano il Vangelo di Gesù Cristo offre l'unica via di felicità qui e nell'altra vita. È una strada semplice, sicura: La povertà di spirito, cioè, l'umiltà di cuore, la semplicità di vita, l'abbandono fiducioso in Dio, il non attaccamento alle creature, la sapienza della croce...Strada facile e sicura, ma che purtroppo ha l'apparenza di una strada sgradevole, dura e contraria alla natura dell'uomo. Certamente, le beatitudini non sono slogans che si vendono bene nel mercato della pubblicità. Le beatitudini sono per essenza forza di Dio e sapienza di Dio. Soltanto Dio ci può indicare il luogo dove si trova la vera felicità. La felicità è dono, non conquista umana; è possibilità reale, non utopia..

Questo dono meraviglioso Gesù Cristo lo ha ricevuto da suo Padre. Egli ha vissuto per primo ciò che ha predicato dopo il discorso della montagna. È stato felice nella povertà, nell'umiltà, nella purezza di cuore, nella persecuzione, nella misericordia, nella sete di giustizia, nella costruzione della pace. E dietro Gesù, i suoi migliori discepoli: i santi. Essi sono entrati nel regno delle beatitudini vissute e predicate da Gesù, e, una volta lì, hanno chiesto ed ottenuto di rimanere in lui, di essere ammessi come cittadini di quel misterioso Regno. Cristo invita anche oggi i cristiani a essere felici, ma nel modo in cui egli stesso e i santi lo sono stati.

SUGGERIMENTI PASTORALI

Felicità e fede. Ci possono essere nelle nostre parrocchie coloro che pensano e vivono, benché non lo pensino, come se la fede e la felicità andassero per strade opposte. Diciamo: "Se voglio essere felice, debbo lasciare da parte la mia fede", o "Se voglio vivere la mia fede, devo lasciare da parte la felicità". Quasi come se al credente fossero proibiti non uno soltanto, ma tutti gli alberi del paradiso. In realtà è tutto il contrario, possiamo assaggiare da tutti gli alberi del paradiso ed essere felici, soltanto uno ci è proibito, e questo è il voler cercare e trovare la felicità dove piaccia a noi o dove ci sembri meglio. L'esperienza della vita cristiana è questa: Quanto più profondamente si crede, più si dilata l'anima, e si ottiene maggior capacità di accogliere in pienezza la felicità, questa felicità che culmina in Dio, e che abbraccia tutta la creazione, tutte le creature.

Testimoni della felicità. Nel mondo ci sono molti uomini allegri - e mi riferisco all'allegria sana, non alla sfrenatezza - , ma ce ne sono forse pochi felici. L'allegria è un istante fugace, in cui ci sentiamo bene, contenti, soddisfatti, ottimisti, sorridenti...La felicità, invece, è duratura: è la pace di chi possiede Dio e vive in amicizia con lui, è la gioia di servire per amore senza guardare a chi si serve, ma di servire soltanto per Lui, il silenzio interiore per ascoltare e parlare con Dio, lo sguardo sereno della fede sugli avvenimenti della vita e sulle difficoltà e le pene dell'esistenza, la speranza che non delude nella vittoria del bene sul male... Ogni cristiano, se lo è veramente, è chiamato ad essere testimone della felicità tra gli uomini. Non sarà questa forse una delle migliori maniere per cambiare il nostro ambiente, la società e il mondo in cui viviamo?

 

 

 

 

 

5° Domenica del TEMPO ORDINARIO 7 Febbraio 1999

Prima lettura: Is 58,7-10; Seconda: 1Cor 2,1-5; Vangelo: Mt 5,13-16

 

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

"Opere, non parole", tale potrebbe essere il messaggio della liturgia di questa quinta domenica del tempo ordinario. "Dividi il tuo pane con gli altri... da' ospitalità al povero, vesti chi è nudo...", questo è il digiuno che piace a Dio, secondo il profeta Isaia nella prima lettura. Gesù nel Vangelo dice ai discepoli: "Brilli la vostra luce davanti agli uomini, in modo tale che, vedendo le vostre buone opere, diate gloria a vostro Padre". San Paolo, molto cosciente dell'essenza della fede cristiana, incentra la sua predicazione non sul ragionamento umano, ma sull'opera di Cristo per eccellenza: la sua morte su una croce per la nostra salvezza, non sull'eloquenza e sulla capacità di persuasione, ma sull'azione e il potere dello Spirito (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

Il cristianesimo è una fede, che opera mediante la carità. Entrambe le cose sono imprescindibili e inseparabili. Il cristianesimo ha vissuto una grande tragedia, quando i cristiani le hanno separate, credendo di essere buoni cristiani soltanto con la fede senza le opere, o soltanto con le opere senza la fede. Siamo agli antipodi del vero cristianesimo.

Ogni cristiano è sale della terra, luce del mondo, città sulla vetta di un monte, grazie alla sua fede e grazie alle sue opere. Il sale è simbolo della sapienza, e il cristiano ha la sapienza del Vangelo. Il sale, inoltre, ha la qualità di preservare dalla corruzione, e il cristiano - in quanto sale - riuscirà a preservare l'ambiente in cui vive mediante la testimonianza delle sue opere. La luce è fatta per illuminare, e il cristiano è luce che con la parola di Dio illumina le menti e le situazioni umane. Ma non si accende una lampada per nasconderla, e il cristiano è la lampada le cui buone opere non possono essere occultate, perché sarebbe come lasciare il mondo nell'oscurità. Come una città su un monte orienta il viaggiatore nel suo percorso, così il cristiano orienta gli uomini con le sue parole, con la dottrina della fede. Nella città l'uomo trova rifugio, protezione, sicurezza, e questo è il cristiano, con il suo esempio, per gli altri: un segno di sicurezza in mezzo agli ostacoli e alle incertezze della vita.

La prima lettura esemplifica alcune di quelle opere, per le quali il cristiano sarà sale, luce e città in alto per gi uomini: soddisfare la fame del bisognoso, dar rifugio a chi non ha casa, offrire vestiario a chi soffre l'inclemenza del freddo, allontanare dall'anima e dal comportamento qualsiasi segno di oppressione, vincere la tentazione della calunnia e dell'accusa gratuita...In definitiva, le opere cristiane sono opere di giustizia, di solidarietà, di rispetto, di carità verso gli altri.

Nessuno ha più amore che colui che dà la vita per l'amato. Questa è l'opera suprema dell'amore, questa è l'opera di Cristo che Paolo presenta ai corinti come quella veramente efficace, al di sopra di qualsiasi filosofia o di qualsiasi retorica persuasiva. Essi abbracciarono la fede proprio per l'azione misteriosa di quest'opera nell'intimo dei loro cuori, e per il potere dello Spirito che rende efficace l'opera redentrice di Gesù Cristo.

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Il ruolo del cristiano nella società attuale. Potranno darsi accentuazioni, come in tutto, ma il suo ruolo è quello di proclamare la sua fede in Gesù Cristo tanto con parole come con opere. Non basta credere, perché la fede senza le opere è una fede morta, e una fede morta è come il sale che ha perduto la propria forza di salare, e non possiede vigore di attrazione né di convincimento. Non c'è forse questo tipo di credenti nella nostra parrocchia? Gente che va a messa, e poi parla male degli altri; persone che si credono ferventi cristiani, e sopportano a malapena e malvolentieri gli immigrati; gente che conosce bene la dottrina sul sesto comandamento, ma si è dimenticata di vivere il quinto non pagando le tasse o sottraendone una parte..

E non è nemmeno sufficiente operare, perché le opere senza la fede non possono salvarci. Non è genuino spirito cristiano lavorare per gli altri, darsi febbrilmente ad opere di assistenza, e poi dimenticarsi di pregare o di andare a messa la domenica. Non lo è, chi dà elemosina al povero, aiuta generosamente le opere sociali, ma ritiene "impossibile" per lui credere nella resurrezione della carne e nella vita futura...Si deve fare l'una cosa senza omettere l'altra, come ci insegna Gesù Cristo.

Coltivare la fede, praticare le opere di carità. È necessario, nella situazione attuale di molti fedeli, che le parrocchie, direttamente o con l'aiuto di altre istituzioni (congregazioni religiose, movimenti ecclesiali, associazioni di fedeli laici...), offrano e promuovano corsi ed attività per crescere nella fede, per rafforzarla, per difenderla davanti ai possibili pericoli.

E’ anche consigliabile che le stese parrocchie promuovano la "carità organizzata", a livello parrocchiale o diocesano, per ottenere maggior efficacia nel servizio ai bisognosi. Le forme possono essere svariate: raccolta di vestiario o di alimenti per i sinistrati o per la Caritas, il telefono amico, la visita agli anziani o ai malati, ecc.

 

 

6° Domenica del TEMPO ORDINARIO 14 Febbraio 1999

Prima lettura: Sir 15,15-20; Seconda: 1Cor 2,6-10; Vangelo: Mt 5,20.27-28.33-34.37

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

La libertà è una virtù e un valore eminentemente cristiano. Le letture di oggi sono incentrate su questa libertà autenticamente cristiana. Nella prima lettura il Siracide ricorre ad immagini per mostrare la responsabilità dell'uomo nel suo operare: "Fuoco ed acqua ho posto davanti a te, allunga la mano verso ciò che desideri. Davanti all'uomo stanno la vita e la morte; ciò che egli vorrà gli verrà dato". Gesù Cristo nel Vangelo confronta la libertà con la scelta di ciò che è più proprio e peculiare del cristianesimo: "Avete udito che è stato detto...ma io vi dico...". Infine san Paolo esorta i cristiani di Corinto a scegliere una sapienza superiore: divina, misteriosa, nascosta, che Dio ci ha rivelato per mezzo del suo Spirito (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

La catechesi sulla libertà cristiana inizia con la spiegazione della libertà come capacità di scelta. Essere uomo è vivere optando, scegliendo tra una cosa e un'altra, tra un comportamento e un altro. Le piccole scelte di ogni giorno sono guidate dalla scelta fondamentale, questa scelta che il Siracide ci presenta in modo chiaro mediante immagini: "Scegli tra il fuoco e l'acqua, la vita e la morte, tra rispettare o non rispettare i comandamenti, tra grazia o peccato". Cioè: "Scegli tra il bene e il male". Questo principio etico non è opzionale, è inscritto nelle leggi stesse dello spirito umano, e pertanto non si può rinunciare ad esso senza rinunciare allo stesso tempo alla propria umanità.

Questo principio fondamentale ha ricevuto alcune concrezioni nel Decalogo che Dio diede al popolo ebraico per mezzo di Mosè, ma il cui valore è universale, perché si situa al di sopra di qualsiasi circostanza o situazione particolare. Gesù Cristo nel Vangelo di oggi ci ricorda alcuni di questi comandamenti (quinto, sesto e ottavo): "Non uccidere", "Non commettere adulterio", "Non dire falsa testimonianza". La libertà umana trova in queste formulazioni un'indicazione del male che deve evitare, e, implicitamente, del bene che deve fare: rispettare la vita, essere fedele alla propria sposa, dire la verità. sono principi validi per ogni uomo, sia cristiano o no, soprattutto nella loro formulazione negativa.

Ma Gesù Cristo propone alla libertà del cristiano di andare più in là, di portare l'esercizio della libertà ad una maggiore perfezione. Gesù concretizza ulteriormente i comandamenti del Decalogo. Per un cristiano, scegliere la collera, l'insulto, la squalifica personale è un'azione cattiva, che va contro il quinto comandamento, e attacca l'amore sincero verso il prossimo che ne è l'essenza. Quanto al sesto, il semplice desiderio di concupiscenza è già adulterio del cuore, è un cattivo uso della libertà, perché il cuore non è puro. Infine, Gesù Cristo dice a noi cristiani che è meglio la verità e la sincerità che ricorrere al giuramento come unica e vera garanzia di onestà. Il cristiano autenticamente libero, amante della verità e del bene, non ha bisogno di giurare.

Questa libertà cristiana, che cerca sempre il meglio, non è una sapienza di questo mondo, ma una sapienza che viene da Dio e che Dio ci ha rivelato per mezzo del suo Spirito, perché dove è lo Spirito, lì è anche la vera libertà. Questa sapienza della libertà non la conoscono e non la comprendono i non cristiani; perciò, a volte la attaccheranno come irrazionale, e a volte la ammireranno come eroica. In ogni caso, perfino per noi cristiani che la esperimentiamo e cerchiamo di applicarla nella vita, essa non cessa di essere misteriosa, nascosta. È la libertà dei figli di Dio che non "hanno bisogno" di altre leggi, per comportarsi bene come uomini e come cristiani, che della legge dello Spirito.

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

La libertà cristiana in una società pluralista richiede grande discernimento. I fedeli cristiani vivono nel pluralismo religioso, politico e culturale. Un pluralismo che tocca il modo stesso di vedere il bene e il male, e, di conseguenza, scelte diverse in campi importanti della vita umana o della società. Per un cristiano l'aborto volontario è sempre un male, ma nella società pluralista ci sono coloro che in certi casi lo considerano un bene. Per un cristiano la prostituzione va contro la dignità della donna, ma c'è chi la considera una "professione" tanto buona e legittima come qualsiasi altra...Questo pluralismo non deve indebolire le nostre convinzioni, piuttosto le rafforzerà e ci porterà a dare ragione della nostra fede e della nostra posizione. Non deve, tuttavia, nemmeno condurci al fanatismo e all'intransigenza con chi non condivide la nostra fede e la nostra morale. Il rispetto delle differenze e il dialogo costruttivo, e più di ogni altra cosa la testimonianza di coerenza cristiana, deve essere la strada preferita dalla nostra libertà.

Lo Spirito di libertà. Il cristiano, ogni cristiano, nel buon esercizio della sua libertà, agisce sotto l'azione dello Spirito. Il discernimento per opera dello Spirito e la docilità a questo stesso Spirito, permettono al cristiano l'uso più pieno della sua libertà, il passaggio da ciò che è buono a ciò che è migliore; da quanto la società o l'ambiente in cui si vive non esigono, a quanto esige la coscienza; dal semplice aiuto agli altri alla generosità senza misura.. Quanto più docile sarà ogni cristiano all'azione dello Spirito Santo nella sua coscienza, tanto più libero sarà nelle sue scelte fondamentali e nelle piccole, "deboli" decisioni di tutti i giorni.

 

 

 

Mercoledì delle CENERI 17 Febbraio 1999

Prima lettura: Sir 15,15-20; Seconda: 1Cor 2,6-10; Vangelo: Mt 5,20.27-28.33-34.37

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Iniziamo la quaresima, tempo di penitenza e di riconciliazione. Le letture di questo Mercoledì delle Ceneri insistono soprattutto sull'interiorità, sul cuore pentito e riconciliato. Nella liturgia penitenziale della prima lettura Dio, per mezzo del profeta Gioele, ci dice: "Tornate a me con tutto il cuore.. stracciate il vostro cuore, non le vostre vesti". Gesù nel Vangelo ci invita a liberarci da ogni esteriorità e a pregare, digiunare e fare elemosina "in segreto", cioè, nell'intimo del cuore. La riconciliazione di cui ci parla san Paolo nella seconda lettura significa prima di tutto creazione fatta da un altro, un rifare l'uomo nel suo intimo.

 

 

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

La grandezza o la miseria dell'uomo si misura dalla grandezza o dalla miseria del suo cuore. È nell'intimo che si forgia l'uomo: i suoi buoni o cattivi pensieri, le sue decisioni rette o malvagie, i suoi comportamenti giusti o ingiusti, le sue parole vere o ingannevoli. Gesù Cristo è venuto al mondo per cambiare l'uomo dall'interno, in modo che le sue opere non siano se non l'esternazione del suo buon cuore.

Davanti al comportamento dei suoi contemporanei, molto segnato da sfoggio di ostentazione, Gesù assume un atteggiamento in perfetta logica con la propria condotta e col proprio insegnamento: Le opere che Gesù menziona sono buone e lodevoli, ma l'ostentazione è riprovevole, perché non cerca Dio, ma la ricompensa umana. "Fare elemosina" è un'azione benefica, ma farlo per essere apprezzato dagli altri, perché venga lodata la nostra 'generosità', non è propriamente cristiano. "Che non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra", ci ammonisce Gesù Cristo. Facciamo il bene per amore verso Dio Padre, il cui volto vediamo riflesso nel povero e nel bisognoso del nostro denaro e del nostro amore fraterno. "La preghiera", così come il "digiuno", sono due opere stupende, quando si fanno con rettitudine di intenzione, senza voler richiamare l'attenzione, con il desiderio di esser graditi a Dio Padre e di servire i nostri fratelli. La vera conversione non consiste nel digiunare, pregare o fare elemosina, ma nel fare opere con un cuore rinnovato, libero da egoismo e da interessi personali.

L'atteggiamento di Gesù si mostra in continuità con il profetismo (Isaia, Geremia, Ezechiele...), particolarmente con il testo del profeta Gioele, riportato dalla prima lettura: i penitenti di quei tempi si stracciavano le vesti per mostrare il proprio dolore e pentimento. Gioele dice loro che è molto più importante stracciarsi il cuore, dolersi nell'anima per i propri peccati. Da parte sua la Chiesa primitiva, secondo quando ci indica san Paolo nella seconda lettura, continua la posizione e l'insegnamento di Gesù Cristo. La nuova creatura, sorta dal battesimo, è quella che è stata riconciliata con Dio per mezzo di Gesù Cristo. E gli apostoli, continuatori dell'opera di Cristo, sono i ministri della riconciliazione. In quanto tale ministro, Paolo ci esorta: "Non accogliete invano la grazia di Dio". All'inizio della quaresima, questa è un'esortazione molto adatta.

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Ci avviciniamo a passi veloci al grande giubileo dell'anno 2000. Caratteristica del giubileo è la gioia spirituale per i grandi beni del mistero dell'Incarnazione. Ma previa alla gioia spirituale si trova necessariamente la conversione, la purificazione della nostra vita, almeno sfiorata, se non abbattuta dall'oscurità e dalla tristezza del peccato. Per esprimere la conversione e ottenere realmente la purificazione interiore, la Chiesa ci propone alcuni mezzi: il pellegrinaggio a Roma, alla Terra Santa o alla Chiesa cattedrale...Pellegrinare è mettersi in cammino verso la casa del Padre, è "esercizio di ascesi laboriosa, di pentimento per le debolezze umane, di costante vigilanza sulla propria fragilità" (Incarnationis mysterium - IM - n.7). Pellegrinare è riconoscerci bisognosi di un Padre che ci venga incontro, ci perdoni e ci ristabilisca nella nostra dignità di figli suoi.

Un altro mezzo che la Chiesa ci mette a disposizione è la porta santa, che evoca "il passaggio che ogni cristiano è chiamato a fare dal peccato alla grazia" (IM n.8); poiché tutti siamo peccatori, tutti siamo chiamati a compiere questo passo, ad entrare per questa porta di grazia e di misericordia. Questa porta santa è Gesù Cristo, oltrepassarla significa confessare la nostra fede in Lui e nella sua dottrina, come ci è stata trasmessa dalla Chiesa nel corso dei millenni. Questa porta santa, che è Gesù Cristo, ci dà accesso alla Chiesa, da Lui fondata come segno e strumento di unione con Dio e con tutto il genere umano. Cristo e la Chiesa, indissolubilmente uniti per salvare l'uomo. Perché a volte noi uomini siamo tanto sciocchi da separarli?

Un ultimo mezzo che la Chiesa, nella sua sollecitudine materna, ci offre sono le indulgenze, che sono il nome tradizionale della "abbondanza della misericordia del Padre, che va incontro a tutti col suo amore, espresso in primo luogo col perdono delle colpe" (IM n.9). Le indulgenze non si possono separare dalla conversione del cuore, né dalla misericordia divina, né dal sacramento della penitenza, né dalla gioia del perdono e della grazia. Soltanto in questo contesto spirituale ed ecclesiale le si comprende bene e sortiscono il loro effetto salvifico. Converrà, pertanto, spiegare bene ai fedeli il significato delle indulgenze e il modo corretto di ottenere l'indulgenza plenaria, secondo le disposizioni emanate dalla Penitenzieria Apostolica.

 

 

 

1° Domenica di QUARESIMA 21 Febbraio 1999

Prima lettura: Gen 2,7-9; 3, 1-7; Seconda: Rm 5,12-19; Vangelo: Mt 4,1-11

 

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Come parola chiave della liturgia odierna, sembra evidente la tentazione. Il serpente tenta Adamo ed Eva mediante la sua astuzia, come ci ricorda la prima lettura. Gesù, all'inizio della vita pubblica, è tentato del demonio nel deserto (Vangelo). Ma, mentre Adamo ed Eva cadono in tentazione, rendendosi colpevoli del loro peccato, Gesù vince la tentazione, liberandoci dalla colpa (seconda lettura). Così Gesù viene ad essere il vero Adamo, il prototipo ideale dell'umanità voluta da Dio.

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

La tentazione è un fatto dell'esperienza umana. Dal momento in cui l'uomo ha uso di ragione ed è responsabile e libero, da questo momento il male, con tutte le svariatissime forme che esistono nel mondo, e il Maligno, con tutta la sua astuzia, possono irrompere nella vita dell'uomo con forza di attrazione e di seduzione. Non c'è nessuna tentazione dalla quale l'uomo sulla terra sia esente, poiché la sua libertà è universale, e il Tentatore è "il principe di questo mondo", che desidera soltanto il male dell'uomo.

Adamo ed Eva furono tentati con una doppia tentazione: l'autonomia completa del sapere e la signoria assoluta sulla vita. L'uomo, dall'origine dell'umanità fino alla sua fine, vuole un sapere senza alcun limite, un dominio della vita a suo capriccio. Preferisce allungare la mano verso l'albero proibito, piuttosto che godere serenamente e allegramente di ciò che gli è permesso. Crede che Dio glielo abbia proibito perché non vuole il suo bene, perché vuole tenerlo soggiogato e sottomesso come un cane mansueto, e vede Dio, pertanto, non come un Padre, ma come un rivale e un nemico. È tutto il contrario: se Dio proibisce qualcosa all'uomo, è perché lo ama e sa che ciò che gli è proibito lo danneggia. Purtroppo l'uomo non se ne convince, non ha fiducia, allunga la mano verso l'albero... e si scopre in tutta la nudità della sua miseria, del suo orgoglio distruttore, della sua falsa libertà. Le conseguenze del peccato le porta ogni uomo nella sua propria carne.

Gesù, uomo in tutto uguale a noi meno che nel peccato, soffrì anche la tentazione del demonio. Gesù fu tentato in varie occasioni nella sua vita, ma san Matteo descrive la scena della tentazione patita da Gesù prima di cominciare il suo ministero di predicatore e taumaturgo. Egli venne tentato con le stesse tentazioni patite dal popolo di Israele nella sua traversata del deserto in marcia verso la terra promessa (cf libro dell'Esodo e del Deuteronomio): la tentazione del potere, dell'apparire e dell'avere o possedere. Il popolo israelita soccombette alla tentazione, Gesù ne uscì vittorioso. In Lui, ci dice sant'Agostino, abbiamo vinto ormai le nostre tentazioni, se agiamo come Lui: digiuno, penitenza, orazione.

La grande tentazione dell'uomo, in definitiva, è sempre stata voler essere, nella sua piccolezza, grande "come Dio", credersi e apparire come un dio davanti a se stesso e agli occhi degli uomini. Il grande insegnamento di Gesù Cristo è che, possedendo la grandezza dello stesso Dio, si fece piccolo come l'uomo, fino al punto di essere soggetto alla tentazione. Adamo, il popolo di Israele hanno dimostrato la loro piccolezza e il loro essere nulla davanti alla tentazione, Gesù invece ha dimostrato in quel momento tutta la sua grandezza. Perciò, mentre per mezzo di Adamo il peccato è entrato nel mondo, per mezzo di Gesù Cristo, vero prototipo dell'uomo, è venuta a noi la redenzione.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Le forme in cui l'uomo è tentato dipendono molto dalla sua personalità, dall'ambiente in cui si muove, dalle fasi della sua stessa vita, dallo stato giuridico o professionale, dalle situazioni e circostanze della sua esistenza concreta. Ciononostante, la tentazione sta in agguato per noi tutti all'angolo e nel momento in cui meno la si aspetta. Per la pastorale, è importante affermare con vigore che tutti possiamo essere tentati, e ciò in qualsiasi periodo della vita. Non si deve pensare che le tentazioni siano cose da giovani...

La quaresima offre una buona occasione per trattare il tema della tentazione e del peccato in molti dei campi dell'agire umano: la tentazione di un' "altra religione" più compiacente e facile, la tentazione dell'idolatria verso divinità fatte da mano umana, la tentazione della ribellione e della disobbedienza civile o ecclesiale, la tentazione del dissenso per il dissenso, la tentazione della menzogna, della corruzione, dell'adulterio, dell'aborto, del sesso senza amore...Queste e molte altre tentazioni, secondo i destinatari della nostra azione pastorale, stanno in agguato per noi e per i nostri fratelli.

Una catechesi sulla tentazione è in fondo una catechesi sulla libertà e la responsabilità davanti a Dio, davanti alla propria coscienza e davanti agli altri. Proprio nella tentazione l'uomo mostra se è veramente libero, se sa usare rettamente la sua libertà. Oggi forse si tende a togliere responsabilità alle azioni dell'uomo, attribuendole all'ambiente, a debolezza o ad anormalità psicologiche, a ragazzate 'innocenti'...Senza togliere il dovuto peso a tutto ciò, credo che la società debba reagire, e, invece di sminuire la responsabilità, debba sforzarsi di costruire uomini veramente liberi e responsabili delle loro azioni. Altrimenti, invece di migliorare la società, la lasceremo cadere, più o meno colpevolmente, nell'incoscienza e nell'irresponsabilità..

 

 

 

2° Domenica di QUARESIMA 28 Febbraio 1999

Prima lettura. Gen 12,1-4; seconda: 2Tim 1,8 -10; Vangelo: Mt 17,1-9

 

NESSO logico tra le LETTURE

Voglio sottolineare nei testi liturgici di oggi il tema della vocazione. Dio che chiama Abramo a lasciare la sua terra e ad andare verso la terra che Egli gli indicherà (prima lettura). Gesù che rivela a tre dei suoi discepoli, in un'esperienza singolare e divina, la sua vocazione di nuovo Mosè e nuovo Elia (Vangelo). E infine Paolo, che ricorda al suo discepolo Timoteo la vocazione santa che Dio gli ha concesso, che deve essere fonte di fiducia nel potere di Dio, fino a giungere a soffrire per il vangelo (seconda lettura).

MESSAGGIO DOTTRINALE

Nella concezione cristiana della vita, ogni uomo è un "chiamato", riceve una vocazione propria da Dio, e le qualità e le grazie per realizzarla. Vocazione al matrimonio, alla vita religiosa, al sacerdozio; vocazione per dare gloria a Dio e servire il prossimo come medico, operaio, giornalista, contadino, professore di teologia, parroco, assistente sociale, cappellano dell'esercito o di un ospedale. Dio Padre, con sollecitudine amorosa, dà a ciascuno le qualità, le circostanze e le grazie per realizzare la propria vocazione.

Abramo viveva tranquillamente ad Ur dei Caldei; in una cultura, la più avanzata probabilmente del suo tempo; con uno sviluppo tecnico che aveva raggiunto altissime quote, ammirate da tutti i popoli. Dio irrompe in questa vita tranquilla, umanamente soddisfacente, forse perfino molto ben sistemata, e lo chiama a lasciare tutto ciò per realizzare "un sogno di Dio", qualcosa che Abramo non vede né può immaginare: fondare un nuovo popolo in una terra lontana più di 1500 chilometri, che vive ancora nel sottosviluppo. Abramo credette, si fidò di Dio, rispose con libertà e grandezza di spirito alla vocazione a cui Dio lo chiamava. Dio lo benedisse facendolo padre di tutti i credenti, e fondatore del popolo di Israele.

Gesù è venuto a questo mondo "per fare la volontà di suo Padre", per manifestare agli uomini l'amore di Dio fino all'eccesso. Questa vocazione di Gesù è presentata nei Vangeli e nel Nuovo Testamento in forme molto diverse, per esempio: Gesù come il nuovo Adamo, come figura di Isacco, come incarnazione della Sapienza, ecc. Nella trasfigurazione, come ci narra san Matteo, Gesù è visto dai suoi tre discepoli in mezzo a Mosè e ad Elia; cioè, come il nuovo legislatore che darà agli uomini, come comandamento unico e sintesi di tutti gli altri, quello dell'amore, e come nuovo profeta che proclamerà agli uomini i segreti del cuore di suo Padre Dio. Come nuovo Mosè e come nuovo Elia, egli realizza la sua vocazione e manifesta l'amore del Padre.

Timoteo, discepolo di Paolo, ha ricevuto una vocazione santa: essere guida di una comunità cristiana e condurla per il cammino della virtù e della volontà di Dio. Per questo gli sono state imposte le mani sulla testa. È una vocazione dura, soprattutto in tempo di persecuzione. Perciò, Paolo gli chiede di non vergognarsi di dare testimonianza di Gesù Cristo con la sua parola, e, se è necessario, con la sua sofferenza. Per comportarsi così, Timoteo deve essere sicuro che la vocazione non è scelta sua, ma grazia di Dio, una grazia interamente efficace, come si è manifestata in Gesù Cristo, che ha distrutto la morte e ha fatto irradiare la vita e l'immortalità..

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Pastoralmente è molto efficace che ogni cristiano sappia e si convinca di "aver ricevuto una vocazione", di essere stato chiamato alla vita per una missione; grande o piccola, questo non importa. La quaresima è tempo di conversione, ma anche di riflessione. Riflessione sulla propria esistenza, sul significato della vita, sul motivo e il fine per cui mi trovo in questo mondo, come preparazione e alla luce del mistero pasquale (passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo). Questa coscienza di vocazione è importante per aiutare le persone a non "sentirsi sole", perché colui che le invia sta loro vicino, cammina con loro attraverso la vita, e perché la loro vocazione, qualsiasi essa sia, sarà sempre una vocazione ecclesiale: nella Chiesa, al servizio della Chiesa; anche per infondere allegria ed entusiasmo nella vita di ogni giorno: non ci si "lascia vivere", ma si vive coscientemente e gioiosamente la propria vocazione, con il desiderio di portare a compimento un progetto di vita, e costruire con gli altri cristiani un mondo migliore. Infine, il concepire la vita come vocazione infonde energie e speranza verso il futuro, con la sicurezza che il Dio che chiama è lo stesso che ci aspetta alla fine del cammino con le braccia aperte di Padre.

La realizzazione della propria e personalissima vocazione non è mai esente da difficoltà, come non lo è nemmeno da gioie. Le figure di Abramo, di Timoteo, e soprattutto di Gesù, che la liturgia ci presenta, sono eloquenti. San Luca, nel racconto della trasfigurazione, dice che Mosè ed Elia parlavano "dell'esodo che Gesù doveva consumare a Gerusalemme", cioè della sua passione. Gesù, come Abramo e Timoteo, ci insegna che dobbiamo essere coraggiosi e generosi davanti alle difficoltà, e portare fino all'estremo la nostra fiducia in Dio, con la sicurezza di essere attesi e benedetti da Lui. Come pastori, dobbiamo conoscere molto bene le diverse vocazioni dei fedeli, le difficoltà che essi incontrano nella loro realizzazione; dovremo anche accompagnarli nel loro cammino quotidiano, nelle loro tribolazioni come nelle loro gioie. Non è forse proprio della vocazione del pastore il sostenere e stimolare la vocazione di ciascuno dei suoi fedeli?

 

 

3° Domenica di QUARESIMA 7 Marzo 1999

Prima lettura: Es 17,3-7; Seconda: Rom 5,1-2.5-8; Vangelo: Gv 4,5-42

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

La presenza attiva ed efficace di Dio nella storia della salvezza e nella vita degli uomini può essere il concetto unificatore della liturgia di questa terza domenica di quaresima. Il popolo israelita cammina per il deserto, verso la terra promessa, e muore di sete. Dio interviene facendo scaturire, per opera di Mosè, abbondanti acque dalla roccia dell'Oreb (prima lettura). Nell'incontro con la samaritana e con gli abitanti di Sichen, Gesù mostra che Egli è il dono di Dio, la presenza di Dio tra gli uomini: l'acqua che sazia la sete del cuore umano, la presenza e la parola efficace che trasforma dall'interno coloro che lo vedono e lo ascoltano (Vangelo). Nella lettera ai Romani, san Paolo scrive: "Dandoci lo Spirito Santo, Dio ha riversato il suo amore nei nostri cuori". Dio si fa presente nell'uomo mediante lo Spirito, sparso come acqua feconda nel cuore umano (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

La storia della salvezza, in cui siamo immersi, è l'espressione teologica dell'iniziativa divina e della sua presenza amorosa e dialogale tra gli uomini. Dio, che "creò" il popolo di Israele, non lo abbandona nei suoi problemi, ma compie con lui la promessa di fedeltà al patto di alleanza e lo accompagna con il proprio potere nella sua peregrinazione per il deserto. Questa presenza divina non sempre è "visibile", sembra piuttosto, al contrario, che Dio si sia dimenticato del popolo, e quest'ultimo grida la sua fame, la sua sete, la sua nostalgia del passato...Le "viscere" di Dio si commuovono ed Egli interviene efficacemente inviando la manna, l'acqua abbondante, le quaglie, la 'speranza' di una "terra che emana latte e miele". Allora il popolo si accorge che Dio realmente è fedele e riprende fiducia in Lui e nei suoi eletti: Mosè. Giosuè, ecc.

La samaritana - e i suoi concittadini con lei- sembrano abbandonati da Dio, poiché da secoli hanno lasciato il vero culto a Javeh e sono andati dietro agli dei di altri popoli, rinunciando così alla loro identità giudaica e a Javeh, l'unico Dio (cf 2Re 17, 28-31). Sono persone religiose, ma si sono lasciati influenzare dall'idolatria, ignorano il vero Dio e non sanno né dove né come rendergli adorazione. Tuttavia, Dio mostrerà loro la sua vicinanza e presenza per mezzo di Gesù Cristo e dei primi predicatori cristiani. Gesù si rivela loro come il vero messia, l'unto di Javeh per salvare il suo popolo, e rivela loro il vero culto a Dio, che non dipende da un luogo, ma dalla disposizione interiore: il culto in spirito e in verità. I cristiani ellenisti di Gerusalemme evangelizzeranno, pochi anni dopo, tutta la regione della Samaria, con ottimi risultati. Dio è fedele al suo popolo, e al suo disegno di salvezza.

La fedeltà di Dio, la sua presenza efficace in noi e tra noi, ce la fa sentire lo Spirito Santo, l'acqua viva sparsa nei nostri cuori, il dono che il Padre ci ha dato per 'ricordarci' il suo amore. Questa azione dello Spirito Santo ci dà la certezza di vivere "già salvati" per opera di Gesù Cristo, che è morto per noi, e ci apre alla speranza, una speranza che non inganna, perché è garantita dalle primizie di salvezza già gustate quaggiù, in questo mondo.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Nell'attualità ci sono segni di Dio e della sua presenza tra noi, ma ci sono anche segni del male e della sua azione nel mondo. Tra i fedeli cristiani, ci saranno coloro che baderanno di più ai segni del male, come ci saranno anche, allo stesso modo, quelli - ed è da sperare che siano la maggioranza - che porranno piuttosto la propria attenzione sui segni del bene, e della presenza divina. Pastoralmente, conviene non chiudere gli occhi di fronte a nessuno di tutti questi segni, né ai buoni né ai cattivi, ma si dovrà mettere in rilievo preferibilmente i segni buoni, che ci parlano precisamente della presenza di Dio tra noi.

