Il problema  della intercomunione

Professor Gary Devery, Sydney, 31 ottobre 2005

 

Il problema della intercomunione  giunge al cuore della Chiesa. Quest’ ultima è il sacramento  di salvezza  per l’umanità. La salvezza implica  che la grazia salvifica  di Gesù Cristo  superi la disunione e la divisione  esistenti  a ogni livello  dei rapporti umani  quale conseguenza del peccato originale.  La missione della Chiesa consiste nell’essere segno  e strumento  di unità e  di comunione  per l’umanità. L’Eucaristia è sia fonte  sia culmine di unità  e comunione nella Chiesa per la sua missione  di essere  segno  e strumento. Come ha scritto Papa Giovanni Paolo II in Ecclesia  de Eucharistia  n. 44, la natura stessa  dell’Eucaristia  è tale  che esige inderogabilmente “la completa comunione  nei vincoli della professione di fede, dei Sacramenti e del governo ecclesiastico”.  Permettere la pratica  dell’intercomunione quando questi tre aspetti  di unità non sono presenti  significa ridurre  l’Eucaristia  a una sciarada  di unità e comunione. Diviene ingiurioso  proprio per  la cosa che si desidera  e per la quale si opera negli sforzi ecumenici. Non può esserci unità  né comunione  senza verità.

Un altro problema  sorge  quando  circostanze pastorali speciali  vengono confuse con l’attività ecumenica. Il Codice di Diritto Canonico (n. 44) affronta il tema dell’ intercomunione sia per i cattolici sia per i membri  di altre comunità ecclesiali  secondo le norme specifiche  per persone singole.  Le circostanze sono sempre pastorali “quando la necessità  lo richiede o un autentico vantaggio spirituale lo suggerisce”. L’intenzione  di questo canone  è  chiaramente e specificamente pastorale  e si rivolge ai singoli individui. E’ ovvio che il  suo intento non riguarda  alcuno sforzo ecumenico  verso l’unità  fra Chiese o comunità ecclesiali.

Questa prescrizione pastorale  del Canone 44 solleva un  problema delicato  che viene menzionato  nel n. 28 dei Lineamenta  della XI Assemblea Generale Ordinaria  del Sinodo dei Vescovi in cui  si afferma  che “ciò che resta  da considerare con attenzione  è il rapporto  fra  ospitalità eucaristica  e proselitismo”. Ciò è particolarmente vero  in alcune  delle nostre città australiane. La Chiesa cattolica  rappresenta  la religione maggioritaria  in Australia. A motivo di una storia particolare  i cattolici di rito latino  hanno  instaurato un sistema cattolico  molto esteso. La maggior parte delle  parrocchie cittadine  possiede una scuola elementare cattolica. Il livello di queste scuole  è generalmente apprezzato dalla società. Di conseguenza,  spesso si pone la delicata questione  dell’intercomunione  per i bambini ortodossi che frequentano queste scuole. Senza che la Chiesa cattolica  desideri fare proselitismo in alcuna forma  i bambini ortodossi hanno la tendenza  a voler partecipare  pienamente  alla vita liturgica  dei loro compagni  cattolici di rito latino. Ciò può causare  tensioni indesiderate  fra le Chiese e  spesso  mette il parroco in una situazione molto delicata di incertezza circa la misura in cui estendere  l’ospitalità eucaristica  ai bambini ortodossi e ai loro genitori per loro vantaggio spirituale. Accade anche  che i bambini ortodossi che hanno frequentato queste scuole per tutti i dodici anni di istruzione, una volta sposati, si rivolgano alla Chiesa di Rito Latino affinché i loro figli possano essere battezzati.