CONGREGATIO PRO CLERICIS

 

 

 

Universalis Presbyterorum Conventus

 

“Sacerdoti, forgiatori di Santi

per il nuovo millennio

 

Sulle orme dell’Apostolo Paolo

 

 

 

 

 

 

 

«Mi amate più di costoro?»

 

 

Card. Ivan Dias, Arcivescovo di Bombay (India)

 

  Omelia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Malta

 20 ottobre 2004


     Durante i giorni di questo nostro incontro abbiamo riflettuto su un importante aspetto della nostra identità sacerdotale, cioè quello di essere, sulle orme di s. Paolo, forgiatori di santi per il nuovo millennio. È per noi uno speciale privilegio poterlo fare in una terra che è stata benedetta dalla presenza stessa di s. Paolo, l’Apostolo delle genti, e in questa cattedrale dedicata in suo onore. Questo contesto paolino è veramente ideale per mettere in luce alcuni aspetti del tema della nostra conferenza.

     Sappiamo anzitutto che Dio, e soltanto Dio, il Fabbro divino, è l’unico che forgia gli esseri umani mortali trasformandoli in santi, mentre noi sacerdoti siamo gli strumenti che utilizza a tal fine. L’esempio stesso di s. Paolo ci mostra come Dio ha tratto Paolo l’Apostolo da Saulo persecutore dei cristiani.

     Nella storia della Chiesa troviamo molti santi che sono stati collaboratori di Dio nel forgiare santi. Chi potrebbe dimenticare il santo vescovo Ambrogio di Milano, di cui Dio si è servito per trasformare Agostino, intellettualmente brillante, ma spiritualmente e moralmente confuso, in un cristiano fervente, vescovo e dottore eminente della Chiesa (sia pure grazie anche alle intense e incessanti preghiere di sua madre Monica)? Oppure l’umile Curato di Ars o Padre Pio da Pietrelcina, per il cui tramite migliaia di anime sono state riconciliate con Dio e hanno imboccato la via della santità. Ovviamente, non parlo di forgiare santi che poi saranno dichiarati ufficialmente beati oppure canonizzati dalla Chiesa, ma di coloro che Paolo stesso chiama «santi», cioè tutti i cristiani, perché la loro vocazione fondamentale è la santità di vita. Mi riferisco a coloro che incontriamo nella vita quotidiana e che spesso vivono tra di noi senza richiamare l’attenzione: genitori che lavorano in silenzio da mane a sera per i benessere spirituale e materiale delle loro famiglie; giovani uomini e donne che lottano contro l’invasione dei valori immorali dello spirito mondano nelle loro vite; sacerdoti che si dedicano con umiltà e altruismo alla diffusione della parola di Dio e del suo regno di amore senza fare notizia sui giornali, e molti altri. Siamo stati ordinati sacerdoti per forgiare «santi» come questi.

     Grande è la nostra responsabilità di essere sempre disponibili di fronte al Fabbro divino che ci ha chiamati, non per merito nostro, a essere suoi stretti collaboratori, i suoi «servi-amici» (Gv 15,15), a far sì che i suoi impulsi, forgiatori di santità, vengano trasmessi dal nostro ministero sacerdotale. Ovviamente, può scegliere di usare chiunque, credenti, miscredenti e persino peccatori, come suo strumento per modellare santi. Ma, in quanto sacerdoti, siamo i suoi collaboratori qualificati, armati di strumenti sacri, come i Sacramenti e i sacramentali, la Parola di Dio, i nostri talenti personali e i diversi ministeri spirituali, educativi e sociali.

     Il più importante di tutti gli strumenti di cui disponiamo è la Santa Eucaristia. È una felice coincidenza che questo incontro si tenga all’inizio dell’Anno dell’Eucaristia proclamato dal nostro Santo Padre. È un indizio importante sulla maniera in cui si possono forgiare santi. Infatti, l’Eucaristia è la fonte e il culmine di ogni santità, poiché vi si trova presente il Fabbro divino con il suo corpo, il suo sangue, la sua anima e la sua divinità. Se rimaniamo uniti al Signore eucaristico come i tralci alla vite (Gv 15,5), produrremo abbondanti frutti di santità in noi stessi e saremo strumenti utili nelle mani del Fabbro divino.