Il Papa Giovanni Paolo II ci mette a disposizione un buon esempio. Egli ha dedicato le catechesi del 18 e 25 novembre del 1998 proprio ad esporre alcuni dei segni di speranza presenti nel mondo e nella Chiesa. Ripassiamoli brevemente con il Papa.

Tra i segni di speranza presenti nel mondo, il Papa segnala: I progressi realizzati dalla scienza, dalla tecnica, e soprattutto dalla medicina, al servizio della vita umana; l'enorme progresso nel campo delle comunicazioni, particolarmente delle comunicazioni sociali; un senso più vivo di responsabilità in rapporto all'ambiente; gli sforzi per ristabilire la pace e la giustizia dove siano state violate; la volontà di riconciliazione e di solidarietà tra i diversi popoli, in particolare nella complessa relazione tra il nord e il sud del mondo. Tutti questi segni di speranza, ben orientati, contribuiranno a creare la civiltà dell'amore e ad instaurare la fraternità universale. Sono segni che noi cristiani dobbiamo riconoscere, di cui dobbiamo ringraziare Dio, come dobbiamo, per quanto possibile, collaborare per portarli a compimento secondo il disegno di Dio.

Rispetto alla Chiesa, il Papa indica come segni di speranza: l'accoglienza di carismi che lo Spirito Santo distribuisce con abbondanza nella Chiesa; la promozione della vocazione e della missione dei fedeli laici, che preannuncia una epifania matura e feconda del laicato; il riconoscimento e la manifestazione del ruolo della donna e del "genio femminile" nella Chiesa; il fiorire dei movimenti ecclesiali; il movimento ecumenico in cui lo Spirito Santo ha impegnato i membri delle diverse Chiese cristiane; lo spazio aperto al dialogo con le religioni e con la cultura contemporanea. Dio è fedele, e continua ad essere efficacemente presente nella storia del mondo e nella vita della Chiesa.

 

 

4° Domenica di QUARESIMA 14 Marzo 1999

Prima lettura: 1Sam 16, 1.4.6-7.10-13; Seconda: Ef 5, 8-14; Vangelo: Gv 9,1-41

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Il cristianesimo, fin dagli inizi, si è presentato come un sorprendente paradosso, e forse questa è la chiave della liturgia di oggi. Dio non guarda, come gli uomini, alle apparenze, ma al cuore, per questo ha scelto il più piccolo dei figli di Jesse, Davide, per ungerlo come re di Israele (prima lettura). Nel Vangelo, Gesù dichiara: "Io sono venuto per dare la vista ai ciechi e per privare di essa coloro che credono di vedere". Nel mondo ellenistico, Efeso, come Corinto, erano città cosmopolite, famose, illustri per la loro cultura e per la loro raffinatezza 'spirituale'. Secondo san Paolo, i cristiani sono i figli della luce, i pagani di Efeso appartengono piuttosto al regno delle tenebre che si devono smascherare, affinché le illumini Cristo (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

Il paradosso cristiano non ci risulta strano. Deriva dal concetto stesso della rivelazione che Dio ci ha fatto di se stesso e dal suo disegno di salvezza. Il Dio cristiano è il più vicino, e allo stesso tempo il più lontano, il totalmente altro; è onnipotente e ci si presenta debole; è Padre amoroso, con viscere materne, e giudice che darà a ciascuno secondo i meriti; è spirituale e invisibile e si rende visibile nella trasparenza della carne. Il paradosso che ci presenta la liturgia, questa domenica, rientra dentro questo insieme di paradossi cristiani.

Nella valutazione umana delle cose e delle persone, quanto più è grande un compito, tanto più si cerca e si sceglie per esso la persona più preparata, con maggior ascendente umano, con una personalità più forte ed attraente, con il maggior numero di qualità...Dio, nella prima lettura di oggi, ci dice che Egli opera al contrario di come pensiamo noi: sceglie il piccolo, ciò che non conta agli occhi degli uomini. "Non ti fissare sul suo aspetto e sulla sua grande statura, poiché io non l'ho scelto", "Alzati e ungilo perché è questi". Con questo paradosso, Dio mette in risalto che ciò che più conta per una missione non sono tanto le qualità proprie, quanto la forza e il potere dello Spirito di Dio.

Gesù è la luce del mondo: la sua persona, il suo insegnamento, le sue opere. Le persone meglio preparate per essere illuminate da questa luce di Cristo erano, senza dubbio, i farisei, che avevano fatto della Legge e della Scrittura la ragione della loro intera esistenza. Gesù, non ha forse detto loro: Indagate le Scritture, che esse parlano di me? Gesù, nel vangelo della liturgia, mette in risalto il paradosso: credono di vedere e per questo sono rimasti privi della vista. Mentre il povero cieco dalla nascita, senza preparazione alcuna, ma libero anche da pregiudizi e da schematismi prefabbricati, non soltanto ha recuperato la vista fisica, ma appare con più vista e intelligenza per le cose di Dio di quanto non siano gli stessi farisei. Una filosofia e una teologia "orgogliose" e "chiuse" all'imprevedibile di Dio possono accecare le menti più eccelse e gli spiriti più "luminosi" di ogni momento storico.

E' quanto è accaduto con molti abitanti di Corinto, Atene, Efeso. Vivevano soddisfatti dei loro pensieri, della loro apertura senza frontiere a tutti i popoli e a tutte le religioni, dei loro costumi e dello stile di vita che si era diffuso per tutto l'impero greco-romano. San Paolo dirà di essi: si credono luce, ma vivono nel regno delle tenebre: lussuria, avidità, idolatria, conversazioni sfacciate ed impudiche... Tutto ciò deve essere smascherato dalla luce della parola e della vita autenticamente cristiane affinché, restando allo scoperto, sia penetrato dalla luce di Cristo.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Nell'attualità il cristianesimo continua ad essere allo stesso modo paradossale e sorprendente. Dio continua a confondere i saggi e potenti, i grandi e i nobili, mediante persone che agli occhi umani sono 'poca cosa', 'insignificanti', senza alcun potere economico o militare. Quale potere politico o militare ha il Papa Giovanni Paolo II e il Vaticano? Nessuno, e, tuttavia, Dio si è servito di lui per cambiare in questi ultimi venti anni l'ordine mondiale e la politica dei due blocchi. Chi era Madre Teresa di Calcutta? Una donna semplice, che viveva poveramente, che si dedicava alla cura dei più bisognosi e abbandonati da tutti..., ma forse è stata lei la donna scelta da Dio per ricordare a tutti noi la fraternità tra gli uomini, l'amore verso il fratello al di sopra di qualsiasi differenza di religione, di razza, di condizione sociale o economica, di stato di salute...

Non soltanto a livello internazionale, ma anche nella vita quotidiana di una parrocchia, di una comunità religiosa, di un movimento ecclesiale, Dio agisce nello stesso modo paradossale. Penso che, per esempio, un parroco dovrebbe sforzarsi di conoscere tutte queste persone che nella parrocchia sono incarnazione viva del paradosso cristiano. Penso che dovrebbe ricorrere con grande fiducia e chiedere la loro collaborazione a persone che non contano, che valgono poco, ecc., ma che sono veramente sante, che trasformano il mondo intorno a loro con la loro bontà, con il loro sorriso, con il loro dono di se stesse.

 

 

 

 

 

 

 

 

5° Domenica di QUARESIMA 21 Marzo 1999

Prima: Ez 37, 12-14, seconda: Rom 8, 8-11 Vangelo: Gv 11, 1-45

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Tutto sembra parlare, nella liturgia di oggi, di resurrezione e vita, per opera della fede e dello Spirito di Dio, come preparazione al mistero della Pasqua. Nella grandiosa visione di Ezechiele, quest'ultimo udì una voce che gli diceva: "Infonderò in voi il mio Spirito, e vivrete". "Lo stesso Spirito divino, che resuscitò Gesù dai morti, farà rivivere i vostri corpi mortali", così san Paolo nella lettera ai Romani. E nel vangelo secondo san Giovanni, Gesù dirà a Marta: "Io sono la resurrezione e la vita", per darle la certezza che suo fratello Lazzaro sarebbe tornato al mondo dei vivi.

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

Il Dio del giudaismo e del cristianesimo è un Dio di vita, è il Signore della vita. È il vivente, Dio di vivi, non di morti. E la gloria di Dio, come dice sant'Ireneo, è che l'uomo viva, in pienezza e integrità. Per ottenere questo, Dio ricorre a tutti i mezzi, con una pazienza ed una fedeltà inesauribili, come è riflesso nella lunga storia delle relazioni di Dio col suo popolo Israele, una delle cui tappe corrisponde all'esilio in Babilonia, dopo la distruzione dei tempio e della città di Gerusalemme. Nell'esilio di Babilonia il popolo languisce, muore, e, soprattutto, muore la sua speranza nell'avvenire; per questa situazione Ezechiele trova un simbolo nelle ossa secche, scarnite, morte. Dio, per mezzo del profeta, rivela al popolo che lo farà uscire dal sepolcro in cui adesso si trova e lo farà vivere di nuovo, facendolo tornare al paese della vita, alla terra promessa.

Il simbolo di Ezechiele diventa realtà nel caso di Lazzaro. Questi è un uomo in carne ed ossa, che vive a Betania con le sue sorelle Marta e Maria. Si è ammalato...ed è morto. Quando Gesù giunge a Betania, Lazzaro giace nel sepolcro già da quattro giorni, tempo che nella mentalità giudaica suggellava il termine definitivo e sicuro della morte. Ma Gesù è la vita, e allo stesso tempo ama Lazzaro con cuore di vero amico. Che farà Gesù? Andrà al sepolcro, griderà con forza: "Lazzaro, vieni fuori!", e questi tornerà di nuovo a stare tra i vivi. È chiaro che Lazzaro, da parte sua, rimanda ad un'altra realtà superiore: la morte e resurrezione di Gesù Cristo, che celebreremo tra due settimane, e la nuova vita che Cristo resuscitato apporta all'uomo, in tutta la sua realtà corporale e spirituale, per opera dello Spirito.

Si ha, dunque, un processo ascendente nel concetto di resurrezione e di vita: prima di tutto è simbolo di liberazione e di partecipazione a una vita gioiosa e felice nella terra che Dio ha dato "ai padri". Poi è passaggio reale e storico dalla morte alla vita, ma ad una vita che terminerà di nuovo nella morte e nel sepolcro. Questo passaggio dalla morte alla vita adotta una forma reale di pienezza insuperabile e di novità sconcertante in Cristo, che morendo vincerà la morte e recupererà la vita per sempre. Infine, il cristiano, già in questo mondo, partecipa per grazia, mediante lo Spirito, della vita resuscitata di Cristo, e parteciperà della stessa nell'eternità di Dio. Perciò, per il cristiano, la morte è un trapasso ad un modo nuovo di vivere, che ci impressiona perché ci risulta "sconosciuto", anche se sappiamo che è un "vivere per Dio".

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Nel periodo di quaresima i temi predominanti della catechesi liturgica sono abitualmente penitenza, orazione, vigilanza, digiuno, ecc. La liturgia di oggi cambia registro per farci pensare anticipatamente al mistero di Cristo risorto e riempire il nostro cuore di gioia. La gioia di chi si spoglia dell'uomo vecchio e comincia a vivere come uomo nuovo, sotto l'imperativo dell'amore, della verità, e della donazione di se stesso agli altri. Questa domenica è come una sosta nel cammino, sosta in cui Gesù ci insegna: Dio è vita, la realtà più palpitante del cristianesimo è la vita che Dio ci comunica, come la comunicò al popolo di Israele, e a Lazzaro di Betania. E, con la vita, la partecipazione nella gioia, nell'esultanza di giubilo per la vita di Dio in noi, cioè, il suo amore, la sua misericordia, la sua tenerezza. Tutto ciò è opera dello Spirito di Dio in noi: noi cristiani dobbiamo essere molto coscienti del fatto che lo Spirito è colui che dà la vita, colui che la sostiene e la rinvigorisce giorno dopo giorno. Quale coscienza c'è, tra i fedeli della tua parrocchia, di questa presenza efficace dello Spirito nella vita di ogni cristiano e nel cuore stesso della Chiesa?

Forse in certi ambienti o comunità parrocchiali si trova una visione debole e disincantata della vita cristiana nella parrocchia, nella diocesi, tra la gioventù attuale, nei gruppi parrocchiali, nei movimenti ecclesiali presenti nella parrocchia o nella diocesi... Una visione concentrata per così dire nel vedere difficoltà, tensioni, mancanze, debolezze umane, limitazioni nell'azione parrocchiale, deficienze religiose e morali, ecc. Oggi Cristo dice a tutti noi: " Io sono la resurrezione e la vita". Presta attenzione alla vita, a tutto ciò che è buono, ai frutti che la fede cristiana sta producendo in tante persone, tra tanti fedeli cristiani. Presta attenzione alla "resurrezione", alla trasformazione che Cristo opera in alcune persone, che tu conosci. Fa' attenzione a tante persone che pregano, che vivono gioiosamente il cristianesimo, che vivono con volti di risorti, perfino in mezzo alla sofferenza. Lavora, lotta, insieme con tanti fratelli nella fede, affinché aumenti la vita cristiana nella tua parrocchia, nel tuo ambiente. Quanto bene si può fare con uno sguardo puro e vivo, con una parola di incoraggiamento, con un buon esempio di preghiera, di ottimismo, di amore verso Dio e verso il prossimo!

 

 

Domenica delle PALME 28 Marzo 1999

Prima: Is 50, 4-7; seconda: Fil 2, 6-11 Vangelo: Mt 26, 14-27, 66

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Tutta la liturgia è avvolta in un velo di sofferenza, eppure dà l'impressione che il messaggio non sia qui, ma nell'azione misteriosa e sublime di Dio in mezzo al dolore e all'angoscia più atroci. Nel terzo canto del servo di Yavé ascoltiamo: "Il Signore mi aiuta, per questo sopportavo gli oltraggi" (prima lettura). Nell'inno cristologico della lettera di san Paolo ai Filippesi ci viene detto: "Per questo Dio lo esaltò e gli diede il nome che è al di sopra di ogni nome". E nel racconto della passione, Gesù prega suo Padre: "Se è possibile, che passi da me questo calice di amarezza; però non sia come io voglio, ma come vuoi tu"; e alla morte di Gesù, l'evangelista scrive: "Il velo del tempio si squarciò in due parti da cima a fondo; la terra tremò e le pietre si incrinarono...", tutti segni della manifestazione di Dio alla fine dei tempi, secondo la mentalità giudaica. È importante rilevare che la sofferenza non è un controsenso, un errore di calcolo dell'azione creatrice, ma che Dio è il signore della sofferenza e che questa, pertanto, ha un significato.

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

Il dolore e la sofferenza non sono stati risparmiati nemmeno allo stesso Dio, fattosi uomo in Gesù di Nazaret. Ciò significa, da una parte, che essi sono parte costitutiva della storicità dell'uomo, della sua realtà finita, imperfetta, fragile e peritura; e sono, per questo, qualcosa di inevitabile che ogni uomo deve affrontare e accettare, dalla sua condizione umana e dalla sua fede. D'altra parte, ciò vuol dire che la sofferenza ha uno straordinario valore, che l'uomo deve scoprire: un valore morale nella configurazione della personalità umana: colui che sa soffrire diventa più uomo. Ha anche un valore redentore nel disegno di Dio: il dolore dell'uomo contribuisce alla redenzione operata da Gesù Cristo.

La figura del servo di Yavé, di cui tratta la prima lettura, ci risulta sorprendente, scioccante per diversi motivi: è un innocente, che, senza aver fatto male a nessuno, subisce oltraggi, percosse e infamie; è un uomo religioso che, in mezzo a tutto ciò che gli accade, scopre il dito di Dio e sente la forza e la presenza potente di Yavé; è un discepolo di Dio che, situandosi al di sopra del proprio dolore, ha parole di consolazione per chi è abbattuto e bisognoso.

Non è vero forse che la migliore realizzazione di questa figura la vediamo spontaneamente in Gesù di Nazaret, soprattutto in quelle ore terribili e dense del giovedì e del venerdì di passione? Così lo hanno visto e pensato i primi cristiani, e lo hanno lasciato plasmato per noi nell'inno liturgico che Paolo raccoglie nella lettera ai filippesi: "Si spogliò della sua grandezza...prese la condizione di schiavo...umiliò se stesso, obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (seconda lettura). E tutto il racconto della passione, non è forse il dolore dell'innocenza ferita, assassinata, che vince la colpa e il peccato degli "assassini"? Non è l'espressione sublime dell'amore sofferto verso un Padre i cui disegni misteriosi, incomprensibili, si stanno realizzando, "perché l'uomo viva?" Non è il gesto supremo dell'annullamento e dell'umiliazione, al quale il Padre risponde con l'esaltazione e la gloria della missione compiuta? La sofferenza non cessa di avere un volto duro, fosco ed orribile per l'uomo, ma dietro questa maschera di dolore, si trova il volto bello, sereno, gioioso di un significato fecondo, misteriosamente maturato e fruttifero.

 

 

 

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Qual è il mio atteggiamento di fronte al dolore, di fronte alle catastrofi, ai crimini, ai disordini civili, morali, religiosi? Qual è l'atteggiamento dei cristiani tra cui vivo e lavoro? Come vedono ed affrontano la morte di un essere amato, di un innocente? Come sopportano le loro miserie, per esempio una grave infermità, un incidente di traffico o di lavoro, la solitudine e l'abbandono, le limitazioni dell'anzianità? Il sacerdote deve conoscere nel miglior modo possibile i "dolori, le prove, le angosce, le miserie" dei suoi fedeli, dei destinatari del suo messaggio. Sono io il buon pastore che conosce le sue pecore, tutte e ciascuna, e sono vicino ad esse soprattutto nei momenti di prova?

La fede nella presenza e nell'azione di Dio in questi momenti e situazioni di difficoltà e di angoscia è qualcosa di molto necessario ed urgente. Nello sconcerto che la situazione può creare, nella 'crisi interiore di ribellione' che può provocare, nella mancanza di controllo che può scatenare, la fede è una chiave che previene ed accompagna il cristiano, gli infonde serenità, gli apre una porta alla speranza, lo rimette in pace col Signore della vita e della storia. Questa fede della presenza viva di Dio nel dolore e nella prova deve essere oggetto di predicazione (omelia, catechesi); ma nei momenti concreti della prova e dell'angoscia, si deve renderla visibile con la propria vita. In questi momenti il sacerdote è l'uomo di fede che, con la sua propria, infonde fede negli altri.

 

 

 

Giovedì SANTO 1 Aprile 1999

Prima: Es 12, 1-8.11-14, seconda: 1Cor 11, 23-26 Vangelo: Gv 13, 1-15

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

La scena su cui si incentra la liturgia è una sala nella quale alcune persone si riuniscono per celebrare una cena. Il testo e il contesto ci dicono che non è una cena qualsiasi. Si tratta di una cena singolare, di grande importanza per tutti i commensali. Coloro che si riuniscono per cenare, nella prima lettura, sono i membri di una famiglia israelita, che con la cena celebrano la liberazione dalla schiavitù egizia: "Lo mangeranno questa notte, arrostito al fuoco, con pani azzimi ed erbe amare". Nel Vangelo, coloro che "stanno cenando" insieme sono Gesù e i suoi discepoli, in momenti drammatici, che preannunciano la passione. Il testo della seconda lettura ci riferisce dei cristiani di Corinto che si riunivano prima per cenare, e poi per celebrare il memoriale della "Cena del Signore".

 

 

 

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Dio ci rivela le realtà soprannaturali, e le propone alla nostra fede, mediante le realtà più quotidiane dell'umana esperienza. Quale cosa più quotidiana e normale che i membri di una famiglia, o gli amici si riuniscano per mangiare e convivere qualche ora in un ambiente di allegria e di spontaneità? Questo è in primo luogo l'Eucarestia: un banchetto gioioso di Gesù con i suoi amici; un banchetto speciale, perché "ci dà da mangiare la sua carne e da bere il suo sangue", ma in un ambito di amicizia, di allegria e di convivio. La "santa messa" non è primariamente una legge canonica, è piuttosto una legge del cuore che esulta di gioia per il fatto di incontrarsi con i "fratelli" per celebrare insieme un banchetto di amore e di libertà.

Effettivamente, l'Eucarestia è una festa di libertà. Nel mondo giudaico, questa festa si celebrava annualmente la settimana di Pasqua con un rituale bellissimo ed eloquente: il sangue 'liberatore' dell'agnello immolato che segna i pali delle tende, il figlio più piccolo che fa domande al padre di famiglia sul significato della festa, la cena in piedi, con la cintura stretta, con pani azzimi, e in disposizione di marcia...Così si celebrava la liberazione dal potere oppressore di Egitto, simbolo di ogni schiavitù. Noi cristiani, ogni domenica, celebrando l'Eucarestia, celebriamo la festa della libertà dei figli di Dio: liberazione dal peccato e da tutti i suoi "prodotti", grazie a Gesù Cristo, Agnello innocente, immolato per la redenzione di tutti gli uomini. È importante che i fedeli tengano molto presente questo aspetto dell'Eucarestia: festa della libertà integrale (libertà della grazia, libertà interiore, libertà dai condizionamenti umani...). Una libertà, inseparabile dall'amore, vera ragione di essere della redenzione di Cristo, vera ed unica risposta degna dell'uomo.

L'Eucarestia, come ci ricorda san Paolo, è anche una festa di fraternità. Tutti insieme, celebrando la Cena del Signore, ci sentiamo fratelli tra di noi, perché siamo tutti fratelli di Cristo e figli dello stesso Padre. La recita del padrenostro, l'abbraccio della pace e la partecipazione alla comunione rappresentano tre momenti particolarmente intensi di questa fraternità. Una fraternità che non può ridursi alla riunione domenicale intorno a Cristo, sacerdote e vittima, ma che deve prolungarsi giorno dopo giorno durante tutta la settimana. Ci riuniamo come fratelli, la domenica, per vivere come fratelli tutti i giorni.

 

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Penso che si sia fatto molto, nelle parrocchie e soprattutto in certi gruppi più impegnati con la fede, affinché l'Eucarestia sia veramente una festa, un canto di libertà, un poema di fraternità. Sicuramente, tuttavia, non ci meravigliamo del fatto che resti ancora molto da fare affinché questi aspetti dell'Eucarestia penetrino nella mentalità comune di tutti i fedeli cristiani. Come sacerdote, come parroco o vicario parrocchiale, che cosa posso fare per generalizzare questa mentalità? Quali iniziative posso prendere affinché questo modo di vedere e di celebrare l'Eucarestia sia presente nella comunità parrocchiale? Ecco alcune semplici proposte.

Approfittare della catechesi dei bambini, dei giovani e degli adulti per spiegare la celebrazione eucaristica sotto questi aspetti, senza che per questo si lascino fuori altri punti importanti come l'Eucarestia sacrificio di Cristo. Questo richiede che i catechisti o le catechiste abbiano assimilato precedentemente questo modo di concepire l'Eucarestia. Il sacerdote, il parroco in modo particolare, presterà grande attenzione a una formazione retta, completa ed attualizzata dei catechisti o delle catechiste.

Le monizioni e l'omelia nelle domeniche, nelle feste o nelle circostanze importanti come battesimi, prime comunioni, nozze. Momenti privilegiati sui quali conta il sacerdote, non per 'sermoneggiare' sulla messa, ma per esporre con semplicità il suo significato e invitare a partecipare ad essa, perché è qualcosa che riguarda tutti noi e che "ci tocca" in modo personale e comunitario. Ci siamo domandati talvolta perché la messa risulta 'noiosa' per la gente, quando è una festa di amore e di libertà, di fraternità?

Se nella tua parrocchia esiste un 'foglio parrocchiale', anche questo è un buon mezzo per dire qualche volta che cosa è la messa, come la dobbiamo intendere noi cristiani, o per rispondere a certe obiezioni dei fedeli riguardo alla presenza e alla partecipazione all'Eucarestia. Farlo non con tono polemico, ma con semplicità, chiarezza, bontà. Perché dice un sano principio filosofico: nil volitum, quin praecognitum: nulla si ama, se prima non lo si conosce.

 

 

 

Venerdì SANTO 2 Aprile 1999

Prima: Is 52,13-53,12; seconda: Eb 4, 14-16; 5, 7-9 Vangelo: Gv 18, 1-19, 42

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

In tutta la liturgia risuona, in modo inaudito, il pronome "noi", l'aggettivo "nostro" o un suo equivalente, come il motivo unico ed autentico della passione e morte del Servo di Yavé e di Gesù di Nazaret. La prima lettura è la più insistente: "Portava i nostri dolori, sopportava le nostre sofferenze...le nostre ribellioni lo trafiggevano, e lo schiacciavano le nostre colpe. Soffrì il castigo per il nostro bene e con le sue piaghe ci curò...Il Signore caricò su di sé tutte le nostre colpe...Il mio servo recherà a molti la salvezza portando su di sé le loro colpe... Egli si caricò dei peccati di molti e intercedette per i peccatori". L'evangelista Giovanni legge la passione, avendo come sfondo il quarto canto del servo di Yavé, ma, inoltre, all'inizio e alla fine, dà il senso della passione mediante due testi profetici. La prima profezia è del Sommo Sacerdote Caifa: "Conviene che muoia un solo uomo per il popolo"; la seconda è tratta dal profeta Zaccaria: "Guarderanno a colui che hanno trafitto", che si riferisce alla conversione e alla salvezza delle nazioni per opera di Gesù Cristo. A ragione l'autore della lettera agli Ebrei li esorta: "Avviciniamoci con fiducia al trono della grazia, al fine di ottenere misericordia...poiché (Gesù Cristo) si fece causa di salvezza eterna per tutti coloro che credono in lui".

MESSAGGIO DOTTRINALE

Nella fede della Chiesa, il mistero insondabile della passione-morte di Gesù Cristo ha il suo fondamentale motivo nel "mi amò e diede se stesso per me" di san Paolo e nel "per noi e per la nostra salvezza" del credo (l'aspetto d'esempio o di modello è derivato). La questione dottrinale in gioco non è la sofferenza né il perché della stessa, ma la concezione dell'uomo. Che cosa è l'uomo? Perché ha bisogno di essere salvato, e da che cosa? Ecco il nucleo dottrinale che si deve affrontare nella liturgia del Venerdì Santo.

La concezione biblica e cristiana dell'uomo ci dice che quest'ultimo non è un essere innocuo, innocente, pienamente libero, ma che porta dentro di sé il 'verme del male', è un'immagine rotta e lacerata di Dio, carica su di sé una tara misteriosa ma realissima, che si chiama 'peccato originale'. Nessuno sforzo umano, per quanto grandioso e titanico esso sia, è capace da sé di sradicare questo verme dal cuore dell'uomo, di ricomporre l'immagine rotta, di liberarlo dalla tara ereditaria. Questo non è soltanto dottrina cristiana, è allo stesso modo esperienza dell'uomo, qualunque sia la sua religione o, addirittura, anche se non ne abbia alcuna. Il 'buon selvaggio' di Rousseau appartiene al genere delle utopie, completamente distrutte dalla realtà dell'esperienza.

Se l'uomo non può salvarsi da sé, chi lo salverà? Certamente soltanto Dio. Ma, come? Dal cielo, con un gesto di benevolenza? Ma sappiamo che "Dio, nessuno lo ha mai visto". Attraverso un angelo? Ma la missione dell'angelo è quella di essere messaggero, non salvatore. È possibile soltanto per mezzo di un uomo che sia allo stesso tempo Dio. Gesù Cristo, soffrendo e morendo sulla croce come gesto supremo di amore infinito, uccide il verme del peccato che si annida nel cuore dell'uomo, ricrea l'immagine di Dio e strappa dalla radice la 'tara originale'. In definitiva, libera l'uomo da se stesso (superbia e sensualità) e gli dà la capacità di vincere il Maligno. Nella croce di Cristo l'uomo ritrova la sua vera identità, il suo io più autentico, la sua origine e il suo destino.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

La società attuale sembra offrire agli uomini, particolarmente ai cristiani, molti succedanei di 'salvatore'. In alcuni casi saranno la scienza e la sua sorella gemella, la tecnica, ad essere presentate come le 'salvatrici' dell'umanità futura; in altri casi, sarà l' 'ideologia', indipendentemente dal colore e dalla forma che quest'ultima rivesta; per molti, sarà la democrazia, la libera partecipazione di tutti all'attività politica, a presentarsi con volto di 'panacea universale'; e non mancheranno coloro che considereranno vero salvatore dell'uomo il benessere, il cosiddetto welfare, esteso ad ogni uomo, in qualsiasi parte del globo si trovi...È vero che queste realtà indicate e molte altre hanno qualcosa a che vedere con la 'salvezza dell'uomo', ma solo marginalmente, quindi sono insoddisfacenti e hanno una forte carica di delusione quando si è vanamente riposta fiducia in esse.

Le salvezze 'parziali' sono insufficienti. Si deve incontrare l' 'unico salvatore', il vero, colui che può salvare integralmente, radicalmente, nel tempo e nell'eternità. L'incontro autentico di ogni uomo con Cristo Salvatore è fondamentale per una fede adulta e responsabile, coerente e missionaria. I sacerdoti debbono essere i primi a vivere così la fede, ma debbono anche lavorare per formare individui e gruppi di fedeli profondamente credenti in Cristo Salvatore, che servano di fermento e da impulso di autenticità cristiana. Una vita 'salvata' da Cristo è contagiosa e suscita nel suo ambiente desideri di 'essere anche salvati', o, almeno, ammirazione e rispetto per un Salvatore che dà pienezza di significato all'esistenza.

 

 

 

Veglia PASQUALE. 3 Aprile 1999

Prima: Gen 22, 1-18; seconda: Rom 6, 3-11 Vangelo: Mt 28, 1-10

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

L'insieme della liturgia e i testi scelti per lettura ci parlano di vita, di vita nuova sorta dal potere stesso di Dio. La liturgia della luce e il rinnovamento delle promesse battesimali intonano un inno all'uomo nuovo, sepolto e resuscitato insieme con Cristo. Il racconto della creazione parla del mondo e dell'uomo così come uscirono dalle mani santissime di Dio. Di Isacco ci viene narrata la sua "nuova nascita", in cui egli non è più soltanto figlio di Abramo, ma figlio della promessa. Nel libro dell'Esodo ci viene riferita la formazione di un nuovo popolo, dopo la fuga dall'Egitto, per opera di Yavé, ecc. Dal Nuovo Testamento è tratto un testo della lettera ai Romani, in cui Paolo li invita a "condurre una vita nuova", poiché Cristo è risorto dai morti per il potere del Padre. Nel vangelo di san Matteo, le donne cadono in ginocchio e adorano la nuova umanità di Cristo risorto. Con la resurrezione di Gesù Cristo, Dio veramente "fa nuove tutte le cose".

 

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Nella mentalità comune e nella Bibbia, "nuovo" si oppone a "vecchio". D'altra parte, al giorno d'oggi 'nuovo' vuol dire 'recente', fresco, mentre per la Bibbia significa qualcosa di 'diverso e migliore' rispetto al vecchio. Pertanto, vecchio non significa necessariamente il passato e nuovo necessariamente il presente, dato che entrambi possono coesistere. E nemmeno 'vecchio' vuol dire necessariamente 'cattivo', né 'nuovo' si traduce con 'buono', almeno nei Vangeli, poiché negli scritti paolini sembra, sì, avere questo significato etico; la relazione non è tra buono e cattivo, ma tra meno buono e migliore. Gesù dirà: "Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi...Il vino nuovo in otri nuovi" (Mc 2,22). Nel messaggio di Gesù e del cristianesimo primitivo la novità è lo stesso Gesù, la sua presenza nella storia e la sua missione redentrice, la sua rivelazione di Dio e il suo disegno per l'uomo e l'universo. Il "vecchio" rappresenta tutti i sistemi religiosi o filosofici che cercano di spiegare e di dare senso all'esistenza umana e nei quali i cristiani vedranno una praeparatio evangelica, la soglia verso la novità di Cristo.

In che cosa consiste questa 'novità' di Cristo? Prima di tutto nella sua persona: è Dio in condizione di uomo; poi, nella sua presenza sulla terra: Dio tra gli uomini è una novità assoluta, mai udita; anche il suo messaggio: la rivelazione del mistero di Dio, un mistero di comunione e di amore ineffabili, e la nostra vocazione a partecipare a questo mistero; e naturalmente il suo agire nel mondo: l'uomo donatosi fino all'estremo al bene dei suoi fratelli; certamente, la suprema testimonianza di amore e di donazione: la morte su una croce per la nostra salvezza; e, allo stesso modo, il sublime mistero della resurrezione, qualcosa di assolutamente originale ed esclusivo. Infine, l'invio del suo Spirito come 'anima' della Chiesa, la permanenza nella nostra storia per mezzo della presenza eucaristica, e il nostro destino ad un'eterna felicità inimmaginabile, ma realissima.

Su questa novità di Cristo si fonda la nostra novità cristiana. Questa novità che proviene dal battesimo, per il quale veniamo ad essere 'figli di Dio', 'discepoli di Cristo', membri della Chiesa uniti nella fede, nella speranza e nell'amore. Questa novità che ci spinge ad essere imitatori di Gesù Cristo, a riprodurre in noi i suoi tratti spirituali e morali, in modo che siamo altri 'cristo' per gli uomini, e che il Padre ci riconosca come figli vedendo in noi il volto del suo 'Unico Figlio'. Questa novità che conduce ad una vera gerarchia di valori nella vita, e a vivere in conformità con essa, in modo coerente e continuo.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Il cristianesimo è novità. Tuttavia, ci sono molti che pensano ad esso come a qualcosa di antiquato, passato di moda, estraneo e fuori del carro della storia, senza nulla da dire all'uomo di oggi. Perché si produce questo fenomeno? Forse noi cristiani non sembriamo ciò che siamo? Forse con la nostra vita abbiamo mascherato la novità di Cristo e dell'esistenza cristiana? Forse, in pratica, l'essere cristiano non è più differente dall'essere giudeo, musulmano o religiosamente indifferente? Sono domande che noi sacerdoti non possiamo lasciare nell'aria. Sono domande che i parroci debbono porsi e porre coraggiosamente ai loro fedeli.

Non si tratta qui di porre il dilemma tra cristianesimo di massa o di élite. Ciò di cui si tratta è prendere una coscienza più viva e gioiosa dell'identità cristiana, della novità del cristianesimo in mezzo alla società e in mezzo alla pluralità di religioni. E, soprattutto, si tratta di vivere in coerenza con questa meravigliosa novità che è la fede cristiana, che è l'esperienza di Cristo, Figlio di Dio, fratello dell'uomo, Redentore del mondo. Come cristiani, possiamo avere molte cose in comune con altri uomini che non lo sono - , e questi valori comuni li si deve conservare e promuovere -, ma non è comune ciò che ci definisce. Pur conservando gli aspetti comuni, siamo differenti, e questa differenza fa sì che viviamo in modo peculiare i valori comuni. Inoltre, essa fa sì che ci siano tratti esclusivi della famiglia cristiana, che non soltanto non dobbiamo tacere, ma che dobbiamo porre in alto come una bandiera della nostra identità. Essere cristiano è una grazia immeritata, ed è anche un titolo che ci onora, un compito che ci impegna ogni giorno, una novità che ci rinnova senza posa.

