Ecclesia de Eucharistia

Prof. Dr. Rino Fisichella – 25 febbraio 2005

Premessa

In occasione del giovedì santo del 2003, Giovanni Paolo II ha firmato la sua ultima enciclica Ecclesia de Eucharistia. Un dono fatto alla Chiesa per scoprire sempre più le radici del suo essere e la realtà che le permette di esistere come Sposa del Signore. Secondo l'espressione sintomatica di H. de Lubac, ripresa nel corso dell'enciclica, "l'Eucaristia fa la Chiesa e la Chiesa fa l'Eucaristia". E' proprio così. Per l'intero Medioevo, l'espressione più originale in proposito risulta essere quella di Maestro Simone (1160); ancora oggi, mantiene intatta tutta la sua forza: "Ci sono due cose nel sacramento dell'altare: il corpo vero di Cristo e ciò che è significato da lui, il suo corpo mistico che è la Chiesa". All'epoca, come si sa, l'eucaristia era chiamata "corpus verum" corpo vero di Cristo. La Chiesa stessa, comunque, era compresa come il vero corpo di Cristo! Bisognava, dunque, creare una distinzione per permettere di comprendere le due cose separatamente; si iniziò proprio qui a parlare della Chiesa come "corpo mistico di Cristo", per distinguerla dal "corpo vero" dell'eucaristia.

Sei capitoli formano questa enciclica: il primo si apre sul grande mistero della fede, rappresentato dall'eucaristia e si conclude con lo sguardo su Maria, donna eucaristica. All'interno di questo scenario si pongono quattro tematiche peculiari che spaziano dall'orizzonte ecclesiologico (cap. II) a quello dell'apostolicità dell'eucaristia (cap. III), per sfociare nella presentazione della koinonia come forma visibile culminante del mistero. Non manca una parte fondamentale dell'insegnamento di Giovanni Paolo II che richiama al valore normativo della celebrazione liturgica come forma ed espressione della preghiera di tutta la Chiesa che non può essere sottoposta all'arbitrio del singolo celebrante.

Lo stupore e la meraviglia

Una chiave di lettura, per entrare nel merito dell'enciclica, può essere identificata nel desiderio, a cui Giovanni Paolo II richiama, di suscitare lo "stupore eucaristico" (EdE 6). Provocare cioè alla meraviglia come una sempre nuova forma di conoscenza dinanzi al mistero. E', in altre parole, il desiderio di permettere che la contemplazione del volto di Cristo –tema sul quale il S. Padre si era lungamente fermato nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte come il programma successivo all'anno giubilare- sia posta sul mistero eucaristico come il luogo più idoneo e coerente per la fede: "Contemplare il volto di Cristo e contemplarlo con Maria, è il "programma" che ho additato alla Chiesa all'alba del terzo millennio, invitandola a prendere il largo nel mare della storia con l'entusiasmo della nuova evangelizzazione. Contemplare Cristo implica saperlo riconoscere dovunque egli si manifesti, nelle sue molteplici presenze, ma soprattutto nel sacramento vivo del suo corpo e del suo sangue. La Chiesa vive del Cristo eucaristico, da lui è nutrita, da lui è illuminata" (EdE 6).

Come si nota, il tema del volto di Cristo rimane all'orizzonte come un tema centrale e fondamentale, ma viene continuato e, in qualche modo, approfondito, mostrando lo spazio idoneo dove ritrovarlo. Giovanni Paolo II, d'altronde, si lascia andare a una serie preziosa di ricordi biografici che creano una suggestiva cornice interpretativa. Non si può dimenticare, infatti, l'opzione filosofica dell'antico Maestro di etica all'Università di Lublino, che vedeva nella fenomenologia una condizione gnoseologica non affatto secondaria. In questo caso, essa mostra quanto l'esperienza personale possa essere genuina forma di conoscenza e possibile via di comunicazione.