          Poiché questa conferenza si occupa di «santi per il nuovo millennio», vorrei menzionare un sacerdote e pastore dei nostri tempi, che aveva ricevuto straordinari doni di intelligenza e di cuore, doni che ha usato con zelo per la maggior gloria di Dio e per il bene delle anime. Mi riferisco all’arcivescovo Fulton J. Sheen, prima vescovo ausiliare di Nuova York, poi vescovo di Rochester, morto esattamente venticinque anni fa, la cui causa di canonizzazione è stata introdotta da poco. La sua comunicativa era proverbiale e la usò senza riserve per iscritto e nei mezzi di comunicazione. Fu autore di molti libri che vengono tuttora letti con molto profitto spirituale. Il suo programma radiale a diffusione nazionale The Catholic Hour (L’ora cattolica), che durò 22 anni, aveva circa quattro milioni di ascoltatori. E quando iniziò la serie televisiva Life is Worth Living (La vita merita di essere vissuta), altre stazioni televisive si collegavano al suo programma, che aveva un pubblico settimanale stimato in trenta milioni di telespettatori. Inoltre, molte persone di tutti i ceti sociali, compresi attori e attrici, si rivolgevano a lui per avere consigli spirituali. Riuscì a essere un tramite della santità per milioni di persone perché, come un vero sacerdote, era un uomo di Dio, un uomo di preghiera e un uomo per gli altri. Egli stesso spiegò il successo del suo apostolato incessante: il giorno della sua ordinazione sacerdotale (1919) fece il proposito di trascorrere ogni giorno un’ora davanti al Santissimo Sacramento e mantenne il suo proposito durante i 60 anni del suo sacerdozio fino alla sua morte nel 1979. Dalla Santa Eucaristia l’arcivescovo Fulton Sheen traeva la saggezza di guidare altri sulla via della santità, oltre a trovare la forza di affrontare le molte difficoltà che ebbe a superare. Era consapevole che, per poter essere uno strumento di santità per gli altri, doveva rimanere costantemente in contatto con il Santissimo stesso, poiché senza di lui non poteva fare nulla (Gv 15,5). Veramente, l’arcivescovo Fulton Sheen potrebbe essere un modello per noi sacerdoti chiamati a essere collaboratori di Dio nella forgia di santi in un mondo dominato dalla tecnologia dell’informazione, dal New Age e dal declino dei valori etici. Ripeto, non necessariamente per modellare santi che verranno elevati agli onori degli altari, ma quei santi semplici, nascosti, delle nostre città e dei nostri quartieri poveri, dei nostri uffici, supermercati e case.

     Il secondo pensiero che vorrei sviluppare in merito al tema di questa conferenza è che Dio, il Fabbro divino, forgia i santi sull’incudine dell’amore, la quale, talvolta, assume la forma di una croce. Gesù, parlando di amore, non si attende un amore qualsiasi e banale da noi sacerdoti, ai quali affida il suo gregge, bensì un amore speciale. È significativo il fatto che, prima di consegnare a Pietro le chiavi del suo regno dicendogli «pasci i miei agnelli» e «pasci le mie pecore» (cf. Gv 21,15-17), Gesù gli abbia posto la domanda sconvolgente: «Mi ami più di costoro?». Non gli aveva detto: «Mi ami proprio come mi amano gli altri che ti attorniano?». No. Gli ha chiesto: «Simone di Giovanni, mi ami più di costoro?». Si trattava veramente di una domanda estremamente impegnativa. Inizialmente Pietro aveva risposto senza esitare: «Certo, Signore, ti amo» e rispose allo stesso modo quando Gesù ripeté la sua domanda per la seconda volta. Ma, quando il Signore insistette per la terza volta, Pietro, consapevole delle sue debolezze e dei suoi fallimenti passati, rispose con umiltà: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo». Certamente, la prima risposta di Pietro era piena di entusiasmo, ma l’ultima era umilmente realistica. «Mi ami più di costoro?». Sì, il Signore richiede a noi, suoi sacerdoti, di amare di più rispetto ai suoi altri discepoli.

     Questa esigenza si fa anche più impegnativa quando l’incudine dell’amore prende la forma di una croce. La storia della Chiesa ci insegna che i santi vengono forgiati su questa incudine. Ogni santo ha dovuto superare difficoltà e sofferenze di vario genere, ma tutti l’hanno fatto con una profonda pace interiore e con gioia spirituale. Sappiamo infatti che un santo triste è un triste santo. Troviamo un notevole esempio nella vita di s. Paolo. Il suo itinerario verso la santità, iniziato il giorno della sua conversione, è proseguito durante tutta la sua vita. Nella sua lettera ai Corinzi, Paolo rievoca le molte prove e tribolazioni che ha dovuto soffrire per il Santo Nome di Gesù (cfr. 2 Cor 11,23-28), menzionandone alcune esplicitamente: prigionie, frustate e colpi, lapidazioni, naufragi (proprio in questa isola di Malta), l’essere rimasto in balia delle onde, pericoli da fiumi e da briganti, congiure della sua stessa gente e di altri, fame e sete, freddo e nudità. E, nonostante tutto ciò, s. Paolo esorta i cristiani: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi» (Fil 4,4).

     Cari confratelli nel sacerdozio: torniamo indietro con il ricordo al giorno della nostra ordinazione sacerdotale. In quell’occasione solenne, come Pietro, abbiamo detto al Signore con entusiasmo che lo amavamo ed eravamo disposti a offrire noi stessi per essere suoi strumenti nella forgia di santi. Dal canto suo, Egli si attendeva che lo amassimo più di coloro che avrebbe affidato alle nostre cure pastorali. Come per Paolo, certamente il nostro amore per lui è stato messo alla prova con il fuoco della sofferenza. Oggi, dobbiamo chiederci con sincerità in che misura abbiamo corrisposto alla fiducia che il Signore aveva posto in noi quando ci ha chiamati a seguirlo. Durante questa Santa Eucaristia, mentre preghiamo gli uni per gli altri e per i nostri fratelli sacerdoti di tutto il mondo, chiediamo al Signore di darci ciò che i cristiani designavano, con una frase fatta, «la fede di Pietro e il cuore di Paolo» (fides Petri et cor Pauli), affinché, come sacerdoti, possiamo preparare per lui, secondo le parole di s. Pietro, «una stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato» (1 Pt 2,9).