Domenica di RESURREZIONE 4 Aprile 1999

Prima: At 10, 34.37-43; seconda: 1Cor 5, 6-8 Vangelo: Gv 20, 1-9

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

La resurrezione di Gesù Cristo dai morti! Ecco il mistero che celebriamo oggi e che tutta la liturgia trasuda in modo rilevante. "Dio lo resuscitò al terzo giorno", predica Pietro a Cornelio e a tutta la sua casa (prima lettura). Per Paolo la resurrezione di Gesù Cristo - e la coscienza cristiana di questo mistero - fonda tutta l'etica cristiana, e per questo egli ci invita a pensare e a cercare le cose di lassù, non quelle della terra (seconda lettura). Nel vangelo, preso dal capitolo 20 di san Giovanni, tutto il racconto è incentrato sul sepolcro vuoto, ma solamente perché risalti di più la fede del 'discepolo amato' nella resurrezione, poiché, secondo le Scritture, Gesù doveva resuscitare dai morti (vangelo).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

Il primo punto che si deve segnalare è che ci troviamo di fronte a un mistero. Un mistero è qualcosa che ci sorprende e ci sorpassa; qualcosa che, senza essere irrazionale, rompe le barriere della ragione umana ed esce dal suo sistema di comprensione della realtà; qualcosa che si coglie più con il cuore e con la fede, e meno con la ragione e col raziocinio; qualcosa che comporta in sé una certa oscurità, qualcosa che non si lascia dominare né manipolare, anche se lo volessimo; qualcosa, in definitiva, che s'impone alla vita dell'uomo; qualcosa d'intangibile e sovrano. Allo stesso tempo noi ci rendiamo conto che 'il mistero', qualsiasi mistero, però, in modo particolare, questo mistero della resurrezione di Gesù, ci riguarda personalmente e non possiamo disinteressarcene. Sarebbe quasi come disinteressarsi del punto di riferimento e di coesione della propria esistenza, della propria felicità. Un mistero dal quale l'uomo non può 'scappare' senza pregiudicare gravemente se stesso, senza lesionare la sua identità.

Aggiungiamo che è bene, che è molto positivo per l'uomo 'sfiorare' o 'essere sfiorato' dal mistero. Si può forse pensare che, per il fatto di essere mistero, esso ci umili, ci danneggi nella nostra dignità, ci sottragga autonomia e grandezza, ci faccia scendere dal piedistallo della ragione e ci immetta nel vicolo cieco della credulità. Nulla di più falso! Il confronto dell'uomo con il mistero, cioè, con quello che trascende la sua esperienza delle cose e degli uomini, è segno della sua origine in nulla di puramente terreno, della sua vocazione a qualcosa di superiore alla mera costruzione del mondo, del suo destino al di là del sepolcro e della dissoluzione in polvere e cenere. In definitiva, il mistero ricorda e fa rivivere all'uomo da dove viene, qual è il suo compito nel mondo, dove va, qual è il suo destino. Non risiede qui la grandezza dell'uomo rispetto a qualsiasi altra creatura dell'universo?

Oggi celebriamo il mistero del Cristo vivente, della vittoria della vita sulla morte e sul sepolcro, del pegno e della garanzia della nostra vita sempiterna, nascosta con Cristo in Dio. Questo mistero non ci è stato lasciato in eredità dai più grandi pensatori della storia, né dai mistici più intuitivi delle religioni; e non ci informano su di esso nemmeno i maghi e gli sciamani di ogni indole ed epoca. Questo mistero ci è stato rivelato dalla testimonianza di 'coloro che videro e credettero'. Non è risultato dello sforzo umano, ma testimonianza di sorprendente esperienza che segnò la loro vita per sempre. In quanto testimonianza, esso non si può dimostrare, semplicemente si crede o non si crede. Ma una testimonianza, accreditata, oltretutto, dal martirio, è ragionevole, che la accettiamo oppure no. Per questo, la resurrezione di Gesù Cristo è un mistero della fede, però è pienamente ragionevole e credibile, ed è un mistero altamente significativo per l'esistenza dell'uomo in questo mondo.

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Nella catechesi e nella pastorale del periodo pasquale può essere interessante spiegare bene a giovani e adulti il concetto e il significato di mistero, per evitare da una parte un fideismo e un fondamentalismo a oltranza, e dall'altra la concezione del mistero come qualcosa di irrazionale, per gente ancora molto primitiva o infantile e per anime psichicamente deboli, ma assolutamente improprio dell'uomo attuale, maturo nel suo pensiero. Il ripassare con i fedeli il concetto di mistero, con semplicità, ma in termini chiari e completi, è qualcosa di importante per proporre, a partire dalla fede e con la ragione, i grandi misteri dell'esistenza cristiana.

In questa catechesi penso che si debbano sottolineare due dimensioni fondamentali. 1) Il mistero è ragionevole, benché esso vada al di là dei limiti della ragione. La ragione dirà: "Questo oltrepassa la mia portata, ma non è contraddittorio né contrario alle leggi essenziali del pensiero; ci sono elementi percettibili che lo rendono ragionevole". 2) Il mistero è significativo per l'uomo. Se l'uomo non capta che esso ha molto a che fare con la sua vita, che questo mistero può cambiare il corso dell'esistenza, non gli presterà nessuna attenzione e lo metterà nel magazzino della roba vecchia. Invece, se la sua vita si vede colpita, 'toccata' dal mistero, allora quest'ultimo sarà un punto di riferimento costante, qualcosa di vitale che penetra tutto il suo essere e che si manifesta in tutto il suo agire. Il mistero della resurrezione di Gesù Cristo, è significativo nella vita ordinaria del cristiano, dei parrocchiani? Come far sì che lo sia realmente per tutti?

 

 

 

2° Domenica di PASQUA 11 Aprile 1999

Prima: At 2, 42-47; seconda: 1Pt 1, 3-9 Vangelo: Gv 20, 19-31

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Se la domenica di Pasqua sottolineava il mistero della resurrezione, quella attuale ci presenta soprattutto la risposta dell'uomo davanti al mistero: la fede gioiosa. L'apostolo Tommaso è forse un paradigma di ogni uomo: passaggio dall'incredulità alla fede in Cristo risorto, dalla ricerca di evidenze alla confessione gioiosa ed emozionata (vangelo). La comunità di Gerusalemme proclama la sua fede nella resurrezione, quando si riunisce la domenica per ascoltare la predicazione degli apostoli, e per celebrare in comunione fraterna la frazione del pane, segno del mistero della morte e resurrezione di Gesù Cristo (prima lettura). Le parole di Pietro risuonano ancora fresche alle nostre orecchie: "Senza averlo visto, credete in lui, e vi rallegrate con una gioia ineffabile e raggiante, ottenendo così la salvezza, che è l'obiettivo della vostra fede" (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

La fede nella resurrezione di Gesù Cristo è il pilastro fondamentale della fede cristiana. "Se Cristo non è risorto vana è la nostra fede, siamo gli uomini più infelici della terra" scrive san Paolo ai corinzi (Cf. 1Cor 15, 12-19). Più ancora, se Cristo non è risorto, siamo falsi testimoni di Dio, dato che diamo falsa testimonianza contro di lui affermando che ha resuscitato Gesù Cristo. Ma più avanti, con chiarezza e forza schiacciante, Paolo esclama: "Ma no, Cristo è resuscitato dai morti". Con la resurrezione di Gesù Cristo, Dio Padre conferma nella verità tutta la sua vita e la sua missione, tutto il suo insegnamento e la sua condotta, tutta la sua opera di rivelazione e di redenzione. La resurrezione diventa il "sì" di Dio a suo Figlio Gesù Cristo, redentore di ogni uomo e di ciascuno degli esseri umani.

Commentando il testo di Paolo ai corinzi, possiamo dire che, poiché Cristo è risorto, noi cristiani siamo gli uomini più felici della terra. La prima comunità cristiana che si riuniva con gli apostoli e con Maria, la madre di Gesù Cristo, per celebrare la "frazione del pane" testimonia questa intensa felicità dei credenti. Il motivo è evidente: la resurrezione di Cristo è primizia della resurrezione del cristiano; più ancora, il cristiano autentico partecipa già, qui sulla terra, della nuova vita in Cristo e con Cristo risorto. Come non vivere in una gioia permanente? È ciò che Pietro canta in un inno probabilmente di carattere battesimale: "Benedetto sia Dio, Padre di Nostro Signore Gesù Cristo, che per la sua grande misericordia, attraverso la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, ci ha fatto rinascere per una speranza viva, per un'eredità incorruttibile, incontaminata e immarcescibile" (seconda lettura).

Commentando lo stesso Paolo, diremmo anche: "La nostra testimonianza della resurrezione di Gesù Cristo rende omaggio alla veracità e alla fedeltà di Dio Padre verso gli uomini suoi figli ". Dio è fedele e, per questo, non ha abbandonato suo Figlio al potere della morte e non abbandonerà nemmeno tutti noi, figli suoi per adozione e misericordia. L'atteggiamento di Gesù resuscitato con Tommaso, l'apostolo 'incredulo', riflette molto bene questa fedeltà di Dio, che accondiscende all''incredulità' dell'uomo per riuscire a portarlo alla fede, ad una fede solida e definitivamente libera da ogni scoria di dubbio: "Signore mio e Dio mio!" (vangelo). La confessione ininterrotta, da parte della Chiesa, della resurrezione di Gesù Cristo, nei venti secoli della sua storia, ha ratificato e continua a ratificare al giorno d'oggi la verità e la fedeltà di Dio.

 

 

 

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

La risposta dell'uomo al mistero è sempre sorprendente, sia che lo accetti per 'miracolo' della grazia, sia che lo rifiuti guidato dalla povera luce della sua intelligenza finita. Qualunque sia la risposta dell'uomo, il mistero s'impone, senza possibilità alcuna di dimenticarlo o di annullarlo. Come sacerdoti e pastori, non ci deve meravigliare da una parte che si possano avere diverse risposte a questo immenso mistero, ma dall'altra non dobbiamo cessare di predicarlo, di testimoniarlo, di indicarlo come assolutamente importante per ogni esistenza umana, e rallegrarci con tutti i nostri fratelli che accettano il mistero di Cristo risorto e vibrano spiritualmente con esso.

Dobbiamo predicare chiaramente che la fede nella resurrezione è un dono, un 'miracolo' della grazia e dell'amore di Dio. Questo dono lo riceviamo nel battesimo, ma si deve coltivarlo, proteggerlo, dargli valore, perché nulla e nessuno lo strappi dal cuore del credente. Come coltivano, proteggono, danno valore i nostri parrocchiani, le persone con cui esercitiamo il nostro ministero pastorale, al dono della fede, particolarmente alla fede nella resurrezione di Gesù Cristo? Che cosa posso fare io, sacerdote, per aiutare i miei fratelli a coltivare, proteggere, dar valore a questa fede?

Dobbiamo spiegare ai fedeli che la fede nella resurrezione non è qualcosa di assurdo, opposto alle leggi della ragione umana, estraneo alla vita quotidiana dell'uomo. Quante realtà nella vita umana non sono evidenti, eppure si credono senza batter ciglio? Credere a chi 'sa' sull'argomento non è assurdo né irrazionale, quindi dobbiamo credere a Dio, la sapienza infinita. Se la vita dell'uomo fosse uguale a quella di un animale, allora la resurrezione sarebbe priva di importanza. Ma, non sente forse l'uomo nel suo cuore che non può morire?Non dice un pagano come Orazio non omnis moriar, non morirò del tutto'? La resurrezione di Gesù Cristo non soltanto non è estranea alla vita dell'uomo, ma è la base inespugnabile del vero significato di quella stessa vita. "Se Cristo è risorto, anche noi resusciteremo con lui".

 

 

3° Domenica di PASQUA 18 Aprile 1999

Prima: At 2, 14.22-33; seconda: 1Pt 1,17-21 Vangelo: Lc 24, 13-35

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Il mistero della resurrezione di Gesù Cristo è il compimento di quanto promesso da Dio nelle Scritture. Questo è il tema comune della liturgia di questa terza domenica pasquale. Gesù risorto, avvicinandosi ai discepoli in cammino verso Emmaus, "cominciando da Mosè e continuando con tutti i profeti, spiegò loro ciò che dicevano di lui le Scritture" (Vangelo). Pietro, da parte sua, nel primo discorso agli ebrei di Gerusalemme, cita le parole del profeta Gioele, come se questi vedesse anticipatamente la resurrezione di Cristo: "Non mi consegnerai agli abissi, né permetterai che il tuo fedele veda la corruzione" (prima lettura). Infine, la prima lettera di Pietro risale addirittura fino alla stessa eternità, al disegno eterno di Dio: "Cristo era presente nella mente di Dio prima che il mondo fosse creato, e si è manifestato alla fine dei tempi per il vostro bene, affinché per mezzo di lui crediate nel Dio che lo resuscitò dai morti e lo colmò di gloria" (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

Sant'Agostino scriverà che il Nuovo Testamento si trova come nascosto nell'Antico Testamento, indicando in questo modo la continuità della rivelazione di Dio nel corso di tutta la storia della salvezza. Con ogni ragione, dunque, Gesù può spiegare ai discepoli sulla strada di Emmaus ciò che Mosè (Pentateuco) e i profeti dicevano della sua resurrezione. Quali potevano essere i testi che Gesù commentò a quei suoi discepoli delusi e 'ciechi' al mistero di Cristo risorto? San Luca non ne menziona nessuno. Ma, leggendo l'Antico Testamento, si potrebbero citare, tra gli altri, Dt 32, 39, dove Dio si rivela come colui che "dà la morte e la vita" o Am 9, 2, dove si dice che Dio "ha potere sullo stesso sheol ", o il Sal 16,10 :"Non mi abbandonerai nell'abisso, né lascerai che il tuo fedele patisca la corruzione", e soprattutto la profezia di Gioele 3,1-5, citata nel discorso di Pietro agli abitanti di Gerusalemme (prima lettura). A questi si possono aggiungere riferimenti alla resurrezione del popolo di Israele da parte di Dio (Os 6,1s; Ez 37, 1-14; Is 53,ss) o, in epoca più vicina al Nuovo Testamento, Dan 12, 2: "Gran numero di quelli che dormono nel paese della polvere si risveglieranno", e soprattutto i libri che ci narrano le gesta dei Maccabei: Il Dio che crea è anche quello che resuscita (cf 2Mac 7, 9.11. 22; 14, 46).

Insieme con la continuità, si dovrà puntualizzare il superamento dell'Antico Testamento da parte del Nuovo, il passaggio dalla figura della resurrezione alla realtà della stessa in Gesù Cristo, primizia e garanzia della nostra resurrezione. Se è molta la somiglianza che esiste con gli antichi testi della Scrittura giudaica, è ancor maggiore la differenza, che sorpassa ogni aspettativa ed ogni previsione profetica. Il mistero della resurrezione era nascosto nel cuore del Padre, che nell'Antico Testamento aveva lasciato cadere scintille di luce per risvegliare e mantenere la speranza; nel Nuovo Testamento, il Padre rivela il suo cuore non a parole, ma con opere, resuscitando Gesù Cristo dai morti. Era qualcosa di così imprevisto e superiore, questa rivelazione di Cristo risorto, che colse tutti di sorpresa e tutti abbagliò, al di là di quanto umanamente pensabile. È tanto grandioso questo mistero, supera tanto la forza della ragione e la stessa rivelazione vetero testamentaria, che continua ad essere uno 'scandalo', sia per i giudei, sia per i non credenti. Ma per noi, che crediamo, è forza di Dio e sapienza di Dio (cf 1Cor 2,1-5).

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Le letture di questa domenica possono essere l'occasione per aiutare i fedeli a comprendere meglio la rivelazione progressiva dei misteri da parte di Dio. Ogni mistero cristiano ha una storia che inizia, come ci suggerisce la seconda lettura, prima della stessa creazione, e che va preparando durante i secoli la piena rivelazione di Gesù Cristo. Non è una storia profana, lasciata all'arbitrio delle oscure forze del caso che culmina in un passo in avanti, né uno sviluppo crescente della capacità razionale o intellettiva dell'essere umano che ascende a sfere superiori di comprensione; è storia religiosa, che manifesta la pedagogia meravigliosa di Dio nei confronti del suo popolo, la condiscendenza dell'amore di Dio Padre verso i suoi figli, che si adatta alla nostra condizione limitata e sommamente imperfetta per entrare nella luce dei misteri, particolarmente nel mistero della resurrezione di Gesù Cristo. Da questa prospettiva, l'Antico Testamento è già rivelazione, benché iniziale, dei misteri cristiani. Una buona occasione per invitare ed esortare i fedeli a leggere e meditare l'Antico Testamento, ma sempre alla luce della pienezza della rivelazione che Gesù Cristo ci ha recato!

Si può trarre profitto dalle settimane di Pasqua per una catechesi, nel caso di giovani ed adulti, incentrata sulla resurrezione, ma che esponga la storia progressiva di questo mistero, mediante la lettura e la riflessione di alcuni testi dell'Antico Testamento. Sarà anche un'occasione molto buona per aiutare i fedeli a leggere 'con occhi cristiani' l'Antico Testamento, e a meditare e a pregare con 'mente e cuore' cristiani i salmi o altri bellissimi testi delle Scritture giudaiche. Quanto detto può sfociare in un invito a ringraziare Dio per la rivelazione piena della resurrezione in Cristo, e per pregare per gli ebrei credenti, affinché Dio apra loro la mente e il cuore alla pienezza della rivelazione.

 

 

 

4° Domenica di PASQUA 25 Aprile 1999

Prima: At 2, 14.36-41; seconda: 1Pt 2, 20-25 Vangelo: Gv 10, 1-10

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Gesù, come porta dell'ovile, è la metafora che sintetizza il messaggio della liturgia. Gesù dice di se stesso: "Vi assicuro che io sono la porta per la quale debbono entrare le pecore" (vangelo). Negli Atti degli Apostoli, Pietro esorta i suoi uditori: "Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, affinché siano perdonati i vostri peccati" (prima lettura), e sappiamo che il battesimo è la porta attraverso la quale si entra nella comunità cristiana. Lo stesso Pietro, nella sua prima lettera, scrive alle comunità dell'Asia Minore: "Eravate come pecore smarrite, ma adesso siete tornate a colui che è vostro pastore e guardiano" (seconda lettura), indicando una delle funzioni della porta, che è proteggere il gregge da tutto ciò che possa danneggiarlo.

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

Nel capitolo 10, san Giovanni utilizza diverse immagini, che tendono a spiegare la realtà della comunità cristiana, della Chiesa: ovile, porta, pastore, mercenario, ecc. In questa bellissima allegoria l'ovile è la comunità di credenti in Cristo. Gesù è tanto la porta dell'ovile, quanto il pastore delle pecore. E i mercenari? I farisei (cf 9,13)? I falsi dottori e profeti 'cristiani', che appaiono in alcuni testi del Nuovo Testamento? Sono interrogativi a cui è difficile rispondere. La liturgia di oggi, ciononostante, si incentra sull'immagine di Gesù Cristo, porta dell'ovile.

La porta è il luogo per il quale si entra nell'ovile, nella comunità di fede. Questa porta è Cristo morto e risorto, che ha costituito un nuovo gregge mediante una nuova alleanza nel suo sangue. Il cristiano passa per questa porta di salvezza verso la nuova comunità di fede per mezzo del battesimo. Tramite il battesimo siamo immersi nel mistero pasquale di Gesù Cristo, e siamo simultaneamente incorporati alla Chiesa (cf. CIC 1213-1214). Chi volesse entrare nell'ovile, appartenere alla Chiesa, senza passare per la Porta, che è Cristo, è "un ladro e un brigante" (Gv 10, 1).Un'appartenenza meramente sociologica alla Chiesa è impossibile; come è anche impossibile voler separare la fede in Gesù Cristo dalla fede e dall'appartenenza alla Chiesa: "Cristo sì, Chiesa no".

La porta è il luogo attraverso il quale le pecore escono dall'ovile in cerca di buoni pascoli. Quali sono questi pascoli per la comunità cristiana? Innanzitutto, la Parola viva ed efficace della Scrittura, poi i sacramenti istituiti da Gesù Cristo per la salvezza dei credenti, infine il buon esempio dei fratelli nella fede. La porta per avere accesso a questi buoni pascoli è Gesù Cristo nella sua realtà storica e nella sua vita gloriosa, Parola di Dio ed autentico 'esegeta' del Padre, fonte ed origine primordiale di tutti i sacramenti, archetipo dello stile di vita cristiano.

La porta dell'ovile è anche uno strumento di protezione e di difesa per coloro che si trovano all'interno. Gesù Cristo risorto è il guardiano delle pecore, che le difende da qualsiasi brigante e da qualsiasi lupo rapace che vaga attorno all'ovile. Quando la comunità credente è protetta da Cristo, l'unica porta dell'ovile, dobbiamo essere sicuri che al gregge non si avvicinerà nulla di cattivo, che esso non subirà alcun danno, perfino in mezzo a tribolazioni e a grandi difficoltà di nemici potenti che vogliono assalirlo.

 

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Per desiderio del Papa Paolo VI, si celebra oggi in tutta la Chiesa la giornata mondiale per le vocazioni sacerdotali. E teniamo presente che il sacerdote certamente non è la porta dell'ovile, ma è, tuttavia, il guardiano che la apre e la chiude alle pecore. Un momento propizio per trattare un tema di tanta attualità e di tanta necessità per il futuro della fede. Propongo alcuni punti di riflessione:

Spiegare ed aiutare la gente a comprendere che una Chiesa senza sacerdoti non è la Chiesa voluta da Gesù Cristo, come nemmeno lo sarebbe una Chiesa senza laici. La Chiesa di Cristo è costituita da gerarchia e laicato, da pastori e pecore, da coloro che sono stati chiamati ad esercitare il servizio dell'autorità e della donazione, e da coloro che sono stati chiamati ad esercitare il servizio dell'obbedienza e dello sforzo cristiano nel mondo.

La vocazione sacerdotale è un dono di Dio, ma che richiede la collaborazione di tutti (famiglia, parrocchia, associazioni, movimenti ecclesiali) affinché il dono germogli nel cuore dei chiamati. Il seme di Dio non spunterà né crescerà, se non incontra una terra buona e feconda. Ci siamo domandati qualche volta sul numero di vocazioni al sacerdozio, 'frustrate' perché non poterono contare sull'ambiente favorevole?

Pregare con costanza per le vocazioni sacerdotali: per le nuove leve che iniziano il cammino di preparazione, per coloro che già sono in cammino, perché continuino in esso a prepararsi nel miglior modo possibile per portare a compimento il proprio ministero pastorale, per coloro che sono già sacerdoti, perché abbiano sempre presente davanti agli occhi 'il pastore e guardiano delle nostre anime'. Non sarebbe stupendo istituire nella tua parrocchia l'adorazione per le vocazioni, un giorno al mese?

 

 

5° Domenica di PASQUA 2 Maggio 1999

Prima: At 6, 1-7; seconda: 1Pt 2, 4-9 Vangelo: Gv 14, 1-12

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

"Casa di mio Padre", "tempio spirituale", "convocazione dei discepoli" sono espressioni della liturgia di questa domenica, che appartengono allo stesso campo semantico: quello della costruzione, sia come edificio sia come spazio di dimora e di riunione. "Nella casa di mio Padre c'è posto per tutti...vado a prepararvi questo posto", ci dice Gesù nel vangelo secondo san Giovanni. San Pietro ricorda ai cristiani che "sono pietre vive, con cui si costruisce un tempio spirituale... per offrire, per mezzo di Gesù Cristo, sacrifici spirituali graditi a Dio" (seconda lettura). Nella prima lettura, gli apostoli, di fronte a un problema della comunità, riuniscono i discepoli, probabilmente nel Cenacolo, e chiedono loro di scegliere 7 diaconi per il servizio alle vedove dei cristiani ellenisti.

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

La casa del Padre è il cielo. In esso dimora Gesù Cristo risorto ed ha preparato un posto per noi, come insegna il catechismo: "Tramite la sua morte e resurrezione, Gesù Cristo ci ha 'aperto' il cielo (1026). Dal cielo ci invita a seguire i sui passi ("io sono la via, la verità e la vita"), perché nessuno va alla casa del Padre se non per la via di Cristo. L'immagine della casa, per descriverci il cielo, ci sta parlando del cielo come famiglia, intimità, amore. Il cielo è l'incontro definitivo e per sempre con il nostro Padre Dio, con il nostro Redentore Gesù Cristo, con il nostro Santificatore lo Spirito Santo; allo stesso modo, è l'incontro con tutti i fratelli redenti dal sangue di Cristo, in un abbraccio indescrivibile di fraternità e comunione. Il cielo è la patria dell'amore immortale, dell'amore che ha vinto l'odio e l'ingiustizia, dell'amore che unisce tutti in una partecipazione ineffabile della vita stessa di Dio-Amore. Il cielo è la nostra vera patria, perché qui sulla terra "non abbiamo dimora permanente".

Qui sulla terra, la casa del Padre è la Chiesa. Una casa che si costruisce con pietre vive, una casa che non sarà mai terminata, perché viene rinnovata e restaurata in ogni generazione, una casa con le porte aperte a tutti coloro che vogliono entrarvi, una casa dove tutti noi ci sentiamo famiglia di Dio. Il catechismo (756) ci dice che questa costruzione riceve nella Scrittura vari nomi: "casa di Dio (1Tim 3, 15), in cui abita la sua famiglia, abitazione di Dio nello Spirito (Ef 2, 19-22), tenda di Dio con gli uomini (Ap 21, 3), e, soprattutto, tempio santo (1Pt 2, 5). La Chiesa è una famiglia, e, pertanto, tutti i membri debbono stare molto uniti tra loro, e pertanto deve avere una vocazione di servizio dei padri verso i figli e dei figli verso i padri, e pertanto, tutti insieme devono cercare, ciascuno secondo le sue possibilità e i suoi compiti, il bene e la felicità della famiglia.

Questa famiglia di Dio non è esente da problemi: la prima lettura, presa dagli Atti degli Apostoli, tratta di uno dei problemi che dovette affrontare la famiglia di Dio nei primi anni della sua esistenza in Gerusalemme. Ma i problemi si possono risolvere, quando da parte di tutti c'è buona volontà, collaborazione, e una ricerca comune del modo più adatto per trovare la soluzione. Questo è quanto accadde nella comunità di Gerusalemme, e la pace e la concordia tornarono a regnare tra i membri della famiglia. Questa deve essere anche la via per affrontare le difficoltà e i problemi della Chiesa, in quanto famiglia di Dio.

 

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Lo schema 'politico' della Chiesa come 'potere e sottomissione' non è l'esatto concetto della Chiesa. Non lo è nemmeno lo schema 'sociologico' come istituzione di servizio sociale, secondo lo stile delle organizzazioni internazionali di beneficenza e di volontariato. Meno ancora lo schema 'individualista', in cui la Chiesa sarebbe una specie di 'hotel' o di 'condominio', dove ciascuno vive per coprire le sua necessità spirituali, senza entrare in relazione alcuna con gli altri. Nella Chiesa esiste il 'potere', ma è il potere di un padre che ama, ed esiste 'sottomissione', ma è la sottomissione amorosa di un figlio. La Chiesa fa tantissimo bene ai bisognosi, ma perché questi bisognosi sono fratelli nostri e figli dello stesso Padre. Nella Chiesa l'individuo non si diluisce nell'anonimato né nella massa, poiché, essendo una famiglia, tutti si conoscono e si amano personalmente. La Chiesa è allo stesso tempo comunità e comunione, unione di tutti i membri per costruire una sola ed unica famiglia.

Può accadere che questa concezione della Chiesa trovi difficoltà nei nostri fedeli, nei gruppi con cui lavoriamo pastoralmente. Può essere che ci sia nella nostra parrocchia chi appartiene alla famiglia, ma si sia allontanato da essa e non viva nella stessa casa. Forse ci può essere chi critica il padre di famiglia: il papa, il vescovo, il parroco, magari senza malizia, ma indebolendo l'unità della famiglia di Dio. Altri forse non fanno molto caso alle norme che sono in vigore nella casa di Dio, creando in questo modo incoerenze e allontanamenti tra i membri della famiglia. Può darsi anche che ci siano tensioni, rancori, malintesi o cattivi rapporti tra i fratelli della stessa famiglia di Dio. È molto ciò che si deve fare perché veramente la Chiesa sia famiglia di Dio. Che cosa posso fare io nella mia parrocchia, nell'ambiente in cui esercito il mio ministero?

 

 

6° Domenica di PASQUA 9 Maggio 1999

Prima: At 8, 5-8; seconda: 1Pt 3, 15-18 Vangelo: Gv 14, 15-21

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Questa ultima domenica del tempo pasquale prepara e in certo modo anticipa la festa di Pentecoste. La liturgia ci presenta Gesù che promette lo Spirito, questo stesso Spirito che lo restituì alla vita, e che in nome di Gesù gli apostoli comunicano ai samaritani battezzati. "Io pregherò il Padre perché vi mandi un altro Paraclito, perché stia sempre con voi", promette Gesù nel vangelo. San Pietro nella sua prima lettera dice: "Cristo in quanto uomo soffrì la morte, ma fu restituito alla vita dallo Spirito" (seconda lettura). E san Luca, negli Atti degli Apostoli, presenta Pietro e Giovanni che "pregavano per i battezzati di Samaria, affinché essi ricevessero lo Spirito Santo" (prima lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

Nella storia della salvezza c'è una successione armoniosa nell'agire del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, sempre a beneficio della salvezza dell'uomo. Il Padre è l'origine e la fonte di ogni iniziativa salvifica. Nel suo amore per l'uomo, manda suo Figlio per redimerlo e restituirgli la sua condizione filiale. Una volta che il Figlio ha realizzato la sua missione sulla terra, è inviato lo Spirito, affinché accompagni l'uomo nel suo pellegrinare per questo mondo verso il Padre. La liturgia di oggi ci presenta la promessa, fatta da Gesù ai discepoli, di inviare lo Spirito Santo, affinché stia sempre con loro. Perché Gesù Cristo fa ad essi questa promessa? Affinché i discepoli non si sentissero orfani, poiché Gesù stava per andare alla morte e tornare alla casa del Padre. Gesù dice loro: "Non vi lascerò orfani, tornerò a stare con voi" (vangelo), ma non personalmente, bensì mediante il su Spirito.

Lo Spirito Santo, che Gesù promette, è innanzitutto il Paraclito, cioè, consolatore, avvocato, animatore ed illuminatore nel processo interno della fede. I discepoli e i primi cristiani sperimenteranno nella Pentecoste, in una maniera speciale, questa presenza potente ed illuminante dello Spirito. È anche lo Spirito della verità, della rivelazione di Dio all'uomo, con la quale Dio illumina tutta l'esistenza umana e le dà il suo vero significato e ragione di essere. Questa verità sarà pienamente accolta dai discepoli, proclamata, confessata, ed anche difesa di fronte alla 'menzogna' del mondo, di fronte agli attacchi della falsità della mente e del cuore umani. Inoltre, è lo Spirito che dà la vita, che restituisce alla vita Gesù (seconda lettura) e vivifica i cristiani che credono nel Vangelo, come gli abitanti della Samaria (prima lettura); lo Spirito dà la vita di Dio, questa vita che, come il roveto ardente visto da Mosè ai piedi del Sinai, non si consuma e non si spegne mai. Lo Spirito è, infine, colui che dà impulso all'evangelizzazione tanto dei giudei come dei samaritani e dei pagani. Perciò, gli esegeti degli Atti degli Apostoli, parlano di solito di tre "Pentecoste": quella dei giudei a Gerusalemme (At 2), quella dei samaritani in Samaria (At 8), e quella dei pagani a Cesarea marittima (At 10). Con il ricevere lo Spirito Santo, si mette in movimento l'evangelizzazione, la proclamazione del Vangelo e l'aggregarsi di molti altri uomini alla comunità dei credenti in Cristo. In questo modo, lo Spirito farà realtà le parole di Gesù: "Colui che mi ama sarà amato da mio Padre; anche io lo amerò e mi manifesterò a lui".

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Le anime sante sanno e sperimentano che Dio mantiene le sue promesse. Per i primi cristiani, questa fu una verità indiscutibile, oggetto di esperienza. Ma le promesse di Dio continuano a compiersi anche oggi tra gli uomini. Certo, dobbiamo essere molto coscienti del fatto che Dio non ci promette una 'felicità a nostra scelta', come a volte noi uomini vorremmo; né un 'mondo' o una 'Chiesa' senza problemi o liberi da ogni incoerenza; nemmeno dei fratelli cristiani ineccepibili, impeccabili, sempre con la bontà e il sorriso sul volto; e non ci promette neppure di liberarci dalla calunnia, dalla persecuzione, dall'indifferenza, dai maltrattamenti, o perfino dal martirio. Ci promette unicamente lo Spirito, il Suo Spirito, e, con Lui, ci dà la capacità per essere felici in un modo nuovo, estraneo alla mentalità del mondo; ci dà lo sguardo puro per vedere il mondo e la Chiesa con fede, con ottimismo, con pace, con amore; ci dà un cuore generoso per aprirci ed accogliere i nostri fratelli nella fede così come sono, con le loro debolezze e miserie, con le loro qualità e virtù, con la loro fede, il loro amore e la loro speranza autentici; ci dà la grazia di cercare la vera liberazione, che è prima di tutto interiore e spirituale, e che lavora dall'interno per conseguire ogni altra liberazione dai mali di questo mondo.

Dato che Dio mantiene le sue promesse, le nostre comunità debbono essere comunità gioiose e sicure nella propria fede. Senza voler chiudere gli occhi al male esistente, la promessa di Dio continua ad attuarsi e a realizzarsi in mezzo alla comunità. Se non la percepiamo, non sarà perché la nostra fede è debole, e forse malaticcia? D'altro canto, senza lasciare da parte i dubbi e le perplessità dei cristiani sul modo di concepire e vivere la propria fede, la presenza dello Spirito della verità deve confortare la comunità cristiana ed offrirle una grande solidità nella sua fede. La nostra fede non si appoggia sugli uomini, per quanto geniali essi siano, né sugli angeli, ma sullo Spirito stesso di Dio, che è Spirito di Verità, che è Maestro Interiore che fortifica e garantisce la rivelazione di Dio e la risposta di fede a questa rivelazione.

 

 

 

L’Ascensione del SIGNORE 16 Maggio 1999

Prima: At 1, 1-11; seconda: Ef 1, 17-23 Vangelo: Mt 28, 16-20

 

 

NESSO logico tra le LETTURE

L'ascensione di Gesù Cristo ai cieli segna la fine della sua presenza storica nel mondo, ma, più ancora, segna il potere e la sovranità che egli esercita, dal cielo, come Signore della storia e dell'universo. Nel commiato di Gesù risorto, questi si rivolge ai suoi discepoli con le seguenti parole: "Dio mi ha dato autorità piena su cielo e terra" (Vangelo). All'inizio degli Atti degli Apostoli, i discepoli domandano a Gesù se ristabilirà il regno di Israele, e Gesù risponde: "Non tocca a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha fissato col suo potere. Voi riceverete la forza dello Spirito Santo..." (prima lettura), potere del Padre e forza dello Spirito, che sono prerogative delle quali partecipa anche Gesù Cristo glorioso. Nella lettera agli efesini, san Paolo chiede che Dio ci conceda una rivelazione che ci permetta di conoscerlo pienamente, che ci permetta di conoscere che Cristo risorto "sta seduto alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato, potestà, potere e signoria...e che tutto Dio ha sottomesso ai piedi di Cristo" (seconda lettura).