Questo scenario, permette di addentrarsi maggiormente all'interno dei contenuti di Ecclesia de Eucharistia. Sappiamo che, insieme all'opera di evangelizzazione, la celebrazione dell'eucaristia è stata fin dall'inizio della Chiesa il momento culminante e il rito centrale della sua esistenza. La comunità, infatti, faceva memoria del Signore; comprendeva che, in questo modo, adempieva al comando che Gesù aveva dato prima di offrirsi sulla croce e proclamava la nostalgia per il suo ritorno. E' in questo momento particolare che la Chiesa comprendeva realmente cosa significava il suo stesso nome: Chiesa, ekklesia, cioè convocazione di un popolo raccolto da Dio per dare a lui la lode e il ringraziamento. Celebrando l'eucaristia, essa riconosceva la presenza viva e vera, del Signore Risorto in mezzo alla comunità. Lo "spezzare il pane" diventava non solo il segno del riconoscimento del Signore, ma anche annuncio di tutto il suo mistero di salvezza. La passione, la morte e la risurrezione di Cristo non erano più solo annunciati, ma resi visibili come segno concreto della salvezza realizzata. Mangiare il corpo di Cristo significa partecipare del suo mistero e vivere fin d'ora delle ricchezze del suo Regno. Proprio a partire dal comando di Gesù di fare memoria della sua pasqua, nutrendosi del suo corpo, la Chiesa ha compreso di essere lei stessa corpo di Cristo. Come si nota, ritornano cariche di significato le parole dell'Apostolo: "Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti, infatti, partecipiamo dell'unico pane" (1 Cor 10,16-17).

L'enciclica ricorda che, nel rendere grazie al Padre per il dono di Cristo, la Chiesa sperimenta la sua natura: essere segno della presenza del Signore risorto e strumento di comunione tra i fratelli. Qui si comprende cosa significa essere "un'assemblea santa", una "stirpe sacerdotale" (cf. 1 Pt 2,9), chiamata a rendere il culto al Signore. Nel celebrare l'eucaristia che è "fonte e culmine" della vita della Chiesa e dell'opera di evangelizzazione, la Chiesa celebra, dunque, il mistero della sua esistenza che è, nello stesso tempo, una realtà visibile e invisibile, divina e umana, santa anche se nel suo seno vi sono peccatori, una e indivisibile nonostante le ferite della divisione, universale e presente in ogni comunità locale. Per dirla con l'espressione del concilio, la Chiesa è "una sola complessa realtà risultante da un duplice elemento, umano e divino. Per una debole analogia, quindi, è paragonata al mistero del Verbo incarnato" (Lumen gentium 8).

Eucaristia come sacrificio

Uno dei caratteri peculiari a cui l'enciclica richiama è il valore sacrificale dell'eucaristia. Nell'atto del sacrificio come dono totale di sé, Cristo esprime al massimo la sua libertà. La fede insegna che l'eucaristia è il sacrificio con il quale si rinnova quello unico e originario compiuto da Gesù sul Calvario. E' l'apostolo Paolo che ci permette di focalizzare al meglio questa dimensione sulla base di una ininterrotta trasmissione viva e fedele del mistero: "Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga" (1 Cor 11,23-26).

La s. Messa non è solo l'evocazione del mistero della morte e risurrezione del Signore; essa è a tutti gli effetti e in maniera piena il sacrificio di Cristo. Ciò che cambia è solo il modo di offrirsi non la realtà del sacrificio. Ogni volta che si celebra l'eucaristia, quindi, Cristo si offre al Padre e chiede alla sua Chiesa di diventare lei pure un'offerta gradita a Dio. E' un sacrificio che rivela nello stesso tempo il suo amore e la sua libertà. In un unico atto si rende manifesta l'obbedienza del Figlio al Padre; si attesta la sua natura come Figlio inviato per rendere visibile l'amore del Padre e si rende evidente la sua libertà di voler dare completamente se stesso, senza nulla ricevere in cambio, come strumento di riconciliazione degli uomini con Dio. L'amore di Gesù nell'eucaristia è nel segno stesso che lui istituisce: nel cenacolo per l'ultima cena, egli traccia in una sintesi irrepetibile ciò che accadrà poche ore dopo, la sua morte e risurrezione come segno ultimo dell'amore con il quale Dio ama (cfr. Gv 3,16).

