CONGREGATIO
PRO CLERICIS
“Sacerdoti, forgiatori di
Santi
per il nuovo millennio”
«Mi amate più di costoro?»
Card. Ivan Dias, Arcivescovo di Bombay (India)
Durante i giorni
di questo nostro incontro abbiamo riflettuto su un importante aspetto della
nostra identità sacerdotale, cioè quello di essere,
sulle orme di s. Paolo, forgiatori di santi per il nuovo millennio. È per noi
uno speciale privilegio poterlo fare in una terra che è stata benedetta dalla
presenza stessa di s. Paolo, l’Apostolo delle genti, e in questa cattedrale
dedicata in suo onore. Questo contesto paolino è veramente ideale per mettere in luce alcuni
aspetti del tema della nostra conferenza.
Sappiamo anzitutto
che Dio, e soltanto Dio,
il Fabbro divino, è l’unico che forgia gli esseri umani mortali trasformandoli
in santi, mentre noi sacerdoti siamo gli strumenti che utilizza a tal fine.
L’esempio stesso di s. Paolo ci mostra come Dio ha
tratto Paolo l’Apostolo da Saulo persecutore dei cristiani.
Nella storia della
Chiesa troviamo molti santi che sono stati collaboratori di Dio nel forgiare
santi. Chi potrebbe dimenticare il santo vescovo Ambrogio
di Milano, di cui Dio si è servito per trasformare Agostino, intellettualmente
brillante, ma spiritualmente e moralmente confuso, in un cristiano fervente,
vescovo e dottore eminente della Chiesa (sia pure grazie anche alle intense e
incessanti preghiere di sua madre Monica)? Oppure l’umile Curato di Ars o Padre Pio da Pietrelcina,
per il cui tramite migliaia di anime sono state riconciliate con Dio e hanno
imboccato la via della santità. Ovviamente, non parlo di forgiare santi che poi
saranno dichiarati ufficialmente beati oppure canonizzati dalla Chiesa, ma di
coloro che Paolo stesso chiama «santi», cioè tutti i
cristiani, perché la loro vocazione fondamentale è la santità di vita. Mi
riferisco a coloro che incontriamo nella vita
quotidiana e che spesso vivono tra di noi senza richiamare l’attenzione:
genitori che lavorano in silenzio da mane a sera per i benessere spirituale e
materiale delle loro famiglie; giovani uomini e donne che lottano contro
l’invasione dei valori immorali dello spirito mondano nelle loro vite;
sacerdoti che si dedicano con umiltà e altruismo alla diffusione della parola
di Dio e del suo regno di amore senza fare notizia sui giornali, e molti altri.
Siamo stati ordinati sacerdoti per forgiare «santi» come questi.
Grande è la nostra
responsabilità di essere sempre disponibili di fronte al Fabbro divino che ci
ha chiamati, non per merito nostro, a essere suoi
stretti collaboratori, i suoi «servi-amici» (Gv 15,15), a far sì che i suoi impulsi,
forgiatori di santità, vengano trasmessi dal nostro ministero sacerdotale.
Ovviamente, può scegliere di usare chiunque, credenti, miscredenti e persino
peccatori, come suo strumento per modellare santi. Ma,
in quanto sacerdoti, siamo i suoi collaboratori qualificati, armati di
strumenti sacri, come i Sacramenti e i sacramentali, la Parola di Dio, i nostri
talenti personali e i diversi ministeri spirituali, educativi e sociali.
Il più importante
di tutti gli strumenti di cui disponiamo è la Santa Eucaristia. È una felice
coincidenza che questo incontro si tenga all’inizio
dell’Anno dell’Eucaristia proclamato dal nostro Santo Padre. È un indizio
importante sulla maniera in cui si possono forgiare santi. Infatti,
l’Eucaristia è la fonte e il culmine di ogni santità,
poiché vi si trova presente il Fabbro divino con il suo corpo, il suo sangue,
la sua anima e la sua divinità. Se rimaniamo uniti al Signore eucaristico come
i tralci alla vite (Gv 15,5), produrremo
abbondanti frutti di santità in noi stessi e saremo strumenti utili nelle mani
del Fabbro divino.
Poiché questa
conferenza si occupa di «santi per il nuovo
millennio», vorrei menzionare un sacerdote e pastore dei nostri tempi, che
aveva ricevuto straordinari doni di intelligenza e di cuore, doni che ha usato
con zelo per la maggior gloria di Dio e per il bene delle anime. Mi riferisco
all’arcivescovo Fulton J. Sheen,
prima vescovo ausiliare di Nuova York, poi vescovo di Rochester, morto esattamente venticinque anni fa, la cui
causa di canonizzazione è stata introdotta da poco. La sua comunicativa era
proverbiale e la usò senza riserve per iscritto e nei mezzi di comunicazione.