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

L'Ascensione di Gesù Cristo ai cieli è un mistero della nostra fede, assolutamente estraneo alla nostra esperienza sensibile e terrena. Ma per Dio non c'è nulla di impossibile; per questo motivo, le letture della liturgia menzionano in varie occasioni il potere, la forza, l'autorità di Dio. Colui che, contemplando la storia della salvezza, narrata nell'Antico e nel Nuovo Testamento, ha visto il dispiegarsi dell'azione potente di Dio nel popolo di Israele e nei discepoli di Gesù, terrà gli occhi dell'intelligenza e del cuore più aperti a questo mistero, nel quale, insieme con quello della resurrezione, il potere di Dio raggiunge le cime più sublimi. Asceso al cielo, il Padre ha fatto sedere Gesù alla sua destra, ha inaugurato cioè il regno del Messia, compiendosi così la visione del profeta Daniele: "A lui venne dato impero, onore e regno, e tutti i popoli, le nazioni e le lingue lo servirono. Il suo impero è impero eterno, che non passerà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto" (Dan 7,13), e manifestando così la sua forza potente (seconda lettura).

In questo modo il Padre comunica il suo potere al Figlio, a Gesù Cristo glorioso. Il potere di Gesù Cristo è un potere universale, che comprende tutte le realtà e gli esseri dei cieli e della terra. È un potere di salvezza, mai di condanna, dato che il suo nome è per antonomasia redentore, salvatore; per questo, dice ai discepoli: "Mettetevi in cammino, fate discepoli tra tutti i popoli e battezzateli per consacrarli al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo" (vangelo). È un potere che egli esercita nella storia, non direttamente, ma mediante la forza dello Spirito, che riceveranno i discepoli per essere "suoi testimoni in Gerusalemme, in tutta la Giudea, in Samaria e fino ai confini della terra" (prima lettura).

Questo potere redentore e salvifico di Gesù Cristo si esprime soprattutto nella Chiesa, "corpo di Cristo, e pienezza di ciò che riempie pienamente l'universo" (seconda lettura), e, in lei e per mezzo di lei, Gesù Cristo glorioso continua ad esercitarlo tra gli uomini per salvarli. Perciò nella Chiesa è già attiva la sovranità di Cristo, ed essa possiede il dinamismo della speranza verso il Regno definitivo ed eterno, alla fine dei tempi.

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Nella vita cristiana si deve stare attenti a due possibili deviazioni: una, che chiamerò pelagiana, è il pensare ed agire come se l'uomo avesse 'potere' per conquistare da solo il cielo; l'altra, luterana, consiste nell'essere convinti e sicuri del fatto che 'le opere non contano', che tutto dipende in assoluto dall'abbandono al potere di Dio. Noi cristiani dobbiamo mantenere un difficile equilibrio tra entrambe le tendenze, che troviamo forse dentro al nostro stesso cuore. Se si squilibra la bilancia, con essa si squilibra la stessa vita cristiana: o porremo la fiducia nella nostra 'forza', e considereremo la santità come un'impresa titanica, e, pertanto, per pochissimi privilegiati, e il cielo lo vedremo come un premio più che meritato al nostro sforzo gigantesco, o, al contrario, diffideremo totalmente delle nostre forze e del nostro sforzo a causa della nostra impotenza congenita, e allora 'obbligheremo' Dio a manifestare il suo potere in noi, e concepiremo il cielo come un 'regalo' di Dio, indipendente dalla nostra volontà e dal nostro comportamento morale.

Il sacerdote è maestro, educatore, testimone. Come maestro deve insegnare ai fedeli le vie della fede e della morale, le vie della santità, le vie verso il Padre del cielo. Come educatore, con pazienza e rispetto, parlerà agli uomini del cielo, come loro destino; illuminerà le loro coscienze perché non si sviino; li accompagnerà nelle loro difficoltà e lotte quotidiane nella marcia verso la casa del Padre; sarà sempre disponibile per chi ha bisogno della misericordia di Dio, della guida spirituale...Come testimone, farà sentire agli altri, con la sua vita e la sua condotta, che "la loro vera patria è il cielo"; proclamerà e confesserà con la sua parola ciò che realmente porta nel suo cuore; vivrà distaccato da aspirazioni terrene, da compensazioni troppo materialiste, da comportamenti notoriamente mondani, che non aiutano i fedeli ad elevare il proprio sguardo verso il cielo e verso Dio.

 

Domenica di PENTECOSTE 23 Maggio 1999

Prima: At 2,1-11; Seconda: 1Cor 12, 3-7. 12-13.Vangelo: Gv 20, 19-23

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Lo Spirito, presente ed efficace tra i Dodici e la prima comunità cristiana, anima la liturgia della Parola. Nel Vangelo, Gesù risorto dice ai Dodici: "Ricevete lo Spirito Santo". Nella prima lettura, cinquanta giorni dopo la Pasqua, un vento impetuoso irruppe nel cenacolo, e "tutti furono pieni dello Spirito Santo". Paolo, nella seconda lettura, davanti alla tentazione dei Corinzi, di usare i carismi per creare divisioni, riafferma con forza: "Ci sono diversità di carismi, ma lo Spirito è lo stesso", e: "A ciascuno viene concessa la manifestazione dello Spirito per il bene di tutti".

MESSAGGIO DOTTRINALE

Di fronte alla straordinaria ricchezza dei testi liturgici, non si può non sceglierne qualche aspetto. Mi limito a rispondere alla domanda: Chi è lo Spirito Santo di cui si parla nella liturgia di Pentecoste?

 

È lo Spirito di Dio Padre e di Gesù Cristo, Signore nostro. Il Padre e il Figlio si amano da sempre e con un amore perfetto; tale amore ha un nome, è Qualcuno, è lo Spirito Santo; cioè, l'Amore del Padre verso il Figlio e l'Amore del Figlio verso il Padre in un movimento circolare che non cesserà mai. Per questo, tanto il Padre quanto il Figlio lo mandano agli uomini come il dono più grande e prezioso di cui possano farci partecipi.

È lo Spirito Creatore. Ai giudei la festa di Pentecoste ricordava l'alleanza di Dio sul Sinai e il dono della Legge a Mosè e al popolo di Israele, in mezzo alla tempesta di tuoni e fulmini. Luca ha visto in questo avvenimento una prefigurazione dello Spirito, che prima creò il popolo d'Israele mediante l'Alleanza e la Legge, e adesso crea il popolo cristiano. Grazie, in effetti, allo Spirito, l'uomo entra in una nuova Alleanza nel sangue di Cristo, e vive sotto il regime di una nuova legge, quella dell'ágape cristiana (prima lettura).

È lo Spirito efficace per mezzo della ricca varietà dei suoi carismi, così come essi si fanno presenti e manifesti nella comunità di Corinto: carisma degli apostoli, dei profeti, del parlare in lingue... Questa efficacia deve mostrarsi soprattutto nell'unità di obiettivi da parte di tutti cristiani: contribuire alla comune utilità dei cristiani (seconda lettura).

È lo Spirito ecumenico, cioè universale, che tende a dilatarsi geograficamente per comprendere tutti i popoli rappresentati nella lista degli Atti degli Apostoli, e soprattutto ad espandersi interiormente nella coscienza di ogni uomo e di tutti gli uomini, causando nell'anima il perdono dei peccati, e portando la pace al cuore (Vangelo).

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Certamente nella Chiesa attuale non si può parlare de "lo Spirito, questo sconosciuto", titolo di un libro degli anni Cinquanta. A partire dal Concilio Vaticano II a questa parte, la Chiesa ha preso crescente coscienza della presenza e dell'azione dello Spirito nelle comunità credenti in Cristo. Più ancora, la Chiesa è sempre più cosciente dell'azione dello stesso Spirito al di fuori perfino dei limiti del cristianesimo. È bello vedere lo Spirito Santo che agisce, in forme diverse e con diverse intensità, nell'umanità intera, perché "tutto ciò che è buono, giusto, perfetto", dovunque si trovi, proviene da Lui.

Ai nostri giorni, si dovrà piuttosto segnalare certi abusi, o almeno esagerazioni, commesse "in nome dello Spirito". È vero che appartengono al passato gli anni in cui si opponevano con vigore inusitato il carisma e l'istituzione, l'azione dello Spirito e la forza della lettera, ma, non resta forse ancora qualcosa di questo nelle nostre comunità? Non si criticano facilmente, in nome di non si sa quale carisma, l'istituzione e la gerarchia? Non si dimentica forse che l'apostolo, e, di conseguenza, l'istituzione, è il primo dei carismi? La festa di Pentecoste favorisce una spiegazione semplice, ma esatta e completa, sui carismi nella Chiesa e sullo Spirito Santo come fonte unica di tutti i carismi.

Nell'ambiente del nostro ministero o nella nostra diocesi può esserci un'altra esagerazione o abuso "in nome dello Spirito": la divisione a causa dei carismi. Mi riferisco in modo particolare a quei doni straordinari che Dio ha dato alla Chiesa attuale, che sono i movimenti ecclesiali, le associazioni di laici, le nuove congregazioni ed istituzioni religiose, le nuove iniziative nel campo della pastorale da parte di persone 'carismatiche' o di gruppi istituzionali. È una situazione nuova nella Chiesa, nelle diocesi, nelle parrocchie, tra i differenti movimenti e associazioni, e si può spiegare che ci siano certe tensioni, alcuni malintesi, mancanza di collaborazione, perfino a volte opposizione. Di fronte a tale possibile situazione, conviene ricordare che tutti i carismi portano all'unità, contribuiscono al bene di tutti e di ciascuno, sono organi dello stesso corpo che è la Chiesa. Si dovrà far regnare sempre la carità, il buon senso, l'apertura di orizzonti, il discernimento, la prevalenza del bene comune sul bene particolare, il senso ecclesiale.

 

Domenica della SANTISSIMA TRINITA’ 30 Maggio 1999

Prima: Es 34, 4-6.8-9; seconda: 2Cor 13, 11-13 Vangelo: Gv 3, 16-18

NESSO logico tra le LETTURE

La rivelazione del mistero trinitario si evidenza nei testi che la liturgia ci offre. Il testo preso dall'Esodo ci rivela l'unità di Dio e il cuore "clemente e compassionevole, pieno di amore e fedele" del Padre. Nella richiesta di Mosè: "Venga il Signore a noi" si intravede un primo passo verso l'incarnazione e la rivelazione del Figlio, "Enmanu-El", Dio con noi. Questo mistero dell'incarnazione è rivelato solennemente nel Vangelo: "Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito". Alla fine della seconda lettera ai Corinzi, Paolo riprende una formula trinitaria della liturgia cristiana primitiva: "La grazia di Gesù Cristo, il Signore, l'amore del Padre e la comunione nei doni dello Spirito Santo, siano con tutti voi".

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Siamo abituati ad ascoltare e a dire l'espressione: "mistero", "mistero trinitario". Penso che la festa liturgica ci inviti a meditare su di esso con semplicità e con immenso rispetto.

Il mistero della Trinità è qualcosa di occulto, nascosto nel cuore stesso di Dio. Non è nascosto nella terra né nello spazio, di modo che con il tempo l'uomo possa trovarlo. È annidato nello stesso Dio. E chi può conoscere i pensieri di Dio? Dio, fin da centinaia di migliaia di anni, creò innanzitutto il mondo, poi l'uomo, però non manifestò questo mistero. In seguito si scelse un popolo, stabilì con esso un'alleanza, senza ancora rivelare questa grandezza di Dio. Tuttavia, nel disegno divino si danno già i primi passi nella stessa vita ed esperienza storica di Israele. Il testo della prima lettura, dove Dio è chiamato "clemente e compassionevole, pieno di amore", non è forse una prima intuizione del fatto che Dio è Padre? Per ora è un seme, che dovrà fruttificare quando, con Gesù Cristo, giungerà la pienezza dei tempi, mediante la sua incarnazione e il suo insegnamento su Dio.

Il mistero della Trinità si trova al di sopra di qualsiasi mente umana. La Trinità di Dio non è stata opera né di teologi, né di mistici, tanto meno di un "think-tank" (‘comitato di esperti’, n.d.r.), come si dice oggi. Il mistero della Trinità non è un'invenzione del genio umano per umiliare la nostra povera intelligenza. Non è un'idea, è una Realtà, la Realtà più sublime e più appassionante, che esiste da sempre e per sempre. Se Dio stesso non l'avesse rivelato per mezzo di suo Figlio, avrebbe continuato ad essere una Realtà, ma ignorata dall'uomo e, pertanto, assolutamente estranea alla sua esistenza. Il grande Amore di Dio risiede nel fatto che Egli decise di rivelarci il suo mistero (Vangelo).

Il mistero trinitario ci viene rivelato soprattutto mediante l'azione di Dio nella storia. Dio ci si rivela come Padre inviando, spinto dall'amore, suo Figlio nel nostro mondo peccatore, per redimerci ed aprirci le sua braccia accoglienti di Padre. Gesù Cristo ci si rivela come Figlio nella sua intima orazione filiale, nella perfetta obbedienza alla volontà di suo Padre, nella sua morte e resurrezione redentrici, per distruggere un peccato la cui macchia soltanto il Figlio poteva cancellare, e per ottenerci la grazia della salvezza. Lo Spirito Santo ci si rivela come collegamento d'Amore tra il Padre e il Figlio, come dono di comunione agli uomini, affinché vivano ad immagine della Trinità, per quanto in modo estremamente imperfetto. Questa è la rivelazione che Gesù Cristo ci ha fatto e che la liturgia riprende nella seconda lettura.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Vorrei fare una breve considerazione su due aspetti di carattere pastorale di fronte al mistero insondabile della Santissima Trinità.

Gli atteggiamenti dell'uomo davanti a questo immenso mistero. Davanti al mistero di Dio l'atteggiamento più immediato è l'adorazione, la sottomissione sincera al Padre che tanto ci ama, al Fratello che ha dato la sua vita per noi, allo Spirito che ci accompagna e ci sostiene nel corso della nostra storia. Più importante che riflettere, pensare e ripensare sul mistero, è adorare e rendere ogni onore e gloria al nostro Dio. Un altro atteggiamento è quello di ringraziare Dio per il fatto che Egli sia un mistero e continui ad essere un mistero, perfino dopo la rivelazione. Essendo mistero, non è manipolabile dall'uomo, né può essere strumentalizzato. Ringraziamo Dio di essere Dio e non uomo, di essere mistero. Infine, un atteggiamento di umile accettazione del mistero stesso, evitando sia una posizione razionalista che lo esclude perché non lo comprende (in questo caso, non dovrebbe escludere molte altre cose dalla sua esistenza?), sia la posizione irrazionalista che, più che accettarlo, soccombe sotto il suo peso.

Ad immagine della Trinità. Nella Trinità si ha innanzitutto l'amore tra le persone divine, ma altresì l'amore verso l'esterno, verso le creature, verso l'umanità. In Dio abbiamo il modello della vita umana. Dobbiamo amare in primo luogo gli esseri che ci sono più vicini, più intimi: i membri della famiglia, della parrocchia, del movimento ecclesiale cui si appartiene, ecc., ma dobbiamo amare allo stesso modo tutti gli altri, i nostri fratelli nella fede, i credenti in Dio, tutti gli uomini senza distinzione alcuna; i nostri amici ed i nostri nemici, quelli della mia parrocchia e quelli della parrocchia vicina. Tutti. Ad immagine e somiglianza di Dio.

 

Domenica del "CORPUS DOMINI" 6 Giugno 1999

Prima: Dt 8, 2-3.14-16; seconda: 1Cor 10, 16-17; Vangelo: Gv 6, 51-58

NESSO logico tra le LETTURE

Manna, pane (carne) e vino (sangue) sono i tre termini che abbondano in questa domenica in cui si celebra la solennità del Corpo e del Sangue di Cristo. Secondo il Deuteronomio (prima lettura), Mosè dice al popolo: "(Il Signore tuo Dio) ti ha alimentato con la manna, un alimento che tu non conoscevi, né avevano conosciuto i tuoi antenati". Gesù nel vangelo afferma: "Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Chi mangia di questo pane, vivrà per sempre. E il pane che io vi darò è la mia carne. Io la do per la vita del mondo". Da parte sua, Paolo, nella sua prima lettera ai corinzi (seconda lettura), domanda loro: "Il pane che dividiamo, non ci fa forse entrare in comunione con il corpo di Cristo?".

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

Tra i diversi aspetti della dottrina cattolica che si potrebbero toccare, mi voglio fermare sul fatto che si tratta, nell'Eucarestia, di un alimento non conosciuto.

È anche un pane non conosciuto, perché non esisteva e perché se ne ignoravano gli effetti. La manna non esisteva per gli israeliti durante la loro permanenza in Egitto, Dio lo diede loro unicamente nel deserto, perché non morissero di fame, nella marcia verso la terra promessa. L'eucarestia non esisteva prima che Gesù la istituisse nell'Ultima Cena, e la rendesse strumento santissimo della sua presenza personale tra gli uomini. I suoi effetti sono straordinari: "Sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, banchetto pasquale, in cui si riceve come alimento Cristo, l'anima si riempie di grazia e ci viene data un pegno della gloria futura" (Sacrosanctum Concilium 47).

La conoscenza di cui si tratta è una conoscenza completa, riferita tanto all'intelligenza quanto all'esperienza e al cuore, al fine di sfociare nelle opere. Quanto all'esperienza, si deve giungere ad apprezzare ed a sperimentare il valore singolare e straordinario di questo alimento che Dio ci concede. Insieme all'esperienza, si deve giungere a conoscere tutta la ricchezza teologica, spirituale e morale che questo alimento racchiude in sé. Ma non potrà in alcun modo mancare la conoscenza attraverso il cuore, mediante una sintonia amorosa molto ampia con colui che ci dà questo alimento e con colui che ci si dà come alimento, Gesù Cristo Nostro Signore. Con questa conoscenza integrale dell'Eucarestia ci sentiremo spinti a partecipare ad essa con fervore e frequenza, e riusciremo a formare un solo corpo, nella fede comune e nell'amore reciproco. Colui che riuscirà a conoscere l'Eucarestia con tutto il suo essere, vivrà certamente dell'Eucarestia e produrrà le opere dell'Eucarestia: unità, comunione, forza spirituale, santità di vita, zelo apostolico, intimità con Dio, ecc. La manna del deserto o il pane dell'Eucarestia è un pane che l'uomo non conosce. Vuol dire, questo, che è un pane che non è in potere dell'uomo produrre per soddisfare la sua fame, quando ne senta necessità. Vuol dire, in altri termini, che è Dio, unicamente Lui, che lo concede. Non è, pertanto, un pane disponibile a nostro piacimento, uno degli oggetti del nostro capriccio, anche se quest'ultimo avesse un'apparenza "religiosa". È disponibile soltanto alla nostra preghiera umile, al nostro grido sincero di grande mancanza e di viva ed urgente necessità.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Conoscere l'Eucarestia. Si richiede una catechesi permanente e periodica, mediante le omelie, le lezioni di religione, i contatti personali, affinché una conoscenza integrale del pane di vita costituisca il substrato di base della pietà cristiana, che ha nell'Eucarestia la sua vetta e la sua fonte. In questa conoscenza, sottolineerei alcuni aspetti: 1) La presenza reale di Gesù Cristo nel tabernacolo, e, di conseguenza, il rispetto e il senso del sacro all'interno della chiesa. La chiesa è e deve essere un luogo di preghiera, di silenzio, di raccoglimento, di adorazione, di incontro con Dio. Che ingente fatica c'è da fare perché i fedeli conoscano e vivano questo aspetto dell'Eucarestia! 2) La spiegazione teologica, ma in modo semplice, chiaro, esemplificato e convincente, dei frutti dell'Eucarestia. Dopo la spiegazione, si può parlare di fomentare le visite eucaristiche, soprattutto all'inizio della mattina e alla fine della sera, per offrire a Gesù Cristo le ore del lavoro e per ringraziarlo del suo aiuto e del suo conforto; si può parlare di incoraggiare l'esposizione del Santissimo Sacramento e l'adorazione, della forza trasformante dell'Eucarestia in coloro che la ricevono con rettitudine e con fervore. 3) La preparazione per ricevere fruttuosamente Gesù Cristo Eucarestia. Una preparazione che implica la ricezione del sacramento della riconciliazione, se si è in peccato; che implica inoltre la lettura e la meditazione della Parola di Dio come anche il perdono, la riconciliazione e il servizio ai fratelli.

Eliminare quegli ostacoli che rendano difficile la conoscenza del pane vivo, che dà la vita al mondo. Il primo ostacolo è forse la tentazione di ridurre l'alimento alle pure necessità corporali e materiali, emarginando o perfino prescindendo da qualsiasi altro alimento. Chi si alimenta soltanto delle realtà terrestri, non può elevarsi a conoscere il pane del cielo, gli sembrerà un linguaggio senza senso e carente di valore. Altra possibile difficoltà è fare della ricezione dell'Eucarestia "un'abitudine sociale", come può essere il felicitarsi con gli sposi alle loro nozze, o l'assistere alla festa di compleanno di un amico. L'Eucarestia è certamente un avvenimento sociale, cioè, ecclesiale, ma è soprattutto un incontro personale con Gesù Cristo. Non piccola difficoltà può essere, soprattutto per gli uomini, il rispetto umano, quel che dirà la gente, il timore dell'opinione degli altri. Quasi come se l'Eucarestia fosse cosa da donne! Non è segno di virilità l'operare per convinzione e prescindere dal parere altrui?

 

 

 

Domenica XI del TEMPO ORDINARIO 13 Giugno 1999

Prima: Es 19, 2-6; seconda: Rom 5, 6-11; Vangelo: Mt 9, 36-10,8

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Nel lungo cammino delle relazioni tra gli uomini e Dio, sul Sinai comincia una nuova fase: la scelta e la costituzione di un popolo da parte di Dio. Così dice l'Esodo: "Voi sarete il popolo di mia proprietà tra tutti i popoli". Con Gesù Cristo, si installa nella storia un nuovo popolo di Dio, i cui fondamenti sono i Dodici: "Gesù chiamò i suoi dodici discepoli...I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone...". Il nuovo popolo di Dio è stato costituito mediante l'offerta totale di Gesù Cristo sulla croce, offerta per mezzo della quale il Padre ci ha riconciliato con sé: "Dio, già fin da adesso, ci ha concesso la riconciliazione per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo".

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

Un popolo costituito da Dio e formato da uomini. In Egitto le diverse tribù discendenti da Giacobbe non formavano un solo popolo sotto la guida di Javeh. È soltanto sul Sinai che Dio prende l'iniziativa, e fa delle dodici tribù un unico popolo di sua proprietà mediante il patto col sangue dell'agnello. In continuità con il popolo di Israele, Gesù costituisce un nuovo popolo, eleggendo dodici discepoli in rappresentanza delle dodici tribù di Israele e come base del nuovo popolo cristiano. Né il popolo d'Israele, né la Chiesa, nuovo popolo di Dio, si costituiscono da soli; se esistono, è perché Dio li ha fatti esistere. Ciononostante, senza questi uomini che uscirono dall'Egitto o senza i Dodici, Dio non avrebbe potuto costituire un popolo suo. Gli uomini sono necessari per formare il popolo e per portare a compimento la sua ragione di essere nella storia.

 

Il mezzo con cui Dio costituisce il suo popolo è l'alleanza. Si tratta di un'alleanza tra il re (Dio) e il suo vassallo (il popolo), con una serie di clausole con cui essi si promettono reciprocamente fedeltà. In questa alleanza tra Dio e il suo popolo, la fedeltà di Dio è più che assicurata, non così quella del popolo d'Israele, né quella della Chiesa. Per questo, si deve ricordare continuamente l'alleanza di fedeltà nei confronti di Dio, così come la situazione in cui si trovavano sia le tribù di Giacobbe sia i cristiani prima di ricevere il battesimo: oppressione, divisione, inimicizia e odio, irredenzione. Non c'è qui motivo più che sufficiente per mantenere con generosità e gioia la fedeltà all'alleanza?

 

Dio costituisce il popolo di Israele e, successivamente, la Chiesa, con uno scopo. Questo scopo è, da una parte, proclamare il monoteismo e salvaguardarlo nella storia, dall'altra il far presente e viva tra gli uomini la salvezza universale e completa che Gesù Cristo ha recato a tutti noi, mediante la sua croce e la sua resurrezione. Il monoteismo giudaico trova la sua piena realizzazione nel mistero cristiano della Trinità, con l'affermazione ineffabile di tre persone in un unico Dio. La salvezza universale è compito di tutta la Chiesa, che è segno dell'unione degli uomini con Dio e degli uomini tra loro (LG 1). La filiazione divina e la fraternità umana sono il messaggio essenziale della Chiesa, e proclamare questo messaggio è la ragione del suo essere nel mondo.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Un solo popolo. La realtà attuale della società e della Chiesa stimola la promozione e la pratica pastorale dell'unità nella diversità di razze, culture, partiti politici, situazioni legali, associazioni ed istituzioni. In questo "mare magnum" delle differenze, la Chiesa come istituzione, e i vescovi, i parroci, i sacerdoti e i diaconi, in virtù del loro ministero di comunione, debbono essere un faro alto e luminoso di unità, di solidarietà, si servizio generoso a tutti, in mezzo alle differenze, e coscienti della reale difficoltà di mantenere in unità di intenzioni la diversità reale degli uomini, in tanti campi dell'operare umano. Si può e si deve, se la coscienza così détta, appartenere a diversi partiti, pur essendo membri di una medesima Chiesa; o accettare nella comunità parrocchiale emigranti di altri paesi, senza che si sentano umiliati o cittadini e cristiani di seconda categoria. Può darsi che ci sia nella parrocchia la presenza di diversi movimenti o associazioni ecclesiali, e che tutti contribuiscano, secondo il loro proprio carisma, all'unità nel rispetto e nella carità, all'animazione della pastorale parrocchiale, alla santificazione e al miglioramento morale dei fedeli della parrocchia...

Una sola missione. La Chiesa, la parrocchia, i movimenti ecclesiali e i gruppi parrocchiali hanno un unico obiettivo, anche se i modi di raggiungerlo possono essere molto diversificati: rendere efficace il Vangelo di Gesù Cristo tra gli uomini mediante la parola, le opere e la testimonianza dei buoni cristiani. Se Cristo è predicato, se Cristo è conosciuto, non importa che lo sia per opera di qualcuno che non appartiene al mio gruppo e che usa metodi diversi dai miei. Se Cristo trasforma la vita degli uomini, debbo sentirmi felice, anche se non sono io lo strumento di Dio, ma un'altra persona. È immenso il compito della Chiesa nel momento attuale, perché si possa perdere tempo in pensieri o perfino in dispute sul tema se questo o quel gruppo agiscano in una maniera o nell'altra, usino metodi che non condivido, abbiano certe attività che mi risultano estranee, siano più tradizionali o più liberali... Finché si mantiene l'unità di fede e di morale, c'è posto per tutti nella Chiesa e tutti contribuiscono alla presenza viva ed efficace della Chiesa nel mondo.

 

Domenica XII del TEMPO ORDINARIO 20 Giugno 1999

Prima: Ger 20, 10-13; seconda: Rom 5, 12-15; Vangelo: Mt 10, 26-33

 

 

NESSO logico tra le LETTURE

La prima lettura, tratta dal profeta Geremia, e il testo del vangelo di san Matteo insistono su due aspetti caratteristici dell'esistenza cristiana: da una parte, le persecuzioni e le difficoltà, e dall'altra la fiducia in Dio, che allontana ogni timore. "Ho ascoltato le calunnie della gente...Ma il Signore è con me come un eroe potente" confessa Geremia. "Non abbiate paura di coloro che uccidono il corpo, ma non possono togliere la vita...Non temete, voi valete di più di tutti gli uccelli del cielo", esorta Gesù i suoi discepoli. Perché non temere? Perché - con parole della seconda lettura - "non c'è paragone tra il delitto e il dono", tra il potere dei persecutori e il potere di Dio.

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

Il discepolo non è più grande del Maestro. Se hanno criticato Gesù (e prima di lui i grandi profeti come Geremia), lo hanno chiamato ubriacone e amico della buona tavola, gli hanno attribuito il potere di Belzebù, a noi cristiani non deve meravigliare che ci critichino e perfino che ci calunnino. Se questo accade, allora siamo veramente discepoli di Gesù Cristo. Certamente, non è piacevole leggere su giornali e riviste o ascoltare in televisione critiche sulla nostra fede nell'Incarnazione del Verbo o spiegazioni ingegnose, tendenti a non affermare la resurrezione di Gesù Cristo. Può risultarci vergognoso e indegno che si critichi la morale cattolica su diversi temi, che contraddicono la morale laicista e la mentalità comune. Ci fa male e ci sembra indegno, ma non deve toccare minimamente, da un lato le nostre certezze nel campo della fede e della morale, e dall'altro la nostra fiducia e totale sicurezza nella vittoria della grazia sul peccato, del dono sul delitto. In un mondo che va perdendo la solidità della fede, che si getta in braccio al "soggettivismo religioso", che si sente libero di opinare su qualunque cosa, addirittura anche su ciò che non si conosce, noi cristiani siamo testimoni intrepidi di valori ed atteggiamenti, di verità e di comportamenti che non si comprendono, che si interpretano male, coscientemente o no, che si rifiutano come obsoleti e retrogradi, che si considerano fuori del carro della storia e dell'attualità. Cristo ci dice: "Non abbiate paura". La fermezza della nostra fede ci darà, prima o poi, la vittoria.

La grazia di Dio sovrabbondò per tutti. Ecco la base della nostra sicurezza e della nostra fiducia. Non è sulle nostre forze né sulla nostra moralità che noi ci appoggiamo di fronte alle persecuzioni, alle critiche, ai rifiuti, alle calunnie, alle incomprensioni, all'indifferenza. La rocca della nostra sicurezza è la grazia di Dio, fatta dono gratuito in Gesù Cristo. Noi confidiamo che la grazia divina illuminerà le menti di coloro che adesso criticano o rifiutano la fede della Chiesa; noi confidiamo nel fatto che la grazia divina muoverà i cuori ad amare la verità di Gesù Cristo che la Chiesa ci trasmette, e muoverà le volontà per vivere secondo il decalogo cristiano, sintetizzato nel sermone della montagna. Noi confidiamo che il Signore ci darà la forza per sopportare le difficoltà che ci sopravvengano dagli altri, e per lottare con zelo e perseveranza per la verità e per il bene. Dio ha cura degli uccellini del cielo, come potrebbe non aver cura di noi, suoi figli, che valiamo più di tutti gli uccellini?

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Accettare la realtà del mondo in cui ci è toccato di vivere. In tempi passati, forse, la situazione nel paese o nella città in cui viviamo era differente. La maggioranza era cristiana, le istituzioni favorivano di più il modo cristiano di vivere, c'erano meno mezzi di perversione, per fare il male, la società stessa proteggeva di più l'individuo da qualsiasi abuso o eccesso, c'era maggiore omogeneità religiosa e sociale, la libertà era più difesa e limitata, la mentalità dominante era in armonia con il cristianesimo... Non dobbiamo essere nostalgici del passato. Questo mondo è ormai finito. Il nostro è un altro. Dobbiamo assumerlo in tutta la sua grandezza e precarietà. Siamo credenti e cristiani in questa nuova situazione, segnata dal secolarismo, dal materialismo, dal soggettivismo e dal positivismo su grande scala, benché marcata anche da altri aspetti molto positivi e degni di encomio. Le difficoltà che dobbiamo affrontare sono quelle del nostro tempo, quelle che ci vengono dai nostri contemporanei. Le battaglie che dobbiamo combattere sono quelle destinate a sconfiggere, innanzitutto in noi, e poi nei nostri vicini, il secolarismo del nostro tempo, il materialismo, il soggettivismo, il positivismo dell'uomo attuale. Le battaglie di ieri sono ormai storia. Le nostre battaglie per la fede e per la morale cristiane sono quelle di oggi, quelle che si combattono ogni giorno con valore e coraggio.

Guardare al mondo con fiducia e amore. "Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo" ci dice Gesù Cristo. Il mondo del male può essere vinto con il bene. Gesù Cristo lo vinse, donando la sua vita agli uomini fino alla morte. E così dobbiamo vincerlo anche noi: con un amore sorprendente e costante, con una fiducia senza limiti, con un lavoro tenace. Il mondo in cui viviamo si salverà se Dio può contare su uomini disposti a dare tutto per salvarlo e rigenerarlo da dentro con il suo Amore. Quali sono i piccoli o grandi mali che affliggono la vita quotidiana della nostra parrocchia, dei nostri fedeli cristiani? A quali azioni concrete mi porta il mio amore e la mia fiducia in Dio per combatterli e superarli? Non dubitiamo né abbiamo paura di porre la nostra fiducia nella grazia e nel potere misterioso e realissimo di Dio.

 

Domenica XIII del TEMPO ORDINARIO 27 Giugno 1999

Prima: 2Re 4, 8-11; seconda: Rom 6, 3-4.8-11; Vangelo: Mt 10, 37-42

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Un punto di concentrazione della liturgia di questa domenica è la dignità dell'uomo e del cristiano. Nel Vangelo è scritto: "Colui che non prende la sua croce e mi segue, non è degno di me", che in positivo equivarrebbe a dire: "Chi prende la sua croce e mi segue, è degno di me". È degno quel cristiano che è disposto alla rinuncia a sé stesso e alle sue cose in vista di un valore superiore. Nella prima lettura ci si presenta la dignità dell'uomo, manifestata nella sua ospitalità verso lo straniero, uno dei valori più apprezzati nel mondo antico. Da ultimo, la lettera ai Romani espone vigorosamente la vita nuova causata dal Battesimo, che ci rende degni di essere incorporati al mistero di Cristo Redentore.

MESSAGGIO DOTTRINALE

La dignità dell'uomo possiede una quotazione molto alta nella società attuale, anche se poi con la stessa espressione si possono intendere cose molto diverse. Di dignità parliamo soltanto quando ci riferiamo all'uomo, non agli esseri inferiori, e nemmeno quando ci riferiamo a Dio. È vero che diciamo che Dio è degno di lode, di adorazione..., ma abitualmente non parliamo della "dignità di Dio". Degno o indegno è soltanto l'uomo, in quanto essere umano, in quanto credente, in quanto professionista, ecc. Con questa espressione vogliamo significare quanto sia elevato, nobile, eccelso l'essere umano, che emerge al di sopra delle altre creature del mondo, e la logica corrispondenza dell'agire umano a tali caratteristiche del suo essere. Quando tale corrispondenza non esiste, l'uomo degenera e diventa indegno di se stesso e della sua alta vocazione.

Nella prima lettura di oggi, presa dal secondo libro dei Re, troviamo un tratto predominante nella concezione e nella dignità umana di quel tempo: l'ospitalità, particolarmente verso lo straniero. La ricca sunamita che ospita Eliseo nella propria casa si mostra degna della sua condizione naturale, secondo la concezione sociale del suo tempo. Oggi potremmo tradurre questo aspetto della dignità umana con termini come solidarietà, accoglienza dell'emigrante, carità sociale. La dignità di cui ci parla il Vangelo consiste nella sequela di Cristo, e, di conseguenza, nella disponibilità a lasciare tutto (padre, madre, figli...) pur di seguirlo, prendendo con coraggio e decisione la croce di ogni giorno. È un passo avanti nella dignità dell'uomo, non basato sulla natura, ma sulla rivelazione e la grazia di Dio. Questo passo si compie mediante il battesimo, per il quale siamo immersi nel mistero del Cristo pasquale e partecipiamo della vita di Dio nel nostro corpo mortale e nel 'qui e adesso' della nostra storia personale e della nostra società (seconda lettura).