Un tratto caratteristico dell'enciclica, comunque, è determinato dal fatto che non si ferma al carattere teologico, ma sottolinea e prospetta forme che ispirano e sostengono comportamenti di grande spessore esistenziale. Uno, è certamente quello che richiama al valore e alla cultura del sacrificio. Nessuno può pensare di compiere gesti di autentica libertà se non è capace alla rinuncia. Solo una "rinuncia" permette di dare vita a una personalità che si rafforza e solidifica proprio perché capace di rinunciare. La vita impone delle scelte; non si può avere tutto. Ma ogni scelta equivale a prendere qualcosa, dovendo lasciarne un'altra. Momento drammatico, ma necessario. Il sacrifico che si compie nella rinuncia è condizione di libertà e premessa di crescita. L'amore stesso, d'altronde comporta una dimensione sacrificale. Essa si rende evidente là dove per amore si condivide la sofferenza dell'altro o dove per amore si assume sui di sé il limite dell'altro. Pensare che nella vita il sacrificio non esista e possa esserci qualcuno che ne sia immune è pura illusione; ciò su cui dovremmo riflettere è come ci si prepara a questo momento e come si è capaci di trasformarlo e sublimarlo in un atto d'amore. L'eucaristia imprime questo orizzonte e permette di sostenere scelte e rinunce che abilitano alla formazione di un'identità di fede sempre più matura.

Maria donna eucaristica

Non si potrebbero concludere queste brevi riflessioni, senza un riferimento a quanto Giovanni Paolo II ricorda sul significato della presenza di Maria nel mistero dell'eucaristia. Noi non sappiamo se Maria abbia partecipato o meno a un'eucaristia e se si sia mai comunicata; eppure, nessuno meglio di lei sa cosa significhi portare in sé il corpo del Figlio e permettere che diventi nostro cibo per la vita eterna. L'enciclica di Giovanni Paolo II, in qualche modo, si pone la stessa domanda e abbozza una risposta: "Come immaginare i sentimenti di Maria, nell'ascoltare dalla bocca di Pietro, Giovanni, Giacomo e degli altri Apostoli le parole dell'ultima cena: "Questo è il mio corpo che è dato per voi"? Quel corpo dato in sacrificio e ripresentato nei segni sacramentali era lo stesso corpo concepito nel suo grembo! Ricevere l'eucaristia doveva significare per Maria quasi un riaccogliere in grembo quel cuore che aveva battuto all'unissono con il suo e un rivivere ciò che aveva sperimentato in prima persona sotto la Croce" (EdE 56). Maria è figlia di Israele e figlia della Chiesa. In lei, l'antico e il nuovo Patto possono trovare una sintesi coerente perché la promessa fatta trova, nella sua obbedienza filiale, il compimento definitivo. Il tema della esemplarità che emana da Maria per ogni credente in Cristo permane, come si nota, quale caratteristica peculiare del mistero.

Fino all'attesa della venuta del Signore siamo chiamati a rendere partecipi tutti del mistero che celebriamo. Esso richiede la capacità di trasformare il mondo rendendolo sempre più umano; a servizio dell'uomo, quindi, perché questi possa esprimere al meglio se stesso. Ciò richiede la possibilità di sapere andare incontro all'altro, condividendo il suo cammino di ricerca della verità. L'eucaristia rende ognuno di noi come i discepoli di Emmaus che chiedono il senso degli avvenimenti e sentono profonda la nostalgia per il Signore. Camminare per le strade di questo mondo implica conoscere le ansie e le attese del nostro contemporaneo, ma nello stesso tempo, impegna a farsi promotore di una risposta di senso di cui tutti sono in attesa. Il mondo è stato redento dal mistero della croce; la presenza del peccato, che ha segnato la creazione stessa, ritrova nel mistero eucaristico l'origine della sua trasformazione e la chiamata a divenire "cielo nuovo e terra nuova" dove abiteranno per sempre la giustizia. E' un impegno a cui nessuno può esimersi e che nelle pagine di Ecclesia de Eucharistia trova un punto di particolare spessore teologico ed esistenziale.