Fu autore di molti libri che vengono tuttora letti con
molto profitto spirituale. Il suo programma radiale a diffusione nazionale The Catholic Hour (L’ora cattolica), che durò 22 anni, aveva circa
quattro milioni di ascoltatori. E quando iniziò la
serie televisiva Life is
Worth Living (La vita
merita di essere vissuta), altre stazioni televisive si collegavano al suo
programma, che aveva un pubblico settimanale stimato in trenta milioni di
telespettatori. Inoltre, molte persone di tutti i ceti sociali, compresi attori
e attrici, si rivolgevano a lui per avere consigli spirituali. Riuscì a essere un tramite della santità per milioni di persone
perché, come un vero sacerdote, era un uomo di Dio, un uomo di preghiera e un
uomo per gli altri. Egli stesso spiegò il successo del suo apostolato
incessante: il giorno della sua ordinazione
sacerdotale (1919) fece il proposito di trascorrere ogni giorno un’ora davanti
al Santissimo Sacramento e mantenne il suo proposito durante i 60 anni del suo
sacerdozio fino alla sua morte nel 1979. Dalla Santa Eucaristia l’arcivescovo Fulton Sheen traeva la saggezza
di guidare altri sulla via della santità, oltre a trovare la forza di
affrontare le molte difficoltà che ebbe a superare. Era consapevole che, per
poter essere uno strumento di santità per gli altri, doveva rimanere
costantemente in contatto con il Santissimo stesso, poiché senza di lui non
poteva fare nulla (Gv 15,5). Veramente, l’arcivescovo
Fulton Sheen potrebbe
essere un modello per noi sacerdoti chiamati a essere
collaboratori di Dio nella forgia di santi in un mondo dominato dalla
tecnologia dell’informazione, dal New Age e dal
declino dei valori etici. Ripeto, non necessariamente per modellare santi che verranno elevati agli onori degli altari, ma quei santi
semplici, nascosti, delle nostre città e dei nostri quartieri poveri, dei
nostri uffici, supermercati e case.
Il secondo
pensiero che vorrei sviluppare in merito al tema di questa
conferenza è che Dio, il Fabbro divino,
forgia i santi sull’incudine dell’amore, la quale, talvolta, assume la forma di
una croce. Gesù, parlando di amore, non si attende
un amore qualsiasi e banale da noi sacerdoti, ai quali affida il suo gregge, bensì
un amore speciale. È significativo il fatto che, prima
di consegnare a Pietro le chiavi del suo regno dicendogli «pasci i miei
agnelli» e «pasci le mie pecore» (cf. Gv 21,15-17), Gesù gli abbia posto la domanda sconvolgente:
«Mi ami più di costoro?». Non gli
aveva detto: «Mi ami proprio come mi amano gli altri
che ti attorniano?». No. Gli ha chiesto: «Simone di Giovanni, mi ami più di costoro?». Si trattava veramente
di una domanda estremamente impegnativa. Inizialmente
Pietro aveva risposto senza esitare: «Certo, Signore, ti amo» e rispose allo
stesso modo quando Gesù ripeté la sua domanda per la
seconda volta. Ma, quando il Signore insistette per la
terza volta, Pietro, consapevole delle sue debolezze e dei suoi fallimenti
passati, rispose con umiltà: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo».
Certamente, la prima risposta di Pietro era piena di entusiasmo,
ma l’ultima era umilmente realistica. «Mi ami più di costoro?». Sì, il Signore richiede a noi, suoi sacerdoti, di
amare di più rispetto ai suoi altri
discepoli.
Questa esigenza si
fa anche più impegnativa quando l’incudine dell’amore prende la forma di una
croce. La storia della Chiesa ci insegna che i santi
vengono forgiati su questa incudine. Ogni santo ha dovuto superare difficoltà e
sofferenze di vario genere, ma tutti l’hanno fatto con una profonda pace
interiore e con gioia spirituale. Sappiamo infatti che
un santo triste è un triste santo. Troviamo un notevole esempio nella vita di
s. Paolo. Il suo itinerario verso la santità, iniziato il giorno della sua
conversione, è proseguito durante tutta la sua vita.
Nella sua lettera ai Corinzi, Paolo rievoca le molte
prove e tribolazioni che ha dovuto soffrire per il Santo Nome di Gesù (cfr. 2
Cor 11,23-28), menzionandone alcune esplicitamente: prigionie, frustate e
colpi, lapidazioni, naufragi (proprio in questa isola
di Malta), l’essere rimasto in balia delle onde, pericoli da fiumi e da
briganti, congiure della sua stessa gente e di altri, fame e sete, freddo e
nudità. E, nonostante tutto ciò, s. Paolo esorta i cristiani: «Rallegratevi nel
Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi» (Fil 4,4).
Cari confratelli nel sacerdozio: torniamo indietro con il
ricordo al giorno della nostra ordinazione
sacerdotale. In quell’occasione solenne, come Pietro, abbiamo detto al Signore
con entusiasmo che lo amavamo ed eravamo disposti a
offrire noi stessi per essere suoi strumenti nella forgia di santi. Dal canto
suo, Egli si attendeva che lo amassimo più
di coloro che avrebbe affidato alle nostre cure pastorali.
Come per Paolo, certamente il nostro amore per lui è stato messo alla prova con
il fuoco della sofferenza. Oggi, dobbiamo chiederci con sincerità in che misura
abbiamo corrisposto alla fiducia che il Signore aveva posto in noi quando ci ha chiamati a seguirlo. Durante questa Santa
Eucaristia, mentre preghiamo gli uni per gli altri e per i nostri fratelli
sacerdoti di tutto il mondo, chiediamo al Signore di
darci ciò che i cristiani designavano, con una frase fatta, «la fede di Pietro
e il cuore di Paolo» (fides Petri et cor Pauli), affinché, come sacerdoti, possiamo preparare
per lui, secondo le parole di s. Pietro, «una stirpe eletta, il sacerdozio
regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato» (1 Pt 2,9).