A coloro che conformano la propria vita con la propria dignità sia umana che cristiana, viene promessa una ricompensa generosa e che eccede le possibilità umane. Alla sunamita, sterile e con un marito avanti negli anni, Eliseo promette la ricompensa di tenere, entro un anno, un figlio tra le braccia. Gesù, da parte sua, promette la vita eterna a chi sia disposto a perdere la vita in questo mondo; promette inoltre l'intimità con Lui e con suo Padre a chi pratica l'ospitalità e la carità cristiane. E san Paolo, nella lettera ai Romani sostiene che i battezzati, già qui sulla terra, sono "vivi per Dio, in unione con Cristo Gesù".

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Senso della dignità umana e cristiana. Dato che si parla tanto di dignità, ma con significati così diversi, conviene chiarire che cosa intendono il Vangelo e la Chiesa con tale vocabolo. Oltre a quanto detto nel paragrafo precedente, si insisterà sul fondamento di tale dignità. Un fondamento di ordine creaturale: immagine e somiglianza di Dio; e un fondamento di rivelazione: figli adottivi di Dio. Si tratta, pertanto, di una dignità profondamente inchiodata nel disegno di Dio sull'uomo, non basata su concezioni antropologiche nate dalla mente umana. Tutto ciò ci permetterà di chiarire alcune realtà della mentalità attuale e delle istituzioni umane, che si proclamano tali in virtù della dignità dell'uomo, basata quasi unicamente sulla libertà e sull'autonomia, ma che in definitiva attaccano l'autentica dignità. Per esempio, l'aborto, la tossicodipendenza, la promiscuità sessuale, la bestemmia, la mancanza di pratica religiosa, ecc. La libertà è certamente una componente della dignità umana (ci sarebbe forse da spiegare qui la libertà di... e la libertà per ...), ma non l'unica; con essa si trovano anche l'intelligenza e il discernimento, l'amore verso la verità e il bene, la volontà di superamento e di dono di se stessi.

La solidarietà. è molto ciò che la Chiesa e le organizzazioni, governative o non, fanno in questo campo, per rispondere alle quasi infinite necessità presenti nel nostro mondo. Questa solidarietà internazionale va molto bene, e la si dovrà promuovere ancor di più. Ciononostante, preferisco adesso fare riferimento a quella "piccola solidarietà", che bussa alla nostra porta ogni giorno. La solidarietà con la famiglia vicina, che ti chiede un favore; con l'emigrante che viene da te in cerca di lavoro; con gli extracomunitari che ti offrono fiori o fazzolettini ai semafori; con l'handicappato, che non manca nella tua parrocchia, come in molte altre; con qualche iniziativa del parroco o del consiglio pastorale della parrocchia; con qualche attività della scuola che frequentano i tuoi figli... Entrambe le solidarietà sono complementari: c'è da fare quella, la grande, ci direbbe Gesù, senza omettere questa, la piccola.

 

Solennità di SAN PIETRO E PAOLO 29 Giugno 1999

Prima: At 12, 1-11; seconda: 2Tim 4, 6-8.17-18; Vangelo: Mt 16, 13-19

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

La liturgia ci mette in evidenza san Pietro e san Paolo, i due grandi Apostoli della prima comunità cristiana, come maestri e confessori della fede. "Tu sei il Messia, il Figlio di Dio vivo", proclama Pietro in nome degli altri discepoli, alla domanda di Gesù: "E voi, chi dite che io sia?". Questa stessa confessione di fede è la causa del fatto che Erode Agrippa perséguiti e faccia incarcerare Pietro per dare soddisfazione a scribi e farisei (prima lettura). Da parte sua, Paolo, ormai alla fine della sua vita, apre la propria anima a Timoteo in una frase bella e significativa: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede"; e, qualche versetto più avanti: "Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili".

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

La festa di oggi è per antonomasia la festa della fede: la fede personale di Pietro e Paolo in Gesù Cristo; la fede proclamata e insegnata da entrambi, durante circa trenta anni, fino alla loro morte; la fede confessata e testimoniata, giorno dopo giorno, tra persecuzioni e consolazioni, fino allo spargimento del proprio sangue nel martirio.

La fede personale. In Pietro forse è un processo continuato, a partire dal primo incontro con Cristo presso il mare di Galilea, fino al grido entusiasta: "Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivo", e all'umile e sincero riconoscimento: "Tu, Signore, sai tutto; tu sai che ti amo". Nel caso di Paolo, più che un processo, è irruzione, folgorante sorpresa sulla via di Damasco. Questa fede in Gesù Cristo, che lo incatena con legami di libertà, si andrà approfondendo con gli anni, e nelle sue lettere ce ne lascerà alcuni brandelli: "Per me vivere è Cristo e morire un guadagno", "Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi amò e diede se stesso per me". In tale fede personale, inalterabile, più forte della morte, gli Apostoli pongono le fondamenta del proprio insegnamento, della propria testimonianza e della propria missione.

Maestri della fede. La prima parte degli Atti degli Apostoli mostra Pietro, estremamente attivo, che predica il kerigma cristiano sia a giudei di Gerusalemme e dintorni, sia a pagani, come nel caso della famiglia di Cornelio. Egli proclama con vigore e sincerità ciò che crede, insegna ciò che ha visto, ascoltato e ricevuto dal suo Maestro e Signore. Non ha nulla di proprio da dire, soltanto il mistero di Cristo che gli si impone con la forza dell'evidenza e della fede. Nemmeno Paolo ha nulla di proprio da dire, ma unicamente ciò che ha ricevuto, come dirà ai corinzi. E quando, in qualche caso, aggiunge qualcosa che non ha ricevuto, puntualizza che lo fa secondo lo Spirito di Cristo, che lo possiede e lo spinge a parlare con autorità.

Testimoni della fede. Le parole, perfino le più sublimi, non avranno accoglienza, se sono soltanto parole, e non vita. Sull'esempio di Gesù Cristo, che diede la sua vita per tutti per coerenza con la sua predicazione e dottrina, Pietro e Paolo culmineranno la loro testimonianza di vita cristiana morendo per la fede che credettero, predicarono e confessarono per tutta la regione mediterranea. Il martirio diventa in questo modo il sigillo dell'autenticità della loro fede, il pegno sicuro per noi della verità che essi ci hanno comunicato e lasciato in eredità, e della quale sono allo stesso modo colonne irremovibili e perenni.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

"Credo... crediamo". Come pastori, dobbiamo trasmettere la fede della Chiesa, così come si trova formulata nel catechismo della Chiesa cattolica. Per trasmetterla, e farlo con integrità e convinzione, dobbiamo fare nostra innanzitutto tutta la fede della Chiesa. Farla nostra con l'intelligenza, leggendo, studiando, meditando le pagine del catechismo, belle e ricche dal punto di vista dottrinale. Farla nostra con il cuore, amando veramente il corpo dottrinale, organico, completo, coerente, ringiovanito e ringiovanente, della Chiesa cattolica. Farla nostra con la vita, allo scopo di non essere né apparire come predicatori vuoti, ma come testimoni della verità eterna, che ci viene da Dio e che ci conduce a Dio. Equipaggiati con questa fede ecclesiale, fatta personale dalla meditazione, dall'amore e dalla testimonianza, inviteremo con convinzione i nostri fedeli a credere individualmente e comunitariamente ciò che la Chiesa ci insegna, ad amare ciò che credono e a testimoniare nel loro mondo familiare e professionale ciò che amano. E non avremo paura di proclamare, con umiltà e fermezza, le verità "difficili", perché lo stesso Spirito che ci incoraggia a proclamarle, lavora efficacemente nei fedeli perché le accolgano e le vivano.

Fedeli al Magistero. La Chiesa è un corpo vivo, che si costruisce con pietre vive. Tutti collaboriamo alla costruzione, ma sotto la giuda e la supervisione di coloro che sono i successori di Pietro (il Papa) e degli altri Apostoli (i Vescovi). Come partecipi del sacerdozio di Cristo e collaboratori dei Vescovi, noi presbiteri e i diaconi siamo moralmente obbligati ad ascoltare la voce del Santo Padre, della Conferenza Episcopale, del nostro Vescovo diocesano; a conoscere, studiare, diffondere e, se è necessario, difendere i loro insegnamenti, che sono gli orientamenti che essi ci offrono al servizio della nostra fede e del nostro comportamento morale. Parliamo sempre bene, ai nostri fedeli, del Santo Padre, dei vescovi; creiamo intorno ad essi un ambiente di rispetto, di accoglienza, di disponibilità, di sincero affetto filiale. Sono uomini come noi, ma sono soprattutto i maestri della nostra fede, i confessori e testimoni della verità rivelata da Dio in Gesù Cristo mediante lo Spirito.

 

 

Domenica XIV del TEMPO ORDINARIO 4 Luglio 1999

Prima: Zac 9, 9-10; seconda: Rom 8, 9.11-13; Vangelo: Mt 11, 25-30

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Il cristianesimo non poche volte sembra paradossale, proprio per il fatto di unire in sé, in armonia, realtà che si contrappongono. Le letture di questa domenica ci pongono uno di questi paradossi: il re messia che si incammina verso Gerusalemme umilmente, a cavallo di un asinello (prima lettura); Gesù, maestro e signore, che chiama se stesso semplice e umile di cuore, e che inoltre afferma che il suo giogo è soave e il suo carico leggero (Vangelo); san Paolo, che, nella lettera ai Romani, ragiona, seguendo le orme di Cristo, in un modo peculiare, che si riassume nel morire per vivere: "Se mediante lo Spirito date morte alle opere del corpo, vivrete".

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Il paradosso è qualcosa di sorprendente e sconcertante per l'uomo. Sfugge alla logica della sua ragione, e ciò lo "martirizza", fino a fargli perdere le redini del proprio pensiero. Il paradosso è opera del pensiero, ma appartiene ad un ambito diverso dal logico-razionale, all'ambito dell'emotività, dell'intuizione, alla logica del cuore e, se è paradosso cristiano, inoltre, all'ambito della rivelazione della fede. In questo senso, il punto di partenza della nostra omelia di oggi deve essere la realtà del paradosso cristiano e la coscienza di detta realtà. A partire da qui possiamo riflettere sui testi liturgici:

Il paradosso del messia. Il messia atteso nell'Antico Testamento è il messia re, discendente di Davide, che dovrebbe entrare a Gerusalemme come un grande monarca, su un cavallo, dopo aver conquistato di nuovo l'intero regno davidico. Zaccaria menziona un re, giusto e vittorioso, sì, ma umile e che cavalca un asinello, un giovane somarello. Il cristianesimo ha visto realizzata questa profezia in Gesù, il messia atteso da Israele e da tutti i popoli, un messa re, ma che regna - che mistero! - dal trono della croce, in mezzo alla sofferenza più atroce.

Il paradosso dell'amore. Il testo di san Matteo riproduce, come in un quadro, l'amore paradossale di Gesù. Questo paradosso che suppone l'umiliazione più annientante della grandezza più sublime e cosciente, quella del Figlio di Dio, per mezzo dell'incarnazione. La parabola del Signore e del Maestro che, nella sua semplicità ed umiltà di cuore, pone sulle sue spalle il carico e il giogo, affinché a noi, suoi servi curvati di fronte al peso, il carico risulti più leggero, e perché a noi, suoi discepoli affaticati da leggi e precetti, il giogo venga reso più soave.

Il paradosso della grazia. Nell'esistenza cristiana i termini "morire - vivere" sono correlativi, cioè, si deve morire per vivere. È la morte alle opere della carne, affinché resusciti l'uomo nuovo, che vive secondo lo Spirito. È la morte in senso ascetico, e, se Dio lo vuole, anche in senso reale, fino al martirio cruento, affinché viva Cristo in noi in un modo di vivere che appartiene ad un'altra realtà diversa dal mondo, per quanto in questo mondo sia pienamente inserita, poiché il cristiano non è del mondo, ma si trova nel mondo come lievito e come luce.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Il cristiano è inclassificabile. Tra gli uomini c'è la tendenza spiccata a classificare gli altri, ad etichettarli secondo categorie opposte. Si è di sinistra o di destra, tradizionali o progressisti, carismatici o istituzionali, cattolici o laicisti, liberali o conservatori, e così via. Il cristiano non si incastona in nessuna di queste categorie, è semplicemente cristiano. Ciò gli dà libertà per appartenere a tutte le categorie, se la sua coscienza così gli chiede in ogni caso. Nella nostra opera pastorale dobbiamo tenerne molto conto, ed attenuare le opposizioni. A volte, il cristiano apparirà come progressista, perché questo è ciò che gli chiedono la sua fede e la sua coscienza, ed altre volte per lo stesso motivo sarà visto come tradizionale. Non sono le categorie quelle che contano, ma i valori che si vogliono promuovere e salvaguardare; e, di fronte ai valori, può saltare qualsiasi classificazione. Valori come la vita, la moralità pubblica, la salvaguardia dell'ambiente, la dignità della persona, la libertà in generale e particolarmente la libertà religiosa, non appartengono a nessuna categoria, né possono essere subordinati a classificazioni di parte. Sono valori dell'uomo, e si dovrà proteggerli e incoraggiarli sempre, in qualsiasi luogo e in qualsiasi situazione.

Non aver paura di essere classificati, non temere che ci mettano un soprannome che non ci piace, che ci fa perdere amicizie, che metta perfino in un certo pericolo la nostra fama e il nostro onore. Il primo ad essere classificato dagli uomini del suo tempo fu Gesù, e non con molta fortuna: amante della buona tavola, amico di pubblicani e peccatori, ribelle alle leggi del suo popolo... Gesù Cristo non si preoccupò di tali classificazioni. L'unica cosa che monopolizzava il suo interesse ed era la sua vera preoccupazione, la riassume nella proclamazione del Regno di Dio, nel pentimento e nella conversione interiore, e nella fede per aver accesso al suddetto Regno. Tutto il resto "scivola via". Noi, come sacerdoti e pastori, dobbiamo avere lo stesso atteggiamento di Gesù Cristo, anche se non ci venga dipinto assolutamente in modo facile e anche se le nostre tendenze naturali vogliono seguire un'altra rotta. Come pastori, inoltre, dobbiamo inculcare questo stesso atteggiamento nei nostri fedeli cristiani, come semplicità di ragionamento, con convinzione sincera, con forza persuasiva. Quando si rompe questa paura, che tanto lega e paralizza, il cristiano raggiunge una grande libertà di spirito per agire davanti a Dio e non davanti agli uomini.

 

Domenica XV del TEMPO ORDINARIO11 Luglio 1999

Prima: Is 55, 10-11; Seconda: Rom 8, 18-23; Vangelo: Mat 13, 1-23

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

La parola di Dio è efficace e feconda; per questo siamo esortati ad accoglierla e a metterla in pratica. Isaia la confronta con la pioggia che feconda la terra e fa germogliare il seme (prima lettura). Nella spiegazione della parabola del seminatore, Gesù insegna che il seme è la Parola di Dio che, se cade nella terra buona (chi ascolta ed accoglie il messaggio), dà frutto, sia il cento, sia il sessanta o il trenta. Nella seconda lettura si indicano alcuni frutti della Parola e della Rivelazione divine: la liberazione e la gloria dei figli di Dio, la partecipazione del cosmo alla "speranza dell’uomo".

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Fino a date non molto lontane, si stabiliva abitualmente una relazione povera ed incompleta tra Sacramento e Parola. Si sottolineava l’efficacia del Sacramento, per il fatto di operare in virtù di un’intrinseca efficienza, il famoso ex opere operato e dando poca importanza alla disposizione di chi lo riceveva, cioè, al ex opere operantis. Rispetto alla Parola, se ne sottolineava il carattere di rivelazione e soprattutto il valore morale, lasciando un po’ nell’oblio la sua forza trasformante. La riflessione attuale della Chiesa, basata sugli insegnamenti del Concilio Vaticano II, ha recuperato notevolmente il potere e la sinergia della Parola di Dio, ricordando il famoso testo della lettera agli Ebrei: "La Paola di Dio è viva, è efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello Spirito, delle giunture e delle midolla, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (4, 12-13). La Parola possiede, come il Sacramento, una propria efficacia, che si farà effettiva secondo le disposizioni di chi la ascolta.

La Parola giunge a tutti, ma non tutti l’ascoltano e l’accettano (la parabola del seminatore prova la verità di questa affermazione). Già alla fine del sec. I d.C. si poteva dire che il messaggio di Gesù era stato portato a tutti gli angoli del mondo fino ad allora conosciuto. Oggigiorno, grazie alla stampa (la Bibbia, o, almeno, il Nuovo Testamento, sono tradotti in più di 1.500 lingue), ai mezzi di comunicazione sociale con portata internazionale, e soprattutto grazie ai missionari e agli evangelizzatori, si può quasi assicurare, senza paura di sbagliare, che il seme della Parola di Dio è caduto in tutti gli angoli del nostro pianeta. Vicino a questa consolante realtà, si constata un’altra realtà evidente: alcuni ascoltano la Parola, l’accettano e cercano di renderla vita; ad altri essa risulta indifferente, una delle tante parole che giungono ai loro orecchi; ma ci sono anche molti che la accolgono, la meditano, la amano e la traducono in atteggiamenti e comportamenti.

Quando l’uomo è ben disposto, la parola dà frutto abbondante. La pioggia, immagine della Parola nella prima lettura, non torna vuota a Dio. Il seme, immagine della parola nel Vangelo, produce, nella terra dell’uomo ben preparato per accoglierlo, un frutto sovrabbondante: dal trenta per cento al cento per cento, risultato ammirevole se, a quanto sembra, la media nella terra di Giudea era, al massimo, del 10 per cento. Per questo, Paolo parla di frutti che vanno al di là di qualsiasi immaginazione: Dio ci ha rivelato tramite il suo Spirito la nostra condizione e la nostra gloria di figli suoi, la misteriosa partecipazione finale del cosmo alla gloria degli uomini (seconda lettura). Questo frutto abbondante non è casuale, e nemmeno al margine della volontà di Dio; è Dio stesso che desidera, come Padre amabile e generoso, che la sua Parola produca il frutto più abbondante.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Lettura e meditazione frequente della Parola di Dio. Molto si è fatto e si sta facendo per diffondere la Bibbia tra i cristiani, e perfino tra i non credenti in Cristo. È grande anche il lavoro realizzato perché i fedeli cristiani leggano e meditino la Bibbia, sia individualmente sia in gruppo. Allo stesso modo, sono molti i corsi, le settimane, i festival biblici che si tengono durante l’anno, in tanti paesi. La lectio divina ed altre forme simili di lettura e di meditazione bibliche si sono diffuse ampiamente non soltanto nei monasteri e negli istituti religiosi, ma anche tra i laici. Dobbiamo ringraziare Dio degli ingenti frutti che tutto questo lavoro sta producendo nei cristiani e nella Chiesa. Approfittiamo di questa domenica per riflettere sulla presenza e l’efficacia della Parola di Dio nella nostra diocesi, nella nostra parrocchia, nella nostra comunità. Che abbiamo fatto fino al presente? Con quali risultati? Che cosa possiamo migliorare? Sarà giunto il momento di promuovere nuove iniziative in questo campo della pastorale?

Parola e Sacramento. Sono due entità indissociabili. Così ha inteso la Chiesa fin dalle sue origini, unendole nella liturgia eucaristica. Innanzitutto la Parola efficace che cade, come seme, sui partecipanti all’Eucarestia, e fa presente la rivelazione di Gesù Cristo. Poi il Sacramento efficace che, per mezzo della consacrazione, fa presente l’opera di Gesù Cristo Redentore tra gli uomini. La Parola di Dio prepara al Sacramento, e il Sacramento predispone per l’accoglienza sincera della Parola. Per questo, è importante fare una catechesi solida e costante sulla necessità di partecipare a tutta la celebrazione eucaristica. Non è principalmente un problema morale: "Se è valida o no la messa, perché sono arrivato all’omelia e al credo...". È soprattutto un tema spirituale (l’anima ha bisogno dell’alimento della Parola divina) e di pedagogia cristiana (educare le persone ad una concezione completa e ricchissima della celebrazione eucaristica, rigettando modi di pensare del passato).

 

 

 

 

Domenica XVI del TEMPO ORDINARIO18 Luglio 1999

Prima: Sap 12, 16-19; Seconda: Rom 8, 26-27; Vangelo: Mat 13, 14-43

 

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

La liturgia ci pone il grande realismo dell’esistenza cristiana: la presenza nel mondo che ci circonda e nell’intimo dell’uomo del bene e del male, del padrone del terreno che semina il buon seme e del suo avversario che semina quello cattivo, del grano e della zizzania, che crescono vicini fino al tempo del raccolto (Vangelo); l’audacia di coloro che non conoscono né credono al potere di Dio e allo spiegamento della forza divina, anche se realizzato con benignità (prima lettura), la debolezza dell’uomo in generale e soprattutto al momento di chiedere ciò che gli conviene, e lo Spirito Santo che intercede per noi con gemiti ineffabili e in modo efficace (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Il cristianesimo per essenza è ottimista, ma non utopistico; è sicuro della vittoria ultima del bene, ma non chiude gli occhi al male che percepisce intorno a sé; vive ed agisce secondo lo Spirito, ma non dimentica che calpesta la terra con tutte le sue angosce e tutto il suo peccato. Si sa cittadino del cielo, ma non cessa di essere uomo del suo tempo e di questa terra.

Il bene e il male, presenti tra gli uomini, hanno diversa origine. Il bene lo ha seminato Dio nel mondo e nel cuore umano; il male proviene dal nemico di Dio, da satana, padre del peccato e di ogni altro male nella storia. Il bene cresce nel mondo, non tanto per merito umano, quanto per azione soprannaturale e costante di Dio; il male cresce dentro di noi e nel mondo, perché il maligno lo provoca e lo promuove rendendolo attraente. Con il bene giunto alla propria maturazione culmina l’azione salvifica di Dio nella storia; con il male ormai maturo, culmina il giudizio di Dio sul peccato e sugli uomini peccatori.È vero che Dio giudica con benignità e governa tutto con grande indulgenza (prima lettura), ma soltanto se l’uomo apre la sua anima allo Spirito che viene in aiuto della nostra debolezza (seconda lettura).

Il bene e il male crescono vicini. L’insegnamento evangelico è anche constatazione di esperienza quotidiana. Lo constatiamo innanzitutto nel tabernacolo segreto della nostra coscienza, giorno dopo giorno, e, allo stesso modo, lo sperimentiamo nell’ambiente in cui ci muoviamo ed esistiamo, come anche nel mondo lontano che ci giunge a casa per mezzo della cronaca televisiva. Non si deve cadere nel determinismo, come se l’uomo fosse predestinato fin dall’eternità al bene o predestinato eternamente al male, ma la presenza di queste due grandezze inconciliabili si impone alla semplice evidenza, come qualcosa di inesorabile e degno di vigile attenzione.

Vinci il male con il bene. Le parole della prima e della seconda lettura danno adito alla vittoria del bene sul male, grazie all’indulgenza divina e alla potenza del suo Spirito. Nello stesso testo evangelico l’inserimento di due altre piccole parabole, tra la parabola del frumento e della zizzania e la spiegazione della stessa, si può interpretare come la vittoria e il trionfo del bene che, pur essendo il seme più piccolo, si trasforma in un grande albero, e che, pur essendo soltanto alcuni grammi di lievito, fa fermentare tutta la massa. Se tale è la forza del bene, non possiamo non convincerci della sua vittoria.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

 

Apostoli del bene. Non chiuderemo gli occhi davanti al male, ma, perché diventiamo quasi ciechi per il bene? Purtroppo, il bene non ha apostoli, ma piuttosto e molto spesso ha dei critici. Al contrario, il male, il crimine, il disordine morale si trova sugli schermi televisivi, nei titoli dei giornali e sulla labbra di molti cristiani. Molti di noi si preoccupano dell’ambiente e dell’ecologia del pianeta; dovremo interessarci, almeno nella stessa misura, dell’ecologia morale dei nostri mezzi di comunicazione sociale, della pulizia etica delle strade delle nostre città. Se il grado di inquinamento atmosferico sale oltre il normale, subito si adottano misure per farlo scendere, ma, che cosa succede se l’inquinamento immorale sale oltre il decente e l’onesto? A chiunque metta il dito nella piaga, pioverà addosso un diluvio di critiche e non poche volte di improperi. Certamente, si deve attaccare il male che si vede e che si propaganda; tuttavia è molto più importante ed efficace far tacere il male con la proclamazione del bene, sradicare il male a base di bene e di bontà, di pazienza e di comprensione.

Cristiani di élite o di massa? Questa domanda se la faceva il Cardinale Danielou negli anni Sessanta. La sua risposta era chiarissima: La Chiesa è di tutti e c’è posto per tutti. Ci sono santi e ci sono peccatori, ci sono dei capi e dei seguaci, c’è frumento e c’è zizzania, c’è debolezza dell’uomo e c’è misericordia di Dio. Ecclesia sancta et peccatrix. Così è la nostra Chiesa. Qui è presente il profondo realismo che la invade e la avvolge. Come prolungamento, potremmo anche dire: "Parrocchia, santa e peccatrice", "istituzione religiosa santa e peccatrice". Siamo realisti con noi stessi e nella nostra attività pastorale. Ciononostante, abbiamo fede, che, in mezzo alla nostra comunità parrocchiale o religiosa, può crescere la santità e diminuire il peccato. Con la liturgia di oggi siamo sicuri che "Dio può utilizzare il suo potere quando voglia" (prima lettura) e che "lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza... e intercede per noi con gemiti ineffabili" (seconda lettura). Convinciamoci con il Vangelo che il seme del bene può trasformarsi in un albero gigante.

 

 

 

 

 

 

Domenica XVII del TEMPO ORDINARIO 25 Luglio 1999

Prima: 1Re 3,5.7-12; Seconda: Rom 8,28-30; Vangelo: Mt 13, 44-52

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

 

Una caratteristica dell’uomo è la libertà di scelta. La scelta è il tema che raggruppa i testi liturgici, mediante i quali la Chiesa ci invita a riflettere per vivere più evangelicamente. Nel vangelo il contadino sceglie di vendere tutti i suoi beni per comprare il campo in cui ha scoperto un tesoro, e il mercante di perle le sacrifica tutte, pur di ottenere una perla preziosa senza pari. Nella parabola della rete che tutto raccoglie non è più l’uomo a scegliere, ma Dio stesso, secondo le scelte che l’uomo ha fatto nella sua vita. La seconda lettura ci parla della chiamata di Dio e della conseguente risposta-scelta dell’uomo. La figura di Salomone orante, nella prima lettura, mostra che è la preghiera l’ambito in cui l’uomo acquista la capacità di fare le scelte più autentiche.

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

La Chiesa è il Regno di Cristo "già presente in mistero" (LG 3). La Chiesa è anche il corpo mistico di Cristo, cioè il mistero dell’incarnazione prolungato nel tempo della storia. Le parabole evangeliche possiedono innanzitutto un significato cristologico: gli uomini, ma particolarmente i discepoli di Cristo, sono chiamati a "vendere" tutto pur di conseguire il tesoro che è Cristo, la perla preziosa, che è il mistero di Cristo. L’uomo che, dopo la morte, si avvicina al Padre con questo tesoro e questa perla, il Padre lo farà partecipe della sua vita e della sua gloria. Le parabole hanno anche un significato ecclesiologico, in quanto la Chiesa è il campo in cui il tesoro di Cristo è nascosto, è il mercante che ci "vende" la perla preziosa cui aspira il nostro cuore. All’uomo interessa acquisire il tesoro e comprare la perla preziosa, ma senza la Chiesa non potrà riuscirci. Scegliere Cristo-tesoro è scegliere inseparabilmente la Chiesa, campo in cui il tesoro si trova; scegliere la perla preziosa è scegliere la Chiesa, l’unico mercante che me la può vendere. È assurdo, e contrario alla dottrina più genuina del Vangelo e della Tradizione ecclesiale, l’opporre Cristo e Chiesa, o il pretendere un Cristo senza Chiesa o una Chiesa senza Cristo.

La scelta per il campo e il tesoro o per la perla di grande valore si compie con il cuore pieno di gioia (Mt 13,44). Comprare il campo significa prescindere da molte cose, forse molto amate e radicate nella propria vita, ma, di fronte alla realtà del tesoro, non si presta attenzione a ciò che si lascia né alla nostalgia che l’anima sente per esso: l’attenzione si incentra sul tesoro, sulla perla, e così l’anima esulta di gioia. È la gioia di chi valuta la chiamata che Dio gli ha fatto alla fede cristiana, alla Chiesa cattolica. È la gioia di chi, mediante questa chiamata e la propria libera risposta, si sa possessore di un tesoro meraviglioso che Dio gli regala, e tramite il quale Dio lo fa già adesso - e lo farà definitivamente nel cielo - partecipe della sua salvezza e della sua gloria (Rom 8,30).

Salomone nella preghiera seppe discernere la volontà di Dio e fece una scelta illuminata, d’accordo con la sua vocazione di re e governante del popolo di Israele (1Re 3,9). È nella preghiera che l’uomo riesce a scoprire in modo più completo - e a scegliere di conseguenza - il tesoro e la perla preziosa, cioè, il valore unico e massimo di Cristo e della Chiesa nel disegno salvifico di Dio.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

La scelta cristiana. Il mondo di oggi offre agli uomini e ai cristiani molte possibilità di scegliere tra realtà assai attraenti e seduttrici, almeno alla vista e alle "tasche". Un’enorme disgrazia che incombe sugli uomini è l’inganno, sono i miraggi, il credere che ci sia un tesoro in un campo dove in realtà non c’è, il sognare un tesoro che non esiste veramente, il valutare come perla preziosa ciò che non è altro che orpello e cianfrusaglia. Poi, con il tempo, vengono i disinganni, le frustrazioni... Chi li orienterà nella ricerca del vero tesoro?

Molti cristiani, molti fedeli della nostra parrocchia, hanno bisogno probabilmente di valutare, da soli o con l’aiuto di altri, il tesoro inestimabile di Cristo e il campo, la Chiesa, in cui questo tesoro sta nascosto. Lo possiedono come un’eredità, come un quadro antico che adorna una delle pareti della casa. Il quadro sta lì, così come si sarebbe potuto trovare altrove. Questa eredità deve essere oggetto di scelta. Ma, come sceglieranno Cristo, se Cristo è soltanto un’eredità, e non è per loro un tesoro, se non è il supremo valore della loro esistenza? Come ameranno la Chiesa e lavoreranno nella Chiesa, se essa non è l’unico campo in cui si trova il tesoro di Cristo? È urgente che il cristianesimo sia un’eredità cui si attribuisce valore, che si sceglie e che riempie di gioia la vita.

Il significato della vocazione. Si deve cercare di ampliare il concetto di vocazione nella mente degli uomini e degli stessi cristiani. Esiste la vocazione alla vita, la vocazione al matrimonio, la vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata, la vocazione all’apostolato laicale, la vocazione al cielo... In definitiva, è importante che l’uomo "si senta chiamato", cioè, eletto, interpellato. La vita umana, e in modo più profondo la vita cristiana, è un dialogo di libertà tra Dio e l’uomo: Dio che chiama e l’uomo che risponde. Dio ci chiama alla nostra piena realizzazione umana e cristiana, l’uomo deve rispondere a questo invito e, secondo la sua risposta, decide sulla sua storia e il suo destino. Vivere la vita ordinaria con senso di vocazione offre una prospettiva nuova all’esistenza. Realizzare le piccole decisioni concrete di ogni giorno come risposte a un Dio che chiama, ci aiuta a prendere le nostre decisioni con maggiore responsabilità e inoltre dà un grande valore all’esercizio della nostra libertà nelle piccole faccende quotidiane.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Domenica XVIII del TEMPO ORDINARIO1 Agosto 1999

Prima: Is 55, 1-3; Seconda lettura: Rom 8,35; 37-39Vangelo; Mt 14, 13-21

 

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Benchè la parola non compaia nei testi liturgici, la generosità di Dio è forse la chiave degli stessi. Generosità di Dio che invita a partecipare gratuitamente al banchetto messianico: "O voi tutti venite..., chi non ha denaro venga ugualmente, comprate e mangiate anche senza denaro..." (Is 55,1). Generosità di Dio, rivelata da Gesù Cristo col moltiplicare i pochi pani e pesci per migliaia di persone, saziare la loro fame e ancora raccogliere dodici cesti di avanzi (Vangelo). Di fronte alla generosità di Dio, Paolo pensa che non può esserci nulla, né in cielo nè in terra, capace di separarci dall’amore del Padre manifestato in Cristo Gesù (cf Rom 8, 38-39).

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Nella Sacra Scrittura Dio riceve molti nomi. È il Dio onnipotente, giusto, saggio, creatore, ricco di misericordia... Non c’è un testo nel quale si dica che Dio è generoso, ma questo tratto divino colora e impregna tutti gli altri attributi. L’onnipotenza, la giustizia, la misericordia divine sono emanazione della sua generosità inesauribile. Così possiamo dire che Dio è estremamente generoso nel manifestare il suo potere, la sua giustizia, la sua misericordia. Nella prima lettura di oggi la generosità di Dio si rivela in un contesto di alleanza; Dio prende l’iniziativa di fare alleanza col suo popolo, e Dio stesso "paga" il banchetto con cui terminava il patto di alleanza. Cristo, nella moltiplicazione dei pani, sottolinea la generosità divina mediante la sovrabbondanza dell’alimento. Nel discorso del pane di vita Gesù dirà: "Io sono il pane della vita. Chi viene a me non avrà più fame; chi crede in me non avrà mai sete" (Gv 6,35). Cristo in persona è questo alimento sovrabbondante, che non finisce mai, e che ci è stato dato dal Padre.

La generosità di Dio non è un’ostentazione appariscente di potere né un richiamo per impressionare ed attrarre l’ammirazione degli uomini; la generosità divina risponde all’indigenza umana, all’abbandono più profondo degli uomini. La necessità più perentoria dell’uomo è la sussistenza, e Dio sperpera la sua generosità mediante la fertilità della terra e la fecondità delle piante e degli animali. L’uomo sente il desiderio ardente del divino, dell’unione con Dio, e la generosità divina soddisfa pienamente questo desiderio, rivelandosi come Dio della storia e come sposo fedele di alleanza. L’uomo, attanagliato dal peccato, posseduto dal pentimento, ha bisogno di perdono, e la generosità di Dio gli apre le braccia della sua misericordia come ad un figlio prodigo. Il cammino attraverso la vita diventa lungo per l’uomo, ed è pieno di insidie, per questo egli cerca una mano forte nella sua, un passo compagno ed amico, e così Dio si mostra generoso con lui mediante l’Eucarestia e mediante il dono dello Spirito Santo. Nel cuore dell’uomo ribolle l’anelito di vita immortale, di sopravvivenza, e la generosità di Dio ci rivela Cristo risorto e il nostro destino di risorti con Cristo. In ultima istanza, possiamo affermare che Gesù Cristo, dalla sua incarnazione fino alla sua ascensione, non ha cessato di mostrare a noi uomini il dolce volto di Dio, Padre dell’amore generoso. Paolo cominciò a comprendere l’amore generoso di Dio quando Cristo gli apparve sulla via di Damasco. In seguito, con il passare degli anni, venne approfondendo, per rivelazione divina assimilata in lunghe ore di preghiera, la grandezza infinita dell’amore di Dio (lunghezza, larghezza, altezza e profondità). Di fronte alla forza tanto straordinaria dell’amore generoso del Padre, Paolo - e con lui tutti i discepoli di Cristo - reagisce in modo autentico e coerente: "Sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né futuro... potranno mai separarci dall’amore di Dio, manifestato in Cristo Gesù, nostro Signore " (Rom 8, 38-39). Il cristiano non può non sentirsi generoso nella risposta alla generosità di Dio.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Tra i nostri fedeli cristiani sorgono non poche volte lamentele contro Dio, poiché gli si attribuisce l’origine di tutti i mali personali o comunitari. Se muore un innocente, Dio è il colpevole. Se un figlio si droga o è sieropositivo, Dio ha la colpa. Se accade un incidente ad un essere amato, non troviamo altra via d’uscita che lamentarci di Dio, che non ha cura di noi. Non c’è quasi disgrazia in cui non si menzioni Dio come responsabile. È una scappatoia facile alla propria responsabilità; è un alibi di fronte al cattivo uso della libertà umana; è il "capro espiatorio" di tanti errori umani, di tanti disordini, di tante violazioni della giustizia e della dignità. Dio avrà forse cessato di essere generoso con l’uomo e si sarà trasformato in un avaro mercante della nostra felicità? Non sarà che scarichiamo su Dio ciò che non è altro che colpa dell’operare libero degli uomini? Non sarà molto meglio aprire gli occhi a un Dio la cui generosità continua ad agire e a manifestarsi, oggi come ieri, nell’individuo e nella storia?

Dinanzi all’immagine di un Dio nemico della felicità umana, di un Dio crudele che si diletta con la sofferenza degli uomini, immagine del tutto errata e indegna, ma realmente esistente tra non pochi nel mondo attuale, noi cristiani, con i nostri atteggiamenti vitali e con le nostre parole, siamo chiamati ad essere predicatori del Dio, Padre di Nostro Signore Gesù Cristo, la cui generosità è infinita come lo è il suo amore e la sua misericordia. Si deve meditare di più sulla generosità di Dio, per acquisire facilità nello scoprirla, per valutarla sempre di più, per poterne parlare con convinzione e calore, per darne testimonianza a tutti, senza favoritismi. I santi, nostri fratelli e maestri, ci dicono con la loro vita come percepirono la generosità divina, e ci possono offrire forme concrete e stimolanti perché anche noi facciamo lo stesso.

 

 

 

 

 

 

 

Domenica XIX del TEMPO ORDINARIO 8 Agosto 1999

Prima: 1Re 19, 9.11-13; Seconda: Rom 9, 1-5; Vangelo: Mt 14, 22-33

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

 

Dio si rivela ad Elia con il soave sussurro della brezza sul monte Oreb (prima lettura): Gesù Cristo si rivela ai discepoli come Figlio di Dio mediante il dominio sulle acque agitate del mare e mediante le sue misteriose parole: "Sono io, non temete" (Vangelo). Da parte sua, Paolo è ben cosciente che Dio si è rivelato al popolo di Israele: "Gli appartengono l’adozione filiale, la presenza gloriosa di Dio, l’alleanza, le leggi, il culto e le promesse" (Rom 9,4). La risposta di Elia è di timore sacro di fronte alla presenza di Javeh : "Si coprì il viso con il suo mantello" (1Re 19,13). La risposta di Pietro è di dubbio: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?" (Mt 14,31), mentre quella dell’insieme dei discepoli è di fede: "Veramente sei Figlio di Dio" (Mt 14,33). Paolo sa molto bene che il popolo di Israele ha dato una risposta sbagliata e non è stato fedele alla rivelazione divina, per questo lo invade una gran tristezza ed ha nel cuore un continuo dolore (seconda lettura). Rivelazione di Dio, risposte dell’uomo: ecco in sintesi il messaggio della liturgia.

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Dio si rivela agli uomini non per concetti, ma mediante azioni simboliche o in una relazione dialogale. Ad Elia, che fuggì dal monte Carmelo per non essere assassinato da Jezebel (1Re 19, 1-3), Dio fa attraversare la terra di Palestina dal nord al sud, per portarlo fino al monte Oreb, il monte santo dello javismo e delle rivelazioni divine. Nell’ambito sacro della montagna, in solitudine e preghiera, Dio si rivela ad Elia. A Mosè, si era rivelato tra lampi, fuoco e tuoni (cf Es 19, 16-19), come signore delle forze della natura. Ad Elia, sullo stesso monte, secoli dopo, si rivelerà come il sussurro di una soave brezza, con la soavità di un bacio di madre o di una carezza di donna.

Gesù Cristo ha passato lunghe ore di preghiera, di dialogo con il Padre (cf Mt 14, 23). I discepoli lottano quasi impotenti contro le onde infuriate del lago di Tiberiade. All’improvviso, vedono venire verso di loro una figura umana simile a quella di Gesù. Si impauriscono. Credono di vedere un fantasma. Gesù trae profitto da questa circostanza per rivelarsi loro nella sua identità più intima, mediante un gesto simbolico. Come Javeh (Giob 9,8; cf Sal 77,20), egli cammina sulle onde del mare, mostrando così che è il signore del mare e della natura. Come Javeh a Mosè (cf Es 3,15) egli rivela ai discepoli il suo nome divino: "Io sono". Gesù mostra il suo potere divino, ma, soprattutto, rivela ai suoi la sua filiazione divina.

Paolo ci ricorda le prerogative straordinarie di Dio nei confronti di Israele, sottolineando che "suoi sono i patriarchi e da essi, in quanto uomo, proviene Cristo" (Rom 9,5). Con i patriarchi comincia la rivelazione storica di Dio, con Cristo detta rivelazione culmina e giunge alla sua pienezza; e questo mistero di rivelazione si compie nell’ambito del popolo eletto. Ecco come Dio ci si rivela il fedele per eccellenza, che non si pente della sua scelta nè delle sue promesse. La scelta e l’alleanza di Dio con Israele, nonostante la sua infedeltà, resta in vigore.

Poichè la rivelazione di Dio è l’espressione di un dialogo con l’uomo, richiede per sua stessa natura una risposta. Elia risponde con l’obbedienza di fede (1Re 19, 15-18) affinchè nella terra di Israele si mantenga il monoteismo javista. Pietro risponde con la paura e il dubbio, di fronte ad una situazione che egli stesso ha provocato, mettendo alla prova il potere di Gesù. Il popolo di Israele ha risposto rifiutando la rivelazione del messianismo di Gesù e la sua filiazione divina. I discepoli, infine, sono coloro che hanno dato la risposta migliore e più completa: "Veramente tu sei Figlio di Dio". La nostra risposta alla rivelazione di Dio, che ci è stata conservata e trasmessa dalla Chiesa, deve essere, nelle parole del Vaticano II: "l’obbedienza della fede, con la quale l’uomo si abbandona (a Dio) tutt’intero e liberamente... assentendo volontariamente alla rivelazione che egli fa" (DV 5).

 

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

 

Per poter dare una risposta ad un interlocutore, si deve conoscere il contenuto della sue parole o della sua proposta. Se l’uomo di oggi vuole dare una risposta responsabile e matura alla rivelazione di Dio, la prima cosa è che conosca questa rivelazione. È abbastanza evidente che durante un periodo di anni c’è stato un "vuoto dottrinale" nella catechesi (forse potrebbe ancora esistere in alcune parti), e che la rivelazione di Dio, che la Chiesa ci trasmette, in parte viene ignorata o si conosce male o in modo incompleto. Ecco un grande compito formativo da realizzare nelle parrocchie, nei gruppi giovanili, nei movimenti della Chiesa. Questo lavoro è duro, ma indispensabile, perché l’esperienza forte di conversione di alcuni o l’entusiasmo religioso di altri non arrivino ad essere un’esperienza deludente o un’esplosione passeggera del sentimento. Non si insisterà mai troppo sull’urgenza di catechisti, numerosi e ben formati, catechisti di bambini, di giovani ed adulti, perchè la risposta di fede sia autentica e matura.

Non basta conoscere la rivelazione di Dio, la fede della Chiesa. Sappiamo per esperienza dei secoli e dei nostri giorni - e la liturgia di questa domenica lo testimonia- che l’uomo, in virtù della sua libertà, può dare risposte molto varie, e di fatto le dà. C’è chi dà la risposta del rifiuto, del disinteresse o dell’indifferenza, perfino dell’ostilità aperta al messaggio cristiano. Ci sono coloro che credono, ma a modo loro, lasciandosi guidare da criteri soggettivi di fronte al deposito della fede obiettiva della Chiesa. Altri credono, sì, ma hanno "buchi e fessure" nella propria fede, quindi risulta loro impossibile accettare certe verità di fede o di morale cattoliche. La vera risposta, quella che dobbiamo cercare per noi stessi e per i nostri fedeli, è la risposta completa, sicura, responsabile: l’obbedienza della fede.

 

Solennità dell’Assunzione 15 Agosto 1999

Prima: Ap 11,19; 12, 1-6.10; seconda: 1Cor 15, 20-26; Vangelo: Lc 1, 39-56

 

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

 

"Ha fatto grandi cose in me l’Onnipotente" (Lc 1,49), ecco il messaggio centrale della liturgia della Assunzione. L’ha fatta Madre di Dio, come ci ricorda il Vangelo. L’ha fatta Madre della Chiesa, che, come Maria, continua a dare alla luce Cristo, in mezzo al dolore e tra gli attacchi del dragone, fino alla fine dei tempi (seconda lettura). L’ha fatta partecipe della gloria di suo Figlio risorto, mediante l’Assunzione, in anima e corpo, ai cieli. Maria nella sua umiltà riconosce e loda il Signore per le grandi cose che in Lei ha realizzato (Vangelo).

 

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

Nel ciclo liturgico, la Chiesa presenta alla nostra considerazione le grandezze di Maria: la sua Immacolata Concezione (8 dicembre), la sua divina Maternità (1° gennaio), la sua verginità nella Annunciazione (25 marzo), e infine la sua Assunzione ai cieli (15 agosto). La Assunzione è, dunque, il culmine dell’opera potente di Dio in Maria. In che consiste questa grandezza della Madre di Cristo e della Chiesa?

È la partecipazione ed associazione al trionfo di suo Figlio Gesù Cristo. Cristo è risorto, Cristo è partito da questo mondo verso il regno del Padre. Maria ha ancora una missione da compiere, la missione di Madre della Chiesa. Giunge però un momento in cui la sua missione sulla terra è terminata, e pertanto anche il corso della sua vita terrena. Nella fede della Chiesa, alla fine della storia avrà luogo la resurrezione dei morti. Il potere di Dio e di suo Figlio ha anticipato per Maria questo momento finale, che si realizza dopo la sua morte. Così tutta la sua persona nella sua anima e nel suo corpo, Arca in cui abitò il Figlio di Dio durante 9 mesi, corpo "fatto di fango purissimo" in quanto non fu mai macchiato dal peccato, partecipa in un modo singolare della Resurrezione di Gesù Cristo ed anticipa la resurrezione degli altri cristiani.

È la glorificazione dell’essere umano nella sua stessa corporeità. Nella Assunzione di Maria, attraverso il potere di Dio, ha luogo e piena realizzazione la perfezione naturale dell’uomo, poichè la morte, con la lacerazione dell’unità sostanziale dell’essere umano che essa comporta, è qualcosa di violento e "innaturale". La natura umana geme con gemiti inenarrabili aspettando (cf Rom 8, 18-25), cioè, attendendo l’unione definitiva del suo essere intero e completo. La natura umana di Maria non geme, ella gode già di questa unione definitiva al fianco di suo Figlio. San Germano di Costantinopoli potè così scrivere: "Il suo corpo è esente dal dissolversi e trasformarsi in polvere, e, senza perdere la sua condizione umana, fu trasformato in corpo celeste e incorruttibile, pieno di vita e oltremodo glorioso, incolume e partecipe della vita perfetta".

È la primizia e il pegno sicuro, insieme a Cristo, della resurrezione della nostra carne, come proclamiamo nel Credo. Il termine "carne", ci dice il Catechismo, designa l’uomo nella sua condizione di debolezza e di mortalità. La resurrezione della carne significa che, dopo la morte, non ci sarà soltanto vita dell’anima immortale, ma che anche i nostri "corpi mortali" (Rom 8,11) torneranno ad aver vita, (CIC 990). In questa straordinaria opera di potere divino il protagonista, sia nella resurrezione di Cristo, sia nell’Assunzione di Maria, sia nella resurrezione dei morti, è lo Spirito Santo: "Se egli abita in voi, Colui che ha risuscitato Gesù dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi" (Rom 8,11).

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Il valore del corpo. Il cristianesimo dà grande valore al corpo umano, perché è Dio che lo ha creato, è Dio che lo ha assunto facendosi uomo, è Dio che lo ha fatto, tramite la grazia, tempio della Santissima Trinità, è Dio che lo destina alla resurrezione. Poichè gli dà valore, il cristianesimo ci insegna a conservarlo, ad averne cura, a proteggerlo, amarlo. Ciò che il cristianesimo rifiuta è il "culto del corpo", il fare del corpo un idolo cui si sacrificano ed immolano realtà di valore superiore. Purtroppo ci sono persone per cui "vali quanto vale il tuo corpo ai loro occhi". I cristiani hanno cura della propria salute, curano l’aspetto personale con semplicità e sobrietà, ma non sprecano né eccedono nell’impiego del tempo e del denaro per "coccolare" il corpo. Valutiamo sufficientemente, noi cristiani, il tempo, per non sperperarlo nel culto del corpo? Abbiamo pensato al bene che si potrebbe fare con il denaro che si dilapida per vezzeggiare il corpo?

Il rispetto del corpo. La nostra corporeità è un dono di Dio, di cui dobbiamo essere grati e che dobbiamo nello stesso tempo rispettare. Il corpo non è la carne, è la visibilità della persona, e per questo gode anch’esso di dignità e merita rispetto. Cessa di rispettare il suo corpo chi si droga o si ubriaca, chi gestisce la propria sessualità come un piacere, chi maltratta la sua salute fumando eccessivamente, o mette in pericolo la sua vita e quella altrui guidando sventatamente. Si deve rispettare anche il corpo degli altri, non incitandoli a disordini e a perversioni sessuali, valutando le persone per ciò che sono, più che per la misura o l’apparenza del loro corpo. La festa dell’Assunzione è un canto al valore e al rispetto del corpo, che sarà glorificato da Dio, in modo a noi ignoto, nell’eternità. In definitiva, è un canto di gratitudine al potere straordinario di Dio che ha realizzato nell’umanità di Maria Santissima e che realizzerà nel corpo umano qualcosa al di fuori della nostra portata, e che è meraviglioso.

 

 

 

 

Domenica XXI del TEMPO ORDINARIO 22 Agosto 1999

Prima: Is 22, 19-23; Seconda: Rom 11, 33-36; Vangelo: Mt 16, 13-20

 

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

La figura di Pietro, che confessa Gesù Messia e Figlio di Dio, riempie la scena liturgica di questa domenica. Gesù lo costituisce come Pietra della Chiesa, gli dà le chiavi dell’edificio ecclesiale e gli concede il potere di unire e di sciogliere (Vangelo). La prima lettura ci parla di Eliakim, eletto da Dio per essere maggiordomo di palazzo, ai tempi del re Ezechìa, e che prefigura Pietro: "Egli sarà padre per gli abitanti di Gerusalemme e per la casa di Giuda. Porrò nelle sue mani le chiavi del palazzo di Davide". San Paolo, nella seconda lettura, si meraviglia delle decisioni insondabili di Dio, e delle sue imperscrutabili vie nei riguardi del popolo di Israele. La liturgia, mettendo questo testo in relazione con il Vangelo, ci invita all’ammirazione e allo stupore di fronte al grande mistero della scelta di Pietro per essere Pietra e Maggiordomo della sua Chiesa.

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

"Tu sei Pietro, e su questa Pietra, edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,18). Nell’Antico Testamento, il simbolo della Pietra si applica a Javeh: "Soltanto Dio è la mia Roccia" (Sal 62,3). Nel Nuovo testamento, Paolo lo attribuisce a Cristo: "Non può esserci altro fondamento di quello che è già stato posto, e questo fondamento è Gesù Cristo" (1Cor 3,11). Sulle labbra di Gesù, secondo il Vangelo di Matteo, il simbolo è aggiudicato a Pietro. Non c’è contraddizione nella pluralità dei simboli: Dio è l’unico fondamento solido della nostra sicurezza e della nostra fede; per rivelarsi come tale durante il tempo istituì la Chiesa, il cui fondamento invisibile è Gesù Cristo. Pietro nei suoi successori è, per misteriosa volontà di Cristo, il fondamento visibile sul quale si erge l’edificio della Chiesa. Essendo Pietro soltanto rappresentazione di un fondamento divino, si comprende la promessa del Signore: "Il potere dell’abisso non la farà perire" (Mt 16,19). Nessun potere, per quanto oscuro e tenebroso sia, può distruggere Dio, e, pertanto, la Chiesa, della quale Dio è il vero fondamento.

"Ti darò le chiavi del regno dei cieli" (Mt 16,19). Pietro riceve da Cristo il potere e l’autorità sulla Chiesa, come Eliakim ricevette le chiavi del palazzo di Davide. Di maggiordomo ce n’è soltanto uno, per questo la sua autorità è unica ed esclusiva.: "Se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire" (Is 22, 22). È maggiordomo, ma allo stesso tempo è padre: "Egli sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e la casa di Giuda" (Is 22,21), che deve imitare la paternità di Dio: "Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste " (Mt 5, 38). Di conseguenza, è un maggiordomo la cui autorità è orientata a servire nel miglior modo possibile la famiglia di Dio, è presieduta dall’amore e diretta ad offrire a tutti il migliore servizio alla verità.

"Ciò che legherai sulla terra sarà legato nel cielo, e ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche in cielo" (Mt 16,19). Pietro è l’interprete autorizzato del disegno di Dio sugli uomini nelle vicissitudini, con non poca frequenza ingarbugliate, della storia. Ciò che "lega e scioglie" risponde, non a inclinazione naturale o passionale, ma a una volontà straordinaria di fedeltà ed obbedienza a Dio che gli ha dato tale incarico. Questo è un grande mistero, come ci ricorda la seconda lettura, poichè sono, sì, decisioni di un uomo, che riguardano la vita degli uomini, ma decisioni la cui origine e provenienza è Dio stesso. Per questo, maturano soprattutto, dopo la riflessione e la consultazione, nell’ascolto della Parola di Dio e nella preghiera costante ed umile.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Fiducia nella Pietra. La Pietra della nostra fede non la creiamo noi uomini, ce la dà Dio. Questa Pietra visibile, umana e temporale, è il Papa. Aver fiducia nella Pietra è, in definitiva, fidarci di Colui che ce la dà. Allo stesso modo, non aver fiducia nella Pietra o prescinderne, almeno in certi aspetti e casi, è diminuire la nostra fiducia in Dio che ha costituito Pietro e i suoi successori come tali. Se la fiducia nella Pietra traballa, ciò può forse derivare dal fatto che fissiamo il nostro sguardo e la nostra attenzione nell’uomo che svolge tale funzione, quando piuttosto dobbiamo porre i nostri occhi in Dio, che si fa garante della solidità e forza della Pietra. Abbiamo, noi sacerdoti, questa fiducia ferma nella Rocca di Pietro? E i nostri fedeli? Che cosa possiamo fare per aumentare in essi la fiducia nel Santo Padre: nella sua persona, nei suoi insegnamenti, nelle sue decisioni?

Amore e docilità al Papa. Egli è il padre comune di tutti i cristiani, che vive per tutti e tutti abbraccia. L’amore chiede amore. Egli è la Rocca della verità, che ci infonde una sicurezza indistruttibile. La verità chiede assenso e accoglienza, chiede di vivere illuminati da essa. Egli è il maggiordomo della Chiesa, sempre disposto ad amministrarla con bontà e a servirla nel miglior modo possibile. L’atteggiamento di servizio richiede riconoscenza, gratitudine. Egli è l’interprete autentico della rivelazione e del disegno di Dio. Tale vocazione esige dai cristiani umiltà, docilità, obbedienza sovrannaturale. Egli è un mistero di Dio, che supera le nostre capacità umane. Davanti al mistero ci vuole soltanto una posizione generosa e gioiosa di fede e di amore filiale. In una società tanto critica verso l’autorità come è la nostra, uno splendido servizio che possiamo dare noi sacerdoti è promuovere l’amore, la fiducia, la docilità al Santo Padre, ai suoi insegnamenti, alle sue esortazioni. A quali mezzi posso metter mano nella mia parrocchia e nella mia comunità per ottenere ciò?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Domenica XXII del TEMPO ORDINARIO 29 Agosto 1999

Prima: Ger 20. 7-9; Seconda: Rom 12, 1-2; Vangelo: Mt 16, 21-27

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

 

La Volontà di Dio è la suprema norma del profeta Geremia, di Gesù Cristo e dei cristiani. Inseparabile dalla volontà divina è la croce, il sacrificio per fedeltà ad essa. Geremia sente il pungiglione della ribellione, dello sbarazzarsi di tutto; ma "(la parola di Dio) era dentro di me come un fuoco divoratore racchiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo" (Prima lettura). Il vangelo di oggi segue la proclamazione che Pietro fa di Gesù come Messia e Figlio di Dio (domenica precedente). Gesù vuole lasciare stabilito chiaramente quale sia il senso del suo messianismo secondo il disegno di Dio: "Andare a Gerusalemme e soffrire molto a causa degli anziani, dei capi dei sacerdoti e dei maestri della legge; morire e al terzo giorno risorgere" (vangelo). San Paolo ci insegna che l’autentico culto consiste nell’offrirsi come sacrificio vivo, santo e gradito a Dio (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

La Volontà di Dio è l’ordinamento divino della storia per la salvezza degli uomini. Questo ordinamento, essendo divino, ha una logica diversa da quella umana, può perfino giungere a sembrare contraddittorio ed ostile. Il profeta Geremia ne sa qualcosa. Era un uomo pacifico, ma Dio lo chiamò a una vocazione opposta alla sua inclinazione naturale: deve gridare "rovina, distruzione". Nonostante tutto, è tale la forza con cui la Volontà divina lo scuote interiormente e lo divora, che non può dire di no. La "passione" di Geremia, come egli ce la racconta nelle sue "confessioni", è l’espressione più sincera della sua fedeltà al piano misterioso di Dio sulla storia umana.

Nel racconto evangelico, Gesù annuncia per la prima volta quale è la volontà di Dio per lui nel futuro: "Cominciò Gesù a manifestare a suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e che doveva soffrire molto" (Vangelo). Pietro, mosso forse da ansia di protagonismo e per amore malinteso verso Gesù, vuole allontanare quest’ultimo dalla via di Dio, via di passione e di croce. Gesù conosce qual è la volontà di suo Padre, e non può permettere che nessuno si intrometta nella sua relazione personale con Dio. Come uomo, gli costa moltissimo accettare questa strada di Dio, tanto dura e penosa, ma l’adesione al Padre ha tale peso nella sua vita che nulla e nessuno lo potrà allontanare dalla sua Volontà. È tale la passione per la Volontà del Padre che non ha difficoltà a chiamare Pietro "Satana", poichè davanti ai suoi occhi è come un diavolo che pretende di allontanarlo dal disegno di Dio su di lui.

Geremia e soprattutto Gesù ci mostrano la necessità e l’importanza di conoscere la volontà di Dio, e, di conseguenza, di aderire ad essa con tutto il cuore e tutte le forze dell’anima, senza titubanze, senza complicità alcuna, anche piccola, con il maligno. Dalla conoscenza e dall’amore alla Volontà divina si deve passare alla vita: Fare la volontà di Dio, con le difficoltà, le sofferenze e gli ostacoli che questo può implicare. Perciò, Gesù è molto chiaro: "Se qualcuno vuole venire dietro di me, (cioè, se qualcuno vuol fare in tutto, come me, la Volontà di mio Padre) rinunci a se stesso (cioè, al suo proprio pensare e volere, tanto umani e tanto lontani dal pensare e volere di Dio), prenda su di sè la sua croce e mi segua" (Vangelo). San Paolo, da parte sua, chiede ai cristiani di Roma di offrirsi "come sacrificio vivo, santo e gradito a Dio" (seconda lettura).

Conoscere, amare e fare la Volontà di Dio è un compito per "uomini nuovi", che lottano per disfarsi dei criteri di questo mondo, e soprattutto si dedicano a rinnovarsi e a trasformarsi interiormente. Soltanto questi uomini rinnovati "possono scoprire qual è la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" (seconda lettura).

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Le orme della Volontà di Dio. Le grandi orme della Volontà di Dio sono inscritte innanzitutto nella nostra stessa natura, poi nella nostra vocazione cristiana, e infine nel nostro stato e condizione di vita. Per questo fa la volontà divina chi si comporta secondo la sua condizione di essere razionale e spirituale, vive come fedele seguace di Gesù Cristo all’interno della comunità ecclesiale, compie bene i doveri del suo stato e il proprio lavoro o professione. La maggioranza di noi uomini percepisce con relativa facilità queste orme, ma camminare per esse e seguirle già è altra cosa. Incontriamo molte cose attraenti che ci distraggono, molti ostacoli che non sempre siamo disposti a superare, molte resistenze a comportarci secondo quanto ci detta la nostra coscienza. Quali sono le distrazioni, gli ostacoli, le resistenze che ci sono nel nostro ambiente, nella nostra parrocchia, nella nostra comunità, in noi stessi?

 

La croce e la gloria. Nella Pasqua, punto culminante del piano di Dio per Gesù Cristo, si intrecciano la croce e la gloria. Nella vita del cristiano, nel progetto di Dio per ciascuno di noi, non è diverso. Non è che la volontà di Dio sia prima croce e poi gloria, o viceversa. È croce e gloria allo stesso tempo. Conoscere, aderire, fare la volontà di Dio comporta un tanto per cento di croce e un altrettanto per cento di gloria, distintamente ma inseparabilmente. Chi fa la volontà di Dio offre un sacrificio vivo, santo e gradito a Dio. Chi fa la volontà di Dio percepisce, nel mezzo del dolore, un canto interiore di gioia e di pace, che prelude alla gloria di cui parteciperà con Cristo nel regno dei cieli. Ci sono coloro che vedono soltanto la croce, e ci sono coloro che vorrebbero vedere solo la gloria. L’autentico cristiano annoda entrambe nella stessa volontà di Dio, e le accetta con amore e con gioia.

 

 

 

Domenica XXIII del TEMPO ORDINARIO 5 settembre 1999

Prima: Ez 33, 7-9; Seconda: Rom 13, 8-10; Vangelo: Mt 18, 15-20

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Il catechismo, basandosi sul Concilio Vaticano II, presenta vari simboli della Chiesa: ovile, coltivazione del campo, costruzione, tempio, famiglia, corpo mistico di Cristo, popolo di Dio (cf 753-757). La celebrazione liturgica di oggi ne suggerisce un altro: la Chiesa-comunione. Il testo evangelico scelto per questa domenica è tratto dal cosiddetto discorso ecclesiale, il cui nucleo è l’amore fraterno. Nella prima lettura, Ezechiele, costituito sentinella del popolo di Israele, sente la responsabilità di correggere il fratello smarrito, per essere fedele alla sua vocazione di vedetta della comunità. San Paolo, rivolgendosi ai cristiani di Roma, non dubita nell’affermare recisamente: "L’amore è la pienezza della legge".

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

La Chiesa-comunione è innanzitutto il sacramento dell’unione intima degli uomini con Dio. La comunione degli uomini con Dio è il primo fine della Chiesa. Nel vangelo Gesù ci dice: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (per pregare il Padre), lì sono io in mezzo a loro" (Mt 18,20). La voce di Ezechiele deve risuonare in mezzo al popolo affinchè il malvagio si corregga della sua condotta e si converta a Dio (prima lettura). La Chiesa, pertanto, è responsabile di invitare gli uomini all’unione con Dio, e dovrà usare per questo tutti i mezzi legittimi ed efficaci. Cesserebbe di essere Chiesa-comunione se dimenticasse questa dimensione verticale, che mette in risalto il carattere strumentale della Chiesa stessa, al contempo che la sua vocazione universale (nessun uomo è escluso dall’invito della Chiesa alla comunione con Dio). La Chiesa ha preso maggior coscienza della sua vocazione di strumento di comunione degli uomini con Dio: innanzitutto in relazione ai suoi figli, ai quali offre la rivelazione di Dio in Gesù Cristo e i mezzi per dare una risposta adatta e generosa; poi, mediante il dialogo ecumenico e il dialogo interreligioso, che costituiscono due forme attuali di questa coscienza ecclesiale, per coloro che non appartengono visibilmente ad essa.

La Chiesa è anche segno e strumento dell’unione degli uomini tra di loro. La comunione degli uomini con Dio sbocca, quasi spontaneamente, nell’unione fraterna. È l’unione di tutti nell’amore, in quanto siamo fratelli di fede, ma nella quale ciascuno compie la sua propria funzione. Chi è sentinella e guida esprimerà il suo amore dirigendo e, se è necessario, correggendo chi si smarrisce, in un clima di responsabilità e di libertà. Nella Chiesa-comunione tutti ci sentiamo obbligati a fomentare l’unione e l’amore, a cercare il bene degli altri, ad amarli augurando loro il meglio. La correzione fraterna, della quale ci parla il vangelo, ha qui, la sua applicazione, sebbene il modo di portarla a compimento rivesta forme di realizzazione molto diverse, secondo le circostanze di tempi e luoghi, e secondo le tradizioni religiose peculiari e le culture particolari.

La Chiesa- comunione dovrà cercare di evitare la scomunica di qualcuno dei suoi membri, ma questa potrebbe in certe occasioni essere necessaria, come esigenza della stessa comunione, per preservare l’unità e la pace tra i fratelli. "Se non presta ascolto nemmeno all’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano", ci insegna Gesù nel Vangelo. Propriamente parlando, non è la Chiesa che scomunica uno dei suoi membri, è piuttosto quest’ultimo che si autoesclude liberamente dalla comunione. In effetti, sono ben risaputi tutti gli sforzi della Chiesa per salvare la comunione, quando sorgono posizioni di dissenso in punti essenziali del dogma o della morale. In ogni caso, la Chiesa-comunione ha sempre le braccia aperte per accogliere di nuovo il fratello e integrarlo nella famiglia ecclesiale. Le fantasie giornalistiche di una Chiesa autoritaria e nemica del progresso sono anacronismi e clichès stereotipati, che non meritano la nostra attenzione.

 

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

L’amore è la pienezza della legge. Ogni parrocchia, ogni comunità ecclesiale esiste, è autentica, se c’è tra i suoi membri vero amore a Dio e vero amore reciproco. Ogni parrocchia deve essere, innanzitutto, un progetto visibile dell’amore dell’uomo a Dio e dell’amore di Dio all’uomo. La prima preoccupazione del parroco e dei parrocchiani dovrà essere, non che funzioni bene l’orario delle messe domenicali, che la cerimonia delle prime comunioni risulti perfetta o che l’oratorio organizzi attività e sia sempre pieno di ragazzi, ma che ciascuno dei fedeli apra la sua mente e il suo cuore a Dio e lo ascolti nell’intimo della sua coscienza. Dopo, come per aggiunta, verrà tutto il resto: l’assistenza alla messa domenicale, la ricezione dei sacramenti; l’amore sincero ai fratelli e l’interesse per il loro bene e la loro felicità, l’organizzazione di attività, l’azione benefica e la solidarietà con i bisognosi, il parlare edificante, lo spirito di collaborazione, ecc.

La correzione fraterna. Nell’insegnamento di Cristo, la correzione fraterna rende concreto l’amore ai fratelli. In una diocesi, in una parrocchia, in una comunità religiosa non tutto nè tutti saranno perfetti, e ci saranno sempre cose e comportamenti che possono migliorare. La correzione fraterna ha qui la sua ragione di essere: rispondere, come individui e come comunità, il meglio possibile alla vocazione cristiana ed ecclesiale che abbiamo ricevuto. Come? Non sembra giusto il cammino della mormorazione, della maldicenza o della ribellione, che certamente non è per nulla cristiano. La risposta al ‘come’ ammette moltissime variazioni, che saranno tutte buone, se si realizzano con rispetto, prudenza e carità cristiana. "Colui che ama non fa male al prossimo; in sintesi, l’amore è la pienezza della legge" (Rom 13,10).

 

 

 

 

 

 

 

 

Domenica XXIV del TEMPO ORDINARIO 12 Settembre1999

Prima lettura: Sir 27,30 - 28, 7; Seconda: Rom 14, 7-9; Vangelo: Mt 18, 21-35

 

NESSO logico tra le LETTURE

 

La parola "perdono" abbonda nei testi di questa domenica. Innanzitutto, il perdono che Dio concede: "Il signore ebbe compassione di quel servo, lo lasciò libero e gli condonò il debito" (Mt 18,27). Poi il perdono fraterno, condizione necessaria e previa del perdono divino: "Perdona al tuo prossimo l’offesa, e quando pregherai saranno perdonati i tuoi peccati" (Sir 28,2). In terzo luogo, il perdono senza limiti: "Quante volte debbo perdonare al mio fratello quando mi offende? Fino a sette volte? Gesù rispose: non ti dico sette volte, ma settanta volte sette" (Mt 18, 21-22). Infine, il motivo del perdono, che non è altro che la nostra appartenenza allo stesso Signore: "Nessuno di noi vive per se stesso,... se viviamo, viviamo per il Signore" (Rom 14, 7-8).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Con la parabola del perdono, Gesù ci insegna in modo magistrale, e allo stesso tempo discreto, che tutti siamo debitori davanti a Dio. Che questo debito eccede tutte le nostre possibilità di pagamento, e che pertanto è impossibile da parte nostra ristabilire la giustizia. C’é spazio soltanto per il perdono e il condono. È ciò che fa Dio. Di fronte all’imperativo del perdono, Dio ci dà esempio di perdono nella figura del signore della parabola. Gesù Cristo, Dio tra noi, segue la stessa strada: "Perdonali, non sanno quello che fanno" (Lc 23,24). L’enorme debito dell’uomo nei confronti di Dio è il peccato, cioè, non dare la giusta misura, fermarsi molto al di sotto di ciò che dovrebbe essere secondo il disegno di Dio. In questa situazione potrebbe agire la giustizia divina, facendo vivere l’uomo in un eterno distanziamento dalla sua stessa identità e da Dio, ma, invece della giustizia, Dio pone in movimento la misericordia e il perdono: "Il signore ebbe compassione di quel servo, lo lasciò libero e gli condonò il debito".

Perdono chiama perdono. L’uomo perdonato da Dio, riconciliato con lui, deve seguire le orme divine del perdono, e saper anche perdonare e riconciliarsi con il fratello. Tutti, in qualche momento, offendiamo gli altri e riceviamo da loro offese. Perdonare a coloro che ci offendono e ricevere il perdono da coloro che noi abbiamo offeso, è l’atteggiamento che Dio si aspetta da noi, e per il quale ci dà la sua grazia. Deve essere un perdono generoso, senza limiti di nessun genere: "fino a settanta volte sette". Deve essere un perdono che ha la sua fonte nel perdono ricevuto da Dio: "Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?" (Mt 18,33). Si tratta inoltre di un perdono che Dio ha voluto come condizione e requisito perché Egli perdonasse noi: "Perdona al tuo prossimo l’offesa, e quando preghi saranno perdonati i tuoi peccati" (Sir 28,1). Deve essere un perdono motivato dal fatto che il cristiano non appartiene a se stesso, ma al Signore, e pertanto ciò che fa lo fa per il Signore; è così che dobbiamo manifestargli rispetto, anche se pensa ed agisce diversamente da noi, e, se qualche volta ci sentiamo offesi, dobbiamo saper perdonare di cuore (Rom 14, 5-9). Un perdono, infine, che perduri vivo e sincero nel tempo, lasciando fuori dal cuore e dalle opere qualsiasi forma di rancore, vendetta o risentimento. Perchè chi "alimenta rancore contro un altro, come oserà chiedere la guarigione al Signore?" (Sir 28,3).

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

La Chiesa, casa del perdono. La Chiesa è la casa dove Dio abita e ci offre il suo perdono. Dato che non soltanto offendiamo Dio, ma anche la Chiesa, quest’ultima è anche la casa in cui Egli ci dà il suo perdono. Il cristiano si riconcilia con Dio e con la Chiesa, specialmente mediante il sacramento della riconciliazione. Non poche volte mi domando perché i cristiani abbiano un certo timore a ricevere questo sacramento, perfino una certa predisposizione contraria e una "avversione" verso di esso. Sarà diminuito nella coscienza del cristiano il senso di colpa? Non sarà perchè il sacramento non si comprende come un incontro personale con Dio, Padre del perdono e della misericordia? Saremo forse responsabili di questo noi sacerdoti, che non riflettiamo nel nostro ministero sacramentale l’atteggiamento amoroso del Padre? Come confessori, sono domande che non dobbiamo lasciar correre come acqua tra le dita. Si devono trovare delle risposte, perchè il sacramento del perdono abbia il suo posto nella coscienza cristiana, e la Chiesa sia per tutti la casa del perdono generoso.

Le forme del difficile perdono. A giudicare dalle notizie di giornali e telegiornali, perdonare diventa molto faticoso al cuore dell’uomo. Si manifesta rabbia, si chiede giustizia, si cerca vendetta, ma poche volte si vede qualcuno che sappia perdonare di cuore. Il gesto del Papa che perdona Alì Agka non si ripete molte volte sullo schermo televisivo. Sono sicuro che vi sono moltissimi cristiani che perdonano e sanno perdonare, ma, siccome non appaiono in Tv, è come se non esistessero. In tutti i modi, non c’è dubbio che perdonare di cuore sia realmente difficile, e che richieda una forza superiore che viene dallo stesso Dio. Forse per questo può essere utile parlare delle forme del perdono, forme che manifestano il perdono in diverso grado: tacere davanti a un impulso d’ira, rivolgere gentilmente la parola a chi mi ha offeso in qualcosa, rispettare chi mi ha insultato senza ripagarlo con la stessa moneta, perdonare sinceramente anche se si richiede l’intervento della giustizia, dare la mano o perfino un abbraccio a chi si avvicina chiedendo scusa, lottare per non cadere nelle grinfie della vendetta, avvicinarmi a salutare la persona che si è comportata con me in modo indegno o mi ha ingiuriato, essere convinto che a volte l’offesa non era in nessun modo nell’intenzione della persona, sopportare con calma a pazienza le piccole offese di ogni giorno...

 

 

 

 

 

 

Domenica XXV del TEMPO ORDINARIO 19 Settembre1999

Prima: Is 55, 6-9; Seconda: Fil 1,20-24; 27a; Vangelo: Mt 20, 1-6a

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

 

"Cammino" è una parola molto frequente nella Bibbia, ed è presente esplicitamente o in modo implicito nella liturgia di questa domenica. Innanzitutto, il cammino dell’uomo: "Mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo" (Mt 20, 11-12). Poi, il cammino di Dio: "Amico, io non ti faccio torto. Prendi il tuo e vattene. Se io voglio dare anche quest’ultimo quanto a te, non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure sei invidioso perché sono buono? (Mt 20 13-14). Per questo, nella prima lettura leggiamo: "I miei pensieri non sono i vostri pensieri; le vostre vie non sono le mie vie" (Is 55, 8). Infine, il cammino del cristiano ce lo indica Paolo con la sua vita: "Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d’altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne" (Fil 1,23). Il cammino del cristiano è quello della volontà di Dio, così come questa si manifesta nel tempo.

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Il cammino dell’uomo. Noi uomini siamo abituati a pensare le nostre relazioni con gli altri in termini di contratto e di giustizia commutativa. Certamente, ciò succede nelle relazioni professionali, nelle quali il lavoratore scambia, mediante un contratto con il padrone, mano d’opera con salario, e viceversa. Non sono libere da questa mentalità le relazioni con le istituzioni pubbliche o private, e nemmeno le stesse relazioni familiari: tra coniugi, tra padri e figli. L’uomo, con questa mentalità, applica queste stesse categorie alle sue relazioni con Dio. Relazioni di contratto, di merito, di giustizia! Di fronte a questa situazione, Dio, nella liturgia di oggi, dice all’uomo che si ritiene giusto: "Stai sbagliando. Le mie relazioni con l’uomo non sono quelle di un padrone, nè le relazioni dell’uomo con me sono quelle di un salariato". Non è che Dio non sia giusto, è che va al di là della giustizia: "Quanto dista il cielo dalla terra, così le mie vie sono lontane dalle vostre, i miei pensieri dai vostri pensieri" (Is 55,9). Si tratta di relazioni nelle quali imperano la libertà dell’amore e la bontà di cuore. L’uomo ‘giusto’ resta sconcertato davanti a questo modo di agire divino, e sente il germe dell’invidia. Ciò significa che non è entrato nel cammino di Dio, cammino di libertà e di bontà di Padre. Dovrà cambiare mentalità, per passare dallo stato di ‘giusto’ a quello di giustificato.

Il cammino di Dio. "Giusto" è certamente uno dei nomi di Dio, ma non è il cammino scelto da Dio nelle sue relazioni con l’uomo della storia. Ancor più, la rivelazione ci parla della "giustizia di Dio", tuttavia non in termini commutativi, ma salvifici; Dio è giusto in quanto ci giustifica, ci salva dai nostri peccati, ci redime mediante suo Figlio. La sua giustizia altera la nostra, perchè è impregnata di amore e di bontà. Quanto lontano la giustizia di Dio dalla mera giustizia contrattuale! Per questo, la frase finale del testo evangelico è inquietante per gli uni, consolatrice per gli altri: "Gli ultimi saranno i primi, e i primi, ultimi". Quelli che cercano giustizia commutativa nelle loro relazioni con Dio occuperanno l’ultimo posto nel Regno di Dio, mentre quelli che lasciano agire nelle loro vite la giustizia salvifica, occuperanno il primo posto. Questo sono i cammini di Dio, tanto distanti e distinti dai nostri!

Il cammino del cristiano. Paolo è simbolo e figura di un uomo conquistato da Cristo, di un cristiano autentico. Come Gesù Cristo, Paolo ha fatto della volontà di Dio il cammino della sua esistenza. Per questo, non ha "cammini personali", piuttosto lascia che Dio gli manifesti la sua volontà mediante gli avvenimenti di ogni giorno. Per piacere, vorrebbe morire per stare con Cristo; per missione, si sente chiamato a continuare nella vita per predicare il Vangelo. Non sceglie. Lascia che Dio gli mostri la sua strada, qualunque cosa accada, ed è disposto a realizzarla con prontezza e gioia. Un cristiano non ha "cammino proprio": è Dio che gli va aprendo, giorno dopo giorno, il cammino.

 

 

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Il nostro concetto di Dio. Per ‘aggiustare’ le nostre relazioni con Dio, si deve ‘aggiustare’ innanzitutto la nostra intelligenza. Perchè è evidente che l’uomo si mette in relazione con un altro uomo o con Dio secondo l’idea che si sia formata del suo interlocutore. I nomi e gli attributi di Dio sono molteplici, ma in mezzo alla molteplicità ce n’è sempre qualcuno che ha più peso e al quale diamo più risalto. In concreto: nel mio concetto di Dio, quale attributo è quello che ha maggior peso? Nella mia predicazione e nel mio ministero pastorale, quale nome di Dio è quello che più sottolineo? Quando medito o faccio orazione, quale è l’immagine di Dio che ho più presente? Di fronte ai miei peccati e a quelli dei miei fratelli, quale rappresentazione di Dio mi viene più spontaneamente alla mente? Abbonda tra i nostri fedeli l’immagine di Dio padrone? Cosa posso fare per trasmettere a tutti i parrocchiani o ai membri della mia comunità un’immagine più evangelica di Dio?

La nostra relazione con Dio. Essere cristiano significa, in modo molto speciale, vivere come Cristo la nostra relazione con Dio. Gesù Cristo si rivolge a Dio con un unico nome: ‘Abba’, cioè, ‘papà’. Per Gesù, Dio è onnipotente, giusto, santo..., ma quando parla con Lui non sceglie nessuno di questi nomi. Dio è il suo ‘papà’, ed egli è un bambino piccolo, il suo figlio prediletto. Paolo, sia nella lettera ai romani (8,15) come in quella ai galati (4,6) , insisterà sul fatto che è questo il modo in cui noi cristiani dobbiamo trattare Dio. Questo modo di comportarci con Dio non è spontaneo, non è nemmeno frutto di una speculazione sulla relazione più giusta dell’uomo con Dio; è innanzitutto rivelazione da parte del Figlio, Gesù Cristo, e poi appropriazione vitale per opera dello Spirito, il Maestro interiore che ci insegna a dire ‘papà’.

Domenica XXVI del TEMPO ORDINARIO 26 Settembre1999

Prima : Ez 18, 25-28; seconda: Fil 2, 1-11; Vangelo: 21, 28-32

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

 

La coscienza della responsabilità personale è il tema predominante nell’attuale liturgia. Agli esuli che accusano Dio di ingiustizia perchè si comporta in modo diseguale con l’uomo giusto che commette una malvagità e con il malvagio che si comporta rettamente, Dio dice: "Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia per commettere l’iniquità, e a causa di questa muore, egli muore appunto per l’iniquità che ha commesso. E se l’ingiusto desiste dall’ingiustizia che ha commesso e agisce con giustizia e rettitudine, egli fa vivere se stesso". Sia l’uno che l’altro sono responsabili delle loro opere. La vera responsabilità personale, ci insegna Gesù nel Vangelo, si manifesta non tanto nel dire, quanto nel fare, come risulta chiaro dalla parabola. San Paolo pone, davanti agli occhi dei Filippesi, come esempio di responsabilità e coerenza, Gesù Cristo: "il sì di Cristo è un sì operativo, incarnato nelle opere per realizzare la redenzione (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

La responsabilità di cui si parla nei testi liturgici non ha per oggetto i compiti e i doveri della convivenza umana; ha per oggetto, piuttosto, le relazioni dell’uomo con Dio. In tali relazioni, persona responsabile è quella che si converte e crede. In questo senso, gli esuli di Babilonia non si comportano responsabilmente quando, invece di convertirsi a Dio, si lamentano di Lui e lo accusano di un agire ingiusto (prima lettura). E non agirono in modo responsabile nemmeno i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo (le autorità politico-religiose di Israele), poiché venne Giovanni a mostrare loro il cammino della salvezza e non gli credettero né si convertirono. Invece, i pubblicani e le prostitute, benché avessero un passato di malvagità e peccato, risposero alla predicazione di Giovanni con pentimento e con fede. Agli occhi di Dio non conta il passato, anche se è importante e merita considerazione, ma il presente: il sì responsabile nell’oggi di ogni giorno.

La responsabilità si misura tramite le opere del presente. Dio, mediante il profeta Ezechiele, non ci permette di dubitarne: "Se l’uomo onorato si allontana dalla sua onorabilità, commette il male e muore, muore per il male che ha commesso" (Ez 18,26). Gesù Cristo lo chiarisce con la parabola dei due figli. Il primo figlio, che rappresenta i sommi sacerdoti e gli anziani, ha una storia di condotta impeccabile, ma, adesso che Dio gli fa una chiamata nuova alla conversione e alla fede per trovare la salvezza, dice "sì" a parole e "no" con le opere. La sua responsabilità passata non gli vale, poiché è svanita, e adesso il suo comportamento è irresponsabile. Il secondo figlio, figura dei pubblicani e delle prostitute, ha vissuto in modo irresponsabile la sua relazione con Dio nel passato, ma, benché fino ad ora abbia detto "no" con le sue parole, con le sue opere di conversione ha cominciato a rispondere "sì" a Dio. La sua irresponsabilità passata è stata lavata e purificata dalla sua responsabilità presente.

La seconda lettura supera l’incoerenza tra passato e presente, tra "sì" e "no", mostrandoci in Gesù Cristo un esempio di totale coerenza e responsabilità davanti a Dio, suo Padre. Il passato di Cristo non differisce dal suo atteggiamento presente, né il "sì" delle parole è diverso dal sì delle opere. Per questo motivo, San Paolo ci esorta ad "Avere gli stessi sentimenti e comportamenti che corrispondono a Cristo Gesù". Egli non giocò con il "sì" e con il "no", ma la sua vita fu unicamente un sì. Egli non giocò alla libertà tra passato e presente, ma ogni giorno la volontà del Padre era il suo alimento, la forza e il sostegno delle sue attività.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Storia interiore di una parrocchia. La parrocchia si compone di cristiani autentici che hanno vissuto e continuano a vivere l’atteggiamento di fede e di conversione permanenti. Magnifico, che siano molti! Ci sono probabilmente anche cristiani "vecchi", che sono cristiani per tradizione ed eredità, più che per convinzione personale, che danno un "sì" alla liturgia e un "no" a certe esigenze della morale cristiana; o, viceversa, un "sì" a certi valori morali e un "no" all’esercizio della fede. Quanti sono questi "vecchi" cristiani nella parrocchia? Non mancano coloro che sono stati religiosamente freddi, sono appartenuti ad un’altra religione, sono stati perfino laicisti e atei, ma si sono convertiti e adesso cercano di essere ferventi cristiani. Sono molti coloro che appartengono a questo gruppo? E ci sono, molto probabilmente, coloro che hanno detto e continuano a dire "no" alla fede e alla conversione interiore, con le parole e con le opere. Ho fatto una descrizione elementare, ma abbastanza reale, di una parrocchia. Che posso fare io, parroco, vicario parrocchiale, religioso o religiosa, di fronte a questa realtà? Fa’ tutto ciò che lo Spirito di Dio ti ispiri e lascia fare agli altri ciò che lo stesso Spirito gli sta chiedendo, e mantieni sempre una speranza molto viva.

Necessità di testimoni. Noi uomini siamo così: le cose, anche le più nobili e spirituali, penetrano in noi dai sensi. Ad essere responsabili apprendiamo vedendo il modo responsabile di comportarsi di altre persone, a rimanere in un atteggiamento responsabile ci aiuta e ci spinge l’esempio degli altri. Paolo VI diceva che nella Chiesa più necessari che i predicatori sono i testimoni. Ecco un bel compito da portare a compimento nel nostro incarico o ufficio pastorale! Dobbiamo avere il desiderio di essere noi stessi testimoni e lavorare per questo, dobbiamo interessarci attivamente per formare testimoni convinti, per creare tra i cristiani la coscienza che essere cristiano ed essere testimone sono una stessa cosa. Con un gruppo di testimoni è grande il bene che si può fare in una parrocchia, in una comunità, in una diocesi. Essere testimoni di Cristo è un modo stupendo di realizzare la nuova evangelizzazione.

 

 

 

 

Domenica XVII del TEMPO ORDINARIO 3 ottobre 1999

Prima: Is 5, 1-7; Seconda: Fil 4, 6-9 Vangelo: Mt 21, 33-43

 

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Il tema della coerenza/incoerenza serve da agglutinante dei testi di questa domenica. Essere ciò che si è ed agire secondo la propria natura. La vigna, per essere veramente tale, deve produrre uva buona, e non grappoli acerbi (prima lettura). Colui che ha preso in affitto una terra dal suo padrone, deve agire come affittuario che paga al tempo dovuto quanto stipulato col proprietario (vangelo). Chi agisce così in modo stabile e costante, vive nella pace di Dio, che supera qualsiasi ragionamento (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Dio è coerente e fedele con l’uomo e col suo popolo Israele, fin dalle sue origini e nel lungo tragitto della storia di salvezza. Perché Israele – e la Chiesa –, un popolo tanto privilegiato da Dio, non corrisponde con la stessa coerenza? Dio confida nell’uomo e nel suo popolo, e, nell’estremo della sua coerenza, manda loro il suo proprio Figlio, sperando che gli uomini lo riconoscano, lo rispettino e gli obbediscano. Ma gli uomini, al contrario, approfittano dell’occasione per ucciderlo. Perché? Come è possibile tale grado di incoerenza, o di perversità e malizia? Che cosa racchiude l’uomo nel suo cuore, per agire in una maniera tanto indegna, tanto ingrata? Il cuore dell’uomo è un abisso, ci dice uno dei salmi. Sì, un abisso possibile di grandezza e coerenza, ma anche di malvagità. Ricordiamo che ogni peccato grave è in un certa maniera un crimine contro lo stesso Figlio di Dio.

Cristiano, sii cristiano, opera da cristiano. L’uomo, Dio lo ha creato perché sia pienamente uomo, secondo ciò che deve essere; il cristiano, Dio lo ha reso tale mediante il battesimo, perché sia cristiano, perché agisca come cristiano. Quali sono i modi propri dell’agire cristiano?

a) Il cristiano sarà ciò che deve essere, se dà frutti buoni, come la vite che dà un vino squisito (prima lettura). Frutti di giudizio e di discernimento alla luce della storia della salvezza, e frutti di giustizia, cioè, di chi è stato giustificato e salvato dalla grazia redentrice di Cristo.

b) Il cristiano sarà ciò che è, se, come affittuario, dà al padrone ciò che gli spetta secondo quanto stabilito (vangelo), secondo il patto di alleanza stipulato tra Dio e il suo popolo, tra Dio e il battezzato. Siamo affittuari, non crediamoci padroni. Siamo affittuari, facciamo fruttificare la terra della nostra esistenza. Siamo affittuari, ringraziamo il Signore per la sua benevolenza nei nostri confronti e mostriamo la nostra gratitudine dandogli ciò che gli è dovuto.

c) Coerenza e pace. Paolo riconosce se stesso coerente e fedele per la grazia del Signore Gesù, per questo dice ai filippesi: "Praticate allo stesso modo ciò che avete appreso e ricevuto, ciò che avete udito e visto in me". Come risultato di questa vita coerente, "il Dio della pace sarà con voi" (seconda lettura). È la pace di chi in qualsiasi occasione presenta i suoi desideri a Dio pregando, supplicando e rendendo grazie; è la pace di chi prende in considerazione tutto ciò che c’è di vero, di nobile, di giusto, di puro, di amabile, di lodevole, di virtuoso e di encomiabile nel mondo e nell’ambiente in cui vive (seconda lettura).

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

La difficile coerenza del cristiano. Senza cadere in esagerazioni, conviene rilevare che nella società attuale è più difficile essere veramente cristiani di quanto non lo fosse nei tempi passati, perché nell’attuale società si trova spesso non poca indifferenza e perfino disprezzo per la fede cristiana.

a) È difficile confessare la fede integra in Cristo, vero Dio e vero uomo; la fede nella Chiesa, umana e divina allo stesso tempo, istituzionale e carismatica, santa e costituita da uomini peccatori; la fede nella dottrina morale cattolica, con tutte le implicazioni ed esigenze che ciò comporta nel campo sociale, nei campi della vita e della sessualità, nel campo familiare e professionale.

b) È difficile vivere e decidere cristianamente qualcosa di tanto importante come può essere a chi dare il voto nelle elezioni amministrative comunali e regionali o nelle elezioni politiche generali, come può essere sposarsi con questo o questa giovane che non sono praticanti o non sono cattolici, come può essere il fare o no un affare "sporco" che va contro i propri principi morali…

La coerenza è fonte di pace nella coscienza, mentre l’incoerenza lo è di agitazione. Quando un uomo vive coerentemente, sente la soddisfazione del dovere compiuto; con l’incoerenza, la coscienza rimugina rimorsi giorno dopo giorno, mentre la coerenza porta la serenità alla coscienza. Quando non c’è coerenza, non poche volte si fanno male le cose, senza molta voglia, e, inoltre, soltanto per compiere una pratica. Senza coerenza, la vita di una persona cessa di essere una storia, e nel caso del cristiano, una storia sacra, e si trasforma in una somma di episodi sciolti, senza connessione né midollo, e non poche volte senza senso. Con coerenza, sia con la propria umanità sia con la fede cristiana, l’uomo vive in uno stato di grande equanimità, di stabilità psichica e spirituale, e soprattutto di pace con Dio e con la propria coscienza.

 

 

Domenica XXVIII del TEMPO ORDINARIO 10 ottobre 1999

Prima: Is 25, 6-10; Seconda: Fil 4, 12-14; Vangelo: Mt 22, 1-14

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Il concetto che predomina nella liturgia di oggi è quello del cambiamento, della trasformazione. Cambiamento, in primo luogo, da una sorte disgraziata, nella quale viveva il popolo di Israele, a una sorte di felicità e gioia, simboleggiata nella festa sul monte Sion, al quale avrebbero partecipato tutte le nazioni (prima lettura). Cambiamento, dai compiti quotidiani e di routine con cui si condisce abitualmente l’esistenza, alla condizione eccezionale di invitati del re al banchetto di nozze di suo figlio (vangelo). Chi è così disposto a lasciarsi cambiare dall’azione stessa di Dio, può dire come san Paolo: "Tutto posso in colui che mi dà forza" (seconda lettura).

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

 

L’uomo, per condizione naturale, è un essere in divenire, in costante trasformazione. Senza che cessi di essere se stesso, il suo corpo e il suo spirito si trasformano per mezzo dell’ambiente in cui trascorre l’esistenza, dell’educazione che riceve, soprattutto nell’infanzia e nella gioventù, delle circostanze vitali che lo circondano e che danno un’impronta alla sua personalità, degli avvenimenti storici che incidono sul suo dinamismo spirituale. Ma non è soltanto un soggetto passivo, sottomesso ad influenze esterne, è anche soggetto attivo che con la sua azione e le sue decisioni influisce sulle persone e sull’ambiente che lo circonda. Ogni uomo, anche se il grado può variare, cambia ed è cambiato, influisce sulle persone e le realtà circostanti, e ne subisce a sua volta influenza. Ciò che importa è che tutto venga indirizzato al bene dell’uomo e della società.

Anche il cristiano è un essere in divenire, in trasformazione permanente. Essendo identico nella sua fede alle origini del Vangelo e del cristianesimo, si trasforma al contatto con realtà nuove che dovrà leggere alla luce del Vangelo, con culture che implicano il compito di innestare in esse la fede cristiana, con situazioni e sfide nuove (pensiamo all’Europa dell’Est e ai problemi della biogenetica), che esigono una risposta coerente con la fede e la morale cristiane. Questa trasformazione non è autonoma né totale, ma deve andare al ritmo di Dio nella storia, e realizzarsi tanto quanto lo Spirito Santo ispiri alla Chiesa e alla propria coscienza. È ben risaputo che sia l’eccessiva lentezza, sia l’accelerazione affrettata nell’azione di trasformazione terminano male, e di solito arrecano molto danno alla comunità dei credenti.

Chi non accetta il gioco tra l’identità e il cambiamento, tra l’identità e l’adattamento, si anchilosa per eccessiva inerzia o per mancanza di dinamismo nella fede, e finisce col morire con le armi in mano, ma senza poter entrare nella battaglia, e, ciò che è peggio, lottando con dei fucili contro chi conta sui armi elettroniche molto sofisticate. Coloro che rifiutano quel gioco per giustificazioni realmente futili, per quanto ragionevoli ad essi possano sembrare, non entreranno nel banchetto di nozze, resteranno al margine del grande piano di Dio nella storia, e della grande opera della redenzione.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Né progressista né conservatore, ma semplicemente cristiano. Nel suo stesso essere conserva la sua identità, ma è sempre aperto al progresso. Non è esclusivista né in difesa dell’identità a scapito del cambiamento, né in difesa del cambiamento a danno dell’identità. Non rinuncia a nessuna delle due cose, e con questo ciò che fa è camminare al passo della Chiesa.

Si deve essere disposti a progredire sempre e in tutto, ma mantenendo fedelmente ciò che è irrinunciabile per la fede e la morale cristiane. Si deve cercare di conservare, sì, ma senza confondere lamentevolmente la conservazione con l’immobilismo; per esempio, nella liturgia, nella moralità pubblica, nelle relazioni interpersonali all’interno della famiglia. Conservare, sì, ma senza cadere nella cecità di dire che tutto è essenziale, fondamentale, che non c’è nulla che non possa, che non debba essere lasciato cadere, perdersi (si pensi, ad esempio, al caso di Mons. Lefevre e del fondamentalismo biblico…) Lo stesso Spirito Santo spinge la Chiesa e i cristiani alle due azioni: alla conservazione e al progresso, a cercare l’equilibrio tra i due, senza cadere negli estremi, che non sono mai stati buoni.

Necessità di una guida. Come istituzione di salvezza, la Chiesa ha la missione di guidarci nella storia per conservare ciò che si deve conservare e per progredire in ciò in cui si deve progredire. Non è pertanto un progresso lasciato nelle mani di ciascuno e secondo la propria iniziativa, come neppure una conservazione ad uso particolare del consumatore. C’è un’autorità, ci sono dei pastori, che guidano tutti i cristiani nel discernimento e nella realizzazione all’interno del campo della fede e della morale. Sono necessari. Sono nella grande maggioranza uomini santi. Dobbiamo obbedire loro, seguirne con docilità il magistero e i consigli. Dobbiamo anche cooperare, se è il caso, manifestando con rispetto ai nostri pastori la nostra opinione e perfino la nostra critica costruttiva… Se Dio ci invita al banchetto nuziale, non inventiamo scuse per non esser presenti e non partecipare alla comune allegria.

 

 

 

Domenica XXIX del TEMPO ORDINARIO 17 ottobre 1999

Prima: Is 45, 1.4-6; Seconda: 1Tes 1, 1-5 Vangelo: Mt 22, 15-21

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Dio è il Signore degli imperi e della storia. Ciro regna sull’immenso impero (prima lettura), ma Dio regna sopra Ciro e lo costituisce provvidenzialmente suo mediatore nei suoi disegni sulla storia. A Dio ciò che è di Dio, ci insegna il vangelo, ed ai re e cesari ciò che ad essi appartiene. A Dio, il disegno e il fine della storia; ad essi, l’azione e la marcia in avanti della storia. Non c’è dubbio che è la potenza di Dio e del suo Spirito ad essere misteriosamente presente nelle vicissitudini della trama storica (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Non ci sono due storie, una profana e un’altra sacra, ma un’unica storia: quella di Dio. Egli l’ha iniziata, la continua nel tempo e la terminerà quando lo avrà disposto. Gli uomini sono le parole, ma la storia, con tali parole, la scrive soltanto Dio. Negli avvenimenti di ogni giorno, nelle vicissitudini tra i popoli e le nazioni, nei cambiamenti politici o sociali… ci sono, sì, degli agenti umani, imprescindibili, ma c’è soprattutto un disegno superiore, divino, anche se non siamo capaci di percepirlo. Per vedere, in effetti, si richiede la scienza di Dio, la sapienza che scruta le profondità dello stesso Dio. Per vedere, si chiedono anche atteggiamenti di preghiera e di speranza, perché gli uomini collaborino e si prestino gioiosi a realizzare il disegno divino. A volte può sembrare che la storia sfugga loro di mano, ma non è così. Dio lo permette, nei suoi imperscrutabili disegni, per farci vedere che è una strada sbagliata, per far veder qual è la via per costruire la storia secondo Dio. In realtà, né Dio è alla mercé degli uomini, né gli uomini sono marionette di Dio. Questo è un grande mistero!

Storie e Storia. Sotto il concetto generale di storia vengono ospitati molti oggetti: la storia politica, religiosa, economica, sociale, nazionale, continentale, universale… Tutte e ciascuna di esse sono pezzi con cui Dio, aiutato dagli uomini, va costruendo l’unica storia: la storia della salvezza, che si intreccia con le altre storie e cerca di infondere in esse un alito spirituale, senza identificarsi con nessuna. Sì, perché Dio vuole che tutti gli uomini si salvino. Perciò, il potere di Dio e la presenza dello Spirito negli uomini e nelle loro azioni e progetti, trasformano le piccole storie nella storia, al di sopra di qualsiasi forma storica: la storia che sbocca nell’eternità, al di là della storia stessa. Gli uomini fanno la storia, Dio la realizza. Gli uomini vivono la storia, Dio dà significato alla stessa, significato occulto nel libro sigillato… "A Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio".

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

La provvidenza divina. La storia umana non procede alla cieca, senza rotta e alla deriva. Il termine della storia e il suo destino sono nelle mani di Dio. "Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?" (Mt 6,26). Dobbiamo essere certi e convinti di questa azione provvidenziale di Dio nella grande storia dell’umanità e nella piccola storia di ogni essere umano; certamente, l’uomo non è una marionetta, ma non è nemmeno il padrone della storia, ne è semplicemente il gestore e come tale deve comportarsi. Dobbiamo avere anche il senso della provvidenza in tutto, indipendentemente dalle sue caratteristiche. Come Giobbe, dobbiamo dire: "Il Signore me lo ha dato, il Signore me lo ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!" (Gb 1, 21-22). Non dimentichiamo mai che tutto ciò che accade e che ci accade, è per il bene dell’uomo, poiché Dio sa trarre il bene perfino dagli stessi mali, e per quelli che amano Dio tutte le cose contribuiscono al bene.

Senso di responsabilità di fronte alla storia della salvezza. Nessuno è neutrale nel piano di Dio, nessuno è esentato dallo svolgere il proprio ruolo nella storia. O si costruisce, o si distrugge. È impossibile non allinearsi davanti al grande spartiacque della storia. Ricordiamo che, nell’ora suprema, si dovrà rendere conto del lavoro svolto, tanto nella storia personale quanto nella storia della comunità in cui abbiamo vissuto.

L’obiezione: "Siccome Dio dirige tutto al bene, non importa il male che io farò", è una obiezione meschina. Il male mai cesserà di essere tale davanti a noi e davanti a Dio, per quanto Dio nella sua bontà e potere giunga ad ottenere del bene dal male. Dio dirige la storia, ma non supplisce alla nostra meschinità e pochezza umane. Il senso della provvidenza non sminuisce, piuttosto dà l’esatta misura della responsabilità davanti a Dio, che si mostra con tanta liberalità nei confronti degli uomini. È necessario, in questo tema, formare la coscienza dei cristiani nella rettitudine e nella fedeltà. Coscienza retta per conoscere bene la volontà di Dio; coscienza fedele per agire in conformità con la stessa.

 

 

 

Domenica XXX del TEMPO ORDINARIO 24 ottobre 1999

Prima : Es 22, 21-27; Seconda: 1Tes 1,5-10 Vangelo: Mt 22, 34-40

 

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Nell’amore per Dio e il prossimo si riassume il messaggio di questa domenica trentesima. Nella prima lettura è formulato negativamente: "Non maltrattare la vedova e l’orfano… Non ti comportare con il povero come un usuraio... Non bestemmiare contro Dio…". Il testo evangelico ci offre la formulazione positiva: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore… Amerai il prossimo come te stesso". Nella prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi si raccoglie il medesimo principio in forma negativa: abbandono dell’idolatria, e in forma positiva: sequela dell’esempio di Cristo e dello stesso Paolo, essendo egli modello per tutti i credenti di Macedonia e di Acaia.

 

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

La morale dell’Alleanza. Il testo della prima lettura fa parte del codice dell’Alleanza di Javeh con Israele (Es 20,22-23,19), ed enumera alcune delle stipulazioni del patto in cui Dio appare come protettore dei più abbandonati dalla società del tempo. Le stipulazioni sono contenute nel Decalogo: amore a Dio, la prima tavola (dal 1° al 3° comandamento), e amore al prossimo la seconda (dal 4° al 10° comandamento). Già negli stessi testi legislativi del Pentateuco si raccolgono concrezioni ed applicazioni particolari del Decalogo, per esempio il testo della prima lettura. Con il passare dei secoli, si vennero accumulando nella tradizione di Israele molti altri precetti, fino al numero di 623, al fine di salvaguardare nel miglior modo possibile il compimento della legge, fin nei minimi dettagli. Al tempo di Gesù i diversi gruppi e scuole farisaiche discutevano sulla possibilità di ridurre tutti i precetti ad uno solo. Con Gesù Cristo, con cui inizia il nuovo patto tra Dio e il suo nuovo popolo, la Chiesa, tutti i precetti si sintetizzano in uno solo, compendio di tutta la rivelazione divina: "amerai Dio… e amerai il prossimo". Chi non ama Dio né il suo prossimo, semplicemente infrange la morale della Nuova Alleanza.

L’opzione fondamentale. Ogni uomo, giungendo all’età piena del discernimento e delle decisioni, fa, implicitamente o esplicitamente, un’opzione fondamentale per Dio, per il prossimo, per i valori umani e cristiani, ecc., o per i loro contrari. L’opzione fondamentale dell’uomo, e particolarmente del cristiano, non può essere altra che l’opzione per l’amore e dall’amore, in quanto quest’ultimo dovrà essere il timone di tutta la sua vita. L’opzione fondamentale dirige ed orienta tutte le azioni della vita, crea un aspetto, uno stile di essere e di vivere, segna l’esistenza. L’opzione fondamentale infonde unità all’essere e all’operare, ed infonde allo stesso modo pace. L’opzione fondamentale subordina tutto al suo oggetto, cioè, per un cristiano, subordina tutto all’amore nel suo doppio versante, divino e fraterno. L’opzione fondamentale, per sua stessa natura, lascia al margine altre opzioni possibili, o, almeno, dà loro un posto secondario e ausiliare, al servizio dell’opzione fondamentale stessa. Esigenze dell’amore. L’amore, come opzione fondamentale del cristiano, porta con sé delle esigenze. Alcune sono negative: non bestemmiare, abbandonare l’idolatria, non trascurare l’attenzione ai bisognosi, non rubare al fratello mediante l’usura. Quali potrebbero essere le esigenze negative nella società attuale, nell’ambiente sociale e culturale della tua vita? Le esigenze positive sono chiare: amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente; amare il prossimo come te stesso.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

Dare una base religiosa alla moralità. In una società in cui molto spesso la base della moralità è il consenso democratico o la legislazione vigente, è urgente che la vita morale del cristiano scaturisca dalla sua vita di fede: una fede viva, integrale, operativa, che influisca sulle idee e sui comportamenti sia privati che pubblici. Senza questo fondamento, la morale traballa e corre il rischio di crollare davanti agli attacchi esterni e alle sollecitazioni interne all’uomo. Cristiano! Agisci, comportati come cristiano, secondo il decalogo e il vangelo dell’amore: l’amore di benevolenza, generoso e disinteressato, che cerca soltanto il bene della persona che si ama. Cristiano! I tuoi comportamenti debbono derivare dalla tua alleanza con Dio nel battesimo, nella cresima, nel sacramento del matrimonio, sotto la testimonianza della Chiesa, che è allo stesso tempo promotrice e garante di detta alleanza. Opzione nella vita per l’amore. Qualsiasi altra opzione, o è sbagliata o è parziale. Quali sono oggigiorno i modi per optare per l’amore di Dio? Il catechismo della Chiesa cattolica indica, tra gli altri: la preghiera, l’adorazione, la lode, la partecipazione gioiosa alla celebrazione eucaristica domenicale e festiva, l’esercizio abituale e semplice delle virtù teologali nella vita quotidiana; aggiunge inoltre l’evitare la superstizione, l’idolatria, la magia, qualsiasi forma di irreligiosità e di ateismo, l’agnosticismo, la bestemmia, il sacrilegio, il disprezzo dei sacramenti… E quali sono le forme per manifestare la nostra opzione fondamentale per il prossimo? Anche queste le troviamo nel catechismo della Chiesa. A modo di semplice segnalazione: la pietà, l’obbedienza e la gratitudine verso i genitori; l’educazione dei figli nella fede e nelle virtù; cooperare al bene della società in giustizia, solidarietà e libertà; il rifiuto dell’omicidio volontario, dell’aborto, dell’eutanasia, dello scandalo; il rispetto della salute e dell’integrità corporale tanto proprie come del prossimo; l’opposizione e il rifiuto dei peccati contro il sesto e il nono comandamento: fornicazione, pornografia, prostituzione, violenza, omosessualità, permissività dei costumi, ecc.

 

 

 

Domenica XXXI del TEMPO ORDINARIO 31 ottobre 1999

Prima : Ml 1,14- 2, 2.8-10 Seconda: 1Tes 2, 7-9.13. Vangelo: Mt 23, 1-12

 

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Come debbono comportarsi le autorità del popolo d’Israele e del popolo cristiano? A questa domanda danno risposta i testi liturgici. Il vangelo e la prima lettura avvertono sul comportamento che non si deve tenere: "Voi, sacerdoti, non avete osservato le mie disposizioni e avete usato parzialità riguardo alla legge" (Mal 2,9); "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei… Non imitate il loro esempio, perché dicono e non fanno" (Mt 23, 2-3). Nella seconda lettura si presenta la figura di san Paolo come modello di dirigente della comunità cristiana: "Noi ci comportiamo affabilmente con voi, come una madre che nutre ed ha cura delle proprie creature..." (1 Tes 2,7).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

L’autorità esiste nella comunità cristiana, ed è inoltre necessaria. L’esistenza dell’autorità non si giustifica, nella Chiesa di Cristo, con ragioni sociologiche o politiche, non perché si debba togliere importanza a queste ragioni, ma per rivelazione di Gesù Cristo risorto: "Mi è stata data autorità piena sul cielo e sulla terra. Andate dunque, e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28, 18-19). L’esercizio dell’autorità cambia, di fatto, con i tempi e i luoghi, ma l’origine sarà sempre la stessa: Cristo. La gerarchia ecclesiastica (Vescovo di Roma, altri vescovi, presbiteri, diaconi), che esercita l’autorità nella Chiesa, non è un’invenzione degli uomini, ma un disegno provvidenziale di Dio.

L’autorità è inoltre necessaria per mantenere e consolidare l’unità e la comunione di fede e di vita in tutti i membri della Chiesa. Lo è anche per ottenere maggiore efficacia nel ministero della predicazione, nel culto del divino e in quello di guida spirituale dei fratelli, evitando qualsiasi manipolazione del messaggio e del culto cristiani. È necessaria per rendere presente Cristo in mezzo alla comunità per mezzo dei sacramenti, perché, con sant’Agostino, possiamo dire: quando il sacerdote battezza, è Cristo che battezza, e così con gli altri sacramenti della Chiesa.

L’abuso dell’autorità. La prima lettura avverte riguardo alcuni abusi dei sacerdoti, incaricati del culto nel tempio; nel vangelo, su quelli dei farisei, incaricati dell’educazione e dell’insegnamento del popolo. Come si potrebbero tradurre oggi tali abusi segnalati nella Scrittura? Ecco, a modo di esempio, alcune ‘traduzioni’: sostituiscono nella predicazione, non poche volte, la Parola di Dio con la psicologia e la sociologia; danno cattiva testimonianza di vita ai loro fedeli; si mostrano incoerenti tra quello che dicono e quello che poi fanno; sono forse elitari, lavorando con gruppuscoli scelti, e lasciando il resto alla deriva e senza assistenza religiosa; cercano la lode degli uomini e l’essere ritenuti simpatici e intelligenti, ecc.

L’autorità come servizio all’uomo e al credente. "Il maggiore tra di voi sarà quello che servirà gli altri " (vangelo). Un servizio che nasce dall’amore al prossimo, e un servizio che si esercita dall’amore più sincero ed autentico. Per questo, amare e servire debbono andare insieme e completarsi: né amore senza servizio, né servizio senza amore. Per quanto riguarda le forme concrete del servizio dell’autorità, alcune sono già stabilite dalla Chiesa; altre, Dio stesso ce le andrà ispirando durante le giornate, purché nel nostro cuore sacerdotale sia radicato l’atteggiamento di donazione e di servizio.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Esaminare la nostra coscienza sul modo in cui esercitiamo la nostra autorità nella Chiesa. Vediamo se realmente siamo convinti che l’autorità non indichi superiorità, ma vocazione divina a donare se stessi agli altri. Consideriamo se nell’attuare la nostra autorità non escludiamo la collaborazione e la partecipazione, che non si oppongono assolutamente all’autorità, ma che la esigono e la integrano. L’autorità, intesa cristianamente, non confronta, ma convoca e crea comunità; non allontana, ma avvicina i fedeli; non impone, ma propone e rispetta la libertà del credente; non intimorisce, ma dà fiducia; non manipola né si lascia manipolare, ma obbedisce ad una istanza superiore, che è Dio stesso. Questo modo di esercitare l’autorità richiede da noi un alto grado di umiltà (coscienza della nostra piccolezza) e una fede grande, viva e generosa. D’altra parte, l’esercizio dell’autorità cristiana non si improvvisa né sgorga naturalmente, ma reclama da noi uno sforzo ascetico e un lavoro assiduo, fino ad ottenere e a formare un comportamento abituale.

Rispetto dell’autorità ed accettazione da parte dei fedeli. I fedeli cristiani debbono essere rispettosi con chi è investito di autorità: con la sua persona e il suo modo d’essere, le sue azioni e decisioni nel ministero pastorale. Debbono anche accettare con spirito sovrannaturale i suoi insegnamenti nel campo della fede e della morale, poiché non insegna nulla di proprio, ma la fede e la morale della Chiesa. Motivo di questo rispetto non può essere la sua intelligenza e brillantezza, la sua leadership umana, ecc., ma il fatto di rappresentare Cristo e di renderlo presente tra gli uomini. Per questo, è una grandissima verità che il primo nel rispettarsi deve essere egli stesso, cercando di essere il meno indegno possibile di Gesù Cristo, che rappresenta tra i fratelli di fede.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Solennità di TUTTI i SANTI 1° novembre 1999

Prima : Ap 7, 2-4. 9-14; Seconda: 1Gv 3, 1-3 Vangelo: Mt 5, 1-12a

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

 

I santi sono un riflesso del Figlio di Dio; essi vivono sulla terra secondo le beatitudini, praticate da Gesù Cristo ancor prima di essere pronunciate: povertà, mansuetudine, purezza di cuore, amore per la pace, persecuzione, martirio… (vangelo). Il numero dei santi è impossibile da determinare (144.000 è un numero simbolico per indicare una moltitudine immensa), e provengono da tutte le razze e da tutti i popoli (prima lettura). Essendo riflessi del Figlio sulla terra, li aspetta in cielo la pienezza della felicità filiale nella visione di Dio (seconda lettura).

 

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Gesù, maestro delle beatitudini. Nel sermone della montagna, Gesù espresse in formule lapidarie ciò che aveva vissuto e che avrebbe vissuto fino alla morte. Proclama beati i poveri, ed egli non avrà dove posare la testa (Lc 9,58). Beati i mansueti, ed egli definisce se stesso mansueto ed umile di cuore (Mt 11,29). Beati quelli che piangono, ed egli pianse di fronte a Gerusalemme, che uccide i profeti e non riceve coloro che le sono inviati (Lc 19,41). Beati i puri di cuore, e nel suo cuore non si annidò mai il peccato, fino al punto di chiedere: "Chi di voi può convincermi di peccato?" (Gv 8,46). Beati gli operatori di pace, e Gesù è il principe della pace, che entra in Gerusalemme su un asino, come un re pacifico (Mt 21, 1-5), e dice a Pietro: "Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada" (Mt 26,52). Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, ed egli non ha altro alimento che la volontà del Padre (Gv 4,34) e la sua sete non è altra che la redenzione del mondo (Gv 19,28). Beati coloro che soffrono persecuzione per la giustizia, ed egli fu trattato come un criminale e condotto al supplizio della croce (cf Lc 23, 1-25).

I santi, discepoli di Gesù Cristo. Come Cristo e con lui, i santi sono i campioni delle beatitudini. Tra di loro, c’è chi eccelle in modo speciale in alcuna di esse. Così, il campione della beatitudine della povertà è san Francesco di Assisi; il pianto che sarà consolato è santa Monica, la madre di sant’Agostino; il campione della mansuetudine, san Francesco di Sales, che per natura era iracondo e violento; dei puri di cuore, san Luigi Gonzaga; degli operatori di pace, san Bernardino da Siena, che riuscì a riconciliare guelfi e ghibellini; di coloro che hanno fame e sete della giustizia, san Tommaso Moro, che preferì morire giustiziato per fedeltà e giustizia verso Dio; dei perseguitati, tutti i martiri che sparsero il proprio sangue piuttosto che rinnegare la propria fede. Dietro Cristo, nel vivere le beatitudini, si trovano questi santi, e se ne trovano altre migliaia e migliaia, che hanno vissuto con integrità di spirito qualcuna delle beatitudini. Così sono stati considerati degni di essere figli di Dio e di vedere, già su questa terra, qualcosa dello splendore divino, fino a che, dopo la morte, sono entrati nell’eterna visione del mistero di Dio.

Il numero dei santi non si può contare. Il numero di 144 è multiplo di 12, che a sua volta è quattro volte tre, ossia la somma di ciò che non ha misura, che giunge agli estremi dei quattro punti cardinali. Questi santi sono di ogni razza, popolo e cultura, di ogni età, sesso, stato o professione. Gli ultimi papi, ma specialmente Giovanni Paolo II, hanno messo in rilievo questa universalità, beatificando e canonizzando numerosi uomini e donne di fede nei cinque continenti. Numero senza misura, perché in verità santo è ognuno che vive e muore in stato di grazia e in amicizia con Dio.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Conoscere ed ammirare la vita dei santi, soprattutto dei santi che sono onorati dalla Chiesa universale, e dei santi che sono propri del nostro paese o hanno grande risonanza in un insieme di nazioni o in tutto un continente. Essi sono nella storia riflessi vivi della santità e delle virtù di Gesù Cristo; essi, con il loro modo semplice o eroico di praticare le virtù, ci stimolano alla ricerca del bene e della santità, e ci conducono a Gesù Cristo e al Padre. Affinché i fedeli conoscano ed ammirino i santi, potrebbe esser proficuo, nelle feste patronali e nelle memorie dei santi, ricordare brevemente qualche tratto della loro vita, qualcuna delle virtù in cui ognuno di loro eccelse, qualcuno dei loro insegnamenti, che continueranno ad illuminare e ad alimentare il pensiero dei fedeli cristiani. Trarre profitto da questa e da altre occasioni, come la catechesi, per spingere gli adolescenti e i giovani, particolarmente, alla lettura delle vite dei santi, in opuscoli preparati per loro.

Dio vuole che tutti siamo santi secondo la nostra vocazione e le nostre condizioni di vita. Nessuno deve sentirsi escluso, per quanto indegno si consideri. Per questo, Dio non ci chiede niente di straordinario, poiché, se così fosse, soltanto alcuni sarebbero capaci di giungere alla santità. Ci chiede soltanto di vivere, nella semplicità della vita quotidiana, lo spirito delle beatitudini, rendendolo presente in tutto ciò che intraprenderemo ogni giorno. Ci chiede di svolgere onestamente e gioiosamente il nostro lavoro. Ci chiede di vivere felici la nostra vita di famiglia, come padri, sposi, figli, fratelli, nipoti… Ci chiede di dare sempre buon esempio agli altri, in qualsiasi luogo ci troviamo. Ci chiede di aiutare i più bisognosi, perfino quando noi stessi siamo poveri e patiamo delle necessità. Ci chiede di levare il nostro cuore a Dio durante il giorno, per lodarlo, benedirlo, ringraziarlo ed adorarlo.

 

 

 

 

 

 

Commemorazione dei FEDELI DEFUNTI 2 Novembre 1999

Prima : Is 25, 6-9; Seconda: Rom 5, 5-11 Vangelo: Gv 6, 37-40

 

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

 

I testi liturgici fanno riferimento, anche se in modo diverso, alla speranza cristiana. La prima lettura, tratta dalla grande apocalisse di Isaia (Is 24-27), ci dice che Javeh distruggerà per sempre la morte, e che i redenti celebreranno una grande festa (Is 25, 6-7). Nella seconda lettura ci si parla di noi cristiani che "giustificati dal suo sangue, saremo salvati dall’ira " (Rom 5, 10). Infine, Gesù ci dice che "la sua (di Dio) volontà è che io non perda nessuno di coloro che egli mi ha dato, ma che li resusciti nell’ultimo giorno" (Gv 6,39).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

 

Nella fede della Chiesa, la vita, non la morte, è quella che ha l’ultima parola. Per questo, la morte è vista non soltanto come un termine naturale dell’esistenza, ma come inizio di un modo nuovo di vivere in un mondo che ci è sconosciuto, ma nel quale Dio nostro Padre abita. Di contro alla visione materialista dell’essere umano (tutto finisce con la morte; non esiste nulla dopo di essa), per il cristiano la morte è un ponte, una passerella verso l’altra riva della vita, dove si troverà di nuovo con i suoi fratelli nella fede, che lo hanno preceduto nel tempo. Come si dice nella raccomandazione dell’anima: "E, nel lasciare questa vita, ti vengano incontro la Vergine Maria e tutti gli angeli e i santi". La distruzione definitiva della morte avrà luogo con la fine della storia. Con la vittoria sulla morte, Cristo inaugurerà il suo regno di vita senza fine, che è anche regno di verità e di felicità. Soltanto Dio sa come e quando tutto ciò si verificherà, ma la nostra ignoranza del modo e del tempo, non diminuisce minimamente la nostra certezza e fiducia che si realizzerà (cf GS 39, 1-2). "Alla fine dei tempi - ci insegna il catechismo 1042 – il Regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Dopo il giudizio universale, i giusti regneranno per sempre con Cristo, glorificati in corpo ed anima, e lo stesso universo sarà rinnovato".

Immortalità, resurrezione, salvezza. "Ogni uomo, fin dal momento della morte, riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna" (CIC 1022). La resurrezione della "carne", così come la intende la Chiesa, non avviene immediatamente dopo la morte, ma soltanto alla fine dei tempi. Nella morte, il corpo dell’uomo cade nella corruzione, mentre la sua anima va all’incontro con Dio, in attesa di riunirsi col suo corpo glorificato (cf CIC 997). La resurrezione apporta all’immortalità pienezza e totalità, poiché l’anima è l’anima di un essere umano con la sua propria storia, del quale il corpo continua ad essere elemento costitutivo per natura. L’anima non raggiungerà totalità né pienezza fino al momento di riunirsi col suo corpo, nella resurrezione dei morti. Il cristiano, e qualsiasi essere umano, resusciterà per la salvezza o per la condanna, secondo le sue opere: "Tu paghi ciascuno secondo le sue opere" (Sal 62,13). Con parole del catechismo: "Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo" (1023); ma "morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da Lui per una nostra libera scelta" (1033).

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Il culto cristiano ai defunti. Il ricordo e l’affetto dei vivi verso i propri cari defunti è qualcosa che è inscritto nel cuore dell’uomo, ma il culto cristiano dei morti è qualcosa di più. È credere e sperare che sono vivi e che possiamo continuare ad essere spiritualmente uniti ad essi. È confidare nel fatto che un giorno torneremo ad incontrarci nell’eternità, e rinnoveremo ancora il nostro amore e la nostra comunione. È avere la certezza che dal cielo ci accompagnano e intercedono per noi davanti a Dio nelle nostre necessità e tribolazioni della vita. È credere che partecipano già dell’amore e della gloria di Cristo risorto, e che vivono in una stabile e permanente felicità in compagnia dei redenti… Per tutto ciò, celebriamo le esequie cristiane per i defunti, visitiamo ed onoriamo le loro tombe, portiamo loro dei fiori in diverse occasioni dell’anno, facciamo celebrare una messa nell’anniversario della morte… Le forme di espressione cultuale verso i defunti variano molto da paese a paese, da cultura a cultura; l’importante è che, attraverso tali forme, si esprima l’unica e medesima fede della Chiesa.

L’atteggiamento del cristiano di fronte alla malattia grave e alla morte di un uomo, soprattutto degli esseri amati. In mezzo al dolore e alle lacrime per la morte della persona cara, il cristiano si deve mostrare forte nella fede e di grande integrità umana e spirituale. Deve intensificare in questi momenti la sua speranza nella vita eterna e il suo amore al parente malato e a Dio Nostro Signore. Come si può manifestare tale amore? Mediante la presenza e la vicinanza al malato, soprattutto mediante la preghiera umile affinché si faccia la volontà di Dio, per quanto penosa ci risulti. È necessario non aver "paura" di chiamare il sacerdote, quando sia il caso, e chiedergli di assistere spiritualmente il malato, e, se questi lo desidera, di amministrargli il sacramento dell’Unzione degli Infermi. Con la sicurezza che il malato cristiano gradirà questa dimostrazione di amore dei suoi cari. Non si deve neppure aver "paura" di parlare chiaramente al malato delle sue condizioni di salute, della prossimità della sua dipartita da questo mondo. Così l’infermo si preparerà con serenità a ben morire, e potrà coscientemente e liberamente offrire la sua vita a Dio che gli si è dato, e unirsi a Gesù Cristo nel suo dolore e nella sua morte, che soffre e muore sul legno della croce.

 

 

 

 

 

 

 

Domenica XXXII del TEMPO ORDINARIO7 novembre 1999

Prima : Sap 6, 12-16; Seconda: 1Tes 4, 13-18 Vangelo: Mt 25, 1-13

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

 

I testi liturgici ci invitano ad avere un atteggiamento di vigilanza nel mondo per poter giungere felici all’eternità di Dio: "Vigilate, perché non sapete il giorno né l’ora" (vangelo). Questo è l’atteggiamento proprio del saggio, perché "riflettere sulla sapienza è perfezione di saggezza, chi veglia per lei sarà presto senza affanni" (prima lettura). Così potremo concludere la nostra vita in pace, e stare sempre con il Signore (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

La vigilanza è la virtù di coloro che sperano. È proprio delle speranze umane essere attenti, guardare verso l’orizzonte del futuro, ma è più proprio ancora della speranza cristiana. La speranza cristiana si compie sia dentro la storia, sia soprattutto al di là della storia. Dentro la storia, è la speranza nella grazia e misericordia di Dio, è la speranza nel progresso spirituale, è la speranza in una conversione continua e crescente fino alla fine della vita, è la speranza nella fedeltà e santità della Chiesa che non verranno mai meno… Ma, al di là della storia, è la speranza nel possesso di Dio, tanto desiderato nella nostra vita terrena, e infine realizzato. È la speranza della comunione dei santi, che soddisfa in pienezza l’anelito universale dell’amore fraterno, che comprende adesso tutti i tempi e tutti gli spazi. È la speranza nella consumazione definitiva e gloriosa della storia della salvezza, tracciata da Dio fin dall’eternità ed infine compiuta.

La speranza cristiana è strettamente in relazione con altre virtù. In primo luogo, con l’amore, perché si spera ciò che si ama, e ciò che si desidera possedere totalmente e definitivamente nell’amore. È molto unita alla preghiera, secondo lo stesso insegnamento di Gesù: "Vigilate e pregate, per non cadere in tentazione" (Mt 26,41), soprattutto nella tentazione estrema dell’apostasia e della perdita della fede. Si mette in rapporto inoltre con la virtù della prudenza, soprattutto di fronte alla tentazione. La tentazione fa parte della trama umana, ma il comportamento con essa richiede molta prudenza. Se Adamo ed Eva nel paradiso, se Davide dalla terrazza della sua casa, se Pietro nel palazzo del sommo sacerdote… avessero realmente "vigilato", sarebbero forse caduti in tentazione? Infine, la vigilanza implica la virtù della fortezza per realizzare efficacemente ciò che l’amore, la preghiera e la prudenza ci dettano come più conforme alla volontà di Dio.

Il premio alla vigilanza cristiana. Innanzitutto, il banchetto con Cristo: "quelle che erano preparate entrarono con lui alle nozze" (vangelo). Cioè, l’intimità con Dio vissuta già qui sulla terra e portata al suo culmine nel cielo. Poi, la partecipazione al "trionfo" di Cristo, che entrerà nella Gerusalemme celeste come il re dei re e il signore dei signori. Partecipazione, pertanto, al potere e alla gloria di Cristo, Signore della storia e dell’universo. E naturalmente, una gioia indescrivibile e inimmaginabile qui sulla terra, poiché sorpassa ogni capacità mondana, e qualsiasi gioia di questo mondo impallidisce di fronte al giubilo della gloria celeste. In tutto ciò speriamo, per raggiungerlo vigiliamo. Ciascuno di noi si sforza di raggiungerlo individualmente, ma allo stesso tempo ci sforziamo come Chiesa, in cammino verso la meta e il premio della nostra speranza.

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

È attuale e necessaria la speranza tra i fedeli cristiani? Certamente dobbiamo rispondere: è molto necessaria. Necessaria di fronte al mondo interiore delle nostre passioni, che cercano di sovrapporsi e di emergere tramite i loro poteri senza controllo e senza disciplina. È necessaria anche di fronte alle ideologie e alla mentalità dell’epoca, non sempre favorevoli alla virtù, ai valori e alla vita cristiana. Molta deve essere la vigilanza di fronte ai mezzi della comunicazione sociale, vecchi e nuovi, per metterli al servizio dell’informazione e dell’educazione dell’uomo e del cristiano, e non al servizio della sua disinformazione ed immoralità. Si richiede anche vigilanza dei genitori rispetto all’ambiente scolastico dei propri figli e alle amicizie che frequentano, perché un cattivo amico è funesto per un figlio. Vigilanza, infine, sull’ambiente professionale in cui si trascorrono lunghe ore della giornata, e che può influire negativamente in certi casi rispetto ai nostri valori e decisioni morali.

Perché essere vigilanti? Che cosa è ciò che induce i cristiani alla vigilanza? Innanzitutto, la semplice coscienza dell’attrazione naturale che il male esercita su ogni uomo, anche sul cristiano. Inoltre, la necessità del discernimento per separare il bene dal male, la paglia dal grano, il grano dalla zizzania, di modo che in ogni occasione possiamo scegliere il bene ed evitare il male.

Vigilanza nella speranza. E mi riferisco specialmente alla speranza nell’aldilà, cioè, nel cielo e in tutto ciò che il cielo significa, secondo l’insegnamento del catechismo della Chiesa. Parliamo, nella nostra predicazione, o come guide delle anime, della realtà, misteriosa ma vera, del cielo? Rendiamo desiderabile ai cristiani, con la nostra predicazione, il regno dei cieli? O forse siamo responsabili del fatto che lo considerino irreale o il culmine della noia? Durante l’anno la liturgia della Chiesa ci offre varie occasioni per parlare del cielo: la festa di tutti i santi, il giorno dei defunti, la festa dell’Ascensione del Signore e dell’Assunzione della Vergine Santissima, alcune domeniche del tempo ordinario, la messa per qualche defunto… La mia propria testimonianza cristiana, eleva lo sguardo dei fedeli verso la speranza e la certezza del cielo?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Domenica XXXIII del TEMPO ORDINARIO 14 novembre 1999

Prima : Prov 31, 10-13. 19-20. 30-31 Seconda: 1 Tes 5, 1-6, Vangelo: Mt 25, 14-30

 

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

 

Lavorare per dare frutto nel Regno di Dio: in questa frase si condensa la liturgia di questa domenica. Far fruttificare i talenti ricevuti, qualunque ne sia la quantità, per realizzare l’incarico del quale ci si chiederà conto poi (vangelo). Lavorare per fare il bene nel timore di Dio, come la donna buona e attiva del libro dei Proverbi (prima lettura). Lavorare, non dormire, poiché siamo figli del giorno e della luce, (tempo in cui si può lavorare), e non della notte né delle tenebre (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

La spiritualità del lavoro. Il lavoro non è un castigo divino, né un’attività imperiosa di sopravvivenza, ma un dono di Dio perché l’uomo si realizzi nella sua piena umanità. Il lavoro non è nemmeno opzionale, ma un dovere e un diritto, una legge inscritta da Dio nel nostro certificato di uomini e di battezzati. Il cristiano lavora, a immagine di Dio e a immagine di Gesù Cristo, che sempre lavorano (Gv 5,17). Di Gesù ci dirà il Concilio Vaticano II: "Lavorò con mani d’uomo" . Ecco come il lavoro mette in luce la superiorità e la signoria dell’uomo sulla creazione, e la subordinazione della creazione al bene materiale e spirituale dell’uomo; è un peccato di lesa umanità anteporre la creazione all’uomo, senza, tuttavia, che cessi di essere una verità il fatto che l’uomo debba agire sulla creazione con responsabilità e tenendo conto del bene integrale di se stesso e dell’umanità presente e futura. Se il lavoro è un dono, lo sono anche gli strumenti (qualità, abilità, attitudini, circostanze, relazioni…) che Dio concede a ciascuno per portare a compimento il proprio lavoro. La spiritualità del lavoro ci permette di vedere la vita come missione, come il tempo limitato da Dio per realizzare il compito che Egli ci ha affidato.

Le dimensioni del lavoro. C’è la dimensione credente del lavoro: lavoro perché credo. Credo che Dio mi ha dato un lavoro da realizzare per vivere; credo soprattutto nel valore redentore del lavoro, unito al mistero di Cristo redentore. Altra dimensione è quella psicologica: il lavoro è la via di sviluppo delle proprie attitudini e qualità, è via di soddisfazione dopo il lavoro ben fatto, è, in definitiva, via di realizzazione personale. Non può mancare la dimensione etica, cioè, la sottomissione volontaria e, se è possibile, gioiosa, alla legge "naturale" del lavoro, al dovere di porre in gioco tutti i nostri "talenti" per servire meglio la società e i nostri fratelli, gli uomini, senza distinzione di credo né di razze.

Infine, teniamo conto della dimensione spirituale. Il lavoro non è soltanto abilità e fatica, è innanzitutto fonte di virtù e cammino di santità. Mediante il lavoro, lo spirito umano si affina sempre di più, si apre alla provvidenza divina che non cessa di agire nel mondo, riconosce la sua competenza e allo stesso tempo la propria limitazione e piccolezza di fronte alla grandezza dell’opera di Dio creatore e di Gesù Cristo redentore.

 

 

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Nemico della pigrizia. Ogni uomo, e a maggior ragione ogni cristiano, deve essere nemico della pigrizia. Pigrizia intesa come non fare ciò che si ha l’obbligo di fare, come perdita volontaria e irresponsabile del tempo, come lasciarsi trascinare dall’inclinazione all’inattività: "Questo riposare dalla stanchezza di aver riposato". Una cosa è il legittimo riposo, che ciascuno deve cercare di procurarsi, e altra è la pigrizia, che ciascuno deve cercare di sfuggire con decisione. Il legittimo riposo è volontà di Dio, la pigrizia è un vizio. Il legittimo riposo restaura le forze perdute col lavoro, la pigrizia non fa altro che incrementare la tendenza alla pigrizia. I campi in cui possiamo lasciarci trasportare dalla pigrizia sono molteplici: gli studenti, soprattutto nel lavoro e nei compiti scolastici, con il risultato di esami non fatti o sospesi e il conseguente dispiacere dei genitori; e i membri della famiglia mostrandosi poco disposti ad effettuare i lavori domestici, che ciascun membro svolge secondo un programma espresso o tacito nell’ambito di una determinata famiglia; i funzionari e i professionisti, nel loro lavoro professionale: giungere tardi al lavoro, fare il meno possibile nel massimo tempo, scuse e giustificazioni "illegali" per non andare qualche giorno in ufficio..

Lavorare per aiutare e condividere. Si lavora per condividere, innanzitutto, con la propria famiglia, la paga ricevuta o i beni prodotti. Inoltre, si può condividere e aiutare la società, soprattutto i più bisognosi e abbandonati dalle istituzioni sociali. Lavorare anche studiando, istruendosi, facendo corsi di catechesi ed altro per condividere la propria fede (qualcosa a cui non possono rinunciare senza danno per i figli i padri di famiglia, gli educatori dei bambini e degli adolescenti…). Lavorare nella parrocchia, che è la famiglia di tutti coloro che ad essa appartengono, e in cui tutti sono necessari e hanno un compito da svolgere. Lavorare in grandi e piccoli progetti, propri o di altre persone, per cambiare in meglio quanto ci circonda mediante uno sforzo comune e costante per raggiungere il livello di ecologia morale e spirituale che si desidera. Lavorare per cercare, creare fonti di lavoro per tanti giovani che non lo trovano e desiderano avere il loro primo lavoro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Solennità di Cristo RE dell’UNIVERSO 21 novembre 1999

Prima : Ez 34, 11- 12. 15-17 Seconda: 1Cor 15, 20-26.28; Vangelo: Mt 25, 31-46

 

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Gesù Cristo, re e giudice della storia e dell’universo: questo è il gran finale del ciclo liturgico e della storia della salvezza che abbiamo percorso durante lo stesso. Re e giudice di tutte le nazioni e di tutti e ciascuno degli individui (vangelo). Re-pastore preannunciato dal profeta Ezechiele, in sostituzione dei re cattivi, che abusivamente sfruttavano il gregge (prima lettura). Re, che avendo sottomesso tutto a sé, donerà il regno a suo Padre affinché Dio sia tutto in tutti (seconda lettura).

 

MESSAGGIO DOTTRINALE

La consumazione del Regno, nel disegno di Dio. Non sappiamo quando il regno universale di Dio giungerà al suo termine storico ed ultimo, ma crediamo con sicurezza e certezza che ciò avrà luogo. Cristo, alla fine dei tempi, darà consumazione alla sua regalità, una regalità che è eterna come egli stesso in quanto Dio, e che è messianica fin dal momento in cui venne a questo mondo e venne unto Messia dallo Spirito Santo. La consumazione del Regno avrà luogo con la consumazione della storia e la conflagrazione universale, con cui Dio costituirà, nei suoi arcani disegni e col suo potere infinito, dei cieli nuovi e una terra nuova in cui abiti la giustizia. Cristo re e giudice, nel suo giudizio, non farà che riconoscere ed accettare il buono o cattivo uso che l’uomo ha fatto della propria libertà, tramite la quale si sottomise amorosamente al suo regno o tramite la quale si ribellò contro di lui e si mise al servizio di un altro re. Nel regno di Dio, l’uomo non avrà più da preoccuparsi per il mangiare e il bere, come in questo mondo, poiché sarà un regno di verità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace. Un regno costruito dalla libertà individuale e comune, come ringraziamento al nostro re e signore.

Di fronte a questo mistero della nostra fede si possono adottare atteggiamenti diversi. Ci sono coloro che prendono un atteggiamento di scetticismo: "troppo bello per essere vero", sono soliti dire. O di disinteresse, poiché sono molte le cose delle quali occuparsi sulla terra per stare a pensare a qualcosa di "sconosciuto" e adesso fuori della nostra portata. E ci sono anche coloro che considerano Cristo re e giudice, e il giudizio universale, come qualcosa di "mitico", ormai superato e passato di moda. Non è vero forse che tali atteggiamenti non cristiani possono esistere tra gli stessi cristiani? Che cosa accade alla fede cristiana nel giudizio, nell’inferno, nel purgatorio e nel cielo? Momento importante, questa festa di Cristo Re, per togliere la polvere da queste verità tanto antiche e sempre tanto originali e piene di sorprese! L’atteggiamento e la fede cristiani ci vengono insegnati nella seconda lettura: "Dopo sarà la fine, quando Cristo consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza", e nel vangelo: realizzare opere di misericordia, sia corporali sia spirituali, perché il re-giudice ci giudicherà in base al nostro amore per il prossimo, motivato dal nostro amore per Dio.

SUGGERIMENTI PASTORALI

 

Attenzione al soggettivismo della fede! Il cristiano, evidentemente, deve personalizzare la fede, incarnarla nella sua propria soggettività, ma deve personalizzare ed incarnare la fede obiettiva della Chiesa, così come ci si presenta nel Credo, nei sacramenti, nei comandamenti e nel Padrenostro, come preghiera del credente. Senza questa base oggettiva, il soggettivismo non sarebbe appropriazione della fede, ma invenzione della stessa; senza questa base, ciascuno si "fabbricherebbe" la sua propria fede, e si perderebbe così l’unità dottrinale dei cristiani. In un passato non molto remoto si accentuò l’oggettività della fede con pregiudizio della personalizzazione della stessa, oggi forse ci troviamo nell’altro estremo: per accentuare eccessivamente la soggettività della fede, perdiamo di vista la sua realtà obiettiva, così come ci viene trasmessa dalla Chiesa. Dobbiamo stare attenti, perché il soggettivismo si adatta molto bene alla mentalità democratica in cui ci muoviamo, e ad un carico non piccolo di individualismo nella società attuale. Il regno e la sovranità di Cristo, già qui nella storia, e poi, nell’ambito dell’eternità, è qualcosa di obiettivo, che non è alla mercé delle soggettività. È chiaro che l’eternità non è una invenzione, una figlia dell’immaginazione o della creatività umane: essa ha l’obiettività austera, ma ferma e sicura, della fede.

Il regno e la sovranità di Dio è anche una realtà temporale e storica. Dio regna nel cosmo, in quanto quest’ultimo è stato creato al servizio di un disegno divino in favore dell’uomo. Dio regna, in modo molto speciale, nella Chiesa, che è il territorio privilegiato, anche se certamente non unico, della sua regalità. Regna negli uomini, quando in essi regna la verità, la giustizia l’innocenza, la solidarietà, la santità di vita… È importante che noi, cristiani, riconosciamo, promuoviamo la sovranità di Cristo nell’umanità, nella Chiesa, e nel cosmo. Siamo tutti invitati dallo stesso Cristo a lavorare per estendere e dilatare le frontiere interne (quelle esistenti nell’intimo di ciascun uomo) ed esterne (l’estensione spaziale e temporale) del regno. Penso che possa essere proficuo per i cristiani celebrare con grande solennità questa ultima festa del ciclo liturgico: mediante una buona preparazione, affinché la gente partecipi e viva la festa con più coscienza ed intensità di fede, mediante la memoria di tanti uomini e donne che morirono, per esempio in Messico, gridando: "Viva Cristo Re!", mediante una migliore conoscenza del fatto che il regno di Cristo è un regno di amore, di giustizia e di